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Full text of "Orlando furioso. 2. ed. del 1532, con commento di Pietro Papini. Ed. integra, Nuova ristampa riveduta e corretta"

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HANDBOUND 
AT  THE 


UNIVERSITY  OF 
TORONTO  PRESS 


ORLANDO   FURIOSO  di 
LUDOVICO    ARIOSTO 

SECONDO   L'EDIZIONE    DEL    ir)32   CON 
COMMENTO    DI    PIETRO    PAPI  NI. 

EDIZIONE  INTEGRA  ^  NUOVA  RISTAMPA   RIVE- 
DUTA  E  CORRETTA. 


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MICRC.-OSMED  BY 


Sp'S^  1991 


DATE. 


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In  Firenze,  G.  C.  Sansoni,  Editore  -  mcmxvi. 


PROPRIETÀ   LETTERARIA 


Firenze  —  Tip.  G.  Carnesecchi  e  figli  —  Piazza  Mentana  1 


PREFAZIONE 


U Orlando  Furioso  non  è  uno  di  quei  classici,  dei  quali 
si  possa  esclamare:  ancora  un'edizione!  ancora  un  com- 
mento!; perché  pur  troppo  non  ne  esiste  paranco  né  un'edi- 
zione né  un  commento,  che  possano  dirsi  definitivi,  seb- 
bene in  ogni  secolo,  dal  Cinquecento  in  qua,  molti  si 
siano  affaticati  intorno  a  questo  grande  lavoro.  Mentre 
oggi  egregi  studiosi  curano  il  testo  di  tanti  poeti  minu- 
scoli, l'Italia  non  ha  ancora  un'edizione  critica  dell'Or- 
lando  Furioso.  E  pure  son  pochi  i  classici  nostri,  che  ab- 
bian  fatto  essi  stessi  tanta  fatica  per  assicurare  presso  i 
posteri  l'intelligenza  delle  loro  opere,  quanta  ne  ha  fatta 
l'Ariosto.  E  son  pochi  i  classici,  che  più  a  torto  e  più 
largamente  siano  stati  dai  posteri  vituperati. 

Almeno  gli  editori  si  compiacessero  di  giovarsi  di  quanto 
è  già  stato  fatto  da  insigni  letterati,  e  si  attenessero  ai 
lavori  del  Morali  e  del  Panizzi!  Ma  come  se  l'essenza  di 
questo  poema  stesse  tutta  in  una  fitta  di  corbellerie  da 
divertire  nelle  lunghe  serate  d'inverno  gli  scolaretti  di 
quinta  ginnasiale,  si  prende  a  caso  qualunque  testo  raffaz- 
zonato e  si  ammannisce  in  una  nuova  abborracciata  edi- 
zione, che,  0  pel  modico  prezzo  o  per  il  nome  di  qualche 
editore  più  in  voga,  corre  tosto  le  nostre  scuole.  Già,  an- 
che nell'insegnamento  che  cosa  è  l'Ariosto  ormai  se  non 
un  fecondo   novellatore?  Lo   studio   del  Furioso  general- 


VI  PREFAZIONE 

mente  si  fa  assegnando  la  lettura  di  più  canti  a  ciascuno 
scolaro,  che  se  arriva  a^  farne  un  affrettato  riassunto  ha 
già  mostrato  un  eccesso  di  diligenza.  Cosi  non  la  pensava 
il  Galilei,  che  dal  Furioso  toglieva  le  eleganze  per  ren- 
derne amabile  la  severità  della  scienza.  Ma  habent  sua 
fata  libelli! 

Io  ho  pensato  da  lungo  tempo  di  preparare  per  le  scuole 
italiane  un'edizione  di  questo  poema,  la  quale  mostrasse 
di  accorgersi  che  c'è  anche  per  il  Furioso  una  questione 
del  testo,  e  che  occorre  pure  per  il  Furioso  uno  studio  ac- 
curato della  lingua  e  dello  stile.  Il  generoso  disinteresse 
dell'Editore  mi  ha  permesso  di  fare  due  edizioni;  una  per 
le  scuole,  ed  una  integra;  il  che  mi  ha  procurato  il  van- 
taggio di  poter  dare  uno  studio,  per  le  mie  forze  completo, 
di  tutto  il  poema,  con  largo  indice  delle  particolarità  gram- 
maticali e  stilistiche,  del  quale  può  giovarsi  un  diligente 
lettore. 

E  cominciando  a  parlare  del  testo,  è  noto  che  dell' 0/'- 
la7ido  Furioso  non  abbiamo  oggi  nessun  manoscritto:  ri- 
mangono solo  dei  frammenti,  che  comprendono  in  tutto 
463  stanze  e  che  probabilmente  non  rappresentano  nep- 
pure l'ultima  volontà  dell'Autore.  Questi  frammenti  si  con- 
servano, prezioso  cimelio,  nella  biblioteca  di  Ferrara.  Ma 
è  altrettanto  noto  che  l'Ariosto  curò  da  sé  la  prima  edi- 
zione cominciata  nel  1515  e  finita  nel  1516,  della  quale 
si  ha  una  riproduzione  stampata  dal  Taddei  di  Ferrara  nel 
1875  per  cura  del  prof.  Crescentino  Giannini.  Eretto  il 
monumento,  parve  che  l'Ariosto  non  avesse  ormai  nella 
vita  altra  mira  principale  che  di  ridurlo  a  perfezione,  guar- 
dandolo da  ogni  lato,  limandolo  e  rifacendolo  con  diligenza 
assidua  e  minuta.  Cosi  nel  1521  egli  ne  curava  un'altra 
edizione,  che  alcuni  considerano  a  torto  come  un  leggero 
ritocco.  Sopra  32,944  versi,  quanti  sono  nell'edizione  del 
1516,  ne  furono  aggiunti  di  nuovo  128;  e  corretti,  o  in 
qualche  guisa  modificati,  2912.  Queste  cifre  dicono  chia- 
ramente che  non  fu  quello  del  '21  un  leggero  ritocco,  ma 


PREFAZIONE  VII 


una  larga  e  minuta  correzione,  che,  se  non  si  estese  alla 
tela  del  poema,  penetrò  nelle  più  intime  pieghe  della  lin- 
gua e  dello  stile.  E  veramente  chi  osservi  l'ediz.  del  '21, 
di  cui  ci  dette  le  varianti  lo  stesso  prof.  Giannini  (Fer- 
rara, Taddei,  1876),  vede  agevolmente  che  una  buona  metà 
dei  miglioramenti  introdotti  nel  Poema  si  deve  già  a  que- 
sto primo  .lavoro  di  lima. 

Certo  fu  più  larga  la  correzione,  che  il  Poeta  fece  in 
appresso  e  che  si  vede  nell'ultima  edizione  da  lui  stesso 
curata  nel  1532.  Qui,  oltre  alla  parola,  alla  frase,  all'imma- 
gine, fu  toccata  anche  la  tela  del  Poema  con  aggiunte  co- 
piose. Dice  il  Giraldi  nelle  giunte  a'suoi  Discorsi  intorno  ai 
Romanzi  (Barottj,  Memorie,  storiche  Leit.  Ferr.  I,  pag.  248, 
annot.  24)  :  «  Prima  egli  (l'Ariosto)  vide  e  rivide  il  Poema 
suo  per  lo  spazio  di  sedici  anni  dopo  la  jjrima  edizione; 
né  passò  mai  di,  per  tutto  quel  tempo,  ch'egli  non  vi 
fosse  intorno  e  con  la  penna  e  col  pensiero:  poscia  ridot- 
tolo al  termine  e  dell'accrescimento  e  della  correzione,  che 
a  lui  parve  convenevole,  lo  portò  a  molti  belli  ed  eccel- 
lenti ingegni  d'Italia  per  averne  il  loro  giudizio,  come  fu 
a  Monsignore  il  Bembo,  al  Molza,  al  Navagero  ed  altri 
molti,  de' quali  egli  fa  menzione  nell'ultimo  canto;  ed  avu- 
tone il  loro  parere,  se  ne  ritornò  a  casa,  E  come  solea 
fare  A  pelle  delle  sue  dipinture,  cosi  fece  dell'opera  sua: 
perocché  egli,  due  anni  innanzi  che  desse  l'opera  alla 
stampa,  la  pose  nella  sala  della  sua  casa  e  la  lasciò  da 
esser  giudicata  da  ciascuno.  E  finalmente,  avuti  tanti  pa- 
reri nella  città  e  fuori,  a  quelli  si  appigliò  che  migliori 
gli  parvero  ».  Anche  se  in  queste  parole  del  Giraldi  vi  è 
dell'esagerazione  e  della  leggenda,  servono  pur  sempre  a 
dimostrare  l'importanza,  che  già  gli  amici  stessi  dell'Au- 
tore davano  a  questa  correzione  finale  e  definitiva.  Cosi, 
un  anno  prima  che  l'Ariosto  morisse,  legava  alla  patria 
il  frutto  più  bello  del  suo  genio,  dopo  averci  amorosa- 
mente lavorato  per  circa  ventisette  anni.  E  noi  abbiamo 
nell'edizione  del   1532   l'ultima  sua  volontà.   Asserisce  il 


TIII  PREFAZIONE 


Ruscelli  d'aver  visto  un  di  questi  esemplari  ancora  postil- 
lato e  corretto  in  più  luoghi  dal  Poeta;  ma,  quantunque 
il  fatto  fosse  per  sé  stesso  possibile,  dall'esame  d'alcune 
correzioni  riportate  dal  Ruscelli  apparisce  la  falsità  della 
notizia  e  l' impostura  di  quel  guastatore.  Dobbiamo  quindi 
ritenere  senz'altro  che  V  Orlando  Furioso^  quale  il  Poeta  lo 
volle,  consiste  tutto  e  solo  nell'edizione  del  1532.  Né  giova 
opporre  che  lo  stesso  Ariosto  si  mostrò  scontento  di  quella 
edizione,  ^  poiché  ciò  non  potè  riferirsi  «  che  alla  defor- 
mità della  carta  e  dei  caratteri  e  ad  altri  materiali  difetti 
dell'edizione  medesima,  la  qual  certo,  estrinsecamente,  non 
ha  cosa  alcuna,  che  si  possa  dir  bella  ».  ^ 

A  quell'ultima  edizione  originale  doveva  dunque  far 
capo  la  critica:  invece  gli  antichi  editori  fecero  all'Ario- 
sto quel  che  altri  faceva  ad  altri  scrittori;  sostituirono 
spesso  la  loro  ignoranza,  o  le  loro  sviste,  alla  lezione  ge- 
nuina; quindi,  copiandosi  successivamente,  ingrossarono 
la  mole  delle  false  lezioni  fino  al  punto  da  far  sentire  ur- 
gente la  necessità  di  porre  un  rimedio  a  tanto  sconcio.  E 
nel  1818  Ottavio  Morali  tagliava  il  nodo  gordiano,  e,  po- 
stergata francamente  l'autorità  di  quanti  mai  fìno  allora 
avessero  posto  mano  a  ricorreggere  il  Furioso,  prese  per 
solo  ed  unico  testo  quello  del  1532,  dandoci  una  splendida 
edizione  in  4°,  che  ormai  è  divenuta  assai  rara  e  costosa. 
Di  qui  si  doveva  muovere  da  quanti  poi  han  pubblicato 
il  Furioso]  poiché,  sebbene  non  sia  lavoro  definitivo,  è  pur 
sempre  capitale  e  importantissimo.  E  dico  che  si  doveva 
muover  di  qui,  non  già  per  modificare  l'opera  del  Morali 
con  proprie  congetture,  ma  per  completarla  con  opportuni 
riscontri  dell'ediz.  originale  e  con  critica  rigorosa.  Questo, 
a  mio  credere,  è  il  lavoro  che  resta  ancora  da  fare  da  chi 
voglia  occuparsi  seriamente  e  principalmente  del  testo.  Il 
Morali  fece   opera  d'una   diligenza  ammirabile  e   procede 


'  Lettera  di  Galasso  Ariosto  al  Bembo,    voi.  I  delle  lettere  al  Bembo. 
*  Morali,  Prefazione  alla  sua  edizione,  pag.  5,  n.  d. 


PREFAZIONE  IX 


con  scrupolo  rigorosissimo,  ma  in  due  cose  mancò:  e  dav- 
vero  che    non   son   molte,   se   pensiamo  un  momento  alla 
novità  e  alla  difficoltà  del  lavoro.    Prima  di  tutto  alcune 
volte  fu  poco  attento  lettore  dell'esemplare  antico,  che  gli 
stava  dinanzi;  come  apparisce  dai    rilievi,  che  ne  fece  di 
poi  il  Panizzi;  e  come  è  apparso  a  me  nei  pochi  riscontri 
che  ho  potuto  fare  per  mezzo  di  persona  competente  e  cor- 
tese. In  secondo  luogo,  delle  correzioni  che  il   Morali  ha 
fatto  al  testo  del  1532,  alcune  non  han  buon  fondamento 
di  ragione,    e  perciò   debbono   assolutamente   respingersi 
Ma  di  questo  inconveniente  è  pochissimo  il  danno,  perché 
il  Morali,  con  scrupolo  lodevole,  ha  riportato  in  fine  del 
l'opera  la  lista    quasi   completa    di  quelle  varianti  da  lu 
introdotte  nell'originale    antico,    e    il   lettore  può,    da   sé 
stesso,  riscontrare  e  giudicare  l'opera  del  critico. 

Nel  1834  Antonio  Panizzi,  insigne  letterato  italiano, 
bibliotecario  al  Museo  Britannico  in  Londra,  pubblicava, 
dopo  V  Orlando  Innamorato  del  Boiardo,  V Orlando  Furioso^ 
prendendo  per  fondamento  l'ediz.  del  Morali  e  riscontran- 
dola su  quella  del  1532.  Ma  anche  questo  fu  lavoro  man- 
chevole, perché,  mentre  procede  qua  e  là  con  incertezza 
nell'ammettere  e  nell'escludere  le  varianti  del  Morali,  ac- 
cetta pure  alcune  correzioni  Ruscelliaue.  Tal  che,  se  que- 
sta edizione  è  di  non  poco  giovamento  allo  studioso  per 
i  riscontri,  che  vi  si  trovano,  non  è  guida  sempre  sicura 
per  il  testo  del  Furioso. 

E  dopo  questi  due  letterati  il  meglio,  che  siasi  fatto, 
è  stato  di  attenersi  più  o  meno  fedelmente  all'una  o  all'al- 
tra edizione,  ma  non  si  è  fatto  un  passo  di  più.  Né  a  me 
sarebbe  mancato  il  desiderio  di  portare  in  questo  campo 
il  piccolo  contributo  delle  mie  forze,  se  non  me  ne  fosse 
mancato  il  tempo  e  il  modo. 

Dell'ediz.  del  1532  si  conoscono  oggi  solamente  pochi 
esemplari,  che  non  sono  neppure  fra  loro  perfettamente 
eguali;  perché  è  noto  che  l'Ariosto  apportava,  nel  corso 
della   stampa,   nuove   modificazioni,  che  per  ciò  si  trovano 


PREFAZIONE 


solo  in  alcuni  esemplari,  in  altri  no.  Occorreva  dunque 
esaminare  diversi  di  questi  esemplari,  che  sono  in  luo- 
ghi diversi  e  lontani:  esame  che  io  non  ho  potuto  fare. 
Quindi  non  mi  rimaneva  che  scegliere  fra  il  Morali  e  il 
Panizzi,  e  dare,  se  non  un  testo  critico  nel  vero  signifi- 
cato della  parola,  almeno  un  testo  corretto,  che,  tolti  pic- 
coli, e  per  la  scuola  insignificanti  particolari,  riproducesse 
il  Furioso,  quale  usci,  perfezionato,  dalla  mente  dell'Ario- 
sto. Io  mi  sono  attenuto  al  Morali,  perché  le  sue  mende 
mi  sono  sembrate  più  lievi  di  quelle  del  Panizzi.  Altri  po- 
trà, se  gli  talenta,  credere  il  contrario.  Qualche  volta,  in 
dubbio  se  il  Morali  leggesse  esattamente,  ho  fatto  riscon° 
tràre  l'originale,  che  si  trova  nella  Bertoliana  di  Vicenza. 
Delle  correzioni  fatte  dal  Morali  al  testo  del  1532  solo 
alcune  ho  accolto,  che  riporto  in  fondo  al  volume  :  altre 
no,  perché  mi  sono  parse  arbitrarie,  non  essendo  confer- 
mate né  da  luoghi  paralleli,  né  dalle  edizioni  precedenti. 
Vede  dunque  il  lettore  che,  almeno  per  quanto  è  necessa- 
rio alla  retta  interpretazione  del  Poema,  non  è  stata  da 
me  trascurata  neppure  la  correttezza  scrupolosa  del  testo. 
Giacché  si  vuol  ricordare  che  io  ho  inteso  di  fare  princi- 
palmente un  libro  scolastico  e  ho  dato  le  principali  cure 
al  commento. 

Commenti  deìY Orlando  Furioso  ne  abbiamo  quasi  tanti, 
quante  sono  state  le  diverse  edizioni,  senza  contare  le  il- 
lustrazioni speciali.  Noi  non  passeremo  in  particolare  ras- 
segna tutti  questi  lavori;  che,  se  sarebbe  fatica  erudita  e 
curiosa,  non  sarebbe  forse  in  questo  luogo  altrettanto  pro- 
ficua; e  noteremo  solamente  che  il  maggior  contributo  al- 
l'interpretazione del  Furioso  fu  dato  da  Simone  Fornari 
nel  cinquecento,  dal  Barotti  nel  settecento  e  dal  Bolza 
nell'ottocento.  Quanto  alle  fonti,  il  Lavezuola,  il  Rajna  e 
il  Romizi  si  può  dire  che  abbiano  esaurito  l'argomento, 
al  quale  han  pure  lavorato  in  qualche  parte  il  Panizzi, 
il  Bolza  e  alcun  altro.  Il  Fornari  è  il  più  importante,  per 
l'antichità  e  per  la  cura  speciale  che  pose  nell'  interpreta- 


PREFAZIONE  xi 


zione  del  Poema.  La  sua  Esposizione  dell'Orlando  Furioso, 
oltre  un  sufficiente  corredo  di  erudizione,  ha  anche  molte 
felici  interpretazioni  di  luoghi  non  facili.  Del  Fornari  non 
può  fare  a  meno  nessuno,  che  voglia  affaticarsi  intorno 
al  grande  poema.  In  una  seconda  parte  espone  il  senso 
allegorico,  che  si  contiene  in  alcuni  luoghi  del  Furioso; 
e  anche  in  ciò  egli  ha  quasi  sempre  veduto  più  giu- 
sto di  tutti  gli  altri  commentatori.  Noi  abbiamo  avuto 
presente  tutto  il  lavoro  del  Fornari  e  ce  ne  siamo  giovati 
ogni  volta  che  ci  è  parso  opportuno,  spesso  citando  le  pa- 
role stesse  del  commentatore.  Nel  cinquecento  contribui- 
rono alla  intelligenza  dell'  Qrlando  Furioso  il  Pigna,  il  Gi- 
raldi,  il  Porcacchi,  il  Dolce,  ma,  più  che  un  vero  com- 
mento, ci  dettero  notizie  storiche  e  mitologiche  o  poche  e 
slegate  osservazioni  grammaticali  e  stilistiche.  Il  Ruscelli 
promise  molto  e  poco  attenne;  e  di  questo  poco  non  sem- 
pre possiamo  giovarci  con  sicurezza.  Non  molte  osserva- 
zioni di  vario  valore  lasciò  il  Galilei,  uno  dei  pochi,  che 
nel  seicento  gustasse  e  apprezzasse  degnamente  la  gran- 
dezza dell'Ariosto  qual  maestro  di  lingua  e  di  stile.  Cosi 
arriviamo  al  Barotti,  che  nell'edizione  di  Venezia  (Pit- 
teri  176G),  non  solo  emendò  parte  di  quegli  errori,  che  da 
tempo  deturpavano  il  Furioso,  ma  vi  aggiuuse  delle  note, 
che,  dopo  il  Fornari,  furono  la  miglior  cosa  fatta  a  di- 
chiarazione del  grande  lavoro  ;  e  sono  anc'  oggi  prege- 
volissime. Al  principio  e  in  fine  della  sua  bellissima  edi- 
zione anche  il  Morali  pose  alcune  osservazioni  cosi  impor- 
tanti, da  farci  desiderare  quel  glossario  di  più  che  otto- 
mila articoli,  che  G.  B.  Zannoni  assicura  fosse  stato  da 
lui  compilato,  ma  che  noi  oggi  non  conosciamo.  Sulla 
scorta  del  Barotti  e  dello  Zotti  (ediz.  di  Londra  1814)  è 
fatta  la  maggior  parte  del  commento,  che  l'Ab.  Renzi  pose 
nella  buona  edizione  del  1821,  la  cosi  detta  edizione  del 
Molini;  e  poco  di  nuovo  e  di  originale  vi  si  trova.  Più 
ricco  di  nuove  osservazioni  fu  il  Panizzi  nella  sua  bella 
edizione  del  1834.  Nel  commento,  che  vi  appose,  ha  Tee- 


XII  PREFAZIONE 


celiente  pregio,  che  di  rado  si  slancia  ad  avventatezze  ed 
errori  :  poco  ma  sicuro.  Fa  un^  diligente  ricerca  dei  luo- 
ghi che  l'Ariosto  imitò  àsdì'Inìì amorato,  e  frequenti  cita- 
zioni di  altre  fonti  cavalleresche  e  classiche,  per  le  quali 
si  giova  specialmente   del   Lavezaola.  Parco  d'erudizione, 
dice  quanto  è  necessario  a  lettore  colto;  scarso  e  deficiente 
nello  studio  della  lingua,  raramente  vede  le  vere  difficoltà, 
qualche  volta  ne  sogna  delle  immaginarie.  Studio  più  mi- 
nuto e  più  profìcuo  fece  il  Bolza,  non  tanto  nelle  sue  edi- 
zioni (Vienna  1853,  Firenze  1863),  le  quali  hanno  appena 
poche  righe  di  commento  alla  fine  dei  canti;  quanto  piut- 
tosto nel  Manuale,  dove  ha  raccolto,    in   una  disordinata 
introduzione,  ricca  varietà  di  notizie  e  di  osservazioni,  e 
nel  glossario,  acute  e  importanti  interpretazioni.  Peccato 
che  è  mole  indigesta,  poco  utile,  al  mio  parere,  per  gl'in- 
segnanti, inutile  affatto  per  gli  scolari,   pesante  per  qua- 
lunque studioso.  Io  ho  esaminato  attentamente  questo  la- 
voro del  Bolza,  ne  ho  preso  quanto  ho   creduto  migliore, 
citandolo  ogni  volta  che  giustizia  imponeva.  Giacinto  Ca- 
sella nel  1877  pubblicò  il  Furioso  col   testo  del   Morali  e 
con  un  commento,  che  non  manca    certamente  di  pregio. 
Il  commento  del  Casella,  a  mio  vedere,  è  pregevole  spe- 
cialmente per  l'erudizione  geografica,  e  talvolta  anche  per 
la  storica,  ma  è  deficiente  per  la  interpretazione  dei  luo- 
ghi difficili,  e  nullo,  o  quasi,  per  ciò  che  si  riferisce  alla 
lingua  e  allo  stile.    Il    Camerini  nella  collezione  del  Son- 
zoc^no,  che  corre  copiosamente  per  le  nostre  scuole  in  virtù 
del   modico   prezzo,    fece,    nel   commento,  lavoro  quasi  di 
pura  compilazione  e,  come  tale,    non   è   certo   da   dispre- 
giare :  anzi  mostra  spesso  l' ingegno  e  la  cultura  del  com- 
pilatore.   Questa   nostra  edizione  era  già   alla    metà  della 
stampa,  quando  apparve  V Orlando  Furioso   ridotto  per  la 
scuola   e   commentato  dal  prof.  Augusto  Eomizi    (Milano 
1900).  Chi  conosce  la  cultura  e  la  solerzia  del  Romizi  può 
immaginare  che  anche  questo  lavoro  non  dev'essere  senza 
importanza;  e  importanza  veramente  ne  ha.  Il  Romizi  in 


PREFAZIONE  XIII 


un  lavoro  precedente  aveva  studiato  più  largamente  del 
Lavezuola  e  del  Rajna  le  fonti  latine  del  Furioso]  era 
quindi  un  conoscitore  profondo  del  suo  Autore.  Ed  egli 
per  il  primo  porta  una  minuta  diligenza  su  la  parola  e 
sulla  frase,  egli  per  il  primo  si  dà  cura  di  rilevare  i  luoghi 
simili  0  paralleli,  che  confermano  o  dichiarano  le  inter- 
pretazioni difficili.  Eppure  il  commento  del  Romizi  non 
entrerà  mai,  io  credo,  nella  scuola,  e  poco  anche  gioverà 
agli  insegnanti.  Forse  il  difetto  principale  è  la  troppa  di- 
ligenza e  la  troppa  cultura  del  commentatore.  Troppo  di- 
ligente, spreca  tempo  e  spazio  a  dare  spiegazioni  inutili, 
a  citare  brani  errati  di  antichi  commentatori,  a  ricordare, 
spesso  senza  vero  profitto,  le  varianti  della  Principe;  troppo 
colto  accumula  raffronti  in  gran  copia,  ricerca  fonti  mol- 
teplici e  disparate.  E  poiché  riferire  estesamente  tutto  ciò 
non  sarebbe  stato  possibile,  ha  erapito  le  note  di  numeri, 
che,  se  dicono  qualcosa  a  chi  ha  presenti  i  luoghi  ci- 
tati, non  dicono  proprio  nulla  alla  massima  parte  dei  let- 
tori. Tutte  quelle  citazioni  andranno  bene  in  uno  studio 
di  fonti  o  di  raffronti,  in  un  commento  son  mole  indige- 
sta o  segni  senza  significato.  Ma  io  reputo  possa  questo 
lavoro  essere  utilissimo  a  chi  voglia  studiare  bene  a  fondo 
l'Ariosto,  perciò  me  ne  sono  giovato  non  di  rado.  Né  sarò 
io  certamente  per  rimproverare  al  Romizi  di  avere  più 
volte  sbagliato  l'interpretazione  di  luoghi  difficili,  perché 
so  per  prova  quanto  arduo  lavoro  sia  questo,  e  per  prova 
sapranno  i  lettori  quanto  alla  mia  volta  avrò  omesso  ed 
errato  o  in  qualunque  modo  mal  fatto.  Dopo  questi  e  tanti 
altri  commenti  viene  alla  luce  il  mio,  per  il  quale  ho  te- 
nuto presente  tutto  il  lavoro  già  fatto,  giovandomene  ogni 
volta  che  ho  creduto  opportuno.  Ma  ho  avuto  in  questa  fa- 
tica un  intendimento  speciale,  a  cui  ho  dato  la  maggior 
parte  delle  cure  e  delle  ricerche:  rilevare  le  molte  e  tal- 
volta gravi  difficoltà,  che  vengono  dalla  lingua,  dallo  stile, 
dalle  immagini,  cercando  di  fermare  il  seuso  vero  o  il  più 
accettabile  col  confronto  di  usi    simili,  e    coll'autorità  di 


XIV  PREFAZIONE 


altri  scrittori.  L'Ariosto  è  tale  poeta  che  a  una  lettura  fug- 
gevole apparisce  facile  e  cliiaro  tanto,  da  non  far  sentire 
il  bisogno  del  commento.  Ma  se  voi,  invece  di  conten- 
tarvi del  senso  generale,  del  pensiero  nelle  sue  linee  prin- 
cipali, scendete  ai  particolari,  alle  sfumature;  quante  volte 
dovrete  dire  credo,  mi  pare,  sembra  voglia  dire  questo:  e 
solo  quando  avrete  osservato  che  in  altri  luoghi  la  frase 
o  la  parola  ha  più  chiaramente  quel  dato  senso,  solo  quando 
l'esempio  di  altri  scrittori  vi  determini  meglio  l'uso  e  il 
significato  di  certe  espressioni,  soltanto  allora  potrete, 
nella  maggior  parte  dei  casi,  con  sicurezza  interpretare. 
Altrimenti  si  capisce  a  orecchio,  all'ingrosso,  pascendo  più 
0  meno  la  fantasia,  ma  con  pochissimo  vantaggio  dell'edu- 
cazione letteraria.  E  quanto  tesoro  di  lingua,  quante  fi- 
nezze di  stile  in  tanta^ chiarezza  e  semplicità!  L'Ariosto  è 
un  prodigio  letterario,  di  cui  non  abbiamo  che  una  pal- 
lida somiglianza  nel  Manzoni.  Nato  a  Reggio,  figlio  di  una 
Reggiana  e  di  un  Ferrarese;  pur  avendo  trascorsa  quasi 
intera  la  vita  a  Reggio  e  a  Ferrara  riusci  tal  modello  di 
lingua  e  di  stile  da  vincere  i  più  eleganti  Toscani  del 
cinquecento.  E  la  sua  è  la  lingua  più  ricca,  più  varia  e 
nello  stesso  tempo  più  fresca,  più  viva  e  più  signorile  del 
gran  secolo.  L'Accademia  della  Crusca  lo  proclamò  grande 
maestro,  il  vocabolario  si  alimentò  per  gran  parte  delle 
opere  sue.  In  esse  voi  ve  lete  il  conoscitore  profondo  della 
precedente  letteratura  dal  dugento  al  cinquecento,  da  Bru- 
netto Latini  al  Sannazzaro.  E  come  il  suo  periodo  s'in- 
fiora di  ricordi  danteschi  e  petrarcheschi,  delle  grazie  del 
Boccaccio  e  del  Poliziano,  cosi  parole  ed  espressioni  già 
coperte  di  ruggine  sono  ivi  rimesse  a  nuovo  e  richiamate 
a  vita  e  splendore.  Sembra  che  in  questo  lavoro  di  esu- 
mazione egli  ponga  amore  speciale:  e  ne  acquistò,  a  mio 
credere,  un  merito  singolare.  Con  questa  profonda  cono- 
scenza della  lingua  scritta,  anche  antica,  l'Ariosto  unisce 
tal  pratica  del  linguaggio  vivo,  specialmente  in  Toscana, 
che  talvolta  perfino  i  solecismi  e  gli  idiotismi  ne  sono  ado- 


PEEFAZIONE  XV 


prati.  È  vero  che  fu  più  volte  in  Toscana  e  che  a  Firenze 
ed  a  Siena  diede  opera  a  l'eleganzia]^  è  vero  che  mentre 
limava  il  Poema  era  già  innamorato  corrisposto  di  Ales- 
sandra Benucci,  fiorentina  d'origine;  ma  tutto  ciò  è  ancor 
poco  a  comprendere  quel  magnifico  lavoro  di  assimila- 
zione, che  si  spiega  soltanto  con  le  maravigliose  attitudini 
del  suo  genio.  Io  vorrei  dire  che  accadde  a  lui  per  la  lin- 
gua e  per  lo  stile  quello  che  accadde  per  la  materia.  Essa 
è  un  mirabile  impasto  di  infiniti  ricordi.  Scrittori  greci 
e  latini,  i  più  vari  e  disparati  italiani,  i  poemi  cavalle- 
reschi popolari  e  letterari,  la  storia  del  tempo,  la  vita  della 
società  contemporanea,  le  arti  belle  e  le  scienze  sommi- 
nistrano all'Ariosto  il  materiale  grezzo  che  egli  lavora  a 
suo  modo,  e  assimila  e  riduce  in  un  tutto  omogeneo  nella 
sua  fantasia;  cosicché  spesso  i  ricercatori  di  fonti  son  co- 
stretti a  fare  un  penoso  lavoro  di  decomposizione  per  sta- 
bilire donde  e  come  fu  tratta  tanta  materia.  Si  comprende 
per  ciò  che  l'Ariosto  ebbe  una  prodigiosa  attitudine  a  com- 
porre ed  impastare  i  più  diversi  particolari,  che  la  sua 
fortissima  memoria  riteneva  dalle  tante  letture  e  dalla  con- 
tinua osservazione.  Questa  medesima  attitudine  dovette 
avere  per  la  lingua.  La  memoria  riteneva  e  voci  e  modi 
letti  nei  più  disparati  scrittori  o  sentiti  dal  popolo  di  To- 
scana; il  genio  speciale,  guidato  da  un  gusto  finissimo,  ri- 
chiamando al  bisogno  tutti  questi  ricordi,  creava  una  lin- 
gua fresca  e  spontanea,  uno  stile  tutto  nuovo  e  tutto  in- 
dividuale, dove  soltanto  un'analisi  minuta  e  attenta  fa 
riconoscere  i  primitivi  elementi.  Vi  sono  persone,  donne  e 
fanciulli  specialmente,  che  riescono  in  poco  tempo  ad  ap- 
prendere e  a  parlare  un  dialetto,  che  altri  non  imparerebbe 
in  lunghi  anni.  Allargate  quest'attitudine,  confortatela  con 
studi  lunghi  e  geniali,  con  ampia  cultura,  con  un  gusto 
squisito  del  bello,  e  forse  potrete  comprendere  il  prodigio 
della  lingua  neìVOrlaìido  Furioso. 


Negromante.  Prologo. 


XVI  PREFAZIONE 


Non  sarebbe  dunque  un  vero  commento  dell'Ariosto, 
quello  che  trascurasse  o  poco  curasse  la  lingua  e  lo  stile: 
ed  io  a  questo  specialmente  ho  atteso.  Dire  che  sia  riu- 
scito nell'  intento  sarebbe  tal  presunzione  da  potersi  chia- 
mare ridicola,  ma  ho  la  coscienza  d'averlo  tentato  con  tutta 
la  possa.  Forse  1'  amor  della  brevità  ha  nociuto  talvolta 
alla  chiarezza;  ma  nei  commenti  è  meglio  esser  troppo 
brevi  che  troppo  copiosi,  per  non  esser  troppo  noiosi. 

Modena,  1  Maggio  1916. 

Pietro  Papini. 


N.  B.  Da  qnesta  edizione  è  stata  derivata  l'edizione  ridotta  per  le 
scuole,  che  contemporaneamente  si  pubblica. 


SOMMARIO  DEI  QUARANTASEI  CANTI 

DELL'ORLANDO  FURIOSO*      ■ 


I.  Proposizione  e  dedica,  st.  1-4.  Augelica,  data  da  Carlo  Magno  al 
Duca  di  Baviera,  dopo  la  rotta  de'  Cristiani  fugge.  Incontra  Rinaldo, 
poi  Ferrali.  Duello  tra  Ferrau  e  Rinaldo,  5-23.  Ferraù  e  1'  Argalla 
23-dL  Angelica  e  Sacripante,  32-59.  Duello  tra  Sacripante  e  Brada- 
niante,  60-71.  Baiardo  preso  da  Sacripante.  Sopraggiunge  Rinaldo. 
Sgomento  d'Angelica,  72-81. 

II.  Duello  tra  Sacripante  e  Einaldo.  Angelica  fugge.  Incontra  un 
Eremita,  che  con  un  messo  svia  i  combattenti.  Intelligenza  di  Ba- 
iardo. Rinaldo  torna  a  Parigi,  1-24.  E  mandato  da  Carlo  Magno  in 
Inghilterra  per  aiuti.  Tempesta,  24-30.  Bradamante  incontra  Pina- 
bello,  che  le  racconta  le  sue  sventure.  Essa  si  avvia  verso  il  ca- 
stello del  Mago  Atlante,  ma  è  tradita  da  Pinabello  e  precipitata  in 
una  caverna,  31-76. 

III.  Bradamanle  incontra,  nella  caverna,  Melissa,  che  la  conduce 
alla  tomba  di  Merlino,  dal  quale  sente  predirsi  tutta  la  discendenza, 
che  procederà  da  lei  e  da  Ruggero,  1-62.  Va  con  Melissa  verso  il 
castello  d'Atlante,  03-75.  Incontra  Brunello,  76-77. 

IV.  Bradamante  vede  Atlante  volare  sull'Ippogrifo,  1-10.  Si  avvia 
con  Brunello  al  castello  del  Mago,  11-13.  Toglie  a  Brunello  l'anello 
incantato,  14-15.  Combatte  con  Atlante,  lo  vince,  distrugge  il  castello 
e  libera  Ruggero,  che  vi  stava  rinchiuso  con  altri  cavalieri,  16-41. 
Ruggero  è  rapito  sull' Ippogrifo  e  Bradamante  sconsolata  ne  parte 
con  Frontino,  42-50.  Einaldo  approda  in  Scozia  :  sa  di  Ginevra  che 
dovrà  essere  uccisa  se  qualche  cavaliere  non  toglie  a  provare  la  sua 
innocenza:  si  avvia  per  difenderla,  51-69.  Incontra  Dallnda,  70-72. 


*  Sono  rilevati  in  carattere  diverso  i  nomi,  che  più  spiccano  in  ciascun  canto, 
afifìnché  il  giovane  possa  ritrovarli  più  facilmente  e  seguire,  volendo,  la  storia 
(lei  princijjali  personaggi  del  poema. 


XVlil  SOMMARIO  DEI  QUARANTASEI  CANTI 

V.  Daliiula  cameriera  di  Ginevra  racconta  a  Rinaldo  la  trista 
storia  di  questa  principessa,  e  glie  ne  dimostra  l'innocenza,  1-75.  Ri- 
naldo va  alla  corte  del  Re,  padre  di  Ginevra,  e  svela  che  Polinesso 
ha  calunniato  sua  figlia,  76-88.  Combatte  con  Polinesso  e  1'  uccide, 
89-90.  Vien  riconosciuto  Arìodante,  il  fido  amante  di  Ginevra,  91-£^. 

VI.  Vicende  d' Arìodante.  Sposa  Ginevra,  1-16.  Ruggero  è  portato 
suir  Ippogrifo  all'isola  d'Alcina,  17-25.  Ode  da  Astolfo,  mutato  in 
mirto,  la  mala  indole  di  questa  fata  ;  ma  si  lascia  prendere  dalle  in- 
sidie ch'essa  gli  tende,  26-78.  Combatte  con  un  mostro,  79-81. 

VII.  Ruggero  nel  palazzo  incantato  d'Alcina,  1-44.  Bradaniante, 
per  aver  novelle  di  Ruggero,  ricorre  a  Melissa,  la  quale,  fattasi 
prestare  da  lei  l' anello  magico,  si  reca  all'  isola  d'  Alcìna  e  libera 
Ruggero,  45-76.  Ruggero,  presa  la  spada  Balisarda  e  il  cavallo  Ra- 
bicano, fugge  a  Logìstilla,  76-80. 

VIII.  Ruggero,  superati  varii  pericoli,  arriva  a  Logistilla,  1-21. 
Rinaldo  ottiene  dalla  Scozia  e  dall'Inghilterra  gì' implorati  sussidi, 
22-28.  Angelica  cade  nell'insidie  dell'Eremita.  E  presa  dai  corsari 
di  Ebuda  ed  esposta  all'Orca,  29-67.  Orlando  si  mette  in  cerca  di 
Angelica.  Brandiniarte  lo  segue,  68-91. 

IX.  Orlando  sente  della  legge  di  Ebuda,  1-13.  Vuole  andare  in 
Ebuda,  ma  una  tempesta  lo  caccia  alla  foce  della  Schelda,  14-17. 
Storia  d' Olimpia  e  dì  Bireno,  18-58.  Orlando  uccide  Ciniosco  e  libei-a 
Direno,  59-87.  Getta  l' archibugio  in  mare  e  s' avvia  ad  Ebuda,  88- 
93.  Olimpia  e  Bireno  fan  nozze  solenni,  94. 

X.  Bireno  abbandona  Olimpia,  1-34.  Ruggero  fugge  da  Alcina  a 
Logistilla,  35-68.  Ruggero  si  parte  sull'  Ippogrifo,  arriva  sul  Tamigi 
e  vede  la  rassegna  dell'  esercito,  che  deve  portare  aiuto  a  Carlo 
Magno:  quindi  seguita  il  cammino  e  arriva  in  Ebuda,  69-91.  Libera 
Angelica  dall'Orca,  92-115. 

XI.  Angelica  si  invola  a  Buggero,  1-15.  Ruggero  credendo  di 
veder  Bradamante  rapita  da  un  gigante,  la  segue  e  capita  nel  palazzo 
d'Atlante,  16-21.  Orlando  uccide  l'Orca  e  libera  Olimpia,  22-45.  Si  di- 
fende contro  le  ire  degli  isolani,  46-53.  Olimpia  racconta  i  propri 
guai;  poi  sposa  il  re  d'Ibernia  54-79.  Orlando  parte,  80-83. 

XIL  Orlando,  in  cerca  d'Angelica,  incappa  nell'insidie  d'Atlante, 
1-22.  V  incappa  anche  Angelica  e  ne  libera  Sacripante,  Orlando, 
Ferraù,  28-33.  Angelica  sparisce.  Duello  tra  Orlando  e  Ferrali,  34- 
5G.  Ferraù  trova  1'  elmo  d' Orlando  e  lo  prende,  57-62.  Angelica  in- 
contra un  giovinetto  ferito,  63-65.  Orlando  fa  strage  di  due  schiere 
nemiche,  66-85.  Trova  in  una  spelonca  Isabella  e  Ga1)rina,  86-94. 

XIII.  Storia  d' Isabella.  Orlando  uccide  i  ladroni  e  porta  seco 
Isabella.  Gabrina  fugge,  1-44.  Bradamante  va  al  palazzo  d'Atlante 
per  liberar  Ruggero,  ma  cade  anch'essa  nelle  insidie  del  Mago,  45- 
79.  Agramante  vuol  passare  in  rassegna  il  suo  campo,  80-83. 


DELL'  ORLANDO  FURIOSO  XIX 


XIV.  Una  vittoria  del  duca  Alfonso.  1-10.  Rassegna  delle  schiere 
di  Marsilio  e  d'Agramante,  11-28.  Orlaiid»  fa  strage  delle  schiere  di 
Alzirdo  e  Manilardo.  Maudrlcai'do  si  mette  in  cerca  d'Orlando;  in- 
contra Doralìce  e  la  fa  sua,  29-64.  Preparativi  di  Carlo  Magno. 
L'Angelo  Michele  in  cerca  del  Silenzio  e  della  Discordia,  6S-97.  As- 
salto e  difesa  di  Parigi.  Valore  e  crudeltà  di  Rodomonte,  98-134. 

XV.  Continua  la  difesa  e  1'  assalto  di  Parigi,  1-9.  Astolfo  ha  da 
Logistilla  il  libretto  e  il  corno  magico.  Suo  viaggio  per  mare  e  per 
terra.  Prende  Caligorante  e  uccide  Orrilo,  10-90.  Va  con  Grifone  e 
Aqnilaute  a  Gerusalemme,  91-100.  Grifone  per  amore  d'Orrigille  vuole 
andare  in  Antiochia,  101-105. 

XVI.  Grifone  incontra  Orrigille  e  Martano.  Va  con  loro  alla  gio- 
stra in  Damasco,  1-16.  Ancora  l'assalto  di  Parigi.  Prodezze  di  Ro- 
domonte, 17-28.  Rinaldo  con  gli  aiuti,  guidati  dal  Silenzio.  Zer- 
bino e  suo  valore,  29-84.  Carlo  e  i  suoi  Paladini  contro  Rodomonte, 
85-89. 

XVII.  Tiranni  mandati  da  Dio  in  punizione  dei  peccati,  1-5.  Carlo 
e  i  suoi  assalgono  Rodomonte,  6-16.  Grifone  e  i  compagni  odono  la 
storia  di  Norandino  e  Lncina.  Vanno  alla  giostra  in  Damasco.  Viltà 
di  Martano.  Valore  di  Grifone,  17-105.  Martano  inganna  Grifone,  che 
preso  per  Martano  è  svillaneggiato,  106-135. 

XVIII.  Grifone  rivendica  il  suo  onore,  1-7.  Rodomonte  esce  di 
Parigi.  Geloso  di  Doralice  va  in  cerca  di  Mandricardo,  8-37.  Continua 
la  battaglia  sotto  Parigi,  38-58.  Grifone  onorato  da  Norandino.  Mar- 
tano e  Orrigille  puniti,  59-94.  Nuova  giostra,  dove  vanno  Astolfo 
Sansonetto  e  Marflsa,  95-108.  Marfìsa  riconosce  le  sue  armi,  rubatele 
da  Brunello,  e  le  recupera,  109-132.  Marflsa  e  gli  altri  s'imbarcano 
per  la  Francia.  Burrasca,  133-145.  Pine  della  battaglia  fra  Cristiani 
e  Mori,  146-164.  Cloridano  e  Medoro  in  cerca  del  cadavere  di  Dar- 
dinello.  Sono  sorpresi  dalla  schiera  di  Zerbino,  165-191. 

XIX.  Cloridano  è  ucciso,  Medoro  ferito,  1-17.  Angelica  trova  Me- 
doro, lo  risana,  se  ne  innamora,  lo  sposa  e  torna  con  lui  in  Oriente, 
18-42.  Marflsa  e  i  compagni  giungono  alla  città  delle  femmine  omi- 
cide. Lotte  che  sostengono.  Gnidon  Selvaggio,  43-108. 

XX.  Donne  antiche  famose,  1-3.  Gaidon  Selvaggio  racconta  la  sua 
storia.  Cosi  egli  e  Astolfo  si  riconoscono  parenti,  4-69.  Propositi  e 
tentativi  di  fuga.  Astolfo  mette  in  fuga  le  donne  col  corno  e  resta 
solo  nella  città,  70-97.  Giunti  gli  altri  a  Marsilia,  Sansonetto,  Grifone, 
Aquìlante,  Guidone  arrivano  a  un  castello,  40-47.  Marflsa  trova  Ga- 
brina.  La  fa  vestire  con  gli  abiti  della  donna  di  Pinabello.  Incontra 
Zerbino  e  l'obbliga  a  tor  seco  la  vecchia,  98-128.  Questa  dà  a  Zerbino 
cattive  notizie  d'Isabella,  129-144. 

XXI.  Zerbino  e  Gabrina  incontrano  Ermonide,  che  riconosce  la 
mala  vecchia,  combatte  con  Zerbino  e  ne  è  ferito  a  morte,  1-11.  Er- 


XX  SOMMARIO  DEI  QUARANTASEI  CANTI 


monide  racconta  la  storia  dell' infame  donna,  12-66,  Zerbino  prosegue 
il  cammino  colla  trista  compagna.   Ode  uno  strepito   d'armi,  67-72. 

XXII.  Il  Poeta  si  scusa  d'avere  sparlato  delle  donne.  Zerbino 
trova  un  cavaliere  morto,  1-4.  Astolfo  distrugge  il  castello  d'Atlante, 
Medita  di  torsi  l' Ii^pogrifo,  5-30,  Rnggrero  e  Bradamaute  si  ricono- 
scono. Vanno  al  castello  di  Pinabello.  Ruggero  combatte  con  Aqui- 
lante,  Gvifoij^e,  Sansouetto  e  Guidone.  Bradamaute  riconosce  Pina- 
bello  e  l'uccide,  ma  smarrisce  la  \'      ^^-98. 

XXIII.  Bradamaute  riceve,  da  Astolto,  Kabicano  e  va  a  Montal- 
bano,  donde  manda  Frontino  a  Ruggero;  ma  per  via  il  cavallo  è 
rapito  da  Rodomonte,  1-38.  Zerbino  arriva  dove  si  fauno  i  funerali 
di  Pinabello  ;  è  creduto  l' uccisore,  ma  Orlando  lo  salva  e  gli  rende 
Isabella,  39-69.  Duello  fra  3Iandricardo  e  Orlando,  70-88.  Mandri- 
cardo  è  portato  via  dal  cavallo  sfrenato.  Incontra  Gabrlna,  89-95. 
Orlando  capita  dove  trova  le  testimonianze  degli  amoi-i  d'Angelica 
con  Medoro.  Comincia  la  gran  pazzia,  96-136. 

XXIV.  Amore  è  insania,  1-3,  Prove  d'  Orlando  pazzo,  4-14.  Zer- 
bino sa  la  storia  delle  sventure  d'Isabella.  Dà  Gabrlna  a  Odorico, 
15-45.  Trova  le  armi  d'Orlando.  Volendo  contrastarne  il  possesso  a 
Mandricardo  è  ucciso  da  lui,  46-85.  Isabella  s'incammina  con  un 
Eremita  verso  Provenza,  86-98.  Duello  di  Mandricardo  con  Rodo- 
monte. Tregua.  Vanno  ambedue  al  campo  de'  Mori,  94-116. 

XXV.  Ruggero  salva  Ricciardetto.  Vanno  al  castello  d' Agri- 
smonte,  1-73,  Tristi  notizie  di  VÌTÌano  e  Malagigi,  74-80.  Ruggero 
scrive  a  Bradamaute,  81-93.  Ruggero  e  gli  altri  si  avviano  al  luogo, 
dove  pensavano  di  liberare  Malagigi  e  Viviano.  Incontrano  Marflsa, 
94-97. 

XXVI.  Marflsa,  Ruggero  e  gli  altri  sconfiggono  i  Maganzesi  e  li- 
berano Viviano  e  Malagigi,  1-29.  Fontana  istoriata,  30-53.  Ruggero 
s'incontra  con  Ippalca;  sa  che  Rodomonte  le  ha  rapito  Frontino;  si 
avvia  in  cerca  del  Saracino,  54-67,  Battaglia  di  Mandricardo  con 
Vìvisino  con  Ricciardetto,  con  Marflsa,  68-85.  Nuovi  litigi  fra  Man- 
dricardo, Ruggero,  Rodomonte  e  Marflsa,  86-129.  Malagigi  fa  da  un 
demonio  portar  via  Doralice,  e  dietro  lei  corrono  Mandricardo  e  Ro- 
domonte, 130-132.  Marflsa  e  Ruggero  vanno  per  rintracciarli,  133-137. 

XXVII.  Gradasso,  Sacripante,  Rodomonte,  Mandricardo,  Rug- 
gero, Marflsa  giungono  al  campo  cristiano  e  vi  fanno  strage,  1-33. 
La  Discordia  muove  liti  fra  i  Saracini,  34-84.  Marflsa  prende  il  ladro 
Brunello,  85-100.  Si  pattuisce  di  lasciare  a  Doralice  la  scelta  tra 
Mandricardo  e  Rodomonte.  Questa  sceglie  Mandricardo,  101-111.  Ro- 
domonte parte  per  tornare  in  Affrica,  ma,  fermatosi  ad  una  osteria, 
il  padrone  vuol  confortarlo  con  allegre  novelle. 

XXVIII.  Finito  il  racconto  dell'oste,  Rodomonte  parte,  ma  per 
via  incontra  Isabella  con  l'Eremita.  S'invaghisce  della  fanciulla. 


DELL'  ORLANDO  FURIOSO  XXI 


XXIX.  Rodomonte  uccide  l'Eremita.   Isabella  per  liberarsi  dal 

Saracino  gli  promette  un'  acqua  che  rende  invulnerabili,  1-19.  Fab- 
brica quest'acqua  e  se  ne  bagna  mostrando  di  farne  la  prova.  Ro- 
domonte l'uccide,  20-30.  Rodomonte  le  edifica  un  gran  sepolcro.  Sopra 
uno  stretto  ponte  combatte  i  cavalieri,  che  vi  capitano,  li  spoglia 
delle  armi,  che  pone  nel  monumento,  31-40,  Vi  capita  Orlando.  Sua 
lotta  con  Rodomonte,  e  sue  strane  follie,  41-74. 

XXX.  Il  Poeta  si  lagna  della  malattia  d'amore,  1-3.  Orlando  passa 
a  nuoto  lo  stretto  di  Gibilterra,  4-15.  Mandricardo  combatte  con  Rug- 
gero ed  è  ucciso,  16-75.  Bradamaute  si  duole  della  lontananza  di 
Ruggero,  e  si  finge  inferma  per  non  seguire  Rinaldo,  che  porta  aiuto 
al  campo  di  Carlo  Magno,  76-95. 

XXXI.  La  gelosia,  1-6.  Rinaldo  incontra  Gnidon  SelTaggio,  poi 
Grifone  e  Aquilante,  7-41.  Sanno  da  Fiordiligi  che  Orlando  è  pazzo 
42-48.  Rinaldo  e  gli  altri  guerrieri  cristiani  assaltano  i  Mori.  Carlo 
M.  viene  pure  in  loro  aiuto,  49-60.  Brandimarte  sa  da  Fiordiligi  della 
pazzia  d' Orlando,  e  si  mette  in  via  per  ritrovare  il  Paladino.  Arriva 
al  ponte  di  Rodomonte  e  vi  riman  prigione,  61-75.  Agrauiaute  si  ri- 
tira in  Arli,  76-89.  Gradasso  conviene  con  Rinaldo  di  risolvere  con 
le  armi  chi  abbia  ad  avere  il  cavallo  Baiardo,  90-110. 

XXXII.  Agraraante  in  Arli  raccoglie  nuovi  aiuti,  1-5.  Marflsa 
rende  Brunello,  che  da  Agramante  è  fatto  impiccare,  6-9.  Brada- 
maute è  in  pene  perché  Ruggero  non  è  tornato  a  lei,  10-27.  Sua  ge- 
losia per  Marfisa  :  parte  in  cerca  di  Ruggero  ;  incontra  UUania,  28- 
63.  La  Ròcca  di  Tristano,  64-110. 

XXXIII.  Pittori  antichi  e  moderni,  1-3.  Il  Signore  della  ròcca 
spiega  le  pitture  della  gran  sala,  4-57.  Bradamaute  s'avvia  verso 
Parigi,  58-77.  Malagigi  disturba  il  duello  di  Rinaldo  e  Gradasso,  78- 
92.  Gradasso  prende  Baiardo  e  s' incammina  per  tornare  in  Sericana, 
93-95.  Astolfo  suir  Ippogrifo  giunge  in  Nubia  e  caccia  le  Arpie  Del- 
l'inferno,  96-128. 

XXXIV.  Le  arpie  d'Italia,  1-3.  Astolfo  ode  il  racconto  di  Lidia, 
4-43.  Sale  nel  Paradiso  terrestre  e  nella  luna,  44-87.  Le  Parche  e  il 
Tempo,  88-92. 

XXXV.  Pazzia  d' amore,  1-3.  Allegoria  del  tempo  e  dei  Poeti,  4- 
30.  Bradamaute  va  al  ponte  di  Rodomonte  e  scavalca  quel  prode, 
31-56.  Bradamaute  va  ad  Arli  e  sfida  Ruggero.  Combatte  con  di- 
versi cavalieri  e  li  vince,  57-80. 

XXXVI.  Digressione  su  la  morte  d'Ercole  Cantelmo  e  la  fellonia 
degli  Schiavoni,  1-10.  Ruggero,  mentre  si  prepara  al  duello  con  Bra- 
damante,  si  turba,  11-15.  Duello  fra  Bradamante  e  Marflsa,  16-27. 
Zuifa  tra  Cristiani  e  Saracini.  Duello  tra  Bradamante  e  Ruggero, 
28-44.  Nuovo  duello  tra  Bradamante  e  Marflsa  :  diviso  da  Ruggero, 
45-50.  Zufia  tra  Ruggero  e  Marflsa,  51-58.  Voce  d'Atlante  e  rivela- 


XXII  SOMMARIO  DEI  QUARANTASEI  CANTI 

zione  die  essi  sono  fratelli,  59-75.   Si  discute  come  e  quando  Rug« 
gero  lascerà  Agramante,  71-84. 

XXXVII.  Le  doune  sono  attissime  agli  studi,  1-23.  Ruggero,  Bra- 
(laniante  e  Marfisa  avevano  sentito  un  pianto.  Accorsi,  trovano  Ul- 
lania  con  altre  donne.  Odono  la  storia  di  Marganorre.  Vanno  al  ca- 
stello di  questo  tiranno,  lo  prendono,  e  stabiliscono  nel  luogo  nuove 
leggi. 

XXXVIII.  Ruggero  va  in  Arli,  Brad,  e  Marfisa  al  campo  di  Carlo, 
dove  Marfisa  si  fa  cristiana,  1-23.  Astolfo  risana  il  Senape:  ne  ha 
un  forte  esercito,  cui  provvede  miracolosamente  di  cavalli,  24-35. 
Agramante,  a  mal  partito,  si  risolve  a  proporre  che  con  un  duello 
si  definiscano  le  ragioni  della  guerra.  Duello  fra  Ruggero  e  Rinaldo. 
Ruggero  procura  di  non  offender  l'avversario  ed  è  stimato  meno 
forte  da'  suoi,  Ctl-SO. 

XXXIX.  Agramante  turba  il  duello:  mischia  generale.  Agramante, 
sconfitto,  fugge,  1-18.  Astolfo  vincitore  a  Biserta.  Crea  miracolosa- 
mente una  flotta,  19-29.  Libera  i  prigioni  di  Rodomonte.  Vede  Orlando 
pazzo  e  con  altri  cavalieri  lo  risana,  30-64.  Agramante  sconfitto  iu 
mare,  65-86. 

XL.  Si  ricorda  una  vittoria  del  Cardinale  Ippolito,  1-4.  Biserta 
presa  e  distrutta.  Agramante  con  Soi)rlno  approda  a  un'  isoletta  dove 
trova  Gradasso.  Mandano  a  sfidare  Orlando,  5-60.  Ruggero  viene  a 
Marsilia  per  seguire  Agramante  in  Affrica.  Combatte  con  Dudone  per 
liberare  i  re  -pagani,  suoi  prigioniei'i,  61-82. 

XLl.  Dudone  rende  a  Ruggero  i  prigioni,  e  gli  dà  una  nave  per 
andare  in  Affrica.  Da  una  tempesta  è  gettato  sopra  uno  scoglio,  1- 
22.  Il  legno  è  spinto  dal  vento  in  Affrica  e  Orlando  vi  ritrova  Fron- 
tino e  Balisarda,  23-29.  Preparativi  pel  duello  di  Lipadusa,  30-46. 
Ruggero  si  fa  cristiano,  47-67.  Combattimento  di  Lipadusa,  68-102. 

XLII.  Digressione  sull'ira,  1-6.  Agramante,  Gradasso  e  Brandi- 
marte  uccisi,  Oliviero  e  Sobrino  feriti,  7-23.  Bradamante  si  duole 
della  lontananza  di  Ruggero,  24-28.  Rinaldo,  in  cerca  d'Angelica,  gua- 
risce del  mal  d' amore,  29-70.  Si  ritrova  a  un  castello,  dove  gli  vien 
mostrato  un  nappo  maraviglioso,  71-104. 

XLIII.  Danni  dell'avarizia,  1-5.  Rinaldo  arriva  a  Lipadusa  dopo 
finita  la  pugna,  6-154.  Disperazione  di  Fiordiligi.  Funerali  di  Bfitu- 
dimarte.  Fiordiligi  muore,  155-185.  Incontro  di  Orlando,  Rinaldo, 
Oliviero  e  Sobrino  con  Ruggero.  L'Eremita  risana  Oliviero  e  bat- 
tezza Sobrino,  186-196.  I  Paladini,  riconosciuto  Ruggero,  gli  fanno 
festa,  197-199. 

XLIV.  Rinaldo  promette  Bradamante  a  Ruggero,  ignorando  che 
il  padre  Amoue  l' ha  promessa  a  Leone,  1-14.  Partono  tutti  per  la 
Francia,  15-18.  Astolfo  ritorna  i  cavalli  in  sassi  e  le  navi  in  frondi, 
rimanda  i  Nubi  ;  giunge  a  Marsilia  e  lascia  libero  l' Ippogrifo,  19-2G. 


DELL'  ORLANDO  FURIOSO  XXIII 

Carlo  Magno  riceve  festosamente  questi  guerrieri,  27-34,  Contrasti 
per  il  matrimonio  di  Bradaniaiite  con  Ruggero,  35-68,  Bradamante 
ottiene  da  Carlo  Magno  d' essere  sposata  solo  a  chi  la  vinca  in  duello, 
69-75,  Buggero  va  a  combattere  in  favore  dei  Bulgari  contro  Leone, 
76-100.  Cade  in  mano  de'  suoi  nemici,  101-104. 

XLV.  Instabilità  della  Fortuna,  1-4.  Ruggero  preso  e  tormentato 
5-21.  Bradamante  si  lagna  della  lontananza  di  Ruggero,  22-40.  Leone 
libera  Ruggero,  41-52.  Gli  propone  di  combattere  in  sua  vece  per 
ottener  Bradamante,  53-64.  Ruggero  combatte  con  Bradamante,  65- 
82.  Buggero  fugge  83-94.  Bradamante  torna  a  lagnarsi,  95-102.  Mar- 
flsa  si  oppone  alle  nozze  di  lei  con  Leone,  103-117. 

XLVI.  Amici  del  Poeta,  che  si  rallegrano  del  suo  lavoro  compiuto 
1-19.  Melissa  in  aiuto  di  Ruggero,  20-25.  Leone  rinunzia  a  Brada- 
mante, 26-64.  Ruggero  è  eletto  re  de' Bulgari.  Si  fanno  le  nozze,  65-76. 
Il  padiglione  istoriato,  77-100.  Nel  mezzo  delle  teste  vien  Rodomonte. 
Duello  tra  Ruggero  e  Rodomonte.  Questi  «mane  ucciso,  101-140. 


CANTO  I 


1 

Le  doune,  i  cavallier.  rarmc,  g\ì  amori, 
Le  cortesie,  l'audaci  imprese  io  canto, 
Che  furo  al  tempo  che  passaro  i  Mori  [to, 
D'Africa  il  mare,  e  in  Francia  uocquer  tan- 


*  Il  titolo  Orlando  furioso  è  fojjgiato  a 
somiglianza  di  quello  del  Boiardo  Orlando 
innamorato  ;  mentre  dai  romanzieri  popo- 
lari si  sarebbe  detto  piuttosto  L'innamo- 
ramento d'Orlando.  Inoltre  l'A.  ha  sentito 
l'influenza  classica  del  titolo  di  una  tragedia 
<U  ìiewec^  Hercules  furens.  usando  furioso 
nel  significato  latino  di  Pazzo.  «  Insomma 
nella  storia  dei  frontespizi  si  può  scorger 
riflessa  quella  dell'  epopea  romanzesca,  vi 
si  vedono  le  trasformazioni  proceder  lente, 
graduate  ;  vi  appare  il  Boiardo  iniziatore  di 
novità;  si  vede  l'A.  spingere  il  romanzo 
nella  direzione  del  mondo  antico,  nel  tempo 
stesso  che  si  manifesta  legato  col  Conte  di 
Scandiano»  Raina,  f.,  pag.  59. 

1.  —  In  questo  proemio  l'A.  di  quanto  s'al- 
lontana dalla  maniera  dei  poemi  popolari, 
i  quali  cominciavano  per  lo  più  con  invo- 
cazioni a  Dio  e  col  rivolgersi  agli  ascolta- 
tori, come  fa  pure  il  Boiardo,  di  altrettanto 
si  accosta  al  poema  classico  colla  proposi- 
zione e  colla  dedica  al  suo  Mecenate,  il  car- 
dinale Estense.  Cfr.  il  principio  dell'  Iliade 
e  dell'  Eneide. 

—  1.  Le  donne.  L'A.  promette  principal- 
mente un  poema  d'avventura,  quantunque 
il  Furioso  abbia  a  sostrato  1'  azione  epica 
della  guerra  fra  .\gramante  e  Carlo  Magno. 
K  avverti  già  nella  prima  ottava  la  fusione 
drti  due  cicli.  Carolingio  e  Brettone,  che  l'A. 
continua  dal  Boiardo,  riducendola  ancora 
a  maggiore  unità. 

—  cavallier  ;  1'  A.  usò  costantemente  que- 
sta forma,  usata  anche  da  altri  .scrittori  ; 
più  raramente  però  dai  Toscani. 

—  l'arme,  i  combattimenti.  Questo  princi- 
pio ricorda  i  due  versi  danteschi  Purg.,  xiv. 
loy  :  Le  donne  i  cavalier  gli  affanni  e  gli  agi, 
Che  ne  invogliava  amore  e  cortesia. 


Seguendo  Tiro  e  i  giovenil  furori 
D'Agramante  lor  re,  che  si  die  vanto 
Di  vendicar  la  morte  di  Troiano 
Sopra  re  Carlo  iraperator  romano. 
2 
Dirò  d'Orlando  in  un  medesnio  tratto 
Cosa  non  detta  in  prosa  mai,  né  in  rima; 
Ciie  per  amor  venne  in  furore  e  matto, 
D'  uom  che  si  saggio  era  stimato  prima: 
Se  da  colei  che  tal  quasi  m'  ha  fatto, 


—  5.  Seguendo  l'ire  ecc.  L'A.  riassume 
cosi  ciò  che  è  detto  ampiamente  nell'Inna- 
morato. Agramante,  re  d'Affrica,  all'età  di 
rentidue  anni  pensa  di  vendicare  il  padre 
Troiano  uccisogli  in  Borgogna  da  Orlando; 
e  radunati  a  consiglio  32  re  da  lui  dipen- 
denti, delibera  di  muover  contro  Carlo  Ma- 
gno. Agramante  e  la  guerra  da  lui  portata 
in  Francia  sono  invenzioni  del  Boiardo. 

2.  1.  Dirò  d'  Orlando.  Anclie  il  Furioso, 
obbedendo  alle  leggi  del  poema  romanzesco, 
non  ha  unità  di  azione  ;  quantunque  in  esso 
la  parte  epica  (guerra  contro  Carlo  Magno) 
e  la  parte  romanzesca  (amore  e  pazzia  d'Or- 
lando) s'  avvicinino  e  si  compenetrino  tal- 
mente che  r  una  in  fine  rientra  nell'  altra. 
Orlando  è  personaggio  storico,  ma  di  lui 
sappiamo  soltanto  che  era  governatore 
della  Marca  di  Brettagna  e  che  mori  a  Ron- 
cisvalle  nel  778  in  una  spedizione  contro  i 
Saraceni.  La  leggenda  ne  aveva  già  fatto  fin 
dai  tempi  antichi  il  paladino  più  maravi- 
glioso  della  corte  di  Francia.  La  forma  fran- 
cese del  nome  è  Roland.  Il  suo  innamora- 
mento e  la  sua  pazzia  sono  invenzioni  del 
Boiardo  e  dell'Ariosto,  che  trasformarono 
cosi  il  severo,  religioso,  casto  Orlando  del 
ciclo  Carolingio  in  un  cavaliere  d'avventura, 
come  quelli  del  ciclo  Brettone. 

—  3.  renne. . .  matto.  Venire  per  divenire 
è  d'  uso  frequentissimo  nella  nostra  lette- 
ratura. 

—  5.  Se  da  colei  ecc.,  Se  daquelladonnache 
mi  ha  fatto  diventar  quasi  pazzo  (tal)  come 
Orlando,  e  che  ecc.  La  mancanza  della  coa- 


Ariosto  —  Papini 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  "1  poco  ingegno  ad  or  ad  or  mi  lima, 
Me  ne  sarà  però  tanto  concesso, 
Che  mi  basti  a  finir  quanto  ho  promesso. 
3 

Piacciavi,  generosa  Erculea  prole, 
Ornamento  e  splendor  del  seco!  nostro, 
Ippolito,  aggradir  questo  che  vuole 
E  darvi  sol  può  l'umil  servo  vostro. 
Quel  eh'  io  vi  debbo,  posso  di  parole 
Pagare  in  parte  e  d'opera  d'inchiostro: 
Né  clie  poco  io  vi  dia  da  imputar  sono; 
Che  quanto  io  posso  dar,  tutto  vi  dono. 
4 

Voi  sentirete  fra  i  più  degni  Eroi, 
Che  nominar  con  laude  m'apparecchio, 
Ricordar  quel  Ruggier,  che  fu  di  voi 
E  de'  vostri  avi  illustri  il  ceppo  vecchio. 
L'alto  valore  e  chiari  gesti  suoi 
A'^i  farò  udir,  se  voi  mi  date  orecchio, 
E  vostri  alti  pensier  cedino  un  poco. 
Si  che  tralor  miei  versi  abbiano  loco. 


giunzione  rende  i  due  versi  più  passionati, 
ma  meno  chiari.  Un  commento  a  questo 
luogo  è  al  e.  XXXV,  1.  Chi  è  questa  donna? 
Certo  Alessandra  Benucci,  fiorentina,  ve- 
dova di  Tito  Strozzi  ferrarese.  11  Poeta  s'in- 
namorò di  lei  a  Firenze  nel  giugno  del  1513. 
E  poiché  il  poema  fu  cominciato  alla  fine 
del  1505  o  al  principio  del  1506  quando  an- 
cora Va.  non  amava  certamente  questa  don- 
na, è  da  credere  o  che  aggiungesse  (piesta 
allusione  rimaneggiando  l'ottava,  come  fa- 
ceva spessissimo,  o  che  volgesse  ad  Ales- 
sandra parole  scritte  per  altra. 

3.  1.  generosa  Erculea  prole.  Il  cardinale 
Ippolito  d'Este  era  figlio  di  Ercole  1.  il  oc- 
■>ierosa  non  veniva  dal  cuore  del  poeta,  come 
risulta  spesso  dalle  sue  satire. 

—  2.  Ornamento  ecc.  Sul  valore  di  queste 
iodi  v.  Ili,  50. 

4.  1.  nominar...  m'apparecchio.  È  uso  fre- 
quentissimo neir  A.  di  omettere  le  preposi- 
zioni degli  inliuiti  dipendenti.  In  ciò  ha  imi- 
tato largamente  un  uso  già  esistente  nei 
grandi  scrittori. 

—  3.  Ruggier.  Di  lui  e  dell'importanza  ge- 
nealogica attribuitagli,  prima  dal  Boiardo, 
poi  dall'A.  vedi  e.  Ili,  19  e  xxxvi,  70. 

—  I.  ceppo  vecchio.  Dante,  Par.  xvi,  106: 
<f  Lo  ceppo  di  che  nacquero  i  Calfucci  ».  Sulla 
moda  di  riportare  alla  remota  antichità  le 
origini  delle  illustri  famiglie  v.  e.  ni,  17. 

—  5.  gesti.  Questa  forma  è  la  più  usata  da- 
gli antichi:  si  usò  anche  oesi.e:  oggi  più 
comun.  ge.sta  (lat.  gesta  —  fatti  compiuti). 

—  6.  Se...  date...  cedino.  L'A.  mescola  spes- 
60  i  modi,  e  non  sempre  è  facile  trovarne  la 
ragione.  Qui  si  può  dire  che  P  indicativo, 
proprio  di  questa  e  simili  frasi  oratorie,  di- 
mostra la  fiducia  di  clii  parla  nell'attenzione 


Orlando,  clie  gran  tempo  innamorato 
Fu  de  la  bella  Angelica,  e  per  lei 
In  Lidia,  in  Media,  in  Tartaria  lasciato 
Avea  infiniti  et  immortai  trofei. 
In  Ponente  con  essa  era  tornato, 
Dove  sotto  i  gran  monti  Pirenei 
Con  la  gente  di  Francia  e  di  Lamagna 
Re  Carlo  era  attendato  alla  campagna, 
0 

Per  fare  al  re  Marsilio  eal  re  Agramaiite 


di  chi  ascolta;  il  cong.  dimostra  il  dubbio 
dello  scrittore  clie  tanto  alti  pensieri  pos- 
sano, anclie  per  poco,  lasciare  Ippolito.  Ce- 
dino è  forma  popolare  ancora  viva  in  To- 
scana ;  e  avverti  fin  d'  ora  che  1*  A.  ama 
spesso  le  forme,  i  costrutti,  gli  scorci  popo- 
lari toscani. 

5.  —  Fino  a  tutta  la  st.  0  si  riassume  VOrU 
Innam.  Angelica  figlia  del  re  del  Catai  e  il 
fratello  Argalia  erau  venuti  in  Francia  man- 
dati dal  padre  con  armi  incantate,  perché 
seducessero  e  vincessero  i  prodi  cavalieri  cri- 
stiani da  lui  odiati.  Argalia  è  ucciso,  .\nge- 
lica  torna  al  Catai;  ma  è  seguita  da  Orlando 
e  da  Rinaldo  innamorati  di  lei.  Kinaldo  in- 
tanto, per  via,  beve  alla  fonte  dell'odio,  men- 
tre ella  per  caso  beve  a  quella  dell'amore, 
e  cosi  si  scambiano  le  parti:  essa  desidera 
Rinaldo  che  invece  la  fugge.  Tornata  al  Catai, 
la  vuole  in  isposa  Agricane  re  di  Tartaria, 
ma  essa  lo  rifiuta  e  si  rinchiude  nella  for- 
tezza di  Albracca.  Ivi,  contro  Agricane,  le 
vengono  in  aiuto  diversi  principi  e  cavalieri, 
specialmente  Orlando,  che  essa  non  ama, 
ma  che  lusinga,  per  approfittare  del  suo  va- 
lore. Dopo  lunga  resistenza  e  molte  avven- 
ture, essa  vuole  andare  in  cerca  di  Rinaldo, 
e  con  Orlando  viene  in  Ponente.  Quivi  di 
nuovo  si  scambiano  le  parti  ;  Angelica  be- 
vendo alla  fontana  del  disamore  odia  e  fugge 
Rinaldo,  questi,  avendo  bevuto  all'altra  fon- 
tana, l'ama  e  per  lei  viene  alle  mani  con 
Orlando.  Avvertito  di  ciò  Carlo  Magno,  che 
era  stretto  da  Rodomonte  e  da  Marsilio  di 
Spagna,  accorre  sul  luogo,  fa  cessare  i  due 
cugini,  prende  .=\ngelica  e  la  consegna  al 
duca  di  Baviera,  promettendola  in  premio 
a  quel  dei  due  paladini,  che  ucciderà  più 
nemici.  Nel  combattimento  han  la  peggio  i 
cristiani,  che  fuggono  e  si  chiudono  in  Pa- 
rigi. Fin  qui  il  Boiardo. 

—  1.  trofei  ;  si  accenna  alle  imprese  com- 
piute da  Orlando  nel  suo  viaggio  dietro  ad 
Angelica.  V.  Ori.  Innam. 

—  7.  Lamagna.  Aferesi  di  Alamagna. 

6. 1.  Marsilio.  Non  è  storico,  mala  sua  parte 
è  considerevole  nella  leggenda  di  Carlo  M.» 
il  quale  avrebbe  diretto  contro  lui  la  sto- 
rica spedizione  in  Spagna. 


CANTO  I 


Battersi  ancor  del  folle  ardir  la  guancia, 
D'aver  condotto,  l'un,  d'Atrica  quante 
Genti  erano  atte  a  portar  spada  e  lancia; 
L'altro,  d'aver  spinta  la  Spagna  inante 
A  destruzion  del  bel  regno  di  Francia. 
E  cosi  Orlando  arrivò  quivi  a  punto: 
Ma  tosto  si  penti  d'esservi  giunto  ; 
7 

Che  vi  fu  tolta  la  sua  donna  poi  : 
Ecco  il  giudicio  umau  come  spesso  erra! 
Quella  che  dagli  Esperii  ai  liti  Eoi 
Avea  difesa  con  si  lunga  guerra, 
Or  tolta  gli  è  fra  tanti  amici  suoi, 
Senza  spada  adoprar,  ne  la  sua  terra. 
Il  savio  Iniperator,  ch'estinguer  volse 
Un  grave  incendio,  fu  che  gli  la  tolse. 
8 

Nata  pochi  di  inanzi  era  una  gara 
Tra  il  conte  Orlando  e  il  suo  cugiu  Rinaldo; 
Che  ambi  avean  per  la  bellezza  rara 
D'amoroso  disio  l'animo  caldo. 
Carlo,  che  non  avea  tal  lite  cara, 
'^ìie  gli  rendea  l'aiuto  lornien  saldo, 

lesta  donzella,  che  la  causa  n'era, 

lise,  e  die  in  mano  al  Duca  di  Bavera; 
9 

In  premio  promettendola  a  quel  d'essi, 
Ch'  in  quel  conflitto,  in  quella  gran  gior- 
[nata, 

—  2.  battersi  ancor...  la  gnancia;  pentirsi. 
Dice  aucov,  perché  altre  volte,  secondo  la 
leggenda,  Carlo  M.  avea  battuto  i  Mori. 
Dante,  Inf.  xxiv;  per  indicar  dolore  avea 
detto  battersi  l'anca  ;  il  Poliziano,  Rim.  C. 
42:  Percotesi  il  furor  con  man  la  coscia. 
Su  queste  immagini  l'A.  foggiò  la  sua. 

—  7.  a  punto  ;  a  proposito.  In  questo  senso 
non  è  registrato  dai  vocabolari. 

7.  1.  vi  fu  tolta...  poi;  ivi  gli  fu  tolta  poco 
dopo  ecc.  Quanto  al  che  V.  e.  iii,  6,  n.  G. 

—  3.  dagli  esperii  ecc.  ;  dai  liti  occidentali 
{espero,  stella  che  appare  verso  ponente), 
ai  liti  orientali  (gr.  eos,  aurora):  è  espres- 
sione classica,  che  vale:  dappertutto.  Ovi- 
dio 1:  Amor,  xv,  29:  Gallus  et  liesperiis,  et 
Gallus  notus  eois. 

—  7.  volse,  volle  :  forma  popolare  usatii 
Spessissimo  dall'A. 

—  S.  un  grave  incendio  ;  la  discordia  fra  Ri- 
naldo e  Orlando. 

—  gli  la;  l'A.  usa  costantemente  questa 
forma  usata  anche  da  altri  antichi,  invece 
della  più  comune  :  glie  la. 

8.  1.  pochi  di  inanzi:  intendi:  Innanzi  a 
quello,  nel  quale  comincia  l'azione  del  poe- 
ma, quando  cioè,  rotti  i  cristiani,  Angelica 
fugge. 

—  8.  duca  di  Bavera;  il  ducaXamo,  che  nei 
romanzi  francesi  è  detto  Naimes,  Naiman, 
è  un  vecchio  savio. 

9.  2.  in  quella  gran  giornata.  É  poco  esatto. 


Desìi  Infide! i  pili  copia  Hccides.si, 
E  di  sua  man  prestassi  opra  piti  grata. 
Contrari  ai  voti  poi  furo  i  successi; 
Ch'  in  fuga  andò  la  gente  battezzata, 
E  con  molti  altri  fu  '1  duca  prigione, 
E  restò  abbandonato  il  padiglione. 
10 

Dove,  poi  che  rimase  la  donzella 
Ch'esser  dovea  del  vincitor  mercedi% 
Inanzi  al  caso  era  salita  in  sella, 
E  quando  bisognò  le  spalle  diede. 
Presaga  che  quel  giorno  es.'5er  rubella 
Dovea  Fortuna  alia  Cristiana  fede  : 
Entrò  in  un  bosco,  e  ne  la  stretta  via 
Rincontrò  un  cavallier  eh'  a  pie  venia. 
11 

Indosso  la  corazza,  l'elmo  in  testa, 
La  spadaalfìanco,einbraccioavealo  scu- 
E  pili  leggier  correa  per  la  foresta,     [do  ; 
Ch'ai  pallio  rosso  il  villau  mezzo  ignudo! 
Timida  pastorella  mai  si  presta 
Non  volse  piede  inanzi  a  serpe  crudo, 
Come  Angelica  tosto  il  freno  torse. 
Che  del  guerrier,  eh'  apio  venia,  s'accorse. 
12 

Era  costui  quel  Paladin  gagliardo, 
Figliuol  d'Amon,  signor  di  Montalbano, 


perché  la  grande  battaglia  non  avvenne  il 
giorno  che  Carlo  fece  prendere  Angelica, 
ma  pochi  giorni  dopo  :  Inn..,  ii,  21. 

—  3.  uccidessi  ;  è  forma  popolare  comunis- 
sima  negli  antichi  scrittori. 

—  5.  successi,  eventi  :  significato  frequen- 
tis^iuio. 

10.  3.  Inanzi  al  caso;  prima  che  avvenisse 
la  disfatta.  Caxo  vale  avvenimento. 

—  4.  quando  bisognò  ;  quando  fu  opportuno. 
Cosi  anche  altri  scrittori:  Bocc.  Dee.  nov.  10: 
In  più  lunghi  digiuni  che  loro  non  sarian 
bisognati. 

—  7.  nella  stretta  via.  Dice  nella  invece  che 
in  una,  perché  nei  boschi  tutte  le  strade 
sono  strette. 

11.  4.  al  pallio  rosso.  Pallio  o  palio  (lat. 
Ijallium)  era  un  drappo,  che  davasi  in  pre- 
mio al  vincitore  nelle  corse  a  piedi  che  erano 
in  uso  nel  Medio  Kvo  nelle  città  italiane. 
Dante,  Inf.  xv,  122:  parve  di  coloro  Che 
corrono  a  Verona  il  drappo  verde. 

12.  2.  Figlinol  d'  Amen.  Rinaldo,  uno  dei 
quattro  figli  d' Amone  e  di  Beatrice,  era  si- 
gnore di  Montalbano,  castello  sui  confini 
della  Dordogna.  È  paladino  molto  celebrato 
nei  poemi  popolari  italiani  :  invece  negli 
antichi  cauti  francesi  appare  non  come  pa- 
ladino, ma  come  un  signorotto  in  lotta  con- 
tinua con  Carlo  M.  Già  ueìV  Jnnam.  è  un 
carattere  meno  turbolento  e  più  serio  che 
nei  poemi  popolari;  nell'A.  poi  acquista  vera 
dignità  epica. 


ORLANDO  FURIOSO 


A  cui  pur  dianzi  il  suo  destrier  Baiardo 
Per  strano  caso  uscito  era  di  mano. 
Come  alla  donna  ejili  drizzò  lo  sguardo, 
Riconobbe,  quantiinque  di  lontano, 
L'angelico  sembiante  e  quel  bel  volto 
Ch'air  amorose  reti  il  tenea  involto, 
lo 

La  Donna  il  palafreno  a  dietro  volta, 
E  per  la  selva  a  tutta  briglia  il  caccia  ; 
Né  per  la  rara  più  die  jjer  la  folta, 
La  più  sicura  e  miglior  via  procaccia: 
Ma  pallida,  tremando,  e  di  se  tolta. 
Lascia  cura  al  destrier  che  la  via  faccia. 
Di  su  di  giù  ne  l'alta  selva  fiera 
Tanto  girò,  che  venne  a  una  riviera. 
14 

Sn  la  riviera  Ferraù  trovosse 
Di  sudor  pieno  e  tutto  polveroso. 
Da  la  battaglia  dianzi  lo  rimosse 
L'n  gran  disio  di  bere  e  di  riposo: 
E  poi,  mal  grado  suo,  quivi  fermosse-. 
Perché,  de  l'acqua  ingordo  e  frettoloso, 
L'elmo  nel  fiume  si  lasciò  cadere, 
V  Né  l'avea  potuto  anco  riavere. 


—  3.  A  cui  pur  dianzi,  la  a.  Ili,  iv,  29,  40.  Ri- 
naldo nella  gran  rotta  dei  Cristiani,  dopo 
aver  faito  prodezze  inaudite,  si  attacca  con 
Ruggero  ;  aia  essendo  questi  a  piedi,  anche 
egli  per  cortesia  scende  da  Baiardo;  quando 
poi  vuol  riprenderlo,  il  cavallo  gli  scappa 
per  una  selva  :  e  il  Boiardo  finisce  cosi  : 
Onde  lasciarlo  un  pezzo  è  di  inestiero,  Che 
gU  incontrò  in  quel  loco  alta  ventura. 

—  Baiardo.  Questo  cavallo  fatato  è  antico 
nella  letteratura  cavalleresca:  invece  gli  al- 
tri sono  invenzione  del  Boiardo.  L'  A.  ha 
preso  questo  e  gli  altri  come  sono  descritti 
iieir  lìin. 

—  <S.  involto...  alle.  Costrutto  raro  :  più  co- 
mun  :  invo/to  in,  tra,  di. 

13.  1.  palafreno;  (lat.  meA.  parat'eì-edus; 
di  elim.  incerta); cavallo  di  parafa,  che  usa- 
vano i  grandi  personaggi,  e  anche  le  donne 
invece  di  carrozza.  Spesso  è  scambiato  con 
destriero,  come  al  v.  6. 

—  6.  destrier;  veramente  è  il  cavallo  da 
guerra  (lat.  med.  de.vtrarius:   condotto   aj 
mano  dallo  scudiero  colla  mano  destra).  Il  ] 
cavaliere  viaggiava  ordinariam.   sopra  un 
ronzino  per  non  stancare  il  destriero. 

—  7.  selva  fiera;  noiosa,  spiacevole:  cosi 
Dante,  inf.  xxiii,  135:  I  vallon  feri. 

14.  1.  Ferrali.  K  già  nei  poemi  popolari; 
detto  per  lo  più  Ferracuto,  Kerragus,  o  come 
lo  chiama  il  Boiardo,  Ferraguto.  Nel  Pseudo- 
Turiiino  è  lui  gigante  venuto  in  aiuto  dei 
iSaraciiii  di  Spagna;  ueWJnn.  è  un  fiero  gio- 
vinetto pagano,  jjerfetto  cavaliere,  orgo- 
glioso, terribile  nell'aspetto:  I,  u,  IO.  Si  tro- 
vava alla  corte  di  Carlo  M.  quando  venne 


15 

'guanto  potea  più  forte,  ne  veniva 
Gridando  la  donzella  ispaventata, 
A  quella  voce  salta  in  su  la  riva 
Il  Saracino,  e  nel  viso  la  guata; 
E  la  conosce  subito  ch'arriva, 
Benché  di  timor  pallida  e  turbata, 
E  sien  più  di  che  non  n'  udi  novella. 
Che  senza  dubbio  eli' è  Angelica  bella. 
16 

E  perché  era  cortese,  e  n'avea  forse 
Non  men  dei  dui  cugini  il  petto  caldo, 
L'aiuto  che  potea  tutto  le  porse, 
Pur  come  avesse  l'elmo,  ardito  e  baldo  : 
Trasse  la  spada,  e  minacciando  corse 
Dove  poco  di  lui  temea  Rinaldo. 
Più  volte  s'eran  già  non  pur  veduti, 
Bla  al  paragon  de  Tarme  conosciuti. 
17 

Cominciar  quivi  una  crudel  battaglia, 
Come  a  pie  si  trovar,  coi  brandi  ignudi: 
Non  che  le  piastre  e  la  minuta  maglia, 


Angelica;  combatté  coH'Argalia  fratello  di 
Angelica  e  l'uccise.  Questi  morendo  gli  chie- 
se in  grazia  che  il  suo  cadavere  fosse  git- 
tate nel  fiume  con  tutta  T  armatura;  ma 
Ferrag.,  che  aveva  in  un  coml)attiinento  per- 
duto l'elmo,  chiese  i>er  quatti-o  soli  giorni 
quello  dell'  Argalia,  e  dal  morente  gli  fu 
concesso.  Anch' egli  innamorato  d'Angelica 
si  mette  in  cerca  di  lei  e  incontra  varie  av- 
venture. Combatte  pel  suo  re  Marsilio  contro 
Carlo  M.  e  nell'ultimo  assalto  dato  da  Agra- 
mante,  Marsilio  e  Rodomonte,  egli  fa  prodigi 
di  valore:  quindi  assetato  va  ad  una  riviera 
per  bere  :  tuffa  l'elmo  per  empirlo,  ma  que- 
sto gli  cade  dentro.  Fin  qui  il  Boiardo.  Nel- 
l'A.  Ferraù  diventa  il  vantator  spagnuolo, 
mentitore;  secondo  la  tendenza,  che  ha  l'A. 
di  elevare  i  cristiani  e  deprimere  gì'  infedeli. 

15.  l.  Quanto  potea  ecc.;  la  donzella  ve- 
niva più  forte  che  poteva,  gridaìido  per  in- 
citare il  cavallo. 

—  S.  Che  senza  dibbio;  va  unito  al  v.  5  e 
deve  sottintendersi  un  conosce  ripetuto. 

16.  2.  dui  :  forma  assai  comune  negli  scrit- 
tori antichi;  l'A.  l'usò  sempre  per  il  ma- 
schile insieme  con  <(iio  e  dua\  per  il  femm. 
usò  quasi  sempre  due.  Il  Bembo,  Previe, 
1.  HI,  e  il  Cittadini  avvertono  che  duo  è 
della  poesia,  dna  era  dell'  uso  fiorentino, 
mentre  i  Senesi  dicevano  due  anche  per  il 
maschile. 

—  7.  Pili  volte.  Accenna  all'  Iim.  U,  xxiv, 

XXIX. 

17.  3.  piastre  ;  le  lamine  di  cui  eran  for- 
mati gli  spallacci,  i  bracciali,  la  corazza  ecc. 

—  maglia.  Di  maglia  di  ferro  era  fatta 
un'armatura  che  si  portava  sotto  le  armi 
pesanti. 


CANTO  I 


Ma  ai  colpi  lor  non  regg:erian  gV  incudi. 
Or,  mentre  l'un  con  l'altro  si  travaglia, 
Bisogna  al  palafren  che  '1  passo  studi; 
Che,  quanto  può  menar  delle  calcagna, 
Colei  lo  caccia  al  bosco  e  alla  campagna. 
18 

Poi  che  s'affaticar  gran  pezzo  invano 
I  dui  guerrier  per  por  1'  un  l'altro  sotto  ; 
Quando  non  meno  era  con  Farnie  in  mano 
Questo  di  quel,  né  ([uel  di  questo  dotto; 
Fu  primiero  il  signor  di  Montailiano, 
Ch'ai  cavallier  di  Spagna  fece  motto, 
Si  come  quel  c'iia  nel  cuor  tanto  loco, 
Che  tutto  n'arde  e  non  ritrova  loco. 
19 

Disse  al  Pagan  :  Me  sol  creduto  avrai, 
E  pur  avrai  te  meco  ancor  otreso  : 
Se  questo  awien  percln*  i  fulgenti  rai 
Del  nuovo  Sol  t'alibino  il  petto  acceso, 
Di  farmi  qui  tardar  che  ijuadagno  hai  ? 
Che  quando  ancor  tu  m'abbi  morto  o  preso, 
Non  però  tua  la  liella  donna  ria  ; 
Che,  mentre  noi  tardian,  se  ne  va  via. 
20 

Quanto  fìa  meglio,  amandola  tu  ancora, 
Che  tu  le  venga  a  traversar  la  strada, 
A  ritenerla  e  farle  far  dimora, 
Prima  che  pin  lontana  se  ne  vada  I 
Come  l'avremo  in  potestate,  allora 
Di  chi  esser  de'  si  provi  con  la  spada. 
Non  so  altrimente,  dopo  un  lungo  alfanno, 
Che  possa  riuscirci  altro  che  danno. 
21 

Al  Pagan  la  proposta  non  dispiacque; 


—  4.  gì'  incudi.  L'A.  usò  sempre  questa  pa- 
rola al  masch.  :   altri  più  spesso   al  femiu. 

18.  3.  Qnando;  poiché;  uso  derivato  dai 
quanilo  dei  latini,  che  talvolta  ha  questo  si- 
gnif.  È  frequente  nella  poesia  e  nella  prosa 
antica,  ed  è  vivo  ancora  nell'uso.  Petr. 
Canz.  x:  Spirto  beato,  quale  Se' quando  al- 
trui fai  tale  ? 

19.  1.  me  sol  creiìato  avrai:  sott.  offeso: 
avrai  credulo  me  solo  offeso,  danneggiato 
da  questo  ritardo. 

—  3.  Se  questo  ;  o  è  riferito  vagamente  a 
tuttoil  contesto:  questa  lotta,  questo  tenta- 
tivo di  danneggiarmi;  o  più  prol)abilmeute 
si  deve  riferire  al  5  verso  per  prolepsi  :  se 
mi  fai  tardare  ecc. 

—  4.  nuovo  sol;  Angelica,  clie  è  riapparsa  a 
Ferraù,  come  il  sole  riappare  sull'orizzonte. 
V.  liì.i.  I,  III,  79,  dove  Orlando  fa  a  Ferra- 
guto  le  stesse  rillessioni. 

—  S.  tardian.  L' A.  usò  quasi  sempre  questa 
terminazione  obbedendo,  più  che  alla  mor- 
fologia, all'orecchio,  il  quale  nella  pronun- 
zia di  queste  forme  tronche  sente  una  n. 

20.  7.  Non  so  altrimeote  ;  altrimenti  fa- 
cendo, non  so  eec. 


Cosi  fu  differita  la  tenzone; 
E  tal  tregua  tra  lor  subito  nacque, 
Si  l'odio  e  r  ira  va  in  oblivione, 
Che'l  Pagano  al  partir  da  le  fresclie  acque 
Non  lasciò  a  piedi  il  buon  fìglinol  d'Amone; 
Conpreghiinvita,etal  fin  togliein groppa, 
E  per  l'orme  d'Angelica  galoppa. 
22 

Oh  gran  bontà  de'  cavallieri  antiqui  ! 
Eran  rivali,  eran  di  fé  diversi, 
E  si  sentian  degli  aspri  colpi  iniqui 
Per  tutta  la  persona  anco  dolersi  ; 
E  pur  per  selve  oscure  e  calli  obliqui 
Insieme  van,  senza  sospetto  aversi. 
Da  quattro  sproni  il  destrier  punto  arriva 
Dove  una  strada  in  due  si  dipartiva. 
2o 

E  come  quei  che  non  sapean  se  l'una 
0  l'altra  via  facesse  la  donzella, 
(Però  che  senza  differenzia  alcuna 
Apparia  in  amendne  l'orma  novella) 
Si  messero  ad  arbitrio  di  fortuna, 
Rinaldo  a  questa,  il  Saracino  a  quella. 
Pel  bosco  Ferraù  molto  s'avvolse, 
E  ritrovossì  al  fine  onde  si  tolse. 
24 

Pur  si  ritrova  ancor  su  la  riviera, 
Là  dove  l'elmo  gli  cascò  ne  l'onde. 
Poi  che  la  donna  ritrovar  non  spera, 
Per  aver  l'elmo  che  '1  fiume  gli  asconde, 
In  quella  parte,  onde  caduto  gli  era. 
Discende  ne  l'estreme  umide  sponde: 
Ma  quello  era  si  fitto  ne  la  sabbia, 
Che  molto  avrà  da  far  prima  che  l'abbia. 


21.  7.  Con  preghi  invita.  Sia  detto  ora  per 
sempre  che  l'A-  imitando  lo  stile  latino, 
omette  spessissimo  il  pronome  quando  dal 
contesto  si  può  facilmente  rilevare.  Altri 
scrittori  lo  fecero  con  meno  frequenza. 

22.  1.  Oh  gran  bontà:  verso  divenuto  pro- 
verbiale. Queste  generosità  sono  frequenti 
fra  i  cavalieri  :  cosi  il  Boiardo  fa  giacer 
l'uno  presso  l'altro' orlando  e  Agricane,  in 
attesa  di  nprendei-e  la  battaglia  I,  xvm,  40. 

—  3.  iniqui,  ec'cessi vi,  fuori  dell'ordinario: 
anche  questo  senso  aveva  il  latino  ini'iuus, 
donde  il  nostro.  Viro.  1,  G.  161:  iniquo  pen- 
dere rastri. 

23.  .').  Si  messero  ...  a  questa.  Mettersi  a 
una  via  non  è  frequente  neppur  negli  an- 
tichi: G.  Giud.  XV,  72:  Si  parti  immanti- 
nente e  mettesi  alla  via. 

24.  1.  Pur;  finalmente.  É  frequente  negli 
scrittori. 

—  6.  nell'estreme  sponde,  nell'estremità 
della  sponda.  I.'aggett.  è  usato  a  ino'  dei 
latini:  (in  summo  monte  =  nella  sommità 
del  monte). 


ORLANDO  FURIOSO 


Con  un  gran  ramo  d'albero  rimondo, 
Di  che  avea  fatto  una  pertica  lunga, 
Tenta  il  fiume  e  ricerca  sino  al  fondo, 
Né  loco  lascia  ove  non  batta  e  punga. 
Jlentre  con  la  maggior  btizza  del  mondo 
Tanto  l'indugio  suo  quivi  prolunga, 
Vede  di  mezzo  il  fiume  un  cavalliero 
Insino  al  petto  uscir,  d'aspetto  fiero. 
.  ,'-        26 
Era,  fuorché  la  testa,  tutto  armato, 
Et  avea  un  elmo  ne  la  destra  mano: 
Avea  il  medesimo  elmo  che  cercato 
Da  Ferrali  fu  lungamente  invano, 
A  Ferrali  parlò  come  adirato,    "  ■    " 
*"    E  disse:  Ah  mancator  di  te,  MaLrano  ' 
Perché  di  lasciar  l'elmo  anche  t'aggrevi, 
Che  render  già  gran  tempo  mi  dovevi  ? 
27  ^ù.,     ,'o  ■ 

Ricordati,  Pagan,  quando  uccidesti 
D'Angelica  il  fratel  (che  son  quell'io) 
^^  Dietro  a  l'altre  arme  tu  mi  promettesti 
'  "^  Fra  pochi  di  gittar  l'elmo  nel  rio. 
Or  se  Fortuna  (quel  che  non  volesti 
Far  tu)  pone  ad  efìetto  il  voler  mio, 
Non  ti  turbar:  e  se  turbar  ti  dei, 
Turbati,  che  di  fé  mancato  sei. 
28 
Ma  se  desir  pur  hai  d'un  elmo  fino, 
Trovane  un  altro,  et  abbil  con  più  onore; 
Un  tal  ne  porta  Orlando  paladino, 
Un  tal  Rinaldo,  e  forse  anco  migliore: 
L' un  fu  d'Almonte,  e  l'altro  di  Manibrino: 
Acquista  un  di  quei  dui  col  tuo  valore; 


25.  1.  albero.  Qui  probabilmente  è  usato 
per  pioppo,  come  si  usa  ancora  in  Toscana. 

—  3.  Tenta;  tocca  leggermente  qua  e  là: 
signif.  frequente  nella  letteratura. 

26.  6.  marrano  (etini.  incerta).  È  voce  spa- 
gnuola  che  vale  ^iojvo,  ma  si  usò  già  nel 
quattrocento  in  traslato  a  mo'  di  ingiuria. 

—  7.  anche  t'aggrevi.  Non  solo  non  mi  ren- 
desti l'elmo,  ma  ti  dispiace  anche  di  lasciarlo. 
Ac/grevar.si  nei  senso  di  sentir  dispiacere  è 
raro. 

—  S.  già  gran  tompo,  e  anche  il  solo  già 
tempo.,  sono  modi  frequenti  per  il  più  co- 
mune già  da  g.  t.  xxv,  57.  2:  già  uh  pezzo. 

27.  1.  Pagan.  Nei  poemi  e  romanzi  di  ca- 
valleria sono  detti  indistintamente  pagani  e 
anche  saraciui  (arab.  Sbarkiin  =  orientale) 
tanto  i  veri  pagani  o  idolatri,  quanto  i  Mu- 
sulmani. Pagano  vale  insomma  nemico  della 
religione  cristiana. 

—  4.  fra  pochi  di';  dopo  pochi  di.  Riferito 
cosi  al  passato  non  è  raro  nella  Ietterai. 

—  8.  Turbati  che  ;  turb.  perché. 

28.  5.  L' nn  fu  d'Almonte.  Almonfe  fra- 
tello del  re  Troiano  è  figlio  d'  Agolante  fu 
ucciso  dal  giovinetto  Orlando  in  Aspiamonle 


E  questo,  e' hai  già  di  lasciarmi  detto, 
Farai  bene  a  lasciarmelo  iu  effetto. 
20 
All'apparii;. che. fece  all'iniproviso 
De  l'acqua  l'ombra,  ogni  pelo  arricciosse, 
E  scÒlorosse  al  Saracino  il  viso; 
La  voce,  ch'era  per  uscir,  fermosse. 
Udendo  poi  da  rArgalia,jCh' ucciso    ^ 
Quiyi  avea  già,  (che  rArgalìà  nomosse) 
La  rótta  fede  CÒSI  improverarse,  ■  . 

Di  scorno  e  d'ira  dentro  e  di  fuor  arse. 
30 
Né  tempo  avendo  a  pensar  altra  scusa,  ' 
E  conoscendo  ben  che  '1  ver  gli  disse. 
Restò  senza  risposta  a  bocca  chiusa; 
Ma  la  vergogna  il  cor  si  gli  trafìsse. 
Che  giurò  per  la  vita  di  Lanfusa 
Non  voler  mai  ch'altro  elmo  lo  coprisse, 
Se  non  quel  buono  che  già  in  Asprainonte 
Trasse  del  capo  Orlando  al  fiero  Almonte. 
31 
E  servò  meglio  questo  giuramento. 
Che  non  avea  quell'altro  fatto  prima. 
Quindi  si  parte  tanto  mal  conteuto,^,/      ,  , 
Che  molti  giorni  poi  sì  róde  etTma'V^'^T'*'^ 
.Sol  di  cercare  è  il  Paladino  intento 
Di  qua  di  là,  dove  trovarlo  stima. 
Altra  veutnra  al  buon  Rinaldo  accade, 
Che  da  costui  tenea  diverse  strade. 
32 
Non  molto  va  Rinaldo,  che  si  yede 
Saltare  inanzi  il  suo  destrier  feroce: 
j  Ferma,  Baiardo  mio,  deh  ferma  il  piede! 
j  Che  l'esser  senza  te  troppo  mi  nuocer  ■'•-■ 
!  Per  questo  il  destrier  sordoaluinouriede,  ""■ 
'  Anzi  pili  se  ne  va  sempre  veloce.       '  'v,.^ 
I  Segue  Rinaldo,  e  d' ira  si  distrugge:  " 

!  Ma  seguitiamo  Angelica  che  fugge. 


e  spogliato  delle  armi  fatate  e  del  cavallo. 
I  (Chauson  d'Aspremont). 
!  —  Manibrino,  Non  ne  parla  il  Boiardo,  ma 
j  nel  poema  lìinamoraynento  di  Pinnldo  si 
j  dice  che  fu  un  re  pagano,  che  guerreggiò 
I  contro  Carlo  ^I.  e  fu  ucciso  da  Rinaldo,  il 
i  quale  gli  tolse  r  elmo  famoso. 

—  L'un...  l'altro.  Più  comunemente rwwo 
si  riferisce  al  più  vicino;  l'altro  al  più  lon- 
tano; però  si  trova  il  contrario  non  solo  nel- 
r  A.  ma  anche  in  altri  scrittori. 

29.  7.  improverarse;  rimproverarsi:  forma 
I  per  lo  più  poetica  anche  negli  antichi. 

30.  5.  Lanfusa;  madre  di  Ferraù.  V.  e. 
xxv,  74. 

7.  Aspramente  ;  Mf.Mitagna  della  Calabria. 

31.  5.  di  cercare...  intento.  Costrutto  assUi 
raro:  più  coni,  intento  a. 

32.  2.  destrier  feroce;  fiero,  animoso.  Rocc. 
nor..  -11  :  Nelle  cose  belliche  espertissimo  e 
feroce  divenne. 


CANTO  I 


7 


33 
Fugge  tra  selve  spaventose  e  scure, 
Per  lochi  inabitati,  eimi  e  selvaggi. 
Il  mover  de  le  frondi  e  di  verzure, 
•Che  di  Cerri  sentia,  d'olmi  e  di  faggi, 
Fatto  le  avea  con  subite  paure 
Trovar  di  qua  e  di  là  strimi  viaggi  ;  [valle,  \ 
Ch'ad  ogni  ombra  vertuta  o  in  monte  o  in  j 
Temea  Eiualdo  aver  sempre  alle  spalle. 

'ài    ^  ! 

Qual  pai-goletta-  0  damma  o  capriola,     i 
Che  tra  le  tiTim1é"cìel  natio  Ijoschetto         | 
Alla  madre  veduta  abbia  la'g'ofS^petto, 
(Stringer  dal  pardo,  e  aprirle  '1  fianco  o  '1 
Di  selva  in  s'elva  dal  crudel  s'invola,-     '- 
E  di  paura  Jrema  e  di  sosi)etto  : 
Ad  ogni  stèrpo  che  passando  tocca. 
Esser  si  crede  all'empia  t'era  in  bocca. 

35 
Quel  di  e  la  notte  e  mezzo  l'altro  giorno 
S'andò  aggti'aTidòV  e  non  sapeva  dove: 
Trovossi  al  fin  in  un  boschetto  adorno, 
Che  lievemente  la  fresca  atira  move. 
Dui  chiari  rivi  mormorando  intorno,--/-^  \ 
iSempre  l'erlie  vi  tim_tenere  e  note^;  ^  ''' 
E  rendea  ad  ascoltar  dolce  concento. 
Eotto  tra  picciol  sassi  il  correr  lento. 

36 
Quivi  parendo  a  lei  d'esser  sicura 
E  lontana  a  Kinaldo  mille  miglia, 
Dalla  via  stanca  e  da  l'estiva  arsura,- 
Di  riposare  alquanto  si  consiglia. 
Tra  liori  smonta,  e  lascia  alla  pastura 


33.  2.  lochi  inabitati,  disabitati,  senza  abi- 
tazioni; ermi,  solitari,  per  dove  non  passa 
mai  nessuno;  selvaggi,  dove  non  apparisce 
cultura  umana. 

—  3.  verzuro  ;  forma  toscana  di  verdure: 
qui  i  teneri  germogli  degli  alberi. 

—  4.  di  Cerri.  Si  può  intendere  dipendente 
da  sentiva,:  sentiva  venir  dai  carri  ecc.  Op- 
jiure  è  complemento  di  versuì-e  :  il  movi- 
mento che  sentiva  delle  verzure  dei  carri, 
■degli  olmi  ecc.  Questa  iiiterpretaz.  è  forse 
preferibile,  visto  l'amore  che  ha  l'A.  per  in- 
versioni e  stacchi  forzali. 

—  6.  viaggi;  vie.  Dante,  Inf.  1,  91:  A  te 
convien  tenere  altro  viaggio. 

34.  1.  Damma  o  capriola.  La  damma  O 
daino  è  una  specie  di  cervo  a  corna  allar- 
gate e  piatte  verso  la  cima:  capriolo  (cervus 
capreolus)  specie  di  cervo  grosso  quanto  una 
capra,  a  corna  con  soli  tre  rami.  -  La  com- 
parazione è  imitata  da  Orazio,  Od.  i,  23. 
Mtas  inuleo  me  similis,  Chloe,  Querenti  pa- 
vidam  montibus  aviis  Matrem  non  sine  vano 
Aurarum  et  sylvae  m^u  ;  Nam  seu  mobili- 
bus  veris  inhorruit  Adventus  foliis,  seu  vi- 
iides  rubum  Dimovere  lacertae  Et  corde 
et  genibus  treniit. 


f-  ■'■■^   '7 
Andare  il  palafren  feenza  la  briglia; 
E  quel  va  errando  intorno  alle  chiare  onde, 
Che  di  fresca  erba  avean  piene  le  sponde. 
:  37 

Ecco  non  lungi  un  bel  cespuglio  vede 
Di  spih  fioriti  e  di  vermiglie  rose,      j  .  '•■  ■ 
Che  de  le  liquide  onde  al  specchio  siede. 
Chiuso  dal  Sol  fra  l'alte  quercje  ombxase; 
Cosi  voto  nel  mezzo  che  concede 
Fresca  stanza  fra  l'ombre  più  nascose: 
E  la  foglia  coi  rami  in  modo  è  mista. 
Che  '1  sol  non  v'entra,  non  che  minor  vista. 
38  -       ■      ■      '  " 

Dentro  letto  vi  fan  tenere  erbette, 
Ch'invitano  a  posar  chi  s'appresenta. 
La  bella  donna  in  mezzo  a  quel  si  mette; 
Ivi  si  corca,  et  ivi  s'addormenta. 
Ma  non  per  lungo  spazio  cosi  stette. 
Che  un  calpestio  le  par  che  venir  senta,   -j/^-^*^ 
Cheta  si  lieva,  e  appresso  alla  rivera  l'^^ 

Vede  ch'armato  un  cavali ier  giunt'era. 
39 

.S'egli  è  amico  o  nemico  non  comprende  : 
Tema  e  speranza  il  dubbio  cor  le  scuote: 
E  di  quella  avventura  il  fine  attende. 
Né  pur  d'un  sol  sospir  l'aria  percuote. 
Il  cavalliero  in  riva  al  fiume  scende 
Sopra  l'uu  braccio  a  riposar  le  gote; 
Et  in  un  gran  pensier  tanto  penetra. 
Che  par  cangiato  in  insensibil  pietra. 
40 

Pensoso  più  d' un'ora  a  capo  basso 
Stette,  Signore,  il  cavallier  dolente; 
Poi  cominciò  con  suono  aftlitto  e  lasso 
A  lamentarsi  si  soavemente. 
Ch'avrebbe  di  pietà  spezzato  un  sasso,    v 
Una  tigre  crudel  fatta  clemente; 


37.  3.  liquid^,  limpide  ;  dal  lat.,  che  dice 
liquidus  di  acqua,  aria,  voce  limpida. 

—  al  specchio  ;  siede  allo  specchio  delle 
1.  onde  ;  a  specchiarsi  in.  esse.  La  combi- 
nazione dalle  tre  consonanti,  durissima  in 
prosa,  è  dura  anche  in  poesia.  L'A.  l'usò 
molte  volte. 

8.  minor  vista,  occhio  meno  penetrante. 

38.  6.  le  par...  che  senta;  le  par  di  sen- 
tire. Costrutto  poetico  frequentissimo  nell'A. 
e  frequente  anche  in  altri  scrittori. 

40.  2.  Signore.  I  poeti  cavallereschi  popo- 
lari si  rivolgevano  spesso  ai  loro  uditori: 
anche  i  poeti  d'  arte  non  lasciano  intera- 
mente quest'  uso.  L'  X.  ne  couserva  appena 
la  traccia  rivolgendosi  spesso  al  Cardinale 
Ippolito  e  a  uditori  immaginari. 

—  4.  a  lamentarsi  ecc.  Per  tutto  il  lamento 
di  Sacripante  V.K.  ha  preso  alcune  ispira- 
zioni dal  lamento  di  Prasildo  Inn.  I,  xu: 
e  .\ngelica  che  vien  a  consolar  Sacripante 
rassomiglia  a  Tisbina,  che  viene  a  consolar 
Prasildo. 


s 


CELANDO  FURIOSO 


Sospirando  piangea,  tal  eh' un  ruscello 
Parean  legende,  e  '1  petto  un  MpngibelJ o. 
^*'***^-'    41  ^ V:  ""lardi, 

,»'*i-    Pensipv  (^dicea^  che  '1  cor  rajaggiacci  ed 
E  causi  "1  diiol  che  sempie  il  rode  e  lima, 
Che  deltlio  far  ?  poich'  io  soii  giunto  tardi, 
E  ch'altri  a  corre  il  frutto  è  andato  p^riiua. 
A  pena  avuto  io  n'ho  parole  e  sguardi,' 
Et  altri  n"  ha  tutta  la  spoglia  opima. 
.Se  non  ne  tocca  a  me  frutto  né  fiore, 
Perché  atìliggcr  per  lei  mi  vo' più  il  core  ? 
42 
La  verginella  è  simile  alla  rosa, 
i      Ch"  in  bel  giardin  su  la  nativa  spina 
/     Mentre  sola  e  sicura  si  riposa, 


—  7.  un  ruscello.  Queste  immagini  esage- 
r.ite  sono  nel!'  .\.  un  avanzo  delle  grosso- 
laiiitJi  comuni  nei  poemi  popolari.  Xel  Boiar- 
do abbondano  molto  di  più. 

—  S.  Mongibello.  Fu  usato  già  nel  Tre- 
cenio  per  l'Etna.  Pare  che  gli  Arabi  in  Si- 
cilia lo  chiamassero  per  antonom.  Gebel  = 
monte  :  e  che  presa  poi  questa  parola  per 
nome  proprio,  i  Normanni  vi  preponessero 
ìnons;  cosi  venne  Mongibello. 

41.  1.  m'aggiacci  ed  ardi;  Una  delle  poche 
sottigliezze  die  Y  A.  ogni  volta  che  parla 
d'  amore,  prende  dal  Petrarca  e  dai  petrar- 
chisti. Petr.  sua.  9u:  E  temo  e  spero  ed  ardo 
e  sono  un  ghiaccio.  -  Per  la  forma  aogiacci, 
jiotisi  una  volta  per  sempre  che  T  A.  su  qual- 
che esempio  degli  antichi  usa  senza  h  molte 
parole,  che  più  comunemente  l'avevano: 
cingial,  cingie,  giande,  giotto  ecc. 

—  3.  Son  giunto  tardi.  Sacripante  re  di  Cir- 
cassia  (regione  del  Caucaso)  è  una  creazione 
del  Boiardo.  Quando  Angelica  si  chiude  in 
Albracca,  lo  chiama  in  suo  aiuto;  egli  viene 
e  combatte  spesso  e  con  valore  per  lei.  Poi 
essa  lo  manda  vestito  da  pellegrino  a  chie- 
dere aiuti  a  Gradasso;  per  via  capita  nelle 
mani  d'  una  fata,  donde  è  liberato  con  altri 
da  Mandricardo.  Fin  qui  il  Boiar.  L'A.  sup- 
pone che  sacr.  liberato  dal  castello  della 
maga  si  mettesse  in  cerca  di  Angelica,  che 
amava. 

6.  spoglia  opima  ;  la  piena  conquista.  Dal 
lat.  Sp(Ai.a  ojiUna,  che  signilicava  propr.  le 
spoglie  del  re  o  capo  dell'esercito  vinto: 
quindi  :  ricco  bottino. 

42.  Questa  comparaz.  è  imitata  da  Ca- 
tullo 62.  Ut  tlos  in  saeplis  secretus  nascitur 
liortis  Ignotus  pecoii  nullo  convolsus  aratro, 
'.jnem  mulcent  aurae,  flrmat  sol,  educai  im- 
lier  Multi  illuni  pueri  multae  optavere  puel- 
lae  :  Idem  cum  tenui  cari)tu.s  detloruit  ungui 
Nulli  illum  pueri  nuUae  optavere  puellae; 
sic  virgo  dum  iniacta  manet,  dum  cara  suis 
.  >t;  Cum  castum  amisit  polluto  corpore  lio- 
1  em,  Xec  pueris  iucuuda  manet  nec  cara 
puellis. 


Né  gregge  né  pastor  se  le  avvicina  : 
L'aura  soave  e  l'alba  rugiadosa, 
L'acqua,  la  terra  al  suo  favor  s' inchina  : 
Gioveni  vaghi  e  donne  inaniorate 
Amano  averne  e  seni  e  tempie  ornate. 
4.3 

Ma  non  si  tosto  da!  materno  stelo 
Rimossa  viene,  e  dal  suo  ceppo  verde. 
Che  quanto  avea  dagli  uomini  e  dal  cii  lo 
Favor,  grazia  e  bellezza,  tutto  perde. 
La  versine  che  '1  fior,  di  che  più  zelo 
Che  de'  begli  occhi  e  de  la  vita  aver  de', 
Lasciaaltruicorre.il  pregio  ch'avea ina nti 
Perde  nel  cor  di  tutti  gli  altri  amanti. 
44 

Sia  vile  agli  altri,  e  da  quel  solo  amata^ 
A  cui  di  se  fece  si  larga  copia. 
Ah  Fortuna  crudel.  Fortuna  ingrata  ! 
Trionfan  gli  altri,  e  ne  moro  io  d'  iuoi)ia. 
Dunque  esser  può  che  non  mi  siapiùgratat 
Dunque  io  posso  lasciar  mia  vita  propia  ? 
Ah  piuttosto  oggi  manchino  i  di  miei. 
Ch'io  viva  più,  s'amar  non  debbo  lei  I 
45 

Se  mi  dimanda  alcun  chi  costui  sia, 
Che  versa  sopra  il  rio  lacrime  tante. 
Io  dirò  ch'egli  è  il  Re  di  Circassia, 
Quel  d'amor  travagliato  Sacripante: 
lo  dirò  ancor,  che  di  sua  pena  ria 
Sia  prima  e  sola  causa  essere  amante. 
E  pur  un  degli  amanti  di  costei: 
E  ben  riconosciuto  fu  da  lei. 
4G 

Appresso  ove  il  sol  cade,  per  suo  amore 


—  6  al  suo  favor  s' inchina  ;  s' inchina  a  fa- 
vorirla. 

43.  0.  Aver  de'.  Già  Dante  rimò,  Inf.  xxx, 
S7:  non  ci  lia  -  oncia,  Purg.  xx,  4:  per  li  - 
merli. 

44.  1.  Sia  vile  agli  altri.  Sacrip.  riferisce 
f|uesto  ad  Ang.  passando  dal  generale  al 
particolare. 

45.  1.  Se  mi  dimanda  ecc.  Queste  parole 
sono  traduzione  d'una  formula  comnnissima 
nei  romanzi  della  Tavola  Rotonda:  Et,  se 
ancims  me  demandait  qi  li  chevaliers  estoit, 
je  diroie  q'  il  estoit . . .  ecc.  Cosi  pure  al 
e.  XXIV,  53.' 

G.  sia;  il  cong.  indica  una  supposizione 
dell' .'\.,  nel  che  vedi  una  punta  di  quello 
scherzo  che  spesso  salta  su  nel  poema, 
specialmente  quando  si  parla  d'amore. 

46.  1.  Appresso.  Si  può  intendere  in  vari 
modi  :  1°  vicino;  ma  vicino  al  ponente  è 
espressione  strana;  2°  da  poco  tempo,  ma 
in  questo  senso  non  ha  riscontri;  3"  si  può 
unire  col  die  del  terzo  verso  :  era  venuto 
in  ponente  appresso  (dopo)  che  seppe.  Chi 
conosce  le  inversioni  dell'A.  sta  per  questa 
interpret. 


CAPITO  I 


Venuto  era  dal  capo  cV Oriente; 
Che  seppe  in  India  con  snò  gran  dolore, 
Come  ella  Orlando  segnitò  in  Ponente  : 
Poi  se^èìh  1<*rancia,  the  F Imperatore 
Sequestrata  l'avea  da  l'altra  gente, 
E  promessa  in  mercede  a  ehi  di  loro 
Pili  quel  giorno  aiutasse  i  Gigli  d'oro. 
47 

Stato  er^in  canipo,,avea  veduta  quella, 
Quella  tCrfic  che  drafizi'ebbe  Re  Carlo. 
Cercò  vestigio  d'Angelica  bella. 
Né  potuto  ajea  ancora  ritrov^rrlo. 
Questa  è  dmufùe  la  trista  e  ria  novella 
Che  d'amorosa  doglia  fa  pftiarlo, 
Affligger,  lamentare  e  dir  parole 
Che  di  pietà  potrian  fermare  il  sole.    . 
-    -■■'  -W  '  ^  ■-    r   ■ 

Mentre  costui  cosi  s'affligge  e  duole, 
E  fa  degli  occhi  suoi  tèiffinrtonte, 
E  dice  queste  e  molte  altre  parole, 
Che  non  mi  par  hjsogno  esser  racconte; 
L'avventurosa  suafortitha  vHòI^  1^     "'' 
Ch'alle  orecchie  d'Angelica  silmrónte: 
E  cosi  quel  ne  viene  a  un'ora,  a  un  punto, 
Ch'in  mille  anni  o  mai  più  nou  è  raggiunto. 
A.«  •■ '-■-^'     .■^^•v.- ■' .  -  '•■ 

—  2.  dal  capo  d' Oriente  ;  dal  capo  Est.  Si  ri- 
cordi elle  Sacripante  era  andato  a  Gradasso 
re  di  Sericana,  che  era  all'estremità  orien- 
tale dell'Asia  (moderna  Cina  Settentrionale). 

—  3.  seppe  in  India.  Tornato  da  Sericana  atl 
Albracca,  dove  credeva  semi)re  assediata 
Angelica,  seppe  della  sua  partenza;  ma  ciò 
è  supposto  dall'.\.  non  detto  dal  Boiardo. 

—  y.  i  Gigli  d'oro.  Erano  nell'antico  stemma 
dei  re  di  Francia,  lino  d;il  tempo  di  Luigi  VII 
(UàO-llJSU).  Prima  i  Francesi  usavano  l'ori- 
lìamma,  che  però  fu  continuato  a  portare 
talvolta  in  guerra  fino  al  sec.  xv.  La  rivo- 
luzione sostituì  i  tre  colori. 

47.  1.  stato  era  iu  campo.  Lo  suppone  l'A. 

—  quella.  Quella  ecc.  ripetizione  enfatica. 
V.  anche  e.  v,  61,  6;  e  e.  xviii,  IS. 

ò.  fa  penarlo.  Si  noti  ora  per  sempre  che 
l'A.  ama.  in  modo  forse  eccessivo,  gli  sposta- 
menti dei  pconomi  enclitici  e  proclitici, 
scambiandoli  a  cain-icci(j  gli  uni  per  gli  altri. 

48.  I.  Che  non  mi  par  bisogno  esser  ecc.  : 
abbiamo  l'inlinito,  dove  si  ricliiederebbe 
il  che;  come  alla  st.  38  e  altrove  abbiamo 
una  costruzione  col  che,  mentre  ci  vorreljbe 
r  inlinito. 

—  racconta  ;  raccontate.  Questa  forma 
scorciata  di  alcuni  participi  della  r  coiiiug. 
non  solo  si  trova  negli  scrittori  antichi,  ma 
è  viva  ancora  nella  plebe  toscana,  che  dice 
Porto  pei-  Portato;  Mangio  per  :Maiigiato, 
ecc. 

—  7.  E  cosi  quel  ecc.  E  cosi  in  un'ora,  in 
un  sol  momento  conseguiamo  talcoUaqualh}, 
che  altre  volte  o  da  altri  non  si  consegue 
in  mille  anni  o  mai  tiddirittura. 


49 
Con  molta  attenzi'on  la  bel'a  donna 
Al  pianto,  alle  [uirole,  al  modolattendo 
Di  colui  eh'  in  amarla  non  assonna;  ■ 
Né  questo  è  il  primo  di  ch'ella  l'intemìc: 
Ma  dura  e  fredda  pili  d'una  colonna,  -,.   . 
Ad  averne  pietà  non  però  scende: 
Come  colei  e'  ha  tutto  il  mondo  a  sdegno^ 
E  non  le  par  ch'alcun  sia  di  lei  degno. 

50 
Pur  tra  quei  boschi  il  ritrovarsi  soia 
Le  fa  pensar  di  tor  costui  per  guida; 
Che  chi  nell'acqua  sta  fin  alla  gola, 
Ben  è  ostinato  se  mercé  non  grida. 
Se  questa  occasione  or  se  l'invola. 
Non  troverà  mai  pili  scorta  si  fida  ; 
Ch'a  lunga  prova  conosciuto  iuante 
S'avea  quel  re  ledei  sopra  ogni  amante. 

51 
Ma  non  però  disegna  de  l'affanno. 
Che  lo  distrugge,  alleggerir  chi  l'ama, 
E  ristorar  d'ogni  passato  danno 
Con  quel  piacer  ch'ogni  aiuator  pili  brama  •. 
Ma  alcuna  fizi'one,  alcuno  inganno 
Di  tenerlo  in  speranza  ordisce  e  trama  : 
Tanto  ch'ai  suo  bisogno  se  ne  serva. 
Poi  torni  all'uso  suo  dura  e  proterva. 

52  .  , 
E  fuor  di  quel  cespuglio  oscuro  e  citc6 
Fa'fti  sé  bella  et  improvisa  mostra. 
Come  di  selva  o  fuor  d'ombroso  speco 
Diana  in  scena,  o  Citerea  si  mostra  ; 
E  dice  all'apparir:  Pace  siateco; 
Teco  difenda  Dio  la  fama  nostra, 
E  non  comporti,  centra  ogni  ragione, 
Ch'abbi  di  me  si  falsa  opinione. 

5o. 
Non  mai  con  tanto  gaudio  ostuportaiitO' 
Levò  gli  occhi  al  figliuolo  alcuna  madre, 


49.  3.  che  in  amarla  non  assonna;  non  perde 
tempo,  non  è  tardo:  v.  e.  iii,  7.j,  a. 

50.  7.  a  lunga  prova.  Per  analogia  celle 
espressioni  comuni:  a  prova,  a  tutta  prova, 
Ì'A.  ha  formato  questa,  che,  sebbene  non  co- 
mune, è  bellissima. 

—  8.  s'avea.  11  si  deve  rifersi  a  fedele;  fe- 
dele a  se. 

51.  5.  Fizione;  finzione:  è  forma  più  vi- 
cina al  lat.;  ed  è  frequente  negli  antichi. 

—  6.  di  tenerlo;  da  tenerlo.  Quest'uso 
strano  di  di  per  da  Io  abbiamo  anche  a! 
e.  vili,  16. 

52.  4.  Diana,  figlia  di  Giove  e  di  Latona; 
dea  della  caccia:  Citerea,  Venere,  cosi  deità 
dal  culto  che  aveva  a  Citerà  (isola  greca, 
oggi  Cerigo). 

—  in  scena.  Allude  alle  rappresentazioni 
cortigiane  in  voga  sulla  fine  del  sec.  xv; 
erano  composte  di  azioni  jnitologiche,  balio, 
canto  ecc.  Gasp.  Stor.  della  lett.  ili,  ili. 

—  <).  teco;  presso  di  te. 


iO 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'avea  per  morto  sospiratoe  pianto, 
Poi  che  senza  esso  luii  tornar  le  squadre: 
Con  quanto  gaudio  il  8aracin,  con  quanto  , 
stupor  l'alta  presenza,  e  le  leggiadre 
]yianiere.  e  vero  angelico  sembiante, 
Improviso  apparir  si  vide  inante. 
54 

Pieno  di  dolce  e  d'amoroso  affetto,         ' 
Alla  sua  donna,  alla  sua  Diva  corse, 
die  con  le  braccia  al  collo  il  tenne  stretto, 
•CJuel  ch'ai  Catai  non  avria  tatto  torse. 
Al  patrio  regno,  al  suo  natio  ricetto, 
Seco  avendo  costui,  l'animo  torse: 
>^uì)ito  in  lei  s'avviva  la  speranza 
jji  tosto  riveder  sua  ricca  stanza. 
ói> 

Ella  gli  rende  conto  pienamente 
])HÌ  giorno  che  mandato  fu  da  lei 
A  domandar  soccorso  in  Oriente 
Al  Ke  de'8ericani  Nabatei; 
K  come  Orlando  la  guardò  sovente 
Da  morte,  da  disnor,  da  casi  rei; . 
E  che  '1  tìor  virginal  cosi  avea  salvo, 
Come  se  lo  portò  dei  materno  alvo. 
56 

Forse  era  ver,  ma  non  però  credibile 
A  chi  del  senso  suo  tosse  signore: 
31a  parve  facilmente  a  lui  possibile, 
Ch'era  perduto  in  via  pili  grave  errore, 
gurl  che  Tuoni  vede,  Amor  gli  fainvisibi- 
E  Tinvisibil  la  veder  Amore.  [le; 

<^iMesto  creduto  fu,  che  '1  miser  suole 
Dar  tacile  credenza  a  quel  che  vuole. 
57 

Se  mal  si  seppe  il  cavallier  d'Anglante 


53.  8.  Improviso  ;  improvvisamente. 

54.  4.  Catai  o  Khatai  ;  nome  già  dato  dai 
T;iriari  alla  China.  I  viaggiatori  italiani, 
primo  Marco  Polo,  usarono  questo  nome. 

55.  4.  Al  re  de'  Sericani  Mabatei;  Gradasso, 
fatto  dal  Boiardo  e  dall' A.  re  di  Sericana, 
forse  l'antica  t^erica,  variamente  descritta 
dagli  antichi  ;  ma  pare  a  N.  O.  della  China. 
I  5-erici  0  furon  detti  cosi  dal  baco  da  seta, 
o  era  nome  indigeno.  1  Nabatti  erano  un 
popolo  ragguardevole  dell'Arabia  Fetrea; 
ma  son  detti  cosi  dai  poeti  tutti  gli  orien- 
tali. 

56.  4.  in  diapiri  grave  err.  Errore  più  grave 
€ra  quello  di  credersi  amalo  da  lei. 

7.  che  il  miser  suole  ecc.  È  detto  come 
massima  generale,  quasi  traduzione  d'  un 
verso  di  Seneca:  Quod  niniis  miseri  volunt 
hoc  facile  credunt,  Hervul.  fur.  312. 

57.  1.  mal;  vale:  noìi:  ed  è  uso  derivato 
nella  nostra  letierat.  dai  Latini,  che  dicevano 
'male  fldus,  male  yralvs  per  infidus,  in- 
yratus  ecc.  noce.  nov.  W.  Quantunque  egli 
mal  degno  ne  tosse. 

—  il  cavallier  d'Auglante.Anglan te,  Angers, 


Pigliar  per  sua  sciocchezza  il  tempo  buono 
Il  danno  se  ne  avrà;  che  da  qui  inante 
Noi  chiamerà  Fortuna  a  si  gran  dono; 
(Tra  sé  tacito  parla  Sacripante) 
Ma  io  per  imitarlo  già  non  sono. 
Che  lasci  tanto  ben  che  in'  è  concesso, 
E  ch'a  doler  poi  m'abbia  di  me  stesso. 
58 

Corrò  la  fresca  e  matutina  rosa, 
Che,  tardando,  stagion  perder  potria. 
So  ben  ch'a  donna  non  si  può  far  cosa 
Che  più  soave  e  più  piacevol  sia. 
Ancor  che  se  ne  mostri  di^idegnosa. 
E  tafór  mesta  e  tlebil  se  ne  stia  : 
Non  starò  per  repulsa  o  tìnto  sdegno, 
Ch'io  non  adombri  e  incarni  il  mio  disegno. 
59 

Cosi  dice  egli;  e  mentre  s'apparecchia 
Al  dolce  assalto,  un  gran^rumor  che  suona 
Dal  vicin  bosco,  gì'  intrìióna  l'orecchia 
Si,  che  mal  grado  l' impresa  abbandona, 
E  si  i)on  l'elmo;  ch'avea  usanza  vecchia 
Di  portar  sempre  armatala  persona. 
\'ieiie  al  de-striero,  e  gli  ripon  la  briglia: 
Rimonta  in  sella,  e  la  sua  lancia  piglia. 
(50 

/Jlcco  pel  bosco  un  cavallier  venire. 
Il  i;iii  sembiante  è  d'uom  gagliardo  e  tiero; 
Cancfìdò  come  nieve  è  il  suo  vestire. 
Un  bianco  penuoncello  ha  per  cimiero. 

^t^x 

supposto  castello  di  Orlando.  Milone  suo  pa- 
dre è  detto  nelle  cronache:  Milo  de  Angle- 
riis.  R. 

—  'i.  per  sua  sciocchezza;  accenna  alla  pudi- 
cizia di  Orlando  che  nell"  Iniiaiiii,  tentato 
più  volte  da  Angelica,  resiste  e  la  rispetta. 

—  7.  che  ;  in  modo  che.  K  usato  cosi 
non  di  rado  e  in  prosa  e  in  poesia;  l'A.  lo 
ha  frequentissimo. 

58.  1.  Corrò  ecc.  Il  Raixa  osserva  che  un 
I  cavaliere  della  Tavola  rotonda  non  avrebbe 
''  parlato  cosi.  Qui  si  vede  l'inliuenza  classica 

e  la  lilosolia  alquanto  epicurea  dei  poeti  del 
!  Kinascimento. 

I  —  a.  Questo  verso  si  presta  a  due  inter- 
;  pret.  :  Cui  la  stagione  calda  potrebbe  rovina- 
j  re  tardando  a  coglierla  :  cosi  ìIForn.  .Altri: 
ì  La  quale,  tardando  ad  esser  colta,  potrebbe 
'  perdere  la  freschezza  (perdere  stagione). 
I  GUARiNi,  I,  4:  Cosi  manca  beltà  se  il  fuoco 
I  dura  E  perdendo  stayiua  perde  ventura. 
I        —  8.  adombri  e  incarni.  !•;  traslazione  fatta 

dai  pittori,  i  quali  prima  fanno  il  disegno  e 
i  poi  l'adombrano  (l'ombreggiano)  et  ulmna- 
i  mente  gli  danno  i  vivi  colori.  F. 

59.  1.  mal  grado.  Piùcomunem.:  mal  SUO 
grado,  o:  a  mal  grado. 

60.  4.  pennoncello,  comunemente  per  quel- 
la banderuola  che  si  pone  vicino  alla  punta 

I  della  lancia;  avea  dumiue  per  cimiero  una 


CANTO  I 


11 


Re  Sacripante,  che  non  può  patire 
Che  quel  con  V  importuno  suo  sentiero,'  -" 
Oli  abbia  interrotto  il  gran  piacere  ch'avea, 
Con  vista  il  guarda  disdeyuosa  e  rea. 

Come  è  pili  appresso,  lo  sfida  a  battaglia; 
Che  crede  ben  largii  votar  rareione. 
Quel  che  di  lui  non  stimo  già,  /.'lie^agya 
Un  grano  meno,  e  ne^t'ajiaragone,'"  ""^«-^ 
L'orgogliose  minacce  a  mezzo  taglia, 
»"^prdróa"tintempo,e  la  lancia  in  restapone. 
iSacripante  ritorna  con  tenipesta,     "  ' 
E  corrousi  a  terir  testa  per  testa. 

i  '  *  "  '   62     ,  .^[-'  *.c<^A  «-> 

Non  si  janno  i  leoni  o  1  tori  i^  sjilto 
A  dar  di  petto,  ad  accozzar  si  cfuai, 
Come  li  dui  guerrieri  al  tiero  assalto. 
Che  parimente  sì  ]iassàr  li  scudi. 
Fe'lo  scontro  tremjir  dal  basso  all'alto 
L'erbose  valli  insino  ai  poggi  ignudi; 
E  ben  giovò  che  tur  buoni  e  perfetti 
Gli  usberghi  si,  che  lor  salvaro  i  petti. 

Già  non  fero  i  cavalli  un  correr  torto, 
Anzi  cozzare  a  guisa  di  montoni. 

banderuola,   non   uu   pennacchio,  come  in- 
tende alcuno. 

—  6.  sentiero;  venuta,  passaggio:  in  que- 
sto senso  non  si  cita  che  quest'esempio  del- 
l'Ariosto. 

61.  4.  ne  fa  paragone.  Comuuemeute  signi- 
fica paragonare;  ma  nel  linguaggio  caval- 
Itfresco  signilicò  :  dar  prova  colle  armi.  V. 
e.  X,  79. 

—  6.  resta  (da  restare)  ;  un  ferro  appicca- 
to al  petto  dell'armatura,  e  vi  si  appoggiava 
4l  calcio  della  lancia  per  colpire. 

—  S.  testa  per  testa.  K  espressione  già  del 
r.oiARDO,  I,  X,  53:  «E  scontrorno  i  destrier 
if  sta  per  testa  ».  L'usò  anche  il  Lippi  nel  Mal- 
mautile.  È  il  francese  tòte  à  lète  =  di  fronte. 

62.  1.  in  salto.  Vi  sono  varie  intsrpret.  in 
/'Oico, dal  lat.  saltus:  l'usarono  Dante, Par. 
il,  12(3,  il  Pulci  e  altri  - />^ca^(/o;  cosll'usa- 
lono  il  Pierni.  il  Galilei.  Cons.  Tass.  3ti:  Un 
liranco  di  cagnoli  dietro  la  cagna  quando 
va  ili  salto.  Il  Bolza  intende:  a  salti;  in  que- 
sto senso  non  avrebbe  riscontri. 

—  2.  accozzar,  cozzar.  Cosi  l' A.  usò  acco- 
filiere  per  cogliere,  allusingare  per  lusin- 
gare, ecc. 

—  S.  usberghi  (ted.  Jials,  collo  ;  bergeri,  di- 
fendere). Era  una  veste  di  maglia  di  ferro, 
che  copriva  tutta  la  persona.  Dal  capo,  che 
copriva  con  un  cappuccio,  a  cui  anticamente 
si  attaccava  con  lacci  di  cuoio  l'elmo,  scen- 
deva fin  sotto  il  ginocchio  e  si  apriva  dinanzi 
e  di  dietro  in  modo  da  formare  come  un 
paio  di  calzoni.  L'  usbergo  lo  portavano  i 
grandi  cavalieri,  perché  era  costoso,  (L.  Gau- 


,  Quel  del  gnerrier  Pagan  mori  di  corto, 
Ch  era  vivendo  in  numero  de'  buoni  : 
Quell'altro  cadde  ancor,  ma  fu  risorto 
Tosto  ch'ai  fianco  si  senti  li  sproni. 
Quel  del  Ko  Saracin  restò  disteso 
Adesso  al  suo  signor  cou  tutto  il  peso. 
64 

L'incognito  campiou  che  restò  ritto, 
E  vide  l'altro  col  cavallo  in  terra, 
Stimando  avere  assai  di  quel  conflitto, 
Nou  si  curò  di  rinovar  la  guerra; 
Ma  dove  per  la. selva  e  il  cainiu  dritto. 
Correndo  a  tutta  briglia  si  disserra; 
E  prima  che  di  briga  esca  il  Pagano.    ':' 
Uu  miglio  0  poco  meno  è  già  lontano. 
65 

Qual  istordito  e  stupido  aratore. 
Poi  eh'  è  passato  il  fulmine,  si  lieva 
Di  là  dove  l'altissimo  fragore 
Presso  alli  morti  buoi  steso  l'aveva; 
Che  mira  senza  fronde  e  senza  onore 
Il  più  che  di  lontaii  veder  soleva: 
Tal  si  levò  il  Pagano  a  pie  rimaso, 
Angelica  presente  al  duro  caso. 
66  ^ 

fe'ospira  e  geme,  non  perché  l'annoi 
Che  piede  o  braccio  s'abbia  rotto  o  mosso, 
I\Ia  jier  vergogna  sola,  onde  a'  di  suoi 
Né  pria  né  dopo  il  viso  ebbe  si  rosso: 
E  più,  ch'oltra  il  cader,  sua  Donna  poi 
Fu  che  gli  tolse  il  gran  peso  d'adosso. 
aiuto  restava,  mi  cred'io,  se  quella 
Non  gli  reudea  la  voce  e  la  favella. 
67 

Deh!  (disse  ella)  Signor,  non  vi  rincresca! 


thier,  Chanson  de  Roland!.  -  Poi  questa  pa- 
rola si  usò  per  indicare  l'armatura  del  busto. 
63.  3.  di  corto;  poco  dopo.  In  questo  senso 
è  più  frequente  negli  antichi  che  nel  senso 
moderno  di  poco  fa. 

—  5.  fu  risorto;  risorse.  V.  e.  tir,  11,  n.  2. 

65.  1.  istordito  e  stupido;  stordito,  fisica- 
mente, dal  fulmine  ;  pieno  di  stupore  per 
ciò  che  egli,  cosi  stordito,  non  arriva  a 
comprendere. 

—  5.  che  mira.  L'  uso  del  c/ienon  è  ancora 
sempre  corretto  neppure  nei  cinquecentisti; 
e  spesso  è  introdotto  con  quella  libertà,  con 
cui  r  usa  il  popolo.  Qui  andrebbe  meglio  e. 

—  senza  onore  :  è  epesegesi  di  senza 
fronde.  Intendi:  Ei  mira  presso  di  sé  sfron- 
dato quel  pino  che  prima  era  cosi  chiomato 
da  potersi  vedere  anche  dalla  sua  casa  lon- 
tana. 

66.  2.  mosso  ;  slogato.  Non  si  citano  altri 
esempi. 

—  5.  e  pili,  che;  e  di  più,  perché. 

—  (3.  d'adosso:  lo  stesso  che  da  dosso,  la 
quel  modo  l'usarono  non  di  rado  gli  auttclu. 
V.  Boccaccio  nov.  79  e  nov.  65. 


12 


ORLANDO  FURIOSO 


Glie  flel  cader  non  è  la  colpa  vostra, 
Ma  del  cavallo,  a  cui  riposo  et  esca 
Mejrlio  si  convenia,  che  nuova  giostra. j».- 
Né  perciò  quel  guerricr  sua  gloria  accre- 
f'iie  d'esser  statuii  penlitor  di  mostra  :  [sca; 
Cosi,  i>er  (juel  eli' io  me  ne  sappia,  stimo, 
Quando  a  lasciar  il  campo  è  stato  il  primo. 

c.s 

Mentre  costei  contorta  il  Saracino. 
Ecco  col  corno  e  con  la  tasca  al  lianco, 
Galoppando  venir  sopra  un  ronzino 
Vnniessaggier  che  parea  afflitto  e  stanco; 
Che  come  a  Sacripante  tu  vicino, 
Gli  domandò  se  con  lo  scu<lo  bianco, 
E  con  un  bianco  pennoncello  in  testa 
Vide  un  guerrier  passar  per  la  foresta. 

(59 
Rispose  Sacripante:  Come  vedi, 
M'ha  qui  abbattuto,  e  se  ne  parte  or  ora  ; 
E  pCrch"  io  sappia  chi  m"  ha  messo  a  piedi, 
Ea  che  per  nome  io  lo  conosca  ancora. 
Et  egli  a  lui:  Di  quel  che  tu  mi  chiedi. 
Io  ti  satisfarò  senza  dimora: 
Tu  dèi  saper  che  ti  levò  di  sella 
L'alto  valor  d'una  gentil  donzella. 

70 
Ella  è  gagliarda,  et  è  più  bella  molto  ; 
Né  il  suo  famoso  nome  anco  t'ascondo: 
Fu  Bradamante  quella  che  t'ha  tolto 
Quanto  onor  mai  tu  guadagnasti  al  mojidp. 
^'V  Poi  ch'ebbe  cosi  detto,  a  freno  scióTt'o 
li  Saracin  lasciò  poco  giocondo, 
Che  non  sa  che  si  dica  o  che  si  faccia 
Tutto  avvampato  di  vergogna  in  faccia. 

71 
Poi  che  gran  pezzo  al  caso  intervenuto 
Ebbe  pensato  invano,  e  finalmente 
Si  trovò  da  una  femina  abbattuto, 


Non  furo  iti  duo  miglia,  che  sonare 
Odon  la  selva,  che  li  cinge  intorno, 
Con  tal  rumor  e  strepito,  che  pare 
Che  tremi  la  foresta  d'ogn' intorno  ; 
E  poco  dopo  un  gran  destrier  n'appare. 
D'oro  guernito  e  riccamente  adorno» 
Che  salta  macchie  e  rivi,  et  a  fracasso 
Arbori  mena  e  ciò  che  vieta  il  passo. 
73 

Se  l'intricati  rami  e  l'aer  fosco 
(Disse  la  Donna)  agli  occhi  non  contendo, 
Baiardo  è  quel  destrier  ch'in  mezzo  il  bo- 
Con  tal  rumor  la  chiusa  via  si  tende,    [sco 
Questo  è  certo  Baiardo;  io  '1  riconosco  : 
Deh  come  ben  nostro  bisogno  intende! 
Ch'  un  sol  ronzin  per  dui  saria  mal  atto  ; 
E  ne  vieu  egli  a  satisfarci  ratto. 
74 

Smonta  il  Circasso,  et  al  destrier  s'acco- 
E  si  pensava  dar  di  mano  al  freno,    [sta  ; 
Colle  groppe  il  destrier  gli  fa  risposta. 
Che  fu  presto  al  girar  come  un  baleno: 
Ma  non  arriva  dove  i  calci  apposta:   ' , 
Misero  il  cavallier  se  giungea  à  pieno! 
Che  ne'  calci  tal  possa"  avea  il  cavallo, 
Ch'avria  spezzato  un  monte  di  metallo. 
7.Ó 

Indi  va  mansueto  alla  donzella. 
Con  umile  sembiante  e  gesto  umano. 
Come  intorno  al  padrone  il  cau  saltella, 


67.  S.  quando;  poiché.  V.  st.  IS. 

68.  3.  ronzino  (lat.  medioev.  ronciniis,  di 
etim.  incerta).  Era  la  cavalcatura  delle  don- 
jie,  degli  scudieri  e  anche  dei  cavalieri  in 
viaggio. per  rispai-niiare  il  de.striero,  che  era 
portato  a  mano  dagli  scudieri. 

69.  2.  se  ne  parte  or  ora.  Intendi  che  Sa- 
crip.  facesse  cenno  colla  mano  dietro  al  ca- 
valiero  che  partiva:  cosi  è  chiaro  il  pre- 
-ente,  e  T  avverbio  Or  ora,  in  questo  rao- 
jiiento. 

70.  3.  Bradamante.  Sidla  sua  origine  e  sul 
resto  v.  e.  ir,  31.  Essa  andava  in  cerca  di 
JUiggiero  scomparso  misteriosamente,  e  il 
rnessaggiero  andava  in  cerca  di  lei,  avendo 
Marsilia  bisogno  di  soccorso. 

71.  Tutto  Taudamento  dei  primi  quattro 
versi  è  saltuario  come  il  periodare  del  po- 
polo :  poiché  ebbe  a  lungo  pensato  inutil- 
mente al  caso  intervenuto,  cioè  d'  essere 
>tato  dopo  tante  glorie  linalmente  abbattu- 
to da  una  femmina,  capi  che  quanto  più  vi 


pensasse  tanto  più  dolore  avrebbe  sentito; 
e  quindi  montò  ecc. 

—  7.  differiiia.  riserboUa.  In  questo  senso, 
riferito  a  persona,  è  un  ardimento  dell'  .\. 

72.  1.  sonare;  risuonare:  ha  esempi  anche 
in  ijrosa. 

7.  a  fracasso  mena;  fracassa.  Analogam. 
nel  e.  wiii,  17;s:  a  .strazio  ,ii<tna,  strazia. 

73.  2.  non  contende,  ngu  è  d'  impedimento. 
La  locuzione  è  del  Petrarca,  Tr.  Ani.  v.  46: 
e  r  aria  rosea  Contende  agli  occhi  tuoi. 

74.  5.  appòsta,  dirige.  Appostare,  in  que- 
sto senso  non  combine,  \'A\e  determinare  il 
luogo, dove  vibrare  ilcoljw.  Uek^i, Inn.Q^i. 
21  :  E  '1  primo  colpo  a  mezzo  il  collo  apposta. 

—  6.  giungea  ;   SOtt.  lo. 

75.  1.  mansueto.  Xell'antica  letteratura  ca- 
valleresca Baiardo  non  lascia  appressar 
nessuno  fuorché  Rinaldo;  ma  già  neìVInn. 
e  nel  Mambriano  si  lascia  prender  da  altri. 
Questa  mansuetudine  intelligente  verso  An- 
gel.  è  invenzione  dell'A. 

—  2.  gesto  ;  atteggiamento.  In  questo  senso 
fu  usato  talvolta  anche  in  prosa. 


CANTO  I 


Clio  sia  dui  giorni  o  tre  stato  lontano, 
biliardo  ancora  avea  memoria  d'ella, 
nrin  Albracca  il  servia  ffììi  di  sua  mano 
?vp1  tempo  che  da  lei  tanto  era  amato 
Kinaldo,  allor  crudele,  allora  ingrato. 

Con  la  sinistra  ni^n.jjrende  la  briglia, 
Con  l'altra  tocca  e  palpa  il  collo  e  il  petto. 
<Juel  destrier.  ch'avea  ingegno  a  maravi- 
A  lei,  come  un  agnel,  si  fa  suggetto.   [glia, 
'in  tanto  Sacripante  il  tempo  piglia: 
Monta  Baiardo,  e  l'urta  e  lo  tièu  stretto. 
Del  ronzili  disgravato  la  donzella 
Lascia  la  groppa,  e  si  ripone  in  sella. 

77 
Poi  rivolgendo  a  caso  gli  occhi,  mira 
Venir  sonando  d'arme  mi  gran  pedone. 
Tutta  s'avvampa  di  disi)etto  e  d'ira; 
Che  conosce  il  tìgliuol  del  duca  Amone. 
Pili  che  sua  vita  l'ama  egli  e  desira; 
L'odia  e  fugge  ella  pia  che  grù'^talcone. 
liià  fu  ch'esso  odiò  lei  pili  che  la  morte  ; 
Ella  amò  lui:  or  han  cangiato  sorte.  ^- 

78  -^o--^-^ 

E  questo,  hanno  causato  due  fontan^ 
Che  di  diverso  étì'etto  hanno  liquore, 
Am"be  iu  Ardenua,  e  non  sono  lontane  : 


—  5.  d'  ella.  Nel  verso  si  trova  usato  co- 
TOuneni.  cl/o  ella  elle  elli  dopo  prepos. 

—  6.  Che  in  Albracca.  .\lbr;u;ca  è  una  rocca 
vicina  al  Calai,  inventata  dal  Boiardo.  Ecco 
le  principali  vicende  di  questo  cavallo  nel- 
V  Inn.  Rinaldo  prima  d'andare  a  combat- 
tere a  piedi  contro  un  demonio,  che  ha  l'ap- 
parenza di  Gradasso,  lo  dà  a  Ricciardetto, 
perché,  se  egli  muore,  lo  dia  a  Carlo  M. 
Questi  lo  monta  iu  guerra,  e  quando  si  tratta 
di  far  la  pace,  propone  di  darlo  a  Gradasso. 
Astolfo  si  oppone  e  lo  cavalca  quando  va 
contro  Gradasso.  Con  esso  va  iu  cerca  di 
Orlando  e  di  Rinaldo,  (ili  vien  tolto  da  Agri- 
cane,  e  ad  .\gricane  lo  toglie  Orlando,  che 
non  potendolo  render  docile,  lo  manda  a 
bOKa  cura  in  Albracca.  Ritorna  finalmente 
in  mano  di  Rinaldo. 

78.  1.  E  questo  ecc.  Queste  due  fontane 
sono  invenzione  del  Boiardo,  ma  gliene  SUg- 
geri forse  l'idea  lo  strale  d'oro  e  quello  di 
piombo  di  Apollo,  che  nell'ant.  mitol.  produ- 
cevano il  medesimo  effetto.  L'  una  era  fatta 
per  incanto  da  Merlino  e  l'altra  era  naturale. 

—  3.  Ardenna.  Territorio  elevato  e  co- 
perto di  foreste  fra  il  Reno  e  la  Mosa,  del- 
l' estensione  di  circa  trecento  miglia.  È  fa- 
mosa presso  gli  antichi. 


D'amoroso  disio  l'una  empie  il  coro; 
Chi  bee  de  l'altra,  senza  amor  rimane, 
E  volge  tutto  in  ghiaccio  il  primo  ardore. 
Rinaldo  gustò  d'una,  e  amor  lo  strugge  : 
Angelica  de  l'altra,  e  l'odia  e  fugge. 
70 

Quel  liquor  di  secreto  Venen  misto, 
Che  muta  in  odio  l'amorosa  cura, 
Fa  Òhe  la  donna  che  Rinaldo  ha  visto, 
Nei  sereni  occhi  subito  s'oscura; 
10  con  voce  tremante  e  viso  tristo 
Supplica  Sacripante  e  lo  scongiura 
Che  quel  guerrier  p  ù  appresso  non  atten- 
Ma  ch'insieme  con  lei  la  fuga  prenda,  [di, 
80 

Son  dunque  (disse  il  Saracino)  s.ono     » 
Dunque  in  si  poco  credito  con  vui  ? 
Che  mi  stimiate  inutile,  e  non  buono 
Da  potervi  difender  da  costui. 
Le  battaglie  d'Albracca  già  vi  sono 
Di  mente  uscite,  e  la  notte  ch'io  fui 
Per  la  salute  vostra  solo  e  nudo, 
Contro  Agricane  e  tutto  il  campo,  scudo? 
81 

Non  rispond'ella,  e  non  sa  che  si  faccia, 
Perché  Rinaldo  orrìiai  l'è  troppo  appres- 
Che  da  lontano  al  Saracin  minaccia,    [so. 
Come  vide  il  cavallo  e  conobbe  esso, 
E  riconobbe  l'angelita  faccia 
Cheramorosoincendioincorglihamesso. 
Quel  che  segni  tra  questi  dui  superbi 
Vo'  che  per  l'altro  Canto  si  riserbi. 


79.  7.  piti  appresso;  più  da  vicino. 

80.  6.  e  la  notte  ecc.  Sacripante  ferito  da 
Agricane  era  in  letto,  ina  sentendo  che  Agri- 
cane  era  riuscito  a  entrare  in  .\lbracca,  salta 
dal  letto:  Né  altr' arme  porta  che  il  sol 
brando  e  scudo;  Vestito  di  camicia  e  il  resto 
nudo.  Iitn.  I,  xi,  30. 

81.  3.  minaccia . . .  vide,  .\vvertiamo  una 
volta  per  sempre  il  passaggio  molto  fre- 
quente, talvolta  brusco,  da  un  passato  a  un 
presente  e  viceversa  ;  del  qual  difetto  l' A. 
fu  rimproverato  anche  dagli  antichi  critici. 

—  7.  Quel  che  segui'.  Le  chiuse  dei  canti  nei 
poemi  cavallereschi  eran  di  solito  una  pro- 
messa di  continuare  il  racconto  nel  canto 
seguente,  e  una  raccomandazione  degli  udi- 
tori a  Dio.  Il  Boiardo  fece  a  meno  spesso 
dell'elemento  religioso,  l'.\.  ne  fece  a  meno 
sempre.  Anzi  semplicizzò  di  più  i  commiati 
sopprimendo  ciò  che  ricordava  la  piazza, 
dove  questi  poemi  venivano  cantati. 


^ 


14 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  II 


1 

Inginstissinio  Amor,  perché  si  raro 
Corrispoudenti  fai  nostri  desiri  V 
Onde,  perfido,  avvien  che  t'é  si  caro 
Il  discorde  voler  ch'in  dui  cor  miri"? 
Ir  non  mi  lasci  al  facil  guado  e  chiaro, 
E  nel  più  cieco  e  maggior  fondo  tiri: 
Da  chi  disia  il  mio  amor  tu  mi  richiami, 


E  chi  m'ha  in  odio  vuoi  eh'  adori  et  ami. 

Fai  eh' a  Rinaldo  Angelica  par  bella, 
Quando  esso  a  lei  brutto  e  spiacevol  pare: 
Quando  le  pàrea  bello  e  l'amava  ella, 
Egli  odiò  lei  quanto  si  può  pili  odiare. 
Ora  s'affligge  indarno  e  si  flagella: 
Cosi  renduto  ben  gli  è  pare  a  pare. 
Ella  l'ha  in  odio;  e  l'odio  è  di  tal  sorte, 
Ohe  più  tosto  che  lui  vorria  la  morte. 
3 

Rinaldo  al  Saracin  con  molto  orgoglio 
Gridò:  .Scendi,  ladrofl,  del  mio  cavallo: 
Che  mi  sia  tolto  il  mio,  patir  non  soglio; 
Ma  ben  fo,  a  chi  lo  vuoi,  caro  costallo: 
E  levar  questa  donna  anco  ti  voglio; 
Che  sarebbe  a  lasciartela  gran  fallo. 
Si  perfetto  destrier,  donna  si  degna  :    . 
A  un  ladrou  non  mi  par  che  si  couvegna. 

Tu  te  ne  mentì  che  ladrone  io  sia, 
(Rispose  il  Saracin  non  meno  altiero): 


1.  —  Ingiustissimo  amor.  Gli  esordi  ai  canti 
erano  un'  usanza  dei  cantori  popolari;  ma 
erano  per  lo  più  invocazioni  ai  Santi,  se- 
guite da  richiami  al  canto  precedente.  Solo 
nel  Rinaldo  da  Montalbano  (sec.  xv)  tro- 
viamo esempi  d'esordio  morale.  Ne  fece  al- 
cuno il  Boiardo  (I,  xvi).  Quelli  dell' A.  son 
(juasi  tutti  di  questo  genere  e  sono  reputati 
perfettissimi. 

—  2.  corrispondenti  ecc.  ;  fai  che  i  desi- 
deri di  noi  amanti  si  corrispondano. 

—  ti.  tiri:  sott.  ini. 

2.  5.  si  flagella.  È  usato  dall' A.  nel  senso 
speciale  di  Darsi  pena  e  travaglio. 

—  6.  Cosi  renduto  ecc.  È  il  lat.  Par  pari 
referre.  Più  comun.  Render  la  pariglia. 

3.  1.  costano:  costarlo. -A.ssimilazione  per 
necessità  di  rima.  Il  Petr.  disse  già  vedella 
per  vederla,  I,  .son.  18'.». 

4.  1.  Tu  tenementi.  (Questa  e  simili  espres- 
sioni erano  proprie  del  linguaggio  cavalle- 
resco. L'offeso  doveva  per  l'egola  mentire 


Chi  dicesse  a  te  ladro,  lo  diria 
(Quanto  io  n'odo  per  fama)  più  con  vero. 
La  pruova  or  si  vedrà,  chi  di  noi  sia 
Più  degno  de  la  donna  e  del  destriero; 
Benché,  quanto  a  lei,  teco  io  mi  convegna 
Che  non  è  cosa  al  mondo  altra  si  degna. 

Come  soglion  talor  dui  can  mordenti, 
0  per  invidia  o  per  altro  odio  mossi, 
Avvicinarsi  digrignando  i  denti, 
Con  occhi  bieci  e  più  che  bracia  rossi; 
Indi  a'  morsi  venir,  di  rabbia  ardenti, 
Con  as])ri  ringhi  e  rabuffati  dossi: 
Cosi  alle  spade  e  dai  gridi  e  da  l'onte 
Venne  il  Circasso  e  quel  di  Chiaramonte, 
tì 

A  piedi  è  l'un,  l'altro  a  cavallo:  or  quale 
Credete  ch'abbia  il  Saracin  vantaggio? 
Né  ve  n'ha  però  alcun;  che  cosi  vale 

l'offensore,  il  che  obbligava  l'altro  a  pro- 
vare coir  armi  le  sue  offese.  Nota  le  due 
particelle  pronominali,  che  sono  pleonasti- 
che e  non  comuni. 

—  3.  chi  dicesse  a  te  ladro.  Rinaldo  nelle 
antiche  canzoni  di  gesta  ligurava  come  un 
signorotto  ribelle,  che  talvolta  saccheggiava 
e  depredava  i  territori  dell'impero.  A  que- 
sto accenna  il  Boiardo,  I,  xxvi,  59;  xxvir, 
15  e  il  Pulci,  che  gli  fa  dire  «  Io  vo'  che  tutto 
il  paese  rubiamo  E  che  di  mascalzon  (ma- 
snadieri) vita  tegnamo  ». 

—  4.  quanto;  per  quanto.  In  questo  senso 
l'usarono  spesso  gli  antichi,  ed  è  vivo  an- 
cora. Bocc.  N.  99:  «  Guardati,  quanto  tu  hai 
caro  di  non  guastare  ogni  cosa  ». 

—  7.  nii  convegna.  Il  mi  è  pleonastico. 

—  8.  quel  di  Chiaramonte,  Rinaldo.  \ .  la 
nota  1  alla  st.  67. 

6.  1.  A  piedi  l'un  ecc.  Is'ota il  Raina:  Nel 
mondo  cavalleresco  non  si  potrebbe  trovare 
un  riscontro  a  Sacripante,  che  da  cavallo 
combatte  contro  un  guerriero  a  piedi,  altro 
che  tra  felloni.  La  ragione  di  ciò  è  posta, 
nel  tono  più  epico,  che  assume  l' A.  di  fronte 
ai  suoi  predecessori,  e  che  gli  fa  talvolta 
elevare  la  legge  religiosa  al  disopra  della 
cavalleresca  e  deprimere  i  Saracini,  inal- 
zando i  cristiani. 

—  3.  Né  ve  n'ha  però  ecc.  Qui  abbiamo  un 
fenomeno  sintattico  frequente  nell'A.,  cioè 
la  fusione  di  due  costrutti.  Questa  risposta 
richiederebbe  innanzi  una  espressione  as- 


CANTO  II 


15 


Forse  ancor  men  eh' uno  inesperto  paggio: 
Che  '1  destrier  per  istinto  naturale 
Non  volea  far  al  suo  Signor  oltraggio: 
Né  con  man  né  couspronpotea  il  Circasso 
Farlo  a  voluntà  sua  mover  mai  passo. 

.7 
Quando  crede  cacciarlo,  egli  s'arresta; 
E  se  tener  lo  vuole,  o  corre  o  trotta: 
Poi  sotto  il  petto  si  caccia  la  testa, 
Giuoca  di  schiene,  e  mena  calci  in  frotta. 
Vedendo  il  Saracin  ch'a  domar  questa 
Bestia  su))erba  era  mal  tempo  allotta. 
Ferma  le  man  sul  primo  arcione  e  s  alza, 
E  dal  sinistro  fianco  in  piede  sbalza. 

8 
Sciolto  che  fu  il  Pagan  con  leggier  salto 
Da  r ostinata  furia  di  Baiardo. 
Si  vide  cominciar  ben  degno  assalto 
D'un  par  di  cavallier  tanto  gagliardo. 
Suona  l'un  brando  e  l'altro,  or  basso,  or  al- 
11  martel  di  Vulcano  era  pili  tardo      [to; 
Ne  la  spelonca  affumicata,  dove 
Battea  all'incude  i  folgori  di  Giove. 


seri  iva:  Voi  credete  ecc.;  invece  abbiamo 
un'interrogazione:  Quale  credete  ecc.? 

—  4.  paggio.  Era  un  garzoiie  nobile,  che, 
servendo  a  principi  e  grandi  cavalieri,  ap- 
prendeva le  discipline  militari,  e  quindi  era 
ancJi'  egli  promosso  cavahere. 

—  5.  per  istinto  naturale.  Gli  animali  do- 
mestici per  istinto  naturale  non  nocciono 
ai  loro  padroni:  inoltre  questo  avea  intel- 
letto umano,  cioè  discernimento  simile  al- 
Tumano,  v.  st.  'M. 

7.  2.  corre  o  trotta.  Correre  è  generico, 
trottare  è  specilico;  ma  l'A.  usò  correre 
per  aiutare  di  galoppo. 

—  4.  in  frotta.  Frotta  è  forma  popolare 
di  fiotta;  quindi  passò  a  signihcare  Molti- 
t  mline^  folla. 

—  6.  allotta.  Forma  pop.  à" allora  (dal  lat. 
quota'.  =  che  ora  è,  si  lece  cotta,  e,  per- 
dutone il  signilicato,  si  interpetrò  per  che 
otta  =  che  ora;  donde  otta  per  ora). 

—  7.  primo  arcione;  Parcione  dinanzi.  Ar- 
cioni sono  le  due  parti  della  sella,  che  si 
inarcano  dinanzi  e  dietro  al  cavaliere.  Gli 
antichi  portavano  gli  arcioni  molto  rilevati 
e  ferrati. 

8.  4.  nn  par  ecc.  nota  il  gagliardo  rife- 
rito a  par  piuttosto  che  a  cavallier:  forse 
hirtui  su  ciò  il  verso  del  Boiardo  HI,  ii,  39  : 
Ben  vi  so  dir  che  un  par  tanto  gagliardo. 

—  5.  or  basso  or  alto  ;  ora  in  basso  ora 
in  alto. 

,  —  6.  il  martel  di  Vulcano.  Inn.  I,  xvi,  22. 
«  Si  come  alla  fucina  in  Mungibello  Fabbrica 
troni  il  demonio  Vulcano,  Folgore  e  foco 
batte  col  marteho,  L,'un  colpo  segue  l'altro 


^  Fannoorconlnnghi,oraconfintiescarsi 
!  Colpi  veder  che  mastri  son  del  giuoco: 
Or  li  vedi  ire  altieri,  or  rannicchiarsi; 
[  Ora  coprirsi,  ora  mostrarsi  un  poco; 
j  Ora  crescere  inanzi,  ora  ritrarsf; 
I  Kibatter  colpi,  e  spesso  lor  dar  loco; 
j  Girarsi  intorno;  e  donde  l'uno  cede, 
'  L'altro  aver  posto  immantinente  il  piede. 

!  10 

i      Ecco  Rinaldo  con  la -spada  adosso 
:  A  Sacripante  tutto  s'abandona; 

E  quel  porge  lo  .scudo  ch'era  d'osso, 
;  Con  la  piastra  d'acciar  temprata  e  buona. 
I  Tagliai  Fusberta,  ancorché  molto  grosso: 
!  Ne  geme  la  foresta  e  ne  risuona. 
i  L'osso  e  Tacciar  ne  va  che  par  di  giaccio, 
I  E  lassa  al  Saracin  stordito  il  braccio. 

i  ^^ 

I      Come  vide  la  timida  Donzella 

;  Dal  fiero  colpo  uscir  tanta  mina, 

I  Per  gran  timor  cangiò  la  faccia  bella, 

I  Qual  il  rei)  ch'ai  snpplicio  s'avvicina: 

I  Me  le  par  che  vi  sia  da  tardar,  s'ella 

j  Non  vuol  di  quel  Rinaldo  esser  rapina, 

I  Di  quel  Rinaldo  ch'ella  tanto  odiava, 

.  Quanto  esso  lei  miseramente  amava. 

I  12 

I      Volta  il  cavallo,  e  ne  la  selva  folta 

[  Lo  caccia  per  un  aspro  e  stretto  calle: 

I  E  spésso  il  viso  smorto  a  dietro  volta; 

j  Che  le  i)ar  che  Rinaldo  abbia  alle  spalle. 

Fuggendo  non  avea  fatta  via  molta. 

Che  scontrò  un  Eremita  in  una  valle, 

Ch'avea  lunga  la  barba  a  mezzo  il  petto. 

Devoto  e  venerabile  d'aspetto. 


amano  a  mano,  Cotal  s'udiva  rinfernnl 
flagello  Di  quei  duo  brandi  con  rumore  ai- 
tano ». 

9.  1.  lunghi;  a  fondo. 

—  4.  coprirsi;  collo  scudo. 

—  5.  crescere  innanzi;  avanzarsi,  acqui- 
star terreno. 

—  6.  dar  loco  ;  scansarsi,  perché  il  colpo 
vada  a  vuoto. 

-—  7.  girarsi  intorno,  Per  cogliersi  di  fian- 
co, alla  scoperta.  Nola  il  Raina  che  nessuno 
dei  romanzieri  precedenti  sfoggia  nei  duelli 
tanta  scienza  di  scherma  come  l'A. 

10.  4.  con  la  piastra  ecc.  Lo  scudo  era  o 
di  legno  curvato  o  di  osso;  ed  era  coperto 
con  una  lamina  metallica  detta  piastra. 

—  5.  Pusberta,  Spada  di  Rinaldo  :  è  nome 
antico  e  tradizionale.  Il  Pulci  la  chiama 
Frusberta. 

11.  8.  miseramente  amava;  è  il  latino  misere 
amare,  amare  appassionatamente.  Pi.aut, 
Mil.  4,  C,  32. 

12.  4.  le  par...  che  abbia;  V.  e.  I,  3S  not.  G, 


16 


OlìLAXDO  FUETOSO 


13 

Dagli  anni  p  dnl  digiuno  attenuato, 
Sopra  un  lento  asinel  se  ne  veniva; 
E  parea,  più  ch'alcun  fosse  mai  stato, 
Di  conscienza  scrupolosa  e  schiva. 
Come  e^li  vide  il  viso  delicato 
De  la  Donzella  che  sopra  gli  arriva. 
r>ebil  quantunque  e  mal  gagliarda  fosse, 
Tutta  per  carità  se  gli  commosse. 
14 

La  Donna  al  Fraticel  chiede  la  via 
Che  la  conduca  ad  un  porto  di  mare, 
Perché  levar  di  Francia  si  vorria, 
Per  non  udir  Rinaldo  nominare. 
11  frate  che  sapea  negromanzia, 
Non  cessa  la  Donzella  confortare, 
Che  presto  la  trarrà  d'ogni  periglio; 
Et  ad  una  sua  tasca  die  di  piglio. 
15 

Trassene  un  libro,  e  mostrò  grande  eflfet- 
Che  legger  non  lini  la  prima  faccia,     ito; 
Ch'uscir  fa  un  spirto  in  forma  di  valletto, 
E  gli  comanda  quanto  vuol  eh'  el  faccia. 
Quel  se  ne  va,  da  la  scrittura  astretto, 
Dove  i  dui  cavallieri  a  faccia  a  faccia 
Eran  nel  bosco,  e  non  stavano  al  rezzo; 
Fra  quali  entrò  con  grande  audacia  in  mez- 
16  [zo. 

Per  cortesia  (disse)  un  di  voi  mi  mostre, 
Quando  anco  uccida  l'altro,  che  gli  vaglia: 
Che  merto  avrete  alle  fatiche  vostre, 


13.  1.  attenuato;  estenuato.  Dal  lat.  atte- 
nuatus,  che  si  usò  in  questo  senso.  In  ita- 
liano abbiamo  esempi  anche  in  prosa;  Vite 
SS.  PP.  1,  83:  Li  quali  vedendo  magri  e  at- 
tenuati di  fame.  V.  e.  viii,  29,  n.  8. 

—  7.  Debil  quantunque:  la  coscienza;  ma 
qui  giucca  sul  signilicato  equivoco  di  Co- 
scienza, che  nel  gergo  valeva  anche  cosa 
oscena. 

14.  6.  cessa...  confortare.  V.  I,  4,  not.  1. 

—  7.  che  presto  ecc.  Dipende  da  Confor- 
tare, da  cui  bisogna  rilevare  un  dicendole. 

15.  2.  faccia,  facciata,  pagina.  É  d'uso 
popolare.  Dant.  Pure/.  3,  126. 

—  4.  el;  egli.  Veramente  è  troncamento 
di  EUo.  Bocc.  Nov.  11:  «Gridavano  eh' el 
fosse  morto  ». 

—  8.  Fra  quali.  L'  A.  ha  omesso  molte 
volte  l'articolo,  non  solo  dopo  le  preposi- 
zioni, ma  anche  altrove:  v.  p.  es.  al  e.  xxxiv, 
67,  4  il  superlativo  relat.  manca  dell'  art. 
Dante,  Purg,  x  vii,  33:  «  Sotto  qual  si  feo  ». 

16.  1.  Per  cortesia  ecc.  Medesima  situa- 
zione iieU'O/V.  Inn.  I,  in,  79,  dove  Orlando, 
•che  combatteva  con  Ferrali,  vedendo  fuggire 
Angelica,  dice:  Cavalier  per  cortesia  Indu- 
gia la  battaglia  nel  presente  ;  E  certo  stimo 
che  sia  gran  follia  Far  cotal  guerra  insieme 
per  niente. 

—  3.  morto;   premio.    Cosi    spesso   nella 


Finita  che  tra  voi  sia  la  battaglia? 
Se  '1  conte  Orlando  senza  liti  o  giostre, 
K  senza  pur  aver  rotta  una  maglia. 
Verso  Parigi  mena  la  Donzella 
Che  v'ha  condotti  a  questa  pugna  fella. 
17 

Vicino  un  miglio  ho  ritrovato  Orlando 
Che  ne  va  con  Angelica  a  Parigi, 
Di  voi  ridendo  insieme,  e  motteggiando 
Che  senza  fruttò  alcun  siate  in  litigi, 
li  meglio  forse  vi  sarebbe,  or  quando 
Non  son  più  lungi,  a  seguir  lor  vestigi; 
Che  s'in  Parigi  Orlando  la  può  avere, 
Non  ve  la  lascia  mai  più  rivedere. 
18 

Veduto  avreste  i  cavallier  turbarsi 
A  quell'annunzio;  e  mesti  e  sbigottiti. 
Senza  occhi  e  senza  mente  nominarsi, 
Cile  gli  avesse  il  rivai  cosi  scherniti; 
Ma  il  buon  Rinaldo  al  suo  cavallo  trarsi 
Con  sospir  che  parean  del  fuoco  usciti, 
E  giurar  per  isdeguo  e  per  furore. 
Se  giungea  Orlando,  di  cavargli  il  core. 
19 

E  dove  aspetta  il  suo  Baiardo,  passa, 
E  sopra  vi  si  lancia,  e  via  galoppa; 
Né  al  cavallier,  ch'a  pie  nel  bosco  lassa, 
Pur  dice  a  Dio,  non  che  lo'nviti  in  groppa. 
L'animoso  cavallo  urta  e  fracassa. 
Punto  dal  suo  signor,  ciò  ch'egli  'ntoppa: 
Non  ponno  fosse  o  fiumi  o  sassi  o  spine 
Far  che  dal  corso  il  corridor  decline. 
20 

Signor,  non  voglio  che  vi  paia  strano, 
Se  Rinaldo  or  si  tosto  il  destrier  piglia, 
Che  già  più  giorni  ha  seguitato  in  vano, 
Né  gli  ha  possuto  mai  toccar  la  briglia. 
Fece  il  destrier,  eh' avea  intelletto  umano, 
Non  per  vizio,  seguirsi  tante  miglia, 


lingua  lett.  Bocc.  N.  19:  «Io  non  feci  mai 
cosa,  per  la  quale  debbia  cosi  fatto  merito 
ricevere  ». 

17.  1.  Vicino  un  miglio;  sott.  di  qui:  ed  k 
un'  espressione  avverb.  Bocc.  Nov.  93  «  Forse 
un  mezzo  miglio  vicino  di  qui  ».  Si  noti  che 
il  messo  mente  sul  conto  d'Orlando.  \.  e. 
vili,  6S. 

—  5.  Il  meglio  vi  sarebbe...  a  seguir.  A  se- 
guir vale:  Seguendo,  nel  seguir.  Più  co- 
munem.  senza  prep.  a.   V.  e.  iv,  11,  1. 

18.  6.  del  fuoco  usciti;  ardenti  di  rabbia. 
Immagine  grossolana. 

19.  1.  passa;  va.  Guicc.  St.  17,  47.  «Per- 
ché... passasse  a  Cesare  per  la  pratica  della 
pace  ». 

20.  1.  Signor.  V.  e.  r,  40. 

—  4.  possuto  ;  potuto.  É  anche  della  prosa 
antica:  Mach.  Disc.  1,  55:  Non  hanno  pos- 
suto pigliare  i  costumi  ecc. 

—  6.  Tiaio  ;  bizzarria.  Anche  oggi  si  chia- 


CANTO  II 


17 


Ma  per  guidar,  dove  la  donna  giva, 
li  suo  signor,  da  chi  bramar  l'udiva. 
21 

Quando  ella  si  fuggi  dal  padiglione, 
La  vide  et  appostolla  il  buon  destriero, 
Che  si  trovava  aver  voto  l'arcione, 
Però  che  n'era  sceso  il  cavalliero 
Per  combatter  di  par  con  un  barone. 
Che  men  di  lui  non  era  in  arme  fiero; 
Poi  ne  seguitò  l'orme  di  lontano. 
Bramoso  porla  al  suo  signore  in  mano. 
22 

Bramoso  di  ritrarlo  ève  fosse  ella. 
Per  la  gran  selva  inanzi  se  gli  messe; 
/•X-Né  lo  volea  lasciar  montare  in  sella. 
Perché  ad  altro  camiu  non  lo  volgesse. 
Per  lui  trovò  Rinaldo  la  Donzella 
Una  e  due  volte,  e  mai  non  gli  successe; 
Che  fu  da  Ferraù  prima  impedito. 
Poi  dal  Circasso,  come  avete  udito. 
23 

Ora  al  demonio  che  mostrò  a  Rinaldo 
De  la  Donzella  li  falsi  vestigi. 
Credette  Baiardo  anco,  e  stette  saldo 
E  mansueto  ai  soliti  servigi. 
Rinaldo  il  caccia,  d'ira  e  d'amor  caldo, 
A  tutta  briglia,  e  sempre  in  ver  Parigi; 
E  vola  tanto  col  desio,  che  lento,         [to. 
Non  ch'un  destrier,  ma  gli  parrebbe  il  ven- 
24 

La  notte  a  pena  di  seguir  rimane 
Per  affrontarsi  col  signor  d' Anglante  : 
Tanto  ha  creduto  alle  parole  vane 
Del  messaggier  del  cauto  Negromante. 


man  vizi  le  bizzarrie  dei  cavalli,  dei  bovi 
ecc. 

—  S.  da  chi;  da  cui.  Chi  per  cui  è  fre- 
quente anche  in  prosa  già  nel  trecento. 

21.  5.  Si  riferisce  a  ciò  che  è  raccontato 
uell'  Ori.  Jnn.  Ili,  iv,  29,  40. 

di  par;  alla  pari  con  Ruggero,  che 

era  a  piedi. 

barone.    Negli   antichi  vale    spesso 

ìiomo  di  gran  qualità  senza  l'idea  della 
giurisdizione.  V.  Dante,  Par.  24,  115. 

22.  6.  non  gli  successe;  non  gli  riuscì  a 
bene.  L' usarono  non  di  rado  gli  scrittori  e 
non  è  morto  ancora.  Lasc.  Gel.  1,  5:  Avver- 
tisci  a  quel  che  tu  fai  che  ti  succeda. 

—  8.  come  avete  udito.  O  si  riferisce  al 
Signor  della  St.  20;  a  più  veramente  ai  let- 
tori in  genere,  a  cui  spesso,  specialmente 
nella  fine  dei  canti,  si  ritolge  l'A. 

24.  4.  Negromante  (gr.  necrós,  morto  ;  món- 
tis,  indovino)  era  colui,  che  indovinava  il 
futuro,  evocando  a  ciò  i  morti.  Il  mago  in- 
vece produceva  coli'  intervento  di  esseri 
soprannaturali  effetti  miracolosi.  Spesso  i 
romanzieri  usano  l'uno  per  l'altro. 

Ariosto  —  P.vpikx 


Non  cessa  cavalcar  sera  e  dimane. 
Che  si  vede  apparir  la  terra  avante. 
Dove  re  Carlo,  rotto  e  mal  condutto, 
Con  le  reliquie  sue  s'era  ridutto: 
25 

E  perché  dal  Re  d'Africa  battaglia 
Et  assedio  v'asp^etta,  usa  gran  cura 
A  raccor  buona  gente  e  vettovaglia, 
Far  cavamenti  e  riparar  le  mura. 
Ciò  eh' a  difesa  spera  che  gli  vaglia, 
Senza  gran  differir,  tutto  procura: 
Pensa  mandare  in  Inghilterra,  e  trarne 
Gente,  onde  possa  un  nuovo  campo  farue. 
26 

Che  vuole  uscir  di  nuovo  alla  campagna, 
E  ritentar  la  sorte  de  la  guerra. 
Spaccia  Rinaldo  subito  in  Bretagna, 
Bretagna  che  fu  poi  detta  Inghilterra. 
Ben  de  l'andata  il  Paladin  si  lagna: 
Non  ch'abbia  cosi  in  odio  quella  terra; 
Ma  perché  Carlo  il  manda  allora  allora. 
Né  pur  lo  lascia  un  giorno  far  dimora. 
27 

Rinaldo  mai  di  ciò  non  fece  meno 
Volentier  cosa;  poi  che  fu  distolto 
Di  gir  cercando  il  bel  viso  sereno. 
Che  gli  avea  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto: 
Ma,  per  ubidir  Carlo,  nondimeno 
A  quella  via  si  fu  subito  volto. 
Et  a  Calesse  in  poche  ore  trovossi; 
E  giunto,  il  di  medesimo  imbarcossi. 


—  5.  sera  e  dimane:  sera  e  mattina.  Cosi 
anche  altri  prima  dell' A.  e  1' .\.  al  e.  24, 
104.  Dante,  Inf.  33,  37:  Quando  fui  desto 
innanzi  la  dimane. 

—  6.  che,  tinche.  V.  e.  xiii,  7,  not.  4. 

—  7.  mal  condutto,  condotto  in  cattive 
condizioni.  Si  accenna  alla  rotta  data  ai 
Francesi  da  Agramante  e  dai  suoi  amici, 
di  che  il  Boiardo,  Inn.  Ili,  iv.  Carlo  si  era 
ritirato  in  Parigi. 

25.  2.  assedio.  Vlnn.  arriva  fino- all' as- 
sedio, ma  l'A.,  tornando  un  passo  addietro, 
riappicca  dalla  rotta  e  mette  1'  assedio  nel 
e.  vili. 

—  4.  cavamenti,  fosse  senz'acqua.  Guicc. 
St.  15,  767  :  Spingendosi  sempre  innanzi  con 
cavamenti,  con  fossi  e  con  bastioni. 

—  8.  onde;  delle  quali;  e  nota  in  farne 
ripetuto  il  complemento  all'  usanza  del  po- 
polo. Cosi  al  e.  IV,  41. 

26.  4.  La  Brettagna,  abbandonata  dai  Ro- 
mani avanti  il  5"  secolo,  fu  subito  dopo  sot- 
tomessa dagli  Angli  e  dai  Sassoni.  Da  Au- 
gii-terra fu  detta  Inghilterra.  I  romanzieri 
attribuirono  a  Carlo  M.  la  conquista  del- 
l'Inghilt.,  che,  storicamente,  fu  fatta  da  Gu- 
glielmo il  Conquistatore  tre  secoli  dopo. 

27.  7.  Calesse  Calais,  porto  di  mare  sulla 
Manica.  Altrove  l'A.  lo  rende  colle  forme 
Calesio,  Calessio 

2 


18 


ORLANDO  FURIOSO 


•28 
Centra  la  volimtà  d'ogni  nocchiero, 
Pel  gtan  desir  che  di  tornare  avea, 
Entrò  nel  mar  ch'era  turbato  e  fiero, 
E  gran  procella  minacciar  parca. 
Il  vento  si  sdegnò,  che  da  l'altiero 
Sprezzar  si  vide;  e  con  tempesta  rea 
Sollevò  il  mar  intorno,  e  con  tal  rabbia. 
Che  gli  mandò  a  bagnar  sino  alla  gabbia. 

29 
Calano  tosto  i  marinari  accorti 
Le  maggior  vele,  e  pensano  dar  volta, 
E  ritornar  ne  li  medesnii  porti. 
Donde  in  mal  punto  avean  la  imve  sciolta. 
Non  convien  (dice  il  vento)  ch'io  comporti 
Tanta  licenzia  che  v'avete  tolta; 
E  soffia  e  grida,  e  naufragio  minaccia 
S"  altrove  van,  che  dove  egli  li  caccia. 

30 
Or  a  poppa,  or  all'orza  hann'il  crudele 
Che  mai  non  cessa,  e  vien  più  ognor  ere- 
Essi  di  qua  di  là  con  umil  vele     [scendo: 
Vansi  aggirando,  e  l'alto  mar  scorrendo. 
Ma  perché  varie  fila  a  varie  tele 
Uopo  mi  son,  che  tutte  ordire  intendo. 
Lascio  Rinaldo  e  l'agitata  prua, 
E  torno  a  dir  di  Bradamante  sua. 

31 
Io  parlo  di  quell'inclita  Donzella, 
Per  cui  Re  Sacripante  in  terra  giacque, 
Che  di  questo  Signor  degna  sorella, 
Del  Duca  Amone  e  di  Beatrice  nacque. 


28.  S.  sino  alla  gabbia.  Sino  alla  invece 
di  sino  la,  che  è  più  comune.  É  un  uso 
avverbiale  di  sino,  che  si  trova  spesso  ne- 
gli antichi  e  nei  moderni  scrittori.  V.  For- 
NAC.  S.  2S1. 

gabbia,  specie  di  gerla  in  cima  al- 
l' albero  degli  antichi  bastimenti,  dove  si 
faceva  la  vedetta. 

30.  1.  Ora  a  poppa  ecc.  Vuol  dire  che  ora 
il  vento  è  in  favore,  ora  è  contrario.  Ma 
l'espressione  Avere  il  vento  all'  orza  non 
è  chiara:  infatti  l'orza  non  è  una  dire- 
zione assoluta,  ma  indica  la  parte  donde 
viene  il  vento:  perciò  qui  iu  sostanza  vuol 
dire:  ora  hanno  il  vento  in  poppa  ora  lo 
hanno  di  fronte. 

—  3.  con  umil  vele;  colle  vele  calate. 

—  5.  varie  fila  ecc.  Il  poema  cavalleresco 
era  alieno  dalla  unità  d'  azione.  Le  leggi 
aristoteliche  si  richiamarono  in  vigore  solo 
una  trentina  d'anni  più  tardi. 

31.  3.  di  questo  Signor,  di  Rinaldo. 

—  4.  Del  duca  Anione  ecc.  Questa  donna 
si  trova  già  nel  romanzo  il  Rubione,  dove 
è  detta  Braidamonte  e  figlia  illegittima  di 
Amone.  11  Boiardo,  for^e  di  proposito,  tace 
della  madre  (li,  VI,  22, 60).  L' A.  la  dice  senz'al- 
tro figlia  di  Beatrice,  moglie  legittima  d'A- 


Lagran  possanza  e  il  molto  ardir  di  quella 
Non  meno  aCarlo  e  J:utta Francia  piacque, 
(Che  più  d'un  paragonne  vTde  saldo) 
Ohe  '1  lodato  valor  del  buon  Rinaldo. 
32 
La  donna  amata  fu  da  un  cavallicro 
Che  d'Africa  passò  col  Re  Agramante, 
Che  partorì  del  seme  di  Ruggiero  , 
La  disperata  figlia  d'Agolaute:    ■*' 
E  costei;  che  né  d'orso  né  di  fiero 
Leone  usci,  non  sdegnò  tal  amante  : 
Ben  che  concesso,  fuor  che  vedersi  un» 
Volta  e  parlarsi,  non  ha  lor  Fortuna. 

33 

Qnindi  cercando  Bradamante  già 
L'amante  suo  eh' avea  nome  dal  padre, 
Cosi  sicura  senza  compagnia. 
Come  avesse  in  sua  guardia  mille  squadre 
E  fatto  ch'ebbe  al  Re  di  Circassia 
Battere  il  volto  de  l'antiqua  madre. 
Traversò  un  bosco,  e  dopo  ilbosco  un  mon- 
Tanto  che  giunse  ad  una  bella  fonte,    [te  ; 
34 

La  fonte  discorrea  per  mezzo  un  prato. 
D'arbori  antiqui  e  di  bell'ombre  adorno, 
Ch'i  viandanti  con  mormorio  grato 


mone,  certo  per  elevare  la  progenitrice  de- 
gli Estensi  —  Carlo  M.  le  aveva  dato  a  reg- 
gere Marsiglia  col  territorio  fra  il  Varo  e 
il  Rodano.  —  Il  Raina  inclina  a  credere  che 
il  tipo  della  donna  guerriera  nei  romanzi 
cavallereschi  derivi  dalla  Amazzoni,  popo- 
larissime nel  M.  E.,  con  influenza  però  della 
Cammina  virgiliana  e  di  ricordi  di  donne 
guerriere  vissute  nel  Medio  E. 

32.  1.  La  donna  ecc.  L'amore  di  Ruggero 
e  di  Brad,  comincia  nell'/nw.  Ili,  v,  dove  è 
condotto  con  accorgimento  finissimo.  Bra- 
damante ha  diverse  occasioni  di  notare  la 
squisita  cortesia  di  Ruggero,  donde  comin- 
cia una  grande  propensione  per  lui.  Accom- 
pagnatisi per  un  tratto,  si  narrano  la  pro- 
pria storia:  si  scoprono  il  volto  e  allora  la 
simpatia  diventa  amore.  Sorpresi  e  assaliti 
da  una  schiera  di  Saracini,  si  separano  e 
si  vanno  poi  ricercando  invano.  Fin  qui  il 
Boiardo. 

—  4.  La  disperata  ecc.  Galaciella,  sposata 
da  Ruggero  di  Risa.  Anche  la  storia  di 
Ruggero  è  tutta  nel  Boiardo  III,  v  :  l'A.  la 
ripete  ampiamente  al  e.  xxxvi. 

33.  0.  il  volto  d.  ant\flua  m.  la  terra.  Pbtr. 
Tr.  6, 89  :  «  Tutti  tornate  alla  gran  madre  an- 
tica ».  Forse  c'è  pure  il  ricordo  del  bacio  da- 
to da  Bruto  alla  comune  madre.  Livio,  I,  21. 

34.  3.  mormorio.  Alcuni  accentano  :  mor- 
morio, per  avere  l'armonia  ritmica  di  que- 
sto ver.so  e  dell'altro  al  e.  vi,  24:  e  addu- 
cono esempì  di  B.  Tasso,  del  Firenzuola, 
del  Bembo  (Dolce  mormorio  di  fontana  vi- 


CAKTO  II 


19 


A  ber  invita  e  a  far  seco  soggiorno: 
Un  culto  uionticel  dal  nianòo  lato 
L'e'difende  il  calor  del  mezzo  giorno,  f^"!;^ 
Quìtì,  come  i  begli  occhi  prima  torse,  '~"" 
D'un  cavallier  la  giovane  s'accorse-, 

35  [schetto 

D'  nn  cavallier  eh'  all'  ombra  d'  un  bo- 
Nel  margin  verde  e  bianco  e  rosso  e  giallo 
Sedea  pensoso,  tacito  e  soletto 
Sopra  quel  chiaro  e  liquido  cristallo. 
Lo  sc^do  non  lontan  pende  e  l'elmetto 
Dal  fiìggió,  ove  legato  era  il  cavallo;   '- 
Et  avea  gli  occhi  molli  e  '1  viso  basso, 
E  si  mostrava  addolorato  e  lasso. 

Questo  disir,  eh' a  tutti  sta  nel  core, 
De'  fatti  altrui  sempre  cercar  novella, 
Fece  a  quel  cavallier  del  suo  dolore 
La  caribù  domandar  da  la  donzella. 
Egli  l'aperse  e  tutta  mostrò  fuore, 
Dal  cortese  parlar  mosso  di  quella, 
E  dal  sembiante  altier,  ch'ai  primo  sguardo 
Gli  sembrò  di  guerrier  molto  gagliardo. 
o7 

E  cominciò:  Signor,  io  conducea 
Pedoni  e  cavallieri,  e  venia  in  campo 
Là  dove  Carlo  Marsilio  attendea. 
Per  chal  scender  del  monte  avesse  inciam- 
E  una  giovane  bella  meco  avea,         [po; 
Del  cui  fervido  amor  nel  petto  avvampo: 
E  ritrovai  presso  a  Rodonna  armato 
Un  che  frenava  un  gran  destriero  alato. 

Tosto'che  '1  ladro,  o  sia  mortale,  o  sia 
Una  de  l'infernali  anime  orrende, 
Tede  la  bella  e  cara  donna  mia; 


Come  falcon  che  per  ferir  discende. 
Cala  e  poggia  in  nn  atimo,  e  tra  via 
Getta  le  mani,  e  lei  smarrita  prende. 
Ancor  non  m'era  accorto  de  l'assalto. 
Che  de  la  donna  io  senti'  '1  grido  in  alto. 

Cosi  il  rapace  nibio  furar  suole 
Il  misero  pulcin  presso  alla  chioccia. 
Che  di  sua  inavvertenza  poi  si  duole, 
Ein  vangli  grida,  ein  van  dietro  gli  croc- 
io non  posso  seguir  un  uom  che  vole,     [eia. 
Chiuso  tra  monti,  a  pie  d'un' erta  roccia: 
Stanco  ho  il  destrier,  che  muta  a  pena  i 
Ne  l'aspre  vie  de'  faticosi  sassi.         [passi 
40 

Ma,  come  quel  che  men  curato  avrei 
Vedermi  trar  di  mezzo  il  petto  il  core, 
Lasciai  lor  via  seguir  quegli  altri  miei 
Senza  m.ia  guida  e  senza  alcun  rettore: 
Per  li  scoscesi  poggi  e  manco  rei 
Presi  la  via  cho  mi  mostrava  Amore, 
E  dove  mi  parca  che  quel  rapace 
Portassi  il  mio  conforto  e  la  mia  pace. 
41 

Sei  giorni  me  n'  andai  matina  e  sera 
Per  balze  e  per  pendici  orride  e  strane, 
Dove  non  via,  dove-sentier  non  era, 


va).  Il  Morali  crede  si  debba  leggere  il  verso 
cosi  :  eh'  i  viandanti  còl  mormorio  grato  ; 
alti-i  finalmente:  ch'i  viandanti  col  mor- 
morio grato. ^  Tutti  questi  ritmi  hanno  ri- 
scontri nell'A.  e  in  altri. 

—  6.  difende,  allontana.  È  struttura  lati- 
na: Viro.  Eclo(j.  7,  13:  «  solstitmm  pecoi-i 
defendite  ».  In  ital.  non  è  frequente  ;  ma  ha 
esempi:  Tratt.  (iella  Provvidenza,  429:  La 
piova  e  con  fronde  e  con  tettuccio  difen- 
dono. 

37.  3.  Là  dove  Carlo  ecc.;  dove  C.  atten- 
deva Marsilio.  Accenna  alla  sortita  di  Carlo 
M.  contro  Marsilio,  che  era  sulle  alture  di 
Montalbano  ;  Inn.  Il,  xxii,  tìl  ;  xxiii,  1.5. 

—  7.  Eodonna.  Forse  è  l'antica  Roclma- 
na,  che  Tolomeo  dice  essere  una  città  sul 
Rodano.  Al  Casella  fa  difficoltà  la  distanza 
da  Montalbano,  dove  si  dirigeva  Pinabello, 
e  perciò  voi'rebbe  intendere  la  più  vicina 
Rodez  ;  ma  nei  romanzi  cavallereschi  le  di- 
stanze si  percorrano  con  facilità  sorpren- 
dente. 

—  8.  un  gran  destriero  a.  V.  e.  IV,  IS. 


38.  6.  Getta  le  mani;  stende  le  m.;  ma 
e'  è  di  piti  r  idea  della  rapidità  e  del  movi- 
nfiento  dall'  alto  al  basso. 

39. 1.  nibio;  nibbio, uccello  di  rapina  di- 
stinto per  la  coda  assai  forcuta. 

—  4.  gli  grida  ;  sottint.  dietro.  È  frequente 
nell'A.  riferire  a  due  proposizioni  una  pa- 
rola che  si  trova  soltanto  in  una  di  esse  ; 

V.  e.  II,  42,  S;  XVII,  C9,  3;  xxxv,  25;  ed  è 
una  specie  di  zeugma. 

croccia  dal  lat.  crocire  o  evocare. 

Forse  l'A.  l'ha  tolto  dall'uso  parlato.  La 
Cr.  nonio  cita;  cita  invece  croccliiare  con 
un  esempio  del  salviati. 

—  6.  Chiuso  ecc.  Riferiscilo  a  Pinabello  : 
chiuso  com'  ero  tra  monti  e  appiè  d'un' alta 
roccia,  che  in'  impediva  di  seguire  la  trac- 
cia d'Atl.  Questi  monti  potevano  essere  le 
Cevenne  e  i  loro  contrafforti. 

—  7.  muta  i  passi.  È  locuzione,  che  di- 
pinge il    camminare.  L'A.   l'usò  più   volte 

VI,  03;  xxxiii,  81;  e  già  prima  di  lui  il 
Boiardo,  Innam.  II,  v,  35. 

—  S.  vie  de'  faticosi  s.  ;  vie  segnate  tra  i 
fatic.  sassi;  oppure:  vie  aspre  per  i  fati- 
cosi sassi. 

40.  4.  rettore;  guida,  capo.  I  Latini  dis- 
sero: rector  miìitiae  ;  rectof  navis.  Viro. 
En.,  v,  161. 

—  S.  Portassi.  Questa  terminazione  della 
Sa  persona  fu,  presso  gli  antichi,  frequente 
anche  in  prosa. Nannicci,A«.  cr.d.r.  (7.24S. 


20 


ORLANDO  FURIOSO 


Dove  né  segno  di  vestigie  umane:  | 

Poi  giunse  in  una  valle  inculta  e  fiera,      i 
Di  ripe  cinta  e  spaventose  tane,  ! 

Che  nel  mezzo  s'un  sasso  avea  un  castello' 
Forte  e  ben  posto,  a  maraviglia  bello. 
42 

Da  lungi  par  che  come  fiamma  lustri. 
Né  sia  di  terra  cotta,  né  di  marmi. 
Come  più  m'avvicino  ai  muri  illustri, 
L'opra  più  bella  e  più  mirabil  parmi. 
E  seppi  poi,  come  i  demóni  industri, 
Da  suffumfgi  tratti  e  sacri  carmi, 
Tutto  d'acciaio  avean  cinto  il  bel  loco. 
Temprato  all'onda  et  allo  Stigio  foco. 
43 

Di  si  forbito  acciar  luce  ogni  torre. 
Che  non  vi  può  né  ruggine  né  macchia. 
Tutto  il  paese  giorno  e  notte  scorre, 
E  poi  là  dentro  il  rio  ladron  s'immacchia. 


41.  4.  né;  neppure.  È  uso  lat.  del  «e  per 
ne  quidem,  passato  assai  presto  in  ital. 
Bocc.  N.  15:  «  A  cui  l'altro  rispose:  non 
io  ;  né  io,  disse  colui  ». 

—  5.  giunse;  giunsi.  Questa  terminaz.  è 
anche  al  e.  xl,  3,  1;  xliii,  U,  7;  e  nelle 
ediz.  del  '16  e  del  '21.  Il  Morali  cita  esempi 
di  B.  Latini,  delle  Cento  novelle,  di  Ser  Giov. 
Fiorentino.  Da  questo  e  da  altri  usi  pos- 
siamo rilevare  che  l' A.  amava  di  rinnovare 
certi  arcaismi. 

—  7.  Che  nel  mezzo  ecc.  Il  giardino  d'A- 
tlante sul  monte  di  Carena  descritto  dal 
Boiardo,  II,  iii,  27,  è  stato  il  modello  di 
questa  rocca,  che  l'A.  pone  sui  Pirenei. 
Quello  «  Ila  di  vetro  tutto  intorno  il  muro. 
Bagli  spirti  d' inferno  tutto  quanto  Fu  in 
un  sol  giorno  fatto  per  incanto  »  ;  è  desti- 
nato allo  stesso  scopo  di  salvar  Ruggero  ; 
è  ripido  e  inaccessibile,  sol  visibile  per 
mezzo  dell'anello  incantato  d'Angelica.  Av- 
verti: castello  e  più  sotto  torre,  rocca: 
son  parole  che  ricorrono  spesso  e  si  con- 
fondono nell'uso  medievale  ;  ma  il  castello 
comprende  propr.  anche  la  borgata,  che 
di  solito  si  formava  dintorno  alla  rocca, 
che  era  la  parte  alta  e  fortificata,  alla  quale 
appartenevano  le  torri, 

42.  3.  muri  illustri;  splendenti.  È  il  la- 
tino illustrls  :  Val.  FI.,  6,  528  :  illustre  cae- 
Iwm,  cielo  luminoso. 

—  6.  suffumigi  ecc.  V.  e.  Ili,  15. 

—  8.  Temprato  ecc.  Viro.  En<,  xii,  91, 
dice  della  spada  e  dell'  elmo  di  Turno  : 
«  Stygia  candentem  (Vulcanus)  tinxerat  un- 
da  ».  È  noto  che  lo  Stige  avea  la  proprietà 
di  rendere  incorruttibile  tutto  quanto  fosse 
immerso  nelle  sue  acque.  Per  il  costrutto 
vedi  St.  39,  4. 

43.  4.  s'immacchia;  si  nasconde  come  in 


Cosa  non  ha  ripar  che  voglia  torre: 
Sol  dietro  in  van  se  li  bestemia  e  gracchia. 
Quivi  la  donna,  anzi  il  mio  cor  mi  tiene, 
Che  di  mai  ricovrar  lascio  ogni  spene, 
44 

Ah  lasso!  che  poss'io  più  che  mirare 
La  rocca  lungi,  ove  il  mio  ben  m'è  chiuso  ? 
Come  la  volpe,  che  4  figlio  gridare 
Nel  nido  oda  de  l'aquila  di  giuso, 
S'aggira  intorno,  e  non  sa  che  si  fare, 
Poi  che  Tali  non  ha  da  gir  là  suso. 
Erto  è  quel  sasso  si,  tale  è  il  castello. 
Che  non  vi  può  salir  chi  non  ò  augello. 
45 

Mentre  io  tardava  quivi,  ecco  venire 
Duo  cavallierch'avean  per  guida  un  Nano, 
Che  la  speranza  aggiunsero  al  desire; 
Ma  ben  fu  la  speranza  e  il  desir  vano. 
Ambi  erano  guerrier  di  sommo  ardire: 
Era  Gradasso  l'un.  Re  Sericano; 
Era  l'altro  Ruggier,  giovene  forte, 
Pregiato  assai  ne  l'Africana  corte. 
46 

Veugon  (mi  disse  il  Nano)  per  far  pruova 
Di  lor  virtù  col  air  di  quel  castello. 
Che  per  via  strana,  inusitata  e  nuova 
Cavalca  armato  il  quadrupede  augello. 
Deh,  Signor  (dissi  io  lor)  pietà  vi  muova 
Del  duro  caso  mio  spietato  e  fello! 
Quando  (come  ho  speranza)  voi  vinciate. 
Vi  prego  la  mia  donna  mi  rendiate, 
47 

E  come  mi  fu  tolta  lor  narrai, 
Con  lacrime  affermando  il  dolor  mio. 
Quei  (lor  mercé)  mi  proferirò  assai, 
E  giù  calaro  il  poggio  alpestre  e  rio. 
Di  lontan  la  battaglia  io  riguardai, 
Pregando  per  la  lor  vittoria  Dio. 
Era  sotto  il  castel  tanto  di  piano, 
Quanto  in  due  volte  si  può  trar  con  mano. 

una  macchia.  È  bella  estensione  di  signifi- 
cato fatta  dall' A. 

—  8.  ricovrar;  ricuperare.  Questo  è  il 
primo  significato;  l'altro  di  dar  rifugio  è 
posteriore  e  deri\ato. 

45.  2.  un  Nano.  Gli  antecedenti  di  quest  > 
racconto  sono  neh'  Imi.,  III,  vir.  Ivi  un 
nano  si  presenta  a  Ruggero  e  Gradasso, 
pregandoli  di  far  vendetta  d'una  fellonia  e 
mostrando  loro  una  torre  da  espugnare. 
I/A.  prende  questi  cenni  interrotti,  e  ap- 
profittando d' un  altro  particolare  Boiarde- 
sco  (III,  vili,  57  «  partito  di  Francia  è  il 
buon  Ruggero  »),  compone  a  modo  suo  il 
nuovo  racconto. 

47.  :<.  mi  proferirò  assai  ;  mi  profferirono 
molte  cose  ;  mi  fecero  grandi  profferte. 

:       —8.  Quanto  ecc.  Dantje,  Purg.,  iir,  09: 
«  Quanto  un  buon  gittator  trarrla  con  raa- 

'  no  ». 


CANTO  II 


'21 


48 
Poi  che  fui-  giunti  a  pie  de  l'alta  rocca, 
L'uno  e  l'altro  volea  combatter  prima; 
Pur  a  Gradasso,  o  fosse  sorte,  tocca, 
O  pur  che  non  ne  fé'  Euggier  più  stima. 
Quel  Serican  si  pone  il  corno  a  bocca: 
Rimbomba  il  sasso,  e  la  fortezza  in  cima. 
Ecco  apparire  il  cavalliero  armato 
Fuor  de  la  porta,  e  sul  cavallo  alato. 
49 
.   ,     Cominciò  a  poco  a  poco  indi  a  levarse, 
•'**  Come  suol  far  la  peregrina  grue, 
.'"^    Che  corre  prima,  e  poi  vediamo  alzarse 
Alla  terra  vicina  un  braccio  o  due  ; 
E  quando  tutte  sono  all'aria  sparse, 
Velocissime  mostra  l'ale  sue. 
Si  ad  alto  il  Negromante  batte  l'ale, 
Ch'a  tanta  altezza  a  pena  aquila  sale. 

Quando  gli  parve  poi,  volse  il  destri 'm-o, 
Che  chiuse  i  vanni  e  venne  a  terra  apiom- 
Come  casca  dal  ciel  falcon  maniero    [bo, 
j^    Che  levar  veggia  1'  anitra  o  il  colombo. 
Con  la  lancia  arrestata  il  cavalliero 
L'aria  fendendo  vien  d'orribil  rombo. 
Gradasso  appena  del  calar  s'avvede, 
Che  se  lo  sente  addosso  e  che  lo  fiede. 
51 

Sopra  Gradasso  il  Mago  l'asta  roppe; 
Feri  Gradasso  il  vento  e  l'aria  vana: 
Per  questo  il  volator  non  interroppe  " 
Il  batter  l'ale;  e  quindi  s'allontana. 
Il  grave  scontro  fa  chinar  le  groppe 


48.  3.  0  fosse  sorte,  tocca;  tocca  a  Gra- 
dasso, 0  fosse  sorte,  (o  ciò  avvenisse  per 
sorteggio)  o  fosse  die  R.  non  apprezzò  que- 
sto vantaggio  più  di  Gradasso.  Nola  poi  lin 
d'ora  l'amore  dell'  A.  per  le  inversioni  for- 
zate. 

—  5.  a  bocca.  Espressione  che  può  pren- 
dere o  non  prendere  l' articolo  :  v.  Bembo, 
Prose  II,  224. 

49.  1.  levarse.  Il  Bejiro,  Prose  ili,  27, 
stabilisce  la  regola  che  mi  al  uniti  al  verbo 
si  usano  in  poesia  (non  solo  in  rima)  anche 
nella  forma  me  se;  il  ti  ;ion  si  cambiò  dagli 
antichi.  L'A.  se^;ui  generala!,  gli  antichi. 

—  2.  peregrina;  perché  è  uccello  di  passo. 

—  3.  vediamo;  sottiiit.  la.  V.  I,  21,  7. 

—  5.  e  quando  tutte  ecc.;  e  quando  sono 
interamente  librate  nell'  aria. 

50.  3.  manièro,  è  aggiunto  di  falcone  da 
caccia,  perché  si  teneva  sulla  mano,  donde 
volava  alla  preda.  Mainhriano  viii,  91  : 
Calava  giù  d'  un  picciol  monticello  Più  pre- 
sto assai  che  '1  falcon  peregrino  Non  scende 
quando  ha  veduto  l'augello. 

—  5.  arrestata  ;  posta  sulla  resta.  Pulci, 
M.,  22,  IGG:  Ed  una  lancia  arrestata  gli  ac- 
cocca. 


Sul  verde  prato  alla  gagliarda  Altana. 
Gradasso  avea  una  Altana  la  più  bella 
E  la  miglior  che  mai  portasse  sella. 
52 

Sin  alle  stelle  il  volator  trascorse; 
Indi  giros.si  e  tornò  in  fretta  al  basso, 
E  percosse  Rnggier  che  non  s'accorse. 
Ruggì er  che  tutto  intento  era  a  Gradasso. 
Ruggier  del  grave  colpo  si  distorse, 
E  '1  suo  destrier  più  rinculò  d'un  passo; 
E  quando  si  voltò  per  lui  ferire, 
Da  sé  lontano  il  vide  al  ciel  salire. 
53 

Or  su  Gradasso,  or  su  Ruggier  pereote 
Ne  la  fronte,  nel  petto  e  ne  la  schiena  ; 
E  le  botte  di  quei  lascia  ognor  vote, 
Perché  è  si  presto,  che  si  vede  a  pena. 
Girando  va  con  spaziose  rote; 
E  quando  all'uno  accenna,  all'altro  mena: 
All'uno  e  all'altro  si  gli  occhi  abbarbaglia, 
Che  non  ponno  veder  donde  gli  assaglia. 
54 

Fra  duo  guerrieri  in  terra  et  uno  in  cielo 
La  battaglia  durò  sin  a  quella  ora. 
Che  spiegando  pel  mondo  oscuro  velo, 
Tutte  le  belle  cose  discolora.  |lo: 

Fu  quel  ch'io  dico,  e  non  v'aggiungo  un  pe- 
lo '1  vidi,  io  '1  SO;  né  m'assicuro  ancora 
Di  dirlo  altrui;  che  questa  maraviglia 
Al  falso  più  ch'ai  ver  si  rassimiglia. 
55 

D'un  bel  drappo  di  seta  avea  coperto 
Lo  scudo  in  braccio  il  cavallier  celeste. 
Come  avesse,  non  so,  tanto  sofferto 
Di  tenerlo  nascosto  in  quella  veste; 
Ch'inmantinente  che  lo  mostra  aperto, 
Forza  è,  chi  '1  mira,  abbarbagliato  reste, 
E  cada  come  corpo  morto  cade, 
E  venga  al  Negromante  in  potestade. 
56 

Splende  lo  scudo  a  guisa  di  piropo, 
E  luce  altra  non  è  tanto  lucente. 

51.  6.  Alfana  ;  (dallo  spagnuolo  Alfana) 
cavalla  araba  grossa  e  robusta. 

52.  i.  non  s'accorse  ;  non  se  ne  acc.  V.  I, 
21,  7. 

55.  2.  cav.  celeste  ;  che  andava  pel  cielo. 
È  un  «so  assai  singolare. 

—  7.  E  cada  ecc.  Dante,  Jnf.  5,  142:  E 
caddi  come  corpo  morto  cade  —  Questo 
scudo  incantato  è  invenzione  dell'  A.,  che 
ne  tolse  l'ispirazione  dallo  scudo  di  Pei'seo. 
A  Perseo  lo  donò  Minerva  ed  era  lucentis- 
simo,  si  che  Medusa,  in  esso  vedendo  ri- 
flessa la  propria  figura,  rimase  assopita  e 
fu  uccisa  da  Pers.  Forse  ha  dato  qualche 
elemento  anche  il  mito  della  testa  di  Me- 
dusa, che  Perseo  scopriva  a  tempo  oppor- 
tuno, e  che  le  arti  ligurative  rappresenta- 
rono sopra  una  corazza  o  sopra  uno  scudo. 

56.  1.  piropo  (gr.  i^ir,  fuoco);  nome  an- 


22 


ORLANDO  FURIOSO 


Cadere  in  terra  allo  splendor  fu  d'uopo 
Con  gli  occhi  abbacinati,  e  senza  mente. 
Perdei  da  lungi  anch'io  li  sensi,  e  dopo 
Gran  spazio  mi  riebbi  finalmente; 
Né  più  i  guerrier,  né  più  vidi  quel  Nano, 
Ma  voto  il  campo,  e  scuro  il  monte  e  il  pia- 
57  [no. 

Pensai  per  questo  che  1"  incantatore 
Avesse  amendui  colti  a  un  tratto  insieme, 
E  tolto  per  virtù  dello  splendore 
La  libertade  a  loro  e  a  me  la  speme. 
Cosi  a  quel  loco,  che  chiudea  il  mio  core, 
Dissi,  partendo,  le  paroh;  estreme. 
Or  giudicate  s' altra  pena  ria, 
Che  causi  Amor,  può  pareggiar  la  mia. 
.58 

Ritornò  il  cavallier  nel  primo  duolo, 
Fatta  che  n'ebl)e  la  cagion  palese. 
Questo  era  il  conte  Piuabel,  figliuolo 
D'Anselmo  d'Altaripa,  Maganzese, 
Che  tra  sua  gente  scelerata,  solo 
Leale  esser  non  volse  né  cortese, 
Ma  ne  li  vizii  abominandi  e  brutti 
Non  pur  gli  altri  adeguò,  ma  passò  tutti. 
59 

La  bella  donna  con  diverso  aspetto 
Stette  ascoltando  il  Maganzese  cheta; 
Che  come  prima  di  Ruggier  fu  detto. 
Nel  viso  si  mostrò  più  che  mai  lieta: 
Ma  quando  senti  poi  eh'  era  in  distretto, 
Turbossi  tutta  d'amorosa  pietà; 
Né  per  una  o  due  volte  contentosse 
Che  ritornato  a  replicar  le  fosse. 
60 

E  poi  ch'ai  fin  le  parve  esserne  chiara, 
Gli  disse:  Cavallier,  datti  riposo; 


lieo   del  granato   orientale   o    carbonchio, 
d' un  colore  acceso. 

—  8.  il  campo  ;  di  battaglia. 

57.  6.  le  parole  estreme  ;  addio;  cioè  :  dissi 
le  ultime  pnrole  di  cungedo  che  si  dicono 
quando  si  lascia  una  cosa  cara.  Comunem. 
questa  espressione  significa:  le  ultime  pa- 
role della  vita.  Petr.  Caìiz.,  xiv,  13  :  Alle 
dolenti  mie  parole, estreme. 

58.  3.  Pinabel.  Si  trova  già  nella  Chan- 
son  de  Roland.  Era  nipote  di  Oano  di  Ma- 
ganza  e  traditore  anch'  egli.  La  casa  di  Ma- 
ganza,  che,  secondo  la  leggenda,  si  chiamò 
cosi  da  Maganza,  figliuola  di  sanguino,  avea 
vecchi  odi  colla  casa  di  Chiaramoiite,  i  quali 
si  erano  andati  accrescendo  per  continui 
delitti  e  tradimenti  dei  Maganzesi.  Questi 
odi  sono  una  caratteristica  dei  poemi  franco- 
italiani. 

59.  5.  in  distretto;  in  prigione:  cosi  an- 
che al  e.  XXII,  40. 

—  (i.  pietà  ;  coli'  accento  ritratto  vale  spes- 
so dolore,  anyoscia, 

60.  1.  ess.    chiara,   certa.    È   espressione 


Che  ben  può  la  mia  giunta  esserti  cava, 
Parerti  questo  giorno  avventuroso. 
Andiam  pur  tosto  a  quella  stanza  avara, 
Che  si  ricco  tesor  ci  tiene  ascoso; 
Né  spesa  sarà  iu  van  questa  fatica, 
Se  fortuna  non  m'è  troppo  nemica. 
61 

Rispose  il  cavallier:  Tu  vuoi  ch'io  passi 
Di  nuovo  i  monti,  e  mostriti  la  via? 
A  me  molto  non  è  perdere  i  passi. 
Perduta  avendo  ogni  altra  cosa  mia; 
Ma  tu  per  balze  e  ruinosi  sassi 
Cerchi  entrare  in  prigione:  e  cosi  sia. 
Non  hai  di  che  dolerti  di  me  poi 
Ch'io  tei  predico,  e  tu  pur  gir  vi  vuoi. 
62 

Cosi  dice  egli  ;  e  torna  al  suo  destriero, 
E  di  quell'animosa  si  fa  guida. 
Che  si  mette  a  periglio  per  Ruggiero, 
Che  la  pigli  quel  Mago  o  che  la  ancida. 
In  questo  ecco  alle  spalle  il  messaggiero, 
Che,  —  aspetta  aspetta  — a  tutta  voce  gri- 
ll messagger  da  chi  il  Circasso  intese  [da. 
Che  costei  fu  eh' all' erba  lo  distese. 
68 

A  Bradamante  il  messaggier  novella 
Di  Mompolier  e  di  Narboua  porta. 
Ch'alzato  li  stendardi  di  Castella 
Avean,  con  tutto  il  lito  d' Acquamorta; 
E  che  Marsiglia,  non  v'essendo  quella 
Che  la  dovea  guardar,  mal  si  conforta, 
E  consiglio  e  soccorso  le  domanda 
Per  questo  messo,  e  se  le  raccomanda. 
64 

Questa  cittade,  e  intorno  a  molte  miglia 
Ciò  che  fra  Varo  e  Rodano  al  mar  siede, 
Avea  rimperator  dato  alla  figlia 
Del  duca  Amon,  in  eh' avea  speme  e  fede; 
Però  che  '1  suo  valor  con  maraviglia 
Riguardar  suol,  quando  armeggiar  la  ve- 
Or,  com'  io  dico,  a  domandare  aiuto      [de. 
Quel  messo  da  Marsilia  era  venuto. 
65 

Tra  si  e  no  la  Giovane  sospesa. 
Di  voler  ritornar  dubita  un  poco: 


frequente  nella  letteratura.  Passavanti,  Sp. 
172:  «Per  essere  più  chiaro  d'esser  bea 
confessato  ». 

61.  2.  i  monti;  i  primi  monti  della  catena 
dei  l'irenei,  sulla  quale  era  il  castello  d'Ati. 

63.  3.  Castella;  CastigUa;  qui  sta  per  la 
Spagna,  dove  regnava  Marsilio- 

—  4.  Acquamorta  ;  Aigues-Mortes. 

64.  1.  intorno  a  molte  miglia;  a  molte 
miglia  intorno  ad  essa. 

--  2.  al  mar  siede  ;  è  sul  mare.  La  regione 
marittima  tra  il  Varo  e  il  Rodano  è  la  Pro- 
venza. 

65.  2.  di  voler.  *  Volere,  Dovere,  Potere, 
come  quelli  che  sono  causa  od   occasione 


CANTO  II 


23 


Quinci  l'onore  e  il  debito  le  pesa, 
Quindi  l'incalza  l'amoroso  foco. 
Fermasi  al  fin  di  seguitar  l'impresa, 
E  trar  Ruggier  de  l'incantato  loco; 
E  quando  sua  virtii  non  possa  tanto, 
Almen  restargli  prigioniera  accanto. 

66 
E  fece  iscusa  tal,  che  quel  messaggio 
Parve  contento  rimanere  e  cheto. 
Indi  girò  la  briglia  al  suo  viaggio, 
Con  Pinabel  che  non  ne  parve  lieto; 
Che  seppe  esser  costei  di  quel  lignaggio 
Che  tanto  ha  in  odioinpublicoein  segreto: 
E  già  s'avvisa  le  future  angosce. 
Se  lui  per  Maganzese  ella  conosce. 

67 
Tra  casa  di  Maganza  e  di  Chiarmoute 
Era  odio  antico  e  inimicizia  intensa; 
E  più  volte  s'avean  rotta  la  fronte, 
E  sparso  di  lor  sangue  copia  immensa: 
E  però  nel  suo  cor  l'iniquo  conte 
Tradir  l'incauta  giovane  si  peusa; 
O,  come  prima  eommodo  gli  accada, 
Lasciarla  sola,  e  trovar  altra  strada. 

68 
E  tanto  gli  occupò  la  fantasia 
Il  nativo  odio,  il  dubbio  e  la  paura; 
Ch'inavedutaraente  usci  di  via, 
E  ritrovossi  in  una  selva  oscura, 


di  ogni  azione  nostra,  dagli  antichi  si  espri- 
mono non  di  rado  senza  necessità;  per  lo 
più  dopo  verbi,  che  siguifìcano  un  intendi- 
mento, uno  sforzo,  un'  istanza,  o  altra  si- 
mile determinazione  dell'  animo  »  Forna- 
ciARi,  Note  al  Decam.,  N.  7,  2,  11, 

—  5.  Fermasi;  stabilisce.  La  forma  rifless. 
in  questo  siguilic.  non  è  frequente.  Villani, 
9,  19,  13  :  Fermossi  di  non  passare  più  m- 
nanzi. 

66.  2.  cheto  ;  tranquillo  nell'  animo.  In 
questo  senso  non  è  citato  dai  Vocab. 

—  7.  s'  avvisa  ecc.  ;  si  figura.  Avvisare 
per  vedere  o  anche  conoscere  col  complem. 
dii'etto  o  col  che  è  frequente  negli  antichi  : 
Nov.  ant.  2  :  «  Maestro,  avvisa  questo  de- 
striere »  :  Brun.  Lat.  Tes.  7,  S  :  «  Avviso 
che  bella  cosa  sia  ecc.  ».  La  forma  riti,  è 
più  rara  :  Sacchetti,  N.  77  «  Avvisiti  tu  di 
nessuuo?»,  Del  riti,  col  complem.  diretto 
si  cita  solo  quest'esempio  dell' a. 

67.  1.  Chiaramonte,  da  cui  prese  nome  la 
casa,  ebbe  per  fratello  Bernardo,  da  cui 
nacquero  Milone,  padre  d' Orlando  ;  Ottone 
d'Inghilterra,  padre  d'Astolfo;  Amone,  pa- 
dre di  Rinaldo,  di  Bradamaute,  di  Ricciar- 
detto, di  Alardo  e  di  Guiscardo. 

—  7.  eommodo  gli  accada;  gli  si  presenti 
comodo,  opportuno.  Accadere  in  questo 
medesimo  senso  vedilo  anche  al  e.  xix, 
41,  3. 


Che  nel  mezzo  avea  un  monte  che  finia 
La  nuda  cima  in  una  pietra  dura: 
E  la  figlia  del  duca  di  Dordona 
Gli  è  sempre  dietro,  e  mai  non  l'abandona. 
69 

Come  si  vide  il  Maganzese  al  bosco. 
Pensò  torsi  la  Donna  da  le  spalle. 
Disse:  Prima  che  '1  ciel  torni  più  fosco. 
Verso  un  albergo  è  meglio  farsi  il  calla 
Oltra  quel  monte  (s'io  Io  riconosco) 
Siede  un  ricco  caste!  giù  ne  la  valle.  • 
Tu  qui  m'aspetta;  che  dal  nudo  scoglio 
Certificar  con  gli  occhi  me  ne  voglio. 
70 

Cosi  dicendo,  alla  cima  superna 
Del  solitario  monte  il  destrier  caccia. 
Mirando  pur  s' alcuna  via  discerna, 
Come  lei  possa  tor  da  la  sua  traccia. 
Ecco  nel  sasso  trova  una  caverna. 
Che  si  profonda  più  di  trenta  braccia. 
Tagliato  a  picchi  et  a  scarpelli  il  sasso 
Scende  giù  al  dritto,  et  ha  una  porta  al  bas- 
71  [so. 

Nel  fondo  avea  una  porta  ampia  e  capace. 
Ch'in  maggior  stanza  largo  adito  dava; 
E  fuor  n'uscia  splendor,  come  di  face 
Ch'ardesse  in  mezzo  alla  montana  cava. 
Mentre  quivi  il  fellon  sospeso  tace, 
La  donna,  che  da  lungi  il  seguitava 
(Perché  perderne  l'orme  si  temea) 
Alla  spelonca  gli  sopragiungea. 
72 

Poi  che  si  vide  il  traditore  uscire, 
Quel  eh' avea  prima  disegnato,  in  vano, 
O  da  sé  torta,  o  di  farla  morire. 
Nuovo  argomento  imaginossi  e  strano. 
Le  si  fé'  incontra,  e  su  la  fé'  salire 
Là  dove  il  monte  era  forato  e  vano; 
E  le  disse  eh' avea  visto  nel  fondo 
Una  donzella  di  viso  giocondo. 


68.  7.  duca  di  D.;  Amone.  Dordona  era 
un  castello  di  Amone,  nella  Guienna  sul 
fiume  Dordogne. 

70.  1.  superna.  Propriam.  significa  :  Su- 
periore ad  altre  cose.  Qui  intendi  :  alla  vetta 
più  alta  del  moute. 

—  7.  a  picchi  ;  a  picconi,  a  forza  di  pic- 
coni. È  parola  fuori  d'uso.  Il  Catalani  (Della 
patria  di  L.  .Ar.  e  dei  reggiauismi  e  lom- 
bardismi di  esso)  lo  dice  un  lombardismo. 

71.  4.  montana  cava;  caverna  montana, 
del  monte. 

—  7.  si  temea.  La  forma  rifl.  non  è  più 
in  uso,  ma  gli  antichi  la  usarono  spesso: 
Caro,  Lett.,  1,  11:  mi  temerei  di  farlo. 

72.  3.  0  da  se  torla  ecc.;  immaginò  nuovo 
modo  di  toglierla  da  se  o  di  farla  morire. 
A  da  se  torla  manca  il  di,  che  darebbe 
una  strana  combinazione  col  da  se.  Sono 
omissioni  freq.  nell'  A.  V.  e.  vi,  31  ;  xxxvii, 
65;  XVII,  92  ecc.;   e  anche  in  altri  poeti; 


24 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'a'bei  sembianti  et  alla  ricca  vesta 
Esser  parea  di  non  ig^nobil  grado; 
Ma  quanto  più  potea  turbata  e  mesta, 
Mostrava  esservi  chiusa  suo  mal  grado: 
E  per  saper  la  condiziou  di  questa, 
Ch'avea  già  cominciato  a  entrar  nel  gua- 
E  che  era  uscito  de  l'interna  grotta      [do  ; 
Un  che  dentro  a  furor  l' avea  ridotta. 
74 

Bradaraante,  che  come  era  animosa, 
Cosi  mal  cauta,  a  Pinabel  die  fede; 
E  d'aiutar  la.donua,  disiosa. 
Si  pensa  come  por  colà  giù  il  piede. 
Ecco  d'un  olmo  alla  cima  frondosa 
Volgendo  gli  occhi,  un  lungo  ramo  vede; 
E  con  la  spada  quel  subito  tronca, 
E  lo  declina  giù  ne  la  spelonca. 
75 

Dove  è  tagliato,  in  man  lo  raccomanda 
A  Pinabello,  e  poscia  a  quel  s'apprende: 


Dante,  Inf.  5,  81  :  «  Venite  a  noi  parlar 
s' altri  non  niega  ». 

73.  6.  Ch'  avea.  Dipende  da  le  disse  della 
St.  72,  7. 

entrar  nel  guado.  Espressione  figu- 
rata, che  vale:  Tentar  la  prova. 

—  7.  interna  grotta  ;  la  più  interna  delle 
due  grotte:  V.  st.  71,  2. 


Prima  giù  i  piedi  ne  la  tana  manda, 
E  su  le  braccia  tutta  si  suspende. 
Sorride  Pinabello,  e  le  domanda 
Come  ella  salti;  e  le  man  apre  e  stende. 
Dicendole:  Qui  fosser  teco  insieme 
Tutti  li  tuoi,  ch'io  ne  spegnessi  il  seme. 
70 
Non  come  volse  Pinabello  avvenne 
De  l'innocente  Giovane  la  sorte; 
Perché  giù  diroccando,  a  ferir  venne 
Prima  nel  fondo  il  ramo  saldo  e  forte. 
Ben  si  spezzò;  ma  tanto  la  sostenne, 
Che  '1  suo  favor  la  liberò  da  morte. 
Giacque  stordita  la  Donzella  alquanto, 
Come  io  vi  seguirò  ne  l'altro  Canto. 


76.  1.  avvenne...  la  sorte.  È  un  costrutto 
notevole.  Più  comunemente  si  ometterebbe 
la  sorte  o  si  userebbe  il  verbo  essere  in- 
vece di  avvenire. 

—  3.  ferir;  percuotere.  Significato  freq. 
anche  in  prosa.  Bocc.  Nov.  42.  «  La  barca 
feri  sopra  il  lido  ». 

—  S.  vi  seguirò;  vi  continuerò  a  dire.  Col 
complemento  di  termine  non  è  frequente  ; 
senza,  è  frequentissimo  anche  in  prosa. 
Pecor.  g.  11,  1:  «  Mi  convien  dire  l'origine 
e  la  cagione,  perché  Fiesole  fu  disfatta  e 
poi  seguire  ecc.  ». 


CANTO   III 


Chi  mi  darà  la  voce  e  le  parole 
Convenienti  a  si  nobil  suggetto  ? 
Chi  l'ale  al  verso  presterà,  che  vole 
Tanto,  ch'arrivi  all'alto  mio  concetto  ? 
Molto  maggior  di  quel  furor  che  suole. 
Ben  or  convien  che  mi  riscaldi  il  petto  ; 
Che  questa  parte  al  mio  Signor  si  debbe, 
Che  canta  gli  avi,  onde  l'origine  ebbe  : 
2 

Di  cui  fra  tutti  li  Signori  illustri, 
Dal  ciel  sortiti  a  governar  la  terra, 


1.  1.  Chi  mi  darà.  È  uno  dei  pochi  esordi 
(dodici  in  tutti),  che  non  hanno  una  rifles- 
sione morale:  ma  pur  di  quei  dodici,  solo 
quattro  riprendono,  senz'altro,  il  racconto 
del  canto  precedente. 

—  5.  furor;  estro,  ispirazione  poetica.  È 
latinismo  usato  spesso  dai  nostri.  Vasari, 
Vn.  \,  74:  nascendo  in  un  subito  dal  furore 
dell'arte  ecc. 

2.  1.  Di  cui.  Si  rifer.  ad  avi. 


Non  vedi,  o  Febo,  che  '1  gran  mondo  lustri. 
Più  gloriosa  stii-pe  o  in  pace,.o  in  guerra; 
Né  che  sua  nobiltade  abbia  più  lustri 
Servata,  e  servarà  (s' in  me  non  erra 
Quel  profetico  lume  che  m' inspiri) 
Fin  che  d'intorno  al  polo  il  ciel  s'aggiri. 


—  "i.  lustri;  illumini.  É  il  .virgiliano, 
£'«.,  IV,  607:  Sol  qui  terrarum  flammis  opera 
omnia  lustras. 

—  5.  sua  nobiltade.  Storicamente  le  ori- 
gini di  casa  D' Este  rimontano  al  sec.  x  ;  ma 
r  A.  le  fa,  con  Ruggero,  risalire  ai  Troiani. 

—  6.  servarà.  Queste  forme  con  a,  del  fu- 
turo e  del  condizionale  della  1'  coniug.,  sono 
usate  dagli  antichi  egualmente  che  le  altre 
con  e.  Il  Cittadini,  Note  alle  Prose  del 
Bembo,  III,  p.  56,  dice  che  i  Fiorentini  ama- 
vano la  e,  i  Senesi  Va.  Quanto  al  costrutto, 
sottintendi  la:  V.  e.  I,  21,  7. 

—  8.  Finché  ecc.  La  profezia  non  si  av- 
verò, perché  la  casa  D'Este  si  spense  nel 

1803  colla  morte  di  Ercole  Rinaldo,  che  la 


CANTO  III 


25 


E  volendone  a  pieu  dicer  gli  onori, 
Bisogna  non  la  mia,  ma  quella  cetra 
Con  che  tu  dopo  i  gigaatei  furori 
Rendesti  grazia  al  Regnator  de  l'etra. 
S' instrumenti  avrò  mai  da  te  migliori, 
Atti  a  sculpire  in  cosi  degna  pietra, 
In  queste  belle  iraagini  diseguo 
Porre  ogni  mia  fatica,  ogni  mio  ingegno. 

4 
Levando  in  tanto  queste  prime  rudi 
Scaglie  n'andrò  collo  scarpello  inetto  : 
Forse  eh' ancor  con  più  solerti  studi 
Poi  ridurrò  questo  lavor  perfetto. 
Ma  ritorniamo  a  quello,  a  cui  né  scudi 
JPotran,  né  usberghi  assicurare  il  petto: 
Parlo  di  Pinabello  di  Maganza, 
Che  d'uccider  la  donna  ebbe  speranza. 

5 
Il  traditor  pensò  che  la  Donzella 
Fosse  nell'alto  precipizio  morta; 
E  con  pallida  faccia  lasciò  quella 
Trista  e  per  lui  contaminata  porta, 
E  tornò  presto  a  rimontar  in  sella: 
E,  come  quel  ch'avea  l'anima  torta, 
Per  giunger  colpa  a  colpa  e  fallo  a  fallo, 
Di  Bradamante  ne  menò  il  cavallo. 

6 
Lascian  costui,  che  mentre  all'altrui  vita 
Ordisce  inganno,  il  suo  morir  procura; 
E  torniamo  alla  donna  che,  tradita, 
(^uasi  ebbe  aun  tempo  e  morte  e  sepoltura. 
Poi  ch'ella  si  levò  tutta  stordita, 
Ch'avea  percosso  in  su  la  pietra  dura. 


sciò  la  figlia  Maria  Beatrice,  sposata  a  Fer- 
dinando Arciduca  d'Austi-ia. 

3.  3.  i  gigantei  furori;  dopo  vinti  i  giganti. 
L'idea  è  di  Tibullo,  Jib.  II,  el.  5.  «  Qualem  te 
memorant,  Saturno  rege  fugato,  viatori  lau- 
des  concìnuisse  lovi  ».  Apollo  interveniva, 
come  cantore,  a  celebrar  le  feste  di  Giove; 
specialmente  la  sua  vittoria  sul  padre  Sa- 
turno. L'A.  ha  dato  novità  all'immagine  e 
alla  espressione. 

—  4.  Rendesti  grazia:  per  avere  liberato 
gli  dei  dai  giganti,  che  li  assalirono.  \on 
occorre,  come  fanno  alcuni,  intendere  gra- 
zia per  lode;  signitlcato,  che  non  esiste. 

—  5.  instrnmenti  ecc.  Immagini  tolte  dalla 
:scultura:  la  pietra  è  la  storia  degli  Estensi; 
gV  istrumenti,\di  poesia;  le  belle  immagini, 
i  particolari  della  casa  Est. 

4.  5.  a  cui  ecc.  ^'.  per  (luesto  il  e.  XXIII,  4. 

5.  2.  alto;  profondo. 

—  7.  colpa...  fallo.  Qui  non  dicono  vera- 
mente un'idea  diversa;  ma  i  poeti  epici 
•^"indugiano  volentieri  nelle  sfumature  della 
•:essa  idea. 

6.  0.  Ch'avea;  poiché  avea.  Si  noti  ora 
per  sempre  che  Va.  a  volte  segnò  l'accento 


Dentro  la  porta  andò,  ch'adito  dava 
Ne  la  seconda  assai  più  larga  cava. 
I  7 

La  stanza,  quadra  e  spaziosa,  pare 
Una  devota  e  venerabil  chiesa, 
Che  su  colonne  alabastrine  e  rare 
Con  bella  architettura  era  sospesa. 
Surgea  nel  mezzo  un  ben  locato  altare, 
Ch'avea  dinanzi  una  lampada  accesa; 
E  quella  di  splendente  e  chiaro  foco 
Rendea  gran  lume  all'uno  e  all'altro  loco. 
8 

Di  devota  umiltà  la  Donna  tocca, 
Come  si  vide  in  loco  sacro  e  pio, 
Incominciò  col  core  e  con  la  bocca. 
Inginocchiata,  a  mandar  prieghi  a  Dio. 
Un  picciol  uscio  intanto  stride  e  crocea. 
Ch'era  all'incontro,  onde  una  donna  uscio 
Discinta  e  scalza,  e  sciolte  avea  le  chiome. 
Che  la  donzella  salutò  per  nome; 
9 

E  disse:  0  generosa  Bradamante, 
Non  giunta  qui  senza  voler  divino, 
Di  te  pili  giorni  m'ha  predetto  inante 
Il  profetico  spirto  di  Merlino, 


a  questi  che,  altre  l'omise.  Il  contesto  serve 
a  stabilire  questo  e  i  moltissimi  altri  signi- 
lìcati,  che  tal  parola  ha  nel  Furioso. 

7.  7.  foco;  fiaccola.  In  questo  senso  l'usò 
già  Lor.  de'  Medici;  Op.  1,  74;  Come  lucerna 
all'  ora  mattutina.  Quando  manca  l' umor, 
che  '1  foco  tiene. 

8.  5.  crocea;  crocchia.  Questa  forma  del 
verbo  crocchiare,  e  questo  senso  speciale 
per  lo  stridore  degli  usci,  non  sono  registr. 
dalla  Cr. 

—  7.  Discinta  e  scalza.  Ciò  era  proprio 
del  rito  magico.  Viro.  Eh.  4,  509,  51S.  «  Cri- 
iies  effusa  sacerdos  »  «  Unum  exuta  pedani 
vinclis,  in  vesU'  recincta  ». 

9.  2.  senza  voler  divino.  Daxt.,  inf.  xxil, 
S2:  senza  voler  divino  e  fato  destro. 

—  3.  pili  giorni...  inante;  più  giorni  avanti 
questo. 

—  1.  Merlino.  È  personaggio  del  ciclo  Bret- 
tone, di  fondo  storico.  Fu  bardo  Brettone 
che  visse  fra  il  v  e  il  vi  sec.  d.  Cr.  La  leg- 
genda lo  fece  profeta  e  mago,  maestro  d'Ar- 
tu,  fondatore  della  Tavola  Rotonda:  si 
disse  nato  da  un  console  romano  e  da  una 
vestale  ;  oppure  da  uno  spirito  dell'  aria  e 
da  una  monaca;  o  anche  da  una  donna  e 
da  un  demonio  (v.  e.  xxx,  9).  S'innamorò 
di  Viviana,  e  secondo  altri  della  Donna  del 
Lago.  Fece  per  sé  e  per  lei  nella  selva  di 
Xorthes,  e  secondo  alcuni  nella  selva  di 
Brocelian,  una  sepoltura,  dove  i  loro  corpi 
sarebbero  stati  inviolabili  {reliquie  sante), 
perché,  mediante  un  certo  incantesimo,  una 
volta  chiusa,  non  si  sarebbe  potuta  aprii" 


26 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  visitar  le  sue  reliquie  sante 
Dovevi  per  insolito  camino: 
E  qui  son  stata  acciò  eh'  io  ti  riveli 
Quel  c'han  di  te  già  statuito  i  cieli. 
10 

Questa  è  l'antiqua  e  memoiabil  grotta 
Ch'edificò  Merlino,  il  savio  Mago 
Che  forse  ricordare  odi  talotta. 
Dove  ingannoUo  la  Donna  del  Lago. 
Il  sepolcro  è  qui  giù,  dove  corrotta 
Giace  la  carne  sua;  dov'egli  vago 
Di  sodisfare  a  lei  clie  gli  '1  suase, 
Vivo  corcossi,  e  morto  ci  rimase. 
11 

Col  corpo  morto  il  vivo  spirto  alberga, 
Sin  ch'oda  il  suon  de  l'angelica  tromba 
Che  dal  ciel  lo  bandisca,  o  che  ve  l'erga, 
.Secondo  che  sarà  corvo,  o  colomba. 
Vive  la  voce;  e  come  chiara  emerga, 
Udir  potrai  da  la  marmorea  tomba  ; 
Che  le  passate  e  le  future  cose, 
A  chi  gli  domandò,  sempre  rispose. 
12 

Più  giorni  son  eh'  in  questo  cimiterio 
Venni  di  remotissimo  paese, 
Perché  circa  il  mio  studio  alto  misterio 
Mi  facesse  Merlin  meglio  palese: 
E  perché  ebbi  vederti  desiderio. 
Poi  ci  son  stata  oltre  il  disegno  un  mese; 
Che  Merlin,  che  '1  ver  sempre  mi  predisse. 
Termine  al  venir  tuo  questo  dì  fisse. 
13 

Stassi  d'Amon  la  sbigottita  figlia 
Tacita  e  fissa  al  ragionar  di  questa; 
Et  ha  si  pieno  il  cor  di  maraviglia. 
Che  non  sa  s'ella  dorme,  o  s'ella  è  desta  : 


più.  La  donna,  che  nan  amava  Merlino,  lo 
fece,  con  un  pretesto,  entrare  nella  sepol- 
tura e  ve  lo  chiuse.  Secondo  i  romanzi  del 
ciclo  d'Artù,  Merlino  era  nella  tomba  ancor 
vivo;  l'A.  modifica  la  tradiz.  dicendo  che 
«  col  corpo  morto  il  vivo  spirto  alberga  ». 

10.  7.  gli  '1  snase,  glie  lo  persuase.  V. 
St.  64,  n.  3. 

11.  4.  corvo  0  colomba.  Forse  è  un  ricordo 
del  verso  di  Giovenale,  sai.  ii,  63:  «  Dat  ve- 
niam  corvis  vexat  censura  columbas  ». 

12.  1.  cimiterio;  sepolcro.  Dante,  Par.  27, 
25  «  Fatto  ha  del  cimiterio  mio  cloaca  ». 

—  2.  di  remot.  paese;  di  Mantova:  V.  e. 
XLii,  20  seg. 

—  3.  circa  il  mio  studio;  perché  Merlino 
mi  rivelasse  un  mistero,  che  si  riferisce  ai 
miei  studi  magici.  Se  si  deve  ricongiungere 
Valto  mistero  a  ciò  che  è  detto  ai  canto  xliii, 
«ara  stato  il  modo  di  vincere  il  cuore  di 
quell'  uomo  restio.  Ma  forse  Melissa  ha  vo- 
lato esprimersi  in  un  modo  vago,  come  fa 
persona,  che  non  vuol  dire  i  fatti  suoi. 

—  8.  fisse;  da  figgere,  determinare. 


E  con  rimesse  e  vergognose  ciglia 
(Come  quella  che  tutta  era  modesta) 
Rispose  :  Di  che  merito  son  io, 
Ch'antiveggian  profeti  il  venir  mio  ? 

U 
E  lieta  de  l'insolita  avventura, 
Dietro  alla  maga  subito  fu  mossa, 
Che  la  condusse  a  quella  sepoltura 
Che  chiudea  di  Merlin  l'anima  e  l'ossa. 
Era  quell'arca  d'una  pietra  dura, 
Lucida  e  tersa,  e  come  fiamma  rossa  ; 
Tal  cli'alla  stanza,  ben  che  di  Sol  priva, 
Dava  splendore  il  lume  che  u'  usciva. 

15 
0  che  natura  sia  d'alcuni  marmi 
Che  muovin  l'ombre  a  guisa  di  facelle, 
0  forza  pur  di  suffumigi  e  carmi 
E  segni  impressi  all'osservate  stelle, 
(Come  più  questo  verisimil  parmi)  ; 
Discopria  lo  splendor  più  cose  belle 
E  di  scultura  e  di  color,  ch'intorno 
Il  venerabil  luogo  aveano  adorno. 

16 
A  pena  ha  Bradamante  dalla  soglia 
Levato  il  pie  ne  la  secreta  cella, 


14.  2.  fu  mossa.  Si  fa  mossa,  si  mosse.  Il 
trapass,  invece  del  pass,  usarono  spesso  gli 
anticlii  per  indicare  la  prontezza,  con  cui 
un  atto  si  compie.  V.  Fornac,  Novellescelte 
del  Bocc.  pag.  97,5  (ediz.  Sansoni),  dove  si 
citano  diversi  esempi  del  Bocc. 

—  S.  Dava  splendore.  II  sepolcro  non  era 
nella  cava  illuminata  dalla  lampada,  ma 
presso  e  più  in  basso  (il  sepolcro  è  qui  giù), 
in  luogo  appartato  (un  piccol  uscio  intanto 
stride  e  crocea). 

15.  2.  muovin  l'ombre;  rimuovan  l'ombre. 
La  terminazione  ino,  che  è  forma  popol., 
è  comunissima  negli  antichi  per  il  cong. 
pres.  della  2*  e  3''  coniug. 

—  3.  suffumigi.  Si  facevano  specialmente 
d'incenso,  di  bitume,  di  verbene.  Viro.  Ed. 
8,  65:  «Verbenasque  adole  pingues  et  inascH- 
la  thura».  Carmi,  erano  le  forinole  degli  in- 
canti, le  quali  dapprima  furono  in  versi; 
perciò  rimase  poi  loro,  fra  gli  antichi  e  nel 
Medio  Evo,  il  nome  di  carmi  anche  se  in 
prosa.  Segni:  si  cliiamavano  anche  carat- 
teri ed  erano  segni  strani,  che  si  facevano 
in  terra,  su  carta  ecc.,  osservando  prima 
le  stelle.  —  All'  osservate  stelle,  all'osser- 
vazione delle  stelle. 

—  5.  Come  piri  questo  ecc.  Vi  è  la  fusione  ■ 
di  due  costrutti  :  Come  più  verisimil  parmi  : 
E  questo  più  veris.  parmi. 

—  7.  di  color,  di  pittura. 

16.  2.  Levato  il  pie  nella  ecc.  ;  levato  il 
pie  dalla  soglia  e  avanzatolo  nella  s.  e.  È 
una  brachilogia,  atta  a  dipingere  quel  mo- 
vimento. 


CANTO  III 


27 


Che  '1  vivo  spirto  da  la  morta  spoglia 
Con  chiarissima  voce  le  favella: 
Favorisca  Fortuna  ogni  tua  voglia, 
O  casta  e  nobilissima  Donzella, 
Del  cui  ventre  uscirà  il  seme  fecondo. 
Che  onorar  deve  Italia  e  tutto  il  mondo. 
17 
L'antiquo  sangue  che  venne  da  Troia, 
Per  li  duo  miglior  rivi  in  te  commisto, 
Produrrà  l'ornamento,  il  fior,  la  gioia 
D'ogni  lignaggio  ch'abbi  '1  Sol  mai  visto 
Tra  l'Indo  e  'ì  Tago  e  '1  Nilo  e  la  Danoia, 
Tra  quanto  è  'n  mezzo  Antartico  e  Calisto. 
Nella  progiene  tua  con  sommi  onori 


17.  1.  L'antico  sangue.  L'amore  delle  ge- 
nealogie illustri  era  comune  nel  Medio  Evo. 
Alludendo  a  queste  disse  Faz.  degli  Uberti, 
Dittam.  IV,  18:  «Tu  dei  sapere  che  nel  tempo 
antico,  Ch'arsa  fu  Troia,  nel  mondo  i  Troiani 
Per  tutto  germogliar  come  il  panico  ».  Questa 
genealogia  Ariostesca  è  inventata  dal  Boiar- 
do, II,  XXI,  55  seg.  L'A.  la  riprende  e  la  con- 
tinua, ma  a  differenza  del  B.,  sopprime  il 
periodo  germanico,  secondo  il  quale  i  pros- 
simi discendenti  di  Bradamante  e  di  Rug- 
gero avrebbero  avuto  sede  in  Sassonia.  Del 
resto  per  le  origini  degli  Estensi  c'erano 
già  delle  leggende.  «  Altri  scrittori  ci  rap- 
presentano questa  casa  florida  e  feconda 
di  Eroi  e  dominante  in  Este  già  circa  l'anno 
428  dell'Era  volg.  ».  Muratori,  Ant.  Est. 
I,  242. 

—  2.  duo  miglior  rivi.  Questi  rivi  sono  le 
due  linee  che  derivarono,  secondo  la  leg- 
genda, da  Astianatte  figlio  di  Ettore  (V.  In- 
nam.  Ili,  v;  e  Furioso  e.  xxxvi)  e  che  eb- 
bero a  principio,  l' una  Costante,  donde 
venne  la  casa  di  Chiaramonte  a  cui  appar- 
teneva Brad.,  l'altra  Clodovaco,  dal  quale 
discesero  gli  antenati  di  Ruggero.  Li  dice 
i  migliori  rivi  perché,  procedendo  da  Etto- 
re, portavano  il  miglior  sangue  di  Troia. 

—  3.  la  gioia;  il  gioiello.  Dante,  Par.  xv, 
86:  Che  questa  gioia  preziosa  ingemmi. 

—  4.  abbi,  abbia.  V.  e.  xv,  86,  n.  5. 

—  5.  Tra  l'Indo  ecc.  L'Indo  è  fiume  del- 
l'Asia, il  Tago  della  Spagna,  il  Nilo  dell'Af- 
frica, il  Danubio  dell'  Austria  :  {Danoia  l'usò 
già  Dante,  ed  è  forma  più  vicina  al  tedesco 
Donau).  Si  vogliono  indicare  i  quattro  punti 
cardinali. 

—  6.  Antartico  e  Cai.  Antartico  è  usato 
sostantivamente  e  senza  articolo,  forse  per 
influenza  del  seg.  Calisto,  e  vale  Polo  an- 
tart.:  Calisto  è  la.  costellaz.  dell' Orsa  mag- 
giore, al  polo  artico,  si  favoleggiò  che  in 
essa  fosse  cangiata  Calisto  ninfa  d'Arcadia 
amata  da  Giove.  Anche  qui  si  ripete  il  con- 
cetto del  verso  precedente  con  altra  imma- 
gine. 


Saran  Marchesi,  Duci  e  Imperatori. 
18 

I  Capitani  e  i  Cavallier  robusti 
Quindi  usciran,  che  col  ferro  e  col  senno 
Ricuperar  tutti  gli  onor  vetusti 
De  l'arme  invitte  alla  sua  Italia  denno. 
Quindi  terran  lo  scettro  i  Signor  giusti, 
Che,  come  il  savio  Augusto  e  Numafenno, 
Sotto  il  benigno  e  buon  governo  loro 
Ritorneran  la  prima  età  de  l'oro. 
19 

Acciò  dunque  il  voler  del  ciel  si  metta 
In  effetto  per  te,  che  di  Ruggiero 
T'  ha  per  inoglier  fin  da  principio  eletta. 
Segue  animosamente  il  tuo  sentiero  ; 
Che  cosa  non  sarà  che  s' intrometta, 
Da  poterti  turbar  questo  pensiero, 
Si  che  non  mandi  al  primo  assalto  in  terra 
Quel  rio  ladron  ch'ogni  tuo  ben  ti  serra. 
20 

Tacque  Merlino  avendo  cosi  detto. 
Et  agio  all'opre  de  la  Maga  diede, 
Ch' a  Bradamante  dimostrar  l'aspetto 
Si  preparava  di  ciascun  suo  erede. 
Avea  di  spirti  un  gran  numero  eletto, 
Non  so  se  da  l' inferno  o  da  qual  sede. 
E  tutti  quelli  in  un  luogo  raccolti 
Sotto  abiti  diversi  e  varii  volti. 


—  S.  Imperatori.  Nel  ramo  germanico. 
Ottone  IV  discendeva  da  Guelfo  IV  Estense. 
Inoltre,  per  parte  di  donne,  discesero  dagli 
F:stensi  altri  imperatori.  Duci;  è  il  plurale 
di  Duca;  più  comunem.  duchi  ;  seppure  non 
è  il  plur.  di  duce,  usato  nel  senso  di  Duca, 
come  al  e.  xxxiv,  S. 

18.  5.  Quindi  terran.  Brachilogia:  Quindi 
usciranno  quei  che  terranno  ecc. 

—  8.  prima  ;  delle  quattro  età  che  comu- 
nemente distinguevansi  dagli  antichi  :  età 
dell'oro,  dell'argento,  del  bronzo,  del  ferro. 

19.  3.  fin  da  principio.  É  espressione  scrit- 
turale (in  prDiciino)  e  vale:  ab  eterno,  ne- 
gli eterni  decreti.  — .i(ot/^?('r,V.  e,  xviii,53,7. 

—  4.  Segue.  L'A.  USÒ  sette  volte  questi 
imperativi  alla  latina  in  e  della  2"  coniug. 
Avverti  che  segue  viene  Aa,  seguere;  come, 
al  e.  X,  scoiare  da  scorrere.  La  letteratura 
antica  ne  offre  molti  esempi,  che  puoi  ve- 
dere in  Nannlxci,  Analisi  cnt.  dei  verbi 
ital.  p.  263  seg. 

— •  8.  Quel  rio  ladron  ;  Atlante,  che,  ru- 
bando Ruggero  a  Bradamante,  per  essa  e 
per  Melissa  era  un  ladrone. 

20.  5.  Avea  di  spirti  ecc.  Questa  rassegna 
è  imitata  da  Viro.,  En.  iv,  713  seg.  Ma  in 
Virgilio  sono  proprio  le  anime  dei  futuri 
nepoti,  che  si  presentano  a  Enea  ;  qui  ne 
prendono  l' aspetto  i  demoni.  Quantunque 
il  Poeta  dica  «  Non  so  se  dall'  inferno  o  da 
qual  parte  »,  pure   sappiamo  che  i  maghi 


28 


ORLANDO  FURIOSO 


21 

Poi  la  Donzella  a  sé  richiama  in  chiesa, 
Là  dove  prima  avea  tirato  un  cerchio 
Che  la  potea  capir  tutta  distesa, 
Et  avea  un  palmo  ancora  di  superchio. 
E  perché  da  li  spirti  non  sia  ottesa, 
Le  fa  d'un  gran  pentacolo  coperchio  ; 
E  le  dice  che  taccia  e  stia  a  mirarla  : 
Poi  scioglie  il  libro,  e  coi  demoni  parla. 
22 

Eccovi  fuor  de  la  prima  spelonca,    Isa-, 
Che  gente  intorno  al  sacro  cerchio  ingros- 
Ma  come  vuole  entrar,  la  via  Tè  tronca, 
Come  lo  cinga  intorno  muro  e  fossa. 
In  quella  stanza,  ove  la  bella  conca 
In  sé  chiudea  del  gran  Profeta  l'ossa, 
Entravan  l'ombre,  poi  ch'avean  tre  volte 
Fatto  d'intorno  lor  debite  volte. 
23 

Se  i  nomi  e  i  gesti  di  ciascun  vo'  dirti 
(Dicea  l'incantatrice  a  Bradaraante) 
Di  questi  ch'or  per  gl'incantati  spirti, 
Prima  che  nati  sien,  ci  sono  avante. 
Non  so  veder  quando  abbia  da  espedirti  ; 
Che  non  basta  una  notte  a  cose  tante  : 
Si  eh'  io  te  ne  verrò  scegliendo  alcuno, 
Secondo  il  tempo,  e  che  sarà  opportuno. 
24 

Vedi  quel  primo,  che  ti  rassimiglia 
Ne'  bei  sembianti  e  nel  giocondo  aspetto: 


Capo  in  Italia  fia  di  tua  famiglia, 
Del  seme  di  Ruggiero  in  te  concetto. 
Veder  del  sangue  di  Pontier  vermiglia 
Per  mano  di  costui  la  terra,  aspetto, 
E  vendicato  il  tradimento  e  il  torto 
Centra  quei  che  gli  avranno  ilpadre  morto. 
25 

Per  opra  di  costui  sarà  deserto 
Il  Re  de'  Longobardi  Desiderio  : 
D'  Este  e  di  Calaon  per  questo  merto 
Il  bel  domino  avrà  dal  sommo  Imperio. 
Quel  che  gli  è  dietro,  è  il  tuo  nipote Uber- 
Onor  de  l'arme  e  del  paese  Esperio:    [to. 
Per  costui  centra  Barbari  difesa 
Pili  d'una  volta  fia  la  santa  Chiesa. 
26 

Vedi  qui  Alberto,  invitto  capitano. 
Ch'ornerà  di  trofei  tanti  delubri  : 
Ugo  il  figlio  è  con  lui,  che  di  Milano 
Farà  l'acquisto,  e  spiegherà  i  Colubri. 
Azzo  è  quell'altro,  a  cui  resterà  in  mano 
Dopo  il  fratello  il  regno  degl'Insubri. 


non  avean  potere  che  su  i  demoni.  Ciò  fece 
Va.  forse  per  non  urtare  nella  dottrina  cat- 
tolica, ammettendo  la  metempsicosi  virgi- 
liana. 

21.  1.  chiesa.  V.  st.  7,  2. 

—  6.  pentacolo  (gr.  pente,  cinque)  arnese 
magico  a  guisa  di  stella  a  cinque  punte,  di  j 
metallo  o  di  cartapecora  con  segni  e  ligure  i 
magiche.  l 

—  8.  il  libro  ;  degli  incantesimi,  detto  an-  i 
che  libro  del  comando.  | 

22.  1.  Eccovi.   Il  vi  è  pleonastico.  V.  e. 
xn,  80,  n.  7.  j 

—  2.  sacro.  L'  .\.  usò  più  volte  questo  ag-  ! 
gettivo  riferito  a  cose  magiche.  V.  e.  ii,  42  ;  j 
XII,  57.  I 

—  5.  conca;  urna.  V.  e.  vii,  37.  È  un  uso  | 
speciale  dell' A.  | 

—  8.  debite  volte;  i  tre   giri   imposti  loro  ' 
dal  rito  magico.  Cfr.  Viro.  Ey!.  8,  75.  1 

23.  1.  se  vo' dirti...  non  so  veaer.  u'indica-  | 
tivo  mostra  il  desiderio  iniziale  di  dire, 
frenato  da  una  riflessione  posteriore  ;  il  ; 
cong.  :  Se  volessi  ecc.,  mostrerebbe  il  prò-  j 
posilo  di  non  dire,  già  fatto  prima  d' inco- 1 
minciare  a  parlare.  > 

24.  1.  Vedi  quel  primo.  È  Ruggerino  o  i 
Ruggeretto.  Tutto  ciò,  che  di  lui  dice  l'A.,  ' 
non  ha  riscontro  nella  storia  ed  è  inveu-  j 
zicne  del  poeta.  Il  luogo  è  imitalo  da  Viro.  \ 


En.  VI,  760  seg.  «  Ille  vides  pura  juvenis 
qui  nititur  basta  Prima  sorte  tenet  lucis 
loca;  primus  ad  auras  Aetherias  italo  com- 
mixtus  sanguine  surget  ».  Il  resto  della  ge- 
nealogia Ariostesca  fino  ad  Azzo  V  è  con- 
fuso e  pieno  d' errori  e  d' inesattezze.  L'A. 
attinge  alle  antiche  tradizioni  e,  qua  e  là, 
alle  cronache  antiche  :  non  so  che  esista 
una  fonte  determinata  di  queste  notizie. 

—  S.  il  padre  morto.  Quest'  idea  malinco- 
nica è  già  accennata  dal  Boiardo,  Inn.  Il, 
XVI,  53  ;  che  fa  dire  al  vecchio  Atlante  :  il 
ciel  vuole...  Che  a  tradimento  (Ruggero)  sia 
ucciso  con  pene. 

25.  .;.  Este  e  Calaone.  Son  due  castelli  del 
Padovano,  che  l'A.  suppone  donati  da  C. 
Magno  a  Ruggeretto. 

—  ").  Uberto.  Non  è  storico.  Forse  l'A.  ha 
fatta  confusione  con  Oberto  I,  che  promosse 
la  venuta  di  Ottone  il  grande  in  Italia  e 
mori  nel  977  (?). 

—  6.  paese  esperio  ;  l'Italia;  detta  dai  greci 
Esperia,  cioè  Occidentale,  perché,  per  ri- 
spetto a  loro,  posta  a  occidente. 

26.  1.  Alberto.  Non  è  storico.  Forse  è 
confuso  con  Oberto  li. 

—  3.  Ugo.  È  storico.  Figlio  di  Uberto  II, 
fu  conte  di  Milano  (1021)  e  mori  nel  1039  o  1010. 

—  4.  spieg.  i  colubri.  Più  propr.  Il  CO- 
lubro.  La  vipera,  che  ha  in  bocca  un  bam- 
bino, è  antichissima  arme  dei  Visconti  (dal 
1050  circa)  concessa  loro,  pare,  da  Milano, 
che  ebbe  poi  croce  rossa  in  campo  bianco. 

—  5.  Azzo.  C'è  un  errore  storico;  per- 
ché ad  Ugo  successe,  non  il  fratello  (Alber- 
tazzo  I),  ma  il  figlio  di  questo,  Albertazzo  li, 
ni.  1044  circa. 

—  G.  il  r.  degl'  Insubri  ;    il   Milanese.   Gli 


CANTO  III 


29 


Ecco  Albertazzo,  il  cui  savio  consiglio 
Torrà  d' Italia  Beringario  e  il  figlio; 
27 

E  sarà  degno,  a  cui  Cesare  Otone 
Alda  sua  figlia  in  raatrinionio  aggiunga. 
Vedi  un  altro  Ugo:  oh  bella  successione 
Che  dal  patrio  valor  non  si  dislunga  ! 
Costui  sarà,  che  per  giusta  cagione 
Ai  superbi  Roman  l'orgoglio  emunga, 
Che  '1  terzo  Otone  e  il  Pontefice  tolga 
De  le  man  loro,  e  '1  grave  assedio  sciolga. 
28 

Vedi  Folco,  che  par  ch'ai  suo  germano, 
Ciò  che  in  Italia  avea,  tutto  abbi  dato; 
E  vada  a  possedere  indi  lontano 
In  mezzo  agli  Alamanni  un  gran  Ducato, 
E  dia  alla  casa  di  Sansogna  mano, 


Insubri  furono  popolo  antico,  che  abitava 
fra  l'Adda  e  il  Ticino. 

—  7.  Albertazzo.  È  Alb.  II.  L'A.  gli  attri- 
buisce fatti  non  veri.  Non  promosse  la  ve- 
nuta d'Ottone,  non  sappiamo  che  sposasse 
un'  Alda,  né  ebbe  che  fare  con  Berengario, 
che  mori  78  anni  prima  di  lui  (966). 

27.  1.  degno  a  cui.  Costrutto  latino:  (I 
Latini  dicevano  DLgnus  ut  e  Dignus  qui) 
l'A.  lo  preferisce  all'  altro  più  comune  De- 
gno che. 

—  3.  Ugo,  Conte  di  Maine  (ra.  1097).  È 
falso  ciò  che  gli  attribuisce  W\.  e  che  si 
riferirebbe  ai  tempi  e  alle  vicende  di  papa 
Gregorio  V  (996-999).  Questi,  combattuto  dal 
console  romano  Crescenzio,  si  rifugiò  a  Pa- 
via, donde  coli'  imperatore  Ottone,  di  cui 
era  nipote,  venne  a  riprendere  il  possesso 
di  Roma  e  a  punire  l'antipapa  e  Crescenzio. 

—  6.  emunga;  sprema,  tolga.  Dopo  l'A. 
l'usarono  fìgurat.  anche  altri.  Monti,  Poe- 
sie 1,  261  :  «  E  gli  emunga  il  carnefice  l' orgo- 
glio ».  Si  aspetterebbe  il  futuro  onungerà  ; 
ma  il  cong.  enuuzia  la  cosa  come  pensiero 
di  chi  parla,  r  indicativo  l'enunzierebbe  co- 
me un  fatto. 

28.  1.  Folco.  É  storico,  ed  è  il  capostipite 
dei  duchi  di  Ferrara.  Mori  nel  1136.  È  falso 
ciò  che  r.\.  gli  attribuisce..  In  Germania 
passò  invece  suo  fratello  Guelfo  iv,  nel 
quale  si  ridussero  le  case  di  Cai'inzia  e  di 
Baviera  colla  morte  dell'avo  materno  Guel- 
fo II  duca  di  Carinzia,  dello  zio  materno 
Guelfo  III  e  di  Arrigo  di  Baviera,  frateUo 
della  sua  nonna  {tutta  da  un  lato,  v.  6). 

par;  è  in  tale   atteggiamento,  che 

sembra  aver  già  fatto  quello,  che  dovrà 
fare  negli  anni  futuri. 

—  5.  casa  di  Sansogna.  È  un  errore,  per- 
ché il  ducato  di  Sassonia  fu  dato  all'Estense 
Arrigo  VI  il  superbo  solo  nel  1136;  cioè  65 
anni  dopo  che  Guelfo  IV  era  diventato  duca 
di  Baviera. 


Che  caduta  sarà  tutta  da  un  Iato; 
E  per  la  linea  della  madre,  erede, 
Con  la  progenie  sua  la  terrà  in  piede. 

29 
Questo  ch'or  a  nui  viene,  è  il  secondo 
Di  cortesia  pili  che  di  guerre  amico,  |Azzo, 
Tra  dui  figli,  Bertoldo  et  Albertazzo. 
Vinto  da  l'uu  sarà  il  secondo  Enrico  ; 
E  del  sangue  Tedesco  orribil  guazzo 
Parma  vedrà  per  tutto  il  campo  aprico  : 
De  l'altro  la  Contessa  gloriosa. 
Saggia  e  casta  Matilde,  sarà  sposa. 

30 
Virtù  il  farà  di  tal  connubio  degno; 
Ch'a  quella  età  non  poca  laude  estimo 
Quasi  di  mezza  Italia  in  dote  il  reguo, 
E  la  nipote  aver  d'Enrico  primo. 


29.  3.  Bertoldo,  Arbertazzo.  Ricobaldo,  an- 
tico storico  Ferrarese,  rammenta  un  Ber- 
toldo marchese  Estense,  che  resistette  al- 
l'Imperatore Enrico  IV,  e  fu  fedele  alla 
Chiesa;  e  parla  pure  d'un  Rinaldo  figlio 
di  lui,  che  aiutò  i  Milanesi  contro  Federigo 
Barbarossa.  Questa  forse  fu  la  fonte  dell'A.; 
ma  il  Muratori  dice  di  non  aver  trovato 
menzione  altrove  di  questi  personaggi,  e 
crede  che  Ricobaldo  abbia  fatto  confusione 
con  altri. 

—  4.  Vinto  ecc.  Qui  r  A.  confonde  fatti, 
che  appartengono  ad  Albertazzo  II,  il  quale 
combatté  veramente  sotto  Parma  contro 
Enrico  IV  imperat.  (II  della  casa  di  Frau- 
conia);  e  sposò  una  contessa  Matilde,  so- 
rella di  Guglielmo  vescovo  di  Pavia;  donde 
la  confusione  dell'A. 

—  7.  la  contessa  ecc.  La  gran  contessa 
Matilde  fu  sposa  d'un  Estense,  ma  non  di 
questo  ;  sivvero  di  Guelfo  V  duca  di  Ba- 
viera. 

30.  2.  a  quell'età.  Guelfo  V  avea  IS  anni, 
quando  sposò  la  Contessa  M.,  che  ne  avea 
43.  L'eco  di  questa  disparità  si  sente  anche 
nella  confusione  Ariostesca. 

—  3.  Quasi  di  mezza  I.  I  domini  della  Con- 
tessa erano  la  Toscana,  Piacenza,  Parma, 
Modena,  Reggio,  Mantova,  Ferrara,  parte 
dell'Umbria  e  del  Patrimonio  di  S.  Pietro, 
il  ducato  di  Spoleto. 

—  4.  nipote...  d'Enrico  I.  Secondo  le  au- 
tiche  genealogie  si  credeva  che  Beatrice, 
madre  di  Matilde,  nascesse  da  Corrado  I  il 
Salico,  che  fu  padre  di  Enrico  III  (I  della 
casa  di  Franconia).  Cosi  Matilde  sarebbe 
stata  nipote  di  questo  Enrico.  Ma  secondo 
la  più  accettata  genealogia,  Ermanno  di  Sve- 
via  ebbe  due  figlie,  Matilde  e  Gisela;  l'una 
sposò  Federigo  di  Lorena,  l'altra  Corrado 
il  Salico;  da  Federigo  nacque  Beatrice  ma- 
dre della  Contessa,  da  Corrado  nacque  Ar- 
rigo III  (I). 


30 


ORLANDO  FURIOSO 


Ecco  di  quel  Bertoldo  il  caro  pegno, 
Rinaldo  tuo,  ch'avrà  Tonor  opimo 
D'aver  la  Chiesa  de  le  man  riscossa 
De  l'empio  Federico  Barbarossa. 

ai  I 

Ecco  un  altro  Azzo,  et  è  quel  che  Verona 
Avrà  in  poter  col  suo  bel  teuitorio  ; 
E  sarà  detto  Marchese  d'Ancona 
D^l  quarto  Otone  e  dal  secondo  Onorio. 
Lungo  sarà,  s'io  mostro  ogni  persona 
Del  sangue  tuo,  ch'avrà  del  Consistorio 
Il  confalone,  e  s' io  narro  ogni  impresa 
A'^inta  da  lor  per  la  Romana  Chiesa. 

32 
Obizzo  vedi  e  Folco,  altri  Azzi,  altri  Ughi 
Ambigli  Enrichi,  ilfiglio  al  padre  accanto; 
Duo  Gueltì,  di  quai  l'uno  Umbria soggiughi 
E  vesta  di  Spoleti  il  ducal  manto.  [ghi 
Ecco,  che  '1  sangue  e  le  gran  piaghe  asciu- 


—  6.  onor  opimo.  Valerio  Mass.  4,  3,  n. 
10  disse:  opimarn  gloriam ;  e  il  Forcellini 
illustra:  Gloi'ia  opima,  tamquam  opimis 
spoliis  acquisita.  E  spoglie  opime  erano 
quelle  del  capo  dell'  esercito  nemico. 

31.  1.  Azze.  È  sconosciuto  nella  storia. 
L' Estense,  che  dalla  parte  guelfa  ebbe,  nel 
1207,  la  podesteria  di  Verona,  fu  Azzo  IV, 
che  l'A.  rammenta  più  avanti.  Questi  ebbe 
pure  da  Innocenzo  III  il  marchesato  della 
Marca  Anconitana  (1208).  Fu  poi  Azzo  VII, 
che  nel  1217  ne  riebbe  l'investitura  da  Ono- 
rio III. 

—  5.  Lungo  sarà.  È  imitazione  del  co- 
strutto latino:  Longuìn  est,  Longum  erif. 
più  raramente  :  Longum  esset.  Ma  vedi  an- 
che la  nota  alla  st.  23  v.  1  e  vedi  xiii,  73,  1. 

—  tì.  Consistorio  (lat.  consistorium,  da 
consistere  =  raccogliersi  insieme);  propr. 
è  il  consiglio  dei  Cardinali  :  qui  vale  Lo  sta- 
to della  Chiesa.  Esser  gonfaloniere  della 
Chiesa  vuol  dire  Comandarne  l'esercito. 

38.  1.  Obizzo,  m.  1193;  Folco  ni.  117S.  Azzi 
e  Ughi  non  si  conoscono  nella  storia. 

—  2.  ambi  gli  Enr.  Probabilmente  Enrico 
a  Xero  (m.  1126),  tiglio  di  Guelfo  IV,  e  En- 
rico il  Superbo  (m.  1139)  figlio  del  prece- 
dente. 

—  3.  Duo  Gnelfl.  Guelfo  VI,  figlio  di  En- 
rico il  Mero  e  nipote  di  Federigo  II,  che, 
divenuto  imperatore,  gli  dette,  fra  molti  al- 
tri domini,  il  ducato  di  Spoleto  ;  Guelfo  VII, 
figlio  del  precedente. 

soggiughi  e  più  sotto  asciughi.  Per 

il  cong.  V.  st.  27  n.  6.  Di  quai;  dei  quali  : 
V.  e.  II,  15,  a. 

—  5.  che.  Molte  e  buone  ediz.  correggono 
Chi;  ma  il  Morali,  appoggiandosi  alla  con- 
cordia delle  tre  ediz.  curate  dall' .-v.,  man- 
tiene Che.  D'altra  parte  qualche  esempio 
antico  di  c/ce  per  chi  sembra  confermare 


D'Italia  afflitta,  e  volga  in  riso  il  pianto: 
Di  costui  parlo  (e  raostrolle  Azzo  quinto) 
Onde  Ezelin  lìa  rotto,  preso,  estinto. 
33 

Ezellino,  immauissimo  tiranno. 
Che  tia  creduto  figlio  del  Demonio, 
Farà,  troncando  i  sudditi,  tal  danno, 
E  distruggendo  il  bel  paese  Ausonio, 
Che  pietosi  apo  lui  stati  saranno 
Mario,  Siila,  Neron,  Caio  et  Antonio. 
E  Federico  imperator  secondo  [do. 

Fia,  per  questo  Azzo,  rotto  e  messo  allon- 
34 

Terrà  costui  con  più  felice  scettro 
La  bella  terra  che  siede  sul  fiume, 


la  lez.;  Pecorone,  g.  6,  1:  Lo  fece  coi'riero 
del  monislero  non  sapendo  che  e'  si   fosse. 

—  7.  Azzo  V.  Azzo  V  fu  figlio  di  Obizzo  I, 
fu  prigioniero  dei  Veronesi  a  premori  al 
padre.  Nuli'  altro  si  sa  di  lui.  Ma  quel  che 
l'A.  dice  di  AZZO  V  appartiene  ad  Azzo  VII 
(novello),  che  fu  veramente  uno  dei  capi 
degli  alleati  contro  Ezelino  ;  e  prima  avea 
contribuito  alla  rotta  di  Federigo  II  sotto 
Parma  e  alla  sua  rovina  nel  settentrione 
d'Italia. 

—  8.  Ezelino  III  da  Romano  fu  signore 
di  Verona,  Vicenza,  Padova,  Feltre,  Bellu- 
no :  fu  crudelissimo.  Nel  1259,  voleudo  pren- 
der Milano,  si  trovò  a  fronte  molti  e  validi 
collegati,  fra  gli  altri  azzo  Novello  d'Este  ; 
i  quaU  suU'Adda  lo  costrinsero  a  una  bat- 
taglia rovinosa,  in  cui  fu  ferito  a  morte 
(settembre  1259).  L'.\.  attribuisce  la  vittoria 
principalmente  ad  azzo,  ma  di  essa  decise 
la  riserva  milanese.  Cantù,  Ezel.  da  Rom., 
p.  296. 

33.  4.  p.  ausonio.  Ausonia  (dagli  antichi 
Ausones  che  abitavano  sul  Liri)  è  l'Italia. 

—  5.  apo,  cosi  V  ed.  del  '32:  lat.  apud. 

—  6.  Caio.  Per  i  Romani  era  prenome  e 
non  bastava  a  indicare  una  persona.  Qui 
forse  è  Caio  Caligola.  Antonio  fece  una 
terribile  proscrizione,  maggiore  di  quelle 
di  Siila. 

—  7.  Federigo  lì  saputo  che  Parma,  già 
occupata  dai  suoi  ghibellini,  era  stata  as- 
sediata e  presa  dai  fuorusciti  guelfi  e  dai 
loro  alleati,  fra  cui  azzo  d'Este,  venne  in 
soccorso  del  suo  partito  ;  ma  dopo  alcuni 
mesi  fu  vinto  (1248).  L'anno  dopo  Azzo  con- 
tribuì alla  rotta  e  alla  pi'esa  di  Enzo,  figlio 
di  lui,  in  Romagna,  col  quai  fatto  l'Imiìe- 
ratore,  avvilito,  lasciò  il  settentrione  e  si 
ritrasse  in  Puglia. 

34.  1.  Terrà  costui  ecc.  Il  dominio  degli 
Estensi  su  Ferrara  cominciò  con  Azzo  VI, 
padre  di  Azzo  novello,  per  dedizione  spon- 
tanea della  città  (1208);  ma  egli  fu  contra- 
stato dalla  fazione  dei  Torelli,  che  invece 


CANTO  III 


31 


Dove  chiamò  con  lacrimoso  plettro 
Febo  il  tìgliuol  ch'avea  mal  retto  il  lume, 
Quando  fu  pianto  il  fabuloso  elettro, 
E  Cigno  si  vesti  di  bianche  piume; 
E  questa  di  mille  oblighi  mercede 
Gli  donerà  TApostolica  sede. 
•ab 

Dove  lascio  il  fratel  Aldobrandino  ? 
Che  per  dar  al  Pontetìce  soccorso 
Centra  Oton  quarto  e  il  campo  Ghibellino, 
Che  sarà  presso  al  Campidoglio  corso, 
Et  avrà  preso  ogni  luogo  vicino, 
E  posto  agli  Umbri  e  alli  Piceni  il  morso, 
Né  potendo  prestargli  aiuto  senza 
Molto  tesor,  ne  chiederà  a  Fiorenza; 
36 

E  non  avendo  gioia  o  miglior  pegni, 
Per  sicurtà  daralle  il  frate  in  mano. 
Spiegherà  i  suoi  vittoriosi  segni, 
E  romperà  Teserei to  Germano  : 
In  seggio  riporrà  la  Chiesa,  e  degni 
Darà  supplicii  ai  Conti  di  Celano; 


Azzo  Novello  domò  e  distrusse.  Morto  poi 
Ezelino,  Ferrara  fu  dominio  incontrastato 
degli  Estensi  {ìjìu  felice  -scettro). 

—  3.  Dove  chiamò.  Dice  la  favola  che  Fe- 
tonte, fulminatola  Giove,  cadde  nel  Po. 
Febo  ne  pianse,  e  ne  piansero  le  Eliadi,  che 
furono  cangiate  in  pioppi.  Le  lacrime  che 
stillavano  dalla  corteccia  erano  mutate  in 
ambra  (gr.  electron).  Avverti  il  verbo  Pian- 
gere usato  transitivamente  per  inllueuza 
dell'  oggetto  interno,  come  se  dicesse  :  Pian- 
gere lacrime  d'elettro. 

—  6.  Cigno,  secondo  la  favola,  era  re  della 
Liguria  e  parente  di  Fetonte.  Preso  an- 
ch' egli  da  grande  dolore,  fu  mutato  in  ci- 
gno. 

—  8.  gli  donerà.  Ferrara  fu  ritenuta  dai 
Papi  loro  patrimonio,  perché  compresa  o 
nella  donazione  di  Pipino  o  nella  eredità  di 
Matilde.  Gli  Estensi  ne  ebbero  l'investitura 
dai  papi. 

35.  1.  Aldobrandino,  fratello  di  Azzo  VII. 
È  storico  ciò  che  l'.\.  dice  di  lui  in  questa 

ottone  IV  coronato  imperatore  (1209), 
e  tese  esercitare  autorità  nel  ducato  di 
s^poleto,  di  Perugia  (Umbri),  nella  Roma- 
gna, nella  Marca  d'Ancona  (Piceni,  popolo 
antico  che  abitava  intorno  ad  Ascoli  e  ad 
Ancona),  a  Napoli  e  altrove. 

—  7.  Nò  potendo.  Uniscilo  col  secondo 
verso,  come  continuazione  della  protasi  del 
periodo. 

36.  2.  il  frate.  Aldobrandino  ottenne  dai 
Fiorentini  denaro,  dando  in  pegno,  come 
talvolta  si  soleva  fare,  il  fratello  Azzo  VII. 

—  6.  conti  di  Celano.  Alle  sollecitazioni  di 
Innocenzo  III,  Aldobr.  si  recò  a  ricuperare 
il  marchesato  d' .-ancona  (1215),  dove  i  conti 


Et  al  servizio  del  sommo  Pastore 
Finirà  gli  anni  suoi  nel  più  bel  fiore  : 
37 

Et  Azzo,  il  suo  frate],  lascerà  erede 
Del  dominio  d'Ancona  e  di  Pisauro, 
D'ogni  città  che  da  Troento  siede 
Tra  il  mare  e  l'Apennin  fin  all'Isauro', 
E  di  grandezza  d'animo  e  di  fede, 
E  di  virtù,  miglior  che  gemine  et  auro  ; 
Che  dona  e  toUe  ogni  altro  ben  Fortuna 
Sol  in  virtù  non  ha  possanza  alcuna. 
38 

Vedi  Rinaldo,  in  cui  non  minor  raggio 
Splenderà  di  valor,  purché  non  sia 
A  tanta  essaltaziou  del  bel  lignaggio 
Morte  0  Fortuna  invidiosa  e  ria. 
Udirne  il  duol  lìn  qui  da  Napoli  aggio, 
Dove  del  padre  allor  statico  Ila. 
Or  Obizzo  ne  vieii,  che  giovinetto 
Dopo  l'avo  sarà  Principe  eletto. 
39 

Al  bel  dominio  accrescerà  costui 
Reggio  giocondo,  e  Modena  feroce. 

di  Celano,  fautori  di  Ottone  IV,  avean  ribel- 
lato al  papa  gli  abitanti.  Gualtieri  di  Celano 
fu  ucciso.  Poco  dopo  mori  anche  Aldobran- 
dino (1215). 

37.  3.  D'ogni  città  ecc.  Descrive  esatta- 
mente l'antica  Marca  d'Ancona,  fra  il  Tron- 
to, la  Foglia  (Inaurus)  e  l'Appennino. 

38. 1.  Rinaldo,  tiglio  d'.\zzo  Noveho,  e  pri- 
mo di  questo  nome  nella  casa  d'Este.  Ri- 
chiesto al  padre  dall'imperatore  Federigo  II 
per  pegno  di  fede  (1239),  quando  Azzo  x\ov. 
si  dichiarò  apertamente  per  la  Chiesa,  il 
principe  fu  condotto  prigioniero  in  Pugha, 
e  nel  1251  fatto  avvelenare  da  Corrado  suc- 
ceduto a  Federigo  II. 

—  5.  Udirne...  aggio  ;  dovrò  udire  il  do- 
lore, che  si  proverà  per  la  sua  morte,  da 
Napoli  Un  qui.  Con  questo  l'A.  vuole  indi- 
care la  grandezza  di  quel  dolore,  che  non 
si  limiterà  a  poche  persone;  non  già  che 
Melissa  a  quei  tempi  debba  trovarsi  in  quel 
luogo  stesso.  Per  l'omissione  della  prep.  a, 
V.  e.  I,  4,  n.  1. 

—  6.  Obizzo,  figlio  naturale  di  Rinaldo, 
natogli  in  Puglia  e  legittimato  dall'avo  Az- 
zo VII;  a  cui  successe  nel  principato  all'età 
di  17  anni  (1264).  Modena  e  Regg:io  (1288- 
1289),  lacerate  da  continue  discordie,  gli  of- 
frirono la  loro  signoria. 

39.  2.  Reggio  è  detto  dal  poeta  giocondo 
per  i  dolci  ricordi  dei  suoi  amori,  e  della 
sua  giovinezza;  Modona  è  detta  feroce  per 
le  fiere  lotte  di  parte.  Sat.  nr,  29  :  «  Del- 
l'ostinata Modena  non  parlo.  Che,  tutto  che 
stia  mal,  merta  star  peggio  ».  Anche  un 
vecchio  proverbio  Emihano  dice:  Reggio 
gentile  Modena  un  porcile.  Nelle  ediz.  pre- 


32 


ORLANDO  FURIOSO 


Tal  sarà  il  suo  valor,  che  Signor  lui 
Domanderanno  i  popoli  a  una  voce. 
Vedi  Azzo  sesto,  un  de'  figliuoli  sui, 
Confalonier  de  la  Cristiana  croce  : 
Avrà  il  Ducato  d'Andria  con  la  figlia 
Del  secondo  Re  Carlo  di  Siciglia. 
40 

Vedi  in  un  bello  et  amichevol  groppo 
De  li  Principi  illustri  l'eccellenza, 
Obizzo,  Aldobrandin,  Nicolò  Zoppo, 
Alberto  d'amor  pieno  e  di  clemenza. 
Io  tacerò,  per  non  tenerti  troppo, 
Come  al  bel  regno  aggiungeran  Favenza, 
E  con  maggior  fermezza  Adria,  che  valse 
Da  sé  nomar  l'indomite  acque  salse  ; 
41 

Come  la  terra,  il  cui  produr  di  rose 
Le  die  piacevol  nome  in  greche  voci, 
E  la  città  ch'in  mezzo  alle piscose 
Paludi,  del  Po  teme  ambe  le  foci, 


cedenti  si  trova  Modena;  TA.  la  cambiò 
jiella  forma  più  popolare. 

—  5.  Azzo  VI.  È  invece  Azzo  Vili,  del 
quale  non  sappiamo  che  combattesse  spe- 
cialmente contro  i  nemici  della  Chiesa.  Sposò 
Beatrice  figlia  di  Carlo  li  d'Anjou  e  n'ebbe 
in  dote  la  sterile  contea  (non  ducato)  d'An- 
dria  e  il  titolo  di  Conte  d'Audria  (città  iu 
terra  di  Bari).  Mori  nel  130S. 

40.  2.  De  li  princ...  l'eccellenza;  gli  eccel- 
lenti illustri  principi  :  come  anche  oggi  di- 
ciamo :  La  maestà  del  re. 

—  3.  Obizzo  III,  figlio  d'un  fratello  di 
Azze  Vili  ;  è  quegli  che  ebbe  per  concubina 
la  bella  Lippa  Ariosti,  dalla  quale,  tra  i 
molti  figli,  ebbe  anche  Aldobrandino  III  (m. 
1361),  Xiccolò  II  detto  lo  Zoppo  (m.  1388)  e 
Alberto  (m.  1393). 

—  4.  Alberto  fu  vei'amente  magnifico  prin- 
cipe e  buono;  fu  chiamato  padre  della  pa- 
tria e  gli  fu  eretta  per  decreto  di  popolo 
una  statua  (m.  1393). 

—  6.  Favenza  (lat.  Faventia)  Faenza:  Nic- 
colò Zoppo  la  comprò  dall' Augud,  ma  gli 
fu  ritolta  a  forza  dopo  pochi  anni  dai  vi- 
sconti collegati  coi  Fiorentini. 

—  7.  con  magg.  fermezza  di  quella,  con 
cui  avean  tenuto  Faenza. 

—  8.  valse...  nomar;  valse  a  nomar;  potè 
per  la  sua  antichità  dar  nome  all'Adriatico. 
E  un'  opinione  che  non  ha  nessun  fonda- 
mento. 

41.  1.  il  cui  prodnr  di  rose;  Rovigo,  lat. 
Rhodigium,  che  alcuni  derivarono  dal  gr. 
rodon,  rosa.  Questa  città,  antichissimo  do- 
minio Estense,  fu  da  Niccolò  III  data  in 
pegno  alla  repubblica  Veneta  e  da  lui  ricu- 
perata (1438). 

—  3.  E  la  città  ecc.  ;  Comacchio  posta  fra 
ie  imboccature  del  Po  di  Primaro  e  di  vo- 


Dove  abitan  le  genti  disiose 
Che  '1  mar  si  turbi  e  sieno  i  venti  atroci. 
Taccio  d'Argenta,  di  Lugo,  e  di  mille 
Altre  castella  e  popolose  ville. 

42 
Ve'  Nicolò,  che  tenero  fanciullo 
Il  popol  crea  Signor  de  la  sua  terra  ; 
E  di  Tideo  fa  il  pensier  vano  e  nullo, 
Che  contra  lui  le  civil  arme  afferra. 
Sarà  di  questo  il  pueril  trastullo 
Sudar  nel  ferro  e  travagliarsi  in  guerra; 
E  da  lo  studio  del  tetnpo  primiero 
Il  fior  riuscirà  d'ogni  guerriero. 

43 
Farà  de'  suoi  ribelli  uscire  a  vóto 
Ogni  disegno,  e  lor  tornare  in  danno; 
Et  ogni  stratagema  avrà  sì  noto, 
Che  sarà  duro  il  poter  fargli  inganno. 
Tardi  di  questo  s'avvedrà  il  terzo  Oto, 
E  di  Reggio  e  di  Parma  aspro  tiranno  ; 
Che  da  costui  spogliato  a  un  tempo  tìa 
E  del  dominio  e  de  la  vita  ria. 

44 
Avrà  il  bel  Regno  poi  sempre  augumento 
Senza  torcer  mai  pie  dal  camin  dritto; 
Né  ad  alcuno  farà  mai  nocamento, 


lano.  Si  era  data  ad  Azzo^VIlI;  rinnovò  la 
propria  dedizione  a  Obizzo  III  nel  1325. 

—  5.  disiose  ecc.  ;  Perché  i  pesci  entrino 
più  copiosi  dal  mare  in  quelle  valli.  Vedi 
la  comparaz.  del  Tasso,  Ger.,  7,  46. 

—  7.  Argenta  ;  antica  contea  conquistata 
da  Obizzo  III  :  oggi  è  una  borgata.  Lngo; 
città  nella  prov.  di  Ravenna:  tolta  agli 
Estensi  dal  conte  di  Barbiano,  fu  ricupe- 
rata da  Niccolò  III. 

42.  1.  Niccolò  III,  figlio  di  Alberto,  gli  suc- 
cesse, giovinetto  di  nove  anni,  per  accla- 
mazione di  popolo.  Fu  valoroso  guerriero 
e  compi  numerose  imprese. 

—  3.  E  di  Tideo  ecc.  Alcuni  commenta- 
tori parlano  di  un  Tideo  conte  di  Conio  ; 
di  cui  non  si  trova  menzione.  È  piuttosto 
da  intendere  della  guerra  civile  mossagli 
da  un  suo  lontano  parente  .\zzo;  e  poiché 
questi  aveva  un  figlio  per  nome  Taddeo, 
forse  l'A.  ha  confuso  il  padre  col  figlio. 

—  5.  il  pueril  trastullo.  Di  questa  educaz. 
guerresca  non  sappiamo  nulla  di  preciso. 

43.  1.  de' suoi  ribelli.  Molte  terre  del  Fer- 
rarese, fatte  ribellare  da  Azzo,  furon  sotto- 
messe colle  armi  da  Niccolò. 

—  5.  il  terzo  Oto  ;  Ottobono  Terzi  condot- 
tiero, e  tiranno  di  Parma  e  Reggio,  tramò 
contro  la  vita  di  Niccolò,  ma  fu  da  lui  pre- 
venuto e  fatto  a  tradimento  assassinare. 

44.  1.  augumento.  Accenna  agli  accresci- 
menti del  dominio  Estense,  specialmente 
sotto  Ercole  I,  che  acquistò  Cento,  Pieve, 
Cotiirnola  e  metà  del   principato   di  Carpi. 


CANTO  III 


Da  cui  prima  non  aia  d' ingiuria  afflitto  : 
Et  è  per  questo  il  gran  Motor  contento 
Cile  non  gli  sia  alcun  termine  prescritto; 
Ma  duri  prosperando  in  meglio  sempre, 
Finché  si  volga  il  ciel  nelle  sue  tempre. 
45 

Vedi  Leonello,  e  vedi  il  primo  Duce, 
Fama  de  la  sua  età,  l'inclito  Borso, 
Che  siede  in  pace,  e  più  trionfo  adduce 
Di  quanti  in  altrui  terre  abbino  corso. 
Chiuderà  Marte  ove  non  veggia  luce, 
E  stringerà  al  Furor  le  mani  al  dorso. 
Di  questo  Signor  splendido  ogni  intento 
Sarà,  che  '1  popol  suo  viva  contento. 
40 

Ercole  or  vien,  ch'ai  suo  vicin  rinfaccia 
Col  pie  mezzo  arso,  e  con  quei  debol  passi 
Come  a  Budrio  col  petto  e  colla  faccia 
Il  campo  volto  in  fuga  gli  fermassi  ; 
Non  perché  in  premio  poi  guerra  gli  faccia. 
Né,  per  cacciarlo,  tìn  nel  Barco  passi. 
Questo  è  il  Signor,  di  cui  non  so  esplicarme 
Setiamaggiorlagloria  o  iupace  oinarme. 
47 

Terran  Pugliesi,  Calabri  e  Lucani 
De'  gesti  di  costui  lunga  memoria, 


—  S.  nelle  sue  tempre  ;  nelle  sue  sfere. 
AxGuiLLARA,  Metani.,  1, 182:  «E  mentre  ro- 
tan  le  celesti  tempre». 

45.  1.  Leonello;  Borgo;  figli  naturali  di 
Niccolò  III  natigli  da  Stella  de'  Tolomei,  niu 
preferiti  dal  padre,  nella  successione,  ai 
legittimi  Ercole  e  Sigismondo  ancora  fan- 
ciulli. Lionello,  ottimo  e  pacifico  principe, 
amò  le  lettere  e  i  letterati  (ra.  1150).  Gli 
successe  Borso,  che  fu  fatto  da  Federigo  III 
duca  di  Modena  e  Reggio,  e  dal  papa  creato 
duca  di  Ferrara  (più  trionfo  adduce  ecc.). 
Fu  amantissimo  delle  lettere  e  della  pace, 
tanto  da  meritare  che,  nei  tempi  tristi  di- 
poi, si  dicesse:  Non  son  più  i  tempi  del 
duca  Borso  (m.  1471). 

—  6.  E  stringerà  ecc.  Viro.,  En.,  1,  493: 
«  Furor  impius  intus...  centum  vinctus  ahe- 
nis  Post  tergum  nodis». 

46.  1.  Ercole.  EDbe  il  principato  dopo 
morto  Borso.  —  Al  suo  vicin,  ai  Veneziani, 
che  nel  1492  mossero  guerra  a  Ere.  I  e  ir- 
ruppero fin  nel  Barco  presso  Ferrara,  quan- 
tunque egli  nel  1467  fosse  stato  loro  capi- 
tano e  nella  battaglia  della  Molinella,  presso 
Budrio  nel  Bolognese,  combattendo  da  pro- 
de, avesse  avuto  il  pie  destro  mezzo  arso  e 
storpiato  da  una  spingarda. 

—  6.  Barco,  corrotto  da  parco.  Era  stato 
costruito  da  Ercole  I  fuori  della  città  per  | 
pubblico  passeggio.  j 

47.  1.  Pngliesi,  Calabri  e  L.  Detto  qui  pei' 
i  soldati  e  i  gentiluomini  delle  diverse  re- 
gioni del  regno  di  Puglia,  che  erano  nella  ■ 


Là  dove  avrà  dal  Re  de'  Catalani 
Di  pugna  singular  la  prima  gloria; 
E  nome  tra  gl'invitti  capitani 
S'acquisterà  con  più  d'una  vittoria: 
Avrà  per  sua  virtù  la  Signoria, 
Più  di  trenta  anni  a  lui  debita  pria. 
48 

E  quanto  più  aver  obligo  si  possa 
A  Principe,  sua  terra  avrà  a  costui  ; 
Non  perché  fia  de  le  paludi  mossa 
Tra  campi  fertilissimi  da  lui; 
Non  perché  la  farà  con  muro  e  fossa 
Meglio  capace  a'  cittadini  sui, 
E  l'ornerà  di  templi  e  di  palagi. 
Di  piazze,  di  teatri  e  di  mille  agi; 
49 

Non  perché  dagli  artigli  de  l'audace 
Aligero  lieon  terrà  difesa; 


corte  e  nell'esercito  di  Alfonso  e  videro  il 
glorioso  duello,  di  cui  nel  v.  4.  Se  pure 
non  si  accenna  alle  imprese  di  Ercole  nella 
bassa  Italia  in  favore  di  Giovanni  d'Angiò 
contro  re  Ferdinando  d'Aragona.  Lucania 
era  detta  anticamente  la  regione,  che  forma 
il  collo  del  piede  d' Italia,  fra  il  golfo  di  Ta- 
ranto e  il  Tirreno. 

—  3.  re  de'  Catalani  ;  Alfonso  I  di  Napoli, 
che  era  stato  re  di  Aragona  e  di  Catalogna. 
Ercole,  giovinetto,  combatté  sotto  le  sue 
bandiere.  Ebbe,  per  cagione  di  donne,  un 
duello  con  Galeazzo  Pandone  nobile  napo- 
letano, e  lo  trattò  con  somma  generosità 
dopo  averlo  vinto.  Vedi  su  questo  fatto  la 
novella  2,  dee.  vi  àeW  Ecantoimniti  Aq\  Gi- 
raldi,  che  corrisponde  a  verità  storica. 

—  8.  Pili  di  trent'  anni.  Lionello  successe 
a  Niccolò  nel  dicembre  del  1441,  Borso  mori 
nel  maggio  del  1471,  per  lo  che  il  dominio 
di  Ferrara  gli  era  dovuto  da  più  di  tren- 
t'anni,  come  a  figlio  legittimo  di  Niccolò. 

48.  3.  Non.  perché  fia  ecc.;  non  perché  da 
lui  sarà  tolta  dalle  paludi  e  posta  fra  campi 
fert.  «Fé' cavare  una  fossa  fino  al  Traghetto, 
acciocché  le  acque  del  Reno  non  inondas- 
sero quei  paesi,  facendo  con  utile  grandis- 
simo della  città  molti  poderi  e  case  nella 
villa  detta  S.  Martina  »  Gaspare  Sardi, 
Istor.  Ferraresi,  1.  X. 

—  5.  con  muro  e  fossa.  Ercole  accrebbe 
Ferrara  di  quasi  tre  miglia  di  recinto,  con 
nuove  mura,  porte  e  fosse,  vi  fece  magnifi- 
che strade,  palazzi,  chiese.  Questa  parte  si 
chiamò  appunto  Addizione  Erculea.  Diede 
principio  a  un  magnifico  teatro  stabile,  su 
disegno  dell'Ariosto,  che  fu  il  primo  d'Italia. 

—  6.  capace  a'  citt.  Sul  costrutto  v.  e.  XII, 
79,  n.  6. 

49.  2.  aligero  leon.  Il  leone  alato  è  nel- 
l'arme di  Venezia. 

Terrà   difesa;    sottintendi   il   pron. 

la;  il  soggetto  è  Ercole.  V.  e.  I,  21,  n.  7. 


Ariosto  —  Pepisi 


34 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  perché,  quando  la  gallica  face 
Per  tutto  avrà  la  bella  Italia  accesa, 
Si  starà  sola  col  suo  stato  in  pace, 
E  dal  timore  e  dai  tributi  illesa  : 
Non  si  per  questi  et  altri  benefici 
Saran  sue  genti  ad  Ercol  debitrici  ; 
50 

Quanto  che  darà  lor  l'inclita  prole, 
Il  giusto  Alfonso,  e  Ippolito  benigno, 
Che  saran  quai  l'antiqua  fama  suole 
Narrar  de'  tìgli  del  Tindareo  cigno, 
Ch'alternamente  si  privan  del  sole 
Per  trar  l'un  l'altro  de  l'aer  maligno. 
Sarà  ciascuno  d'essi  e  pronto  e  forte 
L'altro  salvar  con  sua  perpetua  morte. 
51 

Il  grande  amor  di  questa  bella  coppia 
Renderà  il  popol  suo  via  più  sicuro. 
Che  se,  per  opra  di  Vulcan,  di  doppia 
Cinta  di  ferro  avesse  intorno  il  muro. 
Alfonso  è  quel  che  col  saper  accoppia 
Si  la  bontà,  ch'ai  secolo  futuro 
La  gente  crederà  che  sia  dal  cielo 
Tornata  Astrea  dove  può  il  caldo  e  il  gielo. 

—  3.  la  gallica  face.  Allude  alla  discesa 
di  Carlo  vili,  quando  Ercole  si  tenne  neu- 
trale fra  il  re  di  \apoli  e  il  re  di  Francia; 
il  quale  si  mostrò  benevolo  a  casa  d'Este. 

—  7.  Non  SI...  quanto.  Comunem.  a  si  cor- 
risponde come.  Dante,  Par.,  ii,  46  :  «  Madon- 
na, si  devoto  Quant'  esser  posso  più  ». 

50.  1.  Quanto  che;  quanto  perché  :  V.  e.  v, 
16,  5. 

—  2.  Alfonso;  duca  di  Ferrara  dopo  Er- 
cole; Ippolito,  cardinale,  ma  più  uomo  di 
stato  e  di  guerra. 

—  1.  figli  del  Tind.  cigno.  Chiama  cosi 
Castore  e  Polluce  con  espressione  assai 
strana.  Infatti  Leda,  moglie  di  Tindaro, 
partorì  due  uova  :  uno,  fecondato  da  Tinda- 
ro, conteneva  Castore,  l'altro,  fecondato  da 
Giove  .sotto  le  sembianze  d'un  cigno,  con- 
teneva Polluce.  Essendo  perciò  questi  im- 
mortale, ottenne,  per  amore  del  fratello,  di 
alternar  con  lui  ogni  sei  mesi  l'abitazione 
del  cielo  e  dell'inferno. 

—  8.  salvar,  a  salvar.  V.  e.  i,  4.  n.  1. 

51.  1.  Il  grande  amor.  Confermano  gli  sto- 
rici che  questi  due  fratelli  «  erano  congiun- 
tissimi d'animo  in  tutte  le  imprese»  Mu- 
RA-r.,  A.  E.  u,  310. 

—  8.  Astrea,  dea  della  giustizia,  che  volò 
dalla  terra  al  cielo,  quando  gli  uomini  di- 
vennero tutti  malvagi  :  Alfonso  parve  averla 
richiamata  in  terra.  Sappiamo  che  commise 
tali  atti  da  far  credere  il  contrario,  ma  que- 
sto fu  il  sentimento  anche  di  storici  impar- 
ziaU  come  il  Muratori;  a.  E.  ir,  312.  «Fu 
amantissimo  della  giustizia,  né  fece  o  per- 
mise violenza  ad  alcuno  ». 

Dove  può  il  caldo  ecc.  È  immagine 


A  grande  uopo  gli.fia  l'esser  prudente» 
E  di  valore  assimigliarsi  al  padre  ; 
Che  si  ritroverà,  con  poca  gente. 
Da  nn  lato  aver  le  Veneziane  squadre, 
Colei  da  l'altro,  che  più  giustamente 
Non  so  se  devrà  dir  matrigna  o  madre; 
Ma  se  pur  madre,  a  lui  poco  più  pia. 
Che  Medea  ai  figli  o  Progne  stata  sia, 
53 

E  quante  volte  uscirà  giorno  o  notte 
Col  suo  popol  fedel  fuor  de  la  terra, 
Tante  sconfitte  e  memorabil  rotte 
Darà  a'  nimici  o  per  acqua  o  per  terra. 
Le  genti  di  Romagna  mal  condotte 
Contra  i  vicini  e  lor  già  amici,  in  guerra 
Se  n'avvedranno,  insanguinando  il  suolo 
Che  serra  il  Po,  Santeruo  e  Zanniolo. 
54 

Nei  medesmi  confini  anco  saprallo 
Del  gran  Pastore  il  mercenario  Ispano, 
Che  gli  avrà  dopo  con  poco  intervallo 
La  Bastia  tolta,  e  morto  il  castellano, 


presa  dal  Petr.,  Son.  49:  «Che  fu  disceso  a 
provar  caldo  e  gelo  ». 

52.  4.  le  Veneziane  squadre.  Venezia,  ge- 
losa di  potere,  gli  mosse  guerra  più  volte, 
specialmente  con  navi  per  il  Po.  Alfonso  e 
Ippolito  fecero  sempre  prodigi  di  abilità  e 
di  valore. 

—  5.  Colei  ecc.;  la  Chiesa.  I  papi,  spe- 
cialmente Giulio  ir,  si  portarono  veramente 
male  con  Alfonso.  Papa  Giulio,  che  piuma 
lo  aveva  aiutato  contro  Venezia,  nel  1510 
senza  ragioni,  si  uni  a  lei  contro  il  duca. 
Gli  storici  più  devoti  alla  Chiesa  biasimano 
il  papa  e  lodano  la  moderazione  d'Alfonso. 

—  8.  Medea,  per  gelosia  di  Giasone  uc- 
cise i  propri  figlinoli  ;  Progne  per  vendi- 
carsi del  marito  Tereo,  che  le  aveva  oltrag- 
giato la  sorella  Filomela,  uccise  il  figlio  Iti 
avuto  da  Tereo. 

53.  5.  Le  genti  di  Romagna.  Qui  accenna 
alla  battaglia  avvenuta,  nella  primavera  del 
1511,  fra  i  pontifici,  uniti  agli  Spagnuoli,  e 
le  soldatesche  d'Alfonso  in  vicinanza  della 
Bastia  della  fossa  Zauiola  e  del  Po  d'Ar- 
genta, sulla  ripa  del  Santerno.  Vi  morirono 
circa  3000  nemici. 

54.  1.  Nei  medesmi  confini.  Il  20  dicembre 
1511  (con  poco  intervallo)  il  Navarro,  capi- 
tano Spagnuolo  ai  servigi  del  papa,  riprese 
al  duca  Alfonso  il  forte  della  Bastia  presso 
il  canale  Zaniolo,  occupato  dal  Vestidello 
Pagano  milanese,  capitano  del  duca;  e,  con- 
tro i  patti  della  resa,  uccise  il  Vestidello  (il 
castellano)  e  il  presidio  superstite.  Il  Na- 
varro vi  lasciò  un  presidio  di  Spagnuoli, 
ma  Alfonso  il  13  gennaio  1512  riprese  il 
forte,  e  il  presidio  fu  tutto  trucidato. 


CANTO  III 


35 


Quando  l'avrà  già  preso;  e  per  tal  fallo 
Non  tìa,  dal  minor  fante  al  capitano, 
Che  del  racquisto  e  del  presidio  ucciso 
A  Roma  riportar  possa  l'avviso. 
55 

Costui  sarà,  col  senno  e  con  la  lancia, 
Ch'avrà  l'onor,  nei  campi  di  Romagna, 
D'aver  dato  all'esercito  di  Francia. 
La  gran  vittoria  contro  Giulio  e  Spagna. 
Nuoteranno  i  destrier  tin  alla  pancia 
Nel  sangue  uniau  per  tutta  la  campagna; 
Ch'a  sepelire  il  popol  verrà  manco 
Tedesco,  Ispano,  Greco,  Italo  e  Franco. 
5G 

Quel  ch'in  pontificale  abito  imprime 
Del  purpureo  cappel  la  sacra  chioma, 
È  il  liberal,  magnanimo,  sublime. 
Gran  Cardinal  della  Chiesa  di  Roma, 
Ippolito,  eh'  a  prose,  a  versi,  a  rime 
Darà  materia  eterna  in  ogni  idioma; 
La  cui  fiorita  età  vuol  il  ciel  giusto 
Ch'abbia  un  Maron,  come  un  altro  ebbe  An- 
57  [gusto. 

Adornerà  la  sua  progenie  bella, 
Come  orna  il  sol  la  macchina  del  mondo 
Molto  più  de  la  luna  e  d'ogni  stella  ; 
Ch'ogn'altro  lume  a  lui  sempre  è  secondo. 
Costui  con  pochi  a  piedi  e  meno  in  sella 
Veggio  uscir  mesto,  e  poi  tornar  giocondo  ; 
Che  quindici  galee  mena  captive. 
Ultra  raiir  altri  legni,  alle  sue  rive. 


—  7.  Che,  chi.  V.  st.  32,  n.  5. 

55.  1.  Costui  sarà.  Alle  potenti  artiglierie 
del  duca  Alfonso  fu  concordemente  attri- 
buita la  vittoria  nella  battaglia  di  Ravenna. 

—  8.  Greco.  Combattevano  in  Italia,  spe- 
cialmente neir  esercito  Veneto,  alcuni  Alba- 
nesi, detti  Stradiotti  (greco  stratiotes,  sol- 
dato). 

56.  1.  imprime,  preme.  È  poetico  e  deri- 
vato dal  lat.  imprimere,  die  ebbe  anche 
questo  signifìc. 

—  8.  un  Maron.  Nella  prima  ediz.  si  di- 
ceva: «Alla  cui  bella  etade  era  più  giusto 
Che  nascesse  Maron  che  sotto  Angusto  ».  Il 
cambiamento  avvenne  per  l'eiliz.  del  1521, 
quando  tra  i  familiari  favoriti  d'Ippolito 
e' era  il  famoso  improvvisatDi-e  Andrea  Ma- 
rone,  che  poco  doiio  passò  alla  corte  di 
Leone  X.  Alcuni  credono  che  l'A.  alluda  in- 
direttamente a  sé. 

57.  5.  Costui  con  pochi  ecc.  Si  allude  alla 
battaglia  della  Polesella  (22  dicembre  l5oyi, 
nella  quale  l'armata  Veneta  fu  disfatta  nel 
Po  per  la  prodezza  e  T  accorgimento  spe- 
cialmente d'Ippolito.  «  Furon  prese  13  galee 
con  gran  quantità  d'  altre  fuste ,  brigan- 
tini, galeotte  e  barche  minori.  Due  galee 
erano  andate  a  fondo,  un'altra  fu  preda 
del  fuoco  »  MuRAT.,  A.  K.  n,  293. 


OS 

Vedi  poi  l'uno  e  l'altro  Sigismondo: 
Vedi  d'Alfonso  i  cinque  figli  cari. 
Alla  cui  fama  ostar,  che  di  so  il  mondo 
Non  empia,  i  monti  non  potran  né  i  mari  : 
Gener  del  Re  di  Francia,  Ercol  secondo 
È  l'un;  quest'altro  (acciò  tutti  gl'impari) 
Ippolito  è,  che  non  con  minor  raggio, 
Che  '1  zio,  risplenderà  nel  suo  lignaggio  ; 
59 

Francesco,  il  terzo;  Alfonsi  gli  altri  dui 
Ambi  son  detti.  Or,  come  io  dissi  prima, 
S'ho  da  mostrarti  ogni  tuo  ramo,  il  cui 
Valor  la  stirpe  sua  tanto  sublima, 
Bisognerà  che  si  rischiarì  e  abbui 
Più  volte  prima  il  ciel,  ch'io  te  li  esprima: 
E  sarà  tempo  «^rmai,  quando  ti  piaccia, 
Ch'  io  dia  licen  .ia  all'ombre,  e  ch'io  mi  tac- 
60  'eia. 

Cosi  con  voi  ntà  de  la  Donzella 
La  dotta  incancatrice  il  libro  chiuse. 
Tutti  gli  spirti  allora  ne  la  cella 
S])ariro  in  fretta,  ove  cran  l'ossa  chiuse. 
Qui  Bradamante,  poi  che  la  favella 
Le  fu  concessa  usar,  la  bocca  schiuse, 
E  domandò:  Chi  son  li  dna  si  tristi, 
Che  tra  Ippolito  e  Alfonso  abbiamo  visti? 
61 

Veniano  sospirando,  e  gli  occhi  bassi 
Parean  tener,  d'ogni  baldanza  privi  ; 
E  gir  lontau  da  loro  io  vedea  i  passi 
Dei  frati  si,  che  ne  pareano  schivi. 
Parve  ch'a  tal  domanda  si  cangiassi 
La  maga  in  viso,  e  te'  degli  occhi  rivi  ; 
E  gridò:  Ah  sfortunati,  a  quanta  pena 
Lungo  instigar  d'uomini  rei  vi  mena! 

58.  1.  l'uno  e  l'altro  Sig.  ;  l'uno  figlio 
d'Ercole  I  (m.  1524)  l'altro  fratello  (m.  1507). 

—  2.  i  cinque  figli  ;  Ercole  II,  Ippolito  II, 
Francesco,  nati  da  Lucrezia  Borgia  ;  Alfonso 
e  Alfonsino  nati  dalla  favorita  Laura  Dianti. 

60.  7.  Chi  son  li  dna  ecc.  Virgil.,  En.  vi, 
860,  dice  di  Marcello,  che  Enea  ha  visto  fra 
i  suoi  discendenti  :  «  Sed  frons  laeta  parum 
et  dejecto  lumina  vultu  »>.  I  due,  a  cui  ac- 
cenna l'A.,  son  Giulio  e  Ferrante  fratelli 
di  Alfonso  e  di  Ipp.  Giulio,  celebrato  per  i 
suoi  begli  occhi  da  una  damigella  di  corte, 
di  cui  era  invaghito  Ippolito,  eccitò  le  ge- 
losie di  lui,  che,  con  alcuni  sgherri  assa- 
litolo, gli  fece  cavare  gli  occhi.  Giulio  in- 
dusse il  fratello  I-errante,  geloso  del  potere 
di  Alfonso,  a  congiurare  contro  i  fratelli, 
ma,  scopertasi  la  congiura,  i  due  principi 
furono  condannati  a  morte,  che,  per  grazia, 
fu  mutata  in  perpetua  prigionia. 

61.  8.  Lungo  istigar.  Gli  istigatori  furono 
Albertino  Boschetti  di  S.  Cesario  sul  Mode- 
nese, Gherardo  Roberti  di  Carpi,  France- 
schino  Boccaccio  di  Rubiera,  un  preteGianni 
di  Guascogna 


36 


ORLANDO  FURIOSO 


62 
0  buona  prole,  o  degna  d'Ercol  buono, 
Non  vinca  il  lor  fallir  vostra  bontade  : 
Di  vostro  sangue  i  miseri  pur  sono  : 
Qui  ceda  la  giustizia  alla  pietade. 
Indi  soggiunse  con  più  basso  suono: 
Di  ciò  dirti  più  innanzi  non  accade. 
Statti  col  dolce  in  bocca,  e  non  ti  doglia 
Ch'  amareggiar  al  fin  non  te  la  voglia. 

63 
Tosto  che  spunti  in  ciel  la  prima  luce, 
Piglierai  meco  la  più  dritta  via 
Ch'ai  lucente  Castel  d'acciar  conduce, 
Dove  Kuggier  vive  in  altrui  balia. 
Io  tanto  ti  sarò  compagna  e  duce, 
Che  tu  sia  fuor  de  l'aspra  selva  ria: 
T'insegnerò,  poi  che  saren  sul  mare. 
Si  ben  la  via,  che  non  poti'esti  errare. 

64 
Quivi  l'audace  giovane  rimase 
Tutta  la  notte,  e  gran  pezzo  ne  spese 
A  parlar  con  Merlin,  che  le  suase 
Rendersi  tosto  al  suo  Kuggier  cortese. 
Lasciò  di  poi  le  sotterranee  case. 
Che  di  nuovo  splendor  l'aria  s'accese. 
Per  un  camin  gran  spazio  oscuro  e  cieco. 
Avendo  la  spirtal  feniina  seco. 

65 
E  riuscirò  in  un  burrone  ascoso 
Tra  monti  inaccessibili  alle  genti  ; 
E  tutto  '1  di,  senza  pigliar  riposo, 
Saliron  balze,  e  traversar  torrenti. 
E  perché  men  l'andar  fosse  noioso. 
Di  piacevoli  e  bei  ragionamenti. 
Di  quel  che  fu  più  conferir  soave, 


62.  6.  non  accade;  non  cade  a  iìro2iosito 
dopo  tante  glorie  che  li  hanno  fatto  lieta. 
Accadere  in  questo  senso  usarono  altri  an- 
tichi: Cavalca,  Frutt.  ling.,  159:  «  Acca- 
derebbonci  molti  esempì  di  molti  ». 

63.  8.  non  potresti.  Avverti  l'efficacia  del 
condizionale  in  luogo  del  futuro  :  quello 
esclude,  non  solo  Terrore,  ma  anche  la  pos- 
sibilità di  sbagliare. 

64.  3.  suase,  latinismo  nella  forma  (sua- 
sit)  e  nella  costruzione  (suadere  alicui  ali- 
quid). 

—  4.  cortese  ;  larga  di  soccorso.  Questo 
signjfic.  non  è  registrato  dai  Voc. 

—  6.  Che  ;  Uniscilo  a  di  poi. 

—  7.  gran  spazio.  Complemento  di  limita- 
zione :  V.  FORNACIARI,  Sint.,  p.  II,  33. 

—  8.  spirtal  ;  che  conversava  cogli  spi- 
riti. Non  ha  altri  esempi. 

65.  6.  Di  piacevoli...  Di  quel  ecc.  ;  con  pia- 
cevoli... con  quel.  È  una  specie  di  sillessi 
o  costruzione  di  pensiero,  quasi  dicesse  : 
rallegravano  V  aspro  cammino  di  piacevoli 
ecc. 

—  7.  pili  conferir  soave  ;  più  a  conferir 
soave  :  v.  e.  I,  4,  n.  1. 


L'aspro  camin  facean  parer  men  grave: 
66 

D'i  quali  era  però  la  maggior  parte, 
Ch'a  Bradaniante  vien  la  dotta  Maga 
Mostrando  con  che  astuzia  e  con  qual  arte 
Proceder  dee,  se  di  Ruggiero  è  vaga. 
Se  tu  fossi  (dicea)  Pallade  o  Marte, 
E  conducessi  gente  alla  tua  paga  [te, 

Più  che  non  ha  il  re  Carlo  e  il  Re  Agraman- 
Non  dureresti  contra  il  Negromante; 
67 

Che  oltre  che  d'acciar  murata  sia 
La  rocca  inespugnabile,  e  tant'alta; 
Oltre  che  '1  suo  destrier  si  faccia  via 
Per  mezzo  l'aria,  ove  galoppa  e  salta; 
Ha  lo  scudo  mortai  che,  come  pria 
Si  scopre,  il  suo  splendor  si  gli  occhi  as.'<al- 
La  vista  folle,  e  tanto  occupa  i  sensi,  |ta, 
Che  come  morto  rimaner  conviensi. 
68 

E  se  forse  ti  pensi  che  ti  vaglia 
Combattendo  tener  serrati  gli  occhi, 
Come  potrai  saper  ne  la  battaglia 
Quando  ti  schivi,  o  l'avversario  tocchi  ? 
Ma  per  fuggir  il  lume  ch'abbarbaglia, 
E  gli  altri  incanti  di  colui  far  sciocchi. 
Ti  mostrerò  un  rimedio,  una  via  presta; 
Né  altra  in  tutto  '1  mondo  è  se  non  questa. 


66.  1.  D'i  quali.  È  questo  il  solo  luogo 
nel  Furioso,  in  cui  la  preposiz.  articolata 
dei  è  scritta  cosi.  Innanzi  a  quali,  per  lo. 
più,  si  ha  la  preposiz.  semplice  di.  V.  e.  II, 
15,  n.  8;  III,  32,  3.  L'ediz.  del  1516  e  del  1521 
hanno  de'.  É  probabile  quindi  che  in  questo 
luogo  abbiamo  un  errore  di  stampa. 

—  1-2.  era...  Ch'a  Bradam.  ;  consisteva  in 
questo,  che  a  Bi'adamante  ecc. 

—  5.  Pallade.  Era  dea  non  propriamente 
della  guerra,  come  Marte,  ma  dell'energia 
vittoriosa  in  tutte  le  lotte  della  vita. 

—  6.  conducessi...  alla  tua  paga.  Condurre 
alla  ììaga,  al  soldo,  ai  soldi  e  anche  sem- 
plicem.  Condurre,  nel  linguaggio  militare, 
valgono  Assoldare. 

67.  1.  oltre  che...  sia.  Gli  antichi  usarono 
spesso  con  tal  congiunzione  il  cong.  Bocc. 
Fiamm.,  3  :  «  Oltre  che  bellissime  sieno  >. 
—  Murata;  costruita.  Pucci,  Centil.,  41,77: 
«  Il  ponte  era  di  travi  E  non  di  pietra  mu- 
rato ». 

—  5.  mortai.  ;  che  fa  tramortire.  Esten- 
sione di  signilicato  simile  a  quella  di  celeste 
al  e.  II,  55  e  di  splrtale  alla  st.  64. 

68.  1.  se  forse;  se  mai;  dal  lat.  si  forte. 
Dante,  Purg.  xxvi,  89:  «Se  forse  a  nome 
vuoi  saper  chi  semo». 

—  4.  ti  schivi  ;  ti  debba  guardare,  difen- 
dere. Cosi  anche  al  e.  vi,  30,  v.  8.  —  tocchi, 
colpisca.  È  termine  tecnico  della  scherma. 


CANTO  III 


37 


co 

Il  Re  Agramante  d'Africa  uno  annello. 
Che  fu  rubato  in  India  a  una  Regina. 
Ila  dato  a  un  suo  Baron  detto  Brunello 
Che  poche  miglia  inanzi  ne  cauiina; 
]M  tal  virtù,  che  chi  nel  dito  ha  quello, 
Contra  il  mal  degl'incanti  ha  medicina. 
Sa  di  furti  e  d'inganni  Brunel,  quanto 
Colui,  che  tieu  Euggier.  sappia  d'incanto. 
70 

Questo  Brunel  si  pratico  e  si  astuto, 
Come  io  ti  dico,  è  dal  suo  re  mandato. 
Acciò  che  col  suo  ingegno  e  con  Tainto 
Di  questo  annello,  in  tal  cose  provato, 
Di  quella  rocca,  dove  è  ritenuto, 
Traggia  Ruggier,  che  cosi  s'è  vantato, 
Et  ha  cosi  promesso  al  suo  .Signore; 
A  cui  Ruggiero  è  più  d'ogni  altro  a  core. 
71 

Ma  perché  il  tuo  Ruggiero  ate  sol  abbia, 
E  non  al  re  Agramante,  ad  obligarsi 
Che  tratto  sia  de  l' incantata  gabbia. 
T'insegnerò  il  rimedio  che  de'  usarsi. 
Tu  te  n'andrai  tre  di  lungo  la  sabbia 
Del  mar,  eh'  è  oramai  presso  a  dimostrarsi  ; 
Il  terzo  giorno  in  un  albergo  teco 
Arriverà  costui  e'  ha  l'annel  seco. 
72 

La  sua  statura,  acciò  tu  lo  conosca. 
Non  è  sei  palmi,  et  ha  il  capo  ricciuto: 


69.  1.  Il  re  Agr.  ecc.  Tutto  questo  è  in- 
venzioue  del  Boiardo,  Inn.  II,  in,  27  seg. 
11  vecchio  re  Sobrino  avvisa  Agra,mante  che 
non  si  può  condurre  utilmente  la  guerra 
contro  Carlo  M.,  se  manca  Ruggero.  Questi 
è  in  custodia  di  .\tlaute,  la  cui  abitazione 
non  si  può  trovare  senza  un  anello  posse- 
duto da  .\ngelica.  Il  re  di  Fiessa  presenta 
un  suo  servente  Brunello,  abilissimo  ladro, 
che  per  ordine  d' Agramante  va  in  Albrac- 
ca,  ruba  l'anello  ad  Angelica,  col  quale  vien 
trovato  Ruggero.  Annello  ha  scritto  costan- 
temente l'A.  seguendo  la  forma  lat.  an- 
nitlics. 

70.  1.  Questo  Brunel  ecc.  ^^eU'  Innam., 
ritrovato  Ruggero,  non  si  sa  più  nulla  di 
quest'  anello.  L'A.  immagina  che  Agr.,  scom- 
parso Rugg.,  dia  nuovamente  l'anello  a 
Brun.,  perché  ne  vada  in  traccia. 

71.  2.  obligarsi...  che  sia;  restare  obbli- 
gato... per  essere,  di  essere.  Obligarsi,  in 
questo  senso,  non  è  citato  dai  vocab. 

—  6.  Del  mar;  del  golfo  di  Guascogna  : 
V.  st.  75. 

12.  1.  La  sua  statura.  Questa  figura  era 
già  stata  abbozzola  dal  Boiardo,  Inn.  Il, 
III,  40.  «  Egli  è  ben  piccioletto  di  persona. 
Lungo  è  da  cinque  palmi  o  poco  meno,  E 
la  sua  voce  par  corno  che  suona.  Corti  ha 
capelli  ed  è  nero  e  ricciuto  ». 


Le  chiome  ha  nere,  et  ha  la  pelle  fosca; 
Pallido  il  viso,  oltre  il  dovt^r  barbuto  ; 
Gli  occhi  gonfiati,  e  guardatura  losca  ; 
Schiacciato  il  naso,  e  ne  le  ciglia  irsuto: 
L'abito,  acciò  ch'io  lo  dipinga  intero, 
È  stretto  e  corto,  e  sembra  di  corriere. 
7.S 

Con  esso  lui  t'accaderà  soggetto 
Di  ragionar  di  quelli  incanti  strani  : 
Mostra  d'aver,  come  tu  avrà'  in  effetto. 
Disio  che  '1  Mago  sia  teco  alle  mani  ; 
Ma  non  mostrar  che  ti  sia  stato  detto 
Di  quel  suo  annel  che  fa  gl'incauti  vani. 
Egli  t'offerirà  mostrar  la  via 
Fin  alla  rocca,  e  farti  compagnia. 
74 

Tu  gli  va  dietro  :  e  come  t'avvicini 
A  quella  rocca  si  ch'ella  si  scopra, 
Dagli  la  morte;  né  pietà  t'inchini 
Che  tu  non  metta  il  mio  consiglio  in  opra. 
Né  far  eh'  egli  il  pensier  tuo  s'indovini, 
E  ch'abbia  tempo  che  l'annel  lo  copra; 
Perché  ti  sparirla  dagli  occhi,  tosto 
Ch'in  bocca  il  sacro  annel  s'avesse  posto. 
75 

Cosi  parlando,  giunsero  sul  mare. 
Dove  presso  a  Bordea  mette  Garonna. 
Quivi,  non  senza  alquanto  lagrimare, 
Si  diparti  l'una  da  l'altra  donna. 
La  figliuola  d'Amon,  che  per  slegare 
Di  prigione  il  suo  amante  non  assonna, 
Camino  tanto,  che  venne  una  sera 
Ad  uno  albergo,  ove  Brunel  pri  m'era. 
76 

Conosce  ella  Brunel  come  lo  vede, 

I  Di  cui  la  forma  avea  sculpita  in  mente. 

i  Onde  ne  viene,  ove  ne  va  gli  chiede  : 

I  Quel  le  risponde,  e  dogni  cosa  mente. 

La  Donna,  già  provista,  non  gli  cede 

In  dir  menzogne,  e  simula  ugualmente 


78.  1.  t'accaderà  soggetto;  ti  verranno 
opportuno  soggetto  di  ragionamento  quegli 
incanti  strani.  Per  accoderà  v.  la  st.  62,  6. 
Incanti  strani,  che  dovrebbe  esser  sog- 
getto, subisce  l'influenza  del  verbo  ragio- 
nar, di  cui  diviene  complemento. 

—  7.  t' offerirà mostr.,  offrirà  di  mostrarti. 
V.  e.  I,  47,  n.  6. 

74.  1.  come  t'  avvicini,  quando  ti  avvicini. 
Il  presente  invece  del  futuro  anteriore  ti 
sarai  avvicinato,  indica  meglio  la  imme- 
diata successioue  delle  azioni. 

—  3.  t' inchini  che,  ti  pieghi  ia  modo  che. 

—  8.  sacro.  V.  la  St.  22,  n.  2. 

75.  2.  Bordea,  Bordeau. 

—  6.  non  assonna,  non  dorme,  non  è  lenta. 
V.  e.  I,  49. 

76.  5.  provista;  avvisata;  V.  e.  x,  43.  Si 
citano  questi  soli  luoghi  dell' A. 


38 


ORLANDO  FUKIOSO 


E  patria  e  stirpe  e  setta  e  nome  e  sesso;   i  Né  lo  lascia  venir  troppo  accostando, 
E  gli  volta  alle  man  pur  gli  occhi  spesso.    Di  sua  coudizion  bene  informata. 

77  I  Stavano  insieme  in  questa  guisa,  quando 
Gli  va  gli  ocelli  alle  man  spesso  voltando,    L'orecchia  da  un  ronior  lor  fu  intruonata. 
In  dubbio  sempre  esser  da  lui  rubata;       :  Poi  vi  dirò.  Signor,  che  ne  fu  causa, 
I  Ch'avrò  fatto  al  cantar  debita  pausa. 

—  7.  setta,  religione.  Dante,  Par.  3, 105  :  i 

«  E  promisi  la  via  della  sua  setta  ».  i 

77.  1.  Gli  va  gli  occhi  ecc.  Il  riprendere 
il  concetto  e  le  parole  di  un  verso  prece- 
dente è  artificio  comune  nella  poesia  popo- 
lare. 

—  2.  esser;  di  esser.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 


—  4.  condizion  ;  indole,  inclinazione.  Cosi 
spesso  negli  antichi:  Bocc,  Nov.  1.  «Uo- 
mini riottosi  e  di  mala  condizione  ». 

—  8.  che,  È  correlativo  ài  poi  del  v.  pre- 
ced. 


CAKTO  IV 


Quantunque  il  simular  s  a  le  più  volte 
Ripreso,  e  dia  di  mala  mesate  indici, 
Si  trova  pur  in  molte  cose  e  molte 
Aver  fatti  evidenti  beitetìci, 
E  danni  e  biasmi  e  morti  aver  già  tolte  ; 
Che  non  conversiam  sempre  con  gli  amici 
In  questa  assai  più  oscura  che  serena 
Vita  mortai,  tutta  d'invidia  piena. 
2 

Se,  dopo  lunga  prova,  a  gran  fatica 
Trovar  si  può  chi  ti  sia  amico  vero, 
Et  a  chi  senza  alcun  so.spetto  dica 
E  discoperto  mostri  il  tuo  pensiero; 
Che  de'  far  di  Ruggier  la  bella  amica 
Con  quel  Brunel  non  puro  e  non  sincero, 
Ma  tutto  simulato  e  tutto  fìnto, 
Come  la  Maga  le  l'avea  dipinto? 
lì 

Simula  anch' ella;  e  cosi  far  conviene 
Con  esso  lui  di  finzioni  padre: 
E,  come  io  dissi,  spesso  ella  gli  tiene 
Gli  occhi  alle  man,  ch'eran  ra))aci  e  ladre. 
Ecco  all'orecchie  un  gran  rumor  lor  viene. 
Disse  la  Donna:  O  gloriósa  3Iadre, 
O  Re  del  ciel,  che  cosa  sarà  questa? 
E  dove  era  il  rumor  si  trovò  presta. 


1.  ó.  Che,  perché.  V.  e.  ni,  6,  n.  6. 

2.  7.  simulato,  falso.  È  uso  non  registr., 
che  r  A.  ha  tolto  dai  I.at.  ;  Vino.  En.  4,  105: 
«  Simulata  mente  locutam  ». 

—  8.  le  l'av.  ;  glie  l'av.  oggi  dinanzi  a  lo 
la  le  ne,  ecc.  si  usa  regolarmente  la  forma 
indeclin.  glie,  che  vale  anche  per  il  femm. 
Il  modo  usato  dall  .a.,  non  è  rre(iuenle  nep- 
pure negli  antichi. 

3.  6.  0  gloriosa  madre.  K  esclamazione  di 
sorpresa,  freq.  nei  jioemi  romanz.  Inn.  Il, 
XII,  10:  «O  re  del  cielo,  o  \ergine  regina. 
Diceva  il  Conte  ». 


E  vede  l'oste  e  tutta  la  famiglia, 
E  chi  a  finestre  e  chi  fuor  ne  la  via. 
Tener  levati  al  ciel  gli  occhi  e  le  ciglia, 
Come  TEcclisse  o  la  Cometa  sia. 
Vede  la  Donna  un'alta  maraviglia. 
Che  di  leggier  creduta  non  saria: 
Vede  passar  un  gran  destriero  alato, 
Che  porta  in  aria  un  cavalliero  armato. 
ó 

Grandi  eran  l'ale  e  di  color  diverso, 
E  vi  sedeà  nel  mezzo  un  cavalliero, 
Di  ferro  armato  luminoso  e  terso; 
E  ver  Ponente  avea  dritto  il  sentiero, 
Calossi,  e  fu  tra  le  montagne  immerso: 
E,  come  dicea  l'oste  (e  dicea  il  vero). 
Quell'era  un  Negromante,  e  facea  spesso 
Quel  varco,  or  più  da  lungi,  or  più  dapres- 
6  '"'-  [soj 

Volando,  talor  s'alza  ne  le  stelle, 
E  poi  quasi  talor  la  terra  rade; 
E  ne  porta  con  lui  tutte  le  belle 
Donne  che  trova  per  quelle  contrade: 
Talmente  che  le  misere  donzelle 
Ch'abbino  o  ^ver  si  credano  beltade 
(Come  affatto  costui  tutte  le  invole), 
Non  escon  fuor,  si  che  le  veggia  il  Soie 


4.  4.  Come...  sia;  come  se  vi  fosse. 

5.  1.  diverso;  strano.  Cosi  spesso  gli  an- 
tichi. Petr.  Cam.  31,  1:  «  Qual  più  diversa 
e  nuova  Cosa  fu  inai  ?  ». 

—  4.  ver  ponente.  Il  negromante  tornava 
al  suo  castello  sui  Pirenei.  —  Sentiero;  viag- 
gio, cammino;  V.  i,  60,  6  e  xxviir,  74,  5. 

—  5.  fa...  immerso.  V.  e.  Ili,  14,  n.  2. 

6  ;;.  con  lui;  con  sé.  Dante,  Par.  xxvi, 
30:  «  Quanto  più  di  bontate  in  lui  com- 
prende ». 

—  7.  Come  affatto  ecc.  ;  come  se  egli  le 
togliesse  tutte  affatto  senza  scelta.  K  detto 


CANTO  IV 


39 


Egli  sul  Pireneo  tiene  un  castello, 
(Narrava  l'oste)  fatto  per  incauto, 
Tutto  d'acciaio,  e  si  lucente  e  bello, 
Ch'altro  al  mondo  non  è  mirabil  tanto. 
Già  molti  cavallier  sono  iti  a  quello, 
E  nessun  del  ritorno  si  dà  vanto: 
Si  ch'io  penso.  Signore,  e  temo  forte, 
O  che  sian  presi,  o  sian  condotti  a  morte. 
8 

La  Donna  il  tutto  ascolta,  e  le  ne  giova, 
Credendo  far,  come  farà  per  certo, 
Con  l'annello  mirabile  tal  prova. 
Che  ne  lìa  il  ilago  e  il  suo  castel  deserto; 
E  dice  a  l'oste:  Or  un  de' tuoi  mi  trova, 
Che  più  di  me  sia  del  viaggio  esperto; 
Ch'io  non  posso  durar:  tanto  ho  il  cor  vago 
Di  far  battaglia  centra  a  questo  Mago. 
9 

Non  ti  mancherà  guida  (le  rispose 
Brunello  allora),  e  ne  verrò  teco  io. 
Meco  ho  la  strada  in  scritto,  et  altre  cose 
Che  ti  faran  piacer  il  venir  mio: 
Volse  dir  de  l'annel;  ma  non  l'espose, 
Né  chiari  più,  per  non  pagarne  il  fio. 
Grato  mi  fìa  (disse  ella)  il  venir  tuo: 
Volendo  dir  ch'indi  l'annel  tia  suo. 
10 

Quel  ch'era  utile  a  dir,  disse;  e  quel  tac- 
che nuocer  le  potea  col  Saracino,     [que, 
Avea  l'oste  un  destrier  ch'a  costei  piacque. 
Ch'era  buon  da  battaglia  e  da  camino: 
Comperollo,  e  partissi  come  nacque 
Del  bel  giorno  seguente  il  matntino. 
Prese  la  via  per  una  stretta  valle. 
Con  Brunello  ora  inanzi,  ora  alle  spalle. 
11 

Di  monte  in  monte  e  d'uno  in  altro  bo- 
Giunsero  ove  l'altezza  di  Pireue        [sco 


con  una  certa  ironia  per  quelle,  che  aver 
si  credono  bcltade. 

7.  1.  Pireneo  e  Pirene  poetic.  per  Pire- 
nei. L'A.  immagina  che,  partito  d'Affrica 
Ruggero,  Atlante  lasciasse  il  monte  di  Ca- 
rena e  facesse  un  castello  sui  Pirenei  per 
sorvegliarlo  più  da  vicino. 

8.  1.  le  ne  giova;  le  è  vantaggioso.  È  un 
significato  nuovo  di  questa  locuzione,  che 
negli  altri  scrittori  vale  soltanto  compia- 
cersi (Dante,  Par.  vili,  137:  «Ma  perché 
sappi  che  di  te  mi  giova  »)  e  nou  avere  a 
schifo. 

—  4.  deserto.  Qui  si  cumulano  i  due  sensi 
di  deserto,  cioè  "misero  e  solitario. 

—  7.  dorar.  La  Cr.  intende  contenermi; 
e  cita  questo  solo  esempio. 

10.  3.  un  destrier.  Quello  di  Brad,  era 
stato  tolto  da  Pinabello;  v,  e  iii,  5. 

—  6.  matutino,   mattino.    V.    e.    xvii,  23. 


j  Può  dimostrar  (se  non  è  l'aer  fosco) 
E  Francia  e  Spagna,  e  due  diverse  arene  ; 
Come  Apeunin  scopre  il  mar  Schiavo  e  il 
_    ,     .  [Tosco 

Dal  giogo  onde  a  Camaldoli  si  viene. 
Quindi  per  aspro  e  faticoso  calle 
Si  discendea  ne  la  profonda  valle. 
12 

Vi  sorge  in  mezzo  un  sasso,  che  la  cima 
D'un  bel  muro  d'acciar  tutta  si  fascia, 
E  quella  tanto  in  verso  il  ciel  sublima, 
Che  quanto  ha  intorno,  inferYor  si  lascia. 
Non  faccia,  chi  non  vola,  andarvi  stima; 
Che  spesa  indarno  vi  saria  ogni  ambascia. 
Brunel  disse:  Ecco  dove  prigionieri 
II  Mago  tien  le  donne  e  i  cavallieri. 
13 

Da  quattro  canti  era  tagliato,  e  tale 
Che  parca  dritto  a  tìl  de  la  sinopia: 
Da  nessun  lato  né  sentier  né  scale 
V  eran,  che  di  salir  facesser  copia: 
E  ben  appar  che  d'animai  ch'abbia  ale 
Sia  quella  stanza  nido  e  tana  propia. 
Quivi  la  donna  esser  conosce  l'ora 
Di  tor  l'annello,  e  far  che  Brunel  mora. 


Guido  Giudice,  18:  «Già  era  venuto  il  ma- 
tutino di  quella  notte  ». 

11.  4.  due  diverse  arene;  l'Atlantico  e  il 
Mediterraneo. 

—  6.  Dal  giogo  ecc.  Dal  più  alto  giogo 
della  Falterona,  sopra  l'eremo  di  Camal- 
doli, si  scoprono  il  Tirreno  e  l' Adriatico, 
detto  Schiavo  perché  bagna  le  coste  della 
Croazia  e  della  Slavonia  (Schiavonia).  Matt. 
Villani  disse  Schiavo  il  vento,  che  viene  dalla 
Schiavonia  ;  Cr.  5,  217. 

12.  1.  che.  È  soggetto.  Si  fascia  la  cima 
vale  :  Fascia  la  sua  cima. 

—  3.  sublima  ;  eleva.  Dant.  l'ar.  xxvi, 
87:  «Per  la  propria  virtù  che  la  sublima» 
(una  foglia  piegata). 

—  6.  ambascia;  fatica  travagliosa.  Dant. 
Inf.  XXIV,  53:  «vinci  l'ambascia». 

13.  2.  a  fll  della  s.  L'A.  ha  fuso  due  ma- 
niere: Tagliare  a  filo  e  Andare  jìel  fi('> 
della  sinopia,  facendo  una  nuova  espres- 
sione avverbiale.  Ricett.  Fior.  3,  65:  «La 
Sinopia,  chiamata  da  Dioscoride  rubrica 
Sinopi'/e,  perché  si  vendeva  in  sinope,  è 
una  terra  rossa  (oggi  cinabrese)  ».  I  sega- 
tori di  legno  si  servono  di  un  filo,  colorato 
di  questa  terra,  per  tirar  linee  dritte  sul 
legno.  Di  qui  l'A.  prese  V  immagine  di  quelle 
pareti,  tagliate  dritte  senza  scabrosità,  come 
fossero  segate  a  filo. 

—  4.  copia;  modo,  opportunità;  per  li 
più  coi  verbi  dare,  fare,  avere,  è  frequente 
negli  antichi.  Mach.  St.  2,  177  :  «  Non  ^i 
dette  copia  al  nemico  di  venire  alle  mani  ». 

—  (5.  Sia  ;  V.  e.  Ili,  27,  n.  tì. 


40 


ORLANDO  FURIOSO 


14 

Ma  le  par  atto  vile  a  insangninarsi 
D'un  uora  senza  arme  e  di  si  ignobil  sov- 
Ohe  ben  potrà  posseditrice  farsi  [te; 

Del  ricco  annello,  e  lui  non  porre  a  morte. 
Brunel  non  avea  mente  a  rifruardarsi; 
.si  ch'ella  il  prese,  e  lo  legò  ben  forte 
Ad  uno  abete  ch'alta  avea  la  cima: 
Ma  di  dito  Tannel  o:li  trasse  prima. 
15 

Né  per  lacrime,  semiti  o  lamenti 
Che  facesse  Brune),  lo  volse  sciorre. 
Smontò  de  la  montagna  a  passi  lenti, 
Tanto  che  fu  nel  pian  sotto  la  torre. 
K  perché  alla  battaglia  s'appresenti 
Il  Negromante,  al  corno  suo  ricorre; 
E,  dopo  il  suon,  con  minacciose  grida 
Lo  chiama  al  campo,  et  alla  pugna '1  sfida. 
16 

Non  stette  moltoanscir  fuor  delaporta 
L'ineantator,  ch'udì  '1  suono  e  la  voce. 
L'alato  corridor  per  l'aria  il  porta 
Contra  costei,  che  sembra  uomo  feroce. 
La  donna  da  principio  si  conforta. 
Che  vede  che  colui  poco  le  nuoce: 
Non  porta  lancia  né  spada  né  mazza, 
eh' a  forar  l'abbia  o  romper  la  corazza. 
17 

Da  la  sinistra  sol  lo  scudo  avea, 
Tutto  coperto  di  seta  vermiglia; 
Ne  la  man  destra  un  libro,  onde  facea 
Nascer,  leggendo,  l'alta  maraviglia; 
Che  la  lancia  talor  correr  parea, 
K  fatio  avea  a  più  d'un  batter  le  ciglia  ; 
'j'aior  parea  ferir  con  mazza  o  stocco, 
E  lontano  era,  e  non  avea  alcun  tocco. 


14.  1.  a  insaiijfuinarsl.  L'infinito  colla  prep. 
a  vale  il  gerundio  insanguinandosi.  Bocc. 
] atrod.  al  Dee.  «Perciò  è  buono  a  provve- 
derci ». 

15.  8.  alla  pngna  '1  sfida.  Questi  incontri 
durissimi  erano  frequenti  nelle  ediz.  del 
ir.16  e  del  1521  :  nell'ultima  correzione  l'A. 
li  tolse  quasi  tutti. 

16.  7.  mazza,  era  un'  asta  corta,  noderosa 
e  feri'ata  da  colpire. 

17.  1.  sol.  Riferiscilo  a  tutta  l'espressio- 
ne :  Solo  avea  lo  scudo  nella  sin.  e  nella 
fìestra  mi  libro.  Riferito  a  scudo  sarebbe 
inutile,  perché  i  cavalieri  non  portavano 
nella  sinistra  che  lo  scudo. 

—  4.  l'alta  maraviglia;  quelle  strane,  ma- 
ravigliose  apparenze,  che,  cioè,  parea  ecc. 

—  T>.  la  lancia...  correr.  È  termine  tecnico 
di  cavalleria  ;  e  vale  giostrare,  combattere 
in  campo. 

—  6.  batter  le  ciglia;  nell'aspettazione 
del  colpo, 

—  7.  stocco,  specie  di  spada  corta  di  lama 
sgusciata,  di  figura  angolare,  poco  elastica, 


18 

Non  è  finto  il  destrier,  ma  naturale, 
Ch'una  giumenta  generò  d'un  Grifo: 
Simile  al  padre  avea  la  piuma  e  l'ale. 
Li  piedi  anteriori,  il  capo  e  il  grifo; 
In  tutte  l'altre  membra  parea  quale 
Era  la  madre,  e  chiamasi  Ippogrifo; 
Che  nei  monti  Rifei  vengon,  ma  rari. 
Molto  di  là  dagli  agghiacciati  mari. 
19 

Quivi  per  forza  lo  tirò  d'incanto; 
E  poi  che  l'ebbe,  ad  altro  non  attese, 
E  con  studio  e  fatica  operò  tanto, 
Ch'a  sella  e  briglia  il  cavalcò  in  un  mese  ; 
Cosi  ch'in  terra  e  in  aria  e  in  ogni  canto 
Lo  facea  volteggiar  senza  contese. 
Non  finzion  d'incanto,  come  il  resto. 
Ma  vero  e  naturai  si  vedea  questo. 
20 

Del  Mago  ogni  altra  cosa  era  figmento 
Che  comparir  facea  pel  rosso  il  giallo: 
Ma  con  la  Donna  non  fu  di  momento; 
Che  per  l'annel  non  può  vedere  in  fallo. 


niente  taglio,  punta  acuta.  (Guglielmotti, 
Vocab.  marino  e  milit.). 

18.  2.  grifo.  I  grifi  sono  animali  fanta- 
stici, a  cui  però  credevano  gli  antichi  e  il 
M.  E.  ALBERTO  Magno,  De  animai,  lib. 
xxiii,  dice:  «  Dalle  storie,  più  che  dalla  pra- 
tica dei  filosofi  o  dalla  ragion  filosofica,  ci 
vien  detto  che  i  grifi  sono  uccelli.  Dicono 
infatti  che  questi  animali  avevano  il  capo, 
il  becco,  le  ali  e  i  pie  dinanzi  di  aquila,  le 
parti  di  dietro  di  leone.  Abitano  questi  ani- 
mali nei  monti  Iperborei  ». 

—  6.  Ippogrifo.  (gr.  ippos,  cavallo).  È  imi- 
tato dal  Pegaso  della  mitologia  ;  ma  animali 
volanti  si  trovano  anche  nella  letteratura 
indiana.  Cosi  com'  è,  questa  figura  è  in- 
venzione dell' A.,  quantunque  già  Virgilio 
gli  suggerisse  l'immagine.  ^eìV Egl.  8,  27, 
volendo  accennar  cose  impossibili  ad  acca- 
dere, dice  :  «  lungentur  iam  gryphes  equis  ». 

—  7.  Che...  vengon.  É  una  costruzione  a 
senso  (sillessi)  ;  quasi  avesse  detto  :  uno  di 
quegli  animali,  che  ecc. 

monti  Rifei.  Secondo  gli  antichi  era 

una  catena  al  nord  del  mondo  allora  cono- 
sciuto, in  posizione  non  ben  definita. 

20.  1.  flgmento  ;  (lat.  flgmentum);  fin- 
zione. 

—  2.  pel  rosso  il  giallo.  Comunem.  si  dice  : 
Far  vedere.  Mostrare  il  bianco  per  nero, 
o  viceversa. 

—  3.  non  fu  di  momento,  non  valse.  Più 
comunem.  con  l'aggiunta  di  nessuno,  al- 
cuno; ma  fu  usato  anche  cosi  :  Guicciard. 
St.  I.  1,  16:  «Quelli,  che  eranoFdi  momento 
in  questa  deliberazione  ». 

—  4.  vedere  in  fallo;  vedere  erroneamente. 


CANTO  IV 


41 


Più  colpi  tuttavia  disserra  al  vento, 
E  quinci  e  quindi  spinge  il  suo  cavallo; 
E  si  dibatte  e  si  travaglia  tutta, 
Come  era,  inanzi  che  venisse,  instrutta. 

■21 
E  poi  che  esercitata  si  fu  alquanto 
Sopraildestrier,  smontar  volse  ancoapie- 
Perpoter  meglio  altìn  venir  di  quanto  (de, 
La  cauta  Maga  instruzion  le  diede. 
Il  Mago  vien  per  far  l'estremo  incanto; 
Che  del  fatto  ripar  né  sa  né  crede: 
8cuopre  lo  scudo,  e  certo  si  presume 
Farla  cader  con  l'incantato  lume.  ' 

22 
Potea  cosi  scoprirlo  al  primo  tratto, 
Senza  tenere  i  cavallieri  a  bada; 
Ma  gli  placca  veder  qualche  bel  tratto 
Di  correr  l'asta,  o  di  girar  la  spada: 
Come  si  vede  eh"  all' astuto  gatto 
Scherzar  col  topo  alcuna  volta  aggrada; 
E  poi  che  quel  piacer  gli  viene  a  noia, 
1  Jargli  di  morso,  e  al  tìn  voler  che  muoia. 

23 
Dico  che  '1  Mago  al  gatto,  e  gli  altri  al  to- 
S"  assimigliàr  ne  le  battaglie  dianzi  ;    [pò 
Ma  non  s"  assimigliàr  già  cosi,  dopo 
Che  con  l'annel  si  fé'  la  Donna  inanzi, 
Attenta  e  fissa  stava  a  quel  eh'  era  uopo. 
Acciò  che  nulla  seco  il  Mago  avanzi; 
E  come  vide  che  lo  scudo  aperse, 
Chiuse  gli  occhi,  e  lasciò  quivi  caderse. 

24 
Non  che  il  fulgor  del  lucido  metallo. 
Come  soleva  agli  altri,  a  lei  uocesse; 


—  5.  disserra;  vibra.  Pulci,  M.  21,  39  :  «  E 
nella  trippa  una  punta  disserra»:  e  cosi 
anche  in  prosa. 

—  8.  instrutta.  Veramente  non  risulta  che 
Marfisa  le  avesse  detto  ciò;  ma  forse  l'A. 
volle  accennare  a  quei  versi  del  e.  in,  66: 
■K  A  Bradam.  vien  la  dotta  majra  Mostrando 
con  che  astuzia  e  con  qual  arte  Proceder 
dee  ». 

21.  6.  né  sa  né  crede;  né  sa  che  vi  sia, 
))é  crede  che  vi  possa  essere. 

22.  4.  correr  l' asta.  È  termine  tecnico, 
meno  comune  di  correr  la  lancia,  ma  vale 
lo  stesso.  Asta  è  nome  generico  di  molte 
armi  lunghe,  munite  in  cima  di  ferro  da 
ferire.  Qui,  come  spesso,  vale  lo  stesso  che 
lancia. 

23.  4.  inanzi.  L'A.  scrive  sempre  cosi;  e 
parimente:  inanti,  inante.  Questa  grafia 
con  una  sola  n  è  biasimata  dal  Bembo,  ma 
difesa  da  altri.  V.  Cittadini,  Note  al  Bembo 
li,  2,  202. 

—  6.  avanzi;  guadagni,  si  avvantaggi. 

—  7.  aperse,  scoperse.  Bocc.  Imroduz.  al 
Dee.  •  E  a  lui  senza  vergogna  ogni  parte 
del  corpo  aprire  ». 


I  Ma  cosi  fece  acciò  che  dal  cavallo 
Centra  sé  il  vano  incantator  scendesse: 
Né  parte  andò  del  suo  disegno  in  fallo; 
Che  tosto  ch'ella  il  capo  in  terra  messe. 
Accelerando  il  volator  le  penne, 
Con  larghe  ruote  in  terra  a  por  si  venne. 
25 

Lascia  all'arcion  lo  scudo  che  già  posto 
Avea  ne  la  coperta,  e  a  pie  discende 
Verso  la  Donna  che,  come  reposto 
Lupo  alla  macchia  il  capriolo,  attende. 
Senza  più  indugio  ella  si  leva  tosto 
Che  l'ha  vicino,  e  ben  stretto  lo  prende. 
Avea  lasciato  quel  misero  in  terra 
Il  libro  che  facea  tutta  la  guerra: 
26 

E  con  una  catena  ne  correa. 
Che  solca  portar  cinta  a  simil  uso; 
Perché  non  men  legar  colei  credea, 
Che  per  addietro  altri  legare  era  uso. 
La  Donna  in  terra  posto  già  l'avea: 
Se  quel  non  si  difese,  io  ben  l' escuso; 
Che  troppo  era  la  cosa  differente 
Tra  undebolvecchio,  elei  tanto  possente. 
27 

Disegnando  levargli  ella  la  testa, 
Alza  la  man  vittoriosa  in  fretta; 
Ma  poi  che  '1  viso  mira,  il  colpo  arresta. 
Quasi  sdegnando  si  bassa  vendetta. 
L^n  venerabil  vecchio  in  faccia  mesta  [ta, 
Vede  esser  quel  ch'ella  ha  giunto  alla  stret- 
Che  mostra  al  viso  crespo  e  al  pelo  bianco 
Età  di  settanta  anni,  o  poco  manco. 
28 

Tommi  la  vita,  Giovene,  per  Dio, 
Dicea  il  vecchio  pien  d'ira  e  di  dispetto; 
Ma  quella  a  torla  avea  si  il  cor  restio, 
Come  quel  di  lasciarla  avria  diletto. 
La  Donna  di  sapere  ebbe  disio 
Chi  fosse  il  Negromante,  et  a  che  effetto 
Edificasse  in  quel  luogo  selvaggio 
La  rocca,  e  faccia  a  tutto  il  mondo  oltrag- 
.  29  [gi'^o. 

Né  per  maligna  intenzione,  ahi  lasso! 
(Disse  piangendo  il  vecchio  incantatore) 
Feci  la  bella  rocca  in  cima  al  sasso. 


24.  4.  vano  :  senza  effetto  per  lei. 

25.  3.  reposto,  nascosto.  Villani,  11,  133, 
5:  «una  schiera  di  quattrocento  cavalieri 
riposta  addietro  ». 

—  8.  che  facea  ;  il  quale  faceva  la  guerra 
invece  delle  armi  ;  e  col  quale  il  mago  si 
sarebbe  sottratto  a  Brad.  v.  st.  39,  n.  1. 

27,  4.  Quasi  sdegnando;  come  se  sdegnas- 
se. Il  quasi  indica  che  la  riflessione  è  dell'A. 

—  6.  giunto  alla  stretta;  più  comun.  alle 
strette:  ma  il  sing.  è  pure  usato  non  di 
rado.  G.  vill.  9,  92, 1  :  «  si  erano  alla  stretta 
di  vittuaglia  ». 

28.  \.  avria;  V.  e.  I,  SI,  n.  3. 


42 


ORLANDO  FURIOSO 


^*é  per  avidità  son  rubatore;  D'ognaltro  «raudio  lor  cura  mi  tocca; 

Ma  per  ritrar  sol  dall'estremo  passo  Che  quanto  averne  da  tutte  le  bande 

Un  cavallier  gentil,  mi  mosse  amore,         ^i  può  del  mondo,  è  tutto  in  quella  rocca: 
Che,  come  il  ciel  mi  mostra,  in  tempo  bre-    Suoni,  canti,  vestir,  giuochi,  vivande, 
Morir  cristiano  a  tradimento  deve.       [ve    Quanto  può  cor  pensar, può  chieder  bocca. 
30  [strino    Ben  seminato  avea,  ben  cogliea  il  frutto; 

Xon  vede  il  Sol  tra  questo  e  il  polo  Au-    Ma  tu  sei  giunto  a  disturbarmi  il  tutto. 
Vn  giovene  si  bello  e  si  prestante:  33 

Buggero  ha  nome,  il  qual  da  piccolino      |      Deh,  se  non  hai  del  viso  il  cor  men  bello, 
Da  me  nutrito  fu,  ch'io  souo  Atlante.         i  Kon  impedir  il  mio  consiglio  onesto! 
Disio  d'onore  e  suo  fiero  destino    [mante;    Piglia  lo  scudo  (ch'io  tei  dono)  e  quello 
L'han  tratto  ni  Francia  dietro  al  Re  Agra-    Destrier  che  va  per  l'aria  cosi  presto; 


Et  io,  che  l'amai  sempre  più  che  tìglio, 
Lo  cerco  trar  di  Francia  e  di  periglio. 
31 

La  bella  rocca  solo  edificai 
Per  tenervi  Ruggier  sicuramente, 
Che  preso  fu  da  me,  come  sperai 
Che  fossi  oggi  tu  preso  similmente: 
E  donne  e  cavallier  che  tu  vedrai, 
Poi  ci  ho  ridotti,  et  altra  nobil  gente. 
Acciò  che,  quando  a  voglia  sua  non  esca, 
Avendo  compagnia,  men  gli  rincresca. 
32 

Pur  eh'  uscir  di  là  su  non  si  domande, 


29.  8.  morir  cristiano.  Il  pensiero  e  già 
neW  Innam.  II,  xvi,  35,  53:  «  Il  ciel  e  la  for- 
tuna vuole  Che  la  fé  di  Macone  e  Trivigante 
Perda  costui  ».  «  Che  a  tradimento  sia  uc- 
ciso con  pene  ». 

30.  1.  Anstrino,  australe.  Già  i  Latini  eb- 
bero auòtriììus  accanto  ad  australis. 

—  4.  Atlante.  Questo  mago  è  un'  inven- 
zione del  Boiardo,  che  gli  diede  per  abita- 
zione il  monte  di  Carena.  Atlante  prese 
Ruggero  da  piccolino,  i-imasto  senza  ma- 
dre, e  l'educò  forte  nelle  armi;  ma,  ve- 
dendo che  il  suo  destino  gli  miuacciava 
disgrazie,  costruì  un  giardino  incantato  sul 
monte  Carena,  per  tenervelo  chiuso  e  allon- 
tanarlo dalle  imprese  guerresche.  P^ssendo 
..ero  destinato  che  egli  vada  con  Agraman- 

e  in  Francia,  è  cercato,  per  mezzo  dell'anel- 
lo magico  tolto  da  Brunello  ad  Angelica,  e, 
mediante  un  torneo  che  il  giovinetto  vede 
dall'  alto  del  giardino  d'Atlante,  è  attirato 
fatalmente  alle  armi.  Atlante,  sebbene  addo- 
l'jratissimo,  non  sa  resistere  ai  destini,  ed 
è  costretto  a  lasciarlo  partire  per  Francia. 
Fin  qui  il  Boiardo. 

81.  3.  preso  fu,  nel  duello  raccontato  da 
l'inabello.  ii,  37  e  segg. 

—  7.  quando  ecc.;  sebbene  non  esca.  Cosi 
■è  da  intendere,  perche  Ruggero  né  uell'/nn. 
né  nel  Furioso  può  uscire  dal  giardino  o  dal 
■castello  incantato;  e  cosi  usarono  quando 
anche  altri:  Caro,  leu.  2:  <»  E  quando  me 
ne  sia  dimenticato  o  V  abbia  pretermesso... 
me  l'avete  a  perdonare  ».  V.  e.  xvin,  16,  n.  5. 


E  non  t'impacciar  oltra  nel  castello, 
O tranne  uno  o  duo  amici,  e  lasciali  resto; 
O  tranne  tutti  gli  altri,  e  più  non  chero, 
Se  non  che  tu  mi  lasci  il  mio  Ruggiero. 
34 

E  se  disposto  sei  volermel  torre,  •  [eia, 
Deh  prima  alraen  che  tu  '1  rimeni  in  Fran- 
Piacciati  questa  afflitta  auima  sciorre 
De  la  sua  scorza  ormai  putrida  e  rancia! 
Rispose  la  Donzella:  Lui  vo'  porre 
lu  libertà:  tu,  se  sai,  gracchia  e  ciancia. 
Né  mi  offerir  di  dar  lo  scudo  in  dono, 
O  quel  destrier , che  miei,  non  più  tuoi  sonoì 
35 

Né  s'anco  stesse  a  te  di  torre  e  darli, 
Mi  parrebbe  che  il  cambio  convenisse. 
Tu  di'  che  Ruggier  tieni  per  vietarli 
11  male  influsso  di  sue  stelle  fisse. 


32.  2.  cura  mi  tocca  ;  la  cura  d'ogni  altro 
loro  gaudio  mi  muove,  mi  stimola. 

33.  5.  n.  t'impacciar...  nel  e;  non  t'oc- 
cupar del  e.  Impacciarsi  si  costruisce  egual- 
mente con  in  e  con  di. 

—  7.  chero.  Dal  verbo  cherere,  (\Ai.que- 
rere)  che  dagli  antichi  si  usò  anche  in  prosa 
in  vari  modi  e  tempi,  ma  ormai  è  solo  della 
poesia  nel  sing.  del  pres.  indie. 

34.  1.  scorza  :  il  corpo.  L'usò  più  volte  an- 
che il  Petr.  p.  II,  s.  IO:  «Lasciando  in  terra 
la  terrena  scorza».  —  rancia;  quasi  ran- 
cida per  la  molta  età:  Bocc.  Filoc.  5,  326: 
«Una  vecchia  povera,  vizza,  rancia  >•. 

—  6.  se  sai  ;  quanto  sai,  quanto  è  possi- 
bile. È  frequentissimo:  Bocc.  Dee.  N.  79: 
«  sie  pur  infermo,  se  tu  sai  •». 

—  S.  non  pili  tuoi.  Secondo  le  leggi  della 
cavalleria  il  vinto,  le  sue  armi  e  i  cavalli 
divenivano  possesso  del  vincitore. 

35.  1.  torre.  Solita  omissione  del  pron.  V. 
e.  I,  21,  n.  7. 

—  3.  vietarli  ;  vietare  a  lui;  rimuovere  da 
lui.  È  significato  non  citato  dai  vocal). 

—  4.  il  male  influsso;  il  malo  intt.  (i.  Vil- 
lani, 11,  S7,  3:  «Male  stato  universale  »; 
Berni,  Inn.  I,  -50:  «  Per  fare  un  male  scher- 
zo ».  Secondo  l'astrologia  antica  si  credeva 
che,  come  gli  astri  influiscono  sulla  natura 


CANTO  IV 


43 


O  che  non  puoi  saperlo,  o  non  schivarli, 
Sappiendol,ciòche'I  cieldi  lui  prescrisse: 
Ma  se  '1  mal  tuo,  e' hai  si  vicin,  non  vedi, 
Peggio  l'altrui  e' ha  da  venir  prevedi. 

36  [ghi 

Non  pregar  ch'io  t'uccida;  ch'i  tuoi  pre- 
Sariano  indarno;  e  se  pur  vuoi  la  morte, 
Ancor  che  tutto  il  mondo  dar  la  nieghi, 
Da  se  la  può  aver  sempre  animo  forte. 
Ma  pria  che  l'alma  da  la  carne  sleghi, 
A  tutti  i  tuoi  i>rigioni  apri  le  porte. 
Cosi  dice  la  Douua,  e  tuttavia 
Il  Mago  preso  incontra  al  sasso  invia. 
37 

Legato  de  la  sua  propria  catena 
N'  andava  Atlante,  e  la  Donzella  appresso. 
Che  cosi  ancor  se  ne  fidava  a  pena, 
Benché  in  vista  parca  tutto  rimesso. 
Non  molti  passi  dietro  se  lo  mena, 
Ch'  a  pie  del  monte  han  ritrovato  il  fesso 
E  li  scaglioni  onde  si  monta  in  giro, 
Fin  ch'alia  porta  del  Castel  salirò. 
3b 

Di  su  la  soglia  Atlante  un  sasso  lolle, 
Di  caratteri  e  strani  segni  insculto. 


materiale,   influissero  sugli  uomini,   sulle 
loro  inclinazioni  e  sulle  loro  sorti. 

—  5.  0  che  ecc.  Il  che  è  pleonastico;  e  si 
usa  cosi  dagli  antichi  anche  dopo  ovvero, 
quanto,  quando,  quasi  ecc.  V.  e.  v,  l.  Nel- 
Vlnn.  Il,  XVI,  36,  Ruggero  fa  ad  Atlante, 
che  vuol  trattenerlo,  lo  stesso  ragionamento. 
«  Ma  se  per  ogni  modo  esser  conviene.  Ad 
aiutarlo  non  trovo  ragione.  E  se  al  presente 
qua  forza  mi  tiene.  Per  altro  tempo  o  per 
altra  stagione  Io  converrò  fornire  il  mio 
ascendente,  Se  tue  parole  e  l'arte  tua  non 
mente  ».  —  Schivarli.  Costruito  come  vie- 
tarli, del  V.  3,  e  vale  presso  a  poco  lo  stesso. 
V.  e.  IX,  49;  XI,  56. 

—  6.  il  ciel  ;  le  stelle  :  come  sopra  alla 
st.  29,  7. 

36.  3.  dar  la  nieghi.  Solita  omissione  delia 
prep.  e  solito  spostam.  del  pron.  V.  e.  i,  47, 
6;  i,  4,  1. 

37.  4.  rimesso;  umile;  dimesso. 

—  7.  si  monta  in  giro.  Era  dunque  una 
scala  a  chiocciola  scavata  nel  sasso.  Anche 
il  Boiardo,  Jnn.  Il,  xvi,  3S  :  «  E  menando 
per  mano  il  bel  garzone  (Ruggero),  Per 
una  tomba  discese  (Atlante)  nel  prato  ». 

—  8.  Finché  ecc.  Completa  :  E  montarono 
per  questi  scaglioni,  finché  ecc. 

38.  2.  caratteri.  È  parola  tecnica  della 
magia.  Erano  figure,  fatte  con  linee  diver- 
samente combinale,  che  si  credeva  avessero 
virtù  di  produrre  effetti  maravigliosi.  Si  di- 
segnavano talvolta  su  carta  e  si  applicavano 
al  collo  come  amuleti,  o  sulle  ferite  come 
rimedi. 


(  Sotto  vasi  vi  son,  che  chiamano  olle,  [culto. 
Che  furaan  sempre,  e  dentro  han  foco  oc- 
L'incantator  le  spezza  ;  e  a  un  tratto  il  colle 
Riman  des^to,  inospite  et  incuito; 
Né  muro  appar  né  torre  in  alcun  lato, 
Come  se  mai  Castel  non  vi  sia  stato. 

!  39 

Sbrigossi  dalla  Donna  il  Mago  allora. 
Come  fa  spesso  il  tordo  da  la  ragna; 

j  E  con  lui  sparve  il  suo  castello  a  un'ora 

!  E  lasciò  in  libertà  quella  compagna. 

j  Le  donne  e  i  cavallier  si  trovar  fuora 
De  le  superbe  stanze  alla  campagna: 

!  E  furon  di  lor  molte  a  chi  ne  dolse;     [se. 

j  Che  tal  franchezza  un  gran  piacer  lor  tol- 
40 

j     Quivi  è  Gradasso,  quivi  è  Sacripante, 

I  Quivi  è  Prasildo,  il  nobil  cavalliero 

i  Che  con  Rinaldo  venne  di  Levante, 
E  seco  Iroldo,  il  par  d'amici  vero. 
Al  fin  trovò  la  bella  Bradamante 
Quivi  il  desiderato  suo  Ruggiero, 
Che,  poi  che  n'ebbe  certa  conoscenza. 
Le  fé'  buona  e  gratissima  accoglienza  ; 
41 
Come  a  colei  che  più  che  gli  occhi  sui. 
Più  cheT  suo  cor,  più  che  la  propria  vita 
Ruggero  amò  dal  di  ch'essa  per  lui 
Si  trasse  l'elmo,  onde  ne  fu  ferita. 
Lungo  sarebbe  a  dir  come,  e  da  cui. 


—  3.  olle;  (lat.  olla)  \Rle  pvopv. i)entola. 

39.  1.  Sbrigossi  ecc.  Perché  non  si  sbrigò 
prima  ?  I  maghi  non  potevano  operar  pro- 
digi colla  sola  volontà  o  colla  sola  invocaz. 
di  demoni,  ma  avevan  bisogno  di  certe  for- 
mule, di  certi  segni  od  oggetti,  dai  quali 
dipendeva  il  prodigio;  come  il  libro  degli 
incanti,  iota  bacc/ietta  ecc. 

—  6.  compagna;  compagnia.  Dante,  Inf- 
XXVI,  101  :  «  Sol  con  un  legno  e  con  quella 
compagna  ». 

—  s.  franchezza;  libertà.  L'usarono  non 
di  rado  gli  antichi,  e  i  moderni  per  vezzo 
di  antichità.  Botta,  St.  It.  4,  509:  «  La  fran- 
chezza del  paese  nasceva  da  se  ». 

40.  1.  Gradasso.  V.  e.  il,  45.  Sacripante 
non  si  sa  come  vi  fosse  capitato.  Prasildo 
e  Iroldo,  che  nel!' //(»/.  sou  modelli  di  ami- 
cizia. (V.  Jnn.  I,  XII,  5;  e  xvii,  12  e  seg.), 
aiutati  da  Rinaldo  e  liberati  dalla  prigione 
di  Falerina,  si  fanno  cristiani  e  vengono  in 
Ponente,  dove  1'  .\.  immagina  che  sian  presi 
da  Atlante. 

41.  4.  Si  trasse  l'elmo,  per  mostrare  il  suo 
viso  a  Ruggero  :  sopraggiunta  una  schiera 
di  saracini,  Martasino  la  feri  nel  capo  sco- 
perto. V.  e.  II,  32,  n.  4.  Allora  Bradamante 
lo  insegue  e  si  allontana  da  Ruggero,  che 
invano  la  ricerca  ed  è  cercato  da  lei.  Fin 
qui  il  Boiardo. 


44 


ORLANDO  FURIOSO 


E  quanto  ne  la  selva  aspra  e  romita 
Si  cercar  poi  la  notte  e  il  giorno  chiaro: 
Né,  se  non  qui,  mai  più  si  ritrovaro. 

42 
Or  che  quivi  la  vede,  e  sa  ben,  eh"  ella 
È  stata  sola  la  sua  redentrice, 
Di  tanto  gaudio  ha  pieno  il  cor,  che  appella 
Sé  fortunato  et  unico  felice. 
Scesero  il  monte,  e  dismontaro  in  quella 
Valle,  ove  fu  la  Donna  vincitrice, 
E  dove  rippogrifo  trovaro  anco, 
Ch'avea  lo  scudo,  ma  coperto,  al  fianco. 

43 
La  Donna  va  per  prenderlo  nel  freno: 
E  quel  l'aspetta  fin  che  se  gli  accosta; 
Poi  spiega  l'ale  per  l'aer  sereno, 
E  si  ripon  non  lungi  a  mezza  costa. 
Ella  lo  segue;  e  quel  né  più  né  meno 
Si  leva  in  aria,  e  non  troppo  si  scosta: 
Come  fa  la  cornacchia  in  secca  arena. 
Che  dietro  il  cane  or  qua  or  là  si  mena. 

44 
Ruggier,  Gradasso,  Sacripante,  e  tutti 
Quei  cavallier  che  scesi  erano  insieme, 
Chi  di  su,  chi  di  giù,  si  son  ridutti 
Dove  che  torni  il  volatore  han  speme. 
Quel,  poi  che  gli  altri  invano  ebbe  condutti 
Più  volte  e  sopra  le  cime  supreme 
E  negli  umidi  fondi  tra  quei  sassi. 
Presso  a  Ruggiero  al  fin  ritenne  i  passi. 

45 
E  questa  opera  fu  del  vecchio  Atlante,  j 
Dì  cui  non  cessa  la  pietosa  voglia       [te:  j 
Di  trar  Ruggier  del  gran  periglio  instan-  i 
Di  ciò  sol  pensa,  e  di  ciò  solo  ha  doglia. 
Però  gli  manda  or  l'Ippogrifo  avante. 
Perché  d'Europa  con  questa  arte  il  foglia. 
Ruggier  lo  piglia,  e  seco  pensa  trarlo;       | 
Ma  quel  s'  arretra,  e  non  vuol  seguitarlo 

46 
Or  di  Frontin  quell'animoso  smonta, 
(Frontino  era  nomato  il  suo  destriero) 
E  sopra  quel  che  va  per  l'aria,  monta. 


E  con  li  spron  gli  adizza  il  core  altiero. 
Quel  corre  alquanto,  et  indi  i  piedi  ponta, 
E  sale  inverso  il  ciel,  via  più  leggiero 
Che  '1  girifalco,  a  cui  lieva  il  cappello 
Il  mastro  a  tempo,  e  fa  veder  l'augello. 


47 


i^rr^ri 


La  bella  donna,  che  si  in  alto  vede 
E  con  tanto  periglio  il  suo  Ruggiero, 
Resta  attonita  in  modo,  che  non  riede 
Per  lungo  spazio  al  sentimento  vero. 
Ciò  che  già  inteso  avea  di  Ganimede,      r 
Ch'ai  ciel  fu  assùnto  dal  paterno  imperò^ 
Dubita  assai  che  non  accada  a  quello. 
Non  men  gentil  di  Ganimede  e  beHo. 
48 

Con  gli  occhi  fissi  al  ciel  lo  segue  quanto 
Basta  il  veder;  ma  poi  che  si  dilegua 
Si,  che  la  vista  non  può  correr  tanto. 
Lascia  che  sempre  l'animo  lo  segua. 
Tuttavia  con  sospir,  gemito  e  pianto 
Non  ha,  né  vuol  aver  pace  né  triegua. 
Poi  che  Ruggier  di  vista  se  le  tolse. 
Al  buon  destrier  Frontin  gli  occhi  rivolse: 
49 

E  si  deliberò  di  non  lasciarlo. 
Che  fosse  in  preda  a  chi  venisse  prima; 
Ma  di  condurlo  seco,  e  di  poi  darlo 
Al  suo  signor  eh' anco  veder  pur  stima. 
Poggia  l'augel,  né  può  Ruggier  frenarlo  : 
Di  sotto  rimaner  vede  ogni  cima 
Et  abbassarsi  in  guisa,  che  non  scorge 
Dove  è  piano  il  terren  né  dove  sorge. 


43.  1.  prend.  nel  freno.  Comun.  Prendere 
per  il  freno.  V.  e.  xxiii,  91,  3. 

—  2.  se  gli.  Nella  prosa  comune  il  coni- 
plem.  indiretto  si  antepone  al  diretto;  ma 
nella  poesia  e  anche  nella  prosa  alta,  si 
negli  antichi  che  nei  moderni,  si  trova  in- 
vertito l'ordine.  FoPvNac.  Sint.  p.  45S. 

—  7.  Come  fa  la  cornacchia.  .MORGAnte, 
24,  95:  «Hai  tu  veduto  il  can  colla  cornac- 
chia Come  spesso  beffato  indarno  corre? 
Ella  si  posa  e  poi  si  leva  e  gracchia». 

44.  3.  Chi  di  sn  chi  di  gin  ;  chi  scendendo 
dall'  alto,  chi  salendo  dal  basso  della  costa. 

45.  3.  instante  (lat.inslantem),  imminente. 

—  6.  perché  il  teglia.  Il  sogg.  è  Atlante. 

46.  1.  Frontin.  Apparteneva  a  Sacripante 
e  si  chiamava  Frontalatte  ;  Brunello  glie  lo 


rubò  e  lo  donò  a  Ruggero  :  «  Avendo  altro 
signore  ebbe  altro  nome»  Jnn.  II,  xvi,  56. 

—  4.  adizza;  aizza  (tedesco  ant.  hiza,  ca- 
lore). La  prima  forma  è  più  comune  negli 
antichi,  la  seconda  nei  moderni  scrittori. 

—  7.  girifalco,  o  girfalco  (ant.  frane,  gir- 
falc  di  etimol.  incerta),  è  il  maggiore  uc- 
cello di  rapina  fra  le  diverse  specie  di  fal- 
coni. A  questi  uccelli  tenevan  sugli  occhi 
un  cappello,  che  era  tolto  quando  li  lancia- 
vano alla  preda. 

—  8.  mastro.  Dicesi  in  generale  di  chi 
esercita  qualche  arte  o  mestiere  ;  qui  è  il 
falconiere. 

47.  5.  Ganimede,  bellissimo  giovinetto  Tro- 
iano, figlio  del  re  Troo,  che  Giove,  presa 
forma  d'aquila,  rapi  da  Troia  e  portò  in 
cielo,  perché  gli  facesse  da  coppiere. 

48.  5.  con  sospir  ecc.  Tasso,  Ger.  i,  70  : 
«  E  tregua  fa  co'  suoi  pensier  Goffredo  ». 

49.  1.  si  deliberò.  La  forma  rirtess.  è  freq. 
anche  in  prosa.  Bocc,  Nov.  99:  «  Incomin- 
ciò a  sollecitare  il  Saladino,  che  di  ciò  si 
deliberasse  ». 

—  2.  Che  fosse  ;  cosicché  fosse.  V.  e.  r, 
5,  7.  —  in  preda;  come  preda.  V.  e.  ix,  47, 
n.  7. 


CANTO  IV 


45 


Poi  che  si  ad  alto  vien,  ch'iin  picciol  pun- 
Lo  può  stimar  clii  da  la  terra  il  mira,     [to 
Prende  la  via  verso  ove  cade  a  punto    , 
Il  Sol,  quando  col  Grancliio  si  raggira: 
E  per  l'aria  ne  va  come  legno  unto 
A  cui  nel  mar  propizio  vento  spira. 
Lasciànlo  andar,  che  farà  buon  camino; 
E  torniamo  a  Rinaldo  paladino. 
51 

Rinaldo  l'altro  e  l'altro  giorno  scorse. 
Spinto  dal  vento,  un  gran  spazio  di  mare, 
Quando  a  Ponente  e  quando  contra  TOrse, 
Che  notte  e  di  non  cessa  mai  soffiare. 
Sopra  la  Scozia  ultimamente  sorse, 
Dove  la  selva  Calidonia  appare. 
Che  spesso  fra  gli  antiqui  ombrosi  cerri 
S'ode  sonar  di  bellicosi  ferri. 
52 

Vanno  per  quella  i  cavallieri  erranti, 
Incliti  in  arme,  di  tutta  Bretagna, 


50.  1.  ad  alto  ;  in  alto.  Oggi  è  poco  usato, 
ma  negli  antichi  è  frequente.  Cavalca.  Dial. 
S.  Greg.  150  :  «  Posesi  a  sedere  ad  alto  ». 

—  3.  ove  cade  ecc.  Il  sole,  quando  è  nella 
costellaz.  del  Gi-anchio,  cade  o  tramoma  da 
quella  parte  della  Spagna,  che  è  bagnata 
dall'Oceano  Atlantico.  Quindi  l'Ippogr.  tra- 
versa l'Oceano  e  giunge  alle  Indie  orientali. 
É  il  cammino  che  disegnava  fare  il  Colombo, 
quando,  invece,  s'abbatte  nell'America. 

—  5.  legno  unto,  propr.  impeciato,  spal- 
mato; e  quindi  una  nave  in  buone  con- 
dizioni. É  epiteto  latino:  Viro.,  En.  4,  39S: 
«  natat  uncta  carina  ».  In  questo  senso  non 
è  registr.  dai  vocabol. 

51.  I.  Rinaldo.  V.  e.  Il,  30. 

—  3.  contra  l'Orse.  Al  polo  artico  sono  le 
costellazioni  dell'  Orsa  magg.  e  minore  :  qui 
però  vuol  dire  :  Verso  settenttHone. 

—  4.  Che.  È  relativo  di  Vento.  L'A.,  come 
altri  antichi  scrittori,  non  guardò  sempre 
a  collocare  il  relativo  a  conveniente  distan- 
za del  suo  sostantivo,  v.  Boccaccio,  Intro- 
zione  al  Decamer..  primo  periodo. 

—  5.  sorse.  Sorgere  è  voce  niarinai*esca, 
che  vale  dar  fondo,  gettar  V  ancore  in 
mare;  si  usa  assolutamente  e  anche  con  a, 
sopra.  V.  e.  X,  16;  xviii,  137. 

—  6.  selva  Calidonia,  è  un'  antica  selva 
famosa,  che  copriva  gran  parte  della  Scozia 
settentrionale.  Ne  restano  pochi  avanzi.  L'A. 
intende  di  portar  l' azione  nel  teatro  stesso 
della  Tavola  Rotonda;  se  non  che  questa 
selva  non  appare  mai  nei  poemi  cavallere- 
schi, dove  le  selve  degli  Erranti  sono  Bro- 
celiande,  Brequehan,  Darnantes.  Xell'A. 
dunque  questo  nome  è  un  ricordo  classico, 
ma,  in  quel  che  ne  dice,  ritrae  la  selva  di 
Darnantes. 


E  de'  prossimi  luoghi  e  de'  distanti. 
Di  Francia,  di  Norvegia  e  di  Lamagna. 
Chi  non  ha  gran  valor,  non  vada  inanti; 
Che  dove  cerca  onor,  morte  guadagna. 
Gran  cose  in  essa  già  fece  Tristano, 
Lancilotto,  Galasso,  Artù  e  Galvano, 

53 
Et  altri  cavallieri  e  de  la  nova 
E  de  la  vecchia  Tavola  famosi: 
Restano  ancor  di  più  d'una  lor  prova 
Li  monumenti  e  li  trofei  pomposi. 
L'arme  Rinaldo  e  il  suo  Baiardo  trova. 
E  tosto  si  fa  por  nei  liti  ombrosi. 
Et  al  nocchier  comanda  che  si  spicche 
E  lo  vada  aspettar  a  Beroicche. 

54 
Senza  scudiero  e  senza  compagnia 
Va  il  cavallier  per  quella  selva  immeus;i, 
FacendOjOr  una  et  or  un'altra  via. 
Dove  più  aver  strane  avventure  pensa. 
Capitò  il  primo  giorno  a  una  Badia 
Che  buona  parte  del  suo  aver  dispensa 
In  onorar  nel  suo  cenobio  adorno 
Le  donne  e  1  cavallier  che  vanno  attorno. 

55 
Bella  accoglienza  i  monachi  e  l'Abbate 


52.  7.  Tristano  e  Lancillotto  sono  i  due 
più  famosi  cavalieri  della  Tavola  R.  Galasso 
fu  figlio  di  Lancillotto.  Artù  è  personaggio 
leggendario,  vissuto  nel  sec.  vi.  Fu  figlio 
di  Uter  Pandragou  capo  dei  Bretoni  :  ebbe 
a  precettore  Merlino;  vinse  i  Sassoni  e  gli 
Scozzesi;  sposò  Ginevra  figlia  del  duca  di 
Cornovaglia;  combatté  e  vinse  un  seduttore 
di  sua  moglie,  ma  ne  fu  ferito  a  morte. 
Artù  è  il  centro  del  ciclo  Bretone.  Alla  sua 
corte  furono  dodici  cavalieri  erranti,  che 
egU,  per  evitar  questioni  di  precedenza,  in- 
vitava a  una  tavola  rotonda.  Galvano  era 
nipote  e  consigliere  di  Artù. 

53.  1.  e  de  la  nova.  La  tavola  vecchia  è 
quella  di  Uter  padre  di  Arturo  ;  la  nuova 
quella  di  Arturo.  La  vecchia  però  nacque 
dopo  la  nuova,  perché,  divenuto  celebre 
Artù  e  i  suoi  cavalieri,  la  fantasia  dei  poeti 
ingrandi  anche  le  gesta  del  padre. 

—  5.  trova  ;  prende  ;  ma  e'  è  l' idea  d' a- 
vei'li  subito  con  premura  cercati.  In  questo 
senso  non  è  registr.  dai  vocab. 

—  S.  vada  aspettar.  La  soppressione  della 
pi'ep.  0.  o  è  dovuta  alle  due  a,  che  si  incon- 
trerebbero (V.  e.  II,  72,  3),  o  rientra  nella 
regola,  di  cui  al  e.  i,  4,  n.  1. 

Beroicche  ;  Berwick,  città  alla  foce 

del  Tvseed,  sul  confine  della  Scozia  e  del- 
l'Inghilt. 

54.  7.  cenobio  ;  (gr.  koinós,  comune  ;  bios, 
vita)  luogo  dove  si  vive  in  comune,  Mona- 
stero. 

55.  1.  monachi.  Anche  presso  gli  antichi 
è  forma  meno  usata  di  Monaci. 


46 


ORLANDO  FURIOSO 


Fero  a  Rinaldo,  il  qual  domandò  loro 
(Non  prima  già,  che  con  vivande  grate 
Avesse  avuto  il  ventre  ampio  ristoro) 
Come  dai  cavallier  sieii  ritrovate 
Spesso  avventure  per  quel  tenitore, 
Dove  si  possa  iu  qualche  fatto  egregio 
L'uom  dimostrar,  se  merta  biasmo  o  pre- 

56  [gio. 

Risposongli  ch'errando  in  quelli  boschi, 
Trovar  potria  strane  avventure  e  molte: 
Ma  come  i  luoghi,  i  fatti  ancor  son  foschi: 
Che  non  se  n'ha  notizia  le  più  volte. 
Cerca  (diceano)  andar  dove  conoschi 
Che  l'opre  tue  non  restino  sepolte. 
Acciò  dietro  al  periglio  e  alla  fatica 
Segua  la  fama,  e  il  debito  ne  dica. 

57 
E  se  del  tuo  valor  cerchi  far  prova, 
T' è  preparata  la  più  degna  impresa 
Che  ne  l'antiqua  etade  o  ne  la  nova 
Clamai  da  cavallier  sia  stata  presa. 
La  liglia  del  Re  nostro  or  si  ritrova 
Bisognosa  d'aiuto  e  di  difesa 
Contra  un  Barou  che  Lurcanio  si  chiama, 
Che  tor  le  cerca  e  la  vita  e  la  fama. 

58 
Questo  Lurcanio  al  padre  l'ha  accusata 
(Forse  per  odio  più  che  per  ragione) 
Averla  a  mezza  notte  ritrovata 
Trarr'un  suo  amante  a  sé  sopra  un  verro- 
Per  le  leggi  del  regno  condannata      (ne. 
Al  foco  fìa,  se  non  trova  campione 
Che  fra  un  mese,  oggimai  presso  a  tìuire. 
L'iniquo  accusator  faccia  mentire. 

59 
L'aspra  legge  di  Scozia,  empia  e  severa, 


—  5.  Come...  sien  ritrovate;  come  avvenga 
che...  sien  ritrovate  ecc.  ;  mentre  egli  non 
aveva  incontrato  nulla. 

—  6.  tenitore  e  tenitorio  usarono  spesso 
gli  antichi  per  territorio. 

56.  3.  foschi.  Per  hioyhi  è  proprio,  per 
fatti  è  figurato.  Cecchi,  Comm.  in.  7  :  «  Per 
far  vostre  memorie  e  fosche  e  corte  ». 

/  —  5.  conoscili.   Su   questa  forma  di  con- 
giuntivo vedi  e.  XV,  86,  n.  5. 

—  8.  debito;  ciò  che  si  deve,  ciò  che  è 
giusto.  Osserva  il  Raina  che  questi  discorsi 
dei  monaci  dimostrano  che  siamo  ben  lungi 
dai  veri  tempi  cavallereschi,  perché  gli  Er- 
ranti avean  per  dover  principalissimo  la 
modestia  e  il  desiderio  che  le  loro  imprese 
restassero  nascoste. 

57.  4.  presa;  intrapresa.  Bocc./nfrod»-.. • 
«  presa  una  carola  ». 

68.  4.  Trarre;  a  trarre.  V.  e.  i,  4,  1. 

—  8  faccia  mentire  ;  dimostri  che  ha  men- 
tito; V.  e.  Il,  4,  n.  1. 

59.  1.  Di  queste  leggi  barbare  ce  ne  fu- 
rono realmente  nei  tempi  medievali:  e  se 


Vuol  ch'ogni  Donna,  e  di  ciascuna  sorte, 
Ch'aduomsigiungaenongli  sia  mogliera,. 
S'accusata  ne  viene,  abbia  la  morte. 
Né  riparar  si  può  ch'ella  non  pera. 
Quando  per  lei  non  venga  un  guerrier  forte 
Che  tolga  la  difesa,  e  che  sostegna 
Che  sia  innocente  e  di  morire  indegna. 

60 
Il  Re,  dolente  per  Ginevra  bella 
(Che  cosi  nominata  è  la  sua  tìglia) 
Ha  pubblicato  per  città  e  castella, 
Che  s' alcun  la  difesa  di  lei  piglia, 
E  che  l'estingua  la  calunnia  fella, 
(Pur  che  sia  nato  di  nobil  famiglia) 
L'avrà  per  moglie,  et  uno  stato,  quale 
Fia  convenevol  dote  a  Donna  tale. 

61 
Ma  se,  fra  un  mese,  alcun  per  lei  non  vìe- 
0  venendo  non  vince,  sarà  uccisa.       |ne. 
Simile  impresa  meglio  ti  conviene, 
Ch'andarpei  boschi  errando  a  questa  gui- 
Oltre  ch'onor  e  fama  te  n'avviene,        [sa. 
Ch'in  eterno  da  te  non  Ha  divisa. 
Guadagni  il  fior  di  quante  belle  donne 
Da  l'Indo  sono  all'Atlantee  colonne; 


ne  fa  spesso  menzione  in  antichi  poemi  ca- 
vallereschi. Se  ne  trova  già  un  esempio 
nella  Germania  di  Tacito,  XIX  :  *  La  pena 
dell'adulterio  è  conceduta  subito  al  marito; 
tagliale  i  capelli  ;  trala  di  casa  ignuda  in 
presenza  dei  parenti  e  scopala  per  ogui 
villaggio  ».  I  primi  quattro  versi  di  questa 
Stanza  sono  quasi  traduz.  d'  un  luogo  del- 
YAinadigi  di  Gaula,  lib.  I,  1  :  «  In  quella 
terra  era  per  legge  stabilito  che  una  mo- 
glie, per  quanto  fosse  d'illustre  casata,  se 
fosse  accusata  d'adulterio,  non  si  poteva  in 
nessun  modo  sottrarre  a  morte  ». 

—  2.  di  ciascuna  s.  ;  di  qualunque  condi- 
zione. 

60.  1.  Ginevra.  Il  nome  e  il  genere  del- 
l'avventura sono  tolti  dal  romanzo  Lancil- 
lotto del  Lago  ;  dove  Ginevra,  moglie  del 
re  Arturo,  accusata  d'infedeltà,  è  difesa  da 
Lancillotto.  Quanto  a  Dalinda,  v.  e.  vi,  5. 

—  5.  E  che.  Dopo  unaproposiz.  temporale 
dipendente  da  quando,  e  dopo  una  propos. 
condizionale,  segue  spesso  nello  stile  popo- 
lare una  coordinata  con  che,  invece  della 
ripetizione  del  Quando  o  del  Se.  V.  e.  xx, 
71;  XXIV,  31;  xxx,  89. 

61.  5.  te  n'avviene;  te  ne  deriva.  Dante, 
Inf.  IV,  28  :  «  E  ciò  avvenia  di  duol  senza 
martiri  ». 

—  6.  Ch'in  eterno  ecc.  Dante,  Inf.  v,  35: 
«  Questi,  che  mai  da  me  non  lìa  diviso  ». 

—  8.  Dall'Indo  ecc.;  dall'oriente  all'oc- 
cidente. Atlantee  colonne  sono  le  colonne 
d'Ercole  (i  promontori  Abila  e  Calpe,  oggi 
Jebel-el-Mina  e  Rupe  d\  Gibilterra)  poste 


CANTO  IV 


47 


62 

E  una  ricchezza  appresso,  et  uno  stato 
Che  sempre  far  ti  può  viver  contento; 
E  la  grazia  del  Ee,  se  suscitato 
Per  te  gli  ria  il  suo  onor,  eh' è  quasi  spento. 
Poi  per  cavalleria  tu  se'  ubligato 
A  vendicar  di  tanto  tradimento 
Costei,  che  per  commune  opinione 
Di  vera  pudicizia  è  un  paragone. 
63 
Pensò  Rinaldo  alquanto,  e  poi  rispose: 
Una  donzella  dunque  de'  morire 
Perciié  lasciò  sfogar  ne  l'amorose 
Sue  braccia  al  suo  amator  tanto  desire'? 
Sia  maladetto  chi  tal  legge  pose, 
E  maladetto  chi  la  può  patire. 
Debitamente  muore  una  crudele, 
Xon  chi  dà  vita  al  suo  amator  fedele. 
64 
Sia  vero  o  falso  che  Ginevra  tolto 
S'abbia  il  suo  amante,  io  non  riguardo  a 
D'averlo  fatto  la  loderei  molto,      [questo  : 
Quando  nou  fosse  stato  manifesto. 
Ho  in  sua  difesa  ogni  pensier  rivolto: 
Datemi  pur  un  che  mi  guidi  presto, 
E  dove  sia  l'accusator  mi  mene; 
Ch'io  spero  in  Dio  Ginevra  trar  di  pene. 
.  '''5 

T^on  vo'  già  dir  eh'  ella  nou  l'abbia  fatto  ; 
Che  noi  sappiendo,  il  falso  dir  potrei: 
Dirò  ben,  che  non  de'  per  simil  atto 
Punizìon  cadere  alcuna  in  lei; 
E  dirò  che  fu  ingiusto  o  che  fu  matto         ; 
Chi  fece  prima  li  statuti  rei  ; 
E  come  iniqui  rivocar  si  denno, 
E  nuova  legge  far  con  miglior  senno. 
66 
S'un  medesimo  ardor,  s'un  disir  pare 
Inchina  e  sforza  l'uno  e  l'altro  sesso 
A  quel  soave  fin  d'amor,  che  pare 
All'ignorante  vulgo  un  grave  eccesso; 
Perché  si  de'  punir  donna  o  biasmare, 
Che  con  uno  o  più  d"uno  abbia  commesso 
Quel  che  l'uom  fa  con  quante  n'ha  appeti- 
E  lodato  ne  va,  non  che  impunito?      |to, 
67 
Son  fatti  in  questa  legge  disuguale 
Veramente  alle  donne  espressi  torti; 
E  spero  in  Dio  mostrar  che  gli  è  gran  male 
Che  tanto  lungamente  si  comporti. 
Rinaldo  ebbe  il  consenso  universale, 
Che  fur  gli  antiqui  ingiusti  e  male  accorti, 


Che  consentirò  a  cosi  iniqua  legge, 
E  mal  fa  il  Re,  che  può,  né  la  corregge. 
68 

Poi  che  la  luce  candida  e  vermiglia 
De  1  altro  giorno  aperse  l'emispero, 
Rinaldo  l'arme  e  il  suo  Baiardo  picriia 
E  di  quella  Badia  tolle  un  scudiero"     ' 
Che  con  lui  viene  a  molte  leghe  e  miglia. 
Sempre  nel  bosco  orribilmente  fiero. 
Verso  la  terra  ove  la  lite  nuova 
De  la  donzella  de'  venir  in  pruova, 
69 

Avean,  cercando  abbreviar  camino, 
Lasciato  pel  seutier  la  maggior  via; 
Quando  un  gran  pianto  udir  sonar  vicino, 
Che  la  foresta  d'ogni  intorno  empia. 
Baiardo  spinse  l'uu,  l'altro  il  ronzino 
Verso  una  valle,  onde  quel  grido  uscia; 
E  fra  dui  mascalzoni  una  donzella 
Vider,  che  di  lontan  parea  assai  bella; 
70 

Ma  lacrimosa  e  addolorata  quanto 
Donna  o  donzella,  o  mai  persona  fosse. 
Le  sono  dui  col  ferro  nudo  a  canto. 
Per  farle  far  l'erbe  di  sangue  rosse. 
Ella  con  preghi  differendo  alquanto 
(■iva  il  morir,  sin  che  pietà  si  mosse. 
Venne  Rinaldo;  e  come  se  n'accorse. 
Con  alti  gridi  e  gran  minaccie  accorse. 
71 

Voltaro  i  malaudrin  tosto  le  spalle. 
Che  il  soccorso  lontan  vider  venire; 
E  si  appiattar  ne  la  profonda  valle. 
Il  Paladiu  non  li  curò  seguire: 
Venne  a  la  donna,  e  qual  gran  colpa  dàlie 
Tanta  punizìon  cerca  d'udire; 
E,  per  tempo  avanzar,  fa  allo  scudiero 
Levarla  in  groppa,  e  torna  al  suo  sentiero. 


presso  il  monte  Atlante  sullo  stretto  di  Gi- 
bilterra. 

62.  S.  è  un  paragone  ;  è  un  modello.  Cosi 
anche  al  e.  xxix,  19. 

63.  —  La  morale  di  questa  St.  è  già  nel 
Boccaccio  :  per  es.  nella  novella  di  Xastasio 
degli  Onesti. 


68.  2.  aperse  ;  mostrò,  scopri  ;   v.   st.  23. 

—  5.  leghe  (lat.  leuca,  dello  stesso  sign.) 
misura,  il  cui  valore  antico  è  poco  cono- 
sciuto, e  il  valore  moderno  ha  molto  va- 
riato. Al  tempo  di  Dante  e  dell' A.  era  di 
circa  quattro  miglia;  oggi  è  circa  quattro 
chilom. 

—  7.  la  lite  nuova  ;  la  questione,  la  que- 
rela di  Ginevra  deve  venire  alla  prova  delle 
armi.  Lite,  come  pure  querela  e  l'espres- 
sione venire  in  prova,  sono  del  linguaggio 
tecnico  dei  duelli.  Xiiova  è  detta  per  ri- 
spetto alle  altre  avute  da  Riualdo. 

69.  2.  la  maggior  via;  la  via  più  larga. 
Alcuni,  a  torto,  intendono  la  via  maestra; 
nelle  selve  vera  e  propria  via  maestra  non 
e'  è. 

—  7.  dni.  V.  e.  I,  16,  2.  —  mascalzoni.  Per 
l'etim.  si  connette  con  maniscalco  (ant. 
ted.  marah,  cavallo  ;  scale,  servo)  ;  quindi 
propr.  mascalzone  vale  Ferratore  di  cavai- 
li;  poi   Uomo  plebeo  e  rozzo  nei  costioni^ 


48 


ORLANDO  FURIOSO 


E  cavalcando  poi  meglio  la  guata 
31olto  esser  bella  e  di  maniere  accorte, 
Ancor  che  fosse  tutta  spaventata 


Per  la  paura  ch'ebbe  de  la  morte. 
Poi  ch'ella  fu  di  nuovo  domandata 
Chi  l'avea  tratta  a  si  infelice  sorte, 
Incominciò  con  umil  voce  a  dire 
Quel  ch'io  vo' air  altro  Canto  differire. 


72.  1.  la  guata...  esser  bella.  Guatare  (ted. 
wathan,  stare  in  guardia,  osservare)  vale 
guardar  con  attenzioìie ;   ma   spesso   si  i 


scambiò  con  Guardare  :  qui  signiflca  vedere 
guardando.  —  m.  accorte.  V.  e.  xxxvii,  48,  3. 


CANTO  V 


Tutti  gli  altri  animai  che  sono  in  terra, 
O  che  vivon  quieti  e  stanno  in  pace, 
O  se  vengono  a  rissa  e  si  fan  guerra, 
Alla  femina  il  maschio  non  la  face. 
L'orsa  con  l'orso  al  bosco  sicura  erra; 
La  leonessa  appresso  il  leon  giace; 
Col  lupo  vive  la  lupa  sicura, 
Né  la  giuvenca  ha  del  torel  paura. 
•2 

Ch'aboniiuevol  peste,  che  Megera 
È  venuta  a  turbar  gli  umani  petti  V 
Che  si  sente  il  marito  e  la  mogliera 
Sempre  garrir  d'ingiuriosi  detti, 
Stracciar  la  faccia  e  far  livida  e  nera, 
Bagnar  di  pianto  i  geniali  letti; 
E  non  di  pianto  sol,  ma  alcuna  volta 
Di  sangue  gli  ha  bagnati  l'ira  stolta. 
3 

Farmi  non  sol  gran  mal,  ma  che  l'uom 
Contra  natura  e  sia  di  Dio  ribello,  [faccia 
Che  s' induce  a  percuotere  la  faccia 
Di  bella  donna,  o  romperle  un  capello: 
Ma  chi  le  dà  veneno,  o  chi  le  caccia 
L'alma  del  corpo  con  laccio  o  coltello, 
Ch'uomo  sia  quel  non  crederò  in  eterno, 
Ma  in  vista  umana  un  spirto  de  l'inferno. 
4 

Cotali  esser  doveano  i  duo  ladroni 
Che  Rinaldo  cacciò  da  la  donzella 
Da  lor  condotta  in  quei  scuri  valloni, 


1.  2.  0  che.  Il  che  è  pleonastico.  V.  e.  iv, 
35,  n.  5. 

—  4.  face,  fa;  parola  usata  dai  poeti  an- 
che nel  corso  del  verso.  Dante,  Purg.  7, 
68:  «  Dove  la  costa  face  di  se  grembo». 

2.  1.  Megera;  È  il  nome  di  una  delle  tre 
furie  :  qui  però  vale  furia  in  generale. 

—  5  Stracciar  la  faccia  ecc.  Intendi:  E  si 
xede  il  marito  stracc.  la  faccia  alia  moglie 
e  fargliela  livida  e  n.;  cfr.  st.  3,  v.  3-4. 

—  6.  geniali.  È  espressione  venuta  nella 
nostra  lingua  dal  latino.  Servio,  Aen.  vi, 
603:  «  geniales  proprie  sunt  lecti  qui  ster- 
nuntur  puellis  nubentibus;  dicti  a  generan- 
dis  liberis  ». 

3.  3.  Che;  Riferiscilo  a  Uoni. 


Perché  non  se  n'udisse  più  novella. 

10  lasciai  ch'ella  render  le  cagioni 
S'apparecchiava  di  sua  sorte  fella 
Al  Paladin,  che  le  fu  buono  amico; 
Or,  seguendo  l'istoria,  cosi  dico. 

5 

La  Donna  incominciò:  Tu  intenderai 
La  maggior  crudeltade  e  la  più  espressa, 
Ch'in  Tebe  o  in  Argo,  o  ch'in  Micene  mai, 
0  in  loco  più  crudel  fosse  commessa. 
E  se  rotando  il  sole  i  chiari  rai, 
Qui  men  eh' all' altre  region  s'appressa, 
Credo  eh' a  noi  mal  volentieri  arrivi, 
Perché  veder  si  crudel  gente  schivi. 
6 

Ch'agli  nemici  gli  uomini  sien  crudi, 
In  ogni  età  se  n'è  veduto  esempio; 
Ma  dar  la  morte  a  chi  procuri  e  studi 

11  tuo  ben  sempre,  è  troppo  ingiusto  et  em- 
E  acciò  che  meglio  il  vero  io  ti  denudi,  [pio. 
Perché  costor  volessero  far  scempio 


4.  5.  Io  lasciai.  Questo  richiamare  il  rac- 
conto era  nel ,  fare  dei  poeti  popolari.  Il 
Boiardo  lo  fa  spessissimo;  più  dirado  l'A. 
—  render  le  cagioni,  dir  le  cause.  I  voca- 
bol.  non  citano  questa  locuz.  ;  che  forse  è 
formata  per  analogia  deli' a.itra.  Render  ra- 
gione. 

5.  1.  La  donna  ecc.  La  figura  di  Dalinda 
è  stata  dall' A.  foggiata  su  Braugain,  ca- 
meriera della  regina  Isotta,  la  quale  sacri- 
fica il  proprio  onore  per  salvare  quello  della 
regina  ;  ma  questa,  per  paura  che  la  came- 
riera sveli  il  segreto,  la  affida  a  due,  che  la 
uccidano:  essi  la  legauo  invece  a  un  albero, 
donde  la  libera  Palamides,  il  quale,  per  sua 
domanda,  la  conduce  a  un  monastero.  (Ro- 
manzo cavaller.  Tristano). 

—  2.  espressa,  chiara,  manifesta;  cioè 
tale  che  ognuno  dovrà  apprezzarla. 

—  3.  Tehe,  Argo,  Micene;  città  famose 
nella  età  eroica  per  fatti  di  sangue.  Per  Tebe 
si  ricordino  i  fratelli  Eteocle  e  Polinice,  che 
si  uccisero  fra  loro  ;  per  Argo  le  Danaidi, 
che  scannarono  i  mariti  ;  per  Micene  le  stragi 
di  Ifigenia,  di  Agamennone,  di  Clitennestra. 


CANTO  V 


49 


lìegli  anni  verdi  miei  contra  ragione, 
Ti  dirò  da  principio  ogni  cagione. 
7 

Voglio  che  sappi,  Signor  mio,  ch'essen- 
Tenera  ancora,  alli  servigi  venni  [do 

ì)e  la  tìglia  del  Ile,  con  cui  crescendo, 
Buon  luogo  in  corte  et  onorato  tenni. 
Crudele  Amore  al  mio  stato  invidendo, 
Fé'  che  seguace,  ahi  lassa!  gli  divenni: 
Fé'  d'ogni  cavallier  d"ogni  donzello 
Parermi  il  Duca  d'Albania  più  bello. 
8 

Perché  egli  mostrò  amarmi  più  chemol- 
loadamar  luicon  tutto  il  cor  mi  mossi,  [to, 
Ben  s'ode  il  ragiouar,  si  vede  il  volto; 
Ma  dentro  il  petto  mal  giudicar  possi. 
Credendo,  amando,  non  cessai  che  tolto 
L'ebbi  nel  letto  ;  e  non  guardai  eh'  io  fossi 
Di  tutte  le  real  camere  in  quella 
Che  più  secreta  avea  Ginevra  bella; 
9 

Dove  tenea  le  sue  cose  più  care, 
E  dove  le  più  volte  ella  dormia. 
Si  può  di  quella  in  s'un  verroue  entrare, 
Che  fuor  del  muro  al  discoperto  uscia. 
Io  facea  il  mio  amator  quivi  montare  : 
E  la  scala  di  corde  onde  salia 

10  stessa  dal  verrongiù  gli  mandai, 
Qual  volta  meco  aver  lo  desiai  : 

10 
Che  tante  volte  ve  lo  fei  venire, 
Quanto  Ginevra  me  ne  diede  l'agio, 
Che  solca  mutar  letto  or  per  fuggire 

11  tempo  ardente,  or  il  brumai  malvagio. 
-Non  fu  veduto  d'alcun  mai  salire; 


6.  7.  Degli  anni  verdi  miei;  del  mio  gio- 
vane corpo. 

7.  4.  Buon  luogo  ;  buon  impiego.  Questo  si- 
gnificato è  comunissimo  negli  antichi:  Dan- 
te Inf.  19,  90 :  «.Nel  luogo,  che  perde  l'a- 
nima ria  ». 

—  5.  invidendo;  latinismo,  dall' inusitato 
inridere:  vi  è  solo  il  gerundio. 

—  8.  Albania,  .A Ibany. ducato  della  Scozia. 

8.  4.  Ma  dentro  ecc.;  Costrutto  abbreviato: 
Ma  dentro  il  'petto  mal  si  può  vedere  per 
giudicare. 

—  5.  che,  finché:  v.  e.  xiri,  7,  n.  4. 

9.  4.  al  discoperto.  Il  verone  (etimol.  in- 
certa) può  essere  anche  una  loggia  spor- 
gente coperta  e  chiusa  da  vetri.  Ecco  per- 
ché l'A.  nota  questo  particolare. 

—  8.  Qual  volta  ;  qualunque  volta:  è  an- 
tiquato: Dante,  Rime,  19.  «Ciò  fare  amor 
qualvolta  mi  rammenta  ». 

10.  4.  brumai;  sottint.  tempo. 

—  5.  d'alcun.  Neppure  gli  antichi  usavano 
generalmente  di  togliere  Va  di  questa  pre- 
posiz.  innanzi  a  parola  che  cominciasse  per 
vocale;  ma  se  ne  trovano  esempi  del  Pe-  1 


Però  che  quella  parte  del  palagio 
Risponde  verso  alcune  case  rotte, 
Dove  nessun  mai  passa  o  giorno  o  notte. 
11 

Continuò  per  molti  giorni  e  mesi 
Tra  noi  secreto  l'amoroso  gioco: 
Sempre  crebbe  l'amore;  e  si  m'accesi, 
Che  tutta  dentro  io  mi  sentia  di  foco: 
E  cieca  ne  fui  si,  ch'io  non  compresi 
Ch'egli  tingeva  molto,  e  amava  poco; 
Ancor  che  li  suo'  inganni  discoperti 
Esser  doveanini  a  mille  segni  certi. 
12 

Dopo  alcun  di  si  mostrò  nuovo  amante 
De  la  bella  Ginevra.  Io  non  so  appunto 
S' allora  cominciasse,  o  pur  inante 
De  l'amor  mio,  n'avesse  il  cor  già  punto. 
Vedi  s'in  me  venuto  era  arrogante. 
S'imperio  nel  mio  cor  s'aveva  assunto; 
Che  mi  scoperse,  e  non  ebbe  rossore 
Chiedermi  aiuto  in  questo  nuovo  amoro. 
13 

Ben  mi  dicea  ch'uguale  al  mio  non  era. 
Né  vero  amor  quel  ch'egli  avea  a  costei; 
Ma  simulando  esserne  ncceso,  spera 
Celebrarne  i  legitimi  imenei. 
Dal  Re  ottenerla  fia  cosa  leggiera, 
Qualor  vi  sia  la  volontà  di  lei; 
Che  di  sangue  e  di  stato  in  tutto  il  regno 
Non  era,  dopo  il  Re,  di  lu'  il  più  degno. 
14 

Mi  persuade,  se  per  opra  mia 
Potesse  al  suo  Signor  genero  farsi 
(Che  veder  posso  che  se  n'alzeria 
A  quanto  presso  al  Re  possa  uomo  alzarsi), 
Che  me  n'avria  buon  merto,  e  non  saria 
Mai  tanto  beneficio  per  scordarsi; 
E  ch'alia  moglie  e  eh' ad  ognaltro  inante 
Mi  porrebbe  egli  in  sempre  essermi  araan- 
15  [te. 

Io,  ch'era  tutta  a  satisfargli  intenta, 


trarca,  del  Boccaccio  e  d'altri  :  Vasari,  Vita 
di  Giotto  :  «  Non  ho  io  d'aver  altro  diseguo 
che  questo  ?  » 

11.  7.  Ancor  che  ecc.;  L'.\.  l'usa  più  spesso 
coir  indicai.  ;  ma  nella  letterat.  è  più  freq. 
col  congiuntivo.  Bocc.  Filoc.  722  :  «  Ancor- 
ché conosco  che  saria  ben  fatto  ». 

12.  5.  in  me  ;  verso  di  me.  È  1'  uso  latino 
della  prep.  in:  non  raro  negli  scrittori: 
Petr.  sou.  196:  «iViace  in  molti  e  poi  in  se 
stesso  forte  ». 

—  7.  mi  scoperse;  sott. :  questo  nuovo 
aunore. 

14.  5.  avria  buon  merto  :  sarebbe  ricono- 
scente. Pulci,  Morg.  1,76:  «E  degli  onor... 
Qualche  volta  potendo  ara  bon  merto  ». 

—  7.  E  ch'alia  moglie  ecc.;  e  che,  quanto 
all'amore  (in  sempre  es-ienni  amante),  mi 
porrebbe  innanzi  alla  moglie  ecc. 


Akiosto  —  Pai-ini 


50 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  seppi  0  volsi  contradirgli  mai, 
E  sol  quei  giorni  io  rai  vidi  contenta, 
Ch'averlo  compiaciuto  mi  trovai; 
Piglio  Toccasion  clie  s'appresenta 
Di  parlar  d'esso  e  di  lodarlo  assai; 
Et  ogni  industria  adopro,  ogni  fatica, 
Per  far  del  mio  amator  Ginevra  amica. 
1(5 

Feci  col  core  e  con  l'effetto  tutto 
Quel  che  far  si  poteva,  e  sallo  Idio; 
Né  con  Ginevra  mai  potei  far  frutto, 
Ch'io  le  ponessi  in  grazia  il  Duca  mio: 
E  questo,  che  ad  amar  ella  avea  indutto 
Tutto  il  pensiero  e  tutto  il  suo  disio 
Un  gentil  cavallier,  bello  e  cortese, 
Venuto  in  Scozia  di  lontan  paese; 
17 

Che  con  un  suo  fratel  ben  giovinetto 
Venne  d'Italia  a  stare  in  questa  corte  : 
Si  fé'  ne  l'arme  poi  tanto  perfetto, 
Che  la  Bretagna  non  avea  il  più  forte. 
Il  Re  l'amava,  e  ne  mostrò  l'effetto; 
Che  gli  donò  di  non  picciola  sorte 
Castella  e  ville  e  iuridizioni, 
E  lo  fé'  grande  al  par  dei  gran  Baroni. 
18 

Grato  era  al  Re,  più  grato  era  alla  figlia 
Quel  cavallier  chiamato  ArH)dante, 
Per  esser  valoroso  a  mai-aviglià; 
Ma  più,  ch'ella  sapea  che  l'era  amante. 
Né  Vesuvio,  né  il  monte  di  Siciglia, 
Né  Troia  avvampò  mai  di  fiamme  tante. 
Quante  ella  couoscea  che  per  suo  amore 


15.  2.  volsi.  L'A.  usa  costautem.  questa 
forma,  che  i  grammatici  del  cinquecento 
dicono  poetica,  ma  che  fu  ed  è  anche  po- 
polare :  deriva  da  vogliere:  v.  NANNUCcr, 
Analisi  cr.  dei  verbi  it.  p.  770. 

16.  I.  Ch'io;  cosicché  io. 

—  5.  E  questo,  che;  e  q.  perché.  V.  C.  Ili, 
50,  1. 

17.  5.  l'effetto;  la  prova;  cosi  al  e.  xu, 
1;  e  cosi  altri:  Tasso,  Rime,  8,  42:  «che 
lui  non  temo  e  ne  vedrà  T  effetto  Quando 
vanirà  meco  al  paragone  ». 

—  6.  di  non  picciola  sorte;  di  non  picc.  va- 
lore. Questo  signific.  manca  nei  vocabolari. 

—  7.  castella  e  ville;  si  trovano  spesso 
uniti  come  facenti  parte  dello  stesso  con- 
cetto. Infatti  il  castello  era  l'abitaz.  del  ca- 
stellano colla  borgata  annessa,  la  villa  era 
la  campagna  dipendente  dallo  stesso  signore. 
—  iuridizioni;  luoghi,  dove  esercitasse  giu- 
risdizione. 

18.  4.  pili  eh'  ella  ;  più  perché  ella.  V.  so- 
pra st.  10,  n.  5. 

—  5.  il  monte  di  Sic.  ;  l' Etna.  Queste  esa- 
gerazioni erano  freq.  nei  poemi  popolari. 
Più  the  neir.v.  abbondano  nel  Boiardo. 

—  7.   Quante;   propi'iani.    dovrebbe  dire 


Ariodante  ardea  per  tutto  il  core. 

19 
L'amar  che  dunque  ella  facea  colui 
Con  cor  sincero  e  con  perfetta  fede, 
Fé'  che  pel  Duca  male  udita  fui; 
Né  mai  risposta  da  sperar  mi  diede: 
Anzi  quanto  io  pregava  più  per  lui, 
E  gli  studiava  d'impetrar  mercede. 
Ella,  biasmaudol  sempre  e  dispregiando. 
Se  gii  venia  più  sempre  inimicando. 

20 
Io  confortai  l'araator  mio  sovente. 
Che  volesse  lasciar  la  vana  impresa; 
Né  si  sperasse  mai  volger  la  mente 
Di  costei,  troppo  ad  altro  amore  intesa: 
E  gli  feci  conoscer  chiaramente, 
Come  era  si  d'Ariodante  accesa,  [ma 

Che  quantaacquaènel  mar, piccola  dram- 
Non  spegnerla  de  la  sua  immensa  fiamma. 

21 
Questo  da  me  più  volte  Polinesso 
(Che  cosi  nome  ha  il  Duca)  avendo  udito, 
E  ben  compreso  e  visto  per  sé  stesso. 
Che  molto  male  era  il  suo  amor  gradito; 
Non  pur  di  tanto  amor  si  fu  rimesso, 


quanto.  Di  questi  avverbi  concordati  con 
sostantivi  o  aggettivi  l'A.  ne  ha  altri  sei, 
che  rileveremo  volta  per  volta.  È  un  vez- 
zo, che  gli  antichi  ebbero  spesso:  se  ne  ci- 
tano esempi  del  Boccaccio,  del  Cavalca,  del 
Pulci,  del  Berni  ecc.  Pulci,  M.  10,  42:  «ili 
poca  d'otta»;  10,  126:  «Che  tanta  ingrata 
fussi  quella  gente  ».  Bocc.  nov.  50:  «  Noi  sia- 
mo molte  usate  a  far  da  cena  »,  dove  il  For- 
naciari  avverte:  «Tu,  per  quanto  in  certi 
casi  questi  costrutti  possano  essere  efficaci, 
non  vorrai  adoperarli  ».  Nell'ediz.  del  '16  sì 
leggeva  quante....  ardean;  in  quella  del  '21 
l'A.  mutò  in  quanto....  ardea;  finalm.  pre- 
feri quante....  ardea,  perché  in  questo  co- 
strutto il  quante  dà  maggiore  efficacia  al 
paragone  e  l' ardea  dà  maggior  risalto  al 
personaggio  principale. 

19.  3.  male  udita;  non  udita;  v.  e.  i,  57, 

n.  1. 

—  6.  gli  studiava.  Solito  spostamento  del 
pron.  V.  e.  I,  47,  G:  studiava  impetrargli  m. 

—  S.  Se  gli  venia  inimicando;  gli  diveniva 
nemica.  II  Guicc.  Leg.  17,  ha  inimicarsi  con 
lui.  lìiimicarsi  a  uno  è  costrutto  registrato 
col  solo  esempio  dell' .\. 

20.  3.  si  sperasse.  Rileva  dal  contesto  un 
gli  diane.  È  ligura  di  zeugma  frequentissima 
negli  scrittori  e  nel  Nostro.  Sperare  nella 
forma  riflessa,  in  questo  senso,  non  è  l'e- 
gistr.  dai  vocabol. 

21.  5.  si  fu  rimesso  ;  si  fu  distolto,  si  di- 
stolse. Per  questo  significato  si  cita  questo 
solo  esempio  dell'A.  Ma  è  più  probabile  che 
si  debba  intendere  rimettersi  nel  senso  di 


CANTO  V 


51 


Ma  di  vedersi  un  altro  preferito. 
Come  superbo,  cosi  mal  sofferse, 
Che  tutto  iu  ira  e  in  odio  si  converse. 
22 

E  tra  Ginevra  e  l'amator  suo  pensa 
Tanta  discordia  e  tanta  lite  porre, 
E  farvi  inimicizia  cosi  intensa, 
Che  mai  più  non  si  possino  comporre; 
E  por  Ginevra  in  ignominia  immensa, 
.   Donde  non  s'abbia  o  viva  o  morta  a  tórre: 
Né  de  l'iniquo  suo  disegno  meco 
Volse  0  con  altri  ragionar,  che  seco, 
23 

Fatto  il  pensier  :  Dalinda  mia,  mi  dice 
(Che  cosi  son  nomata),  saper  dèi 
Che,  come  suol  tornar  da  la  radice 
Arbor  che  tronchi  e  quattro  volte  e  sei.';. 
Cosi  la  pertinacia  mia  infelice. 
Benché  sia  tronca  dai  successi  rei, 
Di  germogliar  non  resta;  che  venire 
Pur  vorria  a  fin  di  questo  suo  desire. 
24 

E  non  lo  bramo  tanto  per  diletto. 
Quanto  perché  vorrei  vincer  la  prova; 
E  non  possendo  farlo  con  effetto, 
S'io  lo  fo  imaginando,  anco  mi  giova. 
-Voglio,  qual  volta  tu  mi  dai  ricetto, 
Quando  allora  Ginevra  si  ritrova 
Nuda  nel  letto,  che  pigli  ogni  vesta 
Ch'ella  posta  abbia,  e  tutta  te  ne  vesta. 
25 

Com'ella  s'orna  e  come  il  crin  dispone 
Studia  imitarla,  e  cerca,  il  più  che  sai. 
Di  parer  dessa;  e  poi  sopra  il  verrone 
A  mandar  giù  la  scala  ne  verrai. 
Io  verrò  a  te  con  imaginazione 
Che  quella  sii,  di  cui  tu  1  panni  avrai: 


guarire,  rimanendo  cosi  tra  i  significati  e 
i  traslati  comuni  di  questa  parola.  Quanto 
al  trapassato  v.  e.  iii,  11,  n.  ì. 

—  7.  Come  superbo;  da  superbo,  superbo 
com'era.  È  derivato  dall'uso  dell'  ut  latino  : 
cicerone,  Mur.  25:  «  At  ille  ut  semper  fuit 
apertissimus  (leale  come  fu  sempre)  ».  Av- 
verti che  il  come  non  ha  nessuna  relazione 
col  seguente  cosi. 

22.  3.  farvi  inimicizia  ;  suscitar  fra  loro 
inim.  Il  Bocc.  Dee.  1.  119:  disse  Commet- 
tere inimicizie. 

•23.  3.  come  suol  tornar  ecc.  Okvzio,  Od. 
VI,  4,  57:  «  Duris  ut  ilex  tonsa  bipeni)il)us... 
Ter  damna,  per  caedes  ab  ipso  Ducit  opes 
animumque  ferro  ». 

•24.  3.  possendo;  potendo.  Forma  comune 
negli  antichi  ;  Dante,  Purg.  11,  90:  «  Che 
possendo  peccar  mi  volsi  a  Dio  ». 

—  5.  qnal  volta:  v.  st.  9  n.  8. 

—  6.  Qnando  allora  ecc.  ;  quando,  proprio 
in  quel  tempo  che  io  vengo  da  te,  Ginevra 
SI  ritrova  ecc.  Fors'anche  per  oìlur  quaic. 


E  cosi  spero,  me  stesso  ingannando. 
Venir  in  breve  il  mio  desir  sciemando. 
2» 

Cosi  disse  egli.  Io  che  divisa  e  sevra 
E  lungi  era  da  me,  non  posTmente 
Che  questo  in  che  pregando  egli  persevra, 
Era  una  fraude  pur  troppo  evidente; 
E  dal  verron,  coi  panni  di  Ginevra, 
Mandai  la  scala  onde  sali  sovente; 
E  non  m'accorsi  prima  de  l'inganno. 
Che  n'era  già  tutto  accaduto  il  danno. 
27 

Fatto  in  quel  tempo  con  Ariodante 
Il  Duca  avea  queste  parole  o  tali 
(Che  grandi  amici  erano  stati  inante 
Che  per  Ginevra  si  fesson  rivali)  : 
Mi  maraviglio  (incominciò  il  mio  amante), 
Ch'avendoti  io  fra  tutti  li  mie'  uguali 
Sempre  avuto  in  rispetto  e  sempre  amato, 
Ch'  io  sia  da  te  si  mal  rimunerato. 
28 

Io  son  ben  certo  che  comprendi  e  sai 
Di  Ginevra  e  di  me  l'antiquo  amore  ; 
E  per  sposa  legitiraa  oggimai 
Per  impetrarla  son  dal  mio  Signore. 
Perché  mi  turbi  tu  ?  perché  pur  vai 
Senza  frutto  in  costei  ponendo  il  core  ? 
Io  ben  a  te  rispetto  avrei,  per  Dio, 
S'io  nel  tuo  grado  fossi,  e  tu  nel  mio. 
29 

Et  io  (rispose  Arìodante  a  lui) 
Di  te  mi  maraviglio  maggiormente; 
Che  di  lei  prima  inamorato  fui, 
Che  tu  l'avessi  vista  solamente: 


25.  7.  E  cosi  spero  ecc.  Tutto  questo  con- 
tegno di  Dalinda  è  assai  inverosimile;  l'A. 
stesso  lo  riconosce  nella  st.  26.  Ma  ciò  si 
spiega  osservando  che  questo  inganno  di 
Polinesso  è  uua  imitazione  di  un  luogo  del 
romanzo  spagnuolo  Tirante  el  bianco: 
luogo  molto  scabroso,  che  l'A.,  per  ridurlo 
a  decenza,  ha  dovuto  raffazzonare  come  ha 
potuto.  V.  Kain.\,  Fonti  p.  1"2S  seg. 
*  26.  1.  divisa  e  sevra:  divisa  e  separata  da 
me:  Io  stesso  che  fuori  di  ine.  Sevra  da  sce- 
verare,  elle  è  alterazione  di  separare. 

—  7.  prima...  che...  era.  Prima  che,  dopo 
proposiz.  negativa,  si  costruisce  spesso  da- 
gli antichi  coli' indie.  ;  ed  ha  senso  di  fin- 
tantoché. Dante,  Par.  12,  5:  «  Prima  che 
un'  altra  d'  un  cerchio  la  chiuse  ». 

27.  6.  Che...  Che.  Nota  il  Fornaciari  alla 
nov.  itì  del  Decam.:  «Nelle  conclusioni  o 
conseguenze  gli  anticlii  ripetevano  spesso 
il  che.  Confr.  l'uso  simile  di  ut  latino  in 
Livio  libro  Vili,  par.  6».  Fu  notato  giusta- 
mente che  Dalinda  non  poteva  sapere  que- 
ste cose  dette  fra  loro. 

28.  :s.  grado:  condizione,  congiuntura. 


oa 


ORLANDO  FURIOSO 


E  so  che  sai  quanto  r  l'amor  tra  nui,  [te; 
Chesser  nonpuòdiqiielcliesia.piùarden- 
E  sol  d'essermi  mo<rlie  intende  e  brama: 
E  so  che  certo  sai  ch'ella  non  t'ama. 
30 
Perché  non  hai  tu  dunque  a  me  il  rispet- 
Per  l'amicizia  nostra,  che  domande      [to 
Ch'a  te  aver  debba,  e  ch'io  t  avre'  in  effetto, 
Se  tu  tossi  con  lei  di  me  più  grande  V 
Né  men  di  te  per  moglie  averla  aspetto, 
Sebben  tu  sei  pili  ricco  in  queste  bande  : 
lo  non  son  meno  al  Re,  che  tu  sia,  grato  ; 
Ma  più  di  te  da  la  sua  figlia  amato. 

ol 

Oh  (disse  il  Duca  a  lui)  grande  è  cotesto 
Pa-rore  a  che  t'ha  il  folle  Amor  condutto! 
Tu  credi  esser  più  amato;  io  credo  questo 
Medesmo:  ma  si  può  vedere  al  frutto. 
Tu  fammi  ciò  e'  hai  seco,  manifesto, 
Et  io  il  secreto  mio  t'aprirò  tutto; 
E  quel  di  noi,  che  manco  aver  si  veggia, 
Ceda  a  chi  vince,  e  d'altro  si  proveggia. 
32 

E  sarò  pronto,  se  tu  vuoi  ch'io  giuri 
Di  non  dir  cosa  mai  che  mi  riveli: 
Cosi  voglio  che  ancor  tu  m'assicuri 
Che  quel  eh'  io  ti  dirò,  sempre  mi  celi. 
Venner  dunque  d'accordo  alli  scongiuri, 
E  posero  le  man  sugli  Evangeli  : 
E  poi  che  di  tacer  fede  si  diero, 
Ariodante  incominciò  primiero  ; 
33 

E  disse  per  lo  giusto  e  per  lo  dritto, 
Come  tra  se  e  Ginevra  era  la  cosa;      (to. 
Ch'ella  gli  avea  giurato  e  a  bocca  e  in  scrit- 
Che  mai  non  saria  ad  altri  ch'a  lui  sposa; 
E  se  dal  Re  le  venia  contraditto. 


30.  4.  fossi...  grande.  Esser  grande  con 
alcuno,  jjresso  alcuno,  uelVaìiiore  o  ffva- 
3la  di  quale,  vale  essergli  caro.  Hocc.  Nov. 
5,  47:  «  Ed  egli  grande  essendo  col  re  per 
consigli  dati  ». 

31.  5.  ciò  eh'  hai  seco.  Aver  r/ualcosa  con 
uno  vale  comunemente  averci  avversione, 
odio:  qui  .lignifica  '/uali  relazioni  hai  con 
essa. 

—  7.  manco  aver;  aver  meno;  esser  meno 
innanzi  nelle  sue  grazie. 

32.  4.  mi  celi.  Il  'ini  è  pleonastico  e  d'uso  | 
comune:  corrisponde  al  dativo  etico  dell 
Greci;  ma  in  questo  luogo  dà  più  oscurità  [ 
che  efficacia.  ; 

—  5.  scongiuri;  giuramenti;   v.   e.  xxix, 
19.  In  questo  senso  non  si   citano   che   gli  i 
esempi  dell'Ar.  i 

33.  1.  per  lo  giusto  e  per  lo  d.  Nota  la  Cru- 
sca: -^Trovasi  solo  poetica»!,  invece  di  j3(?r 
filo  e  per  segno  »  e  cita  questo  solo  luogo,  i 


Gli  promettea  di  sempre  esser  ritrosa 
Da  tutti  gli  altri  maritaggi  poi, 
E  viver  sola  in  tutti  i  giorni  suoi: 

34 
E  ch'esso  era  in  speranza,  pel  valore 
Ch'avea  mostrato  in  arme  a  più  d'un  segno, 
Et  era  per  mostrare  a  laude,  a  onore, 
.A  beneficio  del  re  e  del  suo  regno. 
Di  crescer  tanto  in  grazia  al  suo  signore, 
Che  sarebbe  da  lui  stimato  degno 
Che  la  figliuola  sua  per  moglie  avesse, 
Poi  che  piacer  a  lei  cosi  intendesse. 

35 
Poi  disse  :  A  questi)  termine  son  io, 
Né  credo  già  ch'alcun  mi  venga  appresso; 
Né  cerco  più  di  questo,  né  desio 
De  l'amor  d'essa  aver  segno  più  espresso  ; 
Né  più  vorrei,  se  non  quanto  da  Dio 
Per  connubio  legitimo  è  concesso: 
E  saria  in  vano  il  domandar  più  inanzi  ; 
Che  di  bontà  so  come  ogn'altra  avanzi. 

35 
Poi  ch'el)be  il  vero  Ar'iodante  esposto 
De  la  mercé  ch'aspetta  a  sua  fatica, 
Polinesso  che  già  s'avea  proposto 
Di  far  Ginevra  al  suo  amator  nemica, 
Cominciò:  Sei  da  me  molto  discosto, 
E  vo'  che  di  tua  bocca  anco  tu  '1  dica; 
E  del  mio  ben  veduta  la  radice. 
Che  confessi  me  solo  esser  felice. 

37 
Finge  ella  teco,  né  t'ama  uér prezza; 
Che  ti  pasce  di  speme  e  di  parole  :  [chezza, 
Oltra  questo,  il  tuo  amor  sempre  a  scioc- 
Quando  meco  ragiona,  imputar  suole. 
Io  ben  d'esserle  caro  altra  certezza 
Veduta  n'ho,  che  di  promesse  e  fole; 
E  tei  dirò  sotto  la  te  in  secreto, 
Benché  farei  più  il  debito  a  star  cheto. 

38 
Non  passa  mese,  che  tre,  quattro  e  sei 
E  talor  diece  notti  io  non  mi  trovi 
Nudo  abbracciato  in  quel  piacer  con  lei, 
Ch'air  amoroso  ardor  par  che  si  giovi: 
Si  che  tu  puoi  veder  s'a'piacer  miei 
Son  d'aguagliar  le  ciance  che  tu  provi. 
Cedimi  dunque,  e  d'altro  ti  provedi, 
Poi  che  si  interior  di  me  ti  vedi. 


6.  ritrosa  da  ecc.;  aliena  da  ecc.  Sono 
più  comuni  i  costrutti;  ritroso  contro,  a. 

34.  2.  segno;  prova.  Fil.  Vili.  11,  102:  «  Il 
quale  fece  gran  segno  in  Italia  di  savio  guer- 
riere ».  In  alcune  espressioni  è  comune  an- 
cora. 

36.  7.  la  radice;  il  fondo;  veduto  il  mio 
bene  tutto  quanto. 

37.  5.  certezza;  prova,  argomento.  Non 
si  cita  che  questo  esempio  dell'A. 

38.  0.  che  tu  provi;  che  tu  ricevi  da  lei. 
Quest'  uso  strano  del  verbo  provare  si  spie- 


CANTO  V 


53 


39 

Non  ti  vo'  creder  questo  (gli  rispose 
Ar'iodante),  e  certo  so  che  menti; 
E  composto  fra  te  t'hai  queste  cose, 
Acciò  che  da  l'impresa  io  mi  spaventi: 
Ma  perché  a  lei  son  troppo  ingiuriose, 
Questo  e' hai  detto  sostener  convienti; 
Che  non  bugiardo  sol,  ma  voglio  ancora, 
Che  tu  sei  traditor  mostrarti  or  ora. 
40 

Soggiunse  il  Duca:  Non  sarel)be  onesto 
Che  noi  volessen  la  battaglia  tórre 
Di  quel  che  t'offerisco  manifesto, 
Quando  ti  piaccia, inanzi  agli  occhi  porre. 
Resta  smarrito  Ar'iodante  a  questo, 
E  per  l'ossa  un  tremor  freddo  gli  scorre  ; 
E  se  creduto  ben  gli  avesse  a  pieno, 
Venia  sua  vita  allora  allora  meno. 
41 

Con  cor  trafitto  e  con  pallida  faccia, 
E  con  voce  tremante  e  bocca  amara 
Rispose:  Quando  sia  che  tu  mi  faccia 
Veder  questa  avventura  tua  si  rara. 
Prometto  di  costei  lasciar  la  traccia, 
A  te  si  liberale,  a  me  si  avara: 
Ma  ch'io  tei  voglia  creder,  non  far  stima. 
S'io  non  lo  veggio  con  questi  occhi  prima. 
42 

Quando  ne  sarà  il  tempo,  avvisarotti. 
Soggiunse  Polinesso;  e  dipartisse. 
Non  credo  che  passar  pili  di  due  notti, 
Ch'ordine  fu  che  '1  Duca  a  me  venisse. 


ga  coir  influenza  della  parola  piaceri;  ed 
è  come  se  dicesse:  Io  provo  piaceri,  tu  provi 
ciance. 

39.  3.  composto;  inventato,  macchinato. 

40.  2.  volessen;  volessenio,  volessimo,  v. 
e.  IX,  43,  n.  S.  —  la  battaglia  torre  Di  quel; 
intraprendere  la  battaglia  per  quel  ecc.  .\1- 
cuni  intendono:  Accettar  la  battaglia  per 
quel  ecc.  :  in  questo  caso  noi  sta  per  io.  In 
ambedue  i  sensi  è  modo  ardito  e  non  co- 
mune. 

—  (5.  nn  tremor  freddo.  ViRGlL.  En.  2,  120  : 
«  Gelidusque  per  ima  cucurrit  Ossa  tremor». 

—  8.  Venia;  sarebbe  venuta.  Su  questo 
impert.  v.  Fornac.  Sintassi,  p.  41à,  30. 

41. 2.  bocca  amara.  È  espressione  frequente 
anche  nel  Boiardo.  La  Cru.sca  la  intende  li- 
auratamente  per  animo  addolorato;  ma 
forse  è  più  viva  ed  efficace  noi  senso  pro- 
prio. È  noto  che  qpesto  è  fenomeno  comune 
nei  grandi  commovimenti  dell'animo. 

42.  1.  avvisarotti;  V.  e.  ni,  2,  0. 

—  3.  Non  credo  che  passar.  Per  regola  ere- 
fiere  si  costruisce  col  cong.  ;  gli  esempi  che 
abbiamo  coir  indie,  non  sono  da  imitare.  V. 
FORNAC.  Sint.  p.  399. 

—  4.  Ch'ordine  fu;  che  fu  stabilito  (fra 
noi).  Al  e.  XIII,  11,  abbiamo.  Porre  ordine, 


Per  scoccar  dunque  i  lacci  che  condotti 
Avea  si  cheti,  andò  al  rivale,  a  disse 
Che  s'ascondesse  la  notte  seguente 
Tra  quelle  case  ove  non  sta  mai  gente  : 
43 

E  dimostrògli  un  luogo  a  dirimpetto 
Di  quel  verrone,  ove  solca  salire. 
Ar'iodante  avea  preso  sospetto 
Che  lo  cercasse  far  quivi  venire. 
Come  in  un  luogo  dove  avesse  eletto 
Di  por  gli  aguati,  e  farvelo  morire 
Sotto  questa  finzion,  che  vuol  mostrargli 
Quel  di  Ginevra,  ch'impossibil  pargli. 
44 

Di  volervi  venir  prese  partito, 
Ma  in  guisa  che  di  lui  non  sia  men  forte; 
Percht''  accadendo  che  fosse  assalito, 
Si  trovi  si,  che  non  tema  di  morte. 
Un  suo  fratello  avea  saggio  et  ardito, 
Il  più  famoso  in  arme  de  la  corte. 
Detto  Lurcanio  ;  e  avea  più  cor  con  esso, 
Che  se  dicci  altri  avesse  avuto  appresso. 
45 

Seco  chiamollo,  e  volse  che  prendesse 
L'arme;  e  la  notte  lo  menò  con  lui  : 
Non  che  '1  secreto  suo  già  gli  dicesse; 
Né  l'avria  detto  ad  esso  né  ad  altrui. 
Da  sé  lontano  un  trar  di  pietra  il  messe: 
Se  mi  senti  chiamar,  vieii  (disse)  a  nui  ; 
Ma  se  non  senti,  prima  ch'io  ti  chiami, 
Non  ti  partir  di  qui,  frate,  se  m'ami. 
4G 

Va'  pur,  non  dubitar  (disse  il  fratello): 
E  cosi  venne  Ar'iodante  cheto, 
E  si  celò  nel  solitario  ostello 
Ch'  era  d' incontro  al  mio  verron  secreto. 
Vien  d'altra  parte  il  fraudolente  e  fello. 
Che  d'infamar  Ginevra  era  si  lieto; 
E  fa  il  segno,  tra  noi  solito  inaiite, 
A  me  che  de  l'inganno  era  ignorante. 
47 

Et  io  con  veste  candida,  e  fregiata 
Per  mezzo  a  liste  d'oro,  e  d'ognintorno, 


per  Prender  deliberazione  e  al  e.  xxii,  55  : 
È  ordiìie  fra  lor,  É  stabilito  fra  loro.  Sono 
modi  non  registrati  dai  vocab. 

—  5.  scoccar  ;  fare  scoccare  o  scattare. 
In  senso  transit.  l'usò  già  Dante,  Parg.  25, 
17:  «  :Ma  disse:  Scocca  L'arco  del  dir».  — 
condotti;  fatti,  eseguiti.  —  cheti;  di  nasco- 
sto. SACCiiETTr,  ;Vou.  2,  236:  «Percliéla  cosa 
andasse  cheta  ». 

43.  1.  a  dirimpetto.  Gli  antichi  l'usarono 
egualmente  con  o  senza  la  prep.  a,  al;  oggi 
è  più  usato  senza  prep. 

—  4.  lo  cercasse  far;  cercasse  farlo.  V.  e. 
I,  47,  0. 

45.  2.  con  Ini  ;  con  se.  V.  e.  iv,  6,  n.  3. 
47.   2.  Per  mezzo...  e  d'ogni  int.;  Intendi: 
in  mezzo  alla  candida  stofl'a  si   vedevano 


54 


ORLANDO  FURIOyO 


E  con  rete  pur  d'or,  tutta  adombrata 
Di  bei  tìocchi  vermigli,  al  capò  intorno 
(Foggia  che  sol  fu  da  Ginevra  usata, 
Nou  d'alcun'altra),  udito  il  segno,  torno 
sopra  il  verrou,  ch'in  modo  era  locato, 
Che  mi  scopria  dinanzi  e  d'ogni  lato. 
48 

Lurcanio  in  questo  mezzo  dubitando 
Che  '1  fratello  a  pericolo  non  vada, 
O  come  è  pur  commun  disio,  cercando 
Di  spiar  sempre  ciò  che  ad  altri  accada; 
L'era  pian  pian  venuto  seguitando. 
Tenendo  l'ombre  e  la  pili  oscura  strada: 
E  a  men  di  dieci  passi  a  lui  discosto, 
Nel  medesimo  ostel  s'ora  riposto. 
49 

Non  sappiendo  io  di  questo  cosa  alcuna, 
Venni  al  verrou  ne  l'abito  e'  ho  detto; 
Si  come  già  venuta  era  più  d'una 
E  più  di  due  fiate  a  buono  effetto. 
Le  veste  si  vedean  chiare  alla  luna; 
Nò  dissimile  essendo  anch'io  d'aspetto 
Né  di  persona  da  (iinevra  molto, 
Fece  parere  un  per  un  altro  il  volto  : 
50 

E  tanto  pili,  ch'era  gran  spazio  in  mezzo 
Fra  dove  io  venni  e  quelle  inculte  case. 
Ai  dui  fratelli,  che  stavano  al  rezzo, 
Il  Duca  agevolmente  persuase 
Quel  ch'era  falso.  Or  pensaiuche ribrezzo 
Ariodante,  in  che  dolor  rimase. 
Vien  Polinesso,  e  alla  scala  s'appoggia. 
Che  gin  mandagli  ;  e  monta  in  su  la  loggia. 
51 

A  prima  giunta  io  gli  getto  le  braccia 
Al  collo;  ch'io  nou  penso  esser  veduta: 
Lo  bacio  in  bocca  e  per  tutta  la  faccia, 
Come  far  soglio  ad  ogni  sua  venuta. 
Egli  pili  de  l'usato  si  procaccia 
D'accarezzarmi,  e  la  sua  fraude  aiuta. 
Quell'altro  al  rio  spettacolo  coudutto. 
Misero  sta  lontano,  e  vede  il  tutto. 
52 

Cade  in  tanto  dolor,  che  si  dispone 
Allora  allora  di  voler  morire; 
E  il  pome  de  la  spada  in  terra  pone, 


tuW  intorno   liste  d'oro,  che  servivano  di 
fregio. 

—  3.  adombrata;  coperta,  circondata.  Si 
cita  questo  solo  luogo  dell'A. 

49.  4.  a  buon  effetto  ;  a  buon  fine.  Ricorda 
il  modo  vivissimo:  A  <iuesl' effetto. 

—  8.  lece  parere.  Rileva  dal  contesto  un 
soggetto  ciò. 

50.  3.  al  rezzo  ;  al  buio.  Non  è  comune, 
ma  ha  esempi.  Berni,  Ori.  37,  88:  «Colse 
la  chiara  pietra  appunto  in  mezzo,  E  fece 
il  conte  rimanere  al  rezzo  ». 

52.  3.  pomo  e  pomo  dissero  ugualmente 
gli  antichi  in  tutti  i  sensi. 


Che  su  la  punta  si  volea  ferire. 
Lurcanio  che  con  grande  ammirazione 
Avea  veduto  il  Duca  a  me  salire, 
Ma  non  già  conosciuto  chi  si  fosse. 
Scorgendo  l'atto  del  fratel,  si  mosse; 
53 

E  gli  vietò  che  con  la  propria  mano 
Non  si  passasse  in  quel  furore  il  petto. 
S'era  più  tardo  o  poco  più  lontano, 
Non  giugnea  a  tempo,  e  non  faceva  effetto. 
Ah  misero  fratel,  fratello  insano 
(Gridò),  pere' hai  perduto  l'intelletto, 
Ch'una  femina  a  morte  trar  ti  debbia  ? 
Ch'ir  possan  tutte  come  al  vento  nebbia. 
54 

Cerca  far  morir  lei,  che  morir  merta; 
E  serva  a  più  tuo  onor  tu  la  tua  morte. 
Fu  d'amar  lei,  quando  non  t'era  aperta 
La  fraude  sua;  or  è  da  odiar  ben  forte; 
Poi  che  con  gli  occhi  tuoi  tu  vedi  certa, 
Quanto  sia  meretrice,  e  di  che  sorte. 
Serba  quest'arme  che  volti  in  te  stesso, 
A  far  dinanzi  al  Re  tal  fallo  espresso. 
55 

Quando  si  vede  Ari'odante  giunto 
Sopra  il  fratel,  la  dura  impresa  lascia; 
Ma  la  sua  intenzion  da  quel  ch'assunto 
Avea  già  di  morir,  poco  s'accascia. 
Quindi  si  lieva,  e  porta  non  che  punto. 
Ma  trapassato  il  cor  d'estrema  ambascia: 
Pur  tinge  col  fratel,  che  quel  furore 
Non  abbia  più,  che  dianzi  avea,  nel  core. 
56 

Il  seguente  matin,  senza  far  motto 
Al  suo  fratello  o  ad  altri,  in  via  si  messe, 
Da  la  mortai  disperazion  condotto; 
Né  di  lui  per  più  di  fu  chi  sapesse,  [dotto 
Fuor  che  '1  Duca  e  il  fratello,  ognaltro  in- 


53.  1.  vietò  che  non.  Vietare  si  costjruisce 
col  noìi  o  senza.  Vedi  le  due  costruz.  riu- 
nite in  questo  esempio  del  Segneri;  Qua- 
res.  19,  5.  «  A'  Nazareni,  a  cui  vietò  di  ber 
vino,  egualmente  vietò  di  non  mai  gustare 
neppure  un  acino  d'  uva  ». 

—  4.  non  faceva  effetto;  non  raggiungeva 
il  fine:  \'.  e.  xxxiv,  31.  Per  questo  signiUc. 
si  citano  soltanto  questi  due  luoghi  dell'A. 

—  S.  ir;  andare  in  perdizione.  Confronta 
i  modi  :  siam  ili,  siamo  rovinati  ;  se  n'  è  ito, 
è  morto. 

54.  3.  Fu  d'amar;  Fu  da  a.  V.  st.  10,  n.  5. 

—  5.  certa;  certo:  v.  st.  18,  n.  7. 

55.  4.  di  morir.  Uniscilo  a  intenzion.  Tro- 
veremo nel  poema  ben  più  ardite  inversioni  : 
V.  XXXIII,  9,  5-6.  Si  potrebbe  anche  inten- 
dere: da  quel  che  assunto  aveva  già,  cioè 
di  morire  ;  ma  queste  e|iesegesi  non  sono 
dello  stile  dell'A.  —  s'accascia;  si  distoglie. 
Si  cita  questo  solo  esempio  deir.\. 

56.  5.  indòtto...    chi   l'avesse;    non   infor- 


CANTO  V 


55 


Èra  chi  mosso  al  dipartir  l'avesse. 
Ne  la  casa  del  Ke  di  lui  diversi 
lìagionameuti,  e  in  tutta  Scozia  fèrsi. 

57 
la  capo  d'otto  o  di  pili  oriorni  in  corte 
Venne  inanzi  a  Ginevra  un  viandante, 
E  novelle  arreco  di  mala  sorte: 
Che  s'era  in  mar  summerso  Ariodante 
Di  volontaria  sua  libera  morte, 
Non  per  colpa  di  Borea  o  di  Levante. 
D'un  sasso  che  sul  mar  sporgea  molt'alto, 
Avea  col  capo  in  giù  preso  un  gran  salto. 

58 
Colui  dicea:  Pria  che  venisse  a  questo, 
A  me  che  a  caso  riscontrò  per  via. 
Disse:  Yien  meco,  acciò  che  manifesto 
Per  te  a  Ginevra  il  mio  successo  sia; 
E  dille  poi  che  la  cagion  del  resto 
Che  tu  vedrai  di  me,  ch'or  ora  tia, 
È  stato  sol  pere'  ho  troppo  veduto: 
Felice,  se  senza  occhi  io  fossi  suto! 

59 
Eramo  a  caso  sopra  Capobasso, 
Che  verso  Irlanda  alquanto  sporge  in  ma- 
Cosi  dicendo,  di  cima  d'un  sasso  [re. 
Lo  vidi  a  capo  in  giù  sott'acqua  andare. 
Io  lo  lasciai  nel  mare,  et  a  gran  passo 
Ti  son  venuto  la  nuova  a  portare. 
Ginevra,  sbigottita  e  in  viso  smorta, 
Kimase  a  quello  annunzio  mezza  morta. 

60 
Oh  Dio,  che  disse  e  fece  poi  che  sola 
Si  ritrovò  nel  suo  fidato  letto! 
Percosse  il  seno,  e  si  stracciò  la  stola, 
E  fece  all'aureo  crin  danno  e  dispetto; 
Ripetendo  sovente  la  parola 
Ch'Ariodaute  avea  in  estremo  detto: 


mato...  chi  Ta.  Si  cita  per  tal  siguific.  que- 
sto solo  esempio  dell' A. 

57.  4.  sommerso...  di  volont...  morte.  È  una 
locuz.  abbreviata,  che  si  può  compier  cosi: 
Era  morto  di  volontaria  morte  sommergen- 
dosi. 

58.  4.  mio  successo;  mio  caso. 

—  5.  la  cagione...  è  stato. Questa  sconcor- 
danza del  participio,  che  nel  Furioso  si  trova 
dodici  volte,  ha  molti  esempi  negli  antichi 
scrittori.  Pulci,  Movg.  1,  41  :  «  È  dato  in 
ciel  cosi  questa  sentenza»;  22,  1S5:  «Sia  ma- 
ledetto la  tua  crudeltade  ». 

—  8.  snto  (essuto)  è  il  vero  participio  ac- 
corciato di  Essere;  frequentissimo  negli  an- 
tichi, è  ora  fuori  d'uso. 

59.  1.  Eramo;  eravamo.  Forma  popolare 
ancor  viva  in  Toscana.  Dante,  Purg.  32, 
35,  ha  eràmo;  il  popolo  dice  èratìio.  Capo- 
basso,  Promontorio  della  Scozia. 

60.  3.  stola;  veste  lunga  e  propr.  don- 
nesca. 


Che  la  cagion  del  suo  caso  empio  e  tristo 
Tutta  venia  per  aver  troppo  visto. 
61 

Il  rumor  scorse  di  costui  per  tutto, 
Che  per  dolor  s"avea  dato  la  morte. 
Di  questo  il  Re  non  tenne  il  viso  asciutto. 
Né  cavallier  né  donna  de  la  corte. 
Di  tutti  il  suo  fratcl  mostrò  più  lutto; 
E  si  sommerse  nel  dolor  si  forte, 
Ch'ad  essempio  di  lui,  contra  sé  stesso 
Voltò  quasi  la  man  per  irgli  appresso: 
62 

E  molte  volte  ripetendo  seco, 
Che  fu  Ginevra  che  '1  frate!  gli  estinse, 
E  che  non  fu  se  non  quell'atto  bieco 
Che  di  lei  vide,  ch'a  morir  lo  spinse; 
Di  voler  vendicarsene  si  cieco 
Venne,  e  si  l'ira  e  si  il  dolor  lo  vinse, 
Che  di  perder  la  grazia  vilipese, 
Et  aver  l'odio  del  Re  e  del  paese: 
63 

E  inanzi  al  Re,  quando  era  più  di  gente 
La  sala  piena,  se  ne  venne,  e  disse: 
Sappi,  Signor,  che  di  levar  la  mente 
Al  mio  fratel,  si  ch'a  morir  ne  gisse, 
Stata  è  la  figlia  tua  sola  nocente; 
Ch'a  lui  tanto  dolor  l'alma  tratfisse 
D'aver  veduta  lei  poco  pudica. 
Che  più  che  vita  ebbe  la  morte  amica. 
64 

Erane  amante;  e  perché  le  sue  voglie 
Disoneste  non  tur,  noi  vo'  coprire. 
Per  virtù  meritarla  aver  per  moglie 
Da  te  sperava,  e  per  fedel  servire: 
Ma,  mentre  il  lasso  ad  odorar  le  foglie 
Stava  lontano,  altrui  vide  salire. 
Salir  su  l'arbor  riserbato,  e  tutto 
Essergli  tolto  il  disiato  frutto. 


—  7.  empio  ;  molesto,  doloroso.  Monti,  II. 
4,  397:  «Or  mi  doma  empia  veccliiezza  ». 

—  8.  venia  per.  Più  propr.  venia  dall'aver 
ecc.  Forse  su  questo  costrutto  hanno  influito 
le  parole:  caso  empio  e  tr.;  traeudolo  al 
loro  senso;  quasi  volesse  dire:  Il  suo  caso 
empio  e  tr.  avveniva  per  aver  ecc. 

62.  5.  Di  voler  vend.  si  cieco  ecc.  È  allar- 
gamento del  costrutto  coiiuiue  cieco  di  vo- 
glia, per  voglia  di  venib'tla. 

—  7.  vilipese  ;  non  curò.  In  questo  senso, 
e  come  reggente  una  proposiz.,  non  è  re- 
gistrato dai  Vocabol. 

63.  ,5.  ooconte;  colpevole:  Di  quest'uso 
col  complemento  si  cita  questo  solo  esemiiio 
dell'A. 

64.  3.  meritarla  aver...  sperava;  Sperava 
di  meritare  d'averla.  Vi  è  la  soUta  omissioin; 
della  prep.  e  lo  spostamento  del  pron.  ^'.  e. 
I,  4.  1;  e  e.  I,  47,  n.  6. 


56 


ORLANDO  FURIOSO 


65 

E  seguitò,  come  egrli  avea  veduto 
Venir  Ginevra  sul  verrone,  e  come 
Mandò  la  sca'a  onde  era  a  lei  venuto 
Un  drudo  suo,  di  chi  egli  non  sa  il  nome; 
Che  s'avea,  per  non  esser  conosciuto, 
Cambiati  i  panni  e  nascose  le  chiome. 
Soggiunse  che  con  Tarme  egli  volea 
Provar,  tutto  esser  ver  ciò  che  dicea. 
66 

Tu  puoi  pensar  se  '1  padre  addolorato 
Riman,  quando  accusar  sente  la  figlia; 
Si  perché  ode  di  lei  quel  che  pensato 
Mai  non  avrebbe,  e  n'ha  gran  maraviglia; 
Si  perché  sa  che  tia  necessitato 
(Se  la  difesa  alcun  guerrier  non  piglia, 
il  qual  Lurcanio  possa  far  mentire), 
Di  condannarla,  e  di  farla  morire. 
67 

Io  non  credo,  Signor,  che  ti  sia  nova 
La  legge  nostra  che  condanna  a  morte 
.  Ogni  donna  e  donzella  che  si  prova 
Di  sé  far  copia  altrui  ch'ai  suo  consorte. 
Morta  ne  vien.  sMn  un  mese  non  trova 
In  sua  difesa  un  cavallier  si  forte. 
Che  contra  il  falso  accusator  sostegna 
Che  sia  innocQjjte  e  di  morire  indegna. 
68 

Ha  fatto  il  Re  bandir  per  liberarla 
(Che  pur  gli  par  eh' a  torto  sia  accusata), 
Che  vuol  per  moglie,  e  con  gran  dote,  darla 
A  chi  torrà  l'infamia  che  l'è  data. 
Che  per  lei  comparisca  non  si  parla 
Guerriero  ancora,  anzi  l'un  l'alti-o  guata; 
Che  quel  Lurcanio  in  arm«r  è  cosi  fiero, 
Che  par  che  di  lui  tema  ogni  guerriero. 
69 

Atteso  ha  l'empia  sorte,  che  Zerbino, 
Fratel  di  lei,  nel  regno  non  si  trove; 
Che  va  già  molti  mesi  peregrino, 
Mostrando  di  sé  in  arme  inclite  prove: 
Che  quando  si  trovasse  più  vicino 
Quel  cavallier  gagliardo,  o  in  luogo  dove 


67.  3.  che  si  prova;  che  si  dimostra,  si  può 
dimostrare  che  di  se  fa  copia  eco. 

—  4.  altrui  che  ;  ad  altri  che.  Bocc.  Dee. 
JV.  3,  117:  «  Da  altrui  che  da  lei  udito  non 
sia  >. 

—  5.  Morta;  uccisa.  Questo  signific,  che 
appartiene  al  solo  partic.  passato,  è  comune 
ancora,  specialm.  in  Toscana. 

—  S.  Che  sia.  Il  che  col  congiunt.,  nelle 
proposiz.  oggettive,  è  frequente  negli  scrit- 
tori e  indica  la  cosa  enunciata  non  come 
fatto,  ma  come  pensiero,  o  come  cosa  possi- 
bile. Boccaccio,  jyov.  98:  «Pensando  che 
la  fortuna  m'abbi  condotto  in  parte,  che 
della  mia  virtù  mi  sia  convenuto  far  pruo- 
va  j».  K  vedi  quivi  la  nota  del  Fornaciari. 

69.  3.  già  molti  mesi;   v.  e.  I,  20,  n.  S. 


Potesse  avere  a  tempo  la  novella. 
Non  mancheria  d'aiuto  alla  sorella. 

70 
Il  Re,  ch'in  tanto  cerca  di  sapere 
Per  altra  prova,  che  per  arme,  ancora. 
Se  sono  queste  accuse  o  false  o  vere. 
Se  dritto  o  torto  è  che  sua  figlia  mora; 
Ha  fatto  prender  certe  cameriere 
Che  lo  dovrian  saper,  se  vero  fora: 
i  Ond'io  previdi  che  se  presa  era  io, 
Troppo  periglio  era  del  Duca  e  mio. 

!  71 

I     E  la  notte  medesima  mi  trassi 
Fuor  de  la  corte,  e  al  Duca  mi  condussi  ; 
E  gli  feci  veder  quanto  importassi 
Al  capo  d'amendua,  se  presa  io  lussi. 
Lodommi,  e  disse  ch'io  non  dubitassi: 
A'  suoi  conforti  poi  venir  ra'  indussi 
Ad  una  sua  fortezza  eh' è  qui  presso. 
In  compagnia  di  dni  che  mi  diede  esso. 
72 

Hai  sentito.  Signor,  con  quanti  effetti 
De  l'amor  mio  fei  Polinesso  certo; 
E  s'era  debitor  per  tai  rispetti 
D'avermi  cara  o  no.  tu  'I  vedi  aperto. 
Or  senti  il  guidardon  ch'io  ricevetti: 
Vedi  la  gran  mercé  del  mio  gran  merto  : 
Vedi  se  deve,  per  amare  assai. 
Donna  sperar  d'essere  amata  mai; 
73 

Che  questo  ingrato,  perfido  e  crudele. 
De  la  mia  fede  ha  preso  dubbio  al  fine  : 
Venuto  è  in  sospizion  ch'io  non  rivele 
Al  lungo  andar  le  fraudi  sue  volpine. 
Ha  finto,  acciò  che  m'allontane  e  cele 
Fin  che  l'ira  e  il  furor  del  Re  decline, 
Voler  mandarmi  ad  un  suo  luogo  forte; 
E  mi  volea  mandar  dritto  alla  morte: 
74 

Che  di  secreto  ha  commesso  alla  guida. 
Che  come  m'abbia  in  queste  selve  tratta, 
Per  degno  premio  di  mia  fé  m'uccida. 


70.  6.  fora;  fosse.  È  esempio  unico  o  ra- 
rissimo di  fora  per  fosse  invece  di  sarebbe. 

71.  3.  importassi;  V.  e.  ii,  40,  n.  8.  Le  rime 
in  assi  ussi  esso  sono  un  ghiribizzo,  che 
l'A.  usò  solo  in  questa  st. 

—  8.  dni;  V.  e.  I,  16,  2. 

72.  1.  effetti;  benefici,  favori.  Cosi  al  e 
xxxviii,  5.  7  ;  xuv,  68.  Cosi  il  Bocc.  Labi)-. 
19:  «Perché  poverissimo  di  grazie  a  ren- 
dere a  tanti  e  si  alti  effetti  mi  sentiva  ». 

—  5.  gaidardon  ;  è  forma  più  vicina  al  te- 
desco widarton,  da  cui  deriva,  attraverso 
al  basso  lat.  vuierdonum. 

73.  5.  Ha  finto  ecc.  Costruisci:  Ha  finto 
voler  mandarmi  ad  un  s.  1.  f.,  acciò  che 
ecc. 


CANTO  V 


57 


Cosi  rintenzion  gli  venia  fatta, 
Se  tu  non  eri  appresso  alle  mie  grida. 
Ve'  come  Amor  ben  chi  lui  segue,  tratta  I 
Cosi  narrò  Dalinda  al  Paladino, 
Seguendo  tutta  volta  il  ìor  camino; 
75 

A  cui  tu  sopra  ogn'avventura  grata 
Questa  d"aver  trovata  la  donzella, 
Che  gli  avea  tutta  l'istoria  narrata 
De  Tinnocenzia  di  Ginevra  bella. 
E  se  sperato  avea,  quando  accusata 
Ancor  tosse  a  ragion,  d'aiutar  quella; 
Con  via  maggior  baldanza  or  viene  in  i)ro- 
Poi  che  evidente  la  calunnia  trova,    [va, 
76 

E  verso  la  città  di  Santo  Andrea, 
Dove  era  il  Re  con  tutta  la  famiglia, 
E  la  battaglia  singular  dovea 
Esser  de  la  querela  de  la  figlia. 
Andò  Rinaldo  quanto  andar  potea, 
Fin  che  vicino  giunse  a  poche  miglia; 
Alla  città  vicino  giunse,  dove  [ve: 

Trovò  un  scudier  c'havea  più  fresche  nuo- 
77 

Ch'un  cavalliere  istrano  era  venuto, 
Ch'a  difender  Ginevra  s'avea  tolto. 
Con  non  usate  insegne,  e  sconosciuto. 
Però  che  sempre  ascoso  andava  molto; 
E  che  dopo  che  v'era,  ancor  veduto 
Non  gli  avea  alcuno  al  discopertoli  volto; 
E  che  '1  proprio  scudier  che  gU  servia, 
Dicea  giurando:  lo  non  so  dir  chi  sia. 
78 

Non  cavalcaro  molto,  ch'alle  mura 
Si  trovar  de  la  terra,  e  in  su  la  porta. 
Dalinda  andar  più  inanzi  avea  paura; 
Pur  va,  poi  che  Rinaldo  la  conforta. 
La  porta  è  chiusa;  et  a  chi  n'avea  cura 


74.  1.  l'intenzion  gli  Tenia  f.  Gli  antichi 
dissero:  Ottenere,  avere  V  ititemione.  Su 
queste  locuzioni  è  foggiata  l'altra  Fare  l'in- 
teazinrie,  conseguire  l' intento. 

—  5.  eri  appresso  ecc.  ;  eri  vicino  alle  mie 
grida;  al  luogo  dove  io  gridavo.  Oppure: 
Se.  alle  mie  grida,  tu  non  eri  qui  vicino. 

J6.  5.  quando...  Ancor;  quand'anche. 

—  7.  Tia  maggior.  L'A.  dice  sempre  via. 
non  rie  e  il  Bembo  già  osservò  (Prose  lib. 
111.  p.  222)  che  vie  avevano  usato  i  prosa- 
tori, ria  i  poeti.  —  viene  in  proya.  Y.  e.  iv, 
68,  n.  7. 

76.  1.  Sant'Andrea;  St-Andrews,  città  già 
capitale  della  Scozia  nella  contea  di  Fife. 

—  4.  querela  della  f .  ;  questione  d'  onore 
della  figlia.  È  parola  tecnica  del  duello. 

77.  5.  E  che.  Ha  la  stessa  dipendenza  del 
che  del  primo  verso. 

78.  5.  La  porta  è  chinsa.  In  simili  circo- 
stanze, l'estando  la  città  quasi  deserta,  si 
chiudevan  le  porte  per  iiiipedir  sorprese  di 


Rinaldo  domandò:  Questo  ch'importa? 
E  fugli  detto,  Perché  '1  popol  tutto, 
A  veder  la  battaglia  era  ridutto, 
79 

Che  tra  Lurcanio  e  un  cavallier  istrano 
Si  fa  ne  l'altro  capo  de  la  terra 
Ove  era  un  prato  spazioso  e  piano; 
E  che  già  cominciata  hanno  la  guerra. 
Aperto  fu  al  signor  di  Montealbano; 
E  tosto  il  portinar  dietro  gli  serra. 
Per  la  vota  città  Rinaldo  passa; 
Ma  la  Donzella  al  primo  albergo  lassa: 
80 

E  dice  che  sicura  ivi  si  stia 
Fin  che  ritorni  a  lei,  che  sarà  tosto  ; 
E  verso  il  campo  poi  ratto  s'invia, 
Dove  li  dui  guerrier  dato  e  risposto 
Molto  s'aveano  e  davan  tutta  via. 
Stava  Lurcanio  di  mal  cor  disposto 
Centra  Ginevra;  e  l'altro  in  sua  difesa 
Ben  sostenea  la  favorita  impresa. 
81 

Sei  cavallier  con  lor  ne  lo  steccato 
Erano  a  piedi,  armati  di  corazza, 
Col  Duca  d'Albania,  ch'era  montato 
S'un  possente  corsier  di  buona  razza. 
Come  a  Gran  contestabile,  a  lui  dato 


città  vicine  e  anche  degli  aderenti  e  fautori 
delle  parti  combattenti. 

—  6.  ch'importa?  che  significa? 

—  7.  fugli  detto  Perché  ;  fugli  detto  Che 
ciò  ai^veniva  perché  ecc. 

80.  6.  di  mal  cor  disposto.  Fusione  delle 
due  espressioni:  Stare  dì  mal  core;  Easere 
mal  di.i/jQsto. 

81.  1.  Sei  cavallier  ecc.  Questi  erano  i  pa- 
drini e  il  seguito  di  ciascun  cavaliere.  In 
antico,  quando  gli  steccati  erano  sempre 
pronti  presso  i  principi,  vi  si  trovava  anche 
tutto  ciò  che  occorreva  per  i  duelli:  cavalli, 
elmi,  padrini,  che  lealmente  pigliavano  la 
clientela  dei  combattenti,  i  quali,  venendo 
incogniti  o  di  lontano,  non  avevano  agio  di 
provvedere  il  necessario  per  le  questioni 
d'onore.  —  ne  lo  steccato.  Generalmente  lo 
steccato  restava  vuoto  e  libero  ai  soli  com- 
liatteiiti.  e  i  padrini,  i  consultori  ecc.  stavano 
fuori  presso  alle  entrate.  Cosi  vediamo  in 
due  disegni  del  sec.  xv,  che  si  trovano  in 
un  manoscritto  della  biblioteca  di  Parigi 
«  Cérémonies  des  gages  de  bataille  »  ripro- 
dotti da  Paolo  Locroix  nella  «  Vie  militaire 
et  religieuse  au  inoyen  àge  et  à  l'epoque  de 
la  renaissance  ». 

—  5.  contestabile;  (lat.  Comes  stabilii, 
prefetto  delle  stalle).  Fu  dapprima  uno  scu- 
diere del  principe,  poi  un  alto  grado  mili- 
tare ;  e  anche  la  suprema  dignità  militare, 
specialmente  in  Francia.  In  questo  senso 
spesso  si  unisce  a  gran. 


53 


ORLANDO  FURIOSO 


La  guardia  fu  del  campo  e  de  la  piazza: 
E  di  veder  Ginevra  in  gran  periglio 
Avea  il  cor  lieto,  et  orgoglioso  il  ciglio. 
82 

Rinaldo  se  ne  va  tra  gente  e  gente: 
Fassi  far  largo  il  buou  destrier  Baiardo: 
Chi  la  tempesta  del  suo  venir  sente, 
A  dargli  via  non  par  zoppo  né  tardo. 
Rinaldo  vi  compar  sopra  eminente, 
E  ben  rassembra  il  fior  d'ogni  gagliardo; 
Poi  si  ferma  all'incontro  ove  il  Re  siede: 
Ognun  s'accosta  per  udir  che  chiede. 
83 

Rinaldo  disse  al  Re:  Magno  signore, 
Non  lasciar  la  battaglia  pili  seguire; 
Perché  di  questi  dua  qualunque  more, 
Sappi  ch'a  torto  tu  '1  lasci  morire. 
L'un  crede  aver  ragione  et  è  in  errore, 
E  dice  il  falso  e  non  sa  di  mentire; 
Ma  quel  medesmoerror  che '1  suo  germano 
A  morir  trasse,  a  lui  pon  l'arme  in  mano  : 
84 

L'altro  non  sa,  se  s'abbia  dritto  o  torto; 
Ma  sol  per  gentilezza  e  per  boutade 
In  pericol  si  è  posto  d'esser  morto, 
Per  non  lasciar  morir  tanta  beltade. 
Io  la  salute  all' innocenzia  porto: 
Porto  il  contrario  a  chi  usa  falsitade. 
Ma,  per  Dio,  questa  pugna  prima  parti; 
Poi  mi  dà  audieuza  aquel  ch'io  vo'uarrarti. 
85 

Fu  da  l'autorità  d'un  uom  si  degno, 
Come  Rinaldo  gli  parca  al  sembiante. 
Si  mosso  il  Re,  che  disse  e  fece  segno 
Ohe  non  andasse  più  la  pugna  inante; 
Al  quale  insieme  et  ai  Barou  del  regno, 
E  ai  cavallieri  e  all'altre  turbe  tante 
Rinaldo  fé' l'inganno  tutto  espresso, 
Ch'avea  ordito  a  Ginevra  Polinesso. 
86 

Indi  s'offerse  di  voler  provare 
Coll'arme,  ch'era  ver  quel  ch'avea  detto. 
<.'hiamasi  Polinesso;  et  ei  compare, 
Ma  tutto  conturbato  ne  l'aspetto: 
Pur  con  audacia  cominciò  a  negare. 
Disse  Rinaldo:  Or  noi  vedrem  l'effetto. 
L'uno  e  l'altro  era  armato, il  campo  fatto; 
•Si  che  senza  indugiar  vengono  al  fatto. 
87  [poi,  caro 

Oh  quanto  ha  il  Re,  quanto  ha  il  suo  po- 
Che  Ginevra  a  provar  sabbi  {nuocente! 
Tutti  han  speranza  che  Dio  mostri  chiaro 


—  6.  La  guardia  del  campo  èva  quella,  che 
pioveva  tenere  il  buon  ordine  fra  gli  astanti, 
punire  chi  facesse  dimostrazioni  favorevoli 
(1  ostili.  —  dato...  la  gaardia.  Su  questa  scon- 
ciji'danza  vedi  sopra  la  st.  5S,  5. 

84.  «.  andienza.  L'  usarono  il  Cavalca,  il 
Machiavelli,  il  Caro  e  altri. 

86.  6.  effetto,  prova;  v.  sopra  st.  17,  5. 


Ch'impudica  era  detta  ingiustamente. 
Crudel,  superbo  e  riputato  avaro 
Fu  Polinesso,  iniquo  e  fraudolente; 
Si  che  ad  alcun  miracolo  non  fìa. 
Che  l'inganno  da  lui  tramato  sia. 
88 

Sta  Polinesso  con  la  faccia  mesta, 
Col  cor  tremante  e  con  pallida  guancia; 
E  al  terzo  suon  mette  la  lancia  in  resta. 
Cosi  Rinaldo  inverso  lui  si  lancia. 
Che  disi'oso  di  finir  la  festa. 
Mira  a  passargli  il  petto  con  la  lancia: 
Né  discorde  al  disir  segui  l'effetto; 
Che  mezza  l'asta  gli  cacciò  nel  petto. 
89 

Fisso  nel  tronco  lo  transporta  in  terra 
Lontau  dal  suo  destrier  più  di  sei  braccia. 
Rinaldo  smonta  subito,  e  gli  afferra 
L'elmo,  pria  che  si  lievi,  e  gli  lo  slaccia: 
Ma  quel,  che  non  può  far  più  troppa  guer- 
Gli  domanda  mercé  con  umil  faccia,    [ra, 
E  gli  confessa,  udendo  il  Re  e  la  Corte, 
La  fraiide  sua  che  l'ha  condutto  a  morte. 
90 

Non  fini  il  tutto,  e  in  mezzo  la  parola 
E  la  voce  e  la  vita  l'abandona. 
Il  Re,  che  liberata  la  figliuola 
Vede  da  morte  e  da  fama  non  buona, 
Più  s'allegra,  gioisce  e  raconsola. 
Che  s'avendo  perduta  la  corona, 
Ripor  se  la  vedesse  allora  allora: 
Si  che  Rinaldo  unicamente  onora. 


88.  3.  al  terzo  suon.  Nei  duelli  pubblici 
c'era  il  pubblico  trombetta  o  araldo,  che 
dava  tre  segnali;  al  terzo  i  combattenti  si 
slanciavano  nello  steccato  dai  due  lati  oi)- 
posti  e  si  azzuffavano. 

89.  1.  Fisso  nel  tronco.  Generalmente  in- 
tendono: Infilzato  nel  tronco  della  lancia. 
Ma  se  la  lancia  passò  dall'altra  parte,  non 
dovette  rompersi  e  perciò  non  rimase  i  ron- 
cone. È  meglio  intendere  tronco  per  la  parte 
grossa  del  corpo,  escluso  capo  e  gambe. 
Fisso,  come  il  latino  fl.rus,  vale  trafitto: 
ViRGiL.  En.  12,  537:  «  li>;o  stetit  basta  ce- 
rebro  ».  V.  anche  al  e.  xxv,  29,  4. 

89.  4.  gli  lo  slaccia.  L'.\.  ama,  innanzi  alle 
particelle  pronominali  lo  la  ecc.  la  form:i 
gli  invece  della  più  comune  glie;  ma  gift 
altri  scrittori,  anche  Toscani,  l'avevano 
usata:  Sacchetti,  yov.  1,  143:  «che  pur  mo- 
strare gli  lo  convenia  »,  dove  noterai  anche 
lo  spostamento  del  pronome,  cosi  frequente 
nel  Furioso.  —  Era  l)Uona  legge  del  duello 
che,  quando  l'avversario  era  atterrato,  si 
potesse  andargli  addosso  e  finirlo,  per  lo  più 
a  pugnalate  nella  faccia;  ma,  se  l'avversa- 
rio confessava  il  suo  torto  o  chiedeva  per- 
dono, il  buon  cavaliere  doveva  perdonare. 

90.  S.  unicamente;  sommamente:  uso  la- 


CANTO  V 


59 


E  poi  ch'ai  trar  de  l'elmo  conosciuto 
L'ebbe,  perch'altre  volte  l'avea  visto, 
Levò  le  mani  a  Dio,  che  d'un  aiuto 
Come  era  quel,  g:li  avea  si  ben  provisto. 
Quell'altro  cavallierche,  sconosciuto, 
Soccorso  avea  Ginevra  al  caso  tristo. 
Et  aimato  per  lei  s'era  condutto, 

tino:  CicER.  Oras.  1.  «  Quem  unice  dilige- 
bam;  che  sommamente  amavo». 

91.  3.  d'un  aiuto...  gli  avea...  provisto. 
Provvedere  a  uno  di  una  cosa  è  costrutto 
raro.  Se  ne  trova  però  qualcne  altro  esemp. 
Segneri,  Crisi.  Istr.  24  :  «  a  cui  per  que- 
sta via  provvede  di  latte  ». 

—  7.  s  'era  conduttu.  Sottint.  quivi. 


Stato  da  parte  era  a  vedere  il  tutto. 
92 
Dal  Re  pregato  fu  di  dire  il  nome, 
0  di  lasciarsi  al  raen  veder  scoperto, 
Acciò  da  lui  fosse  premiato,  come 
Di  sua  buona  intenziou  chiedeva  il  merto, 
Quel,  dopo  lunghi  preghi,  da  le  chiome 
Si  levò  l'elmo,  e  fé'  palese  e  certo 
Quel  che  ne  l'altro  Canto  ho  da  seguire, 
Se  grata  vi  sarà  l'istoria  udire. 


92.  8.  grata;  grato.  È  un  fenomeno  d'at- 
trazione del  complemento,  che  produce  l'il- 
lusione di  un  soggetto.  Veramente  il  sogg. 
è  udire  e  l'istoria  è  il  suo  complemento. 
Lo  stesso  è  avvenuto  al  canto  iit,  60,  6. 


CANTO  VI 


Miser  chi  mal  oprando  si  confida 
Ch'ognor  star  debbia  il  maleficio  occulto; 
Che,  quando  ognaltro  taccia,  intorno  grida 
L'aria  e  la  terra  istessa  in  eh' è  sepulto: 
E  Dio  fa  spesso  che  '1  peccato  guida 
Il  peccator,  poi  ch'alcun  di  gli  ha  indulto. 
Che  sé  medesmo,  senza  altrui  richiesta, 
lunavedutamente  manifesta. 
2 

Avea  creduto  il  miser  Polinesso 
Totalmente  il  delitto  suo  coprire, 


1.  1.  Miser  ecc.  Sembra  che  l' A.  abbia 
avuto  presente  un  luogo  di  Cicerone  (De  Fi- 
nibus,  lib.  II),  dove  si  esprime  lo  stesso  con- 
cetto. Alcune  pai'ole  sembrano  quasi  tra- 
dotte: «  Etsi  vero  (humana,  mens)  molila 
quippiam  est,  quamvis  occulte  fecerit,  nun- 
quam  tamen  confiilet  id  fore  seinper  occul-  [ 
tum  ».  j 

—  4.  L'aria  e  la  terra.  L' immagine  forse 
fu  suggerita  da  Ovidio,  Met.  xi,  7,  dove  si  j 
aice  cìie  il  servo  di  Mida  confidò  alla  terra  j 
scavata  il   segreto  delle   orecchie  d'asino, 
che  aveva  il  padrone;  e  la  terra  lo  faceva 
ripetere  alle  canne  m  essa  nate. 

—  6.  alcun  di'  gli  ha  indulto  ;  gli  ha  dato 
benignamente  alcun  giorno  per  pentirsi. 
Dante,  Par.  xxvii,  97  «  E  la  virtù  che  lo 
sguardo  (di  Beatrice)  m' indulse  »  (mi  dette 
per  sua  benignità). 

—  8.  Innavedutamente.  Nelle  edizioni  del 
'16  e  del  '21  si  trova  inavedutamente.  Inol- 
tre l'A.  usa  pili  frequeutem.  di  non  raddop- 
piare nei  composti  la  prep.  in,  anche  quan- 
do il  buon  uso  lo  porterebbe  (inafliare,  ina- 
spare  ecc.);  perciò  è  da  credere  che  qui  il 
raddoppiamento  sia  un  errore  di  stampa. 


Dalinda  consapevole  d'appres.so 
Levandosi,  che  sola  il  potea  dire: 
E  aggiungendo  il  secondo  al  primo  ecces- 
Affrettò  il  mal  che  potea  differire,       [so, 
E  potea  differire  e  schivar  forse; 
Ma  sé  stesso  spronando,  a  morir  corse: 
3 

E  perde  amici  a  un  tempo,  e  vita  e  stato 
E  onor,  che  fu  molto  pili  grave  danno. 
Dissi  di  sopra  che  fu  assai  pregato 
Il  cavallier,  ch'ancor  chi  sia  non  sanno. 
Al  fin  si  trasse  l'elmo,  e  '1  viso  amato 
Scoperse,  che  più  volte  veduto  hanno; 
E  dimostrò  com'era  Ari'odante, 
Per  tutta  Scozia  lacrimato  inante; 
4 

Ariodante,  che  Ginevra  pianto 
Avea  per  morto,  e  '1  fratel  pianto  avea, 
Il  Re,  la  corte,  il  popol  tutto  quanto: 
Di  tal  bontà,  di  tal  valor  splendea. 
Adunque  il  peregrin  mentir  di  quanto 
Dianzi  di  lui  narrò,  quivi  apparea; 
p]  fu  pur  ver  che  dal  sasso  marino 
Gittarsi  in  mar  lo  vide  a  capo  chino. 
5 

Ma  (come  avviene  a  un  disperato  spesso. 
Che  da  lontan  brama  e  disia  la  morte, 
E  l'odia  poi  che  se  la  vede  appresso; 


2.  8.  spronando;  sollecitando  a  far  presto. 

3.  1.  stato;  il  dominio;  il  ducato:  cosi 
al  e.  XI,  66. 

4.  6.  apparea.  Questa  forma  più  vicina  al 
latino  apparere  usarono  spesso  gli  antichi: 
Dante,  Par.  xvnr,  31  :  «  Or  ti  puote  apparer 
quanto  è  nascosa  La  veritade  ». 

—  7.  E  fu  pur;  e  pure  fu.  Cosi  l'A.  ha 
diviso  quando  anche;  e  o  pwre;  e.  v,  75, 
.5;  XVII,  108,  2. 


60 


ORLANDO  FURIOSO 


Tanto  gli  pare  il  passo  acerbo  e  forte) 
Ariodante,  poi  eh'  in  mar  fu  messo, 
Si  penti  di  morire;  e,  come  forte 
E  come  destro  e  più  d'ogn'altro  ardito, 
Si  messe  a  nuoto  e  ritornossi  al  lito; 
6 

E  dispregiando  e  nominando  folle 
Il  desir  ch'ebbe  di  lasciar  la  vita. 
Si  messe  a  camminar  bagnato  e  molle, 
E  capitò  all'ostel  d'un  Eremita. 
Quivi  secretamente  indugiar  volle 
Tanto,  che  la  novella  avesse  udita, 
Se  del  caso  Ginevra  s'allegrasse, 
O  pur  mesta  e  pietosa  ne  restasse. 
7 

Intese  prima,  che  per  gran  dolore 
Ella  era  stata  a  rischio  di  morire 
(La  fama  andò  di  questo  in  modo  fuore, 
Che  ne  fu  in  tutta  l'isola  che  dire): 
Contrario  effetto  a  quel  che  per  errore 
Credea  aver  visto  con  suo  gran  martire. 
Intese  poi,  come  Lurcanio  avea 
Fatta  Ginevra  appresso  il  padre  rea. 
8 

Contra  il  fratel  d'ira  minor  non  arse, 
Che  per  Ginevra  già  d'amore  ardesse; 
Che  troppo  empio  e  crudele  atto  gli  parse, 
Ancora  che  per  lui  fatto  l'avesse. 
Sentendo  poi,  che  per  lei  non  comparse 
Cavallier  che  difender  la  volesse 
(Che  Lurcanio  si  forte  era  e  gagliardo, 
Ch'ognun  d'andargli  contra  avea  riguardo; 
9 

E  chi  n'avea  notizia,  il  riputava 
Tanto  discreto,  e  si  saggio  et  accorto. 
Che  se  non  fosse  ver  quel  che  narrava; 
Non  si  porrebbe  a  rischio  d'esser  morto; 
Per  questo  la  più  parte  dubitava 
Di  non  pigliar  questa  difesa  a  torto); 


5.  5.  fu  messo  ;  si  fu  gettato.  Cavalca,  Att. 
Ap.  165  :  «  Comandò  che  quelli,  che  sapeaii 
notare,  si  mettessero  in  mare  >.  Più  comu- 
iiem.  mettersi  in  mare  vale  Cominciare  a 
naiigare.  Per  remissione  del  pron.  persou. 
vedi  e.  i,  21,  n.  7. 

—  6.  come  f.;  da  f.  V.  e.  v,  21,  7. 

6.  3.  bagnato  e  molle.  Bagnato  si  riferi- 
sce, più  che  altro,  alla  superficie;  'molle 
indica  inzuppato  >ìi  acjua. 

—  4.  ostel;  abitazione.  In  questo  senso  è 
raro  anche  nel  verso;  ma  ne  abbiamo  esem- 
pi. .Nov.  ant.  60,  1:  «  Pregollo  che  non  la 
discoprisse  lino  a  suo  ostello  ». 

7.  5.  Contrario  effetto  ;  /"affo,  che  provava 
contro  a  quello,  che  ecc.  V.  e.  v,  86,  n.  6. 

—  7.  avea  Patta...  rea  ;  avea  accusala.  È 
il  lat.  facere  ali'jacin  reum,  accusare  uno. 

9.  1.  notizia:  conoscenza.  Petr.  Trionf. 
i,  38.  «  E  se  alcun  v'era  Di  mia  notizia,  avea 
cangiato  vista  ». 


Ariodante,  dopo  gran  discorsi. 
Pensò  all'accusa  del  fratello  opporsi. 
10 

Ah  lasso!  io  non  potrei  (seco  dicea) 
Sentir  per  mia  cagion  perir  costei: 
Troppo  mia  morte  fora  acerba  e  rea. 
Se  inanzi  a  me  morir  vedessi  lei. 
Ella  è  pur  la  mia  Donna  e  la  mia  Dea; 
Questa  è  la  luce  pur  degli  occhi  miei:  [pò 
Convien  ch'a  dritto  e  a  torto,per  suo  scam- 
pigli l'impresa,  e  resti  morto  in  campo. 
11 

So  ch'io  m'appiglio  al  torto;  e  al  torto 
E  ne  morrò;  né  questo  mi  sconforta,  [sia: 
Se  non  eh'  io  so  che  per  la  morte  mia 
Si  bella  donna  ha  da  restar  poi  morta. 
Un  sol  conforto  nel  morir  mi  fia. 
Che,  se  '1  suo  Polinesso  amor  le  porta. 
Chiaramente  veder  avrà  potuto. 
Che  non  s'è  mosso  ancor  per  darle  aiuto; 
12 

E  me,  che  tanto  espressamente  ha  offeso, 
Vedrà;  per  lei  salvare,  a  morir  giunto. 
Di  mio  fratello  insieme,  il  quale  acceso 
Tanto  focoha,vendicherommi  a  un  punto; 
Ch'  io  lo  farò  doler,  poi  che  compreso 
Il  fine  avrà  del  suo  crudele  assunto: 
Creduto  vendicar  avrà  il  germano, 
E  gli  avrà  dato  morte  di  sua  mano. 
13 

Concluso  ch'ebbe  questo  nel  pensiero, 
Nuove  arme  ritrovò,  nuovo  cavallo; 
E  sopraveste  nere  e  scudo  nero 


—  7.  discorsi  ;  riflessioni  :  cosi  anche  al 
e.  xxvii,  1;  e  cosi  spesso  altri  scrittori. 

10.  2.  Sentir...  perir;  aver  notizia  che  co- 
stei perisca.  Nello  stesso  senso,  ma  con  di- 
verso costrutto,  Dante,  Parg.  16,  138:  «Par 
che  del  buon  Gherardo  nulla  senta  »  (non 
abbia  alcuna  notizia). 

—  7.  a  dritto  e  a  torto.  Xell'altre  due  ediz. 
del  1516  e  del  1521  si  legge  il  modo  più  logico 
a  dritto  o  a  torto:  ma  l'A.  preferi  l'altro 
modo,  elle  è  più  comune  negli  scrittori  ed 
è  più  efficace,  perché  dà  risalto,  non  al 
dubbio  di  chi  agisce,  ma  alla  risoluzione  di 
agire  in  ogni  caso. 

—  S.  Pigli  l' impresa;  intraprenda  il  com- 
battimento. V.  e.  IV,  57,  4. 

11.  1.  al  torto  sia.  Modo  comune  nel  lin- 
guaggio popolare,  che  indica  risoluta  ras- 
segnazione a  ciò,  che  è  detto  innanzi  e  rias- 
sunto con  poche  parole  prima  del  sia.  Per 
es.  Mio  figlio  ha  rovinato  tutto;  e  rovinato 
sia,  ma  doveva  rispettar  l'onore  della  fa- 
miglia. 

—  3.  Se  non  che;  se  non  perché.  V.  e.  ili, 
50,  1  ;  v,  16,  5. 

13.  3.  sopraveste;  Era  una  veste,  che  i  soli 
cavalieri,  per  difendersi  dal  sole,  portavano 


CANTO  VI 


61 


Portò,  fregiato  a  color  verdegiallo. 
Per  avventura  si  trovò  uu  scudiero 
Ignoto  in  quel  paese,  e  menato  hallo: 
E  sconosciuto  (come  lio  già  narrato) 
JS'appresentò  contra  il  fratello  armato. 

14 
Narrato  v'  ho  come  il  fatto  successe. 
Come  fu  conosciuto  Ariodaiite. 
Non  minor  gaudio  n'ebbe  il  Re,  ch'avesse 
De  la  figliuola  liberata  inante. 
Seco  pensò  che  mai  non  si  potesse 
Trovar  uu  più  fedele  e  vero  amante; 
Che  dopo  tanta  ingiuria,  la  difesa 
Di  lei  contra  il  fratel  proprio  avea  presa. 

ìò 
E  per  sua  inclinazion (ch'assai  l'amava) 
E  per  li  preghi  di  tutta  la  corte, 
E  di  Rinaldo  che  più  d'altri  instava. 
De  la  bella  figliuola  il  fa  consorte. 
La  Duchea  dAll)ania,  ch'ai  Re  tornava 
Dopo  che  Polinesso  ebbe  la  morte. 
In  miglior  tempo  discader  non  puote. 
Poi  che  la  dona  alla  sua  figlia  iu  dote. 

1(> 
Rinaldo  per  Dalinda  impetrò  grazia, 
Che  se  n'andò  di  tanto  errore  esente; 
La  qual  per  voto,  e  perché  molto  sazia 
Era  del  mondo,  a  Dio  volse  la  mente. 
Monaca  s'andò  a  render  fin  iu  Dazia, 


sopra  le  armature,  anche  combattendo:  una 
specie  di  tunica  con  corte  maniche  o  senza. 
Sul  colore,  come  simbolo  degli  affetti,  cfr. 
e.  xxxir,  47.  Il  verdegiallo  siguitlca  la  spe- 
ranza non  ancor  tutta  morta. 

—  5.  scudiero.  Era  il  servitore  del  cava- 
liere. A  lui  la  cura  delle  armi  e  dei  cavalli: 
teneva  la  staffa,  portava  l'elmo,  la  lancia  e 
talvolta  anche  lo  scudo  del  signore,  caval- 
cando innanzi  a  lui  sopra  un  ronzino;  nelle 
zuffe  gli  stava  al  fianco  per  fornirgli  al  bi- 
sogno nuove  armi  e  nuovi  cavalli.  Erano 
volontari  o  mercenari. 

15.  5. Duchea;  ducato.  Fu  usato  comunem. 
dagli  antichi:  G.  Villani  455:  «  Nella  duchea 
di  Baviera  in  Allemagna  ». 

—  7.  discader  ;  ricadere  o  tornare  al  pa- 
drone diretto.  In  questo  senso  è  citato  sol- 
tanto questo  luogo  dell'A. 

16.  2.  esente;  perdonata:  É  significato  si- 
mile al  Dantesco,  Puri/-  7,  32:  «  avante  Che 
fosser  dall'umana  colpa  esenti»  (purgati); 
ma  non  eguale.  Non  è  notato  dai  vocabolari. 

—  5.  Dazia.  Alcuni  intendono  la  Dacia 
(moderna  Rumenia),  altri,  meglio,  la  Dania 
o  Danimarca,  detta  da  alcuni  antichi  Dacia. 
Lo  Pseudo-Turpino  chiama  Oggieri  il  Da- 
nese dux  Daciae,  Dacus.  L"A.  l'usò  anche 
nei  Cinque  canti  i,  69,  8.  Il  Giarabullari,  St. 
Eur.  Ili,  2,  dice:  «  La  Dania  da  alcuni,  con 
error  non  piccolo,  chiamata  Dacia  ». 


E  si  levò  di  Scozia  inmantinente. 
Ma  tempo  è  omai  di  ritrovar  Ruggiero, 
Che  scorre  il  ciel  su  l'animai  leggiero. 
17 

Benché  Ruggier  sia  d'animo  constante, 
Né  cangiato  abbia  il  solito  colore, 
lo  non  gli  voglio  creder  che  tremante 
Non  abbia  dentro  più  che  foglia  il  core. 
Lasciato  avea  di  gran  s^pazio  distante 
Tutta  r  Europa,  et  era  uscito  fuore 
Per  molto  spazio  il  segno  che  prescritto 
Avea  già  a'  naviganti  Ercole  invitto. 

l!S  [gello 

Quello  Ippogrifo,  grande  e  strano  au- 
Lo  porta  via  con  tal  prestezza  d'ale, 
Che  lasceria  di  lungo  tratto  ([ucllo 
Celer  ministro  del  fulmineo  strale. 
Non  va  per  l'aria  altro  animai  si  snello, 
Che  di  velocità  gli  fosse  uguale: 
Credo  ch'a  pena  il  tuono  e  la  saetta 
Vengaiuterradal  ciel  con  maggior  fretta. 
19 

Poi  che  l'Augel  trascorso  ebbe  gran  spa- 
Per  linea  dritta  e  senza  mai  piegarsi,  [zio 
Con  larghe  ruote,  oWàf  de  l'aria  Sazio, 
Cominciò  sopra  una  isola  a  calarsi, 
Pare  a  quella  ove,  dopo  lungo  strazio 
Far  del  suo  amante  e  lungo  a  lui  celarsi, 
La  vergine  Aretusa  passò  in  vano 
Di  sotto  il  mar  per  camin  cieco  e  strano. 


17.  6.  fuore...  il  segno;  fuori  del  segno. 
Fuori  si  costruì  si>esso  senza  preposizione 
e  senza  articolo:  Fuor  misura,  Fuor  ra- 
gione; più  raramente  coU'articolo.  —  il  se- 
gno sono  le  colonne  d'Ercole.  La  favola  dice 
che  Ercole,  arrivato  a  Cadice,  credette  che 
ivi  fosse  l'estremità  della  terra,  separò  due 
montagne  (Abyla  e  Calpe),  che  si  toccavano, 
per  congiungere  il  Mediterraneo  coU'oceauo; 
e  queste  furon  dette  le  colonne  d'  Ercole. 
V.  e.  IV,  61,  n.  8. 

18.  4.  Celer  ministro  ;  l'aquila.  Orazio,  O''. 
IV,  4:  «  ministrum  fulminis  alitem  ». 

19.  5.  dopo  lungo  str.  Far;  dopo  uu  lungo 
fare  str.  1/  infinito  è  usato  sostantivamente. 

—  7.  Aretusa.  Ecco  la  favola.  La  ninfa 
Aretusa,  perseguitata  dall'amore  del  fiume 
Alfeo,  si  raccomanda  a  Diana,  dalla  quale 
è  cambiata  lu  fonte.  Alfeo  mescola  ad  essa 
le  sue  acque,  ma  Diana  fora  la  terra  e  con- 
duce la  fonte  Aret.  in  Sicilia  ad  Ortigia.  Gli 
antichi  credevano  che  questa  fontana  avesse 
uua  comunicazione  sotterranea  col  fiume 
Alfeo  neir  Elide  ;  quindi  il  mito  e  quindi 
l'espressione  in  vano  dell'A.  —  L' isola,  do- 
ve si  cala  Ruggero,  fu  creduta  dal  Fornaci 
e  da  altri  Zipagu  o  Cipingu,  oggi  Giappone  ; 
ma  forse  è  un'  isola  immaginaria. 


62 


ORLANDO  FURIOSO 


20 

Non  vide  né  più  bel  né  ']  più  giocondo 
Di  tutta  Taiia  ove  le  peuuje  stese; 
Né,  se  tutto  cercato  avesse  il  mondo, 
Vedria  di  questo  il  più  gentil  paese, 
Ove,  dopo  un  girarsi  di  gran  tondo, 
Con  Kuggier  seco  il  grande  augel  discese. 
Culte  pianure  e  delicati  colli, 
Chiare  acque,  ombrose  ripe  e  prati  molli, 
•21 

Vaghi  boschetti  di  soavi  allori. 
Di  palme  e  d'amenissime  mortelle. 
Cedri  et  aranci  ch'avean  frutti  e  fiori 
Contesti  in  varie  forme  e  tutte  belle, 
Facean  riparo  ai  fervidi  calori 
De' giorni  estivi  con  lor  spesse  ombrelle; 
E  tra  quei  rami  con  sicuri  voli 
Cantando  se  ne  giano  i  rosignuoli. 
22 

Tra  le  purpuree  rose  e  i  bianchi  gigli, 
Che  tepida  aura  freschi  ogn'ora  serba, 
Sicuri  si  vedean  lepri  e  conigli, 
E  cervi  con  la  fronte  alta  e  superba. 
Senza  temer  ch'alcun  gli  uccida  o  pigli, 
Pascano  o  stiansi  romiuando  l'erba: 
Saltano  i  daini  e  i  capri  isnelli  e  destri. 
Che  sono  in  copia  in  quei  lochi  campestri. 
23 

Come  si  presso  è  V  Ippogrifo  a  terra 
Ch'esser  ne  può  men  periglioso  il  salto, 
Ruggier  con  fretta  de  l'arcion  si  sferra, 
E  si  ritrova  in  su  l'erboso  smalto. 
Tuttavia  in  man  le  redine  si  serra; 
Che  non  vuol  che  '1  destrier  più  vada  in 
Poi  lo  lega  nel  margine  marino        [alto: 


A  un  verde  mirto  in  mezzo  un  lauro  e  un 
24  [pino. 

E  quivi  appresso  ove  surgea  una  fonte 
Cinta  di  cedri  e  di  feconde  palme, 
Pose  lo  scudo,  e  l'elmo  da  la  fronte 
Si  trasse,  e  disarmossi  ambe  le  palme; 
Et  ora  alla  marina  et  ora  al  monte 
Volgea  la  faccia  all'aure  fresche  et  alme. 
Che  l'alte  cime  con  mormorii  lieti 
Fan  tremolar  dei  faggi  e  degli  abeti; 

■  25        r- 

Bagna  talor  ne  la  chiara  onda  e  f^'esjca 
X-'asiciutte  labra,  e  con  le  man  diguazza, 
Acciò  che  de  le  vene  il  calore  esca, 
Che  gli  ha  acceso  il  portar  de  la  corazza. 
Né  maraviglia  è  già  ch'ella  gì' incresca; 
Che  non  è  stato  un  far  vedersi  in  piazza: 
Ma  senza  mai  posar,  d'arme  guernito,, 
Tremila  miglia  ogn'or  correndo  era  ito. 
26  • 

Quivi  stando,  il  destrier  ch'avea  lasciato 
Tra  le  più  dense  frasche  allafresca  ombra, 
Per  fuggir  si  rivolta,  spaventato 
Di  non  so  che,  che  dentro  al  bosco  adom- 
E  fa  crollar  si  il  mirto  ove  è  legato,  [bra: 
Che  de  le  frondi  intorno  il  pie  gli  ingoin- 
CroUar  fa  il  mirto,  e  fa  cader  la  fogl  ia;  [bra: 
Né  succede  però,  che  se  ne  scioglia; 
27- 

Come  ceppo  talor,  che  le  medolle 
Rare  e  vote  abbia,  e  posto  al  foco  sia, 
Poi  che  per  gran  calor  quell'aria  molle 


20.  1.  né  pili  bel  né  il  pili  g.  Le  ediz. 
del  1516  e  1521  hanno  né  pia  bel  né  più  g. 
Forse  l'A.  corresse  n<'-  il  più  bel  ecc.,  e  nella 
stampa  si  confusero  le  due  lezioni.  Il  Pa- 
nizzi  infatti  riscontrò  la  lezione  né 'l  pia 
bel  in  diversi  esemplari  del  1532. 

—  2.  Di  tntta  1'  aria,  da  tutta  T  aria,  da 
tutto  quel  tratto  di  cielo  ove  stese  le  ali. 
Per  quest'uso  della  prep.  di  confronta  i 
modi  comuni  e  popolari  :  si  vede  di  qui:  si 
vede  di  casa.  A  questi  si  è  conformato  FA. 

-^  A.  di  qoeKto  il  pili  gentil.  L'articolo  il 
qui  e  nel  primo  verso  vale  un  (Founaciari 
Sint.  p.  141);  un  paese  più  g.  d.  q. 

—  5.  di  grao  tondo;  con  larghe  ruote.  È 
modo  non  chiaro. 

21.  6.  ombrelle;  ombre. 

22.  7.  capri,  (caprii,  plur.  di  caprio)  ca- 
prioli. E  forma  specialm.  poetica.  Tasso, 
Ger.  7,  Il  :  «  Saltar  veggendo  i  capri  snelli 
e  i  cervi  ». 

23.  7.  margine  m.  Il  margine  è,  per  lo  più, 
dei  fiumi,  raramente  si  usa  per  il  lido  del 
mare. 


—  8.  in  mezzo  un  1.  Più  comun.  in  ìuesso 
a  o  di.  «  Petr.  II,  son.  45:  Con  refrigerio 
in  mezzo  'l  foco  vissi  ». 

24.  1.  surgea,  scaturiva.  Dante,  Purg.  28, 
121  :  «  L'acqua,  che  vedi,  non  surge  di  vena  ». 

—  4.  disarmossi;  Dei  guanti  di  maglia  di 
ferro,  che  poi-tavano  di  diverse  specie. 

—  7.  mormorii  ;  v.  C.  II,  34,  n.  3. 

25.  6.  in  piazza;  nella  piazza  d'armi,  nella 
steccato  a  giostrare. 

—  8.  Tremila.  K  per  un  numero  indeter- 
minato. 

26.  4.  adombra.  Alcuni  intendono:  Di  qual- 
che cosa,  che  getta  ombra  nel  bosco:  altri: 
Di  qualche  cosa,  che  il  cavallo  adocchia, 
nel  bosco.  In  questo  senso  aacmbrare  non 
è  citato  dai  vocabol.,  e  forse  sarebbe  nuovo. 
Potremmo  anche  intendere:  Di  qualche  cosa 
che  lo  adombra,  gli  dà  sospetto.  Cosi  avrem- 
mo un  significato  non  raro,  e  il  fenomeno, 
comune  nel  Furioso,  dell'omissione  del  pro- 
nome; V.  e.  I,  21,  n.  7. 

27.  1.  Come  ceppo  ecc.  Il  cespuglio  ani- 
mato è  una  imitazione  di  Dante,  Inf.  13; 
che  a  sua  volta  lia  imitato  Virgilio  Eh.  ih. 
Questa  comparazione  ricorda  la  Dantesca 
«Come  d'un  stizzo  verde,  che  arso  sia  Dal- 
l'un  de'  capi,  che  dall'altro  geme  E  cigola 


CANTO  VI 


63 


Resta  consunta  eh'  in  mezzo  l'empia, 
Dentro  risuoua,  e  con  strepito  bolle 
Tanto  che  quel  furor  trovi  la  via; 
Cosi  murmura  e  stride  e  si  coruccia 
Quel  mirto  olìeso,  e  al  fine  apre  la  buccia. 
^.^  -28 

Onde  con  mesta  e  ilebil  voce  uscio 
Espedita  e  chiarissima  favella, 
E  disse:  Se  tu  sei  cortese  e  pio, 
Come  dimostri  alla  presenza  bella, 
Lieva  questo  animai  da  l'arbor  mio: 
Basti  che  '1  mio  mal  proprio  mi  flagella, 
Senza  altra  pena,  senza  altro  dolore 
Ch'a  tormentarmi  ancor  venga  di  fuorc. 
•29 

Al  primo  suon  di  quella  voce  torse 
Ruggiero  il  viso,  e  subito  levosse; 
E  poi  eh'  uscir  da  l'arbore  s'accorse, 
Stupefatto  restò  più  che  mai  fosse. 
A  levarne  il  destrier  subito  corse: 
E  con  le  guance  di  vergogna  rosse: 
Qual  che  tu  sii,  perdonami  (dicea) 
0  spirto  umano,  o  boschereccia  Dea. 
30     -     -' 

Il  non  aver  saputo  che  s'asconda 
Sotto  ruvida  scorza  umano  spirto, 
M'ha  lasciato  turbar  la  bella  fronda, 
E  far  ingiurfa  al  tuo  vivace  mirto  1^*^     ^ 
Ma  non  restar  però,  che  non  risponda    - 
Chi  tu  ti  sia,  eh'  in  corpo  orrido  et  irto. 
Con  voce  e  razionale  anima  vivi; 
Se  da  grandine  il  ciel  sempre  ti  schivi. 
°f1'  31 

E  s'ora  o  mai  potrò  questo  dispetto 
Con  alcun  beùèficio  compensarle, 
Per  quella  bella  donna  ti  prometto, 
Quella  che  di  me  tien  la  miglior  parte, 


pel  vento  che  va  via».  Le  espressioni  del- 
l'A.  sono,  per  la  fisica  moderna,  assai  ine- 
satte; ma  solo  più  tardi  si  conobbe  il  pas- 
saggio dell'acqua  in  vapore  e  la  forza  espan- 
siva di  esso.  Dante  fu  più  esatto,  perché  si 
fermò  al  fenomeno  esterno  senza  dirne  le 
cagioni. 

29.  S.  boschereccia  Dea.  Credevano  gli  an- 
tichi che  della  vita  di  ciascuna  pianta  vi- 
vesse una  Driade  o  una  Amadriade.  Qui 
abbiamo  un  semplice  ricordo  erudito  del 
Virgiliano  «  Nymphas  veneramur  agrestes  » 
En.  Ili,  34;  poiché  Ruggero  a  ciò  non  cre- 
deva, come  appare  dalla  st.  seg.  v.  2. 

30.  4.  vivace;  vivente.  Come  aggiunto  di 
pianta  fa  usato  soltanto  nel  senso  di  vegeto. 
Il  Cellini  l'usò  per  vii-entf:  ma  sostanti vam. 
Poes.  ediz.  Piatti,  418:  «  Fattor  di  vita.  Dio 
d'ogni  vivace  ».  É  latinismi  >  :  Ovidio  Met. 
XIII,  519  chiama  Ecuba  vivacem  anurii 
(ajicor  viva). 

—  8.  se  da  ecc.:  cosi  da  ecc.  É  il  se  de- 
precativo, frequentissimo  nei  poeti. 


Ch'  io  farò,  con  parole  e  con  effetto. 
Ch'avrai  giusta  cagion  di  me  lodarle. 
Come  Ruggiero  al  suo  parlar  fin  diede, 
Tremò  quel  mirto  da  la  cima  al  piede. 
32 

Poi  si  vide  sudar  su  per  la  scorza. 
Come  legno  dal  bosco  allora  tratto. 
Che  del  foco  venir  sente  la  forza, 
Poscia  eh'  invano  ogni  ripar  gli  ha  fatto; 
E  cominciò:  Tua  cortesia  mi  sforza 
A  discoprirti  in  un  medesmo  tratto 
Ch'  io  fossi  prima,  e  chi  converso  m'aggia 
In  questo  mirto  in  su  Tamena  spiaggia. 
33 

Il  nome  mio  fu  Astolfo;  e  Paladino 
Era  (li  Francia,  assai  temuto  in  guerra: 
D'Orlando  e  di  Rinaldo  era  cugino. 
La  cui  fama  alcun  termine  non  serra  : 
E  si  spettava  a  me  tutto  il  domino, 
Dopoil  mio  padre  Oton,de  l'Inghilterra:- 
Leggiadro  e  bel  fui  si,  che  di  me  accesi 
Pili  d'uua  donna;  e  al  fin  me  solo  offesi. 
34 

Ritornando  io  da  quelle  isole  estreme 


31.  6.  cagion  di  me  1.  e.  di  lodarti  di  me. 
V.  e.  II,  72,  n.  3. 

33.  1.  Astolfo.  È  ricordato  come  paladino 
in  alcune  canzoni  di  gesta,  quantunque,  per 
lo  più,  non  apparisca  fra  i  paladini  di  C. 
Magno.  Il  Boiardo  lo  ha  preso  dalla  tradi- 
zione cavalleresca,  ma  lo  ha  ritrattò  a  suo 
modo.  È  da  lui  detto  bellissimo,  molto  va- 
gheggiato dalle  donne,  m:x  parlante  di  na- 
tura, millantatore  e  bravaccio,  sebbene  alla 
prova  delle  armi  abbia  sempre  la  peggio. 
L'.\.  prende  dal  B.  i  tratti  principali,  ma 
raffina  questa  figura. 

—  3.  D'Orlando  ecc.  Bernardo  di  Chiara- 
monte  ebbe  per  figli  Ottone,  secondo  la  leg- 
genda Carolingia  re  d' Inghilterra  e  padre 
d'.\st.;  Milone,  padre  d'  Orlando;  Amone, 
padre  di  Rinaldo  e  Bradamante. 

—  8.  me  solo  off.,  perché  l'amore  si  volse 
in  mio  solo  danno,  non  dell'amata. 

34.  I.  Ritornando  ecc.  È  riassunto  ciò  che 
narra  il  Boiardo.  Dopo  essere  stato  pressa 
Angelica  in  Albracca,  Astolfo  trova  Rinaldo 
e  si  accompagna  con  lui.  Vengono  ambedue 
nelle  mani  di  Monodaute,  re  di  Demogir 
(Isole  Lontane,  nel  mare  Indiano),  dove  tro- 
vano prigiouieri  anche  Prasildo,  Iroldo,  Du- 
done  e  altri.  La  fata  Morgana  aveva  rapito 
a  Monodante  un  liglio  giovinetto,  del  quale 
si  era  innamorata,  e  che  non  avrebbe  reso 
se  non  in  cambio  di  Orlando,  su  cui  aveva 
da  vendicar  un'  onta  ricevuta.  Monodante 
fa  prendere  quanti  cavalieri  può,  sperando 
di  trovare  Orlando,  .wutolo  finalmente,  lo 
manda  a  Morgana,  ma  Orlando  libera  im- 
punemente il  giovinetto  e  torna  con  esso  al 


CI 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  da  Levante  il  mar  Indico  lava, 
Dove  Rinaldo  et  alcun'altri  insieme 
Meco  fnr  chiusi  in  parte  oscura  e  cava, 
Et  onde  liberate  le  supreme 
Forze  n'avean  del  cavallier  di  Brava; 
Ver  Ponente  io  venia  lungo  la  sabbia 
Che  del  Settentrion  sente  la  rabbia. 
35 

E  come  la  via  nostra  e  il  duro  e  fello 
Distin  ci  trasse,  uscimmo  una  matina 
Sopra  la  bella  spiaggia  ove  un  castello 
Siede  sui  mar,  de  la  possente  Alcina. 
Trovammo  lei  ch'uscita  era  di  quello, 
E  stava  sola  in  ripa  alla  marina  ; 
E  senza  rete  e  senza  amo  traea 
Tntti  li  pesci  al  lito,  che  volea. 
3G 

Veloci  vi  correvano  i  delfìni. 
Vi  venia  a  bocca  aperta  il  grosso  tonno; 
I  capidogli  coi  vecchi  marini 


padre,  che,  pieu  di  gioia,  lascia  in  libertà 
tutti  i  cavalieri,  tra  cui  Astolfo.  Questi,  giun- 
to poi  al  giardino  di  Alcina,  è  allettato  a 
salire  sopra  una  balena.  Fin  qui  il  Boiardo, 
Inn.  n,  xir,  xiii. 

—  2.  da  Levante;  in  levante. 

—  5.  liberate  ;  liberato.  Nel  Far.  vi  sono 
quattro  luoghi,  dove  il  participio  è  stato 
attratto  alla  concordanza  col  soggetto  (xviii, 
123;  XXXVI,  27;  xxxviii,  56).  Gli  antichi 
amarono  talvolta  questa  bizzarria.  V.,  per 
esempio.  Boccaccio,  Nov.  31  :  «  Cosi  dolo- 
roso fine  ebbe  l'amor  di  Ghisnionda,  come 
{voi  donne)  udite  avete  ». 

—  5.  le  supreme  Forze.  Veramente  piut- 
tosto la  sagacia  nel  saper  prender  Morgana 
per  la  chioma,  sola  maniera  di  dominai'la. 
y.  Inn.  II,  XIII,  23.  Cavalier  di  Brava  è 
Oi'lando,  detto  anche  dal  Pseudo-Turpino 
Comes  BluviensU.  Brava,  o  Blaia  è  forse 
Blayes  nella  Guienne. 

—  7.  Ver  Ponente.  Partito  dall'Isole  Lonta- 
ne (nel  mare  Indiano)  ritornava  in  Ponente 
«ntrando  nel  mar  della  China,  che  è  nel- 
l'emisfero boreale;  e  però  dice  «che  del 
s^ettentr.  sente  la  rabbia  ».  Continuando  a 
nord-est  s' incontra  neh'  isola  d'Alcina. 

35.  4.  Alcina.  É  invenzione  del  Boiardo  il 
nome,  la  sua  perfìdia,  ìa  sua  potenza  ma- 
gica, e  il  giardino  incantato;  ma  nell'Inn. 
son  brevi  cenni,  che  l'A.  riprende  e  svolge 
magnificamente.  In  tutta  la  favola  d'Alcina 
l'A.  ha  nascosto  un  senso  allegorico,  spinto 
forse  a  ciò  dal  Boiardo,  che  in  Morgana 
rappresentò  la  ventura.  In  Alcina  è  figu- 
rata la  lussuria.  V.  Jym.  II,  xiii. 

36.  1.  Veloci  ecc.  Anche  nell'  Inn.  II,  xiii, 
ó7,  si  descrivono  in  una  intera  stanza  i  vari 
pesci,  che  vanno  a  riva. 

—  3.  capidogli;    specie  di  cetacei  molto 


jVengon  turbati  dal  lor  pigro  sonno: 
Muli,  saipe,  salmoni  e  coracini 
Nuotano  a  schiere  in  piti  fretta  che  ponnc: 
Pistrici.  fisiteri,  orche  e  balene        a^^ 
Escon  dal  mar  con  monstruose  schien'e. 
.37 

Veggiamo  una  balena,  la  maggiore 
Che  mai  per  tutto  il  mar  vedutafosse  : 
Uudeci  passi  e  più  dimostra  fuore 
De  l'onde  salse  le  spallacele  grosse. 
Caschiamo  tutti  insieme  in  uno  errore: 
Perch'era  ferma  e  che  mai  non  si  scosse. 
Ch'ella  sia  una  isoletta  ci  credemo  ; 
Cosi  distante  ha  l'un  da  l'altro  estremo. 
38 

Alcina  i  pesci  uscir  facea  de  l'acque 
Con  semplici  parole  e  puri  incanti. 
Con  la  fata  Morgana  Alcina  nacque. 
Io  non  so  dir  s'a  un  parto,  o  dopo,  o  inantì. 
Guardommi  Alcina;  e  subito  le  piacque 
L'aspetto  mio,  come  mostrò  ai  sembianti: 
E  pensò  con  astuzia  e  con  ingegno 
Tonni  ai  compagni;  e  riusci  il  disegno. 


grossi;  detti  cosi  perché,  dal  loro  capo  spe- 
cialmente, si  cava  gran  quantità  di  materie 
grasse  (olio).  Vecchi  marini;  nome  volgare 
d'una  specie  di  foche. 

—  5.  Muli  ecc.  Questo  verso  è  traduzione 
d'una  rubrica  di  Plinio,  St.  N.  lib.  9,  8:  «  De 
mullo  et  coracino  salpa  et  salmone  >.  Il 
mullo  è  la  triglia;  la  salpa  è  lo  sparus 
salpa  di  Linneo.  Coracini  (gr.  cora.r,  corvo) 
son  cosi  detti  dal  loro  color  nereggiante. 

—  7.  Pistrici;  (lat.pistrix)  mostro  marino, 
«  che  simili  a'  delfini  ha  le  code,  a'  lupi  il 
ventre  »  Caro  En.  Ili,  688.  —  fisiteri  (lat. 
phyxeter)  ;  è  il  nome  latino  e  scientifico  del 
Capidoglio  ;  ma  l'A.,  che  ha  tolto  questi 
nomi  da  Plinio,  non  ha  avvertito  la  ripeti- 
zione. —  orche;  Cetacei  della  famiglia  dei 
delfini.  Gli  antichi  le  trovavano  nel  Medi- 
terraneo; oggi  abitano  l'Atlantico  setten- 
trionale, il  glaciale  e  il  nord  del  Pacifico. 
Sono  voracissime  e  feroci. 

37.  3.  passi.  È  misura  romana  durata  lun- 
gamente fra  noi.  Il  passo  era  semplice  (m. 
0,74)  e  doppio  o  geometrico  (m.  \,\i<).  I  Ro- 
mani e  i  nostri  scrittori  l'usarono  più  spesso 
con  questo  secondo  valore. 

—  7.  credemo.  Questa  terminaz.  usarono 
spesso  gli/antichi  :  vedi  gli  esempi  in  .\aii- 
nucci.  Analisi  Cr.  dei  V.  It.  Non  cita  però 
nessun  esempio  posteriore  alla  prima  metà 
del  quattrocento.  È  terminazione  viva  an- 
cora nel  Pisano.  .Nell'A.  forse  fu  amore  di 
anticaglie. 

38.  3.  Morgana.  «  Questa  Morgana  è  fata 
del  tesoro  »  Inn.  II,  xn,  24.  secondo  la  leg- 
genda era  sorella  del  re  Arti'i. 

—  7.  ingegno;  inganno.  Petr.  canz.  23, 
«  Che  giova,  amor,  tuoi  ingegni  ritentare  ?  » 


CANTO  VI 


G5 


39 
Ci  venne  incontra  «.'on  allegra  faccia, 
Con  modi  graziosi  e  riverenti: 
E  disse:  Cavallier,  quando  vi  piaccia 
Far  oggi  meco  i  vostri  alloggiamenti, 
Io  vi  farò  veder,  ne  la  mia  caccia,     -    * 
Di  tutti  i  pesci  sorti  differenti; 
Chi  scaglioso,  chi  lùolle  e  chi  col  pelo; 
E  saran  più  che  non  ha  stelle  il  cielo. 

40 
E  volendo  vedere  una  Sirena 
Che  col  suo  dolce  canto  accheta  il  mare, 
Passiàn  di  qui  fin  su  quell'altra  arena. 
Dove  a  quest'ora  suol  sempre  tornare  : 
E  ci  mostrò  quella  maggior  balena 
Che,  come  io  dissi,  una  isoletta  pare. 
Io  che  sempre  fui  troppo  (e  me  n'iucresce) 
Volonteroso,  andai  sopra  quel  pesce. 

41 
Rinaldo  m'accennava,  e  similmente 
Dudon,  ch'io  non  v'andassi;  e  poco  valse. 
La  fata  Alcina  con  faccia  ridente. 
Lasciando  gli  altri  dua,  dietro  mi  salse. 
La  balena,  all'ufficio  diligente, 
Nuotando  se  n'andò  per  l'onde  salse. 
Di  mia  sciocchezza  tosto  fui  pentito; 
Ma  troppo  mi  trovai  lungi  dal  lito. 

42 
Rinaldo  si  cacciò  ne  l'acqua  a  nuoto 
Per  aiutarmi,  e  quasi  si  sommerse, 
Perché  levossi  un  furioso  Noto 
Che  d'ombra  il  cielo  e  '1  pelago  coperse. 
Quel  che  di  lui  segui  poi,  non  m'è  noto. 
Alcina  a  confortarmi  si  converse; 
E  quel  di  tutto  e  la  notte  che  venne, 
Sonra  a  quel  mostro  in  mezzo  il  mar  mi 

43  [tenne  : 

Fin  che  venimmo  a  questa  isola  bella. 
Di  cui  gran  parte  Alcina  ne  possiede. 


39.  4.  Far...  1  vostri  allogg.;  prendere  al- 
loggio. In  antico,  come  oggi,  questo  modo 
ebbe  propriam.  sigiiitìc.  militare. 

—  6.  sorti  ;  sorte.  Come  al  sing.  si  dice, 
nello  stesso  senso,  sorta  e  sorte,  cosi  al 
plur.  sorte  e  sorti;  ma  i  Toscani  usarono, 
per  lo  più,  sorte  al  sing.  e  al  plur. 

—  7.  col  pelo.  Plinio,  St.  N.  9,  12:  «  Aquati- 
lium  tegumenta  plura  suut;  alia  corio  et 
pilis  teguntur  ut  vituli  et  hippopotami  ». 

40.  8.  Volonteroso;  avventato  e  poco  rifles- 
sivo. Buonarr.  Aione,  1,  31  :  *  Conobbe  ch'ella 
fu  volenterosa  E  tentò  di  stornare  il  nego- 
ziato ». 

41.  4.  salse.  <  Vive  negli  scrittori  e  morto 
non  è  ;  ma  più  comune  è  sali  »  Tommaseo. 
Questo  passato  si  è  formato  per  analogia 
con  il  passato  della  coniug.  in  ere,  come 
volgere,  volse  ;  torcere,  torse. 

42.  3.  Boto;  Vento  meridionale  (lat.  NO' 
tv.s,  dal  gr.  notis,  umidità). 

Ariosto  —  Papini 


E  r  ha  usurpata  ad  una  sua  sorella 
Che  '1  padre  già  lasciò  del  tutto  erede, 
Perché  sola  legitima  avea  quella; 
E  (come  alcun  notizia  me  ne  diede. 
Che  pienamente  instrutto  era  di  questo) 
Sono  quest'altre  due  nate  d' incesto: 

44 
E  come  sono  inique  e  scelerate, 
E  piene  d'ogni  vizio  infame  e  brutto; 
Cosi  quella,  vivendo  in  castitate, 
Posto  ha  ne  le  virtuti  il  suo  cor  tutto. 
Contra  lei  queste  due  son  congiurate; 
E  già  più  d'uno  esercito  hanno  instrutto 
Per  cacciarla  de  l'isola,  e  in  più  volte 
Più  di  cento  castella  1'  hanno  tolte: 

45 
Né  ci  terrebbe  ormai  spanna  di  terra 
Colei  che  Logistilla  è  nominata. 
Se  non  che  quinci  un  golfo  il  passo  serra, 
E  quindi  una  montagna  inabitata; 
Si  come  tien  la  Scozia  e  l' Inghilterra 
Il  monte  e  la  rivera,  separata: 
Né  però  Alcina  né  Morgana  resta. 
Che  non  le  voglia  tor  ciò  che  le  resta. 

46 
Perché  di  vizii  è  questa  coppia  rea, 
Odia  colei  perché  è  pudica  e  santa. 
Ma  per  tornare  a  quel  eh'  io  ti  dicea, 
E  seguir  poi  coni'  io  divenni  pianta, 
Alcina  in  gran  delizie  mi  tenea, 
E  del  mio  amore  ardeva  tutta  quanta; 
Né  minor  fiamma  nel  mio  core  accese 
Il  veder  lei  si  bella  e  si  cortese. 

47 
Io  mi  godea  le  delicate  membra: 
Pareami  aver  qui  tutto  il  ben  raccolto 
Che  fra  mortali  in  più  parti  si  smembra, 
A  chi  più  et  a  chi  meno,  e  a  nessuu  molto  ; 
Né  di  Francia  né  d'altro  mi  rimembra: 
Stavami  sempre  a  contemplar  quel  volto: 
Ogni  pensiero,  ogni  mio  bel  disegno 
In  lei  tìnia,  uè  passava  oltre  il  segno. 

48 

Io  da  lei  altrettanto  era  o  più  amato  : 

Alcina  più  non  si  curava  d'altri: 

Ella  ogn'altro  suo  amante  avea  lasciato; 

Ch'inanzi  a  me  ben  ce  ne  fur  degli  altri. 


44.  6.  instrutto;  ordinato.  É  passato  dal 
lat.  (instruere  exercitum)  nella  nostra  lingua. 

45.  2.  Logistilla.  È  inventata  dall'A.  per 
compiere  l'allegoria.  Rappresenta  la  retta 
ragione  (grec.  logos,  ragione). 

—  5.  Si  come  tien  ecc.  La  Scozia  è  sepa- 
rata dall'  Inghilt.  per  i  monti  Cheviot  e  il 
fiume  Tweed. 

48.  4.  altri.  Le  Stanze,  nelle  quali  l'A.  ri- 
pete le  stesse  rime,  senza  differenza  di  si- 
gnificato, sono  sei  in  tutto  il  poema;  ma 
nell'altre  si  ha  per  rima  una  volta  Man- 
dricardo,  quattro  volte  tempo,  che,  come 


66 


ORLANDO  FURIOSO 


Me  consiglier,  me  avea  di  e  notte  a  lato; 
E  me  fé'  quel  che  comandava  agli  altri: 
A  me  credeva,  a  me  si  riportava; 
Né  notte  o  di  con  altri  mai  parlava. 
49 

Deh  !  perché  vo  le  mie  piaghe  toccando, 
Senza  speranza  poi  di  medicina  ? 
Perché  l'avuto  ben  vo  rimembrando, 
Quando  io  patisco  estrema  disciplina? 
Quando  credea  d'esser  felice,  e  quando 
Credea  ch'amar  pili  mi  dovesse  Alcina; 
Il  cor  che  m'avea  dato,  si  ritolse, 
E  ad  altro  nuovo  amor  tutta  si  volse. 
50 

Conobbi  tardi  il  suo  mobil  ingegno, 
Usato  amare  e  disamare  a  un  punto. 
Non  era  stato  oltre  a  due  mesi  in  regno, 
Ch'un  nuovo  amante  al  loco  mio  fu  assunto. 
Da  sé  cacciommi  la  Fata  con  sdegno, 
E  da  la  grazia  sua  m'ebbe  disgiunto: 
E  seppi  poi,  che  tratti  a  simil  porto 
Avea  mill'altri  amanti,  e  tutti  a  torto. 
51 

E  perché  essi  non  vadano  pel  mondo 
Di  lei  narrando  la  vita  lasciva. 
Chi  qua,  chi  là  per  lo  terren  fecondo 
Li  muta,  altri  in  abete,  altri  in  oliva, 
Altri  in  palma,  altri  in  cedro,  altri  secondo 
Che  vedi  me,  su  questa  verde  riva; 
Altri  in  liquido  fonte,  alcuni  in  fera, 
Come  più  aggrada  a  quella  Fata  altiera. 
52 

Or  tu  che  sei  per  non  usata  via, 
Signor,  venuto  all'isola  fatale. 
Acciò  ch'alcuno  amante  per  te  sia 
Converso  in  pietra  o  in  onda,  o  fatto  tale; 
Avrai  d'Alcina  scettro  e  signoria, 
E  sarai  lieto  sopra  ogni  mortale: 
Ma  certo  sii  di  giunger  tosto  al  passo 
D'entrar  o  in  fera  o  in  fonte  o  in  legno  o 
53  [in  sasso. 

Io  te  n'ho  dato  volentieri  avviso; 
Non  eh'  io  mi  creda  che  debbia  giovarte  ; 


è  noto,  non  ha  nessuna  parola,  con  cui  pos- 
sa rimare.  In  questa  dunque  si  lia  la  mag- 
giore libertà. 

49.  4.  disciplina;  pena.  Non  è  raro  in  que- 
sto senso  negli  antichi.  Pucci,  Cent.  9,  3: 
«  Per  darle  intorno  alcuna  disciplina  ». 

51.  8.  altiera;  superba  del  suo  potere  e  dei 
suoi  trionfi  amorosi. 

52.  3.  Acciò  che  ecc.  acciocché  qualcuno 
di  quelli,  che  ora  sono  amati  da  Alcina, 
siano,  per  far  luogo  a  te,  trasformati  in 
pietra,  in  onda  o  in  mirto  (fatto  tale). 

—  7.  al  passo  D'entrar;  al  punto  di  entrare. 
Ma  è  maniera  assai  strana.  È  forse  meglio 
intender  cosi:  Sii  certo  di  g.  al  trapasso, 
cioè  sii  certo  d'entrar  ecc. 


Pur  meglio  fia  che  non  vadi  improviso, 
E  de'  costumi  suoi  tu  sappia  parte: 
Che  forse,  come  è  differente  il  viso, 
È  differente  ancor  l' ingegno  e  l'arte. 
Tu  saprai  forse  riparar  al  danno; 
Quel  che  saputo  mill'altri  non  hanno. 
54 

Ruggier  che  conosciuto  avea  per  fama, 
Ch'Astolfo  alla  sua  donna  cugin  era. 
Si  dolse  assai  che  in  steril  pianta  e  grama 
Mutato  avesse  la  sembianza  vera: 
E  per  amor  di  quella  che  tanto  ama, 
(Pur  che  saputo  avesse  in  che  maniera) 
Gli  avria  fatto  servizio:  ma  aiutarlo 
In  altro  non  potea,  eh'  in  confortarlo. 
55 

Lo  fé'  al  meglio  che  seppe;  edomandoUi 
Poi  se  via  c'era,  ch'ai  regno  guidassi 
Di  Logistilla,  0  per  piano  o  per  colli, 
Si  che  per  quel  d'Alcina  non  andassi. 
Che  ben  ve  n'era  un'altra,  ritornolli 
L'arbore  a  dir,  ma  piena  d'aspri  sassi, 
S'andando  un  poco  inanzi  alla  man  destra. 
Salisse  il  poggio  in  ver  la  cima  alpestra  : 
56 

Ma  che  non  pensi  già,  che  seguir  possa 
Il  suo  camin  per  quella  sti-ada  troppo: 
Incontro  avrà  di  gente  ardita  grossa 
E  fiera  compagnia,  con  duro  intoppo. 
Alcina  ve  li  tien  per  muro  e  fossa 
A  chi  volesse  uscir  fuor  del  suo  groppo. 
Ruggier  quel  mirto  ringraziò  del  tutto, 
Poi  da  lui  si  parti  dotto  et  instrutto. 


53.  3.  improviso;  sprovveduto,  non  pre- 
parato. Bocc.  Filoc.  135.  «  Credendo  i  loro 
avversari  trovare  improvvisi  ».  —  vadi,  va- 
da. Gli  antichi  usarono  egualmente  le  due 
forme  :  oggi  ha  prevalso  la  seconda. 

—  5.  come  è  differente  ecc.  ;  come  gli  uo- 
mini differiscono  nelle  sembianze,  cosi  nel- 
r  ingegno  e  nell'accortezza. 

54.  3.  grama;  Detto  di  pianta  vale  intri- 
stita. Alamanni,  Colt.  1,  348:  «  O  qualcun'al- 
tra  pur  si  vecchia  e  grama  (vite).  Cosi  ste- 
rUe  vale  debole,  e  perciò  facile  ad  essere 
agitata  e  scossa. 

55.  1 .  al  meglio,  E  anche  alla  meglio  dis- 
sero gli  antichi,  non  di  rado,  invece  che  il 
meglio.  Marco  Poi.  Viagg.  223:  «Si  difen- 
deva al  meglio  che  poteva  ».  Quanto  all'ar- 
tic.  esso  indica  che  il  comparativo  ha  forza 
di  superlat.  Non  sarebbe  veramente  neces- 
sario, ma  gli  antichi  talvolta  lo  misero, 
come  un'eleganza,  in  simili  espressioni. 
Bocc,  Nov.  16:  «Quanto  il  meglio  seppe- 
ro ».  V.  FORNAC.  Sint.  p.  33. 

66.  3.  Incontro  ecc.;  avrà  contro  grossa 
e  fiera  compagn.  di  gente  ardita. 

—  6.  groppo  ;  insidia,  laccio. 

—  8.  dotto  ed  instrutto.  Dotto,  alla  latina. 


CANTO  VI 


67 


Venne  al  cavallo,  e  lo  disciolse  e  prese 
Per  le  redine,  e  dietro  se  lo  trasse: 
Né,  come  fece  prima  più  l'ascese 
Perché  mal  grado  suo  non  lo  portasse. 
Seco  pensava  come  nel  paese 
Di  Logistilla  a  salvamento  andasse. 
Era  disposto  e  fermo  usar  ogni  opra, 
Che  non  gli  avesse  imnerio  Alcina  sopra. 
58' 

Pensò  di  rimontar  sul  suo  cavallo, 
E  per  l'aria  spronarlo  a  nuovo  corso; 
Ma  dubitò  di  far  poi  maggior  fallo  ; 
Che  troppo  mal  quel  gli  ubidiva  al  morso. 
Io  passerò  per  forza,  s'io  non  fallo 
(Dicea  tra  sé),  ma  vano  era  il  discorso. 
Non  fu  duo  miglia  lungi  alla  marina, 
Che  la  bella  città  vide  d'Alcina. 
59 

Lontan  si  vide  una  muraglia  lunga 
Che  gira  intorno,  e  gran  paese  serra; 
E  par  che  la  sua  altezza  al  ciel  s'aggiunga 
E  d'oro  sia  da  l'alta  cima  a  terra. 
Alcun  dal  mio  parer  qui  si  dilunga 
E  dice  eh'  eli'  è  alchimia;  e  forse  ch'erra. 
Et  anco  forse  meglio  di  me  intende: 
A  me  par  oro,  poi  che  si  risplende. 
60 

Come  fu  presso  alle  si  ricche  mura. 
Che  '1  mondo  altre  non  ha  delalor  sorte, 
Lasciò  la  strada  che  per  la  pianura, 
Ampia  e  diritta  andava  alle  gran  porte; 
Et  a  man  destra,  a  quella  più  sicura 
Ch'ai  monte  già,  piegossi  il  guerrier  forte: 
Ma  tosto  ritrovò  l'iniqua  frotta, 
Dal  cui  furor  gli  fu  turbata  e  rotta. 
61 

Non  fu  veduta  mai  più  strana  torma. 
Più  monstrtiosi  volti  e  peggio  fatti; 


vale  che  ha  appreso  (lualcosa;  inxti'utto 
dice  di  più  e  vale  cfie  ita  appreso  qualcosa 
da  potersene  giovare.  Tommaseo,  Diz.  dei 
Sin.  ;  ma  clV.  anche  la  nota  8  al  e.  vii,  38. 

57.  3.  l'ascese.  Pei'  montare  a  cavallo 
l'usarono  anche  altri,  sebbene  non  sia  co- 
mune. Tasso,  Ger.  20,  117:  «Scende  ed 
ascende  un  suo  destriero  in  fretta  ». 

59.  1.  L.  si  vide;  vide  lontano  da  sé.  Per 
analogia  col  più  conmiie  vedersi  vicino  al- 
cuno. Cfr.  e.  VII,  1(5,  4. 

—  3.  s'aggiunga;  giunga.  Villani  .1/.  1,2: 
«  La  pestilenza  si  aggiunse  (giunse)  alle  na- 
zioni del  mar  maggiore  ». 

—  6.  alchimia;  metallo  composto  per  mez- 
zo dell'alcliimia.  Corsini,  St.  Mess.  trad.  2S: 
«  Altri  strumenti  di  terra  e  d'alchimia  ». 
Alchimia  (arab.  al-kimia)  fu  pi-opriam. 
un'  arte  vana  degli  antichi,  colla  quale  si 
credeva  di  raffinare  i  metalU  e  tramutarli 
di  ignobili  in  nobili. 


Alcun' dal  collo  in  giù  d'uomini  han  forma, 
Col  viso  altri  di  siiuie,  altri  di  gatti; 
Stampano  alcun'  con  pie  caprigni  l'orma; 
Alcuni  son  centauri  agili  et  atti; 
Son  gioveni  impudenti,  e  vecchi  stolti, 
Chi  nudi,  e  chi  di  strane  pelli  involti: 
6-2 

Chi  senza  freno  in  s'undestrier  galoppa, 
Chi  lento  va  con  l'asino  o  col  bue: 
Altri  salisce  ad  un  centauro  in  groppa; 
Struzzoli  molti  han  sotto,  aquile  e  grue: 
Ponsi  altri  a  bocca  il  corno,  altri  la  coppa. 
Chi  femina  e  chi  maschio,  e  chi  amendue; 
Chi  porta  uncino  e  chi  scala  di  corda. 
Chi  pai  di  ferro  e  chi  una  lima  sorda. 
63 

Di  questi  il    apitano  si  vedea 
Aver  gonfiato   1  ventre  e  '1  viso  grasso  ; 
Il  qual  su  una  testuggine  sedea. 
Che  con  gran    ardita  mutava  il  passo. 
Avea  di  qua  e  di  là  chi  lo  reggea. 
Perché  egli  era  ebro,  e  tenea  il  ciglio  basso  : 
Altri  la  fronte  gli  asciugava  e  il  mento. 
Altri  i  panni  scuotea  per  fargli  vento. 
04 

Un  ch'avea  umana  forma  i  piedi  e  '1  ven- 
E  collo  avea  di  cane,  orecchie  e  testa,    [tre, 
Contra  Ruggiero  abbaia,  acciò  ch'egli  en- 
Ne  la  bella  città  eh'  a  dietro  resta,      [tre 
Rispose  il  cavallier:  Noi  farò,  mentre 
Avrà  forza  la  man  di  regger  questa; 
(E  gii  mostra  la  spada,  di  cui  volta 
Avea  l'aguzza  punta  alla  sua  volta). 


61.  3.  Alcun»;  alcuni;  v.  e.  x,  99,  n.  5. 

—  4.  Le  scimmie,  secondo  il  Fornari , 
rapiìresentano  l'adulazione;  i  gatti  la  simu- 
lazione; gii  animali  coi  pie  caprigni  la  li- 
bidine; i  Centauri  la  violenza. 

—  6.  atti;  agili  considera  il  movimento 
in  se  stesso,  alti  il  suo  adattarsi  ai  line,  per 
cui  si  fa. 

62.  1.  In  questa  St.,  dice-  il  Casella  se- 
guendo in  gran  parte  il  Fornari,  si  può  rav- 
visare nel  V.  primo  chi  pecca  per  eccesso, 
nel  V.  secondo  obi  pecca  per  difetto,  nel 
terzo  chi  è  ministro  di  violenza;  negli  struz- 
zi la  viltà,  nelle  aquile  e  nelle  gru  l'orgoglio, 
nel  corno  la  millanteria;  nella  coppa  la  cra- 
pula; nel  verso  sesto  i  peccati  contro  natura, 
nel  settimo  e  nell'ottavo  la  frode,  il  furto, 
il  ladroneccio. 

63.  1.  il  capitano.  K  l'ozio  padre  di  tutti 
i  vizi.  La  descrizione  è  simile  a  quella,  che 
gli  antichi  fanno  di  Sileno. 

64.  1.  i  piedi  ecc.;  nei  piedi  ecc.  È  com- 
plemento di  limitazione;  v.  Fornac.  Sint. 
p.  319.  In  ([uesto  cinocefalo  veggono  alcuni 
i  maldicenti  e  i  maligni. 

—  5.  mentre;  fmché.  Dante,  Jnf.  33,132: 
«Mentre  che  il  tempo  suo  tutto  sia  volto  ». 


68 


ORLANDO  FURIOSO 


65 

Quel  mostro  lui  ferir  vuol  d'una  lancia; 
Ma  Ruggier  presto  se  gli  avventa  addosso: 
Una  stoccata  gli  trasse  alla  pancia, 
E  la  te'  un  palmo  riuscir  pel  dosso. 
Lo  scudo  imbraccia,  e  qua  e  là  si  lancia, 
Ma  r  inimico  stuolo  è  troppo  grosso  : 
L'un  quinci  il  punge,  e  l'altro  quindi  affer- 
Egli  s'arrosta,  e  fa  lor  aspra  guerra,  [ra: 
66 

L'un  sin  a'  denti,  e  l'altro  sin  al  petto 
Partendo  va  di  quella  iniqua  razza  ; 
Ch'alia  sua  spada  non  s'oppone  elmetto, 
Né  scudo,  né  panziera^né  corazza, 
Ma  da  tutte  le  parti  è  cosi  astretto, 
Che  bisogno  saria,  per  trovar  piazza 
E  tener  da  sé  largo  il  popol  reo, 
D'aver  più  braccia  e  man,  che  Brìareo. 
67 

Se  di  scoprire  avesse  avuto  avviso 
Lo  scudo  cho  già  fu  del  Negromante; 
Io  dico  quel  ch'abbarbagliava  il  viso. 
Quel  cli'all'arcione  avea  lasciato  Atlante; 
Subito  avria  quel  brutto  stuol  conquiso, 
E  fattosel  cader  cieco  davante: 
E  forse  ben,  che  disprezzò  quel  modo. 
Perché  virtude  usar  volse  e  non  frodo. 
68 

Sia  quel  che  può,  più  tosto  vuol  morire. 
Che  rendersi  prigione  a  si  vii  gente. 
Eccoti  intanto  da  la  porta  uscire 
Del  muro,  eh'  io  dicea  d'oro  lucente, 
Due  giovani  ch'ai  gesti  et  al  vestire 
Non  eran  da  stimar  nate  umilmente, 
Né  da  pastor  nutrite  con  disagi. 
Ma  fra  delizie  di  real  palagi. 


65.  5.  Lo  scudo  imbraccia.  Quando  il  cava- 
liere non  combatteva,  portava,  per  lo  più, 
lo  scudo  pendente  dal  collo,  talvolta  all'ar- 
cione; raramente  era  portato  dagli  scudieri. 

—  8.  s'arrosta;  (da  rosta,  frasca;  d'etimol. 
ignota)  si  volge  qua  e  là,  colle  braccia  e 
colle  altre  membra,  per  schermirsi  e  difen- 
dersi, come  chi  agita  una  frasca  per  cacciar 
mosche  o  altro.  Dante,  Inf.,  15,  39:  «  Sanza 
arrostarsi  quando  '1  fuoco  il  feggia  ». 

66.  4.  panziera;  parte  dell'armatura  che 
copriva  la  pancia. 

—  6.  trovar  piazza;  avere  un  po'  di  largo. 
Espressione  non  comune,  ma  analoga  alla 
comune  far  piazza.  V.  e.  xi,  50. 

—  8.  Briareo;  gigante  della  mitologia,  il 
quale  aveva  cento  braccia. 

67.  7.  E  forse  ben  che  ecc.  ;  e  forse  anche. 
Di  quest'uso  avevamo  nella  prima  edizione 
un  altro  esemp.  al  e.  x,  115,  6.  «  E  forse 
ben  che  l'ascoltar  vi  grava  »,  che  l'A.  cor- 
resse: E  forse  ch'ance  l'ascoltar  ecc.  Que- 
sto taffronto  esclude  l'interpret.  del  Nisiely  : 
E  forse  fu  ben  che  ecc. 


69 
L'una  e  l'altra  sedea  s'un  liocorno. 
Candido  più  che  candido  armelino; 
L'una  e  l'altra  era  bella,  e  di  si  adorno 
Abito,  e  modo  tanto  pellegrino, 
Che  a  l'uom,  guardando  e  contemplando 
Bisognerebbe  aver  occhio  divino  [intorno, 
Per  far  di  lor  giudizio  :  e  tal  saria 
Beltà  (s'avesse  corpo)  e  Leggiadria. 

70 
L'una  e  l'altra  n'andò  dove  nel  prato 
Ruggiero  è  oppresso  da  lo  stuol  villano. 
Tutta  la  turba  si  levò  da  lato; 
E  quelle  al  cavallier  porser  la  mano, 
Che  tinto  in  viso  di  color  rosato, 
Le  donne  ringraziò  de  l'atto  umano: 
E  fu  contento,  compiacendo  loro. 
Di  ritornarsi  a  quella  porta  d'oro. 

71 
L'adornamento  che  s'aggira  sopra 
La  bella  porta,  e  sporge  un  poco  avante, 
Parte  non  ha  che  tutta  non  si  copra 
De  le  più  rare  gemme  di  Levante. 
Da  quattro  parti  si  riposa  sopra 
Grosse  colonne  d' integro  diamante. 
0  vero  0  falso  ch'all'occhio  risponda, 
Non  è  cosa  più  bella  o  più  gioconda. 

72 
Su  per  la  soglia  e  fuor  per  le  colonne 
Corron  scherzando  lascive  donzelle. 
Che  se  i  rispetti  debiti  alle  donne 
Servasser  più,  sarian  forse  più  belle. 
Tutte  vestite  eran  di  verdi  gonne, 
E  coronate  di  frondi  novelle. 
Queste,  con  molte  offerte  e  con  buon  viso, 
Ruggier  fecero  entrar  nel  paradiso  : 

73 
Che  si  può  ben  cosi  nomar  quel  loco, 
Ove  mi  credo  che  nascesse  Amore. 


! 

69.  1.  liocorno;  (lat.  unicornus,  unicor- 
i  no  ;    alterato  in   alicorno  e   con  metatesi 

i  liocorno).  È  animale  favoloso:  ha  forma  di 
cavallo  con  un  corno  sulla  fronte;  ed  è 
preso  come  emblema  della  purità. 

—  5.  guardando  ecc.  ;  guardandole  e  con- 
templandole tutte  da  capo  a  piedi,  Puomo 
non  riuscirel)be,  se  non  coll'occhiod'un  dio, 
a  scoprire  il  male  sotto  quelle  belle  appa- 
renze. 

70.  3.  si  levò  da  lato  ;  si  trasse  da  parte. 
Questo  modo  non  è  citato  dai  vocab. 

—  7.  E  fu  contento  ecc.  Le  anime  gentili 
resistono  facilmente  ai  vizi  nudi  e  brut- 
ti; ma  diflicilmente,  quando  essi  prendano 
aspetto  bello  ed  onesto. 

71.  5.  Da  quattro  parti;  le  quattro  cantona- 
te dell'architrave. 

-—  7.  all'occhio;  all'apparenza:  o  sia  vero 
0  sia  falso  ciò  che  corrisponde  all'apparenza. 

72.  1.  per  1.  e;  fra  1.  e.  V,  e.  xil,  7.  n.  3. 


CANTO  VI 


69 


Non  vi  si  sta  se  non  in  danza  e  in  giuoco, 
E  tutte  in  festa  vi  si  spendon  l'ore: 
Pensier  canuto  né  molto  né  poco 
Si  può  quivi  albergare  in  alcun  core: 
Non  entra  quivi  disagio  né  inopia, 
Ma  vi  sta  ognor  col  corno  pien  la  Copia. 

Qui,  dove  con  serena  e  lieta  fronte 
Par  chognor  rida  il  grazioso  Aprile, 
Gioveni  e  donne  son:  qual  presso  a  fonte 
Canta  con  dolce  e  dilettoso  stile;  [monte, 
Qual  d'un  arbore  all'  ombra,  e  qual  d'  un 
O  gioca  o  danza  o  fn  cosa  non  vile;     , 
E  qual,  lungi  dagli  altri,  a  un  suo  fedele 
Discopre  l'amorose  sue  querele. 
75 

Per  le  cime  dei  pini  e  de^li  allori, 
begli  alti  faggi  e  degl'  ii-s'utt  abeti 
Volan  scherzando  i  pargoletti  Amori: 
Di  lor  vittorie  altri  godendo  lieti, 
Altri  pigliando  a  saettare  i  cori  ^ 

La  mira  quindi,  altri  tendendo  reti  :  iJ^-i  ^^ 
Chi  tempra  dardi  ad  un  ruscel  più  basso, 
E  chi  gli  aguzza  ad  un  volubil  sasso. 
7tì 

Quivi  a  Ruggier  un  gran  corsierfudato, 
Forte,  gagliardo,  e  tutto  di  pel  sauro, 
Ch'avea  il  bel  guernimento  ricamato 
Di  preziose  gemme  e  di  tin  auro: 
E  fu  lasciato  in  guardia  ciuello  alato, 
Quel  che  solca  ubidire  al  vecchio  Mauro, 
A  un  giovene  che  dietro  lo  menassi 
Al  buon  Ruggier  con  men  frettosi  passi. 
77 

Quelle  due  belle  giovani  amorose, 
Ch'avean  Ruggier  da  Tempio  stuol  difeso, 
Da  l'empio  stuol  che  dianzi  se  gli  oppose 
Su  quel  camin  ch'avea  a  man  destra  preso. 


73.  5.  Pensier  canuto.  Petr.  Rim.  2,  179: 
«  Pensier  canuti  in  giovenile  etade  ». 

—  8.  la  Copia.  Era  una  divinità  latina, 
l'orse  creata  dairespressioue  cornu  copiae, 
(corno  dell'abbondanza),  che  i  Latini  dedus- 
sero dal  mito  greco  del  corno  della  capra 
Amaltea  donato  da  Giove  alle  Ninfe  e  pieno 
d'ogni  delizia.  L'astratto  copia  si  concretò 
poi  in  una  divinità. 

75.  6.  quindi;  dagli  alberi,  dove  sono. 

—  8.  L'immagine  è  d' Orazio:  Od.  2,  8, 
15:  «  Ferus  et  Cupido  Semper  ardeutes  a- 
cuens  sagittas  Cote  cruenta  ». 

76.  6.  Mauro;  di  Mauritania.  Sul  monte 
Carena  in  Mauritania,  secondo  il  Boiardo, 
aveva  Atlante  la  sua  abitazione.  V.  e.  vii, 
67.  Petr.  .Son.  161,  chiama  vecchio  Mauro 
l'Atlante  mitologico,  che  fu  convertito  nel 
monte  aflricano. 

—  8.  frettosi  ;  frettolosi.  Fu  usato  in  prosa 
e  in  poesia.  Foscolo,  Poes.  256:  «Recar 
l'orme  freitose  ■». 


Gli  dissero:  Signor,  le  virtuose 
Opere  vostre  che  già  abbiamo  inteso, 
Ne  fan  si  ardite,  che  l'aiuto  vostro 
Vi  chiederemo  a  benetìcio  nostro. 
78 

Noi  troverèn  tra  via  tosto  una  lama. 
Che  fa  due  parti  di  questa  pianura. 
Una  crudel,  che  Eritìlla  si  chiama. 
Difende  il  ponte,  e  sforza  e  inganna  e  fura 
Chiunque  andar  ne  l'altra  ripa  brama; 
Et  ella  è  gigantessa  di  statura; 
Li  denti  ha  lunghi  e  velenoso  il  morso, 
Acute  l'ugne,  e  gratha  come  un  orso. 
79 

Oltre  che  sempre  ci  turbi  il  camino, 
Che  libero  saria,  se  non  fosse  ella. 
Spesso  correndo  per  tutto  il  giardino. 
Va  disturbando  or  questa  cosa  or  quella. 
Sappiate  che  del  popolo  assassino 
Che  vi  assali  fuor  de  la  porta  bella, 
Molti  suoi  figli  son,  tutti  seguaci, 
Empii,  come  ella,  inospiti  e  rapaci. 
80 

Ruggier  rispose:  Non  ch'una  battaglia, 
Ma  per  voi  sarò  pronto  a  farne  cento. 
Di  mia  persona,  in  tutto  quel  che  vaglia. 
Fatene  voi  secondo  il  vostro  intento: 
Che  la  cagion  ch'io  vesto  piastra  e  maglia, 
Non  è  per  guadagnar  terre  né  argento. 
Ma  sol  per  farne  benetìcio  altrui; 
Tanto  pili  a  belle  donne,  come  vui. 

81 
Le  donne  molte  grazie  riferirò 
Degne  d'un  cavallier,  come  quell'era: 


78.  1.  lama;  (lat.  lama,  forse  dal  gr.  ?«• 
vioa;  gozzo)  bassura  paludosa.  È  vivo  an- 
cora nel  Modenese  e  in  Piemonte.  Dante, 
Inf.  20,  79.  —  tra  via;  per  via.  V.  e.  xvr, 
66,  n.  1. 

—  3.  Erifllla.  Rafiigura  l'avarizia.  Il  nome 
forse  è  trasformaz.  di  Eritìle.  l'avara  moglie 
d'Anliarao,  che  per  un  monile  tradi  il  ma- 
rito. 

79.  1.  Oltreché...  ci  turbi.  Con  questa  con- 
giunzione si  usò  indifferenteni.  T  indicai,  e 
il  congiuntivo:  oggi  è  più  comune  l'indicat. 

80.  :>.  vesto  piastra  e  m.  ;  Modo  comune 
per  dire:  Porto  armi.  Propriam.  piastra 
era  l'armatura  difensiva  esterna,  corazza, 
spallaccir  bracciali  e  il  resto  fatto  di  pia- 
stre metalliclie;  la  maglia  era  una  camicia 
di  m;iKlia  di  ferro,  che  i  guerrieri  porta- 
vano sotto  l'annatura.  —  eh'  io,  perché  io. 

81.  1.  grazie  riferirò;  grazie  resero.  È  il 
referre  gratias  dei  Latini,  ed  è  comune 
negli  scrittori  nostri.  Ma  avverti  che  i  La- 
tini lo  usarono  soltanto  nel  senso  di  ì-en- 
dere  il  contraccambio  (cfr.  Viro.  En.  xi, 
5U^),  non  già  di  ringraziare  a  parole. 


ORLANDO  FUKICSO 


E  cosi  ragiouaudo,  ne  venire 
Dove  videro  il  ponte  e  la  riviera; 


—  3.  venire,  È  terminaz.  poetica  e  anti- 
quata. L'A.  l'usò'altre  due  volte  (xxvii, 24; 
XLii,  73);  di  altri  scrittoio  si  cita  soltanto 
uu  esempio  del  Cavalca,  Esp.  Simb.  II,  184; 
«  pervenirono  i  principi  congiunti  ecc.  ». 


E  di  smeraldo  ornata  e  di  zafiro 
Su  Tarme  d'or,  vider  la  donna  altiera. 
Ma  dir  ne  l'altro  Canto  differisco, 
Come  Ruggier  con  lei  si  pose  a  risco. 


—  5.  ornata...  Sull'arme,  che  aveva  orna- 
menti di  smeraldi  e  zaffiri  sull'arme. 

—  8.  risco;    rischio.    ."Si   disse    ancl'e   in 
prosa. 


CANTO  VII 


Chi  va  loatan  da  la  sua  patria,  vede 
Cose  da  quel  che  già  credea,  lontane; 
Che  narrandole  poi,  non  se  gli  crede, 
E  stimato  bugiardo  ne  rim  \ue  : 
Che'l  sciocco  vulgo  non  gli  vuol  dar  fede, 
8e  non  le  vede  e  tocca  chi;, re  e  piane. 
Per  questo  io  so  che  l'ine^  perienza 
Farà  al  mio  canto  dar  poca  credenza. 
2 
Poca  o  molta  ch'io  ci  abbia,  non  bisogna 
Ch'io  ponga  mente  al  vulgo  sciocco  e  igna- 
A  voi  so  ben  che  non  parrà  menzogna,  (ro, 
Che  '1  lume  del  discorso  avete  chiaro  ; 
Et  a  voi  soli  ogni  mio  intento  agogna 
Che  '1  frutto  sia  di  mie  fatiche  caro. 
:  Io  vi  lasciai  che  '1  ponte  e  la  riviera 
^ider,  che  'n  guardia  avea  Erìfìlla  altiera. 
3 
Quell'era  armata  del  pili  fin  metallo 
Ch'aveau  di  più  color  gemme  distinto: 


1.  3.  Che  ;  O  è  il  relativo   usato  colla  li- 
bertà popolare  ;  V.  e.  i,  65,  n.  5  ;  o  vale  co-  \ 
sicché  :  V.  e.  i,  57,  n.  7.  | 

—  4.  stimato...  ne  rimane.  Non  vale  sem-  ! 
plicem.  e  ntUnato  ;  ma  rimane  colla  fama 
di  bay. 

2.  1.  ci,  &  vi  usa  più  volte  l'A.  invece 
di  ne,  fU  tiìiesta  cosa:  v.  e.  xi,  7;  xiii,' 
21;  XVI,  2S.  Vito  S.  Gir.  Zi  :  «Ragguardando 
i  preziosi  vestimenti,  non  v'ha  desiderio». 

—  4.  il  lume  del  discorso  ;  il  1.  dell'  intel- 
letto. Caro,  Or.  S.  Gr.  2  :  «  Persona  igno- 
rante e  senza  discorso  ». 

—  5.  agogna;  (grec.  agonian,  lottare) 
brama  ardentem.  Qui  il  poeta  parla  ai  let- 
tori. I 

—  7.  vi  lasciai  che  ;  vi  1.  quando.  Il  che 
in  questo  signif.  è  fi-equentissimo,  special- 
mente nel  luiguaggio  popol. 

—  8.  Vider.  Riprende  il  v.  4  della  stanza 
ultima  e.  VI. 

3.  2.  distinto;  (lat.  distinctus)  fregiato. 
Dante,  Par.  18,  96  :  «  Parea  d' argento  li 
d' oro  distinto  ». 


Rubin  vermiglio,  crisolito  giallo,  ^^,., 
"N'erde  smeraldo,  con  flavo  iacinto. 
Era  montata,  ma  non  a  cavallo;    ,     .^^^ 
In  vece  avea  di  quello  un  lupo  spintdT 
Spinto  avea  un  lupo  ove  si  passa  il  fiunife, 
Con  ricca  sella  fuor  d'ogni  costume. 
'     '  •  4 

Non  credo  che  un  si  grande  Apulian'ab- 
Egli  era  grosso  et  alto  piti  d'un  bue.    [bia  : 
Con  fren  spumar  non  li  Iacea  le  labbia; 
Né  so  come  lo  regga  a  voglie  sue. 
La  sopravesta  di  color  di  sabbia 
Su  l'arme  avea  la  maledetta  lue: 
Era,  fuor  che  '1  color,  di  quella  sorte      i 
Ch'i  Vescovi  e  i  Prelati  usano  in  corte.  ' 
5 

Et  avea  ne  lo  scudo  e  sul  cimiero 
Una  gonfiata  e  velenosa  botta. 
Le  donne  la  mostraro  al  cavalliero. 
Di  qua  dal  ponte  per  giostrar  ridotta, 
E  fargli  scorno,  e  rompergli  il  sentiero, 


—  3.  crisolito,  (gr.chrt/sòs,  oro;  lithos, 
pietra).  È  nome  dato  dai  mineralogisti  e 
dai  gioiellieri  a  pietre  preziose  di  natura 
e  di  caratteri  diversi.  Il  crisòlito  giallo  è 
il  topazio  ririeiitale. 

—  4.  flavo  :  biondo,  che  pende  al  rossic- 
cio (lat.  flavus). 

—  5.  montata.  Termine  tecnico  aneli'  oggi 
per  indicare  uu  combattente  a  cai'allo;  cosi 
dicesi  :  nllìciali  a  piedi,  ufficiali  montati. 

—  6.  un  lupo.  Ricorda  la  lupa  Dantesca, 
simbolo  di  avarizia  e  cupidigia. 

4.  1.  Apuiia.  ORAZIO,  Od.  I,  22,  parlando 
del  lupo,  che  lo  assali,  dice:  «  Quale  porten- 
tum  nefiue  militaris  Daunias  (regione  della 
Puglia)  latis  alit  aesculetis  ». 

—  5.  La  sopravesta  ecc.;  Il  colore  di  sab- 
bia inf^■conda  e  T  insegna  della  botta  vele- 
nosa son  pure  simboli  dell'  avarizia. 

—  6.  lue,  peste.  Improba  lues  disse  l'ava- 
rizia il  poeta  Prudknzio,  Ps>/coriiachia,509 

—  7.  di  quella  sorte  ;  di  quel  taglio  e  di 
quella  qualità.  Rileva  l'intenzione  satirica 
dell' A. 


CANTO  VII 


71 


Come  ad  alcuni  usata  era  talotta. 
Ella  a  Ruggier,  che  torni  a  dietro,  grida: 
Quel  piglia  un'asta,  e  la  minaccia  e  sfida. 
6 

Non  men  la  Gigautessa  ardita  e  presta 
Sprona  il  gran  lupo,  e  ne  l'arcion  si  serra, 
E  pon  la  lancia  a  mezzo  il  corso  in  resta, 
E  fa  tremar  nel  suo  venir  la  terra. 
Ma  pur  sul  prato  al  fiero  incontro  resta; 
Che  sotto  l'elmo  il  buon  Ruggier  l'afferra, 
E  de  l'arcion  con  tal  furor  la  caccia, 
■Che  la  riporta  indietro  oltra  sei  braccia, 
7 

E  già  (tratta  la  spada  eh'  avea  cinta) 
Tenia  a  levarne  la  testa  superba: 
M   E  ben  lo  potea  far;  che  come  estinta 
Erifilla  giacea  tra'  fiori  e  l'erba. 
Ma  le  donne  gridar:  Basti  sia  vinta, 
Senza  pigliarne  altra  vendetta  acerba. 
Ripon,  cortese  cavallier,  la  spada; 
Passiamo  il  ponte,  e  seguitiàn  la  strada. 

8 
Alquanto  malagevole  et  aspretta 
Per  mezzo  un  bosco  presero  la  via; 
Che  oltra  che  sassosa  fosse  e  stretta, 
Quasi  su  dritta  alla  collina  già. 
Ma  poi  che  furo  ascesi  in  su  la  vetta. 
Uscirò  in  spaziosa  prateria, 
Dove  il  più  bel  palazzo  e  '1  più  giocondo 
Tider,  che  mai  fosse  veduto  al  mondo. 
9 

La  bella  Alcina  venne  un  pezzo  inante 
Verso  Ruggier  fuor  de  le  prime  porte; 
E  lo  raccolse  in  signoril  sembiante, 
In  mezzo  bella  et  onorata  corte. 
Da  tutti  gli  altri  tanto  onore  e  tante 
Riverenzie  fur  fatte  al  guerrier  forte, 
Che  non  ne  potrian  far  più,  se  tra  loro 
Fosse  Dio  sceso  dal  superno  coro. 
10 

Non  tanto  il  bel  palazzo  era  eccellente, 
Perché  vincesse  ogn'  altro  per  ricchezza. 
Quanto  eh' avea  la  più  piacevol  gente 
Che  fosse  al  mondo,  e  di  più  gentilezza. 


6.  6.  l'afferra;  la  colpisce  (colla  lancia). 
Derni,  Ori.  ii,  3,  7:  «Se  solo  un  tratto  a 
rtuo  modo  l'afferra.  Fesso  in  due  parti  lo 
distende  in  terra  ». 

7.  2.  Venia  ecc.  V.  e.  v,  89,  n.  4. 

8.  2.  Per  m.  un  b.  V.  e.  vi,  23,  n.  8. 

—  3.  oltra  che  ecc.  V.  e.  vi,  79. 

9.  3.  raccolse  ;  accolse  ;  d' uso  frequen- 
tissimo negli  antichi.  Bocc,  Nov.  43:  «Da' 
quali  esso  con  pietà  fu  raccolto  ». 

10.  3.  Quanto  che;  quanto  perché:  V.  e. 
ni,  50.  n.  1. 

—  4.  di  p.  g.  ;  della  maggior  gentilezza. 
Per  r  omissione  dell'articolo  cfr,  e.  viii,  67, 
11. 4.  Pia  nel  senso  di  viaggiare  è  frequente 
negli   scrittori  e   nell'uso;    Dante,  Purg. 


Poco  era  l'un  da  l'altro  differente 
E  di  fiorita  etade  e  di  bellezza: 
Sola  di  tutti  Alcina  era  più  bella, 
Sì  come  è  bello  il  sol  più  d'ogni  stella. 
11 

Di  persona  era  tanto  ben  formata, 
Quanto  me'  finger  san  pittori  industri  ; 
Con  bionda  chioma  lunga  et  annodata: 
Oro  non  è  che  più  risplenda  e  lustri. 
Spargeasi  per  la  guancia  delicata 
Misto  color  di  rose  e  di  ligustri  : 
Di  terso  avorio  era  la  fronte  lieta. 
Che  lo  spazio  fiuia  con  giusta  meta. 
12 

Sotto  duo  negri  e  sottilissimi  archi 
Son  duo  negri  occhi,  anzi  duo  chiari  soli, 
Pietosi  a  riguardare,  a  mover  parchi; 
Intorno  cui  par  ch'Amor  scherzi  e  voli, 
E  ch'indi  tutta  la  faretra  scarchi, 
E  che  visibilmente  i  cori  involi: 
Quindi  il  naso  per  mezzo  il  viso  scende, 
Che  non  trova  l'Invidia  ove  l'emende. 
13 

Sotto  quel  sta,  quasi  fra  due  vallette, 
La  bocca  sparsa  di  natio  cinabro: 
Quivi  due  filze  son  di  perle  elette. 
Che  chiude  et  apre  un  bello  e  dolce  labro: 


xxviii,  9:  «Non   di  più  colpo  che  soave 
vento  ». 

—  6.  E  di  f.;  e  quanto  alla  fiorente  età. 
Il  di  è  limitativo;  frequentissimo  nella  no- 
stra lingua. 

—  7.  sola  di  t.  È  un  costrutto  latino,  {una 
oìnnium  iiulcherrima),  che  vale  il  sempli- 
ce superlativo  relativo. 

11.  2.  pittori  industri.  Il  pittore  supera  la 
natura  nel  «  dimostrare,  col  mezzo  dell'arte, 
in  un  corpo  solo,  quella  perfezion  di  bel- 
lezza, che  la  natura  non  suol  dimostrare 
appena  in  mille»  Dolce,  D.  della  pittura. 

—  3.  lunga  et  annodata.  Lunga  si  riferi- 
sce alla  qualità;  annodata  al  modo  di  por- 
tarla. Il  LviGiNi  (Della  bella  donna)  osserva 
che  le  donne  antiche  usarono  portar  la 
chioma  sciolta  se  donzelle,  annodata  se  ma- 
ritate. 

—  6.  Misto  ecc.  Ricorda  il  v.  del  Poliz. 
Stanze  2,  44  :  «  Dolce  dipinto  di  ligustri  e 
rose  ».  Il  ligustro  è  veramente  una  pianta 
da  siepe  detta  più  comunemente  olivella, 
che  fa  fiori  bianchissimi.  È  parola  molto 
amata  dai  poeti. 

12.  3.  mover  ;  moversi.  Non  frequente. 
Brun.  Lat.  Tesoretto  3,  34  :  «  Al  suo  coman- 
damento Movea  il  firmamento  ». 

—  4.  Intorno  e.  Più  coniunem.  intorno 
a  e.  Dante,  Conv.  ili,  5:  «distendere  in- 
torno se  ancor  vede  ». 

—  8.  Che,  cosicché.  «  Non  illud  carpere 
livor  Posset  opus  ».  Ovid.  Metani.  VI,  129. 


72 


GELANDO  FURIOSO 


Quindi  escon  le  cortesi  parolette 
Da  render  molle  ogni  cor  rozzo  e  scabro: 
Quivi  si  forma  quel  suave  riso 
Ch'apre  a  sua  posta  in  terra  il  paradiso. 

14  [te; 

Bianca  nieve  è  ifbel  collo,  e  '1  petto  lat- 
II  collo  è  tondo,  il  petto  colmo  e  largo: 
Due  pome  acerbe,  e  pur  d'avorio  fatte. 
Vengono  e  van,  come  onda  al  primo  margo, 
Quando  piacevole  aura  il  mar  combatte. 
Non  potria  l'altre  parti  veder  Argo: 
Ben  si  può  giudicar  che  corrisponde 
A  quel  ch'appar  di  fuor,  quel  che  s'asconde. 

15 
Mostran  le  braccia  sua  misura  giusta; 
E  la  candida  man  spesso  si  vede        [sta. 
Lunghetta  alquanto  e  di  larghezza  angu- 
Dove  né  nodo  appar,  né  vena  eccede. 
Si  vede  al  fin  de  la  persona  augusta 
Il  breve,  asciutto  e  ritondetto  piede. 
Gli  angelici  sembianti  nati  in  cielo 
Non  si  ponno  celar  sotto  alcun  velo. 

16 
Avea  in  ogni  sua  parte  un  laccio  teso, 
O  parli  0  rida  o  canti  o  passo  mova: 
Né  maraviglia  è,  se  Ruggier  n'  è  preso, 
Poi  che  tanto  benigna  se  la  trova. 
Quel  che  di  lei  già  avea  dal  Mirto  inteso, 
Com'  è  perfida  e  ria,  poco  gli  giova; 
Ch'inganno  o  tradimento  non  gli  è  avviso 
Che  possa  star  con  si  soave  riso. 

17 
Anzi  pur  creder  vuol,  che  da  costei 
Fosse  converso  Astolfo  in  su  l'arena 
Per  li  suoi  portamenti  ingrati  e  rei, 
E  sia  degno  di  questa  e  di  più  pena: 
E  tutto  quel  ch'udito  avea  di  lei. 
Stima  esser  falso,  e  che  vendetta  mena, 
E  mena  astio  et  invidia  quel  dolente 
A  lei  biasmare,  e  che  del  tutto  mente. 

18 
La  bella  donna  che  cotanto  amava, 
Novellamente  gli  è  dal  cor  partita; 
Che  per  incanto  Alcina  gli  lo  lava 
D'ogni  antica  amorosa  sua  ferita; 


E  di  sé  sola  e  del  suo  amor  lo  grava, 
E  in  quello  essa  riman  sola  sculpita: 
Si  che  scusar  il  buon  Ruggier  si  deve. 
Se  si  mostrò  quivi  inconstante  e  lieve. 
19 

A  quella  mensa  citare,  arpe  e  lire, 
E  diversi  altri  dilettevol  suoni 
Faceano  intorno  l'aria  tintinire 
D'armonia  dolce  e  di  concenti  buoni. 
Non  vi  mancava  chi,  cantando,  dire 
D'.\mor  sapesse  gaudii  e  passioni, 
0  con  invenzioni  e  poesie 
Rappresentasse  grate  fantasie. 
20 

Qual  mensa  trionfante  e  sontuosa 
Di  qualsivoglia  successor  di  Nino, 
0  qual  mai  tanto  celebre  e  famosa 
Di  Cleopatra  al  vincitor  Latino, 
Potria  a  questa  esser  par,  che  l'amorosa 
Fata  avea  posta  inanzi  al  Paladino? 
Tal  non  cred'io  che  s'apparecchi  dove 
Ministra  Ganimede  al  sommo  Giove. 
21 

Tolte  che  fur  le  mense  e  le  vivande, 
Facean,  sedendo  in  cerchio,  un  giuoco  ìie- 
Che  ne  l'orecchio  l'un  l'altro  domande,  [to  r 


13.7.  quel  suave  riso.  Petr.  Son.  252: 
■K-l' angelico  riso,  Che  solea  fare  in  terra  un 
paradiso  ». 

15.  3.  di  largbozza  angusta  ;  e  quanto  alla 
larghezza,  la  mano  è  angusta,  stretta. 

—  S.  Non  si  ponno  ecc.;  le  parti  velate 
non  riescono  a  nasconder  sotto  le  vesti  la 
loro  perfezione,  che  par  di  cosa  celeste.  Al- 
tri intende  che  l'A.  abbia  voluto  scusarsi 
d'aver  descritto  troppo  svelatamente,  senza 
alcan  velo,  gli  angelici  sembianti. 

16.  4.  se  la  trova,  a  se  1.  tr.  Su  quest'  uso 
del  proli,  vedi  e.  vi,  59.  n.  1. 

18.  1.  La  bella  ecc.  Petr.  Son.  71:  «La 
bella  donna,  che  cotanto  amavi.  Subitamente 


s'  è  da   noi  partita  ».  —  Novellamente,  poco 
fa;  o  pure  di  nuovo,  perché  l'avea  dimen-  ■ 
ticata  anche  nel  castello  d'Atlante. 

—  5.  lo  grava,  lo  aggrava.  Il  Barotti,  e 
il  Molini  con  lui,  intendono  lo  impronta , 
lo  effigia,  forse  dal  graver  dei  Francesi  ; 
ma  sarebbe  un  esempio  isolato. 

19.  1.  A  quella  mensa  ecc.  Il  quella  non 
è  proprio,  perché  ancora  non  si  è  parlato- 
delia  mensa.  Alcuno  propose  di  invertire 
le  St.  19,  20  :  ma  la  concordia  delle  tre  ediz. 
curate  dall' A.  si  oppone  a  tale  arbitrio.  La 
spiegaz.  di  questa  svista  l'abbiamo  nella 
ediz.  del  1516,  dove  si  leggeva  Nanzi  alla 
mensa.  L'A.  per  togliere  nanzi,  come  lo 
ha  tolto  dappertutto,  dimenticò  il  contesto. 
—  citare,  lire.  La  cetra  ha  le  corde  sopra 
una  cassa  armonica,  la  lira  le  ha  libere, 
come  l' arpa. 

—  4.  buoni  ;  fatti  con  magistero  e  sapere. 

20.  2.  successor  di  Nino.  Gli  imperatori 
d'Assiria  furono  famosi  per  lusso  e  pei' 
crapula,  sopra  tutti  Semiramide  e  Sarda- 
napalo,  successori  di  Nino. 

—  4.  vincitor  Latino  ;  Marco  Antonio.  Vedi 
la  descrizione  di  quei  conviti  in  Plutarco 
e  in  Plinio,  St.  N.  lib.  9,  35. 

—  6.  Paladino.  Si  chiamarono  jjalacHnit 
non  solo  i  dodici  cavalieri  della  corte  di 
C.  Magno,  ma,  per  estensione,  anche  altri 
uomini  forti  e  famosi.  Dantr,  Pa7\  12,  142: 
«  Ad  inveggiar  cotanto  paladino  »  (S.  Do- 
menico). 

—  8.  Ganimede.  V.  e.  iv,  47. 


CANTO  VII 


Vii 


Come  più  pia«e  lor,  qualche  secreto. 
11  che  agli  amanti  fu  eoinniodo  grande 
Di  scoprir  l'aiuor  lor  senza  divieto: 
E  furon  lor  conclusioni  estreme 
Di  ritrovarsi  quella  notte  insieme. 
22 

Finir  quel  giuoco  tosto,  e  molto  inanzi 
Che  non  solea  là  dentro  esser  costume- 
Con  torchi  allora  i  paggi  entrati  inanzi, 
Le  tenebre  cacciar  con  molto  lume. 
Tra  bella  compagnia  dietro  e  dinanzi 
Andò  Ruggiero  a  ritrovar  le  piume 
In  una  adorna  e  fresca  cameretta. 
Per  la  miglior  di  tutte  l'altre  eletta. 
23 

E  poi  che  di  confetti  e  di  buon  vini 
Di  nuovo  fatti  tur  debiti  inviti, 
E  partir  gli  altri  riverenti  e  chini, 
Et  alle  stanze  lor  tutti  sono  iti  ; 
Ruggiero  entrò  ne'  profumati  lini 
Che  pareano  di  man  d'Aracne  usciti,    • 
Tenendo  tuttavia  l'orecchie  attente 
S' ancor  venir  la  bella  donna  sente. 
24 

Ad  ogni  picciol  moto  ch'egli  udiva, 
Sperando  che  fosse  ella,  il  capo  alzava: 
Sentir  credeasi,  e  spesso  non  sentiva  ; 
Poi  del  suo  errore  accorto  sospirava. 
Talvolta  uscia  del  letto,  e  l'uscio  apriva; 
Guatava  fuori,  e  nulla  vi  trovava: 
E  maledi  ben  mille  volte  l'ora 
Che  Iacea  al  trapassar  tanta  dimora. 
25 

Tra  sé  dicea  sovente  :  Or  si  parte  ella; 
E  cominciava  a  noverare  i  passi 
Ch'  esser  potean  da  la  sua  stanza  a  quella, 
Donde  aspettando  sta  che  Alcina  passi. 


21.  5.  fu  commodo...  Di  scoprir.  Più  comu- 
nem.:  Dare,  offrire  comodo  (oppportunità) 
di  ecc.;  ma  qui  di  scoprir,  invece  di  es- 
sere complem.  di  tutta  la  proposiz.,  è  stato 
attratto  da  comodo  come  suo  proprio  com- 
plem. V.  simile  attrazione  al  e.  x,  113,  2. 

23.  2.  inviti.  Il  Gherardiui  intende  briu- 
disi,  del  quale  uso  si  ha  qualche  altro  esem- 
pio :  ma  qui  non  va  bene,  e  s'  ha  da  inten- 
dere offerte  ;  ed  è  T  ultimo  giro  che  si  suol 
(debiti)  fare  coi  vassoi  innanzi  agli  invitati, 
pregandoli  (inviti)  di  nuovo  a  servirsi.  In 
questo  senso  non  è  registr.  dai  vocab. 

—  6.  Aracne.  Secondo  la  favola  fu  una 
tessitrice  famosissima  della  Libia,  che,  aven- 
do sfidato  nei  lavori  la  stessa  Pallade  e  aven- 
dola vinta,  fu  dalla  dea  mutata  in  ragno. 

24.  7.  L'idea  di  questi  tormenti  nell'aspet- 
lai-e  è  tolta  dall'epistola  di  Ero  e  Leandi'o 
di  OVIDIO  ;  cfr.  i  vv.  47-51  ;  54-56. 

25.  4.  passi;  vada  (a  lui).  V.  e.  ii,  19,  n. 
1.  Intendi:  Doude  (dalla  stanza  d' Alcina) 
egli  sta  aspettando  che  x\c.  venga  a  lui. 


E  questi  et  altri,  prima  che  la  bella 
Donna  vi  sia,  vani  disegni  fassi. 
Teme  di  qualche  impedimento  spesso. 
Che  tra  il  frutto  e  la  man  non  gli  sia  mca- 

26  [so, 
Alcina,  poi  ch'ai  preziosi  odori 

Dopo  gran  spazio  pose  alcuna  meta, 
Venuto  il  tempo  che  piti  non  dimori. 
Ormai  eh'  in  casa  era  ogni  cosa  cheta, 
De  la  camera  sua  sola  usci  fuori; 
E  tacita  n'andò  per  via  secreta. 
Dove  a  Ruggiero  avean  timore  e  speme 
Gran  pezzo  intorno  al  cor  pugnato  insii- 

27  [me. 
Come  si  vide  il  successor  d'Astolfo 

Sopra  apparir  quelle  ridenti  stelle. 
Come  abbia  ne  le  vene  acceso  zolfo. 
Non  par  che  capir  possa  ne  la  pelle. 
Or  sino  agli  occhi  ben  nuota  nel  golfo 
De  le  delizie  e  de  le  cose  belle: 
Salta  del  letto,  e  in  braccio  la  raccoglie; 
Né  può  tanto  aspettar,  ch'ella  si  spoglie; 

28 
Benché  né  gonna  né  faldiglia  avesse; 
Che  venne  avvolta  in  un  leggier  zendado 
Che  sopra  una  camicia  ella  si  messe. 
Bianca  e  suttil  nel  più  eccellente  grado. 
Come  Ruggiero  abbracciò  lei,  gli  cesse 
Il  manto;  e  restò  il  vel  suttile  e  rado, 
Che  non  copria  dinanzi  né  di  dietro, 
Più  che  le  rose  o  i  gigli  un  chiaro  vetro. 

29 
Non  cosi  strettamente  edera  preme 
Pianta  ove  intorno  abbarbicata  s'abbia. 
Come  si  stringon  li  du'  amanti  insieme. 
Cogliendo  de  lo  spirto  in  su  le  labbia 
Suave  fior,  qual  non  produce  seme 


26.  2.  pose...  a.  meta;  p.  un  termine.  G. 
Colonna  nel  sonetto  al  Petr.  «  Non  poriau 
contar  né  porvi  meta  ». 

27.  !.  successor  d'Astolfo;  Nell'amore  d' .Vi- 
cina. 

28.  1.  faldiglia  ;  (da  falda,  attraverso  allo 
spagnuolo/'a?dì/;a)  sottana  di  tela,  cerchiata 
d'alcune  funicelle,  che  la  facevano  star  ri- 
gida e  larga  per  impedirle  d'impigliare  le 
gambe. 

—  2.  zendado,  (dal  gr.  sindón,  stoffa  fine 
dell'India).  È  nome  generico  di  drappi  lini 
di  seta. 

—  5.  cesse  ;  cedette.  È  forma  poetica. 

29.  1.  Non  COSI  ecc.  Orazio,  Epod.  xv,  5. 
«  .\rtius  atque  hedera  procera  adstriugi- 
tur  ilex,  Lentis  adliaerens  bracchiis  »,  gi<t 
imitato  da  Dante,  Inf.  25,  58:  «  EUera  ab- 
barbicata mai  non  fue  Ad  arbor  si  ». 

—  5.  Suave  fior,  il  bacio,  che  è  fiore  del- 
lo spirito,  perché  ne  è  la  prima  e  la  più  bella 
manifestazione. 


74 


ORLANDO  FURIOSO 


Indo  0  Sabeo  ne  l'odorata  sabbia.  i 

Del  gran  piacer  ciravcan,  lor  dicer  tocca; 
Che  spesso  aveau  più  d'una  lingua  iu  boc- 
30  [ca. 

Queste  cose  là  dentro  eran  secrete, 
O  se  pur  non  secrete,  almen  taciute; 
Che  raro  tu  tener  le  labra  chete 
Biasiuo  ad  alcun,  ma  ben  spesso  virtute. 
Tutte  proferte  et  accoglienze  liete 
Fanno  a  Ruggier  quelle  persone  astute: 
Ogn'  un  lo  riverisce  e  se  gli  inchina; 
Che  cosi  vuol  l'innamorata  Alcina. 
31 

Non  è  diletto  alcun  che  di  fuor  reste; 
Che  tutti  son  ne  l'amorosa  stanza: 
E  due  e  tre  volte  il  di  mutano  veste, 
Fatte  or  ad  una  or  ad  un'  altra  usanza. 
Spesso  in  conviti,  e  sempre  stanno  in  feste, 
In  giostre,  in  lotte,  in  scene,  in  bagno,  in 

[danza  : 
Or  presso  ai  fonti,  all'ombre  de'poggietti, 
Leggon  d'antiqui  gli  amorosi  detti. 
32 

Or  per  l'ombrose  valli  e  lieti  colli 
Vanno  cacciando  le  paurose  lepri; 
Or  con  sagaci  cani  i  fagian  folli 
Con  strepito  uscir  fan  di  stoppie  e  vepri, 
Or  a'  tordi  lacciuoli,  or  veschi  molli 
Tendon  fra  gli  odoriferi  ginepri  ; 
Or  con  ami  inescati  et  or  con  reti 
Turbapo  a'  pesci  i  grati  lor  secreti. 
33 

Stava  Ruggiero  iu  tanta  gioia  e  festa, 
Mentre  Carlo  in  travaglio  et  Agramante, 
Di  cui  l'istoria  io  non  vorrei  per  questa 
Porre  in  oblio,  né  lasciar  Bradamante, 
Che  con  travaglio  e  con  pena  molesta 
Pianse  più  giorni  il  disiato  amante, 
Ch'avea  per  strade  disusate  e  nuove 
Veduto  portar  via,  né  sapea  dove. 
34 
Di  costei  prima  che  degli  altri  dico. 


—  6.  Indo  o  Sabeo.  L'India  e  l'Arabia  Fe- 
lice, a  cui  appartenevano  i  Sabei,  sono  fer- 
tili di  piante  aromatiche. 

—  7.  lor  dicer  ecc.  Il  pensiero  è  del  Boiar- 
do, Inìi.  I,  XIX,  60. 

30.  5.  Tutte.  Sembra,  dal  contesto,  che 
si  riferisca  a  iiei-sone  del  v.  seguente,  più 
tosto  che  a  proferte.  In  questo  secondo 
caso  dovresti  avvertire  che,  dopo  tutto, 
spesso  gli  scrittori  omisero  1'  articolo,  an- 
che in  prosa:  Dante,  Conv.  iv,  29:  «con 
tutta  soavità  e  con  tutta  pace  ». 

31.  6.  in  scene  ;  iu  rappresentazioni  sce- 
niche. 

32.  3.  folli,  Forse  perché  facili  a  cader 
nelle  insidie. 

—  4.  vepri  ;  (lat.  vepres)  pruni. 

83.  2.  Mentre  Carlo  ecc.  sottint.  stavano. 


Che  molti  giorni  andò  cercando  invano 
Pei  boschi  ombrosi  e  per  lo  campo  aprico, 
Per  ville,  per  città,  per  monte  e  piano; 
Né  mai  potè  saper  del  caro  amico. 
Che  di  tanto  intervallo  era  lontano. 
Ne  l'oste  Saracin  spesso  venia, 
Né  mai  del  suo  Ruggier  ritrovò  spia. 
35 

Ogni  di  ne  domanda  a  più  di  cento. 
Né  alcun  le  ne  sa  mai  render  ragioni. 
D'alloggiamento  va  in  alloggiamento, 
Cercandone  e  trabacche  e  padiglioni: 
E  lo  può  far;  che  senza  impedimento 
Passa  tra  cavallieri  e  tra  pedoni, 
Mercé  all'anuel  che  fuor  d'ogni  umau  uso 
La  fa  sparir  quando  l'è  in  bocca  chiuso. 
36 

Né  può  né  creder  vuol  che  morto  sia  ; 
Perché  di  si  grande  uom  l'alta  ruina 
Da  l'onde  Idaspe  udita  si  saria 
Fin  dove  il  Sole  a  riposar  declina. 
Nonsanédirnéimaginarchevia     [schina 
Far  possa  o  in  cielo  o  in  terra;  e  pur  me- 
Lo  va  cercando,  e  per  compagni  mena 
Sospiri  e  pianti  et  ogni  acerba  pena. 
37 

Pensò  al  fin  di  tornare  alla  spelonca 
Dove  eran  l'ossa  di  Merlin  profeta, 
E  gridar  tanto  intorno  a  quella  conca. 
Che  '1  freddo  marmo  si  movesse  a  pietà; 
Che,  se  vivea  Ruggiero,  o  gli  avea  tronca 
L'alta  necessità  la  vita  lieta. 
Si  sapria  quindi:  e  poi  s'appiglierebbe 
A  quel  miglior  consiglio  che  n'avrebbe. 
38 

Con  questa  intenziou  prese  il  camino 


34.  8.  spia;  indizio,  contezza.  È  frequen- 
tissimo nell'A.  e  non  è  raro  in  altri  scrit- 
tori. Caro,  Leti.  2,  SI  :  «  Mi  sono  avveduto 
che  avete  avuto  spia  del  mio  cenino». 

35.  2.  render  ragioni;  dar  notizie:  locu- 
zione non  registrata  dai  vocab. 

—  4.  trabacche;  specie  di  padiglioni  O 
tende  rette  da  travi,  donde  il  nome. 

—  7.  Mercé  all' a.  Mercé  si  usò  egual- 
mente colle  prep.  du  a  e  anche  senza  pre- 
posiz. 

—  S.  l'è;  le  è.  L'A.  usò  spesso,  contro 
l'usocomuue,  apostrofare  questo  pron.  Cosi 
gli  antichi  non  di  rado.  Vedi,  per  es.  Boc- 
caccio, iVof.  5:  «Parendole...  Domeneddio 
l'avesse  tempo  inandato». 

36.  3.  onde  Idaspe;  (contrazione  di  Ida- 
spee  ;  lat.  Ihjdaspeae)  onde  dell'  Idaspe. 
L'(Id.  è  fiume  dell'  India  (moderno  Gilam). 

\  37.  3.  conca.  V.  e.  m,  22,  n.  5. 

—  6.  r  alta  necessità.  I  Latini  dissero  la 
morte  ultima,  e.vtrema,  suprema  neces- 
mas.  I  nostri  vocab.  non  registrano  questo 
signific. 


CANTO  VII 


(O 


Torso  le  selve  prossime  a  Poutiero, 
l)ove  la  vocal  tomba  di  Merlino 
Era  nascosa  in  loco  alpestro  e  fiero. 
Ma  quella  Maga  che  sempre  vicino 
Tenuto  a  Bradamante  avea  il  pensiero, 
<^ nella,  dico  io,  che  nella  bella  grotta 
L'avea  de  la  sua  stirpe  instrutta  e  dotta  ; 

39 
Quella  benigna  e  saggia  incantatrice, 
La  quale  ha  sempre  cura  di  costei, 
Sappiendo  eh'  esser  de'  progenitrice 
D'uomini  invitti,  anzi  di  Semidei; 
Ciascun  di  vuol  saper  che  fa,  che  dice, 
E  getta  ciascun  di  sorte  per  lei. 
Di  Ruggier  liberato  e  poi  perduto, 
E  dove  in  India  andò,  tutto  ha  saputo. 

40 
Ben  veduto  l'avea  su  quel  cavallo 
Che  regger  non  potea,  ch'era  sfrenato, 
Scostarsi  di  lunghissimo  intervallo 
Per  sentier  periglioso  e  non  usato: 
E  ben  sapea  che  stava  in  giuoco  e  in  ballo 
E  in  cibo  e  in  ozio  molle  e  delicato. 
Né  più  memoria  avea  del  suo  Signore, 
Né  de  la  donna  sua,  né  del  suo  onore. 

E  cosi  il  fior  de  lì  Tiegli  anni  suoi 
In  lunga  inerzia  aver  potria  consunto 
Si  gentil  cavallier,  per  dover  poi 
Perdere  il  corpo  e  l'anima  in  un  punto: 
E  quell'odor  che  sol  riman  di  noi 
Poscia  che  '1  resto  fragile  è  defunto,  [ba. 
Che  trae  l'uom  del  sepolcro  e  in  vita  il  ser- 


38.  2.  Pontiero.  Forse  non  è  da  confon- 
dere con  Pontiero  feudo  dei  Maganzesi  (v. 
e.  Ili,  24).  Alcuni  intendono  Ponthieu,  an- 
tica contea  nel  dipartimento  della  Somme; 
altri  intendono  Pontrieux,  città  del  diparti- 
mento Còtes  du  Nord,  dove,  dice  il  Casella, 
i  pastori  delia  Brettagna  additano  anche 
adesso  la  supposta  tornila  di  Merlino. 

—  3.  vocal;  parhiute  :  signilic.  non  re- 
gistr.  dai  vocabol. 

—  S.  instrutta  e  dotta.  Al  e.  vi,  56  ha 
detto  dotto  ed  instr.  e  ne  abbiamo  dato,  col 
Tommaseo,  buona  ragione.  Ma  il  fatto  è 
che  nella  nostralingua si  accumulano  spesso 
due  aggettivi,  quasi  dello  stesso  significato, 
per  arrotondar  l'espressione,  senza  tener 
conto  delle  gradazioni  ;  cosi  :  forte  e  robu- 
sto, chiaro  ed  aperto,  bello  e  buono,  ampio 
e  capace  ecc. 

39.  6.  getta...  sorte.  Gettar  la  sorte  a  le 
sorti  significa  far  sortilegi;  il  che  si  faceva 
in  diversi  modi:  gettando  dadi,  osservando 
le  stelle,  estraendo  cedolette  appositamente 
scritte  ecc. 

41.  2.  aver  potria  consunto  ;  potrebbe  aver- 
ne, riportarne  consunto  il  fior  ecc. 

—  7.  Petr.,  Trionf.  della  Fama,  9  :  «  Glie 
trae  V  uom  del  sepolcro  e  'n  vita  il  serba  ». 


Gli  saria  stato  o  tronco  o  svelto  in  erba.  . 
42 

Ma  quella  gentil  Maga  che  piti  cura 
X'avea,  eh'  egli  medesmo  di  sé  stesso. 
Pensò  di  trarlo  per  via  alpestre  e  dura 
Alla  vera  virtii,  mal  grado  d'esso: 
Come  eccellente  medico  che  cura 
Con  ferro  e  fuoco,  e  con  veneno  spesso; 
Che  se  ben  molto  da  principio  offende. 
Poi  giova  alfine,  e  grazia  se  gli  rende. 
43 

Ella  non  gli  era  facile,  e  talmente 
Fattane  cieca  di  superchio  amore. 
Che,  come  facea  Atlante,  solamente 
A  darli  vita  avesse  posto  il  core, 
t^nel  pili  tosto  volea  che  lungamente 
Vivesse  e  senza  fama  e  senza  onore, 
Che,  con  tutta  la  laude  che  sia  al  mondo. 
Mancasse  un  anno  al  suo  viver  giocondo. 
44 

L'avea  mandato  all'isola  d'Alcina, 
Perché  obliasse  l'arme  in  quella  corte: 
E  come  Mago  di  somma  dottrina 
Ch'usar  sapea  grincanti  d'ogni  sorte, 
Avea  il  coV  stretto  di  quella  Regina 
Ne  l'amor  d'esso  d'un  laccio  si  forte, 
Che  non  se  ne  era  mai  per  poter  sciorrc, 
S'invecchiasse  Ruggierpiù  di  Nestorre. 
45 

Or  tornando  a  colei,  ch'era  presaga 
Di  quanto  de'  avvenir,  dico  che  tenne 
La  dritta  via  dove  l'errante  e  vaga 
Figlia  d'Amon  seco  a  incontrar  si  venne. 
Bradamante  vedendo  la  sua  Maga, 
Muta  la  pena  che  prima  sostenne, 
Tutta  in  speranza;  e  quella  l'apre  il  vero, 
Ch'  ad  Alcina  è  condotto  il  suo  Ruggiero. 
4G 

La  giovane  riman  presso  che  morta, 


—  8.  0  tronco  o  svelto.  Si  ha  una  èpecie 
di  sillessi  0  costruzione  a  .senso.  Questi  par- 
ticipi invece  di  riferirsi  a  odore,  come  gram- 
maticalm.  dovrebbero,  si  riferiscono  di.  flore. 

43.  1.  facile;  compiacente,  agnol.  P.\n- 
DOLF.  91  :  «  E  voi  siate  facili  e  liberali  ». 

—  2.  Fattane  e;  E  non  era  fatta  per  lui, 
sul  conto  di  lui,  cieca  per  sov. a. taira. che. 

—  5.  Quel;  Atlante. 

44.  7.  Che  non  se  n'  era  ecc.,  non  era  per 
potersene  sciorre.  solito  spostamento  di 
pronomi.  V.  e.  i,  47,  n.  6. 

—  8.  Nestorre.  Nestore  visse,  secondo 
Omero,  la  vita  di  tre  generazioni  di  uomini 
e  fu  saggissimo. 

45.  'A.  va?a,  (lat.  vagus)  vagante.  Latini- 
smo f  resiliente. 

—  S.  è  condotto;  è  pervenuto.  Dante, 
Inf.  5,  57  :  «  Per  torre  il  biasmo  in  che  era 
condotta  ». 


76 


ORLANDO  FURIOSO 


Quando  ode  che  '1  suo  amante  è  cosi  lun- 
Epiii,chenel  suo  amor  periglio  porta,  [gè; 
Se  gran  rimedio  e  subito  non  giunge: 
Ma  la  benigna  Maga  la  conforta, 
Eprestaponl'impiastroove  il  duolpunge; 
E  le  promette  e  giura,  in  pochi  giorni 
Far  che  Ruggiero  a  riveder  lei  torni. 
47 
Da  che,  Donna  (dicea),  l'annello  hai  teco, 
Che  vai  contra  ogni  magica  fattura, 

10  non  ho  dubbio  alcun  che,  s' io  l'arreco 
Là  dove  Alcina  ogni  tuo  ben  ti  fura, 
Ch'io  non  le  rompa  il  suo  disegno,  e  meco 
Non  ti  rimeni  la  tua  dolce  cura. 

Me  n'andrò  questa  sera  alla  prira'  ora, 
E  sarò  in  India  al  nascer  de  l'aurora. 
48 
E  seguitando,  del  modo  narrolle 
Che  disegnato  avea  d'adoperarlo. 
Per  trar  del  regno  effeminato  e  molle 

11  caro  amante,  e  in  Francia  rimenarlo. 
Bradamante  l'annel  del  dito  folle: 

Né  solamente  avria  voluto  darlo; 
Ma  dato  il  core,  e  dato  avria  la  vita, 
Pur  che  n'avesse  il  suo  Ruggiero  aita. 
49 

Le  dà  l'annello,  e  se  le  raccomanda; 
E  più  le  raccomanda  il  suo  Ruggiero, 
A  cui  per  lei  mille  saluti  manda: 
Poi  prese  ver  Provenza  altro  sentiero. 
Andò  l'incantatrice  a  un'  altra  banda; 
E  per  porre  in  effetto  il  suo  pensiero, 
Un  palafren  fece  apparir  la  sera,         [ra. 
Ch'aveaun  pie  rosso,  e  ogn'altrapartene- 
50 

Credo  fusse  un  Alchino  o  un  Farfarello 
Che  da  l'inferno  in  quella  forma  trasse; 


46.  3.  periglio  porta;  corre  pericolo  (Bra- 
damante). Fu  usato  anche  in  prosa;  Vet- 
tori, Coltiv.  ol.  88:  «I  pericoli,  che  si  por- 
tano a  usar  questo  modo  di  porre  ». 

—  6.  l'impiastro.  Dante,  Inf.  2J,  18:  «E 
cosi  tosto  al  mal  giunse  lo  'mpiastro  ». 

47.  .5.  Che.  Per  la  ripetiz.  del  che  cfr.  e.  v. 
27,  n.  6. 

—  7.  alla  prim'  ora,  di  notte  ;  secondo 
l'antico  modo  di  finire  le  ventiquattr' ore 
col  crepuscolo  serale,  e  ricominciare  colla 
prima  ora  di  notte  ;  il  qual  uso  è  ancora 
vivo,  in  alcuni  paesi,  fra  il  popolo. 

48.  2.  Che,  nel  quale.  V.  e.  xiii,  37,  n.  5. 

—  G.  darlo;  dar  quello.  L'uso  del  pro- 
nome è  regolare  ;  ma,  quando  si  mette  in 
relazione  con  altra  parola,  si  usa  più  co- 
munein.  intero. 

49.  4.  altro  sentiero  ;  una  via  diversa  da 
quella  fatta  prima  e  clie  andava  verso  Pro- 
venza. 

50.  1.  Alchino,  Farfarello.  Son  nomi  presi 
da  Dante,  Inf.  21.  Dante  ha  Alichino. 


E  scinta  e  scalza  montò  sopra  a  quello, 
A  chiome  sciolte  e  orribilmente  passe: 
Ma  ben  di  dito  si  levò  l'annello. 
Perché  gl'incanti  suoi  non  le  vietasse. 
Poi  con  tal  fretta  andò,  che  la  matina 
Si  ritrovò  ne  l'isola  d' Alcina. 

51 
Quivi  mirabilmente  trasmutosse: 
S'accrebbe  più  d'un  palmo  di  statara, 
E  fé'  le  membra  a  proporzion  più  grosse, 
E  restò  a  punto  di  quella  misura 
Che  si  pensò  che  '1  Negromante  fosse, 
Quel  che  nutri  Kuggier  con  si  gran  cura: 
Vesti  di  lunga  barba  le  mascelle, 
E  fé'  crespa  la  fronte  e  l'altra  pelle. 

52 
Di  faccia,  di  parole  e  di  sembiante 
Si  lo  seppe  imitar,  che  totalmente 
Potea  parer  l'incantatore  Atlante. 
Poi  si  nascose;  e  tanto  pose  mente, 
Che  da  Ruggiero  allontanar  l'amante 
Alcina  vide  un  giorno  finalmente: 
E  fu  gran  sorte;  che  di  stare  o  d'ire. 
Senza  esso  un'  ora  potea  mal  patire. 

53 
'  Soletto  lo  trovò,  come  lo  volle. 
Che  si  godea  il  matin  fresco  e  sereno. 
Lungo  un  bel  rio  che  dis«orrea  d'un  colle 
Verso  un  laghetto  limpido  et  ameno. 
Il  suo  vestir  delizioso  e  molle 
Tutto  era  d'ozio  e  di  lascivia  pieno. 
Che  di  sua  man  gli  avea  di  seta  e  d'oro 
Tessuto  Alcina  con  sottil  lavoro. 

54 
Di  ricche  gemme  un  splendido  monile 
Gli  discendea  dal  collo  in  mezzo  il  petto  ; 
E  ne  l'uno  e  ne  l'altro  già  virile 
Braccio  girava  un  lucido  cerchietto. 
Gli  avea  forato  un  fil  d'oro  sottile 
Ambe  l'orecchie,  in  forma  d'annelletto  ; 
E  due  gran  perle  pendevano  quindi, 
Qual  mai  non  ebbon  gli  Arabi  né  gl'Indi. 

55 
Umide  avea  l'innanellate  chiome 
De'  più  suavi  odor  che  sieno  in  prezzo: 
Tutto  ne'  gesti  era  amoroso,  come 
Fosse  in  Valenza  a  servir  donne  avvezzo  : 


—  3,  scinta.  V.  e.  Ili,  8,  n.  7. 

—  4.  passe  ;  sparse  (lat.  passits  da  parir 
deve).  Si  cita  questo   solo   esempio  dell'  A. 

51.  8.  l'altra  pelle;  il  resto,  della  pelle. 
Dante,  Inf.  17,  12:  «E  d' un  serpente  tutto 
l'altro  fusto  ». 

53.  7.  Che.  Per  la  collocaz.  del  pron.  vedi 
e.  IV,  51,,  n.  4. 

54.  2.  in  mezzo  il  ;  V.  e.  vi,  23,  n.  8. 

55.  4.  in  Valenza.  «  Gli  Spagnuoli  sono 
oggi  detti  maestri  dell'  attillatura  e  della 
leggiadria,  e  sopra  l'altre  città  campeggia 


CANTO  VII 


77 


Non  era  in  lui  di  sano  altro  che  '1  nome; 
Corrotto  tutto  il  resto,  e  più  che  mézzo. 
Cesi  Ruggier  fu  ritrovato,  tanto 
Da  l'esser  suo  mutato  per  incanto. 
•       56 

Ne  la  forma  d'Atlante  se  gli  affaccia 
Colei  che  la  sembianza  ne  tenea. 
Con  quella  grave  e  venerabil  faccia 
Che  Ruggier  sempre  riverir  solea, 
Con  quello  occhio  pien  d'ira  e  di  minaccia. 
Che  si  temuto  già  fanciullo  avea; 
Dicendo:  È  questo  dunque  il  frutto,  ch'io 
Lungamente  atteso  ho  del  sudor  mio? 
57 

Di  medoUe  già  d'orsi  e  di  leoni 
Ti  porsi  io  dunque  li  primi  alimenti; 
T'ho  per  caverne  et  orridi  burroni 
Fanciullo  avvezzo  a  strangolar  serpenti. 
Pantere  e  tigri  disarmar  d'ungioni 
Et  a  vivi  cingial  trar  spesso  i  denti, 
Acciò  che  dopo  tanta  disciplina 
Tu  sii  l'Adone  o  l'Atide  d'Alcina? 
58 

È  questo  quel  che  l'osservate  stelle, 
Le  sacre  fibre  e  gli  accoppiati  punti, 
Responsi,  augùri,  sogni,  e  tutte  quelle 
Sorti  ove  ho  troppo  i  miei  studi  consunti. 
Di  te  promesso  sin  da  le  mammelle 
M'avean,  come  quest'anni  fusser  giunti, 
Ch'in  arme  l'opre  tue  cosi  preclare 
Esser  dovean,  che  sarian  senza  pare? 
59 

Questo  è  ben  veramente  alto  principio  I 
Onde  si  può  sperar  che  tu  sia  presto 


Valenza,  dove  son  cortigiane  famose,  e  i 
loro  paggi  effeminati  e  corrotti  »  Fornari. 

—  6.  mézzo.  Si  dice  propriamente  dei 
frutti  fracidi  per  troppa  maturità  (dal  lat. 
mitia  poma,  pomi  maturi). 

56.  1.  se  gli  affaccia;  se  gli  presenta.  Da- 
VANZATi,  Ann.  I,  17  :  .<  Deve  ire  e  affacciarsi 
(agli  amniotinatori)  colla  maestà  imperiale». 

57.  1.  Di  medoUe  ecc.  Il  pensiero  è  del 
Boiardo,  Inn.  II,  i,  71.  «  Però  (Atlante)  nu- 
trito l'ha  con  gran  ragione  Sol  di  midolle 
e  nervi  di  leoue  »:  e  III,  v,  35:  «(Atlante) 
Andava  attorno  a  quel  deserto  ostico  Pi- 
gliando serpi  e  draghi  più  superbi  E  tutti 
gli  inchiudeva  a  una  serraglia,  Poi  mi  po- 
nea  con  quelli  alla  battaglia  ». 

—  5.  ungioni,  cingial.  V.  e.  t,  41,  n.  1. 

—  8.  Adone,  bellissimo  giovinetto  amato 
da  Venere,  Alide,  giovane  Frigio  amato  da 
Cibele. 

58.  2.  Le  sacre  fibre  ;  le  viscere  degli  ani- 
mali. —  gli  accoppiati  punti.  «Questa  è  ope- 
ra dei  geomanti,  i  quali  fanno  (in  terra)  se- 
dici righe  tutte  di  punti,  e  poscia  li  accop- 
piano insieme  e,  secondo  la  dottrina,  ne  ca- 


A  farti  un  Alessandro,  un  Giulio,  un  Scipio. 
Chipotea,  ohimè!  di  te  mai  creder  questo, 
Che  ti  facessi  d'Alcina  mancipio? 
E  perché  ognun  lo  veggia  manifesto, 
Al  collo  et  alle  braccia  hai  la  catena, 
Con  che  ella  a  voglia  sua  preso  ti  mena. 
60 

Se  non  ti  muovon  le  tue  proprie  laudi. 
E  l'opre  eccelse  a  chi  t'  ha  il  cielo  eletto, 
La  tua  succession  perché  defraudi 
Del  ben  che  mille  volte  io  t'ho  predetto? 
DehI  perché  il  ventre  eternamente  Claudi, 
Dove  il  ciel  vuol  che  sia  per  te  concetto 
La  gloriosa  e  sopr'  umana  prole,         [le? 
Ch'esser  de' al  mondo  più  chiara  che '1  So- 
61 

Deh  non  vietar  che  le  più  nobil  alme, 
Che  sian  formate  ne  l'eterne  idee, 
Di  tempo  in  tempo  abbian  corporee  salme 
Dal  ceppo  che  radice  in  te  aver  dee! 
Deh  non  vietar  mille  trionfi  e  palme, 
Con  che,  dopo  aspri  danni  e  piaghe  ree, 
Tuoi  figli,  tuoi  nipoti  e  successori 
Italia  torneran  nei  primi  onori! 
62 

Non  eh'  a  piegarti  a  questo  tante  e  tante 
Anime  belle  aver  dovesson  pondo. 
Che  chiare,  illustri,  inclite,  invitte  e  sante 
Son  per  fiorir  da  l'arbor  tuo  fecondo; 
Ma  ti  dovria  una  coppia  esser  bastante, 
Ippolito  e  il  fratel;  che  pochi  il  mondo 
Ha  tali  avuti  ancor  fin  al  di  d' oggi, 


vano  l'intenzioni  loro»  Fornari.  V.  anche 
Daxte,  Purg.  19,  4. 

59.  3.  Ginlio,  G.  Cesare. 

60.  2.  a  chi;  alle  quali.  Di  chi  riferito  a 
cosa  abbiamo  nel  Pur.  altri  due  esempi: 
X,  97,  S;  dove  il  Morali,  senza  ragione  suf- 
ficiente, ha  sostituito  che,  e  xxviii,  32,  8.^ 
Se  ne  cita  un  esempio  dell' Alamanni,  Colt. 
Ili,  571  :  «  o  van  tessendo  chi  le  scaldi  e  co- 
pra ». 

—  5.  Claudi;  (lat.  claudere)  chiudi.  È  for- 
ma antiquata. 

—  6.  concetto;  concetta;  V.  e.  v,  5S,  n.  5. 

61.  2.  formate  nelle  eterne  id.  Si  sente  l'in- 
fluenza della  filosofia  platonica,  secondo  la 
quale  le  anime  erano  preesistenti  ai  corpi. 
Le  idee,  secondo  Platone,  sono  i  tipi  eterni 
immutabili  di  tutte  le  cose;  sono  i  modelli, 
che  han  servito  a  Dio  per  l' esecuzione  delle 
singole  cose.  Cosi  le  anime  son  create  nelle 
eterne  idee  e  poi,  di  tempo  in  tempo,  en- 
trano nei  corpi,  che  son  dati  loro,  come  una 
prigione,  per  purificarsi. 

62.  1.  Non  che.  Questo  modo,  comunis- 
simo nella  nostra  lingua,  si  può  illustrare 
cosi  :  Non  dico  già  che. 

—  2.  pondo;  considerazione,  importanza. 


7S 


OKLANDO  FUEIOSO 


Per  tutti  i  gradi  onde  a  virtii  si  poggi. 
63 

Io  solca  più  di  questi  dui  narrarti. 
Ch'io  non  facea  di  tutti  gli  altri  insieme; 
Si  perché  essi  terran  le  maggior  parti. 
Che  gli  altri  tuoi,  ne  le  virtù  supreme; 
Si  perché  al  dir  di  lor  mi  vedea  darti 
Più  attenzion,  che  d'altri  del  tuo  seme: 
Vedea  goderti  che  si  chiari  Eroi 
Esser  dovessen  dei  nipoti  tuoi. 
64 

Che  ha  costei  che  t'hai  fatto  regina 
Che  non  abbian  mill' altre  meretrici? 
Costei  che  di  tant'  altri  è  concubina; 
Ch' al  fin  sai  ben,  s'ella  suol  far  felici. 
Ma  perché  tu  conosca  chi  sia  Alcina, 
Levatone  le  fraudi  e  gli  artifici, 
Tien  questo  anuello  in  dito,  e  torna  ad  ella, 
Ch'avveder  ti  potrai  come  sia  bella. 
65 

Ruggier  si  stava  vergognoso  e  muto 
Mirando  in  terra,  e  mal  sapea  che  dire; 
A  cui  la  Maga  nel  dito  minuto 
Pose  l'annello,  e  lo  fé'  risentire. 
Come  Ruggero  in  sé  fu  rivenuto, 
Di  tanto  scorno  si  vide  assalire, 
Ch'esser  vorria  sotterra  mille  braccia, 
Ch'alcun  veder  non  lo  potesse  in  faccia. 
66 

Ne  la  sua  prima  forma  in  uno  istante,' 
Cosi  parlando,  la  Maga  rivenne  ; 
Né  bisognava  più  quella  d'Atlante, 
Seguitone  l'effetto  perché  venne. 
Per  dirvi  quel  ch'io  non  vi  dissi  inante, 
Costei  Melissa  nominata  venne, 
Ch'or  die  a  Ruggier  di  sé  notizia  vera, 
E  dissegli  a  che  effetto  venuta  era; 
67 

Mandata  da  colei,  che  d' amor  piena 
Sempre  il  disia,  né  più  può  starne  senza. 


—  S.  Per  tutti  i  gradì  ;  per  tutte  le  condi- 
zioni. 

63.  1.  Io  solea.  Non  si  creda  che  neWInn., 
o  altrove  nel  Fur.,  Atlante  alibia  parlato  di 
questi  due  discendenti  di  Rugg.  Forse  Me- 
lissa vuol  riferirsi  alla  confusa  genealogia 
degli  Estensi  fatta  dal  Boiardo,  Inn.  Il,  xxi, 
56  seg.  / 

—  S.  dovessen,  dovesseno,  dovessero.  É 
forma  ancora  viva  nel  popolo  Toscano. 

64.  e.  Levatone  le  f.  Per  questo  partici- 
pio assoluto  cfr.  e.  ix,  32,  n.  l. 

—  7.  ad  ella.  Come  complem.  l'usarono 
gli  antichi  in  prosa  e  in  poesia;  Dante, 
Jnf.  3,  27  «  E  suon  di  man  con  elle  ». 

65.  3.  dito  minuto  ;  dito  mignolo.  Si  cita 
questo  solo  esempio  dell'. \. 

—  6.  Dì  t.  s.  ;  da  t.  s. 

66.  4.  perché  ;  per  che,  per  il  quale. 

—  6.  Melissa.  Foi-se  è  nome  derivato  dal  i 


Per  liberarlo  da  quella  catena. 
Di  che  lo  cinse  magica  violenza: 
E  preso  avea  d'Atlante  di  Carena 
La  forma,  per  trovar  megl^  credenza. 
Ma  po^ch'a  sanità  l'ha  omai  ridutto. 
Gli  vuole  aprire  e  far  che  veggia  il  tutt» 
68 

Quella  donna  gentil  che  t'ama  tanto, 
Quella  che  del  tuo  amor  degna  sarebbe, 
A  cui,  se  non  ti  scorda,  tu  sai  quanto 
Tua  libertà,  da  lei  servata,  debbe; 
Questo  annel,  che  ripara  ad  ogni  incanto. 
Ti  manda:  e  cosi  il  cor  mandato  avrebbe,. 
S'avesse  avuto  il  cor  cosi  virtute. 
Come  l'annello,  atta  alla  tua  salute. 
69 

E  seguitò  narrandogli  l' amore 
Che  Bradamante  gli  ha  portato  e  porta: 
Di  quella  insieme  commendò  il  valore. 
In  quanto  il  vero  e  l'affezion  comporta: 
Et  usò  modo  e  termine  migliore 
Che  si  convenga  a  messaggiera  accorta  l 
Et  in  quell'odio  Alcina  a  Ruggier  pose. 
In  che  sogliousi  aver  l'oi'ribil  cose. 
70 

In  odio  gli  la  pose,  ancor  che  tanto 
L'amasse  dianzi:  e  non  vi  paia  strano. 
Quando  il  suo  amor  per  forza  era  d'incan- 
Ch' essendovi  l'auuel,  rimase  vano,      [to. 
Fece  l'annel  palese  ancor,  che  quanto 
Di  beltà  Alcina  avea,  tutto  era  éstrano; 
Estrano  avea  e  non  suo  dal  pie  allatfecciar 
'Il  bel  ne  sparve,  e  le  restò  la  feccia. 
71 

Come  fanciullo  che  maturo  frutto 


gr.  tnelein,  aver  cura;   Melissa  infatti  ha 
continua  cura  di  Rugg.  e  di  Bradamante. 

67.  5.  Atl.  di  Carena.  Secondo  il  Boiai'do 
Atl.  abitava  in  un  giardino  incantato  sul 
monte  Carena,  diramazione  dell' .\tlante  in 
Mauritania.  V.  e.  xxxiii,  100. 

68.  3.  non  ti  scorda.  È  usato  impersonalm. 
per  analogia  di  ricordarsi;  (se  ben  ti  ri- 
corda); ma  non  è  registr.  dai  vocabol. 

—  4.  debbe,  deve.  Casa,  Lett.  28:  «E  poi 
perché  mi  veggo  torre  quattromila  scudi, 
che  esso  mi  debbe».  Oggi  è  poetico. 

—  5.  ripara;  rimedia. 

69.  4.  In  quanto  ecc.;  dicendo  la  verità,, 
ma  col  calore,  che  richiedeva  l' affetto. 

—  5.  modo...  migliore.  Dal  contesto  sem- 
bra un  superlat.  relativo;  e  in  questo  caso 
nota  la  irregolare  omissione  dell'  articolo  : 
dovrebbe  dire  il  modo  m.  V.  e.  viii,  67,  4  ;. 
e  cfr.  FORNAC.  Sint.  p.  32.  —  termine; 
espressione. 

70.  3.  Quando;  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 

—  7.  Estrano  avea  ecc.  Per  compiere  il 
costrutto  di  questo  verso  bisogna  sottinten- 
dere tutto  del  V.  superiore. 


CANTO  VII 


79 


Ripone,  e  poi  si  scorda. ove  è  riposto, 
E  dopo  molti  giorni  è  ricondntto 
Là  dove  truova  a  caso  il  suo  deposto, 
Si  maraviglia  di  vederlo  tutto 
Putrido  e  guasto,  e  nou  come  fu  posto; 
E  dove  amarlo  e  caro  aver  solia, 
L'odia,  sprezza,  n'ha  schivo,  e  getta  via: 
72 

Cosi  Ruggier,  poiché  Melissa  fece 
Ch'a  riveder  se  ne  tornò  la  Fata 
Con  queir annello,  inanzi  a  cui  non  lece. 
Quando  s'ha  in  dito,  usare  opra  incantata, 
Ritruova,  contra  ogni  sua  stima,  in  vece 
De  la  bella  che  dianzi  avea  lasciata, 
Donna  si  laida,  che  la  terra  tutta 
Né  la  più  vecchia  avea,  né  la  più  brutta. 
_  73  _  /^^^'^/ 

Pallido,  crespo  e  macilente  avea 
Alcina  il  viso,  il  Crin  raro  e  canuto: 
.Sua  statura  a  sei  palmi  non  giungea: 
Ogni  dente  di  bocca  era  caduto; 
Che  più  d' Ecuba  e  più  de  la  Cumea, 
Et  avea  più  d'ogn'  altra  mai  vivuto. 
Ma  si  l'arti  usa  al  nostro  tempo  ignote, 
Che  bella  e  giovanotta  parer  puote. 
74 

Giovane  e  bella  ella  si  fa  con  arte. 
Si  che  molti  ingannò  come  Ruggiero; 
Ma  l'anner  venne  a  interpretar  le  carte. 
Che  già  molti  anni  avean  celato  il  vero. 
Miracol  non  è  dunque,  se  si  pai-te 
De  l'animo  a  Ruggier  ogni  pensiero 
Ch'avea  d'amare  Alcina,  or  che  la  truova 
In  guisa,  che  sua  fraude  non  le  giova. 
75 

Ma  come  l'avvisò  Melissa,  stette 
Senza  mutare  il  solito  sembiante, 
Fin  che  de  l'arme  sue,  più  di  neglette, 
Si  fu  vestito  dal  capo  alle  piante. 
E  per  non  farle  ad  Alcina  suspette. 
Finse  provar  s' in  esse  era  aiutante: 


71.  4.  deposto;  La  Cr.  lo  cita  come  agg. 
usato  sostantivam.;  ma  forse  è  sincope  di 
deposito. 

—  8.  schivo;  schifo.  Bonaccorso  da  Mon- 
TEMAGNo,  Son.  18:  «Donne  leggiadre  non 
r  abbiate  a  schivo  ». 

73.  5.  Ecnba,  moglie  di  Priamo  re  di 
Troia,  ebbe  50  figli  e  invecchiò  tanto  da  ve- 
dere la  completa  rovina  della  sua  casa.  La 
Sibilla  C umana  visse  mille  anni;  vedi  la  fa- 
vola in  Metamorf.  xiv,  129-153. 

74.  3.  a  interpretar  le  e.  L' A.  ha  reso  me- 
taforica Tespi'essione  del  Petr.,  Son.  4: 
«  Venendo  in  terra  a  illuminar  le  carte, 
Che  avean  molt'  anni  già  celato  il  vero  ». 

—  8.  In  guisa.  Questa  nuova  guisa  si  ri- 
ferisce a  Ruggero,  che  aveva  l' anello. 

75.  6.  aiutante;  gagliardo,  aitante.  Gli  an- 
tichi usarono  egualmente  le  tre  forme  aiu- 
tante, aitante,  atante. 


Finse  provar  se  gli  era  fatto  grosso 
Dopo  alcun  di  che  non  l'ha  avute  indosso. 
7(5 

E  Balisarda  poi  si  messe  al  fianco 
(Che  cosi  nome  la  sua  spada  avea)  ; 
E  lo  scudo  mirabile  tolse  anco. 
Che  non  pur  gli  occhi  abbarbagliar  solca. 
Ma  l'anima  facea  si  venir  manco. 
Che  dal  corpo  esalata  esser  parca: 
Lo  tolse;  e  col  zendado  in  che  trovollo, 
Che  tutto  lo  copria,  sei  messe  al  collo. 
77 

Venne  alla  stalla,  e  fece  briglia  e  sella 
Porre  a  un  destrier  più  che  la  pece  nero: 
Cosi  Melissa  l'avea  instrutto;  ch'ella 
Sapea  quanto  nel  corso  era  leggiero. 
Chi  lo  conosce  Rabican  l'appella; 
Et  è  quel  proprio  che  col  cavalliero. 
Col  quale  i  venti  or  presso  al  mar  fan  gio- 
Portò  già  la  balena  in  questo  loco,      [co, 
78 

Potea  aver  l'Ippogrifo  similmente, 
Che  presso  a  Rabicano  era  legato; 
Ma  gli  avea  detto  la  Maga  :  Abbi  mente. 
Ch'egli  è  (come  tu  sai)  troppo  sfrenato. 
E  gli  diede  intenzion  che  '1  dì  seguente 
Gli  lo  trarrebbe  fuor  di  quello  stato, 
Là  dove  adagio  poi  sarebbe  instrutto 
Come  frenarlo,  e  farlo  gir  per  tutto. 
79 

Né  sospetto  darà,  se  non  lo  folle. 
De  la  tacita  fuga  ch'apparecchia. 
Fece  Ruggier  come  Melissa  volle. 
Ch'invisibile  ogu'  or  gli  era  all'  orecchia. 
Cosi,  fingendo,  del  lascivo  e  molle 
Palazzo  usci  de  la  puttana  vecchia; 
E  si  venne  accostando  ad  una  porta, 
D'onde  è  la  via  ch'a  Logistilla  il  porta. 
80 

Assaltò  li  guardiani  all'improviso, 
E  si  cacciò  tra  lor  col  ferro  in  mano  : 
E  qual  lasciò  ferito,  e  quale  ucciso  ; 

—  7.  gli  ;  egli.  —  grosso  ;  mal  destro. 

76.  1.  Balisarda.  È  nome  inventato  dal 
Boiardo.  Fu  fatta  per  incanto  da  Falerina 
e  toltale  da  Orlando;  a  lui  fu  rubata  da 
Brunello  e  donata  a  Ruggero.  V.  Inn.  II, 
IV  ;  XI,  6. 

—  S.  sei  messe  al  collo.  I  cavalieri  antichi, 
in  marcia,  portavano  lo  scudo,  per  lo  più, 
pendente  dal  collo  con  una  striscia  di  cuoio; 
talvolta  lo  portavano  all' arcione  e  più  di 
rado  era  recato  dagli  scudieri. 

77.  5.  Rabicano;  era  il  cavallo  dell' Arga- 
lia;  dopo  varie  vicende  venuto  alle  mani  di 
Astolfo,  era  giunto  con  esso  nel  castello 
d' Alcina. 

78.  5.  gli  diede  intenzione;  gli  diede  pa- 
rola; promise.  Matt.  A'ii.l.  6,  69:  «Diede 
intenzione  di  venire  a  Messina  ». 


80 


ORLANDO  FURIOSO 


E  corse  fuor  del  ponte  a  mano  a  mano; 
E  prima  cbe  nVavesse  Alcina  avviso, 


80.  4.  a  mano  a  mano.  11  Tommaseo  cita 
questo  verso  intendendo  a  iJoco  a  poco; 
nia  è  invece  da  intendere  di  subito.  Pucci, 


Di  molto  spazio  fu  Ruggrier  lontano. 
Dirò  ne  l'altro  Canto,  che  via  tenne; 
Poi  come  a  Logistilla  se  ne  venne. 


Centil.  75,  61:  «E  tagliagli  la  testa  a  mano 
a  mano  ». 


CANTO  Vili 


Oh  quante  sono  iucantatrici,  oh  quanti 
Incantator  tra  noi,  che  non  si  sanno! 
Che  con  lor  arti  uomini  e  donne  amanti 
Di  sé,  cangiando  i  visi  lor,  fatto  hanno. 
Non  con  spirti  constretti  tali  incanti, 
Né  con  osservazion  di  stelle  fanno; 
Ma  con  simulazion,  menzogne  e  frodi 
Legano  i  cor  d'indissolubil  nodi. 
2 

Chi  l'annello  d'Angelica,  o  più  tosto 
Chi  avesse  quel  de  la  ragion,  potria 
Veder  a  tutti  il  viso  che  nascosto 
Da  finzione  e  d' arte  non  saria. 
Tal  ci  par  bello  e  buono,  che,  deposto 
Il  liscio,  brutto  e  rio  forse  parria. 
Fu  gran  ventura  quella  di  Ruggiero, 
Ch'ebbe  l'annel  che  gli  scoperse  il  vero. 
3 

Ruggier  (come  io  dicea)  dissimulando. 
Su  Rabican  venne  alla  porta  armato: 
Trovò  le  guardie  spro vedute,  e  quando 
Giunse  tra  lor,  non  tenne  il  brando  a  lato. 
Chi  morto  e  chi  a  mal  termine  lasciando, 
Esce  del  ponte,  e  il  rastrello  ha  spezzato: 
Prende  al  bosco  la  via;  ma  poco  corre, 
Ch'ad  un  de'  servi  de  la  Fata  occorre. 
4 

Il  servo  in  pugno  avea  un  augel  grifagno 
Che  volar  con  piacer  facea  ogni  giorno, 
Ora  a  campagna,  ora  a  un  vicino  stagno 
Dove  era  sempre  da  far  preda  intorno  : 


1.  5.  constrettl  ;  costretti  coi  riti  magici 
ad  operare. 

2.  4.  d'arte.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

3.  6.  rastrello;  Quello  steccato  dinanzi 
alle  porte  principali  delle  fortezze,  che  si 
apre  o  si  chiude,  si  alza  o  si  abbassa;  e 
serve  a  tenere  il  nemico  alquanto  lontano 
dalla  porta  stessa  per  aver  tempo  a  chiu- 
derla o  ad  alzare  il  ponte. 

—  8.  occorre  ;  si  imbatte.  È  latinismo  nel 
signif.  e  nel  costrutto.  Occurrere  alieni 
significa  anche  imbattersi  in  uno. 

4.  1.  a.  grifagno;  di  rapina;  (ted.  grif,  ar- 
tiglio). 


Avea  da  lato  il  cau  fido  compagno; 
Cavalcava  un  ronzin  non  troppo  adorno. 
Ben  pensò  che  Ruggier  dovea  fuggire, 
Quando  lo  vide  in  tal  fretta  venire. 
5 

Se  gli  fé'  incontra,  e  con  sembiante  altie- 
Gli  domandò  perché  in  tal  fretta  gisse,  [ro 
Risponder  non  gli  volse  il  buon  Ruggiero: 
Perciò  colui,  più  certo  che  fuggisse, 
Di  volerlo  arrestar  fece  pensiero; 
E  distendendo  il  braccio  manco,  disse: 
Che  dirai  tu,  se  subito  ti  fermo? 
Se  contra  questo  augel  non  avrai  schermo? 
(3 

Spinge  l'augello:  e  quel  batte  si  l'ale, 
Che  non  l'avanza  Rabican  di  corso. 
Del  palafreno  il  cacciator  giù  sale, 
E  tutto  a  un  tempo  gli  ha  levato  il  morso. 
Quel  par  da  l'arco  uu  avventato  strale, 
Di  calci  formidabile  e  di  morso: 
E  '1  servo  dietro  si  veloce  viene,         [ne. 
Che  par  ch'il  vento,  anzi  che  il  fuoco  il  me- 
7 

Non  vuol  parere  il  can  d'esser  più  tardo; 
Ma  segue  Rabican  con  quella  fretta. 
Con  che  le  lepri  suol  seguire  il  pardo. 
Vergogna  a  Ruggier  par,  se  non  aspetta. 
Voltasi  a  quel  che  vien  si  a  pie  gagliardo; 
Né  gli  vede  arme  fuor  ch'una  bacchetta, 
Quella  con  che  ubidire  al  cane  insegna: 
Ruggier  di  trar  la  spada  si  disdegna. 


—  3.  a  campagna.  Omissione  dell'articolo. 
V.  e.  II,  15,  n.  8. 

5.  6.  il  braccio  manco;  Sul  quale,  secondo 
il  costume  della  caccia,  teneva  lo  sparviero 
per  lanciarlo. 

6.  3.  sale;  salta,  (dal  lat.  Salire).  Caro, 
Longo  Sof.  99  :  «  La  mattina  di  buon'  ora 
salse  fuor  del  letto  ». 

—  8.  il  fnoco  ecc.  Tasso,  Ger.  9,82:  «Tur- 
bo o  fiamma  non  è,  che  roti  o  saglia  Ra- 
pido si  com'  è  quel  pronto  e  leve  ». 

7.  8.  si  disdegna.  Lo  stesso  che  disdegna 
ed  egualmente  usato  dagli  antichi.  Nel  servo 
e  nei  tre  animali  son  figurati  gli  ostacoli 
che  si  oppongono  all'abbandono  del  vizio. 


CANTO  Vili 


81 


Quel  se  gli  appressa, efortelo  percuote; 
Lo  morde  a  un  tempo  il  cau  uelpiedemau- 
Lo  sfrenato  destrier  la  groppa  scuote  [co. 
Tre  volte  e  più,  né  falla  il  destro  fianco. 
Gira  l'augello,  e  gli  fa  mille  ruote, 
E  con  l'ugna  sovente  il  ferisce  anco: 
Si  il  destrier  collo  strido  impaurisce. 
Ch'alia  mano  e  allo  spron  poco  ubidisce. 
9 

Ruggiero,  al  fin  constretto,  il  ferro  cac- 
E  perché  tal  molestia  se  ne  vada,      [eia  : 
Or  gli  animali,  or  quel  villan  minaccia 
Col  taglio  e  con  la  punta  de  la  spada. 
<,>uella  importuna  turba  più  l'impaccia: 
Presa  ha  chi  qua  chi  là  tutta  la  strada. 
Vede  Ruggiero  il  disonore  e  il  danno 
Che  gli  avverrà,  se  più  tardar  lo  fanno. 
10 

Sa  ch'ogni  poco  più  ch'ivi  rimane, 
Alcina  avrà  col  popolo  alle  spalle. , 
Di  trombe,  di  tamburi  e  di  campane 
Già  s'ode  alto  rumore  in  ogni  valle,  [cane 
Contra  un  servo  senza  arme,  e  coutra  un 
Gli  par  eh' a  usar  la  spada  troppo  falle: 
Meglio  e  più  breve  è  dunque  che  gli  scopra 
Lo  scudo  che  d'Atlante  era  stato  opra. 
11 

Levò  il  drappo  vermiglio,  in  che  coperto 
Già  molti  giorni  lo  scudo  si  tenue. 
Fece  r  effetto  mille  volte  esperto 
Il  lume,  ove  a  ferir  negli  occhi  venne. 


8.  4.  né  falla  ecc.;  né  sbaglia  il  fianco 
destro,  dove  ha  indirizzato  il  colpo.  lu  que- 
sto senso  è  più  comune  fallire  che  fallare. 
Fianco  qui  vale  lato,  parte,  perché  Rugge- 
ro, essendo  a  cavallo,  mal  poteva  esser  col- 
pito nel  fianco  vero  e  proprio. 

—  5.  gli  fa;  Sottiut.  intorno. 

9.  1.  caccia;  cava  fuori.  Accenna  sempre 
un  certo  impeto  nell'  azione. 

—  8.  avverrà,  verrà.  V.  e.  iv,  61,  n.  5. 

10.  1.  ogni  poco  pili  che  ecc.;  niente  niente 
che  avesse  indugiato  ancora  di  più.  Cecchi, 
Ass.  4,  2  :  «  Ogni  poco  più  che  voi  state,  me 
ne  andrò  ». 

—  3.  Boiardo,  Inn.  I,  i,  11  «  Parigi  r-iso- 
nava  d'istromenti.  Di  trombe,  di  tamburi  e 
di  campane  ». 

—  6.  falle,  falli,  da  fallare,  V.  e.  -xiii,  10,  3. 

—  7.  gli;  a  lui.  Per  una  specie  di  sillessi 
va  riferito  forse  al  servo.  Potrebbe  anche 
essere  gli  per  egli.  V.  e.  vii,  75,  7. 

11.  3.  esperto  ;  (lat.  expertus)  sperimen- 
tato. Petr.,  I,  son.  192:  «Or  tei  dico  per 
cosa  esperta  e  vera  ». 

—  4.  ove  ;  in  quelli,  che  a  ferir  negli  oc- 
chi venne.  Ove,  riferito  a  persona,  ha  molti 
esempi  nella  letteratura  ed  è  vivo  nell'uso; 
per  es.  Guarda  ove  (in  chi)  hai  posto  il  tuo 
amore. 


Resta  dai  sensi  il  cacciator  deserto; 
Cade  il  cane  e  il  ronzin,  cadon  le  penne 
Ch'in  aria  sostener  l'augel  non  ponno. 
Lieto  Ruggier  li  lascia  in  preda  al  sonno. 
12 

Alcina  ch'avea  in  tanto  avuto  avviso 
Di  Ruggier,  che  sforzato  avea  la  porta, 
E  de  la  guardia  buon  numero  ucciso, 
Fu,  vinta  dal  dolor,  per  restar  morta. 
Squarciossi  i  panni  e  si  percosse  il  viso, 
E  sciocca  nominossi  e  mal  accorta; 
E  fece  dar  all'arme  immantinente, 
E  intorno  a  sé  raccor  tutta  sua  gente. 
13 

E  poi  ne  fa  due  parti,  e  manda  l'una 
Per  quella  strada  ove  Ruggier  camina; 
Al  porto  r  altra  subito  raguna 
In  barca,  et  uscir  fa  ne  la  marina: 
Sotto  le  vele  aperte  il  mar  s'imbruna. 
Con  questi  va  la  disperata  Alcina, 
Che  '1  desiderio  di  Ruggier  si  rode. 
Che  lascia  sua  città  senza  custode. 
14 

Non  lascia  alcuno  a  guardia  del  palagio: 
Il  che  a  Melissa,  che  stava  alla  posta 
Per  liberar  di  quel  regno  malvagio 
La  gente  ch'iu  miseria  v'era  posta, 
Diede  commodità,  diede  grande  agio 
Di  gir  cercando  ogui  cosa  a  sua  posta, 
Imagini  abbruciar,  suggelli  torre, 
E  nodi  e  rombi  e  turbini  disciorre. 


—  5.  deserto;  abbandonato.  Dante,  Inf. 
26,  102.  «  Con  quella  compagna  Picciola, 
dalla  qual  non  fui  deserto  ». 

13.  5.  Sotto  le  vele  ecc.  Inn.  II,  xxix,  3. 
«  Delle  sue  vele  è  tanto  T  ombra  spessa  Che 
il  mar  di  sotto  a  loro  è  scuro  e  bruno  ». 

14r.  7.  Imagini;  Erano  lì^'ure  di  terra  cotta, 
di  cera,  di  carta  o  d'altra  materia,  rappre- 
sentanti esseri  soprannaturali,  cose  naturali 
o  persone:  si  usavano  applicandole  ai  luo- 
ghi, dove  si  voleva  l"  effetto,  mettendole  nel 
fuoco,  perché  l'amante  si  struggesse  come 
la  cera,  o  durasse  nell'amore  come  la  creta. 
Suggelli,  (lat.  sigilla)  ;  erano  segni  impressi 
in  metallo,  iu  pietra  ecc.  e  rappresentavano 
costellazioni,  pianeti,  od  oggetti  allusivi  allo 
scopo.  Nodi  ;  si  facevano  con  fili  di  diversi 
colori,  per  legare  gli  animi  degli  amanti. 
Viro.,  Egl.  8,  77  :  «  Necttì  tribus  nodis  ter- 
uos,  Ainarylli,  colores  ».  Rombi;  (gr.  renibo, 
girare)  ;  erano  fusi  attorti  di  fili  di  vari  co- 
lori, coi  quali  si  facevano  girare,  a  guisa 
di  trottola.  Turbini  (lat.  turbo);  il  Porcel- 
lini li  dice  quasi  la  stessa  cosa  dei  rombi. 
Forse  turbo  non  fu  che  la  traduz.  latina 
del  gr.  rombos.  Questo  arsenale  magico, 
preso  dai  Greci  e  dai  Latini,  durò,  anche 
fra  noi,  lungo  tempo. 


Ariosto  —  Papisi 


82 


ORLANDO  FURIOSO 


15 
Indi  pei  campi  accelerando  i  passi, 
Gli  antiqui  amanti  eh' erano  in  gran  torma 
Conversi  in  fonti,  in  fere,  in  legni,  in  sassi, 
Fé'  ritornar  ne  la  lor  prima  forma. 
E  quei,  poi  ch'allargati  furo  i  passi, 
Tutti  del  buon  Ruggier  seguirou  l'orma: 
A  Logistilla  si  salvare;  et  indi 
Tornare  a  Sciti,  a  Persi,  a  Greci,  ad  Indi. 

16 
Li  rimandò  Melissa  in  lor  paesi. 
Con  obligo  di  mai  non  esser  sciolto. 
Fu  inanzi  agli  altri  il  Duca  deglTnglesi 
Ad  esser  ritornato  in  uman  volto; 
Che  '1  parentado  in  questo,  e  li  cortesi 
Prieghidelhuon  Ruggier  gli  giovar  molto: 
Oltre  i  prieghi,  Ruggier  le  die  l'annello, 
Acciò  meglio  potesse  aiutar  quello. 

17 
A  prieghi  dunque  di  Ruggier,  rifatto 
Fu  '1  Paladin  ne  la  sua  prima  faccia. 
Nulla  pare  a  Melissa  d'aver  fatto, 
Quando  ricovrar  l'arme  non  gli  faccia, 
E  quella  lancia  d'or,  ch'ai  primo  tratto 
Quanti  ne  tocca  de  la  sella  caccia: 
De  l'Argalia,  poi  fu  d'Astolfo  lancia;  [eia. 
E  molto  onor  fé'  a  l'uno  e  a  l'altro  in  Fran- 

18 
Trovò  Melissa  questa  lancia  d' oro, 
Ch'Alcina  avea  reposta  nel  palagio, 
E  tutte  r  arme  che  del  Duca  foro, 
E  gli  fur  tolte  ne  l'ostel  malvagio. 
Montò  il  destrier  del  Negromante  Moro, 


15.  5.  poi  ch'allargati  ecc.;  poiché  fu,  per 
ìa  rottura  degli  incanti  e  per  la  mancata 
custodia,  aperta  e  liberata  la  via. 

—  8.  a  Sciti  ecc.;  alla  Scizia  ecc.  Per 
remissione  dell'art,  cfr.  e.  ii,  15, 8  e  xvii  4, 4. 

16.  2.  Con  obligo  di  ecc.;  con  obbligo  tale 
da  non  esser  mai  sciolto.  Su  questo  di  per 
da  vedi  e.  i,  51,  n.  6. 

—  3.  il  Duca  degli  Inglesi,  Astolfo,  cugino 
(li  Bradamante.  \.  e.  ii,  67,  n.  1. 

17.  1.  A  prieghi.  Per  la  mancanza  dell'ar- 
tic.  vedi  e.  ir,  15,  8. 

—  4.  ricovrar;  V.  e.  Il,  43,  n.  8. 

—  7.  De  l'Argalia;  SoUhUendi  da pt^ima. 
V  Argalia  fratello  d' Angelica  venne  in  Fran-  I 
eia  dal  Cataio  con  (juesta  lancia  incantata, 
e  con  essa  vinse  i  più  forti  cavalieri.  Quando 
venne  a  battaglia  per  la  seconda  volta  con 
Ferrai!,  si  scordò  di  prender  la  lancia,  che  ; 
aveva  appoggiata  a  un  albero,  e  combatté  | 
colla  spada;  quindi  parti  dimenticandola.  ; 
Astolfo  la  vide,  la  prese  e  con  essa  abbatté  i 
molti  valenti  guerrieri,  restituendo  le  sorti 
dei  Cristiani,  Jnnam.  I,  ii,  la. 

18.  5.  il  destrier  ecc.  Tlppogrifo  d'Atlante.  ' 
—  Moro,  Mauro,  di  Mauritania.  i 


E  fé'  montar  Astolfo  in  groppa  adagio; 
E  quindi  a  Logistilla  si  condusse 
D'un' ora  prima  che  Ruggier  vi  fusse. 
19 

Tra  duri  sassi  e  folte  spine  già 
Ruggiero  in  tanto  in  ver  la  Fata  saggia,. 
Di  balzo  in  balzo,  e  d'una  in  altra  vìa 
Aspra,  solinga,  inospita  e  selvaggia; 
Tanto  eh' a  gran  fatica  riuscia 
Su  la  fervida  nona  in  una  spiaggia 
Tra  '1  mare  e  '1  monte,  al  Mezzodi  scoper- 
Arsiccia,  nuda,  sterile  e  deserta.  [ta,. 

20 

Percuote  il  sole  ardente  il  vlcin  colle; 
E  del  calor  che  si  ridette  a  dietro, 
In  modo  l'aria  e  l'arena  ne  bolle, 
Che  saria  troppo  a  far  liquido  il  vetro. 
Stassi  cheto  ogni  augello  all'ombra  molle  : 
Sol  la  cicala  col  noioso  metro 
Fra  i  densi  rami  del  fronzuto  stelo      [lo. 
Le  valli  e  i  monti  assorda,  e  il  mare  e  il  cie- 
21 

Quivi  il  caldo,  la  sete  e  la  fatica 
Ch'era  di  gir  per  quella  via  arenosa, 
Facean,  lungo  la  spiaggia  erma  et  aprica, 
A  Ruggier  compagnia  grave  e  noiosa. 
Ma  perché  non  con  vien  che  sempre  io  dica, 
Né  ch'io  vi  occupi  sempre  in  una  cosa, 
Io  lascerò  Ruggiero  in  questo  caldo, 
E  girò  in  Scozia  a  ritrovar  Rinaldo. 
22 

Era  Rinaldo  molto  ben  veduto 
Dal  Re,  da  la  figliuola  e  dal  paese. 
Poi  la  cagion  che  quivi  era  venuto, 
Pili  adagio  il  Paladin  fece  palese: 
Ch'in  nome  del  suo  Re  chiedeva  aiuta 
E  dal  regno  di  Scozia  e  da  l'Inglese; 


—  6.  adagio,  comodamente.  Oggi,  in  que- 
sto senso,  si  scrive  piuttosto  diviso  ;  ma  gli 
antichi  lo  scrissero  più  spesso  unito. 

—  8.  D'nn'ora  p.  Più  comunem.  un'orap. 
Pecorone,  3,  1  :  «  Una  figliuola,  che  di  pochi 
di  innanzi  1'  era  rimasa  vedova  ». 

19.  6.  nona.  Gli  antichi  nell'uso  comune 
dividevano  il  giorno  secondo  la  divisione 
seguita  poi  dalla  Chiesa  per  la  distribuzione 
dei  divini  uffici  ;  cosi  avevano  mattutino, 
prima,  terza,  sesta,  nona,  vespro,  compieta. 
La  sesta  era  il  mezzogiorno;  la  nona  si  so- 
nava nella  settima  ora,  ossia  nella  prima 
dopo  mezzogiorno.  V.  Dante,  Conv.  iv,  23 
in  line.  Perciò  in  quest'  ora  il  caldo  era 
grandissimo. 

20.  7.  stelo;  albero.  Cosi  anche  al  e.  xi, 
65,  0.  Si  citano  solamente  questi  esempi 
dell' A. 

21.  5.  io  dica;  sottint.  una  cosa. 

22.  3.  che;  percbé.  Dante,  Jnf.  2,  82: 
«  Ma  dimmi  la  cagion  che  non  ti  guardi  ». 
Si  usò  anche  in  prosa. 


CANTO  Vili 


83 


Et  ai  preghi  soggiunse  anco  di  Carlo, 
Giustissime  cagion  di  dover  farlo. 

23 

Dal  Re  senza  indugiar  gli  fu  risposto 
Che  di  quanto  sua  forza  s'esteudea, 
Per  utile  et  onor  sempre  disposto 
Di  Carlo  e  de  l'Imperio  esser  volea; 
E  che  fra  pochi  di  gli  avrebbe  posto 
Più  cavallieri  in  punto,  che  potea; 
E  se  non  ch'esso  era  oggimaipur  vecchio, 
Capitano  verria  del  suo  apparecchio. 
24 

Né  tal  rispetto  ancor  gli  parria  degno 
Di  farlo  rimaner,  se  non  avesse 
Il  figlio,  che  di  forza,  e  più  d'ingegno 
Dignissimo  era,  a  ch'il  governo  desse, 
Ben  che  non  si  trovasse  allor  nel  regno; 
Ma  che  sperava  che  venir  dovesse 
Mentre  ch'insieme  aduneria  lo  stuolo; 
E  eh'  adunato  il  troveria  il  figliuolo. 
25 

Cosi  mandò  per  tutta  la  sua  terra 
Suoi  tesorieri  a  far  cavalli  e  gente: 
Navi  apparecchia  e  munizion  da  guerra, 
Vettovaglia  e  danar  maturamente. 
Venne  intanto  Rinaldo  in  Inghilterra; 
E  '1  Re  nel  suo  partir  cortesemente 
Insino  a  Beroicche  accompagnollo; 
E  visto  pianger  fu  quando  lasciollo. 
26 

Spirando  il  vento  prospero  alla  poppa, 
Monta  Rinaldo,  et  a  Dio  dice  a  tutti: 
La  fune  indi  al  viaggio  il  nocchier  sgroppa 
Tanto  che  giunge  ove  nei  salsi  flutti 
11  bel  Tamigi  amareggiando  intoppa. 

23.  2.  di  quanto,  per  quanto.  È  complem. 
di  limitazione.  Cosi  pure  st.  24,  3. 

23.  7.  se  non  che...  era;  se  non  fosse  stato 
che...  era. 

24.  (.   Dignissimo...  a  chi.  V.  e.  Ili,  27,  n.  1. 

—  (i.  che.  Dipende  da  gli  fu  risposto  della 
st.  23,  V.  1. 

25.  2.  far  cavalli.  «  Fare  si  usò  e  si  usa 
per  raccogliere.  Modo  vivace  e  significativo 
nella  sua  brevità  ».  Forxac,  Xuvelle  scelte 
del  Bocc.  p.  162.  Vedi  quivi  gli  esempi. 

—  4.  maturamente.  Il  Tommaseo  {Voc.) 
cita  questo  verso  intemlendo  con  diligenza 
opportuna.  Forse  meglio  intenderai  pron- 
tamente dal  latino  inature. 

—  7.  Beroicche;  Y.  C.  IV,  53,  8.  ' 

26.  2.  a  Dio.  Cosi  scrissero  comunemente 
gli  antichi  in  modo  pii'i  conforme  all'  origine 
della  frase,  che,  intera,  si  diceva:  io  ti  rac- 
comando a  Dio. 

26.  3.  al  viaggio;  per  il  viaggio.  BOCCACC, 
S\'ov.  79:  «Mi  metterò  lu  roba  mia...  a  ve- 
dere sé  la  brigata  si  rallegrerà  ». 

—  5.  amareggiando  ;  diventando  amaro  co- 
me l'acqua  del  mare.  In  questo  senso  l'usò 


Col  gran  flusso  del  mar  quindi  condutti 
I  naviganti  per  camin  sicuro 
A  vela  e  remi  insino  a  Londra  furo. 
27 

Rinaldo  avea  da  Carlo  e  dal  Re  Otonc, 
Che  con  Carlo  in  Parigi  era  assediato, 
Al  Principe  di  Valila  commissione 
Per  contrassegni  e  lettere  portato, 
Che  ciò  che  potea  far  la  regione 
Di  fanti  e  di  cavalli  in  ogni  lato, 
Tutto  debba  a  Calesio  traghittarlo; 
Si  che  aiutar  si  possa  Francia  e  Carlo. 
28 

Il  Principe  ch'io  dico,  ch'era,  in  vece 
D'Oton,  rimaso  nel  seggio  reale, 
A  Rinaldo  d'Amon  tanto  onor  fece, 
Che  non  l'avrebbe  al  suo  Re  fatto  uguale: 
Indi  alle  sue  d  ìuiande  satisfece; 
Perché  a  tutt?  la  gente  marziale 
E  di  Bretagna  e  de  l'isole  intorno. 
Dì  ritrovarsi  al  mar  prefisse  il  giorno. 
29 

Signor,  far  mi  convien  come  fa  il  buono 
Sonator  sopra  il  suo  instrumento  arguto. 
Che  spesso  muta  corda,  e  varia  suono, 
Ricercando  ora  il  grave,  ora  l'acuto. 
Mentre  a  dir  di  Rinaldo  attento  sono, 
D'Angelica  gentil  m'è  sovvenuto. 
Di  che  lasciai  ch'era  da  lui  fuggita, 
E  eh' avea  riscontrato  uno  Eremita. 


il  Buonarroti,  Fier.  3,  2,  8.'  «  Clie  ti  fa  il 
gusto  amareggiar». 

—  6.  gran  flusso.   «  Grandissimi  sono  i 
llussi  e  riflussi  del  mare  posto  tra  la  Fian- 
dra e  l'Inghilterra;  perciò  i  naviganti aspet- 
'  tano  il  riflusso,  che  spinge  le  navi  all'insù 
I  del  Tamigi;  e  parimente  aspettano  che  il 
mare  cali  per  andare  verso  la  foce  ».  (La- 
I  vezzuola). 

I        27.  3.  Principe  di  Vallia;   Pr.   di  Galles.  È 
!  il  titolo  del  principe  ereditario  d'Inghilterra 
I  Ano  dai  tempi  di  Edoardo  I  (1283),  il  quale, 
I  avendo  domato  i  Gallesi,  volle  cosi  lusingar- 
j  li  e  stringerli  al  trono  d'Inghilterra.   Nota 
r  anacronismo,  e  cfr.  anche  il  e.  vi,  33. 
1      —  5.  far;  dare,  somministrare.  Fare  è  co- 
mune  per  produrre,   specialmente   per  i 
prodotti  della  terra.  lu  questo  luogo  si  ha 
un  significato  affine,  ma  diverso. 
j       —  7.  Calesio;  Calais :  al  e.  ii,  27,  7  si  ha 

Calesse. 
I       28.  6.  marziale,  da  guerra. 
I       29.  2.  arguto;  risonante,  armonioso.   La 
I  Crusca,  citando  questo  verso,  intende  acu- 
to, ma  non  sembra  rettamente. 
1       —  7.  Di  che  lasciai  che;  della  quale  lasciai 
dicendo  che  ecc. 
i       —  8.  uno  Eremita.  Erano  eremiti  seguaci 
1  di  Maometto.  Si  vede  che  l' A,  ha  avuto  pre- 
I  sente  il  Palmiero  del  Boiardo,  Jnn.  I,  xx. 


84 


ORLANDO  FURIOSO 


30 

Alquanto  la  sua  istoria  io  vo'  seguire. 
Dissi  che  domandava  con  gran  cura, 
Come  potesse  alla  marina  gire; 
Che  di  Rinaldo  avea  tanta  paura, 
Che,  non  passando  il  mar,  credea  morire, 
Né  in  tutta  Europa  si  tenea  sicura: 
Ma  l'Eremita  a  bada  la  tenea. 
Perché  di  star  con  lei  piacere  avea. 
31 

Quella  rara  bellezza  il  cor  gli  accese, 
E  gii  scaldò  le  frigide  medolle: 
]Ma  poi  che  vide  che  poco  gli  attese, 
E  ch'oltra  soggiornar  seco  non  volle, 
Di  cento  punte  l'asinelio  offese; 
Né  di  sua  tardità  però  lo  tolle: 
E  poco  va  di  passo,  e  men  di  trotto; 
Né  stender  gli  si  vuol  la  bestia  sotto. 
32 

E  perché  molto  dilungata  s'era, 
E  poco  pili,  n'avria  perduta  l'orma; 
Ricorse  il  frate  alla  spelonca  nera, 
E  di  demòni  uscir  fece  una  torma: 
E  ne  sceglie  uno  di  tutta  la  schiera, 
E  del  bisogno  suo  prima  l'informa; 
Poi  lo  fa  entrare  adesso  al  corridore. 
Che  via  gli  porta  con  la  donna  il  core. 
33 

E  qual  sagace  can  nel  monte  usato 
A  volpi  0  lepri  dar  spesso  la  caccia, 
Che  se  la  fera  andar  vede  da  un  lato, 
Ne  va  da  un  altro,  e  par  sprezzi  la  traccia. 
Al  varco  poi  lo  senteno  arrivato. 
Che  l'ha  già  in  bocca,  e  l'apre  il  fianco  e 
Tall'Eremita  per  diversa  strada  [straccia: 
Aggiugnerà  la  Donna  ovunque  vada. 
34 

Che  siail  disegno  suo,ben  io  comprendo 
E  dirollo  anco  a  voi,  ma  in  altro  loco. 
Angelica  di  ciò  nulla  temendo, 
Cavalcava  a  giornate,  or  molto  or  poco. 
Nel  cavallo  il  demon  si  già  coprendo. 
Come  si  copre  alcuna  volta  il  foco. 
Che  con  si  grave  incendio  poscia  avvampa, 
Che  non  si  estingue,  e  a  pena  se  ne  scampa. 
35 

Poi  che  la  donna  preso  ebbe  il  sentiero 
Dietro  il  gran  mar  che  li  Guasconi  lava. 


4  seg.,  che  tenta  Fiordelisa  e  che  «  Per  Ma- 
cometto  facea  penitenzia  ».  Vedansi  poi  in 
quel  luogo  altri  notevoli  riscontri. 

32.  2.  E  poco  pili.  Sott.  che  si  fosse  di- 
lungata. 

34.  1.  Che  8ia;  che  cosa  sia,  formili  suo 
disegno.  Ma  potrebbe  anche  significare  qua- 
le; V.  e.  XIII,  3,  n.  7. 

35.  2.  Dietro;  lungo.  Il  Catelani  (Della 
patria  di  L.  A.  e  dei  reggianismi  e  lombar- 
dismi del  medesimo;  Memoria  inserita  nel- 
V  Italia  centrale,  1874)  lo  dice  un  lombar- 


Tenendo  appresso  all'onde  il  suo  destriero, 
Dove  l'umor  la  via  piti  ferma  dava; 
Quel  le  fu  tratto  dal  demonio  fiero 
Ne  l'acqua  si,  che  dentro  vi  nuotava. 
Non  sa  che  far  la  timida  donzella. 
Se  non  tenersi  ferma  in  su  la  sella. 
36 

Per  tirar  briglia,  non  gli  può  dar  volta: 
Pili  e  più  sempre  quel  si  caccia  in  alto. 
Ella  tenea  la  vesta  in  su  raccolta 
Per  non  bagnarla,  e  traea  i  piedi  in  alto. 
Per  le  spalle  la  chioma  iva  disciolta, 
E  l'aura  le  facea  lascivo  assalto. 
Stavano  cheti  tutti  i  maggior  venti. 
Forse  a  tanta  beltà  col  mare  attenti. 
37 

Ella  volgea  i  begli  occhi  a  terra  in  vano, 
Che  bagnavan  di  pianto  il  viso  e  '1  seno  ; 
E  vedea  il  lito  andar  sempre  lontano, 
E  decrescer  più  sempre  e  venir  meno. 
Il  destrier  che  nuotava  a  destra  mano. 
Dopo  un  gran  giro  la  portò  al  terreno 
Tra  scuri  sassi  e  spaventose  grotte. 
Già  cominciando  ad  oscurar  la  notte. 
38 

Quando  si  vide  sola  in  quel  deserto 
Che  a  riguardarlo  sol  mettea  paura. 
Ne  l'ora  che  nel  mar  Febo  coperto 
L'aria  e  la  terra  avea  lasciata  oscura; 
Fermossi  in  atto  ch'avria  fatto  incerto 
Chiunque  avesse  vista  sua  figura, 
S'ella  era  donna  sensitiva  e  vei'a, 

0  sasso  colorito  in  tal  maniera. 

39 
Stupida  e  fissa  nella  incerta  sabbia. 
Coi  capelli  disciolti  e  rabuffati. 
Con  le  man  giunte,  e  con  l'immote  labbia, 

1  languidi  occhi  al  ciel  tenea  levati; 
Come  accusando  il  gran  Motor,  che  l'abbia 
Tutti  inclinati  nel  suo  danno  i  fati. 
Immota  e  come  attonita  ste'  alquanto; 


dismo,  ma  in  ogni  caso  fu  legittimato  ben 
presto  dai  Toscani:  Berni,  Ori.  i,  33,  23. 
«  Orlando  va  pur  dietro  alla  riviera  ».  — 
Il  gran  mar,  l'Oceano. 
'  —  4.  l'nmor  ecc.  K  noto  che  la  sabbia 
umida  è  più  resistente  al  passo. 

36.  2.  in  alto  ;  in  alto  mare.  É  latinismo 
passato  ben  presto  nella  poesia  e  nella  pro- 
sa. M.  VILLANI,  1.  153:  «Colle  sue  galee  si 
teneva  in  alto  ». 

37.  5.  a  destra  mano  ;  Cioè  piegando  verso 
nord. 

—  6.  al  terreno  ;  a  terra  :  sulla  spiaggia 
francese. 

39.  1.  fissa;  ferma.  —  incerta  sabbia;  mo- 
bile, scorrevole  sotto  il  passo, 

—  5.  l'abb.,  le  abb.  V.  e.  vìi,  35,  a.  8. 

—  6.  inclinati;  rivolti. 


CANTO  Vili 


Poi  sciolse  al  duol  la  lingua,  e  gli  occhi  al 
40  [pianto. 

Dicea:  Fortuna,  che  più  a  far  ti  resta, 
Acciò  di  me  ti  sazii  e  ti  disfami? 
Che  dar  ti  posso  omai  più,  se  non  questa 
Misera  vita?  ma  tu  non  la  brami; 
Ch'ora  a  trarla  del  mar  sei  stata  presta, 
Quando  potea  finir  suoi  giorni  grami: 
Perché  ti  parve  di  voler  più  ancora 
Vedermi  tormentar  prima  ch'io  muora. 
41 

Ma  che  mi  possi  nuocere  non  veggio, 
Più  di  quel  che  sin  qui  nociuto  m'hai. 
Per  te  cacciata  son  del  real  seggio, 
Dove  più  ritornar  non  spero  mai: 
Ho  perduto  l'onor,  eh' è  stato  peggio; 
Che  se  ben  con  effetto  io  non  peccai. 
Io  do  però  materia  eh' ognun  dica 
Ch'essendo  vagabonda,  io  sia  impudica. 
42 

Cheaverpuòdonnaalmondopiù  di  buo- 
A  cui  la  castità  levata  sia?  fno. 

Mi  nuoce,  ahimè!  ch'io  son  giovane,  e  sono 
Tenuta  bella,  o  sia  vero  o  bugia. 
Già  non  ringrazio  il  ciel'di  questo  dono  ; 
Che  di  qui  nasce  ogni  ruina  mia. 
Morto  per  questo  fu  Argalia  mio  frate; 
Che  poco  gli  giovar  l'arme  incantate: 
43 

Per  questo  il  Re  di  Tartaria  Agricane 
Disfece  il  genitor  mio  Galafrone, 
Ch'in  India,  del  Cataio  era  gran  Cane  ; 
Onde  io  son  giunta  a  tal  condizione. 
Che  muto  albergo  da  sera  a  dimane. 
8e  l'aver,  se  l'onor,  se  le  persone 
M'hai  tolto,  e  fatto  il  mal  che  far  mi  puoi, 
A  che  più  doglia  anco  serbar  mi  vuoi? 
44 

Se  l'affogarmi  in  mar  morte  non  era 
A  tuo  senno  crudel,  pur  ch'io  ti  sazii, 
Non  recuso  che  mandi  alcuna  fera 
Che  mi  divori,  e  non  mi  tenga  in  strazii. 
D'ogni  martir  che  sia,  pur  ch'io  ne  pera, 
Esser  non  può  ch'assai  non  ti  ringiazii. 


41.  3.  cacciata  son.  La  Fortuna  la  cacciò 
del  real  seggio  quando  la  costrinse  a  fug- 
gire in  Albracca,  per  non  cadere  nelle  mani 
d'Aiiricane,  che  volea  farla  sua  sposa;  e 
ora  continua  a  tenerla  lontana  dal  Cataio 
con  queste  tristi  avventure.  —  Per  te,  da  te. 

42.  7.  per  questo.  Ferraù,  per  avere  An- 
gelica, combatté  coHWrgalia  e,  feritolo  nel- 
l'inguine, dove  non  lo  copriva  l'armatu- 
ra incantata,  l'uccise;  lan.  I,  ni. 

48.  3.  Cane;  Khan  in  Tartaro  vale  >*<?, 
iniperatore.  —  Cataio,  si  disse  anticamente 
la  parte  settentrionale  della  China. 

—  5.  dimane;   mattina:    v.  e.  ii,  ii,  n.  5. 

—  S.  A  che  più  doglia;  a  qual  maggior 
doglia;  v.  e.  xiii,  3,  n.  7. 


Cosi  dicea  la  Donna  con  gran  pianto. 
Quando  le  apparve  l'Eremita  accanto. 

40 
Avea  mirato  da  l'estrema  cima 
D'un  rilevato  sasso  l'Eremita 
Angelica,  che  giunta  alla  parte  ima 
'E  de  lo  scoglio,  aftìitta  e  sbigottita. 
Era  sei  giorni  egli  venuto  prima; 
Ch'un  demonio  il  portò  per  via  non  trita: 
E  venne  a  lei,  fingendo  divozione 
Quanta  avesse  mai  Paulo  o  Ilarione. 

46 
Come  la  Donna  il  cominciò  a  vedere. 
Prese,  non  conoscendolo,  conforto; 
E  cessò  a  poco  a  poco  il  suo  temere, 
Benché  ella  avesse  ancora  il  viso  smorto. 
Come  fu  presso,  disse:  Miserere, 
Padre, di  me;  ch'i' son  giunta  a  malporto. 
E  con  voce  interrotta  dal  singulto. 
Gli  disse  quel  eh' a  lui  non  era  occulto. 

47 
Comincia  l'Eremita  a  confortarla 
Con  alquante  ragion  belle  e  divote; 
E  pon  l'audaci  man,  mentre  che  parla, 
Or  per  lo  seno,  or  per  l'umide  gote: 
Poi  più  sicuro  va  per  abbracciarla; 
Et  ella  sdegnosetta  lo  percuote 
Con  una  man  nel  petto,  e  lo  rispinge, 
E  d'onesto  rossor  tutta  si  tinge. 

48 
Egli  ch'allato  avea  una  tasca,  aprilla, 
E  trassene  una  ampolla  di  liquore; 
E  negli  occhi  possenti,  onde  sfavilla 
La  più  cocente  face  ch'abbia  Amore, 
Spruzzò  di  quel  leggiermente  una  stilla, 
Che  di  farla  dormire  ebbe  valore. 
Già  resupina  ne  l'arena  giace 
A  tutte  voglie  del  vecchio  rapace. 

49 
Egli  l'abbraccia,  et  a  piacer  la  tocca; 
Et  ella  dorme,  e  non  può  fare  ischermo. 
Or  le  bacia  il  bel  petto,  ora  la  bocca:  [mo. 
Non  è  cli'il  veggia  in  quel  loco  aspro  eter- 
Ma  ne  l'incontro  il  suo  destrier  trabocca; 
Ch"al  disio  non  risponde  il  corpo  infermo: 
Era  mal  atto,  perché  avea  troppi  anni  ; 
E  potrà  peggio,  quanto  più  l'affanni. 

50 
Tutte  le  vie,  tutti  li  modi  tenta; 
Ma  quel  pigro  rozzon  non  però  salta: 


45.  S.  Paulo  ;  Primo  eremita  ;  della  pro- 
vincia d' Kgitto.  —  Ilarione;  altro  famoso 
eremita  di  Palestina. 

46.  2.  non  conoscendolo;  non  conoscendo 
le  sue  intenzioni. 

—  S.  non  era  occulto  ;  Perché  egli  stesso 
era  stato  causa  di  (juesta  sua  ultima  sven- 
tura. 

49.  8.  E  potrà  peggio.  Sottint.  soxteìiere 
o  simil  verbo. 


8G 


ORLANDO  FURIOSO 


Indarno  il  freu  gli  scuote,  e  lo  tormeuta; 
E  non  può  far  che  tenga  la  testa  alta. 
Al  fin  presso  alla  donna  s'addormenta; 
E  nuova  altra  sciagura  anco  l'assalta. 
Non  comincia  Fortuna  mai  per  poco, 
Quando  un  mortai  si  piglia  a  scherno  e  a 
51  [gioco. 

Bisogna,  prima  ch'io  vi  narri  il  caso, 
Ch'un  poco  dal  sentier  dritto  mi  torca. 
Nel  mar  di  Tramontana  in  ver  l'Occaso 
Oltre  l'Irlanda  una  isola  si  corca. 
Ebuda  nominata;  ove  è  rimaso 
Il  popol  raro,  poi  che  la  brutta  Orca, 
E  l'altro  marin  gregge  la  distrusse. 
Ch'in  sua  vendetta  Proteo  vi  condusse. 
52 

Narrau  l'antique  istorie,  o  vere  o  false, 
Che  tenne  già  quel  luogo  un  Re  possente, 
Ch'ebbe  una  figlia,  in  cui  bellezza  valse 
E  gVazia  si,  che  potè  facilmente, 
Poi  che  mostrossi  in  su  l'.n -ene  salse. 
Proteo  lasciare  in  mezzo  l'acque  ardcute; 
E  quello,  un  di  che  sola  rilrovolla, 
Compresse,  e  di  sé  gravida  lasciolla. 
5.3 

La  cosa  fu  gravissima  e  molesta 
Al  padre,  pili  d' ogn'  altro  empio  e  severo  : 
Né  per  iscusa  o  per  pietà,  la  testa 
Le  perdonò:  si  può  lo  sdegno  ti  ero. 
Né  per  vederla  gravida,  si  resta 
Di  subito  eseguire  il  crudo  impero! 
E  '1  nipotin  che  non  avea  peccato, 
Prima  fece  morir  che  fosse  nato. 
54 

Proteo  marin,  che  pasce  il  fiero  armento 
Di  Nettuno  che  l'onda  tutta  regge, 
Sente  de  la  sua  donna  aspro  tormento, 
E  per  grand'  ira  rompe  ordine  e  legge  ; 


50.  6.  l'assalta;  assalta  Angelica.  II  pro- 
nome non  è  qui  molto  chiaro. 

51.  4.  si  corca.  Per  analogia  del  più  co- 
mune giace:  è  poetico. 

—  5.  Ebuda.  Ebude  furon  dette  dagli  an- 
tichi (Plinio,  lib.  IV)  quelle  isole  a  ponente 
della  Scozia,  (in  ver  l'occaso)  che  ora  si 
chiamano  Ebridi.  Pare  ohe  all' A.  sia  pia- 
ciuto di  farne  una  sola,  di  molte  che  sono. 

—  8.  Proteo,  secondo  la  favola,  custode 
del  gregge  marino. 

52.  4.  potè.  Poiché  l'ediz.  del  1532  manca 
sempre  degli  accenti,  qui  potrebbe  parere 
opportuno  intenderlo  come  passato  ;  ma 
l'ediz.  del  1516,  che  ha  gli  accenti,  legge 
2JU0te.  Del  resto  v.  e.  i,  81,  n.  3. 

—  8.  Compresse.  Sottint.  la.  V.  e.  i,  21 ,  n.  7. 

53.  5.  si  resta.  È  impersonale:  Gli  esecu- 
tori si  trattengono  dall' eseguire  ecc. 

54.  4.  ordine  e  le^ge;  l'ordine  dato  a  lui, 
e  la  legge  imposta  da  natura  a  questi  ani- 
mali marini. 


Si  che  a  mandare  in  terra  non  è  lento 
L'orche  e  le  foche,  e  tutto  il  marin  gregge. 
Che  distruggon  non  sol  pecore  e  buoi, 
Ma  ville  e  borghi  e  li  cultori  suoi: 
55 

E  spesso  vanno  alle  città  murate, 
E  d'ognintorno  lor  mettono  assedio. 
Notte  e  di  stanno  le  persone  armate 
Con  gran  timore  e  dispiacevo!  tedio: 
Tutte  hanno  le  campagne  abbandonate; 
E  per  trovarvi  al  fin  qualche  rimedio. 
Andarsi  a  consigliar  di  queste  cose 
AU'Oracol,  che  lor  cosi  rispose: 
5G 

Che  trovar  bisognava  una  donzella 
Che  fosse  all'altra  di  bellezza  pare, 
Et  a  Protea  sdegnato  offerir  quella. 
In  cambio  de  la  morta,  in  lito  al  mare. 
S'a  sua  satisfazion  gli  parrà  bella, 
8e  la  terrà,  né  li  verrà  a  sturbare: 
Se  per  questo  non  sta,  se  gli  appreseuti 
Una  et  un'altra,  fin  che  si  contenti. 
57 

E  cosi  cominciò  la  dura  sorte 
Tra  quelle  che  più  grate  eran  di  faccia, 
Ch'a  Proteo  ciascun  giorno  una  si  porte. 
Fin  che  trovino  donna  che  gli  piaccia. 
La  prima  e  tutte  l'altre  ebbene  morte; 
Che  tutte  giii  pel  ventre  se  le  caccia 
Un'Orca  che  restò  presso  alla  foce, 
Poi  che  '1  resto  parti  del  gregge  atroce. 
58 

0  vera  o  falsa  che  fosse  la  cosa 
Di  Proteo  (ch'io  non  so  che  me  ne  dica), 
Servosse  in  quella  terra,  con  tal  chiosa, 
Contra  le  donne  un'empia  legge  antica; 
Che  di  lor  carne  l'Orca  monstruosa 
Che  viene  ogni  di  al  lito,  si  notrica. 
Ben  ch'esser  donna  sia  in  tutte  le  bande 
Danno  e-sciagura,  quivi  era  pur  grande. 


55.  1.  murate;  cinte  di  mura. 

57.  1.  la  dura  sorte;  il  duro  sorteggio  tra 
quelle,  che  eran  più  belle;  in  modo  che  si 
porti  a  Proteo  ecc. 

—  5.  ebbene.  Terminaz.  popolare,  viva 
ancora  nella  plelje  Toscana. 

—  7.  Un'  orca.  F,' idea  di  quest'orca  favo- 
losa forse  venne  all' A.  dall'Orco  del  Boiar- 
do, Inn.  Ili,  III,  27,  che  è  un  mostro  terre- 
stre, il  quale  si  pasce  di  carne  umana;  ma 
vi  contribuirono  anche  i  mostri  marini  della 
mitologia,  ai  quali  furono  esposte  Andro- 
meda e  Esione. 

58.  3.  con  tal  chiosa.  La  chiosa  è  il  com- 
mento della  legge;  dunque  intendi:  Serbossi 
un'empia  legge  antica,  la  quale  riceve  un 
continuo  commento  dal  fatto,  che  l'orca  di- 
vora ogni  giorno  una  donna. 

—  S.  pur.  È  enfatico  e  come  esclamativo: 
Era  ben  graìide.  Cosi  alla  st.  23.  7. 


CANTO  Vili 


87 


59 

Oh  misere  donzelle  che  trasporte 
Fortuna  ingiuriosa  al  lito  infausto! 
Dove  le  genti  stan  sul  mare  accorte 
Per  far  de  le  straniere  empio  olocausto; 
Che,  come  più  di  fuor  ne  sono  morte, 
Il  numer  de  le  loro  è  meno  esausto  : 
•■^Ma  perché  il  vento  ogn'or  preda  non  me- 
Eicercando  ne  van  per  ogni  arena,     [na, 
60 

Van  discorrendo  tutta  la  marina 
Con  fuste  e  grippi,  et  altri  legni  loro; 
E  da  lontana  parte  e  da  vicina 
Portan  sollevamento  al  lor  martore. 
Molte  donne  han  per  forza  e  per  rapina, 
Alcune  per  lusinghe,  altre  per  oro; 
E  sempre  da  diverse  regioni 
N'hanno  piene  le  torri  e  le  prigioni. 
61 

Passando  una  lor  fusta  a  terra  a  terra 
Inanzi  a  quella  solitaria  riva 
Dove  fra  sterpi  in  su  l'erbosa  terra 
La  sfortunata  Angelica  dormiva, 
Smontaro  alquanti  galeotti  in  terra 
Per  riportarne  e  legna  et  acqua  viva; 
E  dì  quante  mai  fur  belle  e  leggiadre, 
Trovaro  il  fiore  in  braccio  al  santo  padre. 
62 

Oh  troppo  cara,  oh  troppo  eccelsa  preda 
Per  si  barbare  genti  e  si  villane! 
Oh  Fortuna  crudel,  chi  tia  ch'il  creda. 
Che  tanta  forza  hai  ne  le  cose  umane? 
Che  per  cibo  d'jin  mostro  tu  conceda 
La  gran  beltà,  ch'in  India  il  Re  Agricane 
Fece  venir  da  le  Caucasee  porte 

59.  1.  che  trasporte;  cui  trasporti. 

—  3.  accorte;  attente,  sull'avviso.  Petr. 
1,  14:  «  Prego  vi  state  accorti,  Che  già  vi 
sfida  amore,  occhi  miei  lassi  ». 

—  4.  olocausto.  Propriain.  è  un  sacrifizio 
di  vittime,  che  si  bruciavan  tutte  in  onor 
di  dio  (gr.  olox,  tutto;  caio,  brucio);  qui 
vale  sacrifizio  in  genere. 

—  5.  come  pili  ;  (juante  più. 

60.  2.  fuste  ;  (lai.  fustis)  piccole  navi  a 
Temi,  assai  veloci,  che  servivano  special- 
mente ai  pirati.  —  grippi;  (etini.  oscura) 
navi  anche  queste  assai  veloci,  da  corseg- 
giare. 

61.  1.  a  terra  a  terra.  Più  comunem.  : 
Terra  terra. 

—  6.  acqua  viva;  acqua  di  vena. 

62.  4.  hai  ecc.  Chi  fia  che  creda,  che  tu 
abbia  tanta  forza  nelle  e.  um.  da  conce- 
dere ecc.  bui  verbo  credere  coir  indie,  cfr. 
e.  v,  42,  n.  3. 

—  5.  Che.  cosi  che. 

—  7.  Caucasee  porte.  Cosi  furon  chiamate 
le  strette  di  Derbend  nel  Caucaso,  chiuse 
per  arte  con  sbarre  e  un  castello  per  con- 
tenere i  popoli  Tartari. 


Con  mezza  Scizia  a  guadagnar  la  morte. 
63 

La  gran  beltà,  che  fu  da  Sacripante 
Posta  inanzi  al  suo  onore  e  al  suo  bel  regno; 
La  gran  beltà,  ch'ai  gran  Signor  d'Anglan- 
Macchiò  la  chiara  fama  e  l'alto  ingegno;  [te 
La  gran  beltà,  che  fé'  tutto  Levante 
Sottosopra  voltarsi,  e  stare  al  segno, 
Ora  non  ha  (cosi  è  rimasa  sola) 
Chi  le  dia  aiuto  pur  d'una  parola. 
64 

La  bella  donna,  di  gran  sonno  oppressa, 
Incatenata  fu  prima  che  desta. 
Portaro  il  frate  incantator  con  essa 
Nel  legno  pien  di  turba  aftlitta  e  mesta. 
La  vela,  in  cima  all'arbore  rimessa, 
Rendè  la  nave  all'isola  funesta. 
Dove  cliiuser  la  donna  in  rocca  forte. 
Fin  a  quel  di  eh' a  lei  toccò  la  sorte. 
65 

Ma  potè  si,  per  esser  tanto  bella, 
La  fiera  gente  muovere  a  pietade. 
Che  molti  di  le  differiron  quella 
Morte,  e  serbarla  a  gran  necessitade; 
E  fin  ch'ebber  di  fuore  altra  donzella, 
Perdonare  all'angelica  beltade. 
Al  Mostro  fu  condotta  finalmente 
Piangendo  dietro  a  lei  tutta  la  gente. 
66 

Chi  narrerà  l'angoscie,  i  pianti,  i  gridi, 
L'alta  querela  che  nel  ciel  penetra? 
Maraviglia  ho  che  non  s'aprirò  i  lidi, 
Quando  fu  posta  in  su  la  fredda  pietra, 
Dove  in  catena,  priva  di  sussidi, 
Morte. aspettava  abominosa  e  tetra. 
Io  noi  dirò;  che  si  il  dolor  mi  muove. 
Che  mi  sforza  voltar  le  rime  altrove, 
67 

E  trovar  versi  non  tanti  lugubri. 
Fin  che  '1  mio  spirto  stanco  si  riabbia: 
Che  non  potrian  li  squalidi  colubri. 


I  — -  8.  Scizia.  Nome  antico  della  Tartaria, 
j  dove  regnava  Agricane,  e  di  i>arte  della 
i  Russia. 

!  63.  3.  al  Signor  d'Angl.;  v.  e.  i,  57,  n.  1. 
j  Orlando,  secondo  la  ti-adizione  cavallere- 
j  sca,  era  pio  costumato  religioso  e  difen- 
1  sore  della  causa  di  Cristo;  ma  neìV Innam. 
:  per  andar  dietro  ad  .\ng.  diserta  il  campo 
j  cristiano. 

—  6.  stare  al  segno:  Fare  stare  al  se- 
^  gno,  e  più  comun.  a  segno,  vale  Fare  ub- 
bidire; qui  dunque  vuol  dire:  Fece  tutto  il 
,  Levante  obbedire  alle  sue  voglie.  Petr., 
■  Trionf.  d'Amore  i,  102:  «Pur  Faustina  il 
I  fa  qui  stare  a  seguo  ». 

,        64.  4.  afflitta  e  mesta,  vedendo  tanta  di- 
j  sgrazia  piombare  su  tanta  beltà.  V.  st.  65,  8. 
I        66.  4.  fredda  pietra,  lo  scoglio. 
I        67.  1.  non  tanti  lugubri.  V.  e.  V,  13,   n.  7. 


88 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  l'orba  tigre  accesa  in  maggior  rabbia. 
Né  ciò  che  da  l'Atlante  ai  liti  rubri 
Venenoso  erra  per  la  calda  sabbia. 
Né  veder  né  pensar  senza  cordoglio, 
Angelica  legata  al  nudo  scoglio. 
68 

Oh  se  l'avesse  il  suo  Orlando  saputo, 
Ch'era  per  ritrovarla  ito  a  Parigi; 
O  li  dui  ch'ingannò  quel  vecchio  astuto 
Col  messo  che  venia  dai  luoghi  Stigi! 
Fra  mille  morti,  per  donarle  aiuto. 
Cercato  avrian  gli  angelici  vestigi. 
Ma  che  fariano,  avendone  anco  spia 
Poi  che  distanti  son  di  tanta  via  ? 
69 

Parigi  intanto  avea  l'assedio  intorno 
Dal  famoso  figliuol  del  Re  Troiano  ; 
E  venne  a  tanta  estremitade  un  giorno, 
Che  n'andò  quasi  al  suo  nimico  in  mano: 
E  se  non  che  li  voti  il  ciel  placorno. 
Che  dilagò  di  pioggia  oscura  il  piano, 


—  4.  accesa  in  maggior  rabbia;  accesa 
delia  maggior  rabbia.  Il  Boiardo,  Inn.  I, 
II,  23  ;  disse  :  «  agghiaccio  in  gelosia  ».  Quan- 
to al  superlativo  relativo  senza  artic.  V. 
e.  VII.  69,  n.  5. 

—  5.  ciò  che...  Tenenoso;  quanti  animali 
velenosi  sono  dall'Atlante  al  mar  Rosso 
(liti  rubri).  I  deserti  dell'Affrica  son  pieni 
di  velenosi  serpenti.  V.,  anche,  per  l' espres- 
sione, Dante,  Inf.  24,  88-90. 

68.  1.  Orlando.  Dopo  aver  seguito  Ange- 
lica in  Oriente,  e  avere  incontrato  per  amo- 
re di  lei  tante  e  svariate  avventure,  torna 
con  essa  in  Ponente;  per  guadagnarla  fa 
grandi  prove  di  valore  contro  i  Saracini, 
ma,  per  incanti  di  Atlante,  è  tratto  e  chiuso 
m  un  luogo  incantato;  liberatone  da  Bran- 
dimarte,  va  a  Parigi  (il  Boiardo  non  dice 
che  vada  a  cercare  Ang.),  dove  di  nuovo 
combatte  contro  i  .Saracini;  ma,  fattasi  notte 
e  levatasi  una  tempesta,  la  battaglia  è  so- 
spesa. Fin  qui  il  Boiardo. 

—  3.  li  dui.  Rinaldo  e  Sacripante.  V.  e. 
II,  15. 

—  7.  spia;  indizio;  v.  e.  vìi,  34. 

69.  1.  Parigi  ecc.  Il  BOIARDO,  /nn.  IH, 
Tiii,  ha  immaginato  e  descritto  un  grande 
assalto  dato  dai  Saracini  a  Parigi;  ma,  ve- 
nuta la  notte  e  una  tempesta  sfavorevole 
ad  essi,  il  combattimento  è  sospeso.  VA. 
immagina  che  Agrain.  ponga,  dopo  ciò,  re- 
golare assedio  alla  città  e  che  solamente 
dopo  due  mesi  e  più  rinnuovi  l'assalto;  v. 

e.   XIV. 

—  5.  li  voti.  Inn.  III.  vili,  51:  «  Ma  fosse 
0  per  quel  popolo  divoto.  Che  in  Parigi  pre- 
gava con  lamento  ecc.  ». 

—  6.  oscura.  Perché  veniva  di  notte.  Ve- 
dine l'illustrazione  al  e.  xviii,  142.  Da.nte, 


Cadea  quel  di  per  l'Africana  lancia 
Il  santo  Imperioe'l  graunomediFrancia, 
70 

Il  sommo  Creator  gli  occhi  rivolse 
Al  giusto  lamentar  del  vecchio  Carlo, 
E  con  subita  pioggia  il  foco  tolse; 
Né  forse  uman  saper  potea  smorzarlo. 
Savio  chiunque  a  Dio  sempre  si  volse; 
Ch'altri  non  potè  mai  meglio  aiutarlo. 
Ben  dal  devoto  Re  fu  conosciuto. 
Che  si  salvò  per  lo  divino  aiuto. 
71 

La  notte  Orlando  alle  noiose  piume 
Del  veloce  pensier  fa  parte  assai. 
Or  quinci  or  quindi  il  volta,  or  lo  rassum& 
Tutto  in  un  loco,  e  non  l'afferma  mai: 
Qua!  d'acqua  chiara  il  tremolante  lume. 
Dal  sol  percossa  o  da  notturni  rai. 
Per  gli  ampli  tetti  va  con  lungo  salto 
A  destra  et  a  sinistra,  e  basso  et  alto. 
72 

La  donna  sua  che  gli  ritorna  a  mente,. 
Anzi  che  mai  non  era  indi  partita. 
Gli  raccende  nel  core  e  fa  più  ardente 
La  fiamma  che  nel  di  parca  sopita. 
Costei  venuta  seco  era  in  Porgente 
Fin  dal  Cataio;  e  qui  l'avea  smarrita. 
Né  ritrovato  poi  vestigio  d'ella 
Che  Carlo  rotto  fu  presso  a  Bordella. 

73  •     [seco 

Di  questo  Orlando  avea  gran  doglia,  e 
Indarno  a  sua  sciocchezza  ripensava. 
Cor  mio  (dicea)  come  vilmente  teco 


Purg.  28,  31  :  «  Avvegnaché  si  muova  (l' ac- 
qua) bruna  bruna  Sotto  l'ombra  perpetua  ». 

70.  3.  il  foco.  Inn.  III,  viii,  5  «  E  pietre 
e  fuoco  trae  dentro  la  terra»;  e  st.  24: 
«  Né  altro  S'odia  che  morte  sangue  e  foco  ». 

71.  2.  fa  parte;  fa  sentire  anche  al  letto 
gli  effetti  dell'agitato  pensiero,  voltandosi 
qua  e  là. 

—  3.  rassume;  raccoglie.  Si  cita  questo 
solo  luogo  dell' A. 

-—  4.  afferma;  ferma,  trattiene.  Guido  Giu- 
dice, Stor.  volg.  167.  «  Legando  con  ferme 
funi  ed  affermandole  con  poderose  ancore  ». 
Ma  è  raro. 

—  5.  Qnal  d'acqaa  ecc.  La  compar.  è  tfllt^ 
da  Virgilio,  En.  8,  23  seg.  «  Sicut  aquae 
tremulum  labris  ubi  lumen  ahenis  Sole  re- 
percussuni,  aut  radiantis  imagine  lunae. 
Omnia  pervolitat  late  loca,  iamque  sub  au- 
ras  Erigitur,  summique  ferit  laquearia  tec- 
ti». 

72.  5.  V.  e.  I,  5,  n.  1. 

—  7.  poi;  Uniscilo  col  che  del  v.  8.  Que- 
sta separazione  si  trova  anche  nella  prosa. 

—  8.  Bordella;  Bordeaux:  altrove  l' A.  dis- 
se Bordea.  in,  75. 


CANTO  Vili 


Mi  son  portato!  cime,  quanto  migrava 
Che  potendoti  aver  notte  e  di  meco. 
(Quando  la  tua  bontà  non  mei  negava, 
T'abbia  lasciato  in  man  di  Namo  porre, 
Per  non  sapermi  a  tanta  ingiuria  opporre  I 
74 

Non  aveva  ragione  io  di  scusarme? 
E  Carlo  non  m'avria  forse  disdetto: 
Se  pur  disdetto,  e  chi  potea  sforzarme? 
Chi  ti  mi  volea  torre  al  mio  dispetto? 
Non  poteva  io  venir  pili  tosto  all'arme? 
Lasciar  più  tosto  trarrai  il  cor  del  petto  ? 
Ma  né  Carlo  né  tutta  la  sua  gente 
Di  tormiti  per  forza  era  possente. 
75 

Almen  l'avesse  posta  in  guardia  buona 
Dentro  a  Parigi  o  in  qualche  roccaforte. 
Che  l'abbia  data  a  Namo  mi  consona, 
Sol  perché  a  perder  labbia  a  questa  sorte. 
Chi  la  dovea  guardar  meglio  persona 
Di  me?  ch'io  dovea  farlo  tino  a  morte; 
Guardarla  più  che  '1  cor,  che  gli  occhi  miei  : 
E  dovea  e  potea  farlo,  e  pur  noi  fei. 
76 

Deh!  dove  senza  me,  dolce  mia  vita, 
Rimasa  sei  si  giovane  e  si  bella? 
Come,  poi  che  la  luce  è  dipartita, 
Riman  tra  boschi  la  smarrita  aguella. 
Che  dal  pastor  sperando  essere  udita. 
Si  va  lagnando  in  questa  parte  e  in  quella; 
Tanto  che  '1  lupo  l'ode  da  lontano, 
E  '1  misero  pastor  ne  piagne  in  vano. 


73.  6.  Quando  ecc.  Qui  Orlando  è  illuso 
dall'amore,  perché  nell'/uu.  .\ngelica  non 
lo  ama  giammai,  e  lo  lusinga  solamente 
per  averne  il  valido  aiuto. 

74.  3.  Se  pur  disd.  ;  K  se  anche  mi  avesse 
disdetto,  chi  poteva  costringermi  colla  for- 
za a  lasciarti? 

—  4.  ti  mi;  V.  e.  iv,  43,  n.  2. 

75.  3.  mi  consona;  mi  par  verosimile  che 
l'abbia  data  a  Namo,  solo  perché  io  la  deb- 
ba perdere  in  questo  modo;  potendo  ella, 
con  si  debole  difensore,  correr  gravi  peri- 
coli. Davanzati,  Tac.  1,393:  «Ma  a  me 
non  consuona  (non  par  verosimile)  né  che 
Antonio  prestasse  il  suo  nome,  né  ecc.  ». 

—  4.  a  questa  sorte  ;  a  questa  maniera. 
G.  ViLL.,  9,  219,  4:  «Per  lo  modo  e  sorte 
come  detto  avemo  ». 

—  5.  Chi...  meglio  persona.  Chi  è  agget- 
tivo =  fjìial,  ed  è  consono  al  latino  quis, 
che  talvolta  si  usa  in  tal  modo:  Qiial  per- 
sona migliore  eli  me  la  dovea  guardare  ? 
È  un  uso  molto  notevole.  Cfr.  e.  viii,  43,  n.  8 
e  xin,  3,  7.  Se  hai  scrupolo  per  la  strana 
inversione  v.  e.  x,  110,  2;  xxxiii,  90,  1. 

76.  3.  Come  ecc.  Dall' interrogaz.  prece- 
dente va  rilevata  la  prima  parte  della  com- 
paraz.:  Tu  sei  rimasta  ecc. 


77 
Dove,  speranza  mia,  dove  ora  sei? 
Vai  tu  soletta  forse  ancor  errando? 
O  pur  t'hanno  trovata  i  lupi  rei 
Senza  la  guardia  del  tuo  lido  Orlando? 
E  il  fior  ch'in  ciel  potea  pormi  fra  1  Dei, 
Il  fior  ch'intatto  io  mi  venia  serbando 
Per  non  turbarti,  ohimè!  l'animo  casto. 
Ohimè!  per  forza  avranno  colto  e  guasto. 

78 
Oh  infelice!  oh  misero!  che  voglio 
Senon  morir,  se 'I  mio  bel  fior  colto  hanno? 
0  sommo  Dio,  fammi  sentir  cordoglio 
Prima  d'ognaltro,  che  di  questo  danno. 
Se  questo  è  ver,  con  le  mie  man  ini  foglio» 
La  vita,  e  l'alma  disperata  danno. 
Cosi,  piangendo  forte  e  sospirando, 
Seco  dicea  l'addolorato  Orlando. 

Già  in  ogni  parte  gli  animanti  lassi 
Davan  riposo  ai  travagliati  spirti. 
Chi  sulle  piume,  e  chi  su  i  duri  sassi. 
E  chi  su  l'erbe,  e  chi  su  faggi  o  mirti: 
Tu  le  palpebre,  Orlando,  a  pena  abbassi. 
Punto  da'  tuoi  pensieri  acuti  et  irti  ; 
Né  quel  si  breve  e  fuggitivo  sonno 
Godere  in  pace  anco  lasciar  ti  ponno. 
80 

Parea  ad  Orlando,  s'una  verde  riva 
D'odoriferi  fior  tutta  dipinta, 
Mirare  il  bello  avorio,  e  la  nativa 
Purpura  ch'avea  Amor  di  sua  man  tinta, 
E  le  due  chiare  stelle  onde  nutriva 
Ne  le  reti  d'Amor  l'anima  avvinta: 
Io  parlo  de'  begli  occhi  e  del  bel  volto, 
Che  gli  hanno  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto. 
81 

Sentia  il  maggior  piacer,  la  maggior  fe- 
Che  sentir  possa  alcun  felice  amante;  [sta 
Ma  ecco  intanto  uscire  una  tempesta 
Chestruggeai  fiori,  et  abbattea  le  piante. 
Non  se  ne  suol  veder  simile  a  questa,  [te. 
Quando  giostra  Aquilone,  Austro  e  Levan- 


77.  3.  i  Inpi  rei.  Seguitando  l'idea  del- 
l'agnella,  i  malfattori  sono  chiamati  lupi 
rei. 

I       —  5.  E  il  fior.  Sulla  virtù  d'Orlando  vedi 
i  Inn.  I,  XXIV,  14;  xxv,  37-39. 

78.  5.  Se  questo  è  ver.  Con  questa  dispe- 
j  razione  di  Ori.  per  il  lontano  sospetto.  IW. 
I  prepara  la  scena  della  pazzia  al  e.  xxiii. 

79.  1.  Già  in  ogni  ecc.  Ricorda  VIRGILIO, 
En.  8,  26:  «  Nox  erat:  et  terras  ani  malia 
fessa  per  omnis,  Alituum  pecudumque  ge- 
nus,  sopor  altus  habebat  »  già  imitato  da 
Dante,  Inr'.  2,  1.  —  animanti;  (lat.  animatì- 
tia).  Latinismo  elegante. 

80.  5.  onde  nutriva;  del  cui  lume  alimen- 
I  tava  l'anima  sua  avvinta  nelle  reti  ecc. 


90 


ORLANDO  FURIOSO 


Parca  che  per  trovar  qualche  coperto,         ' 
andasse  errando  in  van  per  un  deserto. 

'82 

Intanto  T  infelice  (e  non  sa  come) 
Perde  la  donna  sua  per  l'aer  fosco; 
Onde,  di  qua  e  di  là,  del  suo  bel  nome 
Fa  risonare  ogni  campagna  e  bpsco. 
E  mentre  dice  indarno:  Misero  me! 
Chi  ha  cangiata  mia  dolcezza  in  tosco? 
Ode  la  donna  sua  che  gli  domanda. 
Piangendo,  aiuto,  e  se  gli  raccomanda. 
83 

Onde  par  ch'esca  il  grido,  va  veloce; 
E  quinci  e  quindi  s'affatica  assai. 
Oh  quanto  è  il  suo  dolore  aspro  et  atroce, 
Che  non  può  rivedere  i  dolci  rail 
Ecco  ch'altronde  ode  da  un'altra  voce  : 
Non  sperar  più  gioirne  in  terra  mai. 
A  questo  orribil  grido  risvegliossi, 
E  tutto  pien  di  lacrime  trovossi. 
84 

Senza  pensar  che  sian  l'imagin  false 
Quando  per  tema  o  pei'  disio  &i  sogna, 
De  la  donzella  per  mpdo  gli  calse, 
Che  stimò  giunta  a  danno  od  a  vergogna, 
Che  fulminando  fuor  del  letto  salse. 
Di  piastra  e  maglia,  quanto  gli  bisogna, 
Tutto  guarnissi,  e  Brigli&doro  tolse; 
iJiTé  di  scudiero  alcuu  servigio  volse. 
85 

E  per  potere  entrare  ogni  sentiero 
Che  la  sua  dignità  macchia  non  pigli, 
Non  l'onorata  insegna  del  quartiero, 


81.  7.  coperto;  luogo  coperto.  Berni,  0. 
/.  I,  8,  14  «  Sotto  uà  coperto  di  vermiglie 
rose  ». 

82.  5.  Misero  me.  V.  0.  I,  43,  n.  6. 

83.  6.  Non  sperar  ecc.  Petr.,  I,  Son.  192  : 
-.  Xou  sperar  di  vedermi  in  terra  mai  ». 

84.  1.  che  sian.  SuU'  uso  del  congiunt.  cfr. 
e.  v,  67,  n.  8. 

—  5.  fulminando;  colla  rapidità  del  ful- 
mine. —  salse,  V.  st.  6,  n.  3. 

—  7.  Bngiiadoro.  È  il  cavallo  d'Orlando. 
Il  nome  è  una  novità  Boiardesca,  perché 
nella  Chanson  de  Roland  e  negli  altri  poe- 
mi è  sempre  chiamato  Vegliantino,  (Veil- 
lantiO-  Fu  tolto,  insieme  con  Durindana,  ad 
Almonte. 

85.  1.  entrare  ogni  s.  Entrare  col  com- 
plemento diretto  fu  molto  usato  dagli  an- 
tichi, che  tolsero  il  costrutto  dai  Latini. 

—  2.  Che;  in  modo  che. 

3.  l'onorata  insegna  ecc.  Inn.  I,  il,  28, 

dopo  aver  detto  delle  smanie  d' Orlando  per 
Angelica,  il  Boiardo  aggiunge  :  «  Cosi  di- 
cendo dal  letto  si  leva....  Nascosamente  ve- 
ste l'armatura.  Già  non  portò  l'insegna  del 
quartiero,  Ma  d'  un  vermiglio  scuro  era  ve- 
stito ».  Quartiero:  ciascuna  delle  quattro 
pezze,   che  dividono  il  campo  dello  scudo. 


Distinta  di  color  bianchi  e  vermigli, 
Ma  portar  vo^se  un  ornamento  nero; 
E  forse  aedo  ch'ai  suo  dolor  simigli: 
E  quello  avea  già  tolto  a  uno  Araostante, 
Ch'uccise  dì  sua  man  pochi  anni  inante. 

86 
Da  mezza  notte  tacito  si  parte, 
E  non  saluta,  e  non  fa  motto  al  zio; 
Né  ai  fido  suo  compagno  Brandimarte, 
Che  tanto  amar  solca,  pur  dice  a  Dio. 
Ma  poi  che  '1  Sol  con  l'auree  chiome  sparte 
Del  ricco  albergo  di  Tifone  uscio, 
Efe'  l'ombra  fuggire  umida  e  nera, 
S'avvide  il  Re  che'l  Paladin  non  v'aera. 

87 
Con  suo  gran  dispiacer  s'avvede  Carlo 
Clie  partito  la  notte  h  il  suo  nipote, 
Quando  esser  dovea  seco,  e  più  aiutarlo  : 
E  ritener  la  colera  non  puote, 
Ch'a  lamentarsi  d'esso,  et  a  gravarlo 
Non  incominci  di  biasìmevol  note; 


e  più  specialin.  quella,  dove  si  dipingeva 
l'insegna.  L'insegna  d'Or,  consisteva  in 
quattro  scompartimenti  alternati  di  coltor 
bianco  e  rosso:  l'aveva  tolta,  colla  spada 
e  col  cavallo,  ad  Almonte,  che  egli,  giovi- 
netto ancora,  aveva  ucciso  in  Aspromonte. 
Queste  insegne  si  portavano  non  solo  nello 
scudo,  ma  anche  sulla  sopravveste  :  Orlando 
copri  di  nero  lo  scudo  e  prese  una  sopravv. 
nera. 

—  7.  Amostante,  (arab.  al-mostaatn,  du- 
ce), Nome  di  una  dignità  presso  gli  Arabi. 

86.  1.  Da  mezza  notte.  Da  per  a  in  espres- 
sioni di  tempo  usò  più  volte  l'A.  :  V.  e.  xr, 
65;  xLvi,  68;  ed  è  uso  affine  ai  nodi  co- 
muni Da  sera,  Da  mattina. 

—  2.  zio;  Carlo  Magno.  Orlando  era  figlio 
di  Berta  sorella  di  C.  xMagno. 

—  3.  Brandimarte,  figlio  del  re  Monodan- 
te, è  rubato,  da  piccolo,  da  un  servo,  che 
lo  vende  al  conte  di  Rocca  Silvana.  É  amato 
e  lasciato  erede  dal  suo  signore.  Si  inette 
in  avventura  e  si  incontra  con  Orlando,  che 

I  lo  converte  al  cristianesimo.  Egli  si  afte- 
I  ziona  tanto  al  paladino,  che  sempre  lo  se- 
gue, anche  quando,  ritrovato  il  padre  Mo- 
nodante, dovrebbe  starsene  presso  di  lui. 
Ha  per  donna  e  poi  per  moglie  Fiordiligi. 
Cosi  ueìV  Innam. 

—  6.  Del  ricco  albergo.  L'  Oriente  è  ricco 
di  merci  e  di  pietre  preziose.  Titone,  se- 
condo la  favola,  fu  marito  dell'Aurora. 

87.  5.  Che,  si  che  —  gravarlo.  V.  e.  va,  18, 
n.  5. 

—  6.  biasìmevol  note;  note  di  biasimo, 
i^ui  l'A.  avea  certo  presenti  i  rudi  biasimi, 
che  il  Boiardo  pone  in  bocca  a  C.  Magno, 
quando  sa  che  orlando  è  corso  dietro  ad 
Angelica;  Inn.  I,  ii,  64,  65.  Di  biasimevole 


CANTO  Vili 


E  minacciar  se  non  ritorna,  e  dire 
■Che  lo  faria  di  tanto  error  pentire. 
88 

Brandimarte,  eli'  Orlando  amava  a  pare 
Di  sé  raedesmo,  non  fece  soggiorno: 
O  che  sperasse  farlo  ritornare, 
O  sdegno  avesse  udirne  biasmo  e  scorno 
E  volse  a  pena  tanto  dimorare. 
Ch'uscisse  fuor  ne  l'oscurar  del  giorno. 
A  Fiordiligi  sua  nulla  ne  disse. 
Perché  '1  disegno  suo  non  gì' impedisse. 
89 

Era  questa  una  donna  che  fu  molto 
Da  lui  diletta,  e  ne  fu  raro  senza; 
Di  costumi,  di  grazia  e  di  bel  volto 
Dotata,  e  d'accortezza  e  di  prudenza: 
E  se  licenzia  or  non  n'  aveva  tolto, 
Fu  che  sperò  tornarle  alla  presenza 


in  senso  attivo  si  cita  questo  solo  esempio 
dell'  A. 

88.  2.  soggiorno;  indugio.  Villani  G.,  8, 
52,  2:  «  Sanza  soggiorno  andarono  in  Mu- 
gello ». 

—  4.  udirne;  a  udirne.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

—  7.  Fiordiligi.  Nell'/n».  Fiordelisa.  Fu 
figlia  del  re  Dolistone.  Rubata  da  un  servo, 
è  venduta  al  conte  di  Rocca  Silvana.  Cre- 
sce insieme  con  Brandimarte,  che  se  ne  in- 
namora. Ella  lo  segu'e  sempre  in  mezzo  a 
mille  avventure,  lincbé  si  scopre  che  essa 
pure,  come  Brandimarte,  è  liglia  di  re.  Si 
sposano;  e,  poiclié  Brandimarte  vuol  se- 
guire Orlando,  Fiord,  lo  accompagna. 

89.  3.  Di  costumi;  di  buoni  costumi.  Dan- 
te, Convito  254:  «  Li  costumi  sono  beliate 
dell'  anima  >.  La  Fiordelisa  del  B.  è  meno 
delicata  e  poetica  di  questa  dell'.-vriosto.  V. 
Ina.  I,  XIX,  61  seg.  II,  xxvii,  32,33;  I,  xix, 
57,  58. 

—  ti.  Fu  che;  fu  perché;  v.  e.  ili,  50,  n.  1. 


Il  di  medesmo  ;  ma  gli  accade  poi 
Che  lo  tardò  pili  dei  disegni  suoi. 
90 

E  poi  eh'  ella  aspettato  quasi  un  mese 
Indarto  l'ebbe,  e  che  tornar  noi  vide. 
Di  desiderio  si  di  lui  s'  accese. 
Che  si  parti  senza  compagni  o  guide  : 
E  cercandone  andò  molto  paese. 
Come  l'istoria  al  luogo  suo  dicide. 
Di  questi  dna  non  vi  dico  or  più  inante  ; 
Che  pili  m'importa  il  cavallierd'Anglantc. 
91 

Il  qual,  poi  che  mutato  ebbe  d'Almontc 
Le  gloriose  insegne,  andò  alla  porta, 
E  disse  ne  l'orecchio  :  Io  sono  il  Conte. 
A  un  capitan  che  vi  facea  la  scorta; 
E  fattosi  abbassar  subito  il  ponte. 
Per  quella  strada  che  piti  breve  porta 
Agl'inimici,  se  n'andò  diritto. 
Quel  che  segui,  ne  l'altro  Canto  è  scritto. 


—  8.  Che;  cosa,  che.  Per  analogia  del  ma- 
schile chi  e  secondo  r  uso  latino  del  qui, 
i  nostri  scrittori  qualche  volta  adoprarono 
il  che  col  valore  complesso  di  dimostrativo 
e  di  relativo.  Machiav.,  S(. I,  165:  «Di  tutte 
le  arti  che  (quella  t;he)  aveva  ed  ha  più 
sottoposti,  è  ecc.  ».  V.  e.  xx,  129,  6.  Sul  pres. 
accade  cfr.  e.  i,  SI,  3. 

90.  5.  cercandone  andò  m.  p.  Si  può  in- 
tendere: Cevcando  di  lui  andò  (percorse) 
molto  ìiaese.  Andare  col  complem.  dir.  è 
raro,  ma  ha  esempi,  E  anche  :  Andò  cer- 
cando {ne)  molto  paese.  Il  ne  sarebbe  pleo- 
nastico. E  fìnalm.  :  (se)  )ie  andò,  cercando 
m.  p.;  con  spostamento  del  pronome;  di 
che  vedi  e.  i,  47,  n.  6.  V.  anche  e.  ix,  4,  3. 

—  6.  dicide;  come  questa  mia  storia  dice 
distintamente  a  suo  luogo.  Non  è  citato  in 
questo  senso  dalla  Cr. 

91.  4.  scorta,  guardia,  sentinella.  V.  e, 
XIV,  94,  n.  5. 


CANTO  IX 


Che  non  può  far  d'un  cor  ch'abbia  sug- 
Questo  crudele  e  traditore  Amore?  [getto 
Poi  ch'ad  Orlando  può  tevar  del  petto 
La  tanta  fé  che  debbe  al  suo  Signore. 
tjik  savio  e  pieno  fu  d'ogni  rispetto, 
E  de  la  Santa  Chiesa  difensore: 
<Jr  per  un  vano  amor,  poco  del  Zio, 
E  di  sé  poco,  e  men  cura  di  Dio. 
2 

Ma  l'escuso  io  pur  troppo,  e  mi  rallegro 
Nel  mio  difetto  aver  compagno  tale; 


Ch'anch'io  sono  al  mio  ben  languido  et  e- 
Sano  e  gagliardo  a  seguitare  limale,  [grò, 
Quel  se  ne  va  tutto  vestito  a  negro; 
Xé  tanti  amici  abandonar  gli  cale: 
E  passa  dove  d'Africa  e  di  Spagna 
La  gente  era  attendata  alla  campagna; 


Anzi  non  attendata,  perché  sotto 
Alberi  e  tetti  l'ha  sparsa  la  pioggia 
A  dieci,  a  venti,  a  quattro,  a  sette  ad  ottoj 


92 


ORLANDO  FURIOSO 


Chi  più  distante,  e  chi  più  presso  alloggia,  i 
Ognuno  dorme  travagliato  e  rotto;    [già. 
Chi  steso  in  terra;  e  chi  alla  man  s'appog- 
Dormono,  e  il  Conte  uccider  ne  può  assai: 
Né  però  stringe  Durindana  mai. 
4 

Di  tanto  core  è  il  generoso  Orlando, 
Che  non  degna  ferir  gente  che  dorma. 
Or  questo  e  quando  quel  luogo  cercando 
Va,  per  trovar  de  la  sua  donna  l'orma. 
Se  trova  alcun  che  veggi,  sospirando 
Gli  ne  dipinge  l'abito  e  la  forma; 
E  poi  lo  priega  che  per  cortesia 
Gì'  insegni  andar  in  parte  ove  ella  sia. 
5 

E  poi  che  venne  il  di  chiaro  e  lucente, 
Tutto  cercò  l'esercito  Moresco: 
E  ben  lo  potea  far  sicuramente. 
Avendo  in  dosso  l'abito  Arabesco. 
Et  aiutollo  in  questo  parimente. 
Che  sapeva  altro  idioma  che  Francesco, 
E  l'Africano  tanto  avea  espedito, 
Che  parca  nato  a  Tripoli  e  nutrito. 
6 

Quivi  il  tutto  cercò,  dove  dimora 
Fece  tre  giorni,  e  non  per  altro  effetto: 
Poi  dentro  alle  cittadi,  e  a'  borghi  fuora 
Non  spiò  sol  per  Francia  e  suo  distretto; 


3.  6.  chi  alla  man  s'appoggia;  Atteggia- 
mento di  chi  dorme  seduto  facendo  soste- 
gno alla  testa  del  braccio  ripiegato. 

—  8.  Durindana,  spada  famosa  d'Drlando, 
che  nella  Chanson  de  Roland  è  detta  Du- 
remìal,  donde  in  italiano  fu  detta  Duren- 
dala.  Durindana,  Durlindana,  Durindarda. 
•Secondo  molte  Canzoni  di  gesta.  Durindana 
appartenne  all'Emiro  Braibant  o  all'Emiro 
Almonte;  l'avrebbe  conquistata  Carlo  Ma- 
gno al  primo  e  donata  a  Rolando,  Rolando 
stesso  al  secondo.  Vi  sono  però  anche  altre 
versioni  sull'origine  di  questa  spada.  Ciò 
che  immagina  il  Boiardo  e  l'A.  vedilo  al 
e.  XIV,  43. 

4.  3.  Or  questo  e  quando.  Comunem.  si 
corrispondono  or...  or,  oppure  quando... 
(luaiido:  l'A.  ha  combinato  le  due  maniere, 
fenomeno  frequente  nel  Furioso;  v.  e.  ii,  6, 
il.  3. 

—  5.  veggi;  vegghi,  vegli;  v.  e.  i,  41,  n.  1. 

5.  6.  Francesco;  francese.  Cosi  spesso  gli 
antichi,  dal  lat.  medievale  Franciscus. 

—  7.  area  espedito;  e  aveva  l'Affric.  tanto 
spedito,  lo  parlava  cosi  speditamente.  Locuz. 
j)oetica.  Questa  conoscenza  di  molte  lingue 
è  attribuita  a  Orlando  da  tutta  la  tradizione 
cavalleresca;  e  non  a  lui  solo,  ma  anche 
ad  altri,  v.  e.  xxiii,  110. 

6.  3.  a'  borghi  fuora  ;  nelle  borgate  fuori 
delle  città. 

—  4.  Francia  e  suo  distr.  Francia  sta  per 


Ma  per  Uvernia  e  per  Guascogna  ancora 
Rivide  sin  all'ultimo  borghetto: 
E  cercò  da  Provenza  alla  Bretagna, 
E  dai  Picardi  ai  termini  di  Spagna. 
7 

Tra  il  fin  d'Ottobre  e  il  capo  di  Novem- 
Ne  la  stagion  che  la  frondosa  vesta  [bre. 
Vede  levarsi,  e  discoprir  le  membre 
Trepida  pianta,  fin  che  nuda  resta,    [bre, , 
E  van  gli  augelli  a  strette  schiere  insem- 
Orlando  entrò  ne  l'amorosa  inchiesta:      ' 
Né  tutto  il  verno  appresso  lasciò  quella, 
Né  la  lasciò  ne  la  stagion  novella. 
8 

Passando  un  giorno,come  avea  costume. 
D'un  paese  in  un  altro,  arrivò  dove 
Parte  i  Normandi  dai  Britoni  un  fiume, 
E  verso  il  vicin  mar  cheto  si  muovQ; 
Ch'allora  gonfio  e  bianco  già  di  spume 
Per  uieve  sciolta  e  per  montane  piove; 
E  l'impeto  de  l'acqua  avea  disciolto 
E  tratto  seco  il  ponte,  e  il  passo  tolto. 
9 

Con  gli  occhi  cerca  or  questo  lato  or 
Lungo  le  ripe  il  Paladin,  se  vede  [quello,^ 
(Quando  né  pesce  egli  non  è,  né  augello) 
Come  abbia  a  por  ne  l'altra  ripa  il  piede: 
Et  ecco  a  sé  venir  vede  un  battello. 


r  isola  di  Francia,  che  è  il  territorio  fra  la 
Senna,  la  Marna,  1'  Oise  e  1'  Ai.sne  ;  il  di- 
stretto è  il  territorio,  che  sta  ad  essa  d' in- 
torno e  vicino. 

—  5.  Uvernia  ;  Auvergne,  .\lvernia. 

—  6.  sin  all'ultimo  b.  ;  v.  e.  II,  28,  n.  8. 

7.  1.  il  capo;  il  principio.  In  questo  senso 
temporale  citasi  solam.  quest'esempio  del- 
l' A. 

—  4.  Trepida;  tremolante  alla  brezza.  V. 
e.  XII,  72,  1. 

—  5.  insemhre,  insieme.  Dante,  Inf.,  29, 
49.  «  Fossero  in  una  fossa  tutti  insembre  ». 
Ora  è  affatto  andato  in  disuso.  Nell'autunno 
gli  uccelli  emigrano  a  schiere. 

—  6.  inchiesta;  (dall'ant.  frane,  enqueste) 
È  voce  propria  dei  libri  di  cavalleria  e  si- 
gnifica Impresa  volta  a  ricercare  una  per- 
sona o  una  cosa,  che  abbia  grande  impor- 
tanza. V.  e.  XXII,  94,  3. 

—  8.  stagion  novella;  primavera.  Cosi 
spesso  i  poeti. 

8.  —  Di  qui  comincia  la  prima  notevole 
aggiunta  fatta  dall'  A.  nell'ediz.  del  1532,  e 
va  fino  a  tutta  la  stanza  34  del  canto  x. 

—  3.  un  fiume;  Il  Couesiion,  che  sbocca 
nel  golfo  di  Normandia,  a  non  molta  di- 
stanza da  S.  Malo  e  monte  S.  Michele.  — 
Britoni,  Brettoni  della  Brettagna  francese. 

—  7.  disciolto;  spezzato.  .Non  è  citato  dai 
Vocabolari. 

9.  3.  quando,  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 


CANTO  IX 


93 


Ke  la  cui  poppe  una  donzella  siede, 
Che  di  volere  a  lui  venir  fa  segno  ; 
Né  lascia  poi  ch'arrivi  in  terra  il  legno. 
10 

Prora  in  terra  non  pon,  che  d'esser  carca 
Contra  sua  volontà  forse  sospetta. 
Orlando  priega  lei,  che  ne  la  barca 
Seco  lo  tolga,  et  oltre  il  fiume  il  inetta. 
Et  ella  lui:  Qui  cavallier  non  varca. 
Il  qual  su  la  sua  fé  non  mi  prometta 
Di  fare  una  battaglia  a  mìa  richiesta, 
La  più  giusta  del  mondo  e  la  più  onesta. 
11 

Si  che  s'avete,  cavallier,  desire 
Di  por  per  me  ne  l'altra  ripa  i  passi, 
Promettetemi,  prima  che  finire 
<5uest'altro  mese  prossimo  si  lassi. 
Ch'ai  Re  d' Ibernia  v'auderete  a  unire, 
Appresso  al  qual  la  bella  armata  fassi 
Per  distrugger  quell'isola  d' Ebuda, 
Che,  di  quante  il  mar  cinge.è  lapiù  cruda. 
12 

Voi  dovete  saper  ch'oltre  l' Irlanda, 
Fra  molte  che  vi  son,  l' isola  giace 
Nomata  Ebuda,  che  per  legge  manda 
Rubando  intorno  il  suo  popol  rapace; 
E  quante  donne  può  pigliar,  vivanda 
Tutte  destina  a  un  animai  vorace 
Che  viene  ogni  di  al  lito,  e  sempre  nova 
Donna  o  donzella,  onde  si  pasca,  trova; 
13 

Che  mercanti  e  corsar  che  vanno  attor- 
Ve  ne  fan  copia,  e  più  delle  più  belle,  [no. 
Ben  potete  contare,  una  per  giorno, 
Quante  morte  vi  sian  donne  e  donzelle. 
Ma  se  pietade  in  voi  trova  soggiorno, 
Se  non  sete  d'Amor  tutto  ribelle, 


—  6.  poppe.  È  forma  che  usano  ancora  i 
gondolieri  Veneti.  Questa  donzella  è  una  di 
quelle  tante  apparizioni  misteriose,  di  cui 
si  alimentano  i  romanzi  cavallereschi;  quin- 

-iài  è  inutile  cercare  come  si  trovasse  qui. 

10.  1.  d'esser  carca,  da  Orlando.  Nel  lin- 
guaggio comune  si  dice  anche  oggi  Cari- 
care uno  per  Caricare  la  carrozza,  la 
barca,  che  egli  conduce. 

—  5.  lui;  a  lui.  V.  e.  x,  27,  n.  2. 

11.  5.  Ibernia  chiamarono  i  Latini  T  Ir- 
landa. 

—  6.  fassi;  si  raccoglie.  Ricorda  i  modi 
vivissimi  far  gente,  far  legna  ecc. 

12.  8.  Donna  o  donzella;  donna  maritata  o 
fanciulla.  Spesso  gli  antichi  unirono  queste 
due  parole.  Petr.  1,  216:  «E  veder  seco 
parmi  Donne  e  donzelle  ». 

13.  2.  Te;  ivi,  in  Ebuda. 

—  6.  d'Amor  ribelle.  Più  comunem.  ribelle 
a,  da,  contro.  Petr.  ii  son.  76  :  «  Quai  più 
ribelli  Fur  d'amor  mai  ». 


Siate  contento  esser  tra  questi  eletto, 
Che  van  per  far  si  fruttuoso  effetto. 
14 

Orlando  volse  a  pena  udire  il  tutto, 
Che  giurò  d'esser  primo  a  quella  impresa, 
Come  quel  ch'alcun  atto  iniquo  e  brutto 
Non  può  sentire,  e  d'ascoltar  gli  pesa: 
E  fu  a  pensare,  indi  a  temere  indutto. 
Che  quella  gente  Angelica  abbia  presa; 
Poi  che  cercata  l' ha  per  tanta  via. 
Né  potutone  ancor  ritrovar  spia. 
15 

Questa  imaginazion  si  gli  confuse 
E  si  gli  tolse  ogni  primier  disegno, 
Che,  quanto  in  fretta  più  potea,  couchiuse 
Di  navigare  a  quello  iniquo  regno. 
Né  prima  l'altro  sol  nel  mar  si  chiuse. 
Che  presso  a  San  Maio  ritrovò  un  legno. 
Nel  qual  si  pose:  e  fatto  alzar  le  vele. 
Passò  la  notte  il  monte  San  Michele. 
16 

Breaco  e  Landriglier  lascia  a  man  mau- 
E  va  radendo  il  gran  lito  Britone;       |ca, 
E  poi  si  drizza  in  ver  l'arena  bianca, 
Onde  Inghilterra  si  nomò  Albione: 
Ma  il  vento  ch'era  da  meriggie,  manca, 
E  sofiia  tra  il  Ponente  e  l'Aquilone 
Con  tanta  forza,  che  fa  al  basso  porre 
Tutte  le  vele,  e  sé  per  poppa  toi're. 


—  8.  far...  effetto.  Fare,  Eseguire,  o  si- 
mili, Ve/Tetto  o  icn  effetto  vale  Fare,  Ese- 
guire una  data  operazione  o  cosa,  più  spes- 
so commessaci  da  altri.  V.  e.  xiii ,  12; 
XXXV,  51. 

14.  8.  spia.  V.  e.  VII,  34  lì.  8. 

15.  6.  S.  Malo  (oggi  Saint-Malo)  ;  Villaggio 
sul  mare  nel  dipartimento  d'IUe-et-Vilaine. 
Orlando  dunque  non  passò  il  fiume,  ma 
tornò  un  po'  indietro  per  mettersi  in  nave 
a  S.  Malo. 

—  S.  monte  S.  Michele;  (oggi  Mont-Saint- 
Michel)  Borgata  nel  dipartimento  della  Ma- 
nica. 

16.  1.  Breaco;  (Saint-Brieuc)  Villaggio  nel 
dipartim.  d' lUe-et-Vilaine.  —  Landriglier  ; 
(Treguier,  che  già  fu  detto  anche  Lantre- 
guier)  Villaggio  del  dipartimento  Còtes-du- 
Nord. 

—  2.  il  gran  lito  Britone  ;  lo  chiama  gran- 
de perché  la  Brett.  francese  si  allunga  molto 
nel  mare. 

—  4.  Albione.  Si  ritiene  generalmente  che 
il  nome  d'.\lbione  venisse  dalle  rocce  bian- 
cheggianti (lat.  albus,  bianco),  che  si  vedono 
lungo  le  coste.  L'A.  confonde  le  rocce  colla 
rena. 

—  8.  e  sé  per  poppa  torre  ;  costringe  i  noc- 
chieri a  ricever  se  (quel  vento)  in  poppa. 
Per  la  violenza  del  temporale  non  possono 


9-1 


ORLANDO  FURIOSO 


17 

Quanto  il  uavilio  iiianzi  era  venuto  1 
In  quattro  giorni,  in  un  ritornò  in  dietro,  i 
Ne  l'alto  mar  dal  buon  nocchier  tenuto,  I 
Che  non  dia  in  terra  e  sembri  un  IVagil  < 
Il  vento,  poi  che  furioso  suto  [vetro. 

Fu  quattro  giorni,  il.quinto  cangiò  metro: 
Lasciò  senza  contrasto  il  legno  entrare     , 
Dove  il  fiume  d'Anversa  ha  foce  in  mare. 
18 

Tosto  che  ne  la  foce  entrò  lo  stanco 
Nocchier  col  legno  afflitto,  e  il  lito  prese  ] 
Fuor  d'una  terra,  che  sul  destro  iìanco 
Di  quel  fiume  sedeva,  un  vecchio  scese. 
Di  molta  età,  per  quanto  il  crine  bianco 
Ne  dava  indizio  :  il  qual  tutto  cortese, 
Dopo  i  saluti,  al  Conte  rivoltosse, 
Che  capo  giudicò  che  di  lor  fosse: 
19 

E  da  parte  il  pregò  d'una  donzella, 
Ch"a  lei  venir  non  gli  paresse  grave; 
La  qual  ritroverebbe,  oltre  che  bella, 
Pili  ch'altra  al  mondo  affabile  e  soave  : 
0  ver  fosse  contento  aspettar  ch'ella 
Verrebbe  a  trovar  lui  fin  alla  nave: 
Né  più  restio  volesse  esser  di  quanti 
Quivi  eran  giunti  cavallieri  erranti; 
20 

Che  nessun  altro  cavallier  ch'arriva 
O  per  terra  o  per  mare  a  questa  foce. 
Di  ragionar  con  la  donzella  schiva. 
Per  consigliarla  in  un  suo  caso  atroce. 
Udito  questo,  Orlando  in  su  la  riva 
Henza  punto  indugiarsi  usci  veloce; 
E  come  umano  e  pien  di  cortesia, 
Dove  il  vecchio  il  menò,  prese  la  via. 
21 

^u  ne  la  terra  il  Paladin  coudutto 
Dentro  un  palazzo,  ove  al  salir  le  scale 
Una  donna  trovò  piena  di  lutto, 
Per  quanto  il  viso  ne  facea  segnale, 
E  i  negri  panni  che  coprian  per  tutto 
E  le  loggie  e  le  camere  e  le  sale; 
La  qual,  dopo  accoglienza  grata  e  onesta 


Fattoi  seder,  gli  disse  in  voce  mesta  : 
22 
Io  voglio  che  sappiate  che  figliuola 
Fui  dal  Conte  d'Olanda,  a  lui  si  grata 
(Quantunqucprole  io  non  gli  fossi  sola 
Ch'era  da  dui  fratelli  accompagnata), 
Cli'a  quanto  io  gli  chiedea,  da  lui  parola 
Contraria  non  mi  fu  mai  replicata. 
Standomi  lieta  in  questo  stato,  avvenne 
I  Che  ne  la  nostra  terra  un  Duca  venne. 
I  .  23 

I      Duca  era  di  Selandia,  e  se  ne  giva 
i  Verso  Discaglia  a  guerreggiar  coi  Mori^ 
j  La  bellezza  e  l'età  eli'  in  lui  fioriva, 
i  E  li  non  più  da  me  sentiti  amori, 
'  Con  poca  guerra  me  gli  ter  captiva  ; 
j  Tanto  più  che,  per  quel  ch'apparea  fuori, 
I  Io  credea  e  credo,  e  creder  credo  il  vero, 
Ch'amassi  et  ami  me  con  cor  sincero. 

I  -^ 

I      Quei  giorni  che  con  noi  contrario  vento. 

Contrario  agli  altri,  a  me  propizio,  il  tenne,, 

(Ch'agli  altri  far  quaranta,  a  me  un  mo- 

Cosi  al  fuggire  ebbon  veloci  penne)[raento: 

Fummo  più  volte  insieme  a  parlamento 

Dove,  che  '1  matrimonio  con  solenne 

Rito  al  ritorno  suo  saria  tra  nui. 

Mi  promise  egli,  et  io  '1  promisi  a  lui. 

25 

Bireno  a  pena  era  da  noi  partito 

(Che  cosi  ha  nome  il  mio  fedele  amante), 

Che  '1  Re  di  Frisa  (la  qual,  quanto  il  lito 


, 


bordeggiare   e,   per   non   esser   l'ovesciati, 
vanno  dove  il  vento  li  porta. 

17.  —  Orlando  si  era  diretto  verso  le  isole 
Ebridi,  il  vento  lo  ricaccia  nel  golfo  di  Nor- 
mandia e  lo  spinge,  attraverso  il  passo  di 
Calais,  nel  mare  del  Nord. 

—  5.  suto  (accorciato  da  essuto)  è  il  vero 
))articipio  passato  di  essere,  come  da  bevere 
bevuto  ecc.  Perdutosi  poi  quel  perfetto,  vi 
>i  sostituì  il  partic.  del  verbo  stare. 

—  8.  Anversa,  città  dei  Paesi  Bassi.  Il 
fiume,  che  la  bagna,  è  la  Schelda. 

18.  2.  afflitto,  avariato. 

19.  5.  ch'ella;  perché  ella. 

20.  7.  E  come  umano;  V.  e.  v,  21,  n.  7. 

21.  7.  grata  e  onesta.  Dante,  Purg.  7,  1  : 


«  Poscia  che  1'  accoglienze  oneste  e  liete  ». 
Grata  significa  benevola,  come  nel  e.  xtv, 
59,  8. 

23.  1.  Selandia.  Non  è  la  Zelanda,  come 
intendono  quasi  tutti  i  commentatori,  ma 
il  Seeland  isola  della  Danimarca.  Ciò  risulta 
evidente  dalla  St.  16  e.  x,  dove  si  dice  che, 
partiti  d'  Olanda  per  andare  in  Selandia, 
Bireno  e  i  suoi  «  l'er  non  toccar  Frisa  piii 
tenuti  S'eran  ver  Scozia  alla  sinistra  ban- 
da». Se  fossero  venuti  nella  Zelanda,  che 
è  a  Sud  dell'  Olanda,  non  avrebbero  in  nes- 
sun modo  toccato  la  Prisia,  che  è  a  nord; 
e  la  Scozia  sarebbe  rimasta  sulla  destra, 
non  sulla  sinistra. 

—  2.  Nella  Discaglia  e  nei  monti  delle 
Asturie  si  tennero  forti  gliSpagnuoli  contro 
gli  Arabi  e  i  Mori  invadenti. 

—  4.  non  più;  non  mai.  È  comune  anche 
in  prosa. 

—  6.  apparea;  V.  e.  vi,  4,  n.  6. 

—  7.  lo  credea.  Ricorda  il  bisticcio  Dan- 
tesco: Inf.  13,  25:  «  lo  credo  ch'ei  credette 
eh'  io  credesse  ».  —  amassi  ;  V.  e.  n,  40,  n.  8. 

25.  3.  quanto  11  lito  ecc.  I  commentatori 
in  questo  luogo  o  tacciono  o  sbagliano.  Qui 
l'A.  si  riferisce  alla  descrizione  della  Frisia 
data  dagli  antichi  ;  specialm.  da  Tacito  nella 


CANTO  IX 


or, 


Del  mar  divide  il  fiume,  è  a  noi  distante), 
Disegnando  il  figliuol  farmi  marito, 
Ch'unico  al  mondo  avea,  nomato  Arbaute, 
Per  li  più  degni  del  suo  stato  manda 
A  domandarmi  al  mio  padre  in  Olanda. 

26  — 

10  ch'all'aniante  mio  di  quella  fede 
Mancar  non  posso,  che  gli  aveva  data; 

E  ancor  ch'io  possa.  Amor  non  mi  concede 
Che  poter  voglia,  e  ch'io  sia  tanto  ingrata; 
Per  ruinar  la  pratica  eh'  in  piede 
Era  gagliarda  e  presso  al  fin  guidata, 
Dico  a  mio  padre,  che  prima  eh'  in  Frisa 
Mi  dia  marito,  io  voglio  essere  uccisa. 

27  [quanto 

11  mio  buon  padre,  al  qual  sol  piacea 
A  me  piacea,  né  mai  turbar  mi  volse, 
Per  consolarmi  e  far  cessare  il  pianto 
Ch'  io  ne  facea,  la  pratica  disciolse: 

Di  che  il  superbo  Re  di  Frisa  tanto 
Isdegno  prese,  e  a  tanto  odio  si  volsi-, 
Ch'entrò  in  Olanda,  e  cominciò  la  guerra 
Che  tutto  il  sangue  mio  cacciò  sotterra. 
•28 
Oltre  che  sia  robusto  e  si  possente, 
Che  pochi  pari  a  nostra  età  ritrova, 
E  si  astuto  in  mal  far,  ch'altrui  niente 
La  possanza,  l'ardir,  l'ingegno  giova; 
Porta  alcun'arme  che  l'antica  gente 
Non  vide  mai,  né,  fuor  eh' a  lui,  la  nova: 
Un  ferro  b'tfgìo,"lungo  da  dna  braccia. 
Dentro  a  cui  polve  et  una  palla  caccia. 

Col  fuoj^0;^ietro  ove  la  canna  è  chiusa. 
Tocca  un  spiraglio  che  si  vede  a  pena; 
A  guisa  che  toccare  il  medico  usa 
Dove  è  bisogno  d'allacciar  la  vena: 


Onde  vien  con  tal  suon  la  palla  esclusa. 
Che  si  può  dir  che  tuona  e  che  balena  ; 
Né  meu  che  soglia  il  fulmine  ove  passa. 
Ciò  che  tocca,  arde,  abatte,  apre  e  fracas- 
so [sa. 

Pose  due  volte  il  nostro  campo  in  rotta 
Con  questo  inganno,  e  i  miei  fratelli  uccise  : 
Nel  primo  assalto  il  primo;  che  la  botta. 
Rotto  l'usbergo,  in  mezzo  il  cor  gli  mise: 
Ne  l'altra  zuffa  a  l'altro,  il  quale  in  frotta 
Fuggia,  dal  corjto  l'anima  divise; 
E  lo  feri  lontan  dietro  la  spalla, 
E  fuor  del  petto  uscir  fece  la  palla. 
31 

Difendendosi  poi  mio  padre  un  giorno 
Dentro  un  caste!  che  sol  gli  era  rimaso, 
Che'tutto  il  resto  avea  perduto  intorno, 
Lo  fé'  con  simil  colpo  ire  all'occaso; 
Che  mentre  andava  e  che  facea  ritorno. 
Provedendo  or  a  questo  or  a  quel  caso. 
Dal  traditor  fu  in  mezzo  gli  occhi  colto. 
Che  l'avea  di  lontan  di  mira  tolto. 
32 

Morto  i  fratelli  e  il  padre,  e  rimasa  io 
De  l'isola  d'Olanda  unica  erede, 
Il  re  di  Frisa,  perché  avea  disio 
Di  ben  fermare  in  quello  stato  il  piede, 
Mi  fa  sapere,  e  cosi  al  popol  mio. 
Che  pace  e  che  riposo  mi  concede,       [te, 
Quand'io  voglia  or,  quel  che  non  volsi  inan- 
Tor  per  marito  il  suo  figliuolo  Arbante. 


Germania.  I  Frisi  abitavano,  non  solo  la 
moderna  Frisia,  ma  anche  parte  dell'olanda 
settentrionale,  e  precisamente  fino  all'an- 
tico Reno  {che  passa  da  Leida),  il  quale  era 
confine  tra  i  Frisi  e  i  Baiavi  (divide  il  fiu- 
me). Questi  abitavano  V  isola  d'  Olanda, 
(insula  Batavorum).  Solo  nelle  successive 
invasioni  del  mare,  e  specialm.  nel  sec.  xiii, 
si  formò  il  Zuidersee  e  rimase  il  nome  di 
Frisia  solamente  alla  regione  di  là  da  esso. 

28.  1.  oltreché  sia,  V.  e.  VI,  79,  n.  1. 

—  5.  alcun'arme  ;  un'arme.  È  usato  anche 
in  prosa;  Vili.  10,  205:  «  Apersono  alcuna 
porla  della  terra  ». 

—  7.  U.  f.  bugio  ;  (per  l' etimol.  lo  con- 
nettono con  bugia,  in  quanto  è  cosa  vana 
0  vuota)  un  ferro  bucato.  Dante,  Pury.  20, 
27:  «  Su  per  lo  collo  come  fosse  bugio». 
L'archibugio,  che  con  anacronismo  poetico 
r.\.  suppone  inventato  da  questo  re  Frisone, 
fu  invece  inventato  nel  sec.  xiv.  Per  l'etimol. 
più  probabile  di  archibugio  v.  e.  xi,  25,  n.  7. 

29.  4.  allacciar  la  vena.  Intendono  tutti 
aprir  la  vena,  toccando  colla  lancetta;  ma 


l'espressione  sarebbe  strana  e  l' immagine 
incompleta,  perché  nell'archibugio  V  è  già 
un  buco;  la  lancetta  invece  lo  apre.  È  me- 
glio intendere:  come  il  medico  mette  il  dito 
là,  dove,  essendosi  rotta  una  vena,  e  spic- 
ciandone il  sangue,  e'  è  bisogno  intanto  di 
comprimere  colla  mano,  poi  di  fare  rego- 
lare allacciatura.  Cosi  è  più  completa  l' im- 
magine e  corretta  l'espressione. 

30.  5.  in  frotta  fuggi'a;  fuggiva  in  com- 
pagnia d'altri. 

—  7.  lontano;  feri  lui,  che  era  già  lontano. 

31.  4.  ire  all'occaso;  morire.  È  immagine- 
poetica. 

—  5.  mentre...  e  che;  V.  e.  iv,  35,  n.  5. 

32.  1.  Morto  i  frat.  Oggi  di  regola  questi 
participi  si  fanno  personali,  ma  negli  anti- 
chi è  frequente  quest'uso  impersonale,  che 
rammenta  certe  forme  d'ablativo  assoluto 
latino,  come  cognito,  audito,  explorato, 
ecc.  Bocc.  Nov.  73:  «  Ai  quali  ragionamenti 
Calandrino  posto  orecchie  ».  Pulci  15,  72: 
«  Preso  la  porta  ».  Co:^i  sopra  st.  15,  7. 

—  2.  isola  d'  Olanda.  Fazio  degli  Uberti, 
Dittamondo  iv,  15.  «  Olanda,  Ch'  è  terra  fer- 
ma e  par  eh'  isola  sia  Perocché  il  mar  la 
gira  e  la  inghirlanda.  Dico  dalle  due  parti, 
e  cosi  il  Reno  La  chiude  e  serra  ancor  da 
r  altra  banda  ».  Dagli  antichi  era  detta  in- 
sula Batavorum.  Vedi  la  St.  25,  n.  3. 


96 


ORLANDO  FURIOSO 


33 
Io  per  l'odio  uon  si,  che  grave  porto 
A  lui  e  a  tutta  la  sua  iniqua  schiatta, 
Il  qnal  m'ha  dui  fratelli  e  'i  padre  morto, 
Saecheg:giata  la  patria,  arsa  e  disfatta; 
Come  perché  a  colui  non  vo'  far  torto, 
A  cui  già  la  promessa  aveva  fatta, 
Ch'altr'uomo  non  saria  che  mi  sposasse, 
Fin  che  di  Spagna  a  me  non  ritornasse: 

34 
Per  un  mal  ch'io  patisco,  ne  vo'  cento 
Patir  (rispondo),  e  far  di  tutto  il  resto; 
Esser  morta,  arsa  viva,  e  che  sia  al  vento 
La  ceuer  sparsa,  inanzi  che  far  questo. 
Studia  la  gente  mia  di  questo  intento 
Tormi  :  chi  priega,  e  chi  mi  fa  protesto 
Di  dargli  in  mano  me  e  la  terra,  prinia 
€he  la  mia  ostinazion  tutti  ci  opprima. 

35 
Cosi,  poi  che  i  protesti  e  i  prieghi  in  va- 
Vider  gittarsi,  e  che  pur  stava  dura,   [uo 
Presero  accordo  col  Frisone,  e  in  mano 
(Come  aveau  detto)  gli  dier  me  e  le  mura. 
<5uel,  senza  farmi  alcuno  atto  villano, 
De  la  vita  e  del  regno  m'assicura, 
Pur  eh'  io  indolcisca  l'indurate  voglie, 
E  che  d'Arbante  suo  mi  faccia  moglie. 

36 
Io  che  sforzar  còsi  mi  veggio,  voglio, 
Per  uscirgli  di  man,  perder  la  vita; 
Ma  se  pria  non  mi  vendico,  mi  doglio 
Più  che  di  quanta  ingiuria  abbia  patita. 
Fo  pensier  molti;  e  veggio  al  mio  cordo 
Che  solo  il  simular  può  dare  aita:,     [glio 
Fingo  ch'io  brami,  non  che  non  mi  piaccia, 
Che  mi  perdoni,  e  sua  nuora  mi  faccia. 

37 
Fra  molti  ch'ai  servizio  erano  stati 
Già  di  mio  padre,  io  scelgo  dui  fratelli 
Di  grande  ingeg-no  e  di  gran  cor  dotati, 
Ma  più  di  vera  lede,  come  quelli 
Che  cresciutici  in  corte,  et  allevati 


34.  2.  far  di  tutto  il  resto.  É  locuz.  presa 
dal  giuoco.  Quando  uno  è  ridotto  a  mal  par- 
tito fa  (giuoca)  di  tutto  il  resto  per  tentar 
di  rifarsi.  Oggi  più  comuuera.,  in  Toscana, 
far  di  tutti. 

—  6.  fa  protesto;  mi  protesta. 

35.  7.  indolcisca;  rammollisca,  mitighi. 
lixdolcire  le  indurate  voglie  non  pare  al 
Fornari  accoppiamento  felice  d' immagini; 
ma  anch'  oggi  diciamo  dolci  i  metalli  e  i  le- 
gni poco  duri. 

36.  7.  Fingo  ecc,  non  (nrostro)  già  che 
non  mi  piaccia,  ma  fìngo  che  io  brami  (di 
bramare)  ecc. 

37.  6.  citelli.  Diminutivo  di  citta,  fanciul- 
lo, voce  Senese  ancor  viva.  (Forse  dal  grec. 
titthós,  attraverso  al  ted.  sitze  ;  mammella; 
quindi  poppante).  —  allevati  S.  s.  V.  e.  xiii, 
24,  n.  3. 


Si  son  con  noi  da  teneri  citelli; 
E  tanto  miei,  che  poco  lor  parria 
La  vita  por  per  la  salute  mia. 
38 

Coramunico  con  loro  il  mio  disegno; 
Essi  prometton  d'essermi  in  aiuto. 
L'un  viene  in  Fiandra,  e  v'apparecchia  un 
L'altro  meco  in  Olanda  ho  ritenuto,  [legno; 
Or  mentre  i  forestieri  e  quei  del  regno 
S' invitano  alle  nozze,  fu  saputo 
Che  Bireno  in  Biscaglia  avea  una  armata, 
Per  venire  in  Olanda,  apparecchiata: 
39 

Però  che,  fatta  la  prima  battaglia 
Dove  fu  rotto  un  mio  fratello  e  ucciso. 
Spacciar  tosto  un  corrier  feciin  Biscaglia, 
Che  portassi  a  Bireno  il  tristo  avviso; 
Il  qual  mentre  che  s'arma  e  si  travaglia. 
Dal  Re  di  Frisa  il  resto  fu  conquiso. 
Bireno  che  di  ciò  nulla  sapea. 
Per  darci  aiuto,  i  legni  sciolti  avea. 
40 

Di  questo  avuto  avviso  il  Re  Frisone, 
De  le  nozze  al  figliuol  la  cura  lassa; 
E  con  l'armata  sua  nel  mar  si  pone:  . 
Trova  il  Duca,  lo  rompe,  arde  e  fracassa, 
E,  come  vuol  Fortuna,  il  fa  prigione; 
Ma  di  ciò  ancor  la  nuova  a  noi  non  passa. 
Mi  sposa  intanto  il  gìovene,  e  si  vuole 
Meco  corcar  come  si  corchi  il  sole. 
41 

Io  dietro  alle  cortine  avea  nascoso 
Quel  mio  fedele;  il  qual  nulla  si  mosse 
Prima  che  a  me  venir  vide  lo  sposo; 
E  non  l'attese  che  corcato  fosse. 
Ch'alzò  un'accetta,  e  con  si  valoroso 
Braccio  dietro  nel  capo  lo  percosse, 
Che  gli  levò  la  vita  e  la  parola  : 
Io  saltai  presta,  e  gli  segai  la  gola. 
42      '■'''' 

Come  cadere  il  bue  suole  al  macello, 


—  7.  miei;  a  me  favorevoli. 

39.  4.  portassi.  V.  e.  it,  40,  n.  8. 

40.  6.  non  passa;  non  giunge;  V.  C.  Il,  19, 
n.  1. 

41.  3.  Prima  che...  vide.  Per  l'uso  dell'in- 
die, cfr.  e.  v,  26.  n.  7. 

—  5.  Che;  perché.  Intendi:  perché,  appe- 
na lo  vide  entrare,  alzò  un'accetta  ecc. 

—  8.  gli  segai  la  gola.  Ad  alcuni  spiacque 
quest'atto  truce,  ma  l'A.  volle  cosi  lasciare 
intravedere  perché  Olimpia  venisse  in  odio 
a  Bireno,  o  forse  presentarci  un  tipo  dell'an- 
tica donna  Germanica  affettuosa  e  delicata, 
ma  al  bisogno  feroce  e  vendicativa.  Si  ri- 
cordi Crimilde  dei  Nibelunghi. 

42.  1.  Come  ecc.  Ricorda  il  luogo  del- 
l'Eneide, V,  4SI  :  «  Sternitur  exauimisque 
tremens  procumbit  humi  bos  ». 


CANTO  IX 


97 


Cade  il  mal  nato  giovene,  in  dispetto 
Del  Re  Cimosco,  il  più  d'ogn'altro  fello; 
Che  l'empio  Re  di  Frisa  è  cosi  detto, 
Che  morto  l'uno  e  l'altro  mio  fratello 
M'avea  col  padre,  e  per  meglio  suggetto 
Farsi  il  mio  stato,  mi  volea  per  nuora  ; 
E  forse  un  giorno  uccisa  avria  me  ancora. 
43 

Prima  ch'altro  disturbo  vi  si  metta, 
Tolto  quel  che  più  vale  e  meno  pesa. 
Il  mio  compagno  al  mar  mi  cala  in  fretta 
Da  la  finestra,  a  un  canape  sospesa, 
Là  dove  attento  il  suo  fratello  aspetta 
Sopra  la  barca  ch'avea  in  Fiandra  presa. 
Demmo  le  vele  ai  venti,  e  i  remi  all'acque; 
E  tutti  ci  salviàn  come  a  Dio  piacque. 
44 

Non  so  se'l  Re  di  Frisa  più  dolente 
Del  figliol  morto,  o  se  più  d'ira  acceso 
Fosse  contra  di  me,  che  1  di  seguente 
Giunse  là  dove  si  trovò  si  offeso. 
•Superbo  ritornava  egli  e  sua  gente 
De  la  vittoria  e  di  Bireno  preso; 
E  credendo  venire  a  nozze  e  a  festa. 
Ogni  cosa  trovò  scura  e  funesta. 
45 

La  pietà  del  figliuol,  l'odio  ch'aveva 
A  me,  né  di  né  notte  il  lascia  mai. 
Ma  perché  il  pianger  morti  non  rileva, 
E  la  vendetta  sfoga  l'odio  assai; 
La  parte  del  pensier,  ch'esser  doveva 
De  la  pietade  in  sospirare  e  in  guai, 
Vuol  che  con  l'odio  a  investigar  s'unisca, 
Com'egli  m'abbia  in  mano,  e  mi  punisca. 
46 

Quei  tutti  che  sapeva  e  gli  era  detto 
Che  mi  fossino  amici,  o  di  quei  miei 
Che  m'aveano  aiutata  a  far  l'effetto, 
Uccise,  0  lor  beni  arse,  o  li  fé'  rei. 


—  2.  in  dispetto;  a  dispetto.  È  modo  assai 
frequente,  v.  st.  46,  5. 

—  3.  il  più  d'ogn'altro  fello.  L'artic.  non 
sarebbe  necessario;  ma  si  usa  non  di  rado 
per  eleganza  in  queste  locuz.  superlative. 
A',  e.  VI,  55,  n.  1. 

43.  S.  salvian.  Dante,  De  Vulg.  El.,  I,  13, 
rimprovera  ai  Fiorentini  di  dire  facciano 
per  facciamo  ;  ma  le  terminazioni  ano  eno 
per  amo  emo  usarono  spesso  gii  antichi, 
Fiorentini  o  no.  V.  Nannucci,  An.  Cr.  p.  101. 

44.  3.  che  '1  di'  seguente.  Il  che  si  riferisce 
a  Re;  ma  è  poco  chiaro. 

45.  5.  La  parte  ecc.,  la  parte  del  pensiero 
che  doveva  esser  consacrata  alla  pietà  e 
sfogarsi  in  sospiri  e  lamenti. 

46.  2.  0  di  qnei  miei  ;  o  fossero  di  quei 
miei  familiari,  che  ecc. 

—  4.  0  li  fé  rei  ;  li  dichiarò  colpevoli.  Ac- 
cenna a  coloro,  che.  avendo  accompagnata 
Olimpia  nella  fuga,  non  poterono  esser  presi 


Volse  uccider  Bireno  in  mio  dispetto; 
Che  d'altro  si  doler  non  mi  potrei: 
Gli  parve  poi,  se  vivo  lo  tenesse. 
Che  per  pigliarmi,  in  man  la  rete  avesse. 

47 
Ma  gli  propone  una  crudele  e  dura 
Coudizion:  gli  fa  termine  un  anno, 
Al  fin  del  qual  gli  darà  morte  oscura, 
.Se  prima  egli  per  forza  o  per  inganno. 
Con  amici  e  parenti  uon  procura, 
Con  tutto  ciò  che  ponno  o  ciò  che  sanno,. 
Di  darmigli  in  prigion  :  si  che  la  via 
Di  lui  salvare,  è  sol  la  morte  mia. 

48 
Ciò  che  si  possa  far  per  sua  salute, 
Fuor  che  perder  me  stessa,  il  tutto  ho  fatto. 
Sei  castella  ebbi  in  Fiandra,  e  l'ho  vendute: 
E  '1  poco  o'I  molto  prezzo  ch'io  n'ho  tratto, 
Parte,  tentando  per  persone  astute 
I  guardiani  corrumpere,  ho  distratto; 
E  parte,  per  far  muovere  alli  danni     [ni. 
Di  quell'empio  or  gl'Inglesi  or  gli  Alaman- 

49 
I  mezzi,  0  che  non  abbiano  potuto, 
O  che  non  abbian  fatto  il  dover  loro, 
M'hanno  dato  parole  e  non  aiuto; 
E  sprezzano  or  che  n'  han  cavato  l'oro: 
E  presso  al  fine  il  termine  è  venuto. 
Dopo  il  qual  né  la  forza  né  '1  tesoro 
Potrà  giunger  più  a  tempo,  si  che  morte 
E  strazio  schivi  al  mio  caro  consorte. 

50 
Mio  padre  e  miei  fratelli  mi  son  stati 


ed  uccisi.   Per   l'espressione  cfr.  e.  vi,  T, 
n.  7. 

47.  3.  morte  oscura;  ignobile.  Altri  intende 
atì-oce. 

—  6.  Con  tutto  ciò  ecc.,  servendosi  di  a- 
mici,  di  parenti  e  di  ?m«o  ciò  che  essi  pos- 
sono e  sanno. 

—  7.  in  prigion;  come  prigioniera.  In  iu 
senso  di  coìue,  per  ha  moltissimi  esempi 
nella  Ietterai.  M.  Villani,  11,  26:  «  Elessouo 
in.papa  ».  Boccaccio,  Filocolo  1.  4.  «E  noi 
sempi'e  in  caro  padre  terrai  ». 

48.  6.  ho  distratto  ;  ho  consumato,  ho  spe- 
so. \on  è  frequente. 

49.  1.  I  mezzi;  i  mezzani.  Machiav.  Di- 
scorsi, 1,  31:  «Si  venue alla  creazione 

de'  tribuni,  mezzi  fra  la  plebe  e  il  senato  ». 

—  4.  sprezzano.  O  è  detto  assolutam.:  Sono 
sprezzanti;  o  deve  sottintendersi  il  prono- 
me mi. 

—  8.  schivi;  allontani,  risparmi.  11  co- 
strutto schivare  una  cosa  a  uno,  che  l'A. 
amò  più  volte  (xi,  56,  5")  è  citato  dai  vocabol. 
con  questi  soli  esempi  dell'A.  —  consorte 
Olimpia  chiama  Bireno  nel  senso  di  futuro 
consorte;  cosi  cognate  al  e.  xxxvii,  23. 

50.  1.  miei  fratelli.  Avverti  che  nel  buon 


Ariosto  —  Papini 


9S 


ORLANDO  FURIOSO 


Morti  per  lui;  per  lu"  ^oltomi  il  regno; 
Pf  r  lui  quei  pochi  beni  che  restati 
Meran,  del  viver  mio  soli  sostegno. 
Per  trarlo  di  prigione  ho  dissipati: 
Xé  mi  resta  ora  in  che  più  far  disegno, 
8e  non  d'andarmi  io  stessa  in  mano  a  porre 
Di  si  crudel  nimico,  e  lui  disciorre. 

51 
Se  dunque  da  far  altro  non  mi  resta, 
Né  si  trova  al  suo  scampo  altro  riparo. 
Che  per  lui  por  questa  mia  vita;  questa 
Mia  vita  per  lui  por  mi  sarà  caro. 
Ma  sola  una  paura  mi  molesta, 
Che  non  saprò  far  patto  cosi  chiaro, 
Che  m'assicuri  che  non  sia  il  tiranno, 
Poi  ch'avuta  m'avrà,  per  fare  inganno. 

52 
Io  dubito  che  poi  che  m'avi'à  in  gabbia, 
E  fatto  avrà  di  me  tutti  li  strazii. 
Né  Bireno  per  questo  a  lasciare  abbia, 
.Si  ch'esser  per  me  sciolto  rairingrazii; 
Come  periuro,  e  pien  di  tanta  rabbia, 
Che  di  me  sola  uccider  non  si  sazii  : 
E  quel  ch'avrà  di  me,  né  più  ne  meno 
Faccia  di  poi  del  misero  Bireno. 

53 
Or  la  cagion  che  conferir  con  voi 
Mi  fa  i  miei  casi,  e  eh'  io  li  dico  a  quanti 
Signori  e  cavallier  vengono  a  noi, 
È  solo  acciò,  parlandone  con  tanti. 
M'insegni  alcun  d'assicurar  che,  poi 
Ch'a  quel  crudel  mi  sia  condotta  avanti. 
Non  abbia  a  ritener  Bireno  ancora, 
.  Né  voglia,  morta  me,  ch'esso  poi  mora. 

54 
Pregato  ho  alcun  guerrier,  che  meco  sia 
Quando  io  mi  darò  in  mano  al  Re  di  Frisa; 
Ma  mi  prometta,  e  la  sua  fé  mi  dia. 
Che  questo  cambio  sarà  fatto  in  guisa, 
Ch'a  un  tempo  io  data,  e  liberato  fia 
Bireno:  si  che  quando  io  sarò  uccisa, 


uso  si  lascia  l'art,  al  singol.  di  questo  e  altri 
nomi  di  parentela,  non  al  plur. 

—  6.  in  che...  far  dis.  Costrutti  più  comiini 
.«ono:  Far  disegno  su,  sopra,  e  anche  di. 
Quest'ultimo  è  nel  verso  seg. 

52.  3.  Né...  per  questo;  neppure  per  que- 
■nio\  V.  e.  II,   11,  n.  4. 

—  4.  esser...  mi  ringrazi!.  Omissione  della 
prep.  di,  come  spesso;  v.  e.  i,  4,  n.  1. 

—  5.  periuro.  Latinismo  (periurus)  non 
frequente. 

—  6.  Che.  Dipende  da  dubito  del  v.  1. 

—  7.  avrà  di  me.  Sottint.  fatto.  Ellissi 
assai  ardita. 

53.  ■^.  e  ch'io;  e  perché  io.  Il  c/^e  dipen- 
de da  cagione. 

—  '>.  assicurar;  assicurarmi.  Sul!'  omis- 
sione del  pron.  v.  i,  21,  u.  7.  Fois'  anche 
significa  render  sicuro  (il  successo). 


Morrò  contenta,  poi  che  la  mia  morte 
Avrà  dato  la  vita  al  mio  consorte. 
55 

Né  fino  a  questo  di  trovo  chi  toglia 
Sopra  la  fede  sua  d'assicurarmi. 
Che  quando  io  sia  condotta,  e  che  mi  vo- 
Aver  quel  Re,  senza  Bireno  darmi,    [glia 
Egli  non  lascierà  contra  mia  voglia, 
Chepresaiosia:  sì  temeognun  quell'armi  ; 
Teme  quell'armi,  a  cui  par  che  non  possa 
Star  piastra  incontra,  e  sia  quanto  vuol 
56  [grossa. 

Or,  s'in  voi  la  virtù  non  è  diforme  _  ■ 
Dal  fier  sembiante  e  da  l'Erculeo  aspetto, 
E  credete  poter  darmegli,  e  torme 
Anco  da  lui,  quando  non  vada  retto; 
Siate  contento  d'esser  meco  a  porme 
Ne  le  man  sue:  ch'io  non  avrò  sospetto, 
Quando  voi  siate  meco,  se  ben  io 
Poi  ne  morrò,  che  mora  il  signor  mio. 
57 

Qui  la  Donzella  il  suo  parlar  conchiuse. 
Che  con  pianto  e  sospir  spesso  interroppe. 
Orlando,  poi  ch'ella  la  bocca  chiuse. 
Le  cui  voglie  al  ben  far  mai  non  fur  zoppe, 
In  parole  con  lei  non  si  diffuse; 
Che  di  natura  non  usava  troppe: 
Ma  le  pi'oraise,  e  la  sua  fé  le  diede. 
Che  farla  più  di  quel  ch'ella  gli  chiede. 
58 

Non  è  sua  intenzion  ch'ella  in  man  vada 
Del  suo  nimicò  per  salvar  Bireno: 
Ben  salverà  amendui,  se  la  sua  spada 
E  l'usato  valor  non  gli  vien  meno. 
Il  medesimo  di  piglian  la  strada. 
Poi  eh'  hanno  il  vento  prospero  e  sereno. 
Il  Paladin  s'affretta;  che  di  gire 
All'isola  del  Mostro  avea  desire. 
59 

Or  volta  all'una,  or  volta  all'altra  banda 
Per  gli  alti  stagni  il  buon  nocchierlavela: 
Scuopre  un'isola  e  un'altra  di  Zilanda; 
Scuopreunainanzi,eun'altraadietrocela. 
Orlando  smonta  il  terzo  di  in  Olanda; 


55.  3.  quando...  e  che;  v.  e.  IV,  65,  n.  5. 

56.  1.  diforme;  difforme. 

57.  0.  Che.  Può  essere  relativo  di  parole 
e  può  essere  congiunzione  perché:  e  in 
questo  caso  avremmo  sottinteso  il  pron.  ne. 
V.  e.  I,  21,  n.  7. 

58.  6.  sereno.  Non  intenderlo  come  aggett. 
di  vento,  ina  come  sostantivo,  tempo  sereno^ 

—  8.  All'isola  ecc.,  ad  Ebuda,  per  com- 
battere il  mostro. 

59.  1.  Or  volta  ecc.  Partono  di  Fiandra 
per  la  Schelda  alla  volta  dell'Olanda  e  tro- 
vano le  varie  isole  della  Zelanda.  Fiumi  e 
mare  si  insenano  in  modo  da  formare  degli 
stagni  fra  le  isole. 

i       —  4.  cela,  perde  di   vista,   ii  poetico.   È. 


CANTO  IX 


99 


Ma  non  smonta  colei  che  si  querela 
Del  Re  di  Frisa:  Orlando  viiolche intenda 
La  morte  di  quel  rio.  prima  che  scenda. 
60 

Nel  lito  armato  il  Paladino  varca 
Sopra  un  corsier  di  pel  tra  bigio  e  nero. 
Nutrito  in  Fiandra,  e  nato  inDanismarca, 
Grande  e  possente  assai  più  che  leggiero  ; 
Però  ch'avea,  quando  si  messe  in  barca, 
In  Bretagna  lasciato  il  suo  destriero. 
Quel  Brigliador  si  bello  e  si  gagliardo, 
Che  non  ha  paragon,  fuor  che  Baiardo. 
GÌ  [truova 

Giunge  Orlando  a  Dordrecche,  e  quivi 
Di  molta  gente  armata  in  su  la  porta; 
Si  perché  sempre,  ma  più  quando  è  nuova, 
Seco  ogni  signoria  sospetto  porta; 
Si  perché  dianzi  giunta  era  una  nuova, 
Che  di  Selandia  con  armata  scorta 
Di  navilii  e  di  gente  un  cugin  viene 
Di  quel  Signor  ciie  qui  prigion  si  tiene. 
G-2. 

Orlando  prega  uno  di  lor,  che  vada 
E  dica  al  lìe,  ch'un  cavalliero  errante 
Disia  con  lui  provarsi  a  lancia  e  a  spada: 
Ma  che  vuol  che  tra  lor  sia  patto  inante. 
Che  se  '1  Re  fa  che,  chi  lo  stida,  cada. 
La  donna  abbia  d'aver,  ch'uccise  Arbante: 
Che  '1  cavallier  l'ha  in  loco  non  lontano 
Da  poter  sempre  mai  darglila  in  mano  : 
(J.H 

Et  all'incontro  vuol  die  "!  Re  prometta 
Ch'ove  egli  vinto  ne  la  pugtia  sia, 
Bireno  in  libertà  subito  metta, 
E  che  lo  lasci  andare  alla  sua  via. 
Il  fante  al  Re  fa  l'imbasciata  in  fretta: 
Ma  quel,  che  né  virtù  né  cortesia 
Conobbe  mai,  drizzò  tutto  il  suo  intento 
Alla  fraude,  all'inganno,  al  tradimento. 
04 

Gli  par  ch'avendo  in  mano  il  cavalliero, 
Avrà  la  donna  ancor,  che  si  l'ha  offeso, 
S'in  possanza  di  lui  la  donna  è  vero 


citato  dai  vocab.  con  questo  solo  esempio 
dell'A. 

60.  3.  Danismarca;  Danimarca. 

61.  1.  Dordrecche,  Dordrecht,  città  d'  O- 
landa. 

—  2.  Di  molta,  molta  :  è  una  locuzione  par- 
liti va,  comunissima  ancora  iii  Firenze.  V. 
FORNACi.\Ri,  Sita.  p.  107  e  32b. 

—  6.  scorta;  È  sostantivo. 

62.  6.  d'aver;  da  aver.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

63.  3.  metta;  più  regolarmente  metterà. 
Forse  i  verbi  inetta  e  lasci  sono  stati  tra- 
scinati da  vuol  del  primo  v.  con  una  costru- 
ziofl^.  a  senso  (sillessi). 

^iW.  fraade  . . .  inganno...  tradimento.  La 
frode  si  riferisce  all'  intenzione  dolo.sa  di 
chi  la  commette;  Y  inganno  agii  effetti,  che 


Che  si  ritrovi,  e  il  fante  ha  ben  inteso. 
Trenta  uomini  pigliar  fece  sentiero 
Diverso  da  la  porta  ov'era  atteso, 
Che  dopo  occulto  et  assai  lungo  giro. 
Dietro  alle  spalle  al  Paladino  uscirò. 

65 
Il  traditore  intanto  dar  parole 
Fatto  gli  avea,  sin  che  i  cavalli  e  i  fanti 
Vede  esser  giunti  al  loco  ove  egli  vuole: 
Da  la  porta  esce  poi  con  altretànti. 
Come  le  fere  e  il  bosco  cinger  suole 
Perito  cacciator  da  tutti  i  canti; 
Come  presso  a  Volana  i  pesci  e  l'onda 
Con  lunga  rete  il  pescator  circonda: 

66 
Cosi  per  ogni  via  dal  Re  di  Frisa, 
Che  quel  guerrier  non  fugga,  si  provede. 
Vivo  lo  vuole,  e  non  in  altra  guisa  : 
E  questo  far  si  facilmente  crede. 
Che  '1  fulmine  terrestre,  con  che  uccisa 
Ha  tanta  e  tanta  gente,  ora  non  chiede; 
Che  quivi  non  gli  par  che  si  convegna, 
Dove  pigliar,  non  far  morir  disegna. 

67  . 

Qual  cauto  ucccllator  che  serba  vivi. 
Intento  a  maggior  preda,  i  primi  augelli, 
Acciò  in  più  quantitade  altri  captivi 
Faccia  col  giuoco  e  col  zimbel  di  quelli  ; 
Tal  esser  volse  il  Re  Cimosco  quivi: 
Ma  già  non  volse  Orlando  esser  di  quelli 
Che  si  lascih  pigliare  al  primo  tratto; 
E  tosto  roppe  il  cerchio  ch'avean  fatto. 

68 
Il  cavallier  d'  Anglante,  ove  più  spesse 
Vide  le  genti  e  l'armi,  abbassò  l'asta; 
Et  uno  in  quella  e  poscia  un  altro  messe 


colpiscono  la  vittima:  vi  può  essere  inganno 
senza  fi-ode.  Il  tradimento  è  frode  verso 
chi  si  fida. 

64.  5.  Trenta  uomini  ecc.  Più  coniuneni.: 
•A.  trenta  uomini  fece  pigliar  ecc.  Qui  l'A. 
ha  seguito  il  costrutto  dì  fare  coi  verbi  in- 
transit.  il  cui  soggetto  si  pone  regolarmen- 
te; per  es.  Feci  entrare  quattro  uomini  in 
casa. 

65.  7.  Volana,  Volano.  Piccolo  caseggiato 
presso  la  foce  del  Po  di  Volano.  Ivi  si  fa 
pesca  abbondante  con  una  rete  lunga  detta 
da  quei  pescatori  tratta,  forse  la  stessa,  che 
in  Toscana  si  dice  sciàbica  o  resT-uòla. 

67.  4.  giuoco...  zimbel  sono  spesso  la  stessa 
cosa  nel  linguaggio  della  caccia.  Qui  iiiiioco 
significa  l'uccello  legato  a  un'asticella  e  fatto 
sollevare  di  tratto  in  tratto  per  mezzo  d'un 
filo,  affinché  sia  veduto  dagli  altri  uccelli; 
zimbello,  vale  spesso  la  stessa  cosa,  ma 
anche,  come  qui,  i-ichiamo,  che  si  tiene  in 
gabbia,  (da  cymbalum,  cymbellum  campa- 
nella per  chiamare  i  monaci  al  coro). 

—  8.  roppe.   Questa   forma  di  perfetto  è 


100 


ORLA>iDO  FURIOSO 


E  un  altro  e  un  altro,  che  sembrar  di  pasta: 
E  tìn  a  sei  ve  n  infilzò;  e  li  resse 
Tutti  una  lancia:  e  perch'ella  non  basta 
A  pili  capir,  lasciò  il  settimo  fuore 
Ferito  si,  che  di  quel  colpo  muore. 
69 

Non  altrimente  ne  l'estrema  arena 
Veggiàn  le  rane  di  canali  e  fosse 
Dalcautoarcierneìtianchiene  la  schiena, 
L'una  vicina  all'altra,  esser  percosse; 
Né  da  la  freccia,  fin  che  tutta  piena 
Non  sia  dauncapoairaltro,esserrimosse. 
La  grave  lancia  Orlando  da  sé  scaglia, 
E  con  la  spada  entrò  ne  la  battaglia. 
70 

Rotta  la  lancia,  quella  spada  strinse. 
Quella  che  mai  non  fu  menata  in  fallo; 
E  ad  ogni  colpo,  o  taglio  o  "punta,  estinsc 
Quando  uomo  a  piedi,  e  quando  uomo  a  ca- 

[vallo: 
Dove  toccò,  sempre  in  vermiglio  tinse 
L'azurro,  il  verde,  il  bianco,  il  nero,  il  gial- 
Duolsi  Cimosco,che  la  canna  e  il  foco  [lo. 
Seco  or  non  ha,  quando  v'avrian  piti  loco: 
71 

E  con  gran  voce  e  con  minaccie  chiede 
Che  portati  gli  sian:  ma  poco  è  udito; 
Che  chi  ha  ritratto  a  salvamento  il  piede 
Ne  la  città,  non  è  d'uscir  più  ardito. 
11  Ke  Frison  che  fuggir  gli  altri  vede. 
D'esser  salvo  egli  ancor  piglia  partito: 
Corre  alla  porta,  e  vuole  alzare  il  ponte; 
Ma  troppo  è  presto  ad  arrivare  il  Conte. 
72 

Il  Re  volta  le  spalle,  e  signor  lassa 
Del  ponte  Orlando,  e  d'amendue  le  porte; 
E  fugge,  e  inanzi  a  tutti  gli  altri  passa, 
Mercé  che  '1  suo  destrier  corre  più  forte. 
Non  mira  Orlando  a  quella  plebe  bassa; 
Vuole  il  fellou,non  gli  altri,porreamorte. 
Ma  il  suo  destrier  si  al  corso  poco  vale, 
Che  restio  sembra, e  chi  fugge,abbiaralo. 


consentanea  coll'iuf.  rompere  e  molto  usata 
dagli  antichi. 

68.  7.  capir,  contenei'e.  Più  spesso  significa 
esser  cotiteniito,  entrare:  ma  VA.  l'usò  più 
volte  neirsdtro  signific.  x,  54;  xxxiii,  108; 
XXII,  32. 

69.  l.  estrema  arena,  estremità  della  spon- 
da arenosa  di  canali  e  f.  V.  e.  i,  24  n.  6. 

70.  3.  taglio,  o  punta;  o  taglio  o  puntata. 
Dante,  Pury.  iii,  119:  «Di  due  punte  mor- 
tali ■». 

—  6.  L'azzurro  ecc.  I  colori  delle  soprav- 
veste e  delle  insegne. 

72.  2.  d'amendue  le  porte;  L'una,  che  si 
chiudeva  col  rastrello,  prima  del  ponte  le- 
vatoio (V.  0.  vili,  3  u.  6),  l'altra,  che  met- 
teva dentro  la  cinta  delle  mura.  Potrebbe 


73 

D'una  in  un'altra  via  si  leva  ratto 
Di  vista  al  Paladiu;  ma  indugia  poco, 
Che  torna  con  nuove  armi;  che  s'ha  fatto 
Portare  in  tanto  il  cavo  ferro  e  il  foco: 
E  dietro  un  canto  postosi  di  piatto. 
L'attende,  come  il  cacciatore  al  loco, 
Coi  cani  armati  e  con  lo  spiedo,  attende 
Il  fìer  ciugial  che  ruinoso  scende, 

74  n 

Che  spezza  i  rami  e  fa  cadere  i  sassi, 
E  ovunque  drizzi  l'orgogliosa  fronte. 
Sembra  a  tanto  rumor  che  si  fracassi 
La  selva  intorno,  e  che  ^i  svella  il  monte. 
Sta  Cimosco  alla  posta,  acciò  non  passi 
Senza  pagargli  il  fio  l'audace  Conte. 
Tosto  ch'appare,  allo  spiraglio  tocca 
Col  fuòco  il  ferro;  e  quel  subito  scocca. 
•    .  '       7.Ó 

Diètro  lampeggia  a  guisa  di  baleno, ^ 
Dinanzi  scoppia,  e  manda  in  aria  il  tuoiìo. 
Triemau  le  mura,  e  sotto  i  pie  il  terreno; 
11  ciei  ribomba  al  paventoso  suono. 
L'ardente  strai,  che  spezza  e  venir  meno 
Fa  ciò  eli  incontra, e  da  a  nessun  perdono, 
Sibila  e  stride;  ma,  come  è  il  desire 
Di  quel  brutto  assassin,  non  va  a  ferire. 
76 

O  sia  la  fretta,  o  sia  la  troppa  voglia 
D'uccider  quel  Barou,  ch'errar  lo  faccia; 
0  sia  che  il  cor,  tremando  come  foglia. 
Faccia  insieme  tremare  e  mani  e  braccia; 
0  la  bontà  divina  che  non  voglia 


anche  accennare  a  doppia  cinta  di  mura; 
ma  la  prima  interpretazione  è  preferibile. 
73.  5.  di  piatto;  nascostamente.  Adr.  a., 
Disciplin.  milit. ,  103:  «Con  tal  fingimento 
se  ne  stia  di  piatto  ».  L'A.  l'usò  più  volte. 
Cosi  Pulci,  Morg.  11,  2,  4  e  altri. 

—  6.  al  loco;  alla  posta. 

—  7.  armati  ;  «  Credo  intenda:  armati  di 
collare  a  punte  di  ferro,  per  difenderli  da- 
gli animali  feroci,  che  li  afferrassero  per 
il  collo  »  Gas.  —  spiedo  ;  arma  in  asta,  che  si 
adoprava  specialra.  per  ferire  il  cinghiale 
nella  caccia.  Era  anche  arma  da  guerra. 
V.  e.  xiv,  5,  8.  Omero,  /;.  xn,  174:  «  Come 
silvestri  Verri,  ch'odon  sul  monte  avvici- 
narsi Il  fragor  della  caccia  impetuosi  Ful- 
minando a  traverso,  a  se  dintorno  Ronipon 
la  selva,  schiantano  la  rosta  Dalle  radici  e 
sentir  fanno  il  suono  Del  terribile  dente  ». 

—  S.  cingial.  V.  e.  i,  41,  n.  1. 

75.  4.  ribomba,  rimbomba;  e.  xxiv,  8,  1. 
—  paT«nto8o,  che  mette  paura.  K  frequente 
negli  antichi.  Cellim,  Vita,i,til:  «Con  isoli 
sguardi  mi  fece  una  paventosa  bravata  ». 

—  5.  spezza...  venir  meno.  Nello  spezza 
l'A.  avea  in  mente  le  cose,  nel  venir  nieno 
le  persone.  —  strai  ;  la  palla. 


CANTO  IX 


101 


Che  '1  suo  fedel  campion  si  tosto  giaccia; 
Quel  colpo  al  ventre  del  destrier  si  torse; 
Lo  cacciò  iu  terra,  onde  mai  più  non  sorse. 
,      77 

Cade  a  terra  il  divallo  e  il  cavalliero; 
La  preme  l'un,  la  tocca  l'altro  a  pena, 
Che  si  leva  si  destro  e  si  leggiero. 
Come  cresciuto  gli  sia  possa  e  lena. 
Quale  il  libico  Anteo  sempre  più  fiero 
Surger  solea  da  la  percossa  arena; 
Tal  surger  parve,  e  che  la  forza,  quando 
Toccò  il  terren,  si  raddoppiasse  a  Orlando. 
78 

Chi  vide  mai  dal  ciel  cadere  il  foco 
Che  con  si  orrendo  suon  Oiove  disserra, 
E  penetrare  ove  un  rinchiuso  loco 
Carbon  con  zolfo  e  con  salnitro  serra; 
Ch'a  pena  arriva,  a  péna  tocca  un  poco, 
Che  par  ch'avvampi  il  ciel,  non  che  la  ter- 
iSpezzalemura,ei  gravi  marmi  svelle,  [ra; 
E  fa  i  sassi  volar  sin  alle  stelle; 
7& 

S'imagini  che  tal,  poi  che  cadendo  . 
Toccò  la  terra,  il  Paladino  fosse: 
Con  si  fiero  sembiante  aspro  et  orrendo. 
Da  far  tremar  nel  ciel  Marte,  si  mosse. 
Di  che  smarrito  il  Re  Frison,  torcendo 
La  briglia  in  dietro,  per  fuggir  voltosse; 
Ma  gli  fu  dietro  Orlando  con  più  fretta 
Che  non  esce  da  l'arco  una  saetta: 
80 

E  quel  che  non  avea  potuto  prima 
Fare  a  cavallo,  or  farà  essendo  a  piede. 
Lo  seguita  si  ratto,  ch'ogni  stima         '  ^ 
Di  chi  noi  vide,  ogni  credenza  eccede. 
Lo  giunse  in  poca  strada;  et  alla  cima 
De  l'elmo  alza  la  spada,  e  si  lo  tìcde, 
Che  gli  parte  la  testa  fin  al  collo, 
E  in  terra  il  manda  a  dar  l'ultimo  crollo. 
81 

Ecco  levar  ne  la  città  si  sente 
Nuovo  rumor,  nuovo  menar  di  spade; 
Che  '1  cugin  di  Bireno  con  la  gente 
Ch'avea  condutta  da  le  sue  contrade, 
Poi  che  la  porta  ritrovò  patente, 
Era  venuto  dentro  alla  cittade 


Dal  Paladino  in  tal  timor  ridutta, 

Che  senza  intoppo  la  può  scorrer  tutta. 

82 
Fugge  il  popolo  in  rotta;  clie  non  scorge 
Chi  questa  gente  sia,  né  che  domandi: 
Ma  poi  ch'uno  et  un  altro  pur  s'accorge 
All'abito  e  al  parlar,  che  son  Selandi, 
Chiede  lor  pace,  e  il  foglio  bianco  porge; 
E  dice  al  capitan  che  gii  comandi, 
E  dar  gli  vuol  contra  i  Frisoni  aiuto. 
Che  '1  suo  Duca  in  prigiou  gli  lia  riteiiiito. 

83 
Qutd  popol  sempre  stato  era  nimico 
Del  Re  di  Frisa  e  d'ogni  suo  seguace. 
Perché  morto  gli  avea  il  Signor  antico, 
Ma  più  perch'era  ingiusto,  empio  e  rapace. 
Orlando  s'interpose  come  amico 
D'ambe  le  parti,  e  fece  lor  far  pace; 
Le  quali  unite,  non  lasciar  Frisone 
Che  non  morisse  o  non  fosse  prigione. 

84 
Le  porte  de  le  carcere  gittate 
A  terra  sono,  e  non  si  cerca  chiave. 
Bireno  al  Conte  con  parole  grate 
Mostra  conoscer  l'obligo  che  gli  bave. 
Indi  insieme  e  con  molte  altre  brigate 
.Se  ne  vanno  ove  attende  Olimpia  in  nave, 
Cosi  la  donna,  a  cui  di  ragion  spetta 
il  dominio  de  l' isola,  era  detta  ; 


77.  4.  possa  e  lena.  La  lena  è  l'energia 
che  alimenta  la  possa. 

—  5.  Anteo,  gigante  favoloso  della  Libia, 
quante  volte,  combattendo,  cadeva,  riaveva 
nuove  forze  dalla  madre  Terra.  Ercole  l'uc- 
cise alzandolo  e  soffocandolo  fra  le  braccia. 

78.  4.  Carbon  ecc.;  la  polvere  pirica. 

80.  3.  ch'ogni  stima  ecc.;  elle  supera  quan- 
to può  stimare  e  credere  chi  noi  vide. 

81.  2.  nuovo  menar.  Dipende  non  da  levar, 
ma  da  .vi  sente. 

—  5.  patente,  (lat.  patere,  essere  aperto) 
aperta.  Cosi  Cinque  Canti  iii,  53. 


82.  .5.  il  foglio  bianco  porge.  Dare,  Man- 
dare, O/frire,  Porgere  il  foglio  bianco  vale 
dare  pieno  arbitrio  in  un  affare.  Sono 
espressioni  comunissime  nella  Ietterai.  Oggi 
si  dice  piuttosto  dar  carta  bianca. 

—  8.  gli  ha  riten.  Questo  sing.,  ciie  è  con- 
fermato dalle  ediz.  del  1510  e  1521,  ed  ha 
riscontro  in  altri  quattro  luoghi  del  Fur. 
(XII,  30,  0;  XXXV,  25,  0;  xlii,  3;  x.nii,  1S5,  5) 
è  una  bizzarria  che  1'  .\.  ha  imitato  da  al- 
cuni esempi  antichi.  Pulci,  Mory.  20.  29  : 
«  Che  non  ti  sosterrebbe  dieci  trave  ».  Ed  è 
un  uso  impersonale  del  verlio,  che  il  popolo 
Toscano  serba  ancora.  —  suo  duca,  Bireno 
duca  dei  Selandi. 

83.  1.  Quel  popol.  Gli  Olandesi  erano  vec- 
chi nemici  dei  Frisoni,  perché  avevano  uc- 
ciso il  loro  Signore,  padre  d'  Olimpia,  e 
perché  erano  ingmsti  ecc. 

—  6.  D'ambe  le  parti.  Intendi:  fra  i  See- 
landesi  e  gli  Olandesi.  Ricongiungilo  col 
pensiero  della  .St.  precedente,  non  coi  primi 
quattro  di  (juesta. 

84.  1.  carcere.  Negli  anticlii  scrittori  ab- 
biamo spesso  1'  e  nel  plur.  dei  sostantivi 
e  degli  aggeli,  della  quarta  declinaz.  Il  Mo- 
rali cita  esempì  di  Dante,  del  villani,  del 
Pulci.  L'A.  l'usò  in  altre  quattordici  parole. 

—  4.  bave,  ha.  V.  e.  x,  JS,  4. 


102 


ORLANDO  FURIOSO 


85 

.  Quella  che  quivi  Orlando  avea  condutto 
Non  cou  pensier  che  far  (;loveBse  tanto; 
Che  le  parca  bastar  che,  posta  in  lutto 
Sol  lei,  lo  sposo  avesse  a  ti-ar  di  pianto. 
Lei  riverisce  e  onora  il  popol  tutto. 
Lungo  sarebbe  a  ricontarvi  quanto 
Lei  Bireno  accarezzi,  et  ella  lui; 
Qual  grazie  al  Conte  rendano  ambidui. 
86 

Il  popol  la  donzella  nel  paterno 
Seggio  riinette,  e  fedeltà  le  giura. 
Ella  a  Bireno,  a  cui  con  nodo  eterno 
La  legò  Amor  d'una  catena  d.ura«» 
De  lo  stato  e  di  sé  dona  il  governo. 
Et  egli  tratto  poi  da  un'altra  cura, 
De  le  fortezze  e  di  tutto  il  domino 
De  l'isola  guardian  lascia  il  cugino; 
87 

Che  tornare  in  Selandia  avea  disegno, 
E  menar  seco  la  fedel  consorte: 
E  dicea  voler  fare  indi  nel  regno 
Di  Frisa  esperienza  di  sua  sorte; 
Perché  di  ciò  l'assicurava  un  pegno 
Ch'egli  avea  in  mano,  e  lo  stimava  forte: 
La  figliuola  del  Re,  che  fra  i  captivi, 
Che  vi  fur  molti,  avea  trovata  quivi. 
88 

E  dice  ch'egli  vuol  eh' un  suo  germano. 
Ch'era  minor  d'età,  l'abbia  per  moglie. 
Quindi  si  parte  il  Senator  romano 
Il  di  medesmo  che  Bireno  scioglie.  ; 
Non  volse  porre  ad  altra  cosa  mano 
Fra  tante  e  tante  guadagnate  spoglie, 
8e  non  a  quel  tormento  ch'abbiàn  detto 
Ch'ai  fulmine  assimiglia  in  ogni  effetto. 
89 

L'intenzion  non  già,  perché  lo  toUe, 
Fu  per  voglia  d'usarlo  in  sua  difesa: 
Che  sempre  atto  stimò  d'animo  molle  [sa; 
Gir  con  vantaggio  in  qual  si  voglia  impre- 
]Ma  per  gittarlo  in  parte,  onde  non  volle 
Che  mai  potesse  ad  uom  pili  fare  offesa: 


85.  6.  ricontarvi,  raccontarvi.  Petr..  i, 
son.  60:  «Lungo  fora  a  ricontarve  ». 

86.  3.  nodo  eterno,  con  nodo,  che,  quanto 
a  lei,  non  si  sciolse  se  non  colla  morte  di 
Bireno. 

88.  3.  il  Senator  romano,  Orlando,  cosi 
detto  anche  negli  antichi  poemi. 

—  4.  scioglie,  salpa.  È  termine  tecnico. 
Caro,  En.  4,  §(30:  «  Enea  per  riposar  pria 
che  sciogliesse  ».  V.  st.  44,  1. 

—  7.  tormento,  (lat.  tornientum).  Fu  no- 
me generico  di  macchine  militari  antiche, 
atte  a  scagliar  pietre  o  altro.  L'A.  l'usa  per 
archibuso.  v.  e.  xvi,  56,  4. 

89.  1.  l'intenzion,  perché  lo  toUe,  fu  non 
già  per  voglia  ecc. 


E  la  polve  e  le  palle  e  tutto  il  resto 
Seco  portò,  ch'apperteueva  a  questo. 

E  cosi,  poi  che  fuor  de  la  marea 
Nel  più  profondo  mar  si  vide  uscito 
8i,  che  segno  lontan  non  si  vedea 
Del  destro  pili  né  del  sinistro  lito; 
Lo  tolse,  e  disse:  Acciò  pili  non  istea 
Mai  cavallier  per  te  d'essere  ardito, 
Né  quanto  il  buono  vai,  mai  più  si  vanti 
Il  rio  per  te  valer,  qui  giù  rimanti. 
01 

0  maladetto,  o  abominoso  ordigno, 
Che  fabricato  nel  tartareo  fondo 
Fosti  per  man  di  Belzebù  maligno 
Che  minar  per  te  disegnò  il  mondo, 
All'inferno,  onde  uscisti,  ti  rassigno. 
Cosi  dicendo,  lo  gittò  in  profondo. 
Il  vento  in  tanto  le  gonfiate  vele 
Spinge  alla  via  dell'isola  crudele. 
92 

Tanto  desire  il  Paladino  ^enre 
Di  saper,  .se  la  donna  ivi  si  trova. 
Ch'ama  assai  più  che  tutto  il  mondo  insie- 
Né  un'ora  senza  lei  viver  gli  giova;    [me 
Che  s'in  Ibernia  mette  il  piede,  teme 
Di  non  dar  tempo  a  qualche  cosa  nuova, 
Si  ch'abbia  poi  da  dir  in  vano:  Ahi  lasso! 
Ch'ai  venir  mio  non  affrettai  più  il  passo. 
93 

Né  scala  in  Inghilterra  né  in  Irlanda 
Mai  lasciò  far,  né  sul  contrario  lito. 
Ma  lasciamolo  andar  dove  lo  manda 
Il  nudo  Arcier  che  l'ha  nel  cor  ferito. 


—  8.  apperteneva.  Questa  forma  (lat.  per- 
tlnere)  usò  pure  nel  e.  xlvi,  103.  Il  Boccaccio, 
Nov.  50  ha  ìjertoigono.  Ma  ora  son  forme 
disusate  ;  solo  è  rimasto  il  partic.  perti- 
nente. 

90.  1.  marea;  Propriam.  vale  Flusso  e 
riflusso;  ma  qui  La  parte  del  mare  vicina 
alla  spiaggia,  clie  facilmente  si  agita,  per- 
ché l'acqua  è  poco  profonda. 

—  5.  istea;  stia.  Dante,  Inf.  33,  122.  «  Co- 
me il  mio  corpo  stea  ». 

91.  5.  rassigno,  rassegno,  restituisco. 

—  6.  in  profondo,  nel  profondo  :  sono 
espressioni  ugualmente  usate  nella  nostra 
lingua. 

—  S.  alla  via;  alla  volta.  Non  è  comune. 
Guicciardini,  st.,  17,  18.  «Alla  via  dell'e- 
sercito ». 

92.  4*.  Né  nn'ora  ecc.  L'A.  usa  spesso  in- 
terrompere cosi  il  costrutto  con  una  pro- 
posiz.  incidente,  che  sta  come  in  parentesi. 

—  5.  Che.  Dipende  dal  tanto  del  v.  1. 

93.  1.  scala  ecc.  Fare  scala.  Pigliar  porto. 

—  i.  il  nudo  Arcier,  Amore,  che  si  rap- 
presenta come  un  fanciullo  nudo,  armato 
di  arco. 


CANTO  IX 


103 


Prima  che  più  io  ne  parli,  io  vo'  in  Olanda 
Tornare,  e  voi  meco  a  tornarvi  invito; 
Che,  come  a  me,  so  spiacerebbe  a  voi. 
Che  quelle  nozze  fosson  senza  noi. 

94 

Le  nozze  belle  e  sontuose  fauno; 


Ma  non  si  sontuose  né  si  belle. 
Come  in  Selandia  dicon  che  faranno. 
Pur  non  disegno  che  vegnate  a  quelle  ; 
Perché  nuovi  accidenti  a  nascere  hanno 
Per  disturl)arle,  de'  quai  le  novelle 
All'altro  Canto  vi  farò  sentire, 
S'all'altro  Canto  mi  verrete  a  udire. 


CANTO  X 


1  [do 

Fra  quanti  amor,  fra  quante  fede  al  mou- 
Mai  si  trovar,  fra  quanti  cor  constanti. 
Fra  quante,  o  per  dolente  o  per  giocondo 
Stato,  fèr  prove  mai  famosi  amanti; 
Più  tosto  il  primo  loco,  eh'  il  secoudo. 
Darò  ad  Olimpia:  e  se  pur  non  vainanti. 
Ben  voglio  dir  che  fra  gli  antichi  e  novi 
Maggior  de  l'amor  suo  non  si  ritrovi; 
2 
E  che  con  tante  e  con  si  chiare  note 
Di  questo  ha  fatto  il  suo  Bireno  certo. 
Che  donna  pilotar  certo  uomo  non  puote. 
Quando  anco  il  petto  e  il  cor  mostrasse 
E  s' anime  si  fide  e  si  devote         [aperto: 
D'  un  reciproco  amor  denno  aver  merto, 
Dico  ch'Olimpia  è  degna  che  non  meno. 
Anzi  più  che  sé  ancor,  l'ami  Bireno; 

E  che  non  pur  non  l'abandoni  mai 
Per  altra  donna,  se  ben  fosse  quella 
Ch'  Europa  et  Asia  messe  in  tanti  guai,  ' 
O  s' altra  h^  maggior  titolo  di  bella; 
Ma  più'fÒ^tó  che  lei,  lasci  coi  rai 
Del  sol  l'udita  e  il  gusto  e  la  favella  ^^  <c 
E  la  vita  e  la  fama,  e  s' altra  cosa 
Dire  0  pensar  si  può  più  preziosa. 
4 

Se  Bireno  amò  lei  come  ella  amato 
Bireno  avea;  se  fu  si  a  lei  fedele, 
Come  ella  a  lui;  se  mai  non  ha  voltato 


Ad  altra  via,  che  a  seguir  lei,  le  vele; 
0  pur  s'  a  tanta  servitù  fu  ingrato, 
A  tanta  fede  e  a  tanto  amor  crudele. 
Io  vi  vo'  dire,  e  far  di  maraviglia 
Stringer  le  labra,  et  inarcar  le  ciglia. 
"^  5 

E  poi  che  nota  l' impietà  vi  fia. 
Che  di  tanta  bontà  fu  a  lei  mercede, 
Donna  alcuna  di  voi  mai  più  non  sia, 
Ch'  a  parola  d'amante  abbia  a  dar  fede. 
L'amante,  per  aver  quel  che  desia. 
Senza  guardar  che  Dio  tutto  ode  e  vede. 
Avviluppa  promesse  e  giuramenti, 
Che  tutti  spargon  poi  per  l'aria  i  venti. 
6 
I  giuramenti  e  le  promesse  vanno. 
Dai  venti  in  aria  dissipate  e  sparse 
Tosto  che  tratta  questi  amanti  s'hanuo 
L'avida  sete  che  gli  accese  et  arse. 
Siate  a'prieghi  et  a'pianti  che  vi  fanno, 
Per  questo  esempio,  a  credere  più  scarso. 
Bene  è  felice  quel.  Donne  mie  care, 
Ch'  essere  accorto  all'altrui  spese  impare 


1.  1.  fede;  v.  e.  ix,  84,  n.  1. 

—  7.  nuovi,  moderni,  sottint.  amori,  che 
si  rileva  dal  verso  seguente. 

2.  6.  D'un  reciproco  ecc.  Debbono  avere 
il  premio  d'un  amore  ricambiato,  d'esser 
ricambiate  in  amore.  —  Merito  xìreìnio  v. 
e.  II,  16,  n.  3. 

3.  2.  quella;  Elena,  causa  della  guerra 
Troiana. 

—  4.  titolo  di  bella;  vanto,  nome  di  bella. 
Peti".  Tr.  d'Ani.  1,  135:  «  Poi  vien  colei 
eh'  ha  '1  titol  d'esser  bella  ». 

—  6.  l'udita,  l'udito.  È  forma  rara.  Teso- 
ro di  Briin.  L.  3,  5  :  «  E  la  veduta  e  l'udita 
e  la  boce  loro  sia  ben  chiara  ». 


4.  5.  servitù;  amorosa  cura,  che  si  ha 
verso  la  persona  amata. 

5.  1.  impietà,  (lat.  impietas).  Forma  fre- 
quente negli  antichi. 

—  3.  Donna  ale.  gli  autografi,  visti  da  noi, 
hanno:  Donne  alcuna:  e  forse  è  questa  b 
vera  lezione. 

—  4.  Questo  e  i  segg.  versi  sono  imita?., 
di  Catullo  64,  142  seg.  «  lam  iam  nulla  viro 
iuranti  foemina  credat.  Nulla  viri  speret 
sermones  esse  fideles.  Quis  dum  aliquid  cu- 
piens  animus  praegestit  apisci,  Xil  metuunt 
iurare,  nihil  promittereparcunt;  Sed,  simul 
ac  cupidae  mentis  satiata  libido  est.  Dieta 
nihil  meminere,  nihil  periuria  curant  ».  E 
poco  prima:  «  Quae  cuncta  aerei  discerpunt 
irrita  venti  ». 

6.  6.  scarse,  caute;  non  corrive.  Daxte, 
Purg.,  17,  3:  «  Quel  ch'ancor  fa  li  padri  a' 
figli  scarsi  ». 

—  7.  Ben  è  felice  ecc.  Plauto,  Mercator, 
4,  7,  40:  «  Feliciter  is  sapit  qui  alieno  peri- 
culo  sapit  >•.  K  lo  stesso  dice  Tibullo,  3,  G,  4.'?. 


104 


ORLANDO  FURIOSO 


Guardatevi  da  questi  che  sul  fiore 
De'  lor  begli  anni  il  viso  han  si  polito; 
Che  presto  nasce  in  loro  e  presto  muore, 
Quasi  un  foco  di  paglia,  ogni  appetito. 
Come  segue  la  lepre  il  cacciatore 
Al  freddo,  al  caldo,  alla  montagna,  al  lito, 
Né  più  l'estima  poi  che  presa  vede; 
E  sol  dietro  a  chi  fugge,  aftretta  il  piede: 
8 

Cosi  fan  questi  gioveni,  che  tanto 
Che  vi  mostrate  lor  dure  e  proterve, 
V  amano  e  riveriscono  con  quanto 
Studio  de'  far  chi  fedelmente  serve  : 
Ma  non  si  tosto  si  potran  dar  vanto 
Uè  la  vittoria,  che  di  donne,  serve 
Vi  dorrete  esser  fatte;  e  da  voi  tolto 
A^edrete  il  falso  amore,  e  altrove  volto. 
9 

Non  vi  vieto  per  questo  (ch'avrei  torto) 
Che  vi  lasciate  amar;  che  senza  amante 
Sareste  come  inculta  vite  in  orto. 
Che  non  ha  palo  ove  s'appoggi  o  piante. 
Sol  la  prima  lanugine  vi  esorto 
,^„^Tutta  a  fuggir,  volubile  e  inconstante, 
E  córre  i  frutti  non  acerbi  e  duri  ; 
Ma  che  non  sien  però  troppo  maturi. 
10 

Di  sopra  io  vi  dicea  ch'una  figliuola 
Del  re  di  Frisa  quivi  hanno  trovata, 
Che  fia,  per  quanto  n'han  mosso  parola. 
Da  Bireno  al  fratel  per  moglie  data. 
Ma,  a  dire  il  vero,  esso  v'avea  la  gola, 
Che  vivanda  era  troppo  delicata; 
E  riputato  avria  cortesia  sciocca. 
Per  darla  altrui,  levarsela  di  bocca. 
11 

La  damigella  non  passava  ancora 
Quattordici  anni,  et  era  bella  e  fresca, 
Como  rosa  che  spunti  allora  allora 
Fuor  della  buccia  e  col  sol  nuovo  cresca. 


7.  2.  han  si  polito,  Polito  può  signific. 
senza  barba,  giovanile  ;  e  anche  liscio,  fre- 
sco (come  al  e.  xxv,  49,  4)  giovanile.  Per  il 
costrutto  si  può  intendere  :  hanno  il  viso  cosi 
giovanile,  sono  cosi  giovani  che  presto  na- 
sce, ecc.;  oppure  :  hanno  il  viso  molto  giova- 
nile, sono  'molto  giovani,  cosicché  presto  na- 
sce ecc.  Sì  per  inolio  al  e.  xxvii,  37,  4  ;  47,  3. 

—  7.  presa  vede;  Sottint.  la;  v.  e.  i,  21,7. 
L'immagine  è  d'Orazio,  Sat.  i,  2,  105  :  «  Le- 
porem  venator  ut  alta  In  nive  sectetur,  po- 
situm  sic  tangere  nolit  ». 

8.  fi.  donne;  signore.  Dante,  Purg.,  6, 
78:  «  Non  donna  di  provincie,  ma  bordello  ». 

9.  4.  piante,  attacchi. 

10.  2.  quivi,  a  Dordrecht. 

—  5.  v'avea  la  gola,  n'era  ghiotto.  Modo 
ancora  comune. 

U.  1.  buccia;  boccio.  Gl'arini.   Past.  F., 


!  Non  pur  di  lei  Bireno  s' innamora. 
Ma  fuoco  mai  cosi  non  accese  esca, 
Né  se  lo  pongan  l' invide  e  niraicho 
Mani  talor  ne  le  mature  spiche; 
1-2 
Come  egli  se  n'  accese  immantinente, 
Com'  egli  n'arse  fin  iie  le  medolle. 
Che  sopra  il  padre  morto  lei  dolente 
Vide  di  pianto  il  bel  viso  far  molle. 
E  come  suol,  se  l'acqua  fredda  sente, 

;  Quella  restar  che  prima  al  fuoco  bolle; 
Cosi  l'ardor  che  accese  Olimpia,  vinto 
Dal  nuovo  successore,  in  lui  fu  estinto. 

13  ><.... 
Non  pur  sazio  di  lei,  ma  fastidito 

N'  è  già  cosi,  che  può  vederla  a  pena; 

E  si  de  l'altra  acceso  ha  l'appetito, 
1  Che  ne  morrà  se  troppo  in  lungo  il  mena  ; 
I  Pur,  finché  giunga  il  di  e'  ha  statuito 

A  dar  fine  al  disio,  tanto  l'afiVena, 

Che  par  ch'adori  Olimpia,  non  che  l'ami, 
'  E  quel  che  piace  a  lei,  sol  voglia  e  brami. 

14  "—  ' 
E  se  accarezza  l'altra  (che  non  puote 

Far  che  non  l'accarezzi  più  dèi  dritto). 
Non  è  chi  questo  in  mala  parte  note; 
Anzi  a  pietade,  anzi  a  bontà  gli  è  ascritto  : 
Che  rilevare  un  che  Fortuna  ruote 
Talora  al  fondo,  e  consolar  l'afflitto. 
Mai  non  fu  biasmo,  ma  gloria  sovente; 
Tanto  più  una  fanciulla,  una  innocente. 
15 
!      Oh  sommo  Dio; come  i  giudici  umani 
f^ Spesso  offuscati  sou  da  un  nembo  oscuro! 
I  modi  di  Bireno,  empii  e  profani, 
Pietosi  e  santi  riputati  furo. 
I  marinari,  già  messo  le  mani 
Ai  remi,  e  sciolti  dal  lito  sicuro, 


2,  4;  «  Una  fanciulla...  che  pur  ora  Spunta 
fuor  della  buccia  ». 

—  7.  Né  se  lo  pongan  ecc.  Ovidio,  Met., 
6,  4G6  :  «  Non  secus  exarsit,  Quam  si  quis 
canis  igneni  supponat  aristis  ». 

12.  1.  immantinente.  Questo  avverbio  va 
sottinteso  anche  nel  verso  secondo,  e  va 
messo  in  relazione  col  che  del  v.  3;  imman- 
tinente... che,  subito...  che  vide  lei  dolen- 
te ecc. 

—  7.  Olimpia,  È  soggetto.  —  successore  ; 
Può  riferirsi  o  al  nuovo  ardore  o  alla  fan- 
ciulla. OVIDIO,  Remecl.  amor.  462:  «  Succes- 
sore novo  toUitur  omnis  amor  ». 

14.  5.  ruote,  precipiti  o  trascini  colla  sua 
ruota.  È  maniera  nuova,  non  registrata  dai 
vocabolari,  derivata  dal  rotare  dei  Latini. 
Seneca  Hipp.  1120  «Quanti  casus  humana 
rotanti».  Per  l'immagine  vedi  e.  xix,  1, 
n.  1. 

15.  5.  messo  le  mani.   V.  e.  IX,  32,   1 


CANTO  X 


105 


Portavan  lieti  pei  salati  stagni 
Verso  Selandia  il  Duca  e  i  suoi  compagni. 
16 
Già  dietro  rimasi  erano  e  per<luti 
Tutti  di  vista  i  termini  d'Olanda; 
Che  per  non  toccar  Frisa,  pili  tenuti      ;  ' 
S'eran  ver  Scozia  alla  sinistra  banda: 
Quando  da  un  vento  far  sopràvennti, 
Ch'  errando  in  alto  mar  tre  di  li  manda. 
Sorsero  il  terzo,  già  presso  alla  sera. 
Dove  inculta  e  deserta  un'isola  era. 

Tratti  cTie  si  fur  dentro  un  picciol  seno, 
Olimpia  venne  in  terra;  e  con  diletto 
In  compagnia  de  l'infedel  Bireno 
Cenò  contenta  e  fuor  d'ogni  sospetto: 
Igdi  con  lui,  là  dove  in  loco  ameno 
Teso  èra  un  padiglione,  entrò  nel  letto. 
Tutti  gli  altri  compagni  ritornaro, 
E  sopra  i  legni  lor  si  riposaro. 
18 

Il  travaglio  del  mare  e  la  paura. 
Che  tenuta  alcun  di  l' aveano  desta; 
Il  ritrovarsi  al  lifo  óra  sicura. 
Lontana  da  rumor  ne  la  foresta, 
E  che  nessun  pensier,  nessuna  cura, 
Poi  che  '1  suo  amante  ha  seco,  la  molesta  ; 
Fur  cagiòn  ch'ebbe  Olimpia  si  gran  sonno. 
Che  gli  orsi  e  i  ghiri  aver  maggior  noi 
"  VJ  [ponno. 

Il  falso  amante  che  i  pensati  inganni 
VeggiSr't'acean,  come  dormir  lei  sente, 
Pian  piano  ;esce  del  letto  ;  e  de'  suoi  panni 
Fatto  un  fasféTìion  si  veste  altrimente; 
E  lascia  il  padiglione;  e  come  i  vanni 
Nati  gli  sian,  rivola  alla  sua  gente, 


16.  7.  sursero.  V.  e.  iv,  51,  n.  5. 

—  S.  un'isola.  Forse  una  delle  Orcadi  o 
una  delle  Ebridi  ;  o  meglio  una  di  quelle 
isole  fantastiche  sempre  pronte  a  fare  il 
comodo  dei  romanzieri  antichi. 

18.  ").  E  che  nessun  ecc.  È  proposiz.  sog- 
gettiva regolare;  ma  il  cambiamento  di  co- 
strutto la  rende  alquanto  dura. 

—  8.  gli  orsi  e  i  ghiri  passano  l' inverno 
nelle  caverne  e  nelle  buche  in  stato  di  tor- 
pore. 

19.  2.  Veggiar;  vegghiar,  vegliare.  V.  e. 
I,  41,  n.  1. 

—  I.  altrimente,  Qui  non  ha  altro  valore 
che  d'affermare  la  negativa:  e  cosi  spesso. 
Maciìiaveli.i.  Discorsi,  7:  «  .Senza  pensare 
altrimenti  (affatto)  d'imitarle  ». 

—  7.  senza  udirsi  un  grido.  L'infinito  con 
.fenza  deve  avere,  di  regola,  per  soggetto 
il  soggetto  della  propos.,  da  cui  dipende; 
ma  gli  antichi  anche  in  prosa  amarono 
questo  costrutto.  Boccaccio,  yov.  49:  «  Seu- 
z'altra  cosa...  essergli  rimasa  ». 


E  li  risveglia;  e  senza  udirsi  un  grido, 
Fa  entrar  ne  l'alto,  e  abaudonare  il  lido. 
■  "'   20 
Eimase  a  dietro  il  lido  e  la  meschina 
Olimpia,  che  dormi  senza  destarse, 
Fin  che  l'Aurora  la  gelata  brina 
Da  le  dorate  ruote  in  terra  sparse, 
E  s'  udir  le  Alcione  alla  marina 
De  l'antico  infortunio  lamentarse. 
:  Xé  desta  né  dormendo,  ella  la  mano 
I  Per  Bireno  abbracciar  stese,  ma  in  vano. 
I  21 

Nessuno  trova:  a  sé  la  man  ritira: 
Di  nuovo  tenta,  e  pur  nessuno  trova. 
Di  qua  r  un  braccio,  e  di  là  l'altro  gira; 
j  Or  l'una  or  l'altra  gamba;  e  nulla  giova. 
I  Caccia  il  sonno  il  timor:  gli  occhi  apre,  e 
I  [mira: 

;  Non  vedealcmio.  Or  già  non  scalda  e  cova 
i  Più  le  vedove  piume;  ma  si  getta 
j  Del  letto  e  fuor  del  padiglione  in  fretta  : 

■    23  ■  '-  -■  j:,  , 

!      E  corre  al  mar,  graffiandosi  le  gote. 
Presaga  e  certa  ormai  di  sua  fortuna. 
Si  straccia  i  crini,  e  il  petto  si  percuote: 
E  va  guardando  (che  splendea  la  luna) 


—  S.  nell'alto.  V.  e.  viii,  36,  n.  4. 

20.  —  Di  qui  fino  alla  st.  35  l'A.  ha  seguito 
quasi  passo  per  passo  Ovidio,  Epist.  x,  in 
cui  Arianna  parla  a  Teseo,  che  l' ha  abban- 
donata nell'  isola  di  Nasso.  Noteremo  i  prin- 
cipali riscontri. 

—  4.  Da  le  dorate  ecc.  Ov.  l.  e.  7:  «  Tem- 
pus  erat  vitrea  quo  primum  terra  pruina 
Spargitur  ». 

—  5.  Le  Alcione.  Sono  uccelli  marini  po- 
co pili  grossi  del  passero.  Hanno  un  canto 
lamentevole.  In  italiano,  per  lo  più,  è  nome 
maschile;  IWriosto  e  qualche  altro  l'usaro- 
no, come  i  Latini,  al  femminile.  Dice  la  fa- 
vola che  Alcione  fu  moglie  amantissima  di 
Ceice;  essendo  questi  morto  per  naufragio. 
Alcione  ne  rimase  afflittissima.  Cdi  dei, 
mossi  a  pietà,  la  cambiarono  in  uccello. 

—  7.  Né  desta  ecc.  Ov.  l.  e.  9:  «  Incertum 
vigilans  a  somno  languida  movi  Thesea 
pressui'as  semisupina  manus  ». 

21.  1-2.  Nessuno  trova  ecc.  Ov.  l.  c-  11. 
«  Nullus  erat;  referoque  manus  iterumque 
retento,  Perque  torum  moveo  brachia,  nul- 
lus erat  ». 

—  5-8.  Caccia  ecc.  Ov.  l.  e.  13  :  «  Excus- 
sere  metus  somiium:  conterrita  surgo  Mem- 
braque  sunt  viduo  praecipitata  toro  ». 

a.  4-8.  E  va  guardando  ecc.  Ov.  1.  e.  19. 
«  Luna  fuit:  cerno  si  quid  nisi  litora  cer- 
nam;  Quod  videant  oculi,  nil  nisi  litus,  ha- 
bent.  Interea  toto  clamanti  litore,  Theseu  '. 
Reddebant  nomen  concava  saxa  tuum». 


106 


GELANDO  FURIOSO 


He  veder  cosa,  fuor  che  '1  lito,  puote; 
Né,  fuor  che  '1  lito,  vede  cosa  alcuna. 
Bireno  chiama;  e  al  nome  di  Bireno 
Rispondean  gli  antri  che  pietà  u'avieno. 

23 

Quivi  surgea  nel  lito  estremo  un  sasso, 
C'h'aveano  l'onde,  col  picchiar  frequente, 
Cavo  e  ridutto  a  guisa  d'arco  al  basso; 
E  stava  sopra  al  mar  curvo  e  pendente. 
Olimpia  in  cima  vi  sali  a  gran  passo 
(Cosi  la  facea  l'animo  possente); 
E  di  lontano  le  gonfiate  vele 
Vide  fuggir  del  suo  signor  crudele: 
24 

Vide  lontano,  o  le  parve  vedere; 
Che  l'aria  chiara  ancor  non  era  molto. 
Tutta  tremante  si  lasciò  cadere, 
Piùbiancaepiù  che  nieve  fredda  in  volto. 
M.;  poi  che  di  levarsi  ebbe  potere, 
Al  camin  de  le  navi  il  grido  volto, 
Chiamò,  quanto  potea  chiamar  più  forte. 
Pili  volte  il  nome  del  crudel  consorte: 
25 

E  dove  non  potea  la  debil  voce. 
Suppliva  il  pianto  e  '1  batter  palma  a  pai- 
Dove  fuggi,  crudel,  cosi  veloce?        [ma: 
Non  ha  il  tuo  legno  la  debita  salma. 
Fa  che  lievi  me  ancor:  poco  gli  niioce 
Che  porti  il  corpo,  poi  che  porta  l'alma. 
E  con  le  braccia  e  con  le  vesti  segno 
Fa  tuttavia,  perché  ritorni  il  legno. 


—  8.  avièno  ;  aveano.  Forma  poetica. 
Dante,  Purg.,  10,  81,  ha  movièno. 

23.  1-4.  Qnlvi  snrgea  ecc.  Ov.  l.  e.  25. 
«  Mons  fuit...  Hinc  scopulus  raucis  pendet 
adhaesus  aquis  ».  Ovidio,  Metani.,  iv,  525: 
-^  Immiuet  aequoribus  scopulus,  pars  ima 
cavatur  Fluctibus  ». 

—  5-6.  vi  sali  ecc.  Ov.  l.  e.  27.  «  Adscen- 
■do:  (vires  animus  dabat)  ». 

—  7-8.  E  di  lontano  ecc.  Ov.  l.  e.  29. 
■«  Inde  ego...  Vidi  praecipiti  carbasa  tenta 
Noto  ». 

24.  1-4.  Vide  lontano  ecc.  Ov.  l.  e.  31.  «  Aut 
vidi,  aut  etiam,  cura  me  vidisse  putarem, 
Frigidioi"  glacie  semianimisque  fui  ». 

—  5-8.  Ma  poi  ecc.  Ov.  /.  e.  33:  «  Excitor, 
«t  summa  Thesea  voce  voco  », 

25.  1-2.  E  dove  ecc.  Ov.  (.  e.  37.  38:  «  Quod 
voci  deerat  plaiigore  replebam  ;  Verbera 
cum  verbis  mixta  fuere  meis  ». 

—  3-4.  Dove  fuggì  ecc.  Ov.  (.  e.  35,  36: 
«Quo  fugis?...  Flecte  ratem;  numerum  non 
habet  illa  suum  ».  —salma;  (gr.  sagma)  ca- 
rico. Cosi  anche  al  e.  xv,  80. 

—  7-8.  E  con  le  braccia  ecc.  Ov.  l.  e.  40, 
41:  «  lactata  late  sigila  dedere  manus:  Can- 
didaque   imposui  longe  velamina  virgae  ». 


Ma  i  venti  che  portavano  le  vele 
Per  l'alto  mar  di  quel  giovene  intido. 
Portavano  anco  i  prieghi  e  le  querele 
De  l'infelice  Olimpia,  e '1  pianto  e  '1  grido; 
La  qna|  t/^  volte  a  sé  stessa  crudele, 
Per  affogarsi  si  spiccò  dal  lido  : 
Pur  al  fin  si  levò  da  mirar  l'acque, 
E  ritornò  dove  la  notte  giacque; 

27      •        ''    '•    ' 
E  con  la  faccia  in  giù  stesa  sul  letto, 
Bagnandolo  di  pianto,  dicea  lui: 
lersera  desti  insieme  a  dui  ricetto: 
Perché  insieme  al  levar  non  siamo  dui? 

0  perfido  Bireno,  o  maladetto 
Giorno  eh'  al  mondo  generata  fui! 

Che  debbo  far?  che  poss'  io  far  qui  sola? 
Chi  mi  dà  aiuto?  ohimè!  chi  mi  consola? 
.  .       28 
Uomo  non  veggio  qui,  non  ci  veggio  opra , 
Donde  io  possa  stimar  ch'uomo  qui  sia: 
Nave  non  veggio,  a  cui  salendo  sopra, 
Speri  allo  scampo  mio  ritrovar  via. 
Di  disagio  morrò;  uè  chi  mi  cuopra 
Gli  occhi  sarà,  né  chi  sepolcro  dia. 
Se  forse  in  ventre  lor  non  me  lo  danno 

1  lupi,  ohimè!  che  in  queste  selve  stanno. 

29 
Io  sto  in  sospetto,  e  già  di  veder  parrai 
Di  questi  boschi  orsi  o  leoni  uscire, 
O  tigri  0  fiere  tal,  che  natura  armi 
D'aguzzi  denti  e  d'ugne  da  ferire. 
Ma  quai  fere  crudel  potriano  farmi, 
Fera  crudel,  peggio  di  te  morire  ? 
Darmi  una  morte,  so,  lor  parrà  assai; 
E  tu  di  mille,  ohimè!  morir  mi  fai. 

Ma  presuppongo  ancor  ch'or  ora  arrivi 
Nocchier,  che  per  pietà  di  qui  mi  porti; 


26.  S.  E  ritornò  ecc.  Ov.  l.  c.  51  :  «  .Saepe 
torum  repeto,  qui  nos  acceperat  ambos  ■>. 

27.  1-4.  E  con  la  faccia  ecc.  Ov.  l.  e.  54-7: 
«  Strataque,  quae  membris  intepuere  meis, 
Incumbo,  lacrimisque  toro  mauante  protu- 
sis...  esclamo...  Venimus  liuc  ambo,  cur  non 
discedimus  ambo  ?  ". 

—  7-8.  Che  debbo  far?  OV.  l.  e.  59.  «  Quid 
faciam  ?  quo  sola  ferar  ?  ». 

28.  1-4.  Uomo  ecc.  Ov.  l.  e.  60  :  <  Non 
hominum  video,  non  ego  facta  boum;... 
iiavita  nusquam  ». 

—  7.  in  ventre.  Omissione  dell'artic.  V. 
e.  I,  63,  4. 

29.  1-4.  Io  sto  ecc.  ov.  l.  e.  83  seg.  :  «  lara 
iam  venturos  aut  hac  aut  suspicor  illac,  Qni 
laiiient  avido  viscera  dente  lupos.  Forsitau 
et  fulvos  tellus  aiat  ipsa  leones  ». 

80.  1-2.  Ma  presuppongo  ecc.  Ov.  ;.  e.  6.3-4; 
«  Finge  dari  coinitesque  mihi  veutosque  ra- 
temque.  Quid  sequar?». 


CANTO  X 


107 


E  cosi  lupi,  orsi,  leoni  schivi, 
Strazii,  disagi  et  altre  orribil  morti: 
Mi  porterà  forse  in  Olanda,  s' ivi 
Per  te  si  guardan  le  fortezze  e  i  porti?  . 
Mi  porterà  alla  terra  ove  son  nata. 
Se  tu  con  fraude  già  me  1'  hai  levata? 
31 

Tu  m'hai  lo  stato  mio,  sotto  pretesto 
Di  parentado  e  d'  amicizia,  tolto. 
Ben  fosti  a  porvi  le  tue  genti  presto. 
Per  avere  il  dominio  a  te  rivolto,     [resto 
Tornerò  in  Fiandra?  ove  ho  venduto  il 
Di  che  io  vivea,  benché  non  fossi  molto, 
Per  sovvenirti  e  di  prigione  trarte.      [te. 
Mischina  I  dove  andrò  ?  non  so  in  qual  par- 
32 

Debbo  forse  ire  in  Frisa,  ove  io  potei, 
E  per  te  non  vi  volsi  esser  Regina? 
Il  che  del  padre  e  dei  fratelli  miei, 
E  d'ogn' altro  mio  ben  fu  la  mina. 
Quel  e'  ho  fatto  per  te,  non  ti  vorrei, 
ingrato,  improverar,  né  disciplina 
Dartene;  che  non  men  di  me  lo  sai: 
Or  ecco  il  guiderdon  che  me  ne  dai. 
33 

Deh,  pur  che  da  color  che  vanno  in  corso. 
Io  non  sia  presa  e  poi  venduta  schiava! 
Prima  che  questo,  il  lupo,  il  leon,  l'orso 
Venga,  e  la  tigre  e  ogn'  altra,  fera  brava, 
Di  cui  l'ugna  mi  stracci, e frfftr^àil  morso; 
E  morta  mi  strascini  alla  sua  cava.  ,!X 
Cosi  dicendo,  le  mani  si  caccia  [eia. 

Ne' capei  d'oro  e  a  chioccaachioccasti'ac- 
34 

Corre  di  nuovo  in  su  l'estrema  sabbia, 
E  ruota  il  capo,  e  sparge  all'aria  il  crine; 
E  sembra  forsennata,  e  ch'adosso  abbia 
Non  un  demonio  sol,  ma  le  decine; 
O,  qual  Ecuba,  sia  conversa  in  rabbia, 


31.  4.  avere...  a  te  rivolto;  avere  nelle  tue 
mani  il  dominio.  È  locuzione  sforzata  e  non 
chiara. 

—  6.  fossi;  fosse,  v.  e.  II,  10,  n.  8". 

—  7.  Per  sovvenirti.  V.  e.  ix,  48. 

32.  6.  improverar;   v.  e.  I,  29,  n.  7. 

—  6.  disciplina  dartene  ;  insegnarti,  ri- 
durli alla  memoria  quanto  ho  fatto  per  te. 

33.  1-2.  Deh,  pur  ecc.  Ov.  l.  e.  89;  «Tan- 
tum ne  religer  dura  captiva  catena  ».  — 
Vanno  in  corso.  Andare,  Uscire,  Mettersi 
in  corso  valgono  Corseggiare. 

—  4.  brava;  Aggiunto  ad  animale  signi- 
fica feroce,  indomito.  Pulci,  Morg.,  15,  32: 
«  Come  lioue  o  altra  fera  brava  ». 

—  8.  a  chiocca,  a  eh.;  a  ciocca  a  ciocca. 
Forma  del  dial.  Veneto,  donde  il  modo,  an- 
che Toscano,  in  chiocca,  in  copia. 

34. 5.  qual  Ecnba  ec.  È  commento  a  questo 
luogo  quel  di  Dante,  Inf.  xxx,  16  seg.  «  E- 


A'istosi  morto  Polidoro  al  fine. 
Or  si  ferma  s'un  sasso,  e  guarda  il  mare; 
Né  men  d'  un  vero  sasso,  uu  sasso  pare. 
35 

Ma  lasciànla  doler  fin  eh'  io  ritorno. 
Per  voler  di  Ruggier  dirvi  pur  anco. 
Che  nel  piti  intenso  ardor  del  mezzogiorno 
Cavalca  il  lito,  aflaticato  e  stanco. 
Percuote  il  Sol  nel  colle,  e  fa  ritorno: 
Di  sotto  bolle  il  sabbion  trito  e  bianco. 
Mancava  all'arme  ch'avea  indosso,  poco 
Ad  esser,  come  già,  tutte  di  fuoco. 
36 

Mentre  la  sete,  e  de  l'andar  fatica 
Per  l'alta  sabbia  e  la  solinga  via 
Gli  facean,  lungo  quella  spiaggia  aprica. 
Noiosa  e  dispiacevol  compagnia; 
Trovò  ch'all'ombra  d'  una  torre  antica, 
Che  fuor  de  l'onde  apjiresso  il  lito  uscia. 
De  la  corte  d'AIcina  erau  tre  donne. 
Che  le  conobbe  ai  gesti  et  alle  gonne. 
37 

Corcate  su  tapeti  Alessandrini, 
Godeansi  il  fresco  rezzo  in  gran  diletto, 
Fra  molti  vasi  di  diversi  vini, 
E  d'ogni  buona  sorta  di  confetto. 


cuba  trista  misera  e  cattiva.  Poscia  che 
vide  Poliscila  morta,  E  del  suo  Polidoro  iti 
su  la  riva  Del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta. 
Forsennata  latrò  siccome  cane  ;  Tanto  il 
dolor  le  fé  la  mente  torta  >.  —  in  rabbia; 
iu  cagna  rabbiosa.  Éuso  non  citato  dai  voca- 
bolari. Per  la  favola,  Ovio.  Melam.  xiii,  399. 

—  7-8.  Or  si  ferma  ecc.  Ov.  l.  e.  49,  50  : 
«  Aut  mare  prospiciens  in  saxo  frigida  sedi: 
Quamque  lapis  sedes  tam  lapis  ipsa  fui  ». 
Qui  finisce  la  giunta  fatta  dall'A.  nella  ediz. 
del  1532. 

35.  1.  ritorno;  torno,  più  avanti,  a  ripren- 
dere e  finire  questo  racconto  d'Olimpia. 
Infatti  lo  riprende  al  e.  xi,  21, 

—  2.  Per  voler...  dirvi;  lasciamola  doler, 
perché  voglio...  dirvi.  Boccaccio,  JS'ov.  79  : 
«  Per  non  poter  tenere  le  risa  fuggito  s'  e- 
ra». 

—  4.  Cavalca  il  1.;  percorre,  a  cavallo,  il 
lido.  Marco  Polo,  210  «  sicché  tutte  (le  vie) 
si  possono  cavalcare  rettamente  ». 

—  5.  fa  ritorno;  riflette  i  suoi  raggi. 

—  8.  come  già,  come  furono  quando  si 
lavorai'ono  nella  fucina.  L'A.  riprende  la 
narrazione  interrotta  al  e.  viii,  st.  21. 

36.  1.  fatica.  Più  regolarm.  si  dovrebbe 
ripeter  l'artic. 

—  8.'  Che;  giacché.  Spiega  de  la  corte 
d'AIcina. 

37.  1 .  Alessandrini.  Iu  Alessandria  d'Egit- 
to si  tessevano  tappeti  finissimi  e  di  gran 
pregio.     . 

—  4.  confetto.  È  frequentissimo  negli  an- 


ICS 


OKLANDO  FURIOSO 


Presso  alla  spiaggia,  coi  flutti  marini 
Scherzando,  le  aspettava  un  lor  legnetto 
Fin  che  la  vela  empiesse  agevol'  óra; 
Che  un  fiato  pur  non  ne  spirava  allora. 
38 

Queste  ch'andar  per  la  non  ferma  sab- 
Yider  Kuggiero  al  suo  viaggio  dritto,  [bia 
Che  sculta  avea  la  sete  in  su  le  labbia. 
Tutto  pien  di  sudore  il  viso  afflitto, 
Gli  cominciaro  a  dir  che  si  non  abbia 
Il  cor  voluntaroso  al  caraiu  fitto. 
Ch'alia  fresca  e  dolce  ombra  non  si  pie- 
fi  ristorar  lo  stanco  corpo  nieghi.      [ghi, 
39 

E  di  lor  una  s'accostò  al  cavallo 
Per  la  staffa  tener,  che  ne  scendesse: 
L"  altra  con  una  coppa  di  cristallo. 
Di  vin  spumante,  più  sete  gli  messe:   [lo; 
Ma  Ruggiero  a  quel  suon  non  entrò  in  bal- 
Perché  d'ogni  tardar  che  fatto  avesse, 
Tempo  di  giunger  dato  avria  ad  Alcina, 
Che  venia  dietro,  et  era  ornai  vicina. 
40 

Non  cosi  fin  salnitro  e  zolfo  puro. 
Tocco  dal  fuoco,  subito  s'avvampa; 
Né  cosi  freme  il  mar,  quando  l' oscuro 
Turbo  discende,  e  in  mezzo  se  gli  accam- 
Come,  vedendo  che  Ruggier  sicuro     [pa; 
Al  suo  dritto  camin  l'arena  stampa, 
E  che  le  sprezza  (e  pur  si  tfnean  belle), 
D' ira  arse  e  di  furor  la  terza  d'elle. 
41 

Tu  non  sei  né  gentil  né  cavalliero 
(Dice  gridando  quanto  può  più  forte), 
Et  hai  rubate  V  arme;  e  quel  destriero 
Non  saria  tuo  per  veruna  altra  sorte: 
E  cosi,  come  ben  m'appongo  al  vero, 
Ti  vedessi  punir  di  degna  morte  ; 


tichi,  nel  singolare  come  nel  plurale,  per 
indicare  confetture. 

—  7.  ageTol  óra;  lieve,  placida  aura.  Po- 
Liz.  Rime,  1,  124:  «Né  quando  soffia  un 
ventolino  agevole  Fra  le  cime   de'  pini  ». 

38.  6.  vnlnntaroso  e  volunteroso,  volon- 
taroso  scrissero  gli  antichi.  —  Fitto,  rivolto, 
intento.  Riferiscilo  ad  aiiimo,  non  a  camin, 
come  fanno  alcuni  intendendo  jireftsso,  sta- 
bilito; significato,  di  cui  non  si  cita  esem- 
i)io.  Nell'ediz.  del  1516  si  ha  e  al  cam,ìnin 
fitto,  lezione  che  conferma  la  prima  inter- 
pretaz. 

39.  5.  non  entrò  in  ballo.  Entrare  in  ballo 
è  modo  popolare  e  vivo,  che  significa  ac- 
cingersi a  fare  t/italcosa. 

—  C.  d'ogni  tardar;  per  ogni  tardar.  Que- 
st'uso, non  comune,  del  rii  è  affine  all'uso 
causale,  che  se  ne  fa  nelle  espressioni  mo- 
rir di  fame  ecc.  V.  st.  JJ,  S,  e  e.  xiii;  33,  3. 

41.  1.  sorte;  maniera;  v.  e.  viii,  75,  n.  4. 


Che  fossi  fatto  in  quarti,  arso  o  impiccato. 
Brutto  ladron,  villan,  superbo,  ingrato. 
42 

Oltr'a  queste  e  molt'altre  ingiuriose 
Parole  che  gli  usò  la  donna  altiera. 
Ancor  che  mai  Ruggier  non  le  rispose. 
Che  di  si  vii  tenzon  poco  onor  spera; 
Con  le  sorelle  tosto  ella  si  pose 
.Sul  legno  in  mar,  che  al  lor  servigio  v'era: 
Et  afi'rettando  i  remi,  lo  seguiva, 
Vedendol  tuttavia  dietro  alla  riva. 
43 

Minaccia  sempre,  maledice  e  incarca; 
Che  l'onte  sa  trovar  per  ogni  punto. 
In  tanto  a  quello  stretto,  onde  si  varca 
Alla  Fata  più  bella,  è  Ruggier  giunto; 
Dove  un  vecchio  nocchiero  una  sua  barca 
Scioglier  da  l'altra  ripa  vede,  a  punto 
Come,  avvisato  e  già  provisto,  quivi 
Si  stia  aspettando  che  Ruggiero  arrivi. 
44 

Scioglie  il  nocchier,  come  venir  lo  vede. 
Di  trasportarlo  a  miglior  ripa  lieto; 
Che,  se  la  faccia  può  del  cor  dar  fede, 
Tutto  benigno  e  tutto  era  discreto. 
Pose  Ruggier  sopra  il  navilio  il  piede, 
Dio  ringraziando;  e  per  lo  mar  quieto 
Ragionando  venia  col  galeotto. 
Saggio  e  di  lunga  esperienza  dotto. 
45 

Quel  lodava  Ruggier,  che  si  s'avesse 
Saputo  a  tempo  tòr  da  Alcina,  e  inauti 


42.  3.  Ancor  che...  rispose.  Per  l' indicat. 
cfr.  e.  v,  11,  n.  7. 

—  8.  dietro  alla  rixa.  V.  e.  vili,  35,    n.  2. 

43.  1.  incarca;  ingiuria.  Caro,  Longo  So- 
j  flsta,  38:  «  Sapendosi  che  oltraggiosamente 

I  e  da'  pastori  erano  stati  incaricati  ».  Signi- 
t  ficaio  simile  ha  incarco  nei  Cinque  Canti 
\  III,  53. 

j  —  2.  per  ogni  punto,  continuamente.  Modo 
!  non  citato  dai  vocab.,  che  citano  invece  a, 
I  ogni  punto  dello  stesso  signifìc. 

—  3.  a  quello  stretto;  È  un  golfo,,  come 
quello,  che  separa  la  Scozia  dall'  Inghilter- 
ra ;  V.  e.  VI,  45,  3. 

—  4.  Alla  lata  più  bella,  Logistilla. 

—  7.  provisto;  preparato  ;  v.  e.  in,  7(5,  n.  5. 
44.1.  Scioglie.  È  parola  tecnica,  che  vale 

Salpare  :s,ot.imi.  la  nave.  \.  e.  xli  7,  8  ;8, 1. 

—  3.  se  la  faccia  ecc.  Dante,  furg.  i'6, 
44:  «  S' io  vo'  credere  a'  sembianti,  Che  so- 
glion  esser  testimeli  del  core  ». 

—  5.  navilio;  nave.  Cosi  altre  volte  l'A., 
e  cosi  altri  scrittori.  Matt.  Villani,  i,  48  : 
«  I  loro  navili  armati  »;  ma  in  questo  senso 
non  è  frequente. 

—  7.  galeotto.  V.  e.  viii,  61. 

45.  2.  da  Alcina.  Ofl'ro  questo  esempia 
della  finezza,  colla  quale  l'A.  ha  proceduto 


CANTO  X 


109 


Che  '1  calice  incantato  ella  eri!  desse, 
Ch'avea  al  fin  dato  a  tutti  gii  altri  amanti  ; 
E  poi,  che  a  Logistilla  si  traesse, 
Dove  veder  potria  costumi  santi. 
Bellezza  eterna  et  infinita  grazia 
Che  '1  cor  notrisce  e  pasce,  e  mai  non  sazia. 
46 

Costei  (dicea)  stupore  e  riverenza 
Induce  all'alma,  ove  si  scuopre  prima. 
Contempla  meglio  poi  l'alta  presenza; 
Ogn'altro  ben  ti  par  di  poca  stima. 
11  suo  amore  ha  dagli  altri  differenza: 
Speme  o  timor  negli  altri  il  cor  ti  lima; 
In  questo  il  desiderio  più  non  chiede, 
E  contento  riman  come  la  vede. 
47 

Ella  t'insegnerà  studii  più  grati. 
Che  suoni,  danze,  odori,  bagni  e  cibi; 
Ma  come  i  pensier  tuoi  meglio  formati 
Poggia  più  ad  alto  che  per  l'aria  i  uibi, 
E  come  de  la  gloria  de'  Beati 
Nel  mortai  corpo  parte  si  delibi. 
Cosi  parlando  il  marinar  veniva, 
Lontano  ancora  alla  sicura  riva; 
48 

Quando  vide  scoprire  alla  marina 
Molti  uavili,  e  tutti  alla  sua  volta. 
Con  quei  ne  vien  l'ingiuriata  Alcina; 
E  molta  di  sua  gente  have  raccolta 
Per  por  lo  stato  e  sé  stessa  in  ruina, 
O  racquistar  la  cara  cosa  tolta. 
E  bene  è  Amor  di  ciò  cagion  non  lieve, 
Ma  l'ingiuria  non  men  che  ne  riceve. 
49 

Ella  non  ebbe  sdegno,  da  che  nacque. 
Di  questo  il  maggior  mai,  ch'ora  la  rode; 
Onde  fa  i  remi  si  affrettar  per  l'acque, 
Che  la  spuma  ne  sparge  ambe  le  prode. 


nella  correz.  del  suo  poema.  Nell'ediz.  del 
1516  e  1521  si  legge  d' Alcina;  e  abbiamo  già 
visto  e.  v,  11,  n.  5,  che  l'A.  ama  spessissimo 
il  d'  pei-  da.  Perché  qui  ha  corretto?  Per 
indicare,  coirespressione  più  faticosa,  la 
fatica  del  distacco.  L'armonia  ha  avuto  una 
parte  notevole  nella  correzione  del  Furioso. 

46.  2.  prima,  prima  induce  ecc.;  poi  ecc. 

—  3.  Contempla.  E  imperativo.  E  nota  il 
cambiamento  del  costrutto,  che  dovrebbe 
procedere  cosi:  E  poi  fa  parere  a  chi  con- 
templa ecc. 

47.  3.  Ma  come;  ma  t'insegnerà  il  modo, 
come  ecc. 

—  4.  nibi  ;  nibbi. 

48.  1.  scoprire,  scoprirsi,  apparire.  In 
questo  senso  non  è  citato  nei  vocabol.  V. 
anche  al  e.  xix,  41. 

—  6.  cosa;  oggetto,  Ruggero. 

49.  2.  Di  questo  il  maggior.  Per  l'articolo 
V.  e.  VI,  5:0,  n.  4. 

—  4.  prode;  i  due  bordi  della  nave. 


Al  gran  rumor  né  mar  né  ripa  tacque; 
Et  Ecco  risonar  per  tutto  s'ode. 
Scuopre,  Ruggier,  lo  scudo,  che  bisogna; 
Se  non,  sei  morto,  o  preso  con  vergogna. 
50 

Cosi  disse  il  nocchier  di  Logistilla; 
Et  oltre  il  detto,  egli  medesmo  prese 
La  tasca,  e  da  lo  scudo  dipartilla, 
E  fé'  il  lume  di  quel  chiaro  e  palese: 
L' incantato  splendor  che  ne  sfavilla, 
Gli  occhi  degli  avversari  cosi  offese. 
Che  li  te'  restar  ciechi  allora  allora, 
E  cader  chi  da  poppa  e  chi  da  prora. 
51 

Un  eh'  era  alla  veletta  in  su  la  rocca, 
De  l'armata  d'Alcina  si  fu  accorto; 
E  la  campana  martellando  tocca, 
Onde  il  soccorso  vien  subito  al  porto. 
L'artegliaria,  come  tempesta  tìocca 
Contra  chi  vuole  al  buon  Ruggier  far  tor- 
si che  gli  venne  d'ogni  parte  aita,     [to: 
Tal  che  salvò  la  libertà  e  la  vita. 
52 

Giunte  son  quattro  donne  in  su  la  spiag- 
Che  subito  ha  mandate  Logistilla:  (già, 
La  valorosa  Andronica,  e  la  saggia 
Frenesia,  e  l'onestissima  Dicilla, 
E  Sofrosina  casta,  che,  come  aggia 


—  6.  Ecco,  Eco.  Questa  forma  si  ha  nel 
Morgante,  nel  Poliziano  e  anche  in  prosa. 
Nel  vocab.  del  Tommaseo  si  nota  che  dove 
non  è  in  rima  può  sospettarsi  lezione  errata; 
ma  questo  esempio  dell'  A.,  che  esso  non 
cita  e  che  è  confermato  anche  dalle  ediz. 
del  1516  e  del  1521,  toglie  ogni  sospetto. 

—  7.- Scuopre,  scuopri  (da  scuoprere).  V. 
e.  Ili,  19,  n.  4.  É  degno  di  nota  che  nelle 
ediz.  precedenti  si  legge  Scuop)-i;  il  che 
mostra  l'amor  dell'A.  per  certe  forme  ar- 
caiche. Potrebbe  anch'essere  err.  ai  stampa. 

—  S.  Se  non.  Più  frequente  se  no.  Dante, 
Inf.  12,  63:  «  Ditel  costinci,  se  non  l'arco 
tiro  ». 

51.  1.  veletta,  vedetta.  Cosi  al  e.  xxxix, 
79,  e  cosi  altri.  Machiav.  Arte  d.  guerra, 
6,  144:  «  Le  velette,  che  pongono  il  giorno  a 
velettare  il  nemico  ». 

—  5.  artegliaria;  macchine  o  armi  da 
guerra,  con  cui  traevansi  proiettili  contro 
luoghi  fortificati,  anche  prima  della  inven- 
zione della  polvere.  Nardi  traduz.  di  T.  Li- 
vio 310:  «  Gli  Abideni  avendo  ben  fornite  le 
mura  d'artiglierie  ». 

52.  1.  quattro  donne.  Simboleggiano  le 
virtù  cardinali:  Andronica  (greco  andr^'ta) 
la  fortezza;  Fronesia  (gr.  fronesLs)  la  pru- 
denza; Dicilla  (gr.  lìlcheosine)  la  giustizia; 
Sofrosina  (gr.  sofrosine)  la  temperanza. 

—  5.  come  aggia  ecc.  11  pensiero  è  accen- 
nato come  una  supposizione  dello  scrittore. 


no 


ORLANDO  FURIOSO 


Quivi  a  far  pix'i  che  Taltre  arde  e  sfavilla. 
L"  esercito  ch'ai  nioiuio  è  senza  pare, 
l)eì  castello  esce,  e  si  distende  al  mare. 
53 

Sotto  il  Castel  ne  la  tranquilla  foce 
Di  molti  e  grossi  legni  era  una  armata, 
Ad  un  botto  di  squilla,  ad  una  voce 
Giorno  e  notte  a  battaglia  apparecchiata. 
E  cosi  fu  la  pugna  aspra  et  atroce, 
E  per  acqua  e  per  terra,  incominciata; 
Per  cui  fu  il  regno  sottosopra  volto, 
Ch'avea  già  Alciua  alla  sorella  tolto. 
54 

Oh  di  quante  battaglie  il  fin  successe 
Diverso  a  quel  che  si  credette  inante! 
Non  sol  ch'Alcina  allor  non  riavesse, 
Come  stimossi,  il  fugitivo  amante; 
Ma  de  le  navi  che  pur  dianzi  spesse 
Fur  si,  ch'a  pena  il  mar  ne  capia  tante, 
Fuor  de  la  fiamma  che  tuff  altre  avvam- 
Con  un  legnetto  sol  misera  scampa,  [pa, 

55 
Fuggesi  Alcina;  e  sua  misera  gente 
Arsa  e  presa  riraan,  rotta  e  sommersa. 
D'aver  Ruggier  perduto  ella  si  sente 
Via  pili  doler  che  d'altra  cosa  avversa. 
Notte  e  di  per  lui  geme  amaramente, 
E  lacrime  per  lui  dagli  occhi  versa: 
E  per  dar  fine  a  tanto  aspro  martire, 
Spesso  si  duol  di  non  poter  morire. 
56 

Morir  non  puote  alcuna  Fata  mai, 
Fin  che  '1  sol  gira,  o  il  ciel  non  muta  stilo. 


Se  ciò  non  fosse,  era  il  dolore  assai 
Per  muover  Cloto  ad  inasparle  il  tìlo; 
O,  qual  Didon,  tìnia  col  ferro  i  guai; 
0  la  Regina  splendida  del  Nilo 
Avria  imitata  con  mortifer  sonno: 
Ma  le  Fate  morir  sempre  non  ponno. 
57 

Torniamo  a  quel  di  eterna  gloria  degno 
Ruggiero,  e  Alcina  stia  ne  la  sua  pena. 
Dico  di  lui,  che  poi  che  fuor  del  legno 
Si  fu  condutto  in  più  sicura  arena, 
Dio  ringraziando  che  tutto  il  disegno 
Gli  era  successo,  al  mar  voltò  la  schena  ; 
Et  affrettando  per  l'asciutto  il  piede, 
Alla  rocca  ne  va  che  quivi  siede. 
58 

Né  la  più  forte  aucor,  né  la  più  bella 
Mai  vide  occhio  mortai  prima  né  dopo. 
Son  di  più  prezzo  le  mura  di  quella. 
Che  se  diamante  fossino  o  piropo. 
Di  tai  gemme  qua  giù  non  si  favella: 
Et  a  chi  vuol  notizia  averne,  è  d'uopo 
Che  vada  quivi,  che  non  credo  altrove, 
Se  non  forse  su  in  ciel,  se  ne  ritruove. 


—  6.  arde  e  sfavilla  ;  è  tutta  ardore  e  vita 
a  vantaggio  di  Ruggero,  che  lungamente 
era  stato  in  braccio  della  intemperanza 
(Alcina). 

53.  1.  foce,  imboccatura  di   un  porto  di 
mare.  Dante,  Par.  13,  13S:  «  Correr  lo  mar 
per  tutto  suo  cammino.  Perir  alfin  nell'en-  i 
irar  della  foce  ».  : 

—  5.  E  cosi  ecc.  Il  Lavezzuola  osserva  che,  | 
se  per  lo  scudo  incantato  caddero  tutti  tra- 
mortiti, quei  d'Alcina  non  potevau  combat- , 
lere;  ma  gli  è  sfuggito  ciò  che  l'A.  dice  al 
e.  XXII,  so  e  95.  1 

54.  3.  Non  sol  che;  Non  dico  solo  che;  v.  j 
e.  VII,  62,  1.  I 

—  6.  il  mar;  Non  intendere  ttitto  il  ìnare, 
che  sarebbe  iperbole  grossolana,   ma  quel 
]junto  del  mare,  ove   si   trovavano  le   due  \ 
armate  schierate  in  ordine  di  battaglia. 

—  7.  tutt'altre  ;  tutte  le  altre,   suU'oniis-  j 
sioue  dell'artic.  v.  e.  ii,  15,  b.  S. 

56.  1.  Morir  ecc.  Ori.  Innarn.  Il,  26.  15  : 
•.  Perché  una  fata  non  può  morir  mai.  Fin- 
ché non  giunge  il  giorno  del  giudizio;  Ma 
ben  nella  sua  forma  dura  assai  Mill'anni  e 
liiù,  si  come  io  aggio  indizio  ». 

—  2.  stilo,  htiie.  Vuol  dire  :   O   finché  il  i 


cielo  non  cambia  i  suoi  movimenti;  cioè- 
mai.  Stilo  per  stile  usò  già  il  Bocc.  Nov.  75: 
«  Per  seguire  de'  suoi  predecessori  lo  stilo  ». 

—  4.  Cloto,  una  delle  Parche.  Le  Parche, 
secondo  gli  antichi,  filavano  i  destini  umani. 
Alcuni  poeti  già  prima  dell'A.  cambiarono 
il  fuso  in  asijo.  Petr.  son.  1T6:  «  Qual  de- 
stro corno  o  qual  manca  cornice  Canti  il 
mio  fato  o  qual  Parca  V  innaspe?  »  Cosi  l'A. 
al  e.  XXXIV,  89.  Qui  però,  come  fors'auche 
nel  luogo  del  Petrarca,  inaspare  il  filo  vuol 
dire  finir  la  vita,  perciò  s'avrà  ad  inten- 
dere che,  filata  sul  fuso  tutta  la  conocchia, 
cioè  posto  fine  a  quella  vita,  la  Parca  fac- 
cia del  filo  matassa  sull'aspo. 

—  6.  0  la  regina  ecc.,  Cleopatra  si  uccise 
mediante  il  morso  d'un  aspide,  che  dicono 
getti  in  un  letargo  mortifero. 

-  8.  sempre:  quando  vogliono,  sempre 
che  vogliono;  v.  st.  56,  n.  1.  Questo  signific. 
è  ancora  nell'uso.  Il  Ruscelli  attesta  d'aver 
visto  un  esemplare  del  Furioso,  dove  l'auto- 
re avea  corretto  di  sua  mano  sempre  in 
(jiaóiinai;  ma  il  Morali,  con  buone  ragioni, 
nega  fede  a  questa  asserzione  e  a  questo 
esemplare. 

57.  6.  successo;  riuscito  a  bene.  Lasca, 
Gelos.  1,  5:  «  .wvertisci  a  quel  che  tu  fai, 
che  ti  succeda  ».  —  Schena  e  schiena  usò 
l'A.  E  notevole  che  nella  prima  ediz.  lia 
quasi  sempre  la  i,  che  tolse  poi  spesso  nella 
ed.  del  1532,  preferendo  cosi  una  forma  più 
rara. 

58.  1.  la  più  forte.  V.  C.  vi,  20,  n.  4.  — 
ancor,  fino  ad  oggi. 

—  4.  piropo;  v.  e.  Il,  56,  n.  1. 


CANTO  X 


ni 


59 

Quel  clie  pili  fa  che  lor  s'inchina  e  cede 
Ogn'altra  gemma,  è  che  mirando  in  esse, 
L'  uom  sin  in  mezzo  all'anima  si  vede; 
Vede  suoi  vizii  e  sue  virtudi  espresse 
Si,  che  a  lusinghe  poi  di  sé  non  crede. 
Né  a  chi  dar  biasmo  a  torto  gli  volesse: 
Fassi,  mirando  allo  specchio  lucente 
Sé  stesso  conoscendosi,  prudente. 
60 

Il  chiaro  lume  lor,  ch'imita  il  sole, 
Manda  splendore  in  tanta  ci5|)ia  intorno, 
Che  chi  l'ha,  ovunque  sia,  sempre  che  vuole 
Febo,  mal  grado  tuo,  si  può  tar  giorno. 
Né  mirabil  vi  son  le  pietre  sole; 
Ma  la  materia  e  l'artificio  adorno 
Conteudou  si,  che  mal  giudicar  puossi 
Qual  de  le  due  eccellenze  maggior  fossi. 
61 

Sopra  gli  altissimi  archi,  che  puntelli 
Pai-ean  che  del  ciel  fossino  a  vederli, 
Eran  giardin  si  spaziosi  e  belli, 
Che  saria  al  piano  anco  fatica  averli. 
Verdeggiar  gli  odoriferi  arbuscelli 
Si  puon  veder  fra  i  luminosi  merli, 
Ch'  adorni  son  l'estate  e  '1  verno  tutti 
Di  vaghi  fiori  e  di  maturi  frutti. 
62 

Di  cosi  nobili  arbori  non  suole 
Prodursi  fuor  di  questi  bei  giardini; 
Né  di  tal  rose  o  di  simil  viole, 
Di  gigli,  di  amaranti  o  di  gesmini. 
Altrove  appar  come  a  un  medesmo  sole 
E  nasca  e  viva,  e  morto  il  capo  inchini, 
E  come  lasci  vedovo  il  suo  stelo 
11  fior  suggetto  al  variar  del  cielo: 


"  59.  5.  lusinghe...  di  sé  ;  lusinghe,  che  ven- 
gano f.'ttte  a  lui. 

—  7.  mirando  ecc.;  mirando  se  stesso  allo 
sp.  lue,  e  cosi  conoscendosi,  diviene  pru- 
dente. 

60.  4.  si;  per  se,  a  comodo  suo. 

—  6.  adorno,  bello.  Dante,  Par.  18,  63: 
Veggendo  quel  miracolo  si  adorno  ». 

—  S.  fossi;  fosse;  v.  st.  31,  n.  6. 

61.  2.  Parean.  Ha  sentito  l'azione  di  pun- 
telli, ma  veramente  il  costrutto  vuole  il  sin- 
golare: Parca  che  fossero  puntelli.  Forse 
l'A.  ha  avuto  anche  presente  la  costruz.  del 
lat.  videor.  Questi  sono  giardini  pensili. 

—  6.  pnon.  È  scorciamento  della  forma 
puono  e  non  di  puonno.  E  pjono  per  pos- 
sono usarono  gli  antichi,  vedine  gli  esempi 
nel  Nannucci,  Aual.  critica  dei  verbi  it.  p. 
641. 

62.  4.  gresmini;  (frane.  Jas//ii«5)  gelsomi- 
ni. É  voce  poetica.  Il  Barotti  avverte  che  è 
voce  lombarda.  La  Cr.  cita  solo  l'A. 

—  5.  a  nn  m.  sole  ;  nello  stesso  giorno. 


63 

Ma  quivi  era  perpetua  la  verdura. 
Perpetua  la  beltà  de'  fiori  eterni: 
Xon  che  benignità  de  la  Natura 
Si  temperatamente  li  governi; 
Ma  Logistilla  con  suo  studio  e  cura. 
Senza  bisogno  de'  moti  superni 
(Quel  che  agli  altri  impossibile  parca),. 
Sua  primavera  ogn'  or  ferma  tenea. 
64 

Logistilla  mostro  molto  aver  grato 
Ch'a  lei  venisse  un  si  gentil  Signore; 
E  comandò  che  fosse  accarezzato, 
E  che  studiasse  ogn'  un  di  fargli  onore. 
Gran  pezzo  inanzi  Astolfo  era  arrivato, 
Che  visto  da,  Ruggier  fu  di  buon  cuore. 
P'ra  pochi  giorni  venner  gli  altri  tutti, 
Ch'  a  l'esser  lor  Melissa  avea  ridutti. 
65 

Poi  che  si  fur  posati  un  giorno  e  dui,. 
Venne  Ruggiero  alla  Fata  prudente 
Col  duca  Astolfo,  che,  non  raen  di  lui, 
Avea  desir  di  riveder  Ponente. 
Melissa  le  parlò  per  amendui; 
E  supplica  la  Fata  umileraente. 
Che  gli  cousigli,  favorisca  e  aiuti 
Si,  che  ritornin  d'onde  eran  venuti. 
66 

Disse  la  Fata:  Io  ci  porrò  il  pensiero, 
E  fra  dui  di  te  li  darò  espediti. 
Discorre  poi  tra  sé,  come  Ruggiero, 
E  dopo  lui,  come  quel  Duca  aiti: 
Conchiude  in  fin,  che  '1  volator  destriero 
Ritorni  il  primo  agli  Aquitani  liti; 
Ma  prima  vuol  che  se  gli  faccia  un  morso, 
Con  che  Io  volga,  e  gli  raft'reni  il  corso. 
67 

Gli  mostra  come  egli  abbia  a  far,  se  vuole 
Che  poggi  in  alto,  e  come  a  far  ehe  cali; 
0  come  se  vorrà  che  in  giro  vole, 
0  vada  ratto,  o  che  si  stia  su  Tali: 


63.  6.  moti  superni;  le  stagioni  prodotte 
dal  movimento  dei  corpi  celesti,  secondo 
l'astronomia  antica. 

—  8.  Sua  pr.;  questa  sua  primavera. 

64.  6.  di  b.  cuore,  con  animo  lieto,  volen- 
tieri. Ruggero  vide  A.  volentieri. 

—  7.  Fra  pochi  %.;  dopo  pochi  g.  ;  v.  e.  I» 
27,  n.  4.  , 

66. 1.  ci  porrò  il  pensiero;  penserò  al  modo 
di  ricondurli  in  Ponente. 

—  6.  Aquitani  liti,  .^quitania  è  il  nome 
antico  di  quella  parte  deila  Francia,  che  poi 
si  disse  Guienna  e  Guascogna.  Ruggero  vo- 
leva andai"e  al  castello  di  P.radamante  sul 
fiume  Dordogna. 

—  7.  un  morso.  Ciò  significa  che  la  fan- 
tasia (Ippogrifo)  non  si  deve  distruggere, 
ma  regolare. 


112 


ORLANDO  FURIOSO 


E  qnali  effetti  il  cavallier  far  suole 
Di  buon  destriero  in  piana  terra,  tali 
Facea  Ruggier  che  mastro  ne  divenne, 
Per  Tarla,  del  destrier  ch'avea  le  penne. 
68 

Poi  che  Ruggier  fu  d'ogni  cosa  in  punto, 
Da  la  fata  gentil  comiato  prese,    • 
Alla  qual  restò  poi  sempre  congiunto 
Di  grande  amore;  e  usci  di  quel  paese. 
Prima  di  lui  che  se  n'andò  in  buon  punto, 
E  poi  dirò  come  il  guerriero  Inglese 
Tornasse  con  più  tempo  e  più  fatica 
Al  Magno  Carlo  et  alla  corte  amica. 
69 

Quindi  parti  Ruggier,  ma  non  rivenne 
Per  quella  via  che  fé'  già  suo  mal  grado, 
Allor  che  sempre  l'Ippogrifo  il  tenne 
Sopra  il  mare,  e  terren  vide  di  rado: 
Ma  potendogli  or  far  batter  le  penne 
Di  qua  di  là,  dove  più  gli  era  a  grado. 
Volse  al  ritorno  far  nuovo  sentiero, 
€ome,  schivando  Erode,  i  Magi  fero. 
70 

Al  venir  quivi,  era,  lasciando  Spagna, 
Venuto  India  a  trovar  per  dritta  riga. 
Là  dove  il  mare  orientai  la  bagna; 
Dove  una  Fata  avea  con  l'altra  briga. 
Or  veder  si  dispose  altra  campagna, 
Che  quella  dove  i  venti  Eolo  instiga, 
E  finir  tutto  il  cominciato  tondo, 
Per  aver,  come  il  sol,  gii'ato  il  mondo. 
71 

Quinci  il  Cataio,  e  quindi  Mangiana 
Sopra  il  gran  Quinsai  vide  passando: 


67.  5.  effetti;  usi.  Si  cita  solo  quest'esem- 
pio dell'A. 

68.  1.  d'ogni  e;  in  ogni  e.  È  compi,  di 
limitazione. 

69.  4.  e  terren  vide  di  rado.  Rugg.,  per 
arrivare  da  Gibilterra  alle  Indie ,  passò 
sopra  l'America.  Ma,  sebbene  quando  il  poe- 
ta scriveva,  fosse  già  scoperto  il  nuovo  con- 
tinente, egli  non  volle  fare  un  anacronismo, 
«  si  tenne  sulle  generali. 

—  8.  Come  ecc.  Allude  a  quell'espressione 
del  vangelo:  Magi  «per  aliam  viam  reversi 

«  sunt  in  regionem  suam  ».  S.  Matt.  2,  12, 

70.  6.  Eolo,  secondo  la  favola,  re  dei 
venti,  cui  scatena  spec\jilmente  sul  mare. 

71.  1.  Cataio,  la  parte  settentrion.  della 
China;  Mangiana  è  la  parte  meridionale, 
aetta  dagli  scrittori  orientali  Ma-ci  e  dal 
Polo  Mangi. 

—  2.  Quinsai.  Intendi:  Passando  sopra  il 
gran  Quinsai,  vide  ecc.  Il  nome  di  Quinsai 
o  Quisai  fu  dato  dal  Polo  alla  città  di  Hang- 
tchen,  capitale  della  provincia  di  Tche-kiang, 
e  anche  oggi  una  delle  più  ricche  e  grandi 
città  Chinesi. 


Volò  sopra  rimavo,  e  Sericana 
Lasciò  a  man  destra;  e  sempre  declinando 
Da  l'Iperborei  Sciti  a  l'onda  Ircana, 
Giunse  alle  parti  di  Sarniazia:  e  quando 
Fu  dove  Asia  da  Eui-opa  si  divide, 
Russi  e  Pruteni  e  la  Poraeria  vide. 
72 

Ben  che  di  Ruggier  fosse  ogni  desire 
Di  ritornare  a  Bradàmante  presto; 
Pur,  gustato  il  piacer  ch'avea  di  gire 
Cercando  il  mondo,  non  restò  per  questo, 
Ch'alli  Pollacchi,  agli  Ungari  venire 
Non  volesse  anco,  alli  Germani  e  al  resto 
Di  quella  boreale  orrida  terra: 
E  venne  al  fin  ne  l' ultima  Inghilterra, 
73 

Non  crediate.  Signor,  che  però  stia 
Per  si  lungo  camin  sempre  su  l'ale: 
Ogni  sera  all'albergo  se  ne  già. 
Schivando  a  suo  poter  d'alloggiar  male. 
E  spese  giorni  e  mesi  in  questa  via; 
Si  di  veder  la  terra  e  il  mar  gli  cale. 
Or  presso  a  Londra  giunto  una  matina, 
Sopra  Tamigi  il  volator  declina. 


—  3.  Imavo,  (lat.  Imaus).  Era  chiamata 
cosi  la  steppa  di  Pamir,  che,  dalla  congiun- 
zione del  Paropamiso  coi  monti  Bmodi,  va 
verso  Nord.  E  cosi  erano  anche  chiamate 
le  montagne  dell'  Inialaia.  —  Sericana;  v. 
e.  I,  55,  n.  4. 

—  5.  Iperborei  Sciti.  La  Scizia  fu  regione 
poco  ben  determinata;  e  si  può  dire  che  gli 
antichi  intesero  con  questo  nome  la  regione 
vastissima  fra  il  Don  a  ovest,  l'estremità 
nord-ovest  della  China  e  l' india  a  sud  ;  i 
confini  del  nord  erano  affatto  sconosciuti. 
Gli  Sciti  son  detti  Iiìerborel  forse  dagli 
Urali,  che  erano  chiamati  appunto  montes 
Hyperborei.  —  Onda  Ircana;  il  mar  Caspio, 
detto  dagli  antichi  Hyrcanum  mare  dalla 
Hyrcania,  che  era  una  regione  a  sud-est  di 
detto  mare. 

—  b.  Sarmazia.  Gli  antichi  distinguevano 
una  Sarmazia  europea  e  una  asiatica;  il 
Tanai  (Don)  era  il  confine.  Qui  s' intende  la 
Sarmazia  asiatica,  come  si  rileva  dal  verso 
seg.  Questa  era  una  vasta  regione  a  nord 
del  Caucaso  e  a  est  del  Tanai:  a  nord  si 
estendeva  per  uno  spazio  indefinito  e  a  est 
fino  al  Rha,  che  la  separava  dalla  Scizia. 
Il  Tanai  segnava  per  gli  antichi  la  divisione 
fra  l'Asia  e  l'Europa. 

—  8,  Pruteni,  Prussiani.  —  Pomeria,  Po- 
merania. 

72,  8.  ultima  Inghiltera,  Perché  posta  al- 
l'estremo d'  Europa  verso  settentrione.  Dei 
resto  l'idea  è  Virgiliana;  Ecl.  i,  67:  «Et 
penitus  toto  divisos  orbe  Britannos  >  ;  e 
Georg.  I,  3  si  dice  ultima  Tuie. 


CANTO  X 


113 


74 

Dove  ne'  prati  alla  città  vicini 
Vide  adunati  uomini  d'arme  e  fanti, 
Ch'a  suon  di  trombe  e  a  suon  di  tamburini 
Venian,  partiti  a  belle  schiere,  avanti 
Il  buon  Rinaldo,  onor  de' Paladini; 
Del  qual,  se  vi  ricorda,  io  dissi  inanti, 
Che  mandato  da  Carlo,  era  venuto 
In  queste  parti  a  ricercare  aiuto. 
75 

Giunse  a  punto  Euggier,  che  si  facea 
La  bella  mostra  fuor  di  quella  terra; 
E  per  sapere  il  tutto,  ne  chiedea 
Un  cavallier;  ma  scese  prima  in  terra: 
E  quel,  ch'afìabil  era,  gli  dicea 
Che  di  Scozia  e  d'Irlanda  e  d'Inghilterra 
E  de  l' isole  intorno  eran  le  schiere 
Che  quivi  alzate  avean  tante  bandiere: 
76 

E  finita  la  mostra  che  faceano, 
Alla  marina  si  distenderanno, 
Dove  aspettati  per/ solcar  l'Oceano 
Son  dai  navili  che  nel  porto  stanno. 

I  Franceschi  assediati  si  ricreano, 
Sperando  in  questi  die  a  salvar  li  vanno. 
Ma  acciò  tu  te  n'  informi  pienamente. 

Io  ti  distinguerò  tutta  la  gente. 
77 
Tu  vedi  ben  quella  bandiera  grande 
Ch'insieme  pou  la  Fiordaligi  e  i  Pardi: 
Quella  il  gran  Capitano  all'aria  spande, 
E  quella  han  da  seguir  gli  altri  stendardi. 

II  suo  nome,  famoso  in  queste  bande, 
E  Leonetto,  il  fior  de  li  gagliardi. 

Di  consiglio  e  d'ardire  in  guerra  mastro, 
Del  Re  nipote,  e  Duca  di  Lincastro. 


78 
La  prima,  appresso  il  gonfalon  reale. 
Che  '1  vento  tremolar  fa  verso  il  monte, 
E  tien  nel  campo  verde  tre  bianche  ale. 
Porta  Riccardo  di  Varvecia  Conte. 
Del  Duca  di  Glocestra  è  quel  segnale, 
C'ha  duo  corna  di  cervio  e  mezza  fronte. 
Del  Duca  di  Chiareuza  è  quella  face: 
Quell'arbore  è  del  Duca  d'Eborace. 
79 
Vedi  in  tre  pezzi  una  spezzata  lancia: 
Gli  è  '1  gonfalon  del  duca  di  Nortfozia, 
La  fulgore  è  del  buon  Conte  di  Cancia 
11  grifone  è  del  Conte  di  Pembrozia; 
11  Duca  di  Sufolcia  ha  la  bilancia. 
Vedi  quel  giogo  che  due  serpi  assozia: 
E  del  conte  d'Esenia,  e  la  ghirlanda 
In  campo  azurro  ha  quel  di  Norbelanda. 
80 
Il  Conte  d'Arindelia  è  quel  ch'ha  messo 
i  In  mar  quella  barchetta  che  s'affonda. 
j  Vedi  il  Marchese  di  Barclei,  e  appresso  [da: 
Di  Marchia  il  Conte,  e  il  Conte  di  Kitmon- 
11  primo  porta  in  bianco  un  monte  fesso, 
L'altro  la  palma,  il  terzo  un  pin  ne  l'onda, 
Quel  di  DorseziaèCoute,equeld'Antoua, 
Che  l'uno  ha  il  carro,  e  l'altro  la  corona. 
Si 
Il  falcon  che  sul  nido  i  vanni  inchina, 
Porta  Raimondo,  il  Conte  di  Devonia. 
Il  giallo  e  negro  ha  quel  di  Vigorina; 
li  can  quel  d'Erbia;  un  orso  quel  d'Osonia. 
La  croce  che  là  vedi  cristallina, 
E  del  ricco  Prelato  di  Battonia. 
!  Vedi  nel  bigio  una  spezzata  sedia: 
I  È  del  Duca  Ariman  di  Sormosedia. 


74.  2.  uomini  d'arme.  Si  chiamavano  cosi 
i  soldati,  che  si  potrebbero  dire  di  cavalle- 
ria pesante.  C'erau  poi  quelli  armati  alla 
leggera, come,  peres.,  gli  arcieri;  V. st. 82, 1. 

—  3.  tamburini,  tamburi.  Berni,  Inn.  12, 
35:  «  6uouavaii  trombe  e  corni  e  tambu- 
rini ». 

75.  2.  fuor  di  quella  terra;  fuori  di  Londra, 
Terra  per  città  è  comune  nei  nostri  scrit-  [ 
tori.  Qui  è  corsa  una  piccola  inesattezza. 
Al  e.  vili,  28  è  detto  che  il  re  avea  ingiun- 
to a  tutti  i  suoi  dipendenti  di  ritrovarsi, 
il  giorno  stabilito,  al  mare,  non  a  Londra. 

76.  8.  distinguerò,   noterò   distintamente.  I 
Petrarca,  Tr.  Fama,  in,  55  «  Tucidide  vi-  | 
d' io,  che  ben  distingue  I  tempi  e  i  luoghi 
e  loro  opre  leggiadre  ». 

77.  2.  la  Fiordaligi,  il  giglio  Francese  ;  v. 
e.  XIV,  8,  n.  3,  e  i,  46,  n.  8.  —  i  Pardi.  Il  j 
pardo  è  nell'arme  d' Inghilterra.  L'A.  dice  , 
che  V'erano  insieme  i  gigli  e  il  pardo,  per-  j 
che  re  d' Inghilterra  era,  secondo  la  leg-  j 
genda.  Ottone  di  Francia.  | 

—  8.  Duca  di  Lincastro.  {jQ  imprese  de'  di-  I 


versi  capi  son  tutte  invenzioni  dell'Ariosto, 
il  quale,  con  curioso  anacronismo,  fa  i  no- 
biU  inglesi  e  le  famiglie  normanne  e  i  titoli  ^ 
moderni  contemporanei  di  Carlo  M.  (Panizzi). 
—  Il  Fornari  invece  assicura  che  la  descri- 
zione delle  insegne  e  dei  nomi  dei  signori 
Inglesi  non  è  fatta  a  caso;  anzi,  oltre  la 
verità  degli  scudi  dipinti,  l'A.  allude  a  si- 
gnori di  quell'  isola,  che  a'  suoi  tempi  erano 
vivi. 

78.  4-8.  VarTOCia,  Warwich;  Glocestra,  Glo- 
cester;  Chiarenza,  Clarence;  Eborace  York 
(in  latino  Eboracum). 

79.  2-S.  Mortfozia,  Norfolk;  Cancia,  Kent 
(in  latino  Caìitiian);  Sufolcia,  SufTolk;  Ese- 
nia,  Essex;  Norbelanda,  Northumberland. 

80.  1-8.  Arindelia,  Arundel;  Barclei,  Ber- 
keley; Marchia,  March;  Ritmonda,  Richmond; 
Dorsezia,  Dorset;  Antona,  Southampton. 

81.  2-3.  Devonia,  Devonshire;  Vigorina, 
Winchester;  Erbia,  Derby;  Osonia,  Oxford 
(lat.  Oxonium);  Battonia,  Bath;  Sormosedia, 
Somerset. 


AUIOSTO  —  Papini 


114 


ORLANDO  FURIOSO 


Gli  uomini  d'arnie  e  gli  arcieri  a  cavallo 
Di  quarantadue  mila  uumer  fanno. 
8ono  duo  tanti,  o  di  cento  non  fallo, 
Quelli  eh'  a  pie  ne  la  battaglia  vanno. 
Mira  quei  segui,  un  bigio,  un  verde,  un  gial- 
E  di  nero  e  di  azur  listato  un  panno:  [lo, 
Gofredo,  Enrico,  Ermante  et  Odoardo 
Gnidan  pedoni,  ognun  col  suo  stendardo. 
83 

Duca  di  Bocchingamia  è  quel  dinante: 
Enrigo  ha  la  Contea  di  Sarisberia, 
Signoreggia  Burgenia il  vecchio  Ermante: 
Quello  Odoardo  è  conte  di  Croisberia. 
Questi  alloggiati  più  verso  Levante, 
Sono  gl'Inglesi.  Or  volgeti  all'Esperia, 
Dove  si  veggion  trentamila  Scotti, 
Da  Zerbin,  figlio  del  lor  Re,  condotti. 
84 

Vedi  tra  duo  unicorni  il  gran  leone. 
Che  la  spada  d'argento  ha  ne  la  zampa: 
Queir  è  del  Re  di  Scozia  il  gonfalone  ; 
li  suo  figliol  Zerbino  ivi  s'  accampa. 
Non  è  un  si  bello  in  tante  altre  persone: 
Natura  il  fece,  e  poi  roppe  la  stampa. 
Non  è  in  cui  tal  virtii,  tal  grazia  luca, 
0  tal  possanza:  et  è  di  Rosela  Duca. 
85 

Porta  in  azurro  una  dorata  sbarra 
Il  Conte  d' Ottonici  ne  lo  stendardo. 
L'altra  bandiera  è  del  Duca  di  Marra, 
Che  nel  travaglio  porta  il  leopardo. 
Di  più  colori  e  di  più  augei  bizarra 
Mira  l'insegna  d'Alcabrun  gagliardo. 
Che  non  è  Duca,  Conte,  né  Marchese, 
Ma  primo  nel  salvatico  paese. 


I  86 

Del  Duca  di  Trasfordiaèqnellainsegna, 
Dove  è  l'augel  ch'ai  sol  tien  gli  occhi  fran- 
'<  Lurcanio Conte, ch'inAngosciaregna, [chi. 
]  Porta  quel  tauro  ch'ha  duo  veltri  ai  fian- 
:  Vedi  là  il  Duca  d'Albania,  che  segna  [chi 
j  II  campo  di  colori  azurri  e  bianchi. 
;  CJuellavoltor  ch'un  drago  verde  lania, 
I  È  l'insegna  del  Conte  di  Boccania. 
!  87 

Signoreggia  Forbesse  il  forte  Armano, 
Che  di  bianco  e  di  nero  ha  la  bandiera: 
Et  ha  il  Conte  d'Erelia  a  destra  mano. 
Che  porta  in  campo  verde  una  lumiera. 
Or  guarda  gl'Ibernesi  appresso  il  piano: 
Sono  dua  squadre;  e  il  Conte  di  Childera 
Mena  la  prima,  e  il  Conte  di  Desmonda 
Da  fieri  monti  ha  tratta  la  seconda. 

88  [dente; 

Ne  lo  stendardo  il  primo  ha  un  pino  ar- 
L'altro  nel  bianco  una  vermiglia  banda. 
Non  dà  soccorso  a  Carlo  solamente 
La  terra  Inglese,  e  la  Scozia  e  l'Irlanda; 
Ma  vien  di  Svezia  e  di  Norvegia  gente. 
Da  Tile,  e  fin  da  la  remota  Islanda; 
Da  ogni  terra  insomma,  che  là  giace, 
Nimica  naturalmente  di  pace. 
89 
Sedicimila  sono,  o  poco  manco. 
De  le  spelonche  usciti  e  de  le  selve; 
Hanno  piloso  il  viso,  il  petto,  il  fianco, 
E  dossi  e  braccia  e  gambe,  come  belve. 
Intorno  allo  stendardo  tutto  bianco 
Par  che  quel  pian  di  lor  lance  s' inselve: 
Cosi  Moratto  il  porta,  il  capo  loro, 
Per  dipingerlo  poi  di  sangue  Moro. 


82.  2.  numer.  È  omesso  l'articolo;  v.  e.  li, 
15,  n.  8. 

83.  1-4.  Bocchingamia,  Bukingam;  Sari- 
sberia, Salisbury;  Burgenia,  Albergavenny; 
Croisberia,  Shewsbury. 

—  6.  Tolgeti.  Per  V  imperativo  in  e  vedi 
e.  Ili,  19,  n.  4.  —  Esperia,  fu  detta  propriam. 
dai  Greci  l' Italia  e  anche  la  Spagn^a.  Qui 
vale  semplicem.  ponente. 

—  7.  Scotti  (lat.  Scoti)  Scozzesi. 

84.  1.  unicorni,  liocorni;  v.  e.  vi,  67,  n.  1. 

—  7.  Non  è  in  cui.  Non  v'  è  uno  in  cui  ecc. 
È  costrutto  latino;  Son  est  in  quo  ecc. 

—  S.  Eoscia,  Ross. 

85.  2-3.  Oltonlei,  Athol;  Marra,  Marr.  Son 
paesi  della  Scozia. 

—  4.  travaglio,  ordigno  fatto  di  travi,  nel 
quale  i  maniscalchi  mettono  le  bestie  poco 
trattabili  per  ferrarle  o  medicarle. 

—  8.  salvatico  paese.  Forse  chiama  cosi 
l'alta  Scozia,  restata  quasi  sempre  indi- 
pendente e  governata  solo  da'  suoi  capi  di 
tribù. 


86.  1-2.  Trasfordia,  StrafiTord.  Vaugello  è 
l'aquila. 

—  3-8.  Angoscia,  Angus;  Albania,  Albany. 
Questo  duca  è  Ariondante  ;  v.  e.  vi,  15.  Boe- 
cania,  Buchan.  Avoltor...  lania  (lat.  vultuv, 
lanio),  sono  forme  già   usate  n§l  trecento. 

—  5.  segna  II  campo  ecc.;  ha  disegnato  il 
campo  del  suo  scudo  con  colori  ecc. 

87.  1-8.  Forbesse,  Forbes;  Erelia,  Errol  ; 
Ibernesi,  Irlandesi.  V.  e.  ix,  11,  n.  5.  Childera, 
Kildare;  Desmonda,  Desmond.  L'A.,  seguen- 
do l'uso  degli  antichi  scrittori,  ha  dato  for- 
ma italiana  a  questi  nomi,  anche  per  le 
ragioni  del  verso. 

88.  6.  Tile.  Tuie.  È  incerto  a  che  corri- 
sponda questa  Tuie  degli  antichi  ;  alcuni  la 
identificarono  colla  Islanda,  altri  col  Main- 
land,  una  delle  isole  Shetland.  L'A.  la  di- 
stingue dalla  Islanda. 

—  8.  Nimica  ecc.  É  un  verso  preso  inte- 
ramente dai  Petr.  Canz.  «  o  aspettata  iu 
ciel  beata  e  bella  »,  v.  50. 


CANTO  X 


115 


90 

Mentre  Ruggier  di  quella  gente  bella, 
Che  per  soccorrer  Francia  si  prepara, 
Mira  le  varie  insegne,  e  ne  favella, 
E  dei  Signor  Britanni  il  nome  impara; 
Uno  et  un  altro  a  lui,  per  mirar  quella 
Bestia  sopra  cui  siede,  unica  o  rara, 
Maraviglioso  corre  e  stupefatto; 
E  tosto  il  cerchio  intorno  gli  fu  fatto. 
91 

Si  che  per  dar  ancor  pili  maraviglia, 
E  per  pigliameli  buon  lìuggier  più  gino- 
Al  volante  corsier  scuote  la  briglia,    [co, 
E  con  gli  sproni  ai  fianchi  il  tocca  un  poco. 
Quel  verso  il  ciel  per  l'aria  il  caminpiglia, 
E  lascia  ognuno  attonito  in  quel  loco. 
Quindi  Ruggier,  poiché  di  banda  in  banda 
Vide  gl'Inglesi,  andò  verso  l'Irlanda. 
92 

E  vide  Ibernia  fabulosa,  dove 
Il  santo  vecchierel  fece  la  cava, 
In  che  tanta  mercé  par  che  si  trove, 
Che  l'uom  vi  purga  ogni  sua  colpa  prava. 
Quindi  poi  sopra  il  mare  il  destrier  move 
Là  dove  la  minor  Bretagna  lava; 
E  nel  passar  vide,  mirando  a  basso. 
Angelica  legata  al  nudo  sasso, 
9;! 

Al  nudo  sasso,  all'isola  del  pianto; 
Che  l'isola  del  pianto  era  nomata 
Quella  che  da  crudele  e  fiera  tanto 
Et  inumana  gente  era  abitata. 
Che  (come  io  vi  dicea  sopra  nel  Canto) 


90.  7.  Maraviglioso;  maravigbato.  Caro, 
En.,  5,  785:  «Ne  sta  di  Troia  e  di  Sicilia  il 
volgo  Maraviglioso  ». 

91.  7.  di  tanda  in  banda;  parte  per  parte. 
È  modo  non  registrato  dalla  Crusca. 

92.  1.  fabulosa,  piena  di  cose  favolose. 
Orazio,  Odi  I,  22,  7:  Fabulosiis  Iduòpes, 
perché  intorno  a  questo  fiume  si  racconta- 
vano molte  favole. 

—  2.  11  santo  ecc.  S.  Patrizio.  In  Irlanda 
era  il  famoso  pozzo  di  S.  Patrizio,  che  era 
una  caverna  (cava),  in  un'  isoletta  del  lago 
Deai'g,  nella  quale,  forse,  S.  Patrizio  si  ri- 
tirava a  far  penitenza.  Su  questa  caverna 
furon  tante  le  favole  e  le  superstizioni,  che, 
per  ordine  di  Alessandro  VI  e  di  Enri- 
co Vili,  ne  fu  chiuso  l'accesso. 

—  6.  minor  Bretagna,  la  Brett.  fi'ancese. 
L' isola  d'  Ebuda  è  molto  lontana  dalla  Bre- 
tagne;  ma  osserva  che  l'A.  dice  di  Ruggero 
che  si  mosse  verso  la  Br.,  e  che,  passando, 
vide  ueir  isola  di  Ebuda  Angelica. 

93.  5.  sopra  nel  Canto;  addietro  nelValtro 
canto.  È  simile  a  quel  di  Dante,  Inf.  33, 
90:  «E  gli  altri  duo  che  il  canto  suso  ap- 
pella»; ma  meno  chiaro. 


Per  varii  liti  sparsa  iva  in  armata 
Tutte  le  belle  donne  depredando. 
Per  farne  a  un  mostro  poi  cibo  nefando. 
94 
Vi  fu  legata  pur  quella  matina, 
Dove  venia  per  trangugiarla  viva 
Quel  smisurato  mostro,  Orca  marina. 
Che  di  aborrevole  esca  si  nutriva. 
Dissi  di  sopra,  come  fu  rapina 
Di  quei  che  la  trovaro  in  su  la  riva 
Dormire  al  vecchio  incantatore  a  canto 
Ch'  ivi  l'avea  tirata  per  incanto. 
95 
La  fiera  gente  inospitale  e  cruda 
Alla  bestia  crudel  nel  lito  espose 
La  bellissima  donna  cosi  ignuda, 
<.'ome  Natura  prima  la  compose. 
Un  velo  non  ha  pure  in  che  richiuda 
I  bianchi  gigli  e  le  vermiglie  rose. 
Da  non  cader  per  luglio  o  per  dicembre, 
Di  che  son  sparse  le  polite  membre. 
9G 
Creduto  avria  che  fosse  statua  finta 
O  d'alabastro  o  d'altri  marmi  illustri 
Ruggiero,  e  su  lo  scoglio  cosi  avvinta 
Per  artificio  di  scultori  industri  ; 
!  Se  non  vedea  la  lacrima  distinta 
i  Tra  fresche  rose  e  candidi  ligustri 
j  Far  rugiadose  le  crudette  pome, 
E  l'aura  sventolar  l'aurate  chiome. 

i  ^' 

l|    E  come  ne'  begli  occhi  gli  ocelli  affisse, 

,lDe  la  sua  Bradamante  gli  sovvenne, 

j^Pietade  e  amore  a  un  tempo  lo  trafisse, 

SE  di  piangere  a  pena  si  ritenne; 

E  dolcemente  alla  donzella  disse. 

Poi  che  del  suo  destrier  frenò  le  penne: 


]       —  6.  iva  in  armata;  andava  in  nave.   Ma 
;  dice  in  armata  accennando  alla  moltitudi- 
'  ne  delle  genti  e  delle  navi,  che  formavano 
1  un'  armata. 
j       94.  1.  pur  ;  solamente. 

—  4.  aborrevole  ;  abominevole.  Vedi  i  pre- 
cedenti di  questa  narraz.  al  e.  viii,  62,  64. 

95.  4.  prima;  un  tempo;  oppure:  Da  prin- 
cipio; (nel  principio  della  sua  vita).  Dante, 
liif.  I,  HI:  «  Là  onde  invidia,  prima,  dipar- 
tilla». 

96.  1.  Creduto  ecc.  Ovidio,  che  descrive 
Andromeda  esposta  al  mostro  marino  e  li- 
berata da  Perseo ,  ha  fornito  il  modello 
all'A.  Perseo  ha,  per  volare,  i  talari,  Rug- 
gero ha  l'ippogrifo;   quegli   ha  la  testa  di 

j  Medusa,  questi  lo  scudo  .  d'Atlante.  Anche 
I  molle  immagini  sono  imitate  dall'A.  Cosi 
!  Metamorf.  4,  673:  «Nisi  quod  levis  aura 
'  capillos  Moverai,  et  tepido  manabant  lunu- 
1  na  fletu,  Marmoreum  ratus  essel  opus  ». 
I       —  0.  ligustri     v.  e.  VII,  11,  6. 


116 


ORT>ANDO  FURIOSO 


O  donna,  degna  sol  de  la  catena 

Con  chi  i  suoi  servi  Amor  legati  mena, 

98 
E  ben  di  questo  e  d' ogni  male  indegna, 
Chi  è  quel  crudel  che  con  voler  perverso 
D'importuno  livor  stringendo  segna 
Di  queste  belle  man  l'avorio  terso? 
Forza  è  eh'  a  quel  parlare  ella  divegna 
Quale  è  di  grana  un  bianco  avorio  asperso, 
Di  sé  vedendo  quelle  parte  ignude, 
Ch'ancor  che  belle  siau,  vergogna  chiude. 

99 
E  coperto  con  man  s'avrebbe  il  volto. 
Se  non  eran  legate  al  duro  sasso; 
Ma  del  pianto  ch'ahnen  non  l'era  tolto, 
Lo  sparse,  e  si  sforzò  di  tener  basso. 
E  dopo  alcun'  signozzi  il  parlar  sciolto, 
Incominciò  con  tioco  suono  e  lasso; 
Ma  non  segui  ;  che  dentro  il  fé'  restara 
Il  gran  rumor  che  si  senti  nel  mare. 

100 
Ecco  apparir  lo  smisurato  Mostro 
Mezzo  ascoso  ne  l'onda,  e  mezzo  sorto. 


97.  7.  0  donna  ecc.  Ovidio,  Met.  4,  678  ; 
«  O,  dixit,  non  istis  digns  cateuis,  Sed  qui- 
bus  Inter  se  cupidi  iungantur  amantes,  Pan- 
de  requirenti  nomen  ecc.  ». 

—  s.  Con  chi.  Le  tre  edizioni  del  '16  del 
'21  e  del'S'Z  lerrgono  concordemente ro/i  chi; 
l'A.  ha  il  pronome  chi,  riferito  a  cosa  e  non 
a  persona,  iu  altri  cinque  luoghi  (vedili  al- 
l' indice  pag.  680)  ;  perciò  non  si  vede  la  ra- 
gione, che  ha  indotto  il  Morali  a  correggere 
con  che. 

98.  3.  livor,  lividore,  (lat.  livor).  É  più 
comune  nel  signific.  metaforico. 

—  6.  Quale  è  di  grana  ecc.  Virgil.  En. 
12,  67  :  «  Indum  sanguineo  veluti  violàverit 
ostro  Si  quis  ebur....  tales  virgo  dabat  ore 
colores  >.  Grana,  si  chiamano  i  corpi  di 
certi  insetti  che,  morti,  hanno  figura  di  gra- 
nelli rotondi,  e  servono  a  colorire  in  rosso 
o  paonazzo;  e  si  chiama  grana  anche  la 
stessa  tinta. 

—  7.  parte;  v.  e.  IX,  84,  n.  1. 

99.  1.  E  coperto  ecc.  Ovid.  Met.  4,  682; 
«Manibusque  modestos  Celasset  vultus,  si 
non  religata  fuisset.  Lumina  quod  potuit, 
lacrymis  implevit  obortis  ». 

—  5.  alcun'.  Questo  troncamento  l'abbia- 
mo anche  nel  e.  vi,  61,  3;  xxiv,  4,7  e  xxviii, 
58,  3;  ma  solamente  qui  e  nel  e.  vi  è  se- 
gnato l'apostrofo.  Gli  antichi  l'usarono  sen- 
za apostrofo:  Petrarca,  Tr.  Am.  11,55: 
«Ove  iraffigurai  alcua  moderni».  E  l'A. 
stesso  non  l'apostrofò  nelle  altre  due  edi- 
zioni. —  Signozzi;  È  forma  più  popolare, 
ma  oggi  andata  in  disuso. 

—  7.  il  fé  restare  ;  té  restare  in  gola  quel 
suono. 


Come  sospìnto  suol  da  Borea  o  d'Ostro 
"^'^enir  lungo  navilio  a  pigliar  porto, 
Cosi  ne  viene  al  cibo  che  l'è  mostro, 
La  bestia  orrenda:  e  l'intervallo  è  corto. 
La  donna  è  mezza  morta  di  paura, 
Né  per  conforto  altrui  si  rassicura. 
101 
Tenea  Ruggier  la  lancia  non  in  resta. 
Ma  sopra  mano;  e  percoteva  l'Orca. 
Altro  non  so  che  s'assomigli  a  questa, 
Ch'  una  gran  massa  che  s'aggiri  e  torca  : 
Né  l'orma  ha  d'  animai,  se  non  la  testa, 
C'ha  gli  occhi  e  i  denti  fuor,  come  di  porca. 
Ruggier  in  fronte  la  feria  tra  gli  occhi; 
Ma  par  che  un  ferro  0  uu  duro  sasso  tocchi. 
102 
Poi  che  la  prima  botta  poco  vale. 
Ritorna  per  far  meglio  la  seconda, 
L'Orca  che  vede  sotto  le  grandi  ale 
L'ombra  di  qua  e  di  là  correr  su  l'onda, 
Lascia  la  preda  certa  litorale, 
E  quella  vana  segue  furibonda: 
Dietro  quella  si  volve  e  si  raggira. 
Ruggier  giù  cala  e  spessi  colpi  tira. 
103 
Come  d'alto  venendo  aquila  suole, 
Ch'errar  fra  l'erbe  visto  abbia  la  biscia. 

I  O  che  stia  sopra  un  nudo  sasso  al  sole, 

I  Dove  le  spoglie  d'oro  abbella  e  liscia; 
Non  assalir  da  quel  lato  la  vuole, 

"Onde  la  velenosa  e  soffia  e  striscia; 
Ma  da  tergo  la  adugna,  e  batte  i  vanni. 
Acciò  non  se  le  volga  e  non  la  azzanni: 
104 
Cosi  Ruggier  con  l'asta  e  con  la  spada, 

,  Non  dove  era  de'  denti  armato  il  muso, 
Ma  vuol  che  '1  colpo  tra  l'orecchie  cada, 
Or  su  le  schene,  or  ne  la  coda  giuso. 
Se  la  fera  si  volta,  ei  muta  strada; 
Et  a  tempo  giù  cala,  e  poggia  in  suso: 


100.  3.  Come  sospinto  ecc.  Ovid.,  l.  e.  v. 
706:  «  Ecce  velut  navis,  praefixo  concita  ro- 
stro Sulcat  aquas...  sic  fera».  —  d'Ostro: 
da  Ostro,  v.  e.  v,  io,  n.  5. 

101.  3.  Altro  non  so  ecc.  PLINIO,  S.  N.  9, 
6:  «  Orcas,  cuius  imago  nulla  repraesenta- 
tione  exprimi  possit  alia  quam  carnis  im- 
mensae  dentibus  truculentae  ». 

102.  4.  L'ombra  ecc.  OviD.  l.  C.  711:  «Ut 
in  aequore  sommo  Umbra  viri  visa  est,  vi- 
sam  fera  saevit  in  umbram  ». 

103.  1.  Come  ecc.  Ovid.  l.  e.  713:  «  Utque 
lovis  praepes,  vacuo  cum  vidit  in  arvo  Prae- 
bentem  Phoebo  liventia  terga  draconem, 
Occupat  aversum;  neu  saeva  retorqueat  ora, 
Squamigeris  avidos  figit  cervicibus  ungues, 
Sic,  ecc.  ». 

—  3.  0  che  stia.  Riferiscilo  a  biscia.  L'an- 
damento sintattico  non  è  chiaro. 


CANTO  X 


117 


Ma  come  sempre  giunga  in  un  diaspro, 
Non  può  tagliar  lo  scoglio  duro  et  aspro. 

105 
Simil  battaglia  fa  la  mosca  audace 
Contro  il  mastio  nel  polveroso  agosto, 
O  nel  mese  dinanzi  o  nel  seguace. 
L'uno  di  spiche  e  l'altro  pien  di  mosto: 
Negli  occhi  il  punge  e  nel  grifo  mordace; 
Volagli  intorno,  e  gli  sta  sempre  accosto; 
E  quel  sonar  fa  spesso  il  dente  asciutto, 
Ma  un  tratto  che  gli  arrivi  appaga  il  tutto. 

106 
Si  forte  ella  nel  mar  batte  la  coda, 
Che  fa  vicino  al  ciel  l'acqua  inalzare; 
Tal  che  non  sa  se  l'ale  in  aria  snoda, 
O  pur  se  '1  suo  destrier  nuota  nel  mare. 
Gli  è  spesso  che  disia  trovarsi  a  proda; 
Che  se  lo  sprazzo  in  tal  modo  ha  a  durare, 
Teme  si  l'ale  inaflfi  all' Ippogrifo, 
Che  brami  invano  avere  o  zucca  o  schifo. 

107 
Prese  nuovo  consiglio,  e  fu  il  migliore. 
Di  vincer  con  altre  arme  il  mostro  crudo. 
Abbarbagliar  lo  vuol  con  lo  splendore, 
Ch'era  incantato  nel  coperto  scudo. 
Vola  nel  lito;  e  per  non  fare  errore, 
Alla  donna  legata  al  sasso  nudo 
Lascia  nel  minor  dito  de  la  mano 
L'annel,  che  potea  far  l' incanto  vano: 

108 
Dico  l'annel  che  Bradamante  avea 
Per  liberar  Ruggier  tolto  a  Brunello, 
Poi  per  trarlo  di  man  d'Alcina  rea. 
Mandato  in  India  per  Melissa  a  quello. 


104.  7.  gianga;  colpisca. 

—  b.  scoglio;  pelle.  V.  e.  xvii,  11,  5. 

105.  3.  n.  m.  dinanzi  u.  m.  precedente: 
Bocc,  yov.  21  :  «  il  di  dinanzi  ».  —  seguace, 
seguente.  Si  cita  il  solo  esempio  dell'Ariosto. 

—  8.  tratto  ;  opportunità.  Pucci,  Centil. 
18,  73:  «  Il  capitan,  veggendo  il  tratto  bello, 
Non  aspettò  la  gente  ».  —  appaga,  compensa. 
Cosi  anche  nelle  Rime  1,  293:  «  Tal  mercé 
...  che  appagherà  quant'hai  servito  e  servi  ». 
Non  si  citano  altri  es.  Forse  è  il  verbo  pa- 
gare coli'  aggiunta  di  un'  a.  V.  e.  i,  02,  n.  2. 
e  XVI,  28,  n.  3. 

106.  3.  non  sa.  Il  sogg.  è  Ruggero. 

—  5.  Gli  è  spesso,  egli  (in  senso  neutro) 
avviene  spesso  che  ecc.  Machiavelli,  Princ. 
19:  «allora  è  che  rade  volte  periclitano  ». 
Vedano  i  puristi  l'uso  del  verbo  essere. 

—  S.  Che  brami;  da  bramare;  v.  e.  i,  3S, 
n.  6.  —  zucca.  Le  zucche  vuote  e  secche  si 
adoprano  come  galleggianti. 

107.  2.  crudo,  crudele. 

—  4.  incantato.  Intendilo  come  se  fosse  tra 
due  virgole,  cioè  riferiscilo  direttamente  a 
splendore;  e  vuol  dire:  che  era  per  opera 
d'incanto. 


Melissa  (come  dianzi  io  vi  dicea) 
In  ben  di  molti  adoperò  l'annello; 
I  Indi  l'avea  a  Ruggier  restituito, 
j  Dal  qual  poi  sempre  fu  portato  in  dito. 

I      Lo  dà  ad  Angelica  ora,  perché  teme 
!  Che  del  suo  scudo  il  fulgurar  non  viete, 
':  E  perché  a  lei  ne  sien  difesi  insieme 
Gli  occhi  che  già  l'avean  preso  alla  rete. 
Or  viene  al  lito  e  sotto  il  ventre  preme 
Ben  mezzo  il  mar  la  smisurata  Cete. 
Sta  Ruggiero  alla  posta,  e  lieva  il  velo  ; 
E  par  ch'aggiunga  un  altro  sole  al  cielo. 
110 
Feri  negli  occhi  l'incantato  lume 
Di  quella  fera,  e  fece  al  modo  usato. 
Quale  0  trota  o  scaglion  va  giti  pel  fiume 
C'ha  con  calcina  il  montanar  turbato  ; 
Tal  si  vedea  ne  le  marine  schiume 
Il  mostro  orribilmente  riversciato. 
Di  qua  di  là  Ruggier  percuote  assai; 
Ma  di  ferirlo  via  non  trova  mai. 
'•         111 
La  bella  Donna  tutta  volta  priega 
Ch'in  van  la  dura  squama  oltre  non  pesti. 
Torna,  per  Dio,  signor;  prima  mi  slega 
(Dicea  piangendo)  che  l'Orca  si  desti: 
Portami  teco,  e  in  mezzo  il  mar  mi  an- 

[niega; 
Non  far  ch'in  ventre  al  brutto  pesce  io 

(resti. 
Ruggier,  commosso  dunque  al  giusto  gri- 
Slegò  la  Donna,  e  la  levò  dal  lido.       [do, 
112 
Il  destrier  punto,  ponta  i  pie  all'arena, 
E  sbalza  in  aria,  e  per  lo  ciel  galoppa; 
E  porta  il  cavalliero  in  su  la  schena, 
E  la  donzella  dietro  in  su  la  groppa. 
Cosi  privò  la  fera  de  la  cena 
Per  lei  soave  e  delicata  troppa. 
Ruggier  si  va  volgendo,  e  mille  baci 
Figge  nel  petto  e  negli  occhi  vivaci. 
113 
Non  pili  tenne  la  via,  come  propose 
Prima,  di  circundar  tutta  la  Spagna; 


108.  5.  come  dianzi,  Nel  canto  vii,  15  sgg. 

—  6.  In  ben,  iu  vantaggio. 

109.  5.  e  sotto  il  ventre  ecc.  OviD.  l.  C. 
689:  «  Etlalum  sub  pectore  possidet  aequor  ». 
Cete  (lat.  cete)  cetaceo.  È  poetico  e  raro. 

110.  2.  Di  quella  fera.  Uniscilo  a  occhi.  È 
distacco  forzato. 

—  4.  con  calcina.  Intorbidando  i  fiumi  con 
calcina  i  pesci  ne  muoiono. 

111.  6.  in  ventre.  È  omesso  l'articolo:  v. 
e.  Il,  15,  8;  forse  per  analogia  col  più  co- 
mune in  corpo. 

112.  6.  troppa,  troppo.  V.  C.  v,  18,  n.  7. 

113.  2.  di  circundar.  Dipende  da  via,  ma, 
per  il  costrutto,  sente  1'  efficacia  di  propo- 


118 


ORLANDO  FURIOSO 


Ma  nel  propinquo  lito  il  destrier  pose,       ' 
Dove  entra  in  mar  più  la  minor  Bretagna. 
Sul  lito  un  bosco  era  di  querce  ombrose, 
Dove  ogn'or  par  che  Filomena  piagna; 
Ch'in  mezzo  avea  un  pratel  con  una  fonte, 
E  quinci  e  quindi  un  solitario  monte. 


se.  —  circundar  per  girare  non    è  comune,  j 
Tasso,  Ger.  19,  34.  «11  (luogo)  circondò  con 
le  veloci  piante  ». 

—  6.  Filomena;  (gr.  phileo,  amo;  e  me- 
los, ca.nto).  Intendi:  dove  si  sente  ognora  il 
rosiguuolo  che,  cantando,  par  che  pianga  le 
sventure  attribuitegli  dalia  favola.  Dice  la 
favola  che  Filomela,  figlia  di  Pandione,  re 
d'Atene,  oltraggiata  da  Tereo,  ne  uccise 
d'accordo  colla  sorella  Progne  il  figlio  Iti: 
inseguita  per  ciò  da  Tereo  fu  cambiata  da-  { 
gli  dei  in  rosignuoio.  i 


114 
Quivi  il  bramoso  cavallier  ritenne 
L' audace  corso,  e  nel  pratel  discese; 
E  fé'  raccorre  al  suo  destrier  le  penne, 
INIa  non  a  tal  che  piti  le  avea  distese.. 
Del  destrier  sceso,  a  pena  si  ritenne 
Di  salir  altri;  ma  tennel  1'  arnese: 
L'arnese  il  tenne,  che  bisognò  trarre, 
E  centra  il  suo  disir  messe  le  sbarre. 

115 
Frettoloso,  or  da  questo  or  da  quel  cauto 
Confusamente  l'arme  si  levava. 
Non  gli  parve  altra  volta  mai  star  tanto; 
Che  s'un  laccio  sciogliea,  dui  n'auuodava. 
Matroppo  è  lungo  ormai, Signor,  il  Canto; 
E  forse  eh' anco  l'ascoltar  vi  grava: 
Si  ch'io  differirò  l'istoria  mia 
In  altro  tempo  che  più  grata  sia. 


CANTO  XI 


1 


Quantunque  debil  freno  a  mezzo  il  corso 
Animoso  destrier  spesso  raccolga, 
Raro  è  però  che  di  ragione  il  morso 
Libidinosa  furia  a  dietro  volga,     [d'orso 
Quando  il  piacere  ha  in  pronto;  a  guisa 
Che  dal  mei  non  si  tosto  si  distolga, 
Poi  che  gli  n'è  venuto  odore  al  naso, 
O  qualche  stilla  ne  gustò  sul  vaso. 

2  [frene, 

Qual  ragion  fia  che  '1  buon  Ruggier  raf- 
Si  che  non  voglia  ora  pigliar  diletto 
D'Angelica  gentil  che  nuda  tiene 
Nel  solitario  e  commodo  boschetto? 
Di  Bradamante  più  non  gli  sovviene, 
Che  tanto  aver  solca  fissa  nel  petto; 
E  se  gli  ne  sovvien  pur  come  prima,  [ma; 
Pazzo  è  se  questa  ancor  non  prezza  e  sti- 


Con  la  qual  non  saria  stato  quel  crudo 
Zenocrate  di  lui  più  continente. 
Gittato  avea  Ruggier  l'asta  e  lo  scudo, 
E  si  traea  l'altre  arme  impaziente; 
Quando  abbassando  pel  bel  corpo  ignudo 
La  donna  gli  occhi  vergognosamente. 
Si  vide  in  dito  il  prezioso  annello, 
Che  già  le  tolse  ad  Albracca  Brunello. 

4  [Francia 

Questo  è  l'annel  ch'ella  portò  già  in 
La  prima  volta  che  fé'  quel  camino 
Col  fratel  suo,  che  v'arrecò  la  lancia. 
La  qual  fu  poi  d'Astolfo  Paladino. 
Con  questo  fé'  gl'incauti  uscire  in  ciancia 
Di  Malagigi  al  petron  di  Merlino; 
Con  questo  Orlando  et  altri  una  matina 
Tolse  di  servitù  di  Dragontina; 


1.  1-1.  C  è  un  ricordo  del  Petrarca,  iv, 
Son.  10  :  «  Orso,  al  vostro  destrier  si  può 
ben  porre  Un  fren,  che  di  suo  corso  addie- 
tro il  volga.  Ma  il  cor  chi  legherà  ?  »  — 
raccolga,  trattenga,  tiri.  Petrarca,  i,  Son.  0, 
9;  «  E  poi  che  '1  fren  per  forza  a  sé  racco- 
glie ». 

—  6.  si  distolga.  Il  cong.  dà  risalto  alla 
comparazione:  fuomo  diventa  come  una 
bestia:  Tindicat.  darebbe  più  risalto  all'a- 
zione dell'orso.  Ma  forse  su  questo  cong.  ha 
agito  anche  il  volga  del  4  verso. 

—  7.  gli  n'  è.  V.  e.  v,  89,  n.  4, 


3.  2.  Zenocrate,  lilosofo  greco  (406-314 
circa  av.  Cr.)  celebre  per  l'austerità  della 
morale.  Egli  resistette  alle  seduzioni  della 
famosa  etera  Frine. 

—  8.  le  tolse.  Ciò  è  raccontato  neWinn. 
II,  V,  33. 

4.  1-6.  Questo  ecc.  Ciò  è  raccontato  dal 
BOIARDO,  Inn.  I,  I. 

—  8.  Tolse  ecc.  Si  dice  nell'  Inn.  I,  xiv, 
che  Angelica  ridotta  a  mal  partito  dai  suoi 
nemici,  che  l'assediavano  in  Albracca,  va 
per  aiuto  in  cerca  d'Orlando  e,  saputo  che 
era  nel  giardino  incantato  di  Dragontina,  vi 


CANTO  XI 


119 


Con  questo  usci  invisibil  de  la  torre, 
Dove  l'avea  richiusa  un  vecchio  rio. 
A  che  voglio  io  tutte  sue  prove  accòrre, 
Se  le  sapete  voi  cosi  come  io? 
Brunel  sin  nel  giron  le  '1  venne  a  torre; 
Ch'Agramante  d'averlo  ebbe  disio. 
Da  indi  in  qua  sempre  Fortuna  a  sdegno 
Ebbe  costei,  fin  che  le  tolse  il  regno. 
6 

Or  che  sei  vede,  come  ho  detto,  in  mano, 
Si  di  stupore  e  d'allegrezza  è  piena. 
Che  quasi  dubbia  di  sognarsi  in  vano, 
Agli  occhi,  alla  man  sua  dà  fede  a  pena. 
Del  dito  se  lo  leva,  e  a  mano  a  mano 
Se  '1  chiude  in  bocca;  e  in  raeu  che  non  ba- 
Cosi  dagli  occhi  di  Ruggier  si  cela,  [lena, 
Come  fa  il  sol  quando  la  nube  il  vela. 
7 

Ruggier  pur  d'ognintorno  riguardava, 
E  s'aggirava  a  cerco  come  un  matto; 
Ma  poi  che  dell' anne!  si  ricordava, 
Scornato  vi  rimase  e  stupefatto; 
E  la  sua  inavvertenza  l)estemmiava, 
E  la  donna  accusava  di  quello  atto 
Ingrato  e  discortese,  che  renduto 
In  ricompensa  gli  era  del  suo  aiuto. 
8 

Ingrata  damigella,  è  questo  quello 
Guiderdone  (dicea)  che  tu  mi  rendi  ? 
Che  più  tosto  involar  vogli  l'annello. 
Ch'averlo  in  don.  Perché  da  me  noi  prendi? 


entra  per  mezzo  di  quest'anello,  distrug- 
ge ogni  incanto,  libera  Orlando  e  gli  altri 
ivi  l'inchiusi. 

5.  1.  Con  questo.  È  detto  i\e\V  Inn.  I,  xiv 
che  Angel.,  andando  in  cerca  d'Orlando,  è 
ti-atta  in  inganno  da  un  vecchio,  che  la  rin- 
chiude in  una  torre,  dov'erano  già  altre 
donne;  ma  essa,  appena  la  torre  viene  aper- 
ta, fugge,  non  vista,  in  virtù  dell'anello. 

—  5.  nel  giron.  È  detta  sempre  dal  Boiar- 
do girone  la  cinta  di  mura,  che  chiudeva 
la  rocca  di  Albracca,  e  anche  la  rocca  stes- 
sa. Per  il  fatto  V.  Innam.  Il,  v,  33.  —  le  '1. 
V.  e.  IV,  2,  n.  8. 

—  7.  Da  indi  ecc..  D'allora  iu  p£)i  le  sue 
condizioni  peggiorarono  sempre.  Stremata 
di  forze  la  rocca,  più  fiero  l'amore  di  Ang. 
per  Rinaldo;  cosicché  ella  se  ne  venne  in 
Ponente,  abbandonando  il  suo  regno. 

6.  3.  dubbia,  dubbiosa,  temendo. 

—  5.  a  ninno  a  mano,  prontamente.  V.  e. 
VII,  SO,  n.  4. 

—  7.  dagli  occhi...  si  cela.  Celarsi  si  co- 
struisce egualmente  con  a  e  con  da. 

7.  2.  a  cerco,  a  cerchio,  intorno. 

—  4.  vi  rimase,  ne  rimase;  V.  e.  vii,  2, 
il.  1. 


Non  pur  quel,  ma  lo  scudo  e  il  destrier 

[snello 
E  me  ti  dono,  e  come  vuoi  mi  spendi; 
Sol  che  '1  bel  viso  tuo  non  mi  nascondi. 
Io  so,  crudel,  che  m'odi,  e  non  rispondi. 
9 

Cosi  dicendo,  intorno  alla  fontana 
Brancolando  n'andava  come  cieco. 
Oh  quante  volte  abbracciò  l'aria  vana, 
Sperando  la  donzella  abbracciar  seco! 
Quella,  che  s'era  già  fatta  lontana,    [speco 
Mai  non  cessò  d' andar  che  giunse  a  un 
Che  sotto  un  monte  era  capace  e  grande, 
Dove  al  bisogno  suo  trovò  vivande. 
10 

Quivi  un  vecchio  pastor,  che  di  cavalle 
Un  grande  armento  avea,  facea  soggior- 
Le  giumente  pascean  giù  per  la  valle  [no. 
Le  tenere  erbe  ai  freschi  rivi  intorno. 
Di  qua  di  là  da  l'antro  erano  stalle. 
Dove  fuggiano  il  sol  del  mezzogiorno. 
Angelica  quel  di  lunga  dimora 
Là  dentro  fece,  e  non  fu  vista  ancora. 
11 

E  circa  il  vespro,  poi  che  rifrescossi, 
E  le  fu  avviso  esser  posata  assai, 
In  certi  drappi  rozzi  avviluppossi, 
Dissimil  troppo  ai  portamenti  gai. 
Che  verdi,  gialli,  persi,  azurri  e  rossi 
Ebbe,  e  di  quante  foggie  furon  mai. 


'       8.  6.  mi  spendi,  giovati  di  me.  È  vivissi- 
mo ancora. 

—  7.  nascondi;  nasconda.  È  forma  fre- 
quente negli  antichi.  V.  e.  xv,  86,  n.  5. 

I       9.  6.  che.  Che  in  relazione  coU'avv.  mai, 
;  e  anche  dipendente  da  semplice   proposiz. 
negativa,  significa  finché. 

—  1.  tapace  e  grande.  .\\  e.  il,  7S:  aìYipla 
■  •  rapace  e  al  e.  xi.vi,  71,  1,  ampio  e  capace: 
i  V.  la  nota  8  al  e.  vii,  38. 

i  10.  3.  giumente.  (\aX.  .ìumentum,  ju(gum) 
;  mentuìn,  propriam.  animale  da  giogo,  da 
i  soma).  Qui  vale  cavalle  e  non  è  raro  nella 
!  letteratura.  In  questo  luogo  abbiamo  il  ger- 
me dell'episodio  di  Erminia  nella  Gerusal. 
dei  Tasso. 

—  8.  ancora,  nonostante  ciò.  Cosi  il  Bocc. 
i  FU.  1,  348:  «  Se  voi  mi  concedete  eh'  io  vada, 

audrò,  e  se  voi  non   lo  mi   concedete,  an- 
cora andrò  ». 

11.  1.  rifrescossi.  Rifrescare  e  Refrescare 
sono  forme  antiche  non  frequenti. 

—  4.  portamenti,  abiti.  In  senso  affine  lo 
usò  il  Caro,  Eh.  7,  368:  «E  questa  è  la 
tiara.  Sacro  suo  portamento  »  (oggetto  che 
egh  suol  portare). 

I  —  5,  persi.  Colore  tra  il  purpureo  e  il 
,  nero,  ma  vince  il  nero;  il  Dolce  ne  dà  l'e- 
I  sempio  col  colore  del  ferro  rugginoso. 


120 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  le  può  tor  però  tanto  umil  gonna, 
Che  bella  non  rassembri  e  nobil  donna. 
12 

Taccia  chi  loda  Fillide  e  Neera, 
O  Aniarilli,  o  Galatea  fugace; 
Che  d'esse  alcuna  si  bella  non  era, 
Titiro  e  Melibeo,  con  vostra  pace. 
La  bella  donna  tra  fuor  della  schiera 
De  le  giumente  una  che  più  le  piace. 
Allora  allora  se  le  fece  inante 
Un  pensier  di  tornarsene  in  Levante. 
13 

Ruggiero  in  tanto,  poi  ch'ebbe  gran  pez- 
Indarno  atteso  s'ella  si  scopriva,         |zo 
E  che  s' avvide  del  suo  error  da  sezzo, 
Che  non. era  vicina  e  non  l'udiva-. 
Dove  lasciato  avea  il  cavallo,  avvezzo 
In  cielo  e  in  terra,  a  rimontar  veniva: 
E  ritrovò  che  s'avea  tratto  il  morso, 
E  salia  in  aria  a  più  libero  corso. 
14 

Fu  grave  e  mala  aggiunta  all'altro  dan- 
Vedersi  anco  restar  senza  l'augello,    [no 
Questo, non  menche'lfeminileinganno. 
Gli  preme  al  cor,mapiùche  questo  e  quel- 
Glì  preme  e  fa  sentir  noioso  affanno    [lo, 
L'aver  perduto  il  prezioso  annello; 
Per  le  virtù  non  tanto  ch'in  lui  sono. 
Quanto  che  fu  de  la  sua  donna  dono. 

1.Ó 

Oltre  modo  dolente  si  ripose 
Indosso  l'arme,  e  lo  scudo  alle  spalle; 


12.  1.  Pillide,  Beerà,  Amarilli,  Galatea  son 
tutte  pastorelle  ricordate  nelle  egloghe  di 
Virgilio  e  celebrate  da  due  pastori,  che  iu 
queste  egloghe  appaiono,  cioè  Titiro  e  Me- 
libeo. 

—  2.  fugace.  È  epiteto  ispirato  da  Virgi- 
lio, Egl.  3,  64:  «  Malo  me  Galatea  petit  la- 
sciva puella,  Et  fugit  ad  salices  et  cupit 
ante  videri  ». 

—  5.  tra;  trae.  È  forma  regolare  da  fra- 
re,  come  da  da  dare;  fa  da  fare.  Cosi  il 
plurale  iranno  al  e.  xix,  70.  Vedine  i  molti 
esempi  citati  dal  Nannucci,  Analisi  crii, 
dei  verbi  ital.  p.  723. 

13.  3.  da  sezzo,  da  ultimo.  È  espressione 
antiquata  (sezzo  dal  lat.  sectius,  che  vien 
dopo). 

—  4.  che;  S'avvide  cioè  che  non  era  vi- 
cina ecc. 

14.  4.  Gli  preme  al  cor;  Gli  opprime  il  cor. 
Nel  e.  XX vili,  68:  «ad  amenduo...  preme». 
Dante,  Inf.  33,  5:  «  il  cor  mi  preme  ».  Que- 
sto costrutto  dell'A.  non  è  citato  dai  voca- 
bolari. 

—  8.  quanto  che,  quanto  perché;  V.  c.v, 
16,  n.  5. 

15.  2.  alle  spalle;  al  COllo;  V.  c.  vii,  76, 
!..  8. 


Dal  mar  slnngossi,  e  per  le  piagge  erbose 
Prese  il  camin  verso  una  larga  valle. 
Dove  per  mezzo  all'  alte  selve  ombrose 
Vide  il  più  largo  e  '1  più  segnato  calle. 
Non  molto  va,  ch'a  destra,  ove  più  folta 
È  quella  selva,  un  gran  strepito  ascolta: 
16 

Strepito  ascolta  e  spaventevol  suono 
D'arme  percosse  insieme  ;  onde  s'affretta 
Tra  pianta  e  pianta,  e  trova  dui  che  sono 
A  gran  battaglia  in  poca  piazza  e  stretta. 
Non  s' hanno  alcun  riguardo  né  perdono. 
Per  far,  non  so  di  che,  dura  vendetta. 
L'uno  è  gigante,  alla  sembianza  fiero; 
Ardito  l'altro  e  franco  cavalliero. 
17 

E  questo  con  lo  scudo  e  con  la  spada. 
Di  qua  di  là  saltando,  si  difende. 
Perché  la  mazza  sopra  non  gli  cada,  [de. 
Con  che  il  gigante  a  due  man  sempre  offen- 
Giace  morto  il  eavallo  in  su  la  strada. 
Ruggier  si  ferma,ealla  battagliaattende; 
E  tosto  inchina  l'animo,  e  disia 
Che  vincitore  il  cavallier  ne  sia. 
18 

Non  cheperquesto  gli  dia  alcuno  aiuto; 
Ma  si  tira  da  parte  e  sta  a  vedere. 
Ecco  col  baston  grave  il  più  membruto 
Sopra  r  elmo  a  due  man  del  minor  fere. 
De  la  percossa  è  il  cavallier  caduto: 
L'altro  che  '1  vide  attonito  giacere. 
Per  dargli  morte  l'elmo  gli  dislaccia; 
E  fa  si  che  Ruggier  lo  vede  in  faccia. 
19 

Vede  Ruggier  de  la  sua  dolce  e  bella 
E  carissima  donna  Bradamante 
Scoperto  il  viso;  e  lei  vede  esser  quella 


—  3.  slnngossi,  dilungossi.  È  d'uso  spe- 
cialm.  poetico.  Berni,  Inn.,  22,  56:  «  E  come 
fu  da  noi  tanto  slungato». 

—  6.  segnato,  detinito,  determinato,  in 
modo  da  non  sbagliare.  Petr.,  i  Canz.,  13, 
2.  «  Ogni  segnato  calle  Provo  contrario  a 
la  tranquilla  vita  ». 

16.  4.  piazza  si  chiamava,  con  termine 
tecnico,  il  luogo,  dove  i  cavalieri  combat- 
tevano fra  loro. 

17.  3.  mazza.  I  giganti  non  hanno  mai  le 
armi  onorate  dei  cavalieri,  ma  tronconi, 
mazze  e  simili  arnesi. 

—  7.  inchina  l'animo,  volge  benignamente 
l'animo.  Sottint.  al  cavaliere. 

18.  6.  attonito,  stordito  come  per  scoppio 
di  tuono  (lat.  atlonitus).  Questo  è  il  suo 
primo  significato. 

—  7.  l'elmo  gli  dislaccia.  Secondo  le  leggi 
della  guerra  antica,  atterrato  il  cavaliere, 
gli  si  levava  l'elmo  per  costringerlo  a  ren- 
dersi o  per  finirlo  a  colpi  di  pugnale. 


CANTO  XI 


121 


A  cui  dar  morte  vnol  l'empio  gigante: 
Si  che  a  battaglia  subito  l'appella, 
E  con  la  spada  nuda  si  fa  inante; 
Ma  quel,  che  nuova  pugna  non  attende, 
La  donna  tramortita  in  braccio  prende; 
•2(1 

E  se  l'arreca  in  spalla,  e  via  la  porta. 
Come  lupo  talor  piccolo  agnello,    ;*    "^.c 
O  l'aquila  portar  ne  1'  ugna  torta  ''C2^-~ 
Suole  0  colombo  o  simile  altro  augello. 
Vede  Ruggier  quanto  il  suo  aiuto  importa, 
E  vien  correndo  a  più  poter;  ma  quello 
Con  tanta  fretta  i  lunghi  passi  mena, 
•ChecougliocchiKuggier  lo  segueapena. 
•21 

Cosi  correndo  l'uno,  e  seguitando     ^ 
L'altro,  per  un  sentiero  ombroso  e  fosco, 
Che  sempre  si  venia  pili  dilatando. 
In  un  gran  prato  uscir  fuor  di  quel  bosco. 
Non  pili  di  questo;  ch'io  ritorno  a  Or- 
T\^-^'-^-^'  [landò 

Che  '1  fulgur  che  portò  già  il  Re  Cimosco,' 
Avea  gittato  in  mar  nel  maggior  fondo. 
Acciò  mai  più  non  si  trovasse  al  mond^ 


Ma  poco  ci  giovò:  che  '1  nimico  empio 
De  l'umana  natura,  il  qual  del  telo 
Fu  l'inventor  eh"  ebbe  da  "quel  reseìtipio, 
Ch'apre  le  nubi  e  in  terra  vien  dal  cielo; 
Con  quasi  non  minor  di  quello  scempio 
Che  ci  die  quando  Eva  ingannò  col  melo, 
-Lo  fece  ritrovar  da  un  Negromante, 
Al  tempo  de'  nostri  avi,  o  poco  inante. 


20.  2.  Come  lupo  ecc.  Viro.,  En.  9,  563: 
«  Qualis,  ubi  aut  leporem  aut  candenti  coi- 
pore  cycnum  Sustulit  alta  peteus  pedibus 
lovis  armiger  uncis,  Quaesitum  aut  matri 
multis  balatibus  aguum  I^lartius  a  stabulis 
rapuit  lupus  >. 

—  T.  i...  passi  mena.  È  espressione  fog- 
giata sulla  più  comune  Menar  le  garabe. 

21.  6.  il  fulgor,  l'archibugio,  «  che  il  ful- 
mine assomiglia  ad  ogni  effetto  »  e.  ix,  88,  S. 
J'i<?5'ir/-e  fu  dagli  antichi  usalo  assai  spesso 
come  maschile.  Dal  quinto  verso  di  questa 
stauza,  fino  a  tutta  la  stanza  SO,  è  giunta 
fatta  per  l'ediz.  del  1532. 

22.  1.  ci  giovò,  a  noi,  al  mondo  giovò. 

—  2.  telo.  Qui  vale  archibugio.  Non  si 
cita  che  questo  esempio  dell' .\.  Dante,  Purg. 
12,  -^  l'usò  per  fulmine. 

—  5.  Con  quasi  ecc.  Costruisci:  Con  scem- 
pio quasi  non  minore  di  quello. 

—  6.  melo,  mela.  Questa  forma,  per  indi- 
care il  frutto,  è  citata  col  solo  esempio  del- 
J'.^riosto.  È  opinione  popolare  che  il  frutto 
proibito  fosse  il  fico  o  il  melo. 

—  7.  uri  negromante.  Forse  1'  .K.  accen- 
na poeticamente  al  frate  tedesco  Bertoldo 
Schwartz  ^ra.  13S4),  al  quale  si  attribuì  per 


[  2.3 

La  machina  infernal,  di  più  di  cento 
.Passi  d'acqua  ove  stè  ascosa  molt'anni. 
Al  sommo  tratta  per  incantamento, 
Prima  portata  fu  tra  gli  Alamanni  ; 
j  Li  quali  uno  et  un  altro  esperimento 
I  Facendone,  e  il  Demonio  a' nostri  danni 
I  A^Sìittìgliando  lor  via  più  la  mente, 
1  Ne  ritrovaro  l'uso  finalmente. 
!  24 

Italia  e  Francia,  e  tutte  l'altre  bande 
Del  mondo  han  poi  la  crudele  arte  appresa. 
Alcuno  il  bronzo  in  cave  forme  spande. 
Che  liquefatto  ha  la  fornace  accesa; 
Bugia  altri  il  ferro;  e  chi  picciol,  chi  gran- 
ii vaso  forma,  che  più  e  meno  pesa;    [de 
E  qual  bombarda,  e  qual  nomina  scoppio, 
Qual  semplice  cannon,qual  cannon  doppio: 
25 
j      Qual  sagra,  qual  falcon,  qual  colubrina 
I  Sento  nomar,  come  al  suo  autor  più  ag- 
j  [grada  : 

lungo  tempo  l' invenzione  della  polvere  da 
cannone.  Egli  però  non  fece  che  perfeziona- 
re le  artiglierie,  che  esistevano  già.  Ma  è  an- 
che probabile  che  l'A.  non  alluda  a  nessuna 
persona  storica,  e  solo  voglia,  con  questa 
fantasia,  accennare  all'origine  germanica 
dell'archibugio,  che  dai  Germani  ebbe  anche 
il  nome  (haken-biìchsen  :  hake n,  griWeito; 
bùchsen,  canna.  Cosi  Carlo  Promis  nel 
TratC.  di  architettura  civile  e  militare  di 
Fr.  di  Giorgio  Martini). 

23.  1.  di,  da.  É  la  preposiz.  di,  che  indica 
origine  di  moto  (p.  es.  trarre  del  pozzo)  ; 
ma  usata  con  una  certa  libertà. 

—  2.  Passi.  Su  questa  misura  v.  e.  vi,  37, 
n.  3. 

24.  1.  bande;  parti.  Col  complemento  di 
specificaz.  non  è  frequente.  Chiabrera,  Amed. 
4,  5:  «maggiore  Rimbombo  empie  del  ciel 
tutte  le  bande  »'. 

—  3.  Alcuno  ecc.  I  cannoni  prima  si  fu- 
sero coir  anima  incavata  dalla  forma,  e 
quindi  il  bronzo,  spandendosi  intorno  ad 
essa,  prese  cave  forme;  poi  si  fusero  pieni, 
ricavandone  l'anima  col  trapano. 

—  7-8.  bombarda;  Nome  generico  di  tutte 
le  artiglierie  da  fuoco  cominciate  a  usare 
fra  il  dugeuto  e  il  trecento.  —  scoppio  o 
schioppo,  era  manesco  e  portatile.  —  can- 
none ordinario  o  semplice  si  disse,  verso  la 
fine  del  trecento,  quello  che  traeva  palle  di 
ferro  di  circa  50  libbre,  e  fu  il  tipo  o  l'unità 
di  misura;  tutti  gli  altri  furon  multipli  o 
sotto  multipli:  cannon  doppio  del  calibro 
di  100,  mezzo  cannone  del  calibro  di  25,  ecc. 
(Guglielmotti,  Dizionario  milit.  e  ma- 
rino). 

25.  1.  sagra,  o  sagro  era  il  maggior  can- 
none da  campagna  (sagro  era  veramente  il 


122 


ORLANDO  FURIOSO 


Che'l ferro  spezza, e i marmi  apre  emina, 
E  ovunque  passa  si  fa  dar  la  strada. 
Rendi,  miser  soldato,  alla  fucina 
Pur  tutte  Tarme  c'hai,  fin  alla  spada; 
E  in  spalla  un  scoppio  e  un  arcobugio 

(prendi; 
Che  senza,  io  so,  non  toccherai  stipendi. 

26 
Come  trovasti,  o  scelerata  e  brutta 
Invenzìon,  mai  loco  in  uman  core? 
Per  te  la  militar  gloria  è  distrutta; 
Per  te  il  mestier  de  l'arme  è  senza  onore  ; 
Per  te  è  il  valore  e  la  virtù  ridutta, 
Che  spesso  par  del  buono  il  rio  migliore: 
Non  più  la  gagliardia,  non  più  l'ardire 
Per  te  può  in  campo  al  paragon  venire. 

27 
Per  te  son  giti  et  anderan  sotterra 
Tanti  Signori  e  Cavallieri  tanti. 
Prima  che  sia  finita  questa  guerra,  [pianti  ; 
Che  '1  mondo,  ma  più  Italia  ha  messo  in 
Che  s'io  v'ho  detto,  il  detto  mio  non  erra, 
Che  ben  fu  il  più  crudele,  e  il  più  di  quanti 
Mai  furo  al  mondo  ingegni  empii  e  maligni, 
Ch'  imaginò  si  abominosi  ordigni. 

28 
E  crederò  che  Dio,  perché  vendetta 
Ne  sia  in  eterno,  nel  profondo  chiuda 
Del  cieco  Abisso  quella  maladetta 
Anima,  appressò  al  maladetto  Giuda. 
Ma  seguitiamo  il  cavallier  eh'  in  fretta 
Brama  trovarsi  all'isola  d' Ebuda, 
Dove  le  belle  donne  e  delicate 
Son  per  vivanda  a  un  marin  mostro  date. 

29 
Ma  quanto  avea  più  fretta  il  Paladino, 
Tanto  parca  che  men  l'avesse  il  vento. 
•Spiri  0  dal  lato  destro  o  dal  mancino 


falcone  da  caccia,  detto  da  i  Greci  hierós, 
sacro).  —  falcon  era  il  più  piccolo  dei  can- 
noni; avea  il  calibro  di  3.  —  colubrina,  pezzo 
d'artiglieria  molto  lungo  e  sottile  a  guisa 
di  colubro. 

26.  5.  ridutta,  Sottiut.  a  tal  punto. 

27.  3.  questa  guerra,  La  gran  guerra  tra 
la  Francia  e  l'impero,  che,  cominciata  nei 
primi  del  secolo,  fini  nel  1541. 

—  5.  Che  s'io  ecc.  Nota  il  costrutto,  nel 
•  luale  la  proposizione  principale  (il  detto 
mio  non  erra)  è  inserita  nella  dipendente, 
mentre  regolarmente  dovrebbe  essere  posta 
alla  fine  dell'ottavo  verso.  Cosi  anche  xiii, 
18,  6.  Il  che  è  correlativo  di  tanti  del  ver- 
so 2:  tanti,  che  se  io  vi  ho  detto  che  fu  il 
più  crudele  ecc.,  il  detto  mio  non  erra. 

—  6.  e  11  più  di  quanti  eccJ  Regolarm. 
dovrebbe  dire:  Il  più  empio  e  il  più  maligno 
ingegno  di  quanti  ecc.  È  un  esempio  d'at- 
trazione, come  si  trova  anche  al  e.  xxiii, 
46  e  XXXVII,  114.  3. 


O  ne  le  poppe,  sempre  è  cosi  lento, 
Che  si  può  far  con  lui  poco  camino; 
E  rimanea  tal  volta  in  tutto  spento: 
Soffia  talor  si  avverso,  che  gli  è  forza 
0  di  tornare,  o  d'ir  girando  all'orza. 
30 

Fu  volontà  di  Dio  che  non  venisse 
Prima  che  '1  Re  d'Ibernia  in  quella  parte, 
Acciò  con  più  facilità  seguisse  -  " 

Quel  eh'  udir  vi  farò  fra  poche  carte. 
Sopra  l'isola  sorti.  Orlando  disse 
Al  suo  nocchiero:  Or  qui  potrai  fermarte, 
E  '1  battei  darmi;  che  portar  mi  voglio 
Senz' altra  compagnia  sopra  lo  scoglio. 
31  -^'i- 

E  voglio  la  maggior  goraona  meco, 
E  l'ancora  maggior  ch'abbi  sul  legno: 
lo  ti  farò  veder  perché  l'arreco. 
Se  con  quel  mostro  ad  affrontar  mi  vegno. 
Gittar  fé'  in  mare  il  palischermo  seco. 
Con  tutto  quel  ch'era  atto  al  suo  disegno  ; 
Tutte  l'arme  lasciò,  fuor  che  la  spada; 
E  ver  lo  scoglio  sol  prese  la  strada. 
^''■•"       32 

Si  tira  i  remi  al  petto,  e  tien  le  spalle 
Volte  alla  parte  ove  discender  vuole; 
A  guisa  che  del  mare  o  de  la  valle 
Uscendo  al  lito,  il  salso  granchio  suole. 
Era  ne  l'ora  che  le  chiome  gialle 


29.  8.  ir  girando  all'orza.  Girare  all'orza^ 
Orzare  significano  propriam.  avvicinarci 
colla  x>rua  alla  direzione,  da  cui  viene  il 
vento;  e  si  orza  nei  momenti,  in  cui  il  ven- 
to sfavorevole  è  più  forte,  per  raddrizzare 
la  barca  e  impedire  che  si  rovesci;  si  pog- 
gia o  puggia,  appena  passata  la  raffica  per 
ripigliare  la  primitiva  direzione.  Qui  il  poe- 
ta volle  dire  che  Orlando,  per  non  esser  ro- 
vesciato, o  doveva  abbandonarsi  al  vento 
contrario  e  tornare,  o  doveva  spostare  la 
sua  direzione,  voltando  la  prua  verso  il  ven- 
to, per  non  essere  rovesciato. 

30.  2.  Ibernia.  V.  e.  IX,  11. 

—  5.  sorti.  V.  e.  IV,  51,  n.  6. 

31.  5.  palischermo  è  nome  generico  d'ogni 
piccola  barca  a  servizio  di  nave  grande  : 
(etimolog.  incerta).  Sopra  lo  ha  detto  bat' 
tello,  sotto  lo  dice  schifo.  Lo  schifo  serviva 
per  l'equipaggio,  il  battello  per  i  bassi  ser- 
vizi. Spesso  si  prendono  come  sinonimi. 

32.  1.  Si  tira  ecc.  Indica  uno  dei  modi  di 
remare;  ed  è  quello,  col  quale  si  fa  più  for- 
za e  si  ottiene  più  velocità;  nell'altro  modo 
si  spingono  i  remi  dal  petto  in  fuori,  guar- 
dando la  prua. 

—  4.  il  salse  granchio;  i  granchi  di  mare, 
che  talvolta  sono  gettati  dalle  onde  nelle 
paludi  {valle). 

—  5.  le  chiome  gialle  ecc.  Intendi  le  chio- 
me del  sole,  che  l'Aurora,  andandogli  avan- 


,<-i,jiAXC^«_ 


^ANTO  XI 


123 


La  bella  aurora  avea  spiegate  al  sole,  v' '" 
Mezzo  scoperto  ancora  e  mezzo  ascoso, 
Non  senza  sdegno  di  Titon  geloso. 
33 

Fattosi  appresso  al  nudo  scoglio,  quanto 
Potria  gagliarda  man  gittare  un  sasso, 
Gli  pare  udire  e  non  udire  un  pianto 
Si  all'  orecchie  gli  vien  debole  e  lasso. 
Tutto  si  volta  sul  sinistro  canto; 
E  posto  gli  occhi  appresso  all'onde  al  bas- 
Vede  una  donna,  nuda  come  nacque,  [so, 
Legata  a  un  tronco  ;  e  i  pie  le  bagnan 
34  [l'acque. 

Perché  gli  è  ancor  lontana,  e  perché  chi- 
Lafacciatien,nonbeuchisiadiscerne.  [na 
Tira  in  fretta  ambi  i  remi,  e  s'avvicina 
Con  gran  disio  di  più  notizia  averne. 
Ma  rauggiar  sente  in  questo  la  marina, 
E  rimbombar  le  selve  e  le  caverne: 
Gonfiànsi l'onde; et  ecco  il  Mostro  appare, 
Che  sotto  il  petto  ha  quasi  ascoso  il  mare. 
35 

Come  d'oscura  valle  umida  ascende 
Nube  di  pioggia  e  di  tempesta  pregna, 
Che  più  che  cieca  notte  si  distende 
Per  tutto  '1  mondo,  e  par  che  'I  giorno  spe- 
Cosi  nuota  la  fera,  e  del  mar  prende  [gna  ; 
Tanto,  che  si  può  dir  che  tutto  il  tegua: 
Fremono  l'onde.  Orlando  in  sé  raccolto. 
La  mira  altier,  né  cangia  cor  né  volto. 


ti,  aveva  spiegato.  Non  possono  esser  le 
chiome  dell'Aurora,  perché  il  sole  era  già 
mezzo  scoperto.  Cfr.  e.  vai,  86,  5. 

—  8.  Titon.  Dice  la  favola  che  Titone, 
amante  e  marito  dell'Aurora;  domandò  agli 
dei  r  immortalità  e  l'ebbe  ;  ma  dimenticò  di 
domandare  l'eterna  giovinezza.  Divenuto 
decrepito,  era  geloso. 

33.  2.  Potria  ecc.  Dante,  Purg.  3,  67: 
«  Quanto  un  buon  gittator  trarria  con  ma- 
no ». 

—  4.  lasso,  stanco,  di  persona  stanca,  ab- 
battuta. 

—  6.  posto,  posti.  V.  e.  IX,  32,  n.  1.  —  ap- 
presso a.  o.  al  basso;  sul  basso,  sulla  parte 
inferiore  dello  scoglio,  vicino  alle  onde. 

—  8.  a  un  tronco,  confìtto  forse,  a  tal  uso, 
nel  terreno,  poiché  siamo  sulla  scogliera. 

34.  5.  muggìar.  V.  e.  I,  41,  n.  1. 

—  8.  Che  sotto  ecc.  Ovidio,  Met.  iv.  688- 
9,  dice  del  mostro  marino,  che  viene  a  di- 
vorare Andromeda:  «  latum  sub  pectore 
possidet  aequor  ». 

35.  1.  Come  ecc.  Valerio  Fiacco,  II,  515, 
dice  del  mostro,  che  viene  per  divorare  E- 
sione:  «  Qualis  ubi  gelidi  Boreas  convallibus 
Hebri  Tollitur,  et  volucres  Ripbaea  per 
ardua  nubes  Praecipitat;  piceo  nos  tum  te- 
net  omnia  coelo  ». 


36 
E  come  quel  ch'avea  il  pensier  ben  fermo 
Di  quanto  volea  far,  si  mosse  ratto  ; 
E  perché  alla  donzella  essere  schermo, 
E  la  fera  assalir  potesse  a  un  tratto. 
Entrò  fra  l'Orca  e  lei  col  palischermo, 
Nel  fodero  lasciando  il  brando  piatto: 
I  L  'àncora  con  la  gomona  in  man  prese; 
Poi  con  gran  cor  l' orribil  mostro  attese. 
'  37 

I      Tosto  che  l'Orca  s'accostò,  e  scoperse 
Nel  schifo  Orlando  con  poco  intervallo, 
]  Per  inghiottirlo  tanta  bocca  aperse, 
1  Ch'entrato  un  uomo  vi  saria  a  cavallo. 
Si  spinse  Orlando  inanzi,  e  se  gl'immersi^ 
I  Con  quell'ancora  in  gola,  e  s'io  non  fallo, 
j  Col  battello  anco;  e  l'ancora  attaccolle 
E  nel  palato  e  ne  la  lingua  molle: 
38 
Si  che  né  più  si  puou  calar  di  sopra, 
I  Né  alzar  di  sotto  le  mascelle  orrende. 
!  Cosi  chi  ne  le  mine  il  ferro  adopra, 
I  La  terra,  ovunque  si  fa  via,  suspende, 
j  Che  subita  ruina  non  lo  cuopra, 
I  Mentre  mal  cauto  al  suo  lavoro  intende. 
'  Uà  un  amo  all'altro  l'ancora  è  tanto  alta, 
I  Che  non  v'arriva  Orlando,  se  non  salta. 
j  39 

Messo  il  puntello,  e  fattosi  sicuro 
i  Che  '1  mostro  più  serrar  non  può  la  bocca, 
I  Stringe  la  spada  e  per  quell'antro  oscuro 
Di  qua  e  di  là  con  tagli  e  punte  tocca. 
Come  si  può,  poi  che  son  dentro  al  muro 
Giunti  i  nimici,  ben  difender  l'occa; 
Cosi  difender  l'Orca  si  potea 
Dal  Paladin,  che  ne  la  gola  avea. 
40 
Dal  dolor  vinta,or  sopra  il  mar  si  lancia. 


36.  4.  a  nn  tratto;  a  un  tempo,  nello  stes- 
so tempo. 

—  6.  lasciando  il  br.  piatto;  lasc.  il  br. 
nascosto.  Cosi  spesso  gli  antichi.  Dante, 
Inf.  19,  75:  «Per  la  fessura  della  pieti-a 
piatti  ». 

37.  5,  gli  per  le  non  di  rado  gli  antichi. 
Dante,  Inf.  33,  61:  «  tosto  che  l'anima  trade, 
Come  fec'  io,  il  corpo  suo  gli  è  tolto  ». 

38.  1.  puon.  V.  e.  X,  (51,  n.  6. 

—  3.  mine,  miniere.  Cosi  anche  al  e  xi.vr, 
136,  2. 

—  5.  Che,  perché.  V.  e.  i,  27,  S. 

—  6.  mal  canto,  incauto.  V.  e.  i,  57,  n.  1. 

—  7.  amo.  Chiama  l'A.  la  marra  dell'an- 
cora, perché  fatta  a  guisa  di  amo.  Si  cita 
questo  solo  esempio  deU'.\. 

39.  4.  pnnte,  puntate.  V.  e.  IX,  70,  n.  3. 

40.  1-4.  or  sopra  ecc.  OviD.,  Met.  iv,  720-1: 
«  Vulnere  laesa  gravi  modo  se  sublimis  iu 
auras  Attollit,  modo  subdit  aquis  ». 


124 


ORLANDO  FURIOSO 


E  mostra  i  fianchi  e  le  scaglie  e  schene; 
Or  dentro  vi  s'attufla,  e  con  la  pancia 
Muove  dal  fondo  e  fa  salir  l'arene. 
Sentendo  l'acqua  il  cavallier  di  Francia, 
Che  troppo  abonda,  a  nuoto  fuor  ne  viene: 
Lascia  l'ancora  fitta,  e  in  mano  prende 
La  fune  che  da  l'ancora  depende. 
41 

E  con  quella  ne  vien  nuotando  in  fretta 
Verso  lo  scoglio,  ove  fermato  il  piede,   . 
Tira  l'ancora  a  sé,  che  'n  bocca  stretta 
Con  le  dna  punte  il  brutto  mostro  ficde. 
L'  Orca  a  seguire  il  canape  è  constretta 
Da  quella  forza  ch'ogni  forza  eccede, 
]  )a  quella  forza  che  pili  in  una  scossa 
Tira,  eh'  in  dieci  un  argano  far  possa. 
42 

Come  toro  salvatico  ch'ai  corno 
Gittar  si  senta  un  improviso  laccio. 
Salta  di  qua  di  là,  s'  aggira  intorno,  [ciò; 
Si  colca  e  lieva,  e  non  può  uscir  d'irapac- 
Cosi  fuor  del  suo  antico  almo  soggiorno 
LOrca  tratta  per  forza  di  quel  braccio. 
Con  mille  guizzi  e  mille  strane  ruote 
Segue  la  fune,  e  scior  non  se  ne  puote. 
43 

Di  bocca  il  sangue  in  tanta  copia  fonde. 
Che  questo  oggi  il  mar  Rosso  si  può  dire, 
Dove  in  tal  guisa  ella  percuote  l'onde, 
Ch'insino  al  fondo  le  vedreste  aprire: 
Et  or  ne  bagna  il  cielo,  e  il  lume  asconde 
Del  chiaro  sol:  tanto  le  fa  salire. 
Rimbombano  al  rumor  ch'intorno  s'ode, 
Le  selve,  i  monti  e  le  lontane  prode. 


—  2.  schene.  V.  e.  X,  57,  n.  6. 

—  S.  depende,  pende  attaccata  (lat.  dcpen- 
det).   È  un  latinismo  elegante. 

>  42.  4.  Si  colca,  si  corica.  Da  collocare  si 
fece  colcare  quindi  corcare,  coricare.  La 
prima  forma  colcare  fu,  dagli  antichi,  usata 
più  in  poesia  che  in  prosa. 

—  5.  almo  sogg.  Almo,  in  senso  proprio, 
si  dice  ciò,  che  dà  vita  e  nutrimento:  cosi 
Lucrezio  2,  390:  «liquor  almus  aquarum  ». 

43.  1.  fonde,  effonde  (lat.  fundit).  Gii  an- 
tichi l'usarono  anche  in  prosa.  Cavalca, 
Esp.  Simb.  2,  212:  «  La  pietra  mi  fondeva  i 
rivi  dell'olio  ».  Oggi  è  poetico. 

—  2.  il  mar  Rosso.  L'  A.  evidentemente 
scherza.  Il  mar  Rosso  non  è  affatto  rosso, 
quantunque  alcune  erbe  sottomarine,  alcuni 
banchi  di  sabbia  e  di  corallo,  e  il  colore  del 
cielo  gli  diano  talvolta  qua  e  là  una  tinta 

Rossastra,  il  nome  però  sembra  derivato 
al  nome  di  Popolo  rosso,  che  si  dava  alla 
più  parte  degli  abitanti  di  quella  riviera. 
(V.  St.  Martin  e  Rousselet,  Nouveau  Diction- 
uaire  de  Géographie). 


44 

Fuor  de  la  grotta  il  vecchio  Proteo  quan  - 
Ode  tanto  rumor,  sopra  il  mare  esce;  [do 
E  visto  entrare  e  uscir  de  l'Orca  Orlando, 
E  al  lito  trar  si  smisurato  pesce. 
Fugge  per  l'alto  Oceano,  obliando 
Lo  sparso  gregge:  e  si  il  tumulto  cresce» 
Che  fatto  al  carro  i  suoi  delfini  porre, 
Quel  di  Nettuno  in  Etiopia  corre. 
45 

Con  Melicerta  in  collo  Ino  piangendo, 
E  le  Nereide  coi  capelli  sparsi, 
Glauci  e  Tritoni,  e  gli  altri  non  sappiendo 
Dove,  chi  qua,  chi  là  van  per  salvarsi. 
Orlando  al  lito  trasse  il  pesce  orrendo. 
Col  qual  non  bisognò  più  affaticarsi; 
Che  pel  travaglio  e  per  l'avuta  pena. 
Prima  mori,  che  fosse  in  su  l'arena. 
46 

De  l'isola  non  pochi  erano  eorsi 
A  riguardar  quella  battaglia  strana; 
I  quai  da  vana  religion  rimorsi. 
Cosi  sant'opra  riputar  profana: 
E  dicean  che  sarebbe  un  nuovo  tòrsi 
Proteo  nimico,  e  attizzar  l'ira  insana, 
Da  fargli  porre  il  mariu  gregge  in  terra, 
E  tutta  rinovar  l'antica  guerra; 
47 

E  che  meglio  sarà  di  chieder  pace 
Prima  all'  offeso  Dio,  che  peggio  accada; 
E  questo  si  farà,  quando  l'audace 


44.  1.  Proteo.  V.  e.  vili,  51.  Il  suo  gregge 
sono  orche,  balene  e  altri  cetacei. 

—  7.  fatto,  fatti.  V.  e.  IX,  32,  n.    1. 

—  8.  Nettuno  ecc.  OMERO,  Jl.  (MONTI,  I, 
558)  :  «  Ieri  in  grembo  air  Oceano  Fra  gli  in- 
nocenti Etiopi  discese  Giove  a  convito  e  il  se- 
guir tutti  i  numi  ».  Odissea  (Maspero  I,  29): 
«  Sceso  Era  il  forte  Nettuno  in  Etiopia... 
Un'  ecatombe  Gli  avean  di  tauri  offerta  e  di 
montoni  I  felici  Etiopi  e  ai  lor  conviti  Egli 
Seder  godea.  ».  Gli  dei  scendevano  spesso 
fra  i  popoli  più  innocenti  e  devoti. 

45.  I.  Con  Melicerta.  Ino,  madre  di  Meli- 
certa  e  di  Learco  per  fuggire  il  furore  di 
Atamante  re  di  Tebe,  suo  marito,  che  le 
avea  già  ucciso  Learco,  si  gettò  in  mare  con 
Melicerta.  Gli  dei  la  cambiarono  in  divinità 
marina. 

—  2-3.  Nereide...  Glauci  e  Trìtoni  erano 
anch'essi  divinità  marine.  I  Tritoni,  secon- 
do i  poeti  antichi,  erano  più  d'uno,  ma  un 
solo  fu  Glauco.  L'.\.  ha  usato  il  plur.  o  per 
azione  di  Tritoni,  o  come  parola  generica 
indicante  divinità  marine. 

46.  5.  torsi...  nimico;  rendersi  nem.  É  mo- 
do non  citalo  dai  vocabolari. 

47.  1.  meglio  sarà  dì  eh.  Più  regolarmente 
senza  il  'li.  v.  Fornaci  ari,  Sint.  p.  361, 
par.  6. 


CANTO  XI 


125 


Gittate  in  mar  a  placar  Proteo  vada. 
Come  dà  fuoco  l'una  a  l'altra  face, 
E  tosto  alluma  tutta  una  contrada; 
Cosi  d'un  cor  ne  l'altro  si  diftonde 
L'ira  ch'Orlando  vuol  gittar  ne  l'onde. 

48 
Chi  d'una  froraba  e  chi  d'un  arco  armato, 
Chi  d'asta,  chi  di  spada,  al  lito  scende; 
E  dinanzi  e  di  dietro  e  d'  ogni  lato. 
Lontano  e  appresso,  a  più  poter  l'offende. 
Di  si  bestiale  insulto  e  troppo  ingrato 
Gran  meraviglia  il  Paladin  si  prende: 
Pel  mostro  ucciso  ingiuria  far  si  vede; 
Dove  aver  ne  sperò  gloria  e  mercede. 

49 
Ma  come  l'orso  suol,  che  per  le  tìere 
Menato  sia  da  Rusci  o  da  Lituani, 
Passando  per  la  via,  poco  temere 
L'importuno  abbaiar  di  picciol  cani. 
Che  pur  non  se  li  degna  di  vedere; 
Cosi  poco  temea  di  quei  villani 
Il  Paladin  che  con  un  soffio  solo 
Ne  potrà  fracassar  tutto  lo  stuolo. 

5Ù 
E  ben  si  fece  far  subito  piazza 
Che  lor  si  volse,  e  Durindana  prese. 
S'avea  creduto  quella  gente  pazza 
Che  le  dovesse  far  poche  contese. 
Quando  né  indosso  gli  vedea  corazza. 
Né  scudo  in  braccio,  né  alcun  altro  arnese; 
Ma  non  sapea  che  dal  capo  alle  piante 
Dura  la  pelle  avea  più  che  diamante. 

51  [lece. 

Quel  che  d'Orlando  agli  altri  far  non 
Di  far  degli  altri  a  lui  già  non  è  tolto. 
Trenta  n'  uccise:  e  furo  in  tutto  diece 
Botte;  0  se  più,  non  le  passò  di  molto. 
Tosto  intorno  sgombrar  l'arena  fece; 
E  per  slegar  la  donna  era  già  volto. 
Quando  nuovo  tumulto  e  nuovo  grido 
Ee' risuonar  da  un'altra  parte  il  lido. 


48.  1.  tromba;  frombola,  fionda- 

49.  2.  Bdscì,  Russi.  È  forse  una  forma 
dialettale. 

—  5.  se  li  degna  ecc.  si  degna  di  vederli. 
Solito  spostamento  del  pronome;  v.  e.  i,  47, 
11.  6.  —  vedere,  guardarli.  Dante,  Par.  22, 
128:  «Rimira  in  giuso  e  vedi  quanto  mon- 
do». 

50.  2.  Che;  È  correlativo  di  subito. 

—  5.  Quando;  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  7.  Ma  non  sapea  ecc.  Orlando  era  in- 
vulnerabile, fuorché  sotto  le  piante. 

51.  3.  diece.  L'.\.  ha  dieci  ogni  volta  che 
si  riferisce  a  sostantivo  maschile,  diece  ogni 
volta  che  si  riferisce  a  sost.  femminile.  Lo 
stesso  abbiamo  avvertito  per  dm  e  due  e. 
I,  16,  n.  2.  Il  Bembo,  Prose,  III,  10;  nota  che 
nel  fenìminile  diece  più  anticamente  si 
disse. 


Mentre  avea  il  Paladin  da  questa  banda 
Cosi  tenuti  i  barbari  impediti, 
Eran  senza  contrasto  quei  d'Irlanda 
Da  più  parte  ne  l'isola  saliti; 
E  spenta  ogni  pietà,  strage  nefanda 
Di  quel  popol  facean  per  tutti  i  liti: 
Eosse  giustizia,  o  fosse  crudeltade. 
Né  sesso  riguardavano  né  etade. 
53 

Nessun  ripar  fan  gl'isolani,  o  poco: 
Parte,  ch'accolti  son  troppo  improviso; 
Parte,  che  poca  gente  ha  il  picciol  loco, 
E  quella  poca  è  di  nessun  avviso. 
L'aver  fu  messo  a  sacco;  messo  foco 
Fu  ne  le  case:  il  popolo  fu  ucciso: 
Le  mura  fur  tutte  adeguate  al  suolo; 
Non  fu  lasciato  vivo  un  capo  solo. 
54 

Orlando,  come  gli  appartenga  nulla 
L'alto  rumor,  le  stride  e  la  ruina. 
Viene  a  colei  che  su  la  pietra  brulla 
Avea  da  divorar  1'  Orca  marina. 
Guarda,  e  gli  par  conoscer  la  fanciulla; 
E  più  gli  pare,  e  più  che  s'  avvicina: 
Gli  pare  Olimpia;  et  era  Ofimpia  certo, 
Che  di  sua  fede  ebbe  si  iniquo  merto. 
55 

Misera  Olimpia!  a  cui  dopo  lo  scorno 
Che  gli  fé' Amore,  anco  Fortuna  cruda 


52.  3.  quei  d' Irlanda.  Ricorda  ciò  che  è 
stato  detto  al  e.  ix,  11. 

53.  2.  Parte  che;  in  parte  perché.  Bembo, 
Prose,  III,  303:  «  Ponsi  nondimeno  comunal- 
mente parte  da'  poeti,  invece  di  dire  in 
parte  ».  —  che,  perché:  v.  e.  i,  27,  8.  —  ac- 
colti, colti.  V.  e.  I,  Q2,  n.  2. 

—  4.  di  nessun  avviso,  di  nessuna  avve- 
dutezza. Cosi  al  e.  XX,  119:  esser  pien  d'o- 
gni avviso.  Avviso  ha  spesso  il  significato 
di  accorgimento. 

—  8.  un  capo  solo,  una  sola  persona.  SI 
cita  questo  solo  esempio  dell'A. 

54.  1.  gli  appart.  nulla';  gli  app.  per  nulla. 
Nulla  ha  valore  di  avverbio  di  quantità. 
Sacchetti,  nov.  194:  «E'  par  vero  ciò,  che 
dice,  e  non  è  vero  nulla  ».  Senza  negativa 
precedente  l'usò  già  Dante,  Purg.,  16,  88, 
e  altri. 

—  5.  gli  par  con.,  gli  p.  di  con.  Omissio- 
ne della  prep.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

—  6.  pili...  e  pili  che;  quanto  più...  e  tanto 
più.  Avverti  che  il  popolo  Toscano  dice  in 
tre  modi:  più  che  gli  pare  e  più  che  s'  a.; 
più  che  gli  p.  e  più  s'  a.;  più  gli  pare  e 
più  che  s*  a.  Qui  l'A.  vuol  dire  che  Ori.  ha 
spinta  continua  ad  avvicinarsi,  dal  dubbio 
che  quella  sia  Ang.;  cosi  quanto  più  gli  pare 
tanto  più  corre  ansioso  verso  di  lei. 

—  8.  merto,  premio.  V.  e.  ii,  16,  n.  3. 


120 


ORLANDO  FURIOSO 


Mandò  i  corsari  (e  fu  il  niedesmo  giorno), 
Che  la  portare  all'  isola  d' Ebuda. 
Riconosce  ella  Orlando  nel  ritorno 
Che  fa  allo  scoglio:  ma  perch'ella  è  nnda, 
Tien  basso  il  capo;  e  nonchenon  gli  parli, 
Ma  gli  occhi  non  ardisce  al  viso  alzarli. 
56 

Orlando  domandò  ch'iniqua  sorte 
L' avesse  fatta  all'  isola  venire 
Di  là,  dove  lasciata  col  consorte 
Lieta  l'avea,  quanto  si  può  piiì  dire. 
Non  so  (disse  ella)  s"io  v'ho,  che  la  morte 
Voi  mi  schivaste,  grazie  a  riferire, 
O  da  dolermi  che  per  voi  non  sia 
Oggi  finita  la  miseria  mia. 
57 

Io  v'  ho  da  ringraziar  eh'  una  maniera 
Di  morir  mi  schivaste  troppo  enorme; 
Che  troppo  saria  enorme,  se  la  fera 
Nel  brutto  ventre  avesse  avuto  a  porme. 
Ma  già  non  vi  ringrazio  eh'  io  non  pera; 
Che  morte  sol  può  di  miseria  torme: 
Ben  vi  ringrazierò,  se  da  voi  darmi 
Quella  vedrò,  che  d'ogni  duol  può  trarmi. 
58 

Poi  con  gran  pianto  seguitò,  dicendo 
Come  lo  sposo  suo  l'avea  tradita; 
Che  la  lasciò  sull'isola  dormendo. 
Donde  ella  poi  fu  dai  corsar  rapita. 
E  mentre  ella  parlava,  rivolgendo 
S' andava  in  quella  guisa  che  scolpita 
O  dipinta  è  Diana  ne  la  fonte, 
Che  getta  l'acqua  ad  Atteone  in  fronte; 
59  [ventre, 

Che,  quanto  può,  nasconde  il  petto  e  '1 
Pili  liberal  dei  fianchi  e  de  le  rene,  [entre  ; 
Brama  Orlando  ch'in  porto  il  suo  legno 


55.  7.  non  che  non.  yon  che  è  formola 
abbreviata  per  non  occorre  dire  che,  non 
solo  non,  quindi  si  usa,  regolarmente,  sen- 
za il  non  seguente.  V.  Fornac.  Sint.  1,27,11. 

56.  6.  grazie  a  riferire.  V.  e.  vi.  Sì,  n.  1. 
—  mi  schivaste.  Schivare  una  cosa  a  uno, 
liberare  uno  da  una  cosa.  Cosi  anche  al  e. 
]X,  49;  XVI,  48,  8.  Per  questo  costrutto  si 
citano  soltanto  questi  luoglii  dell'A. 

58.  6.  in  quella  guisa.  Ovidio,  Met.  Ili, 
]Ss  seg.  dette  questa  immagine,  descriven- 
do Diana  vista  da  Atteone  :■«  In  latus  obli- 
quum  tameu  adstitit  oraqiie  retro  Flexit... 
hausit  aquas  vultumqne  virilem  Perfudit  ». 
K.  Q.  Visconti  nei  Monumenti  Borghesiani, 
p.  199,  dice  non  conoscersi  il  monumento, 
che,  visto  dall'A.  o  da  pittori  suoi  contem- 
poranei, gli  ha  suggerito  questa  compara- 
zione. Forse  è  andato,  con  tanti  altri,  per- 
duto. 

59.  2.  rene;  Il  popolo  Toscano  preferi  e 
preferisce  questa  forma  all'altra  reni,  che 
è  della  lingua  letteraria.   V.  e.  ix,  84,  n.  1. 


Che  lei  che  sciolta  avea  da  le  catene, 
Vorria  coprir  d'alcuna  veste.  Or  mentre 
Ch'a  questo  è  intento,  Oberto  sopraviene, 
Oberto  il  re  d'Ibernia,  ch'^avea  inteso 
Che  '1  inarin  mostro  era  sul  lito  steso; 
60 

E  che  nuotando  un  cavallier  era  ito 
A  porgli  in  gola  un'ancora  assai  grave; 
E  che  l'avea  cosi  tirato  al  lito, 
<.'ome  si  suol  tirar  contr'acqua  nave. 
Oberto,  per  veder  se  riferito 
Colui  da  chi  l'ha  inteso,  il  vero  gli  bave. 
Se  ne  vien  quivi;  e  la  sua  gente  intanto 
Arde  e  distrugge  Ebuda  in  ogni  canto. 
61 

Il  Re  d'Ibernia  ancor  che  fosse  Orlando 
Di  sangue  tinto,  e  d'acqua  molle  e  brutto. 
Brutto  del  sangue  che  si  trasse  quando 
Usci  de  l'Orca  in  ch'era  entrato  tutto; 
Pel  Conte  l'andò  pur  raffigurando: 
Tanto  più  che  ne  l'animo  avea  indutto. 
Tosto  che  del  valor  senti  la  nuova, 
Ch'altri  ch'Orlando  non  farla  tal  pruova. 
62 

Lo  couoscea,  perch'era  stato  Infante 
D'onore  in  Francia  e  se  n'era  partito 
Per  pigliar  la  corona,  l'anno  inante, 
Del  padre  suo  ch'era  di  vita  uscito. 
Tante  volte  veduto  e  tante  e  tante 
Gli  avea  parlato,  ch'era  in  infinito. 
Lo  corse  ad  abbracciare  e  a  fargli  festa. 
Trattasi  la  celata  ch'avea  in  testa. 
63 

Non  meno  Orlando  di  veder  contento' 
Si  mostrò  il  Re  che  '1  Re  di  veder  lui. 
Poiché  furo  a  iterar  1'  abbracciamento 
Una  o  due  volte  tornati  amendui, 
Narrò  ad  Oberto  Orlando  il  tradimento 


—  3.  il  suo  legno;  la  nave,  in  cui  avea 
fatto  il  viaggio,  e  che  avea  lasciato  al  largo, 
quando  scese  nel  palischermo.  Ivi  avrebbe 
trovato  non  vesti  femminili,  ma  alcuna 
veste. 

60.  G.  have,  ha.  Forma  poetica  già  co- 
mune in  Dante. 

61.  3.  si  trasse;  trasse  seco  sulla  person;» 
(ialle  ferite  dell'orca. 

—  6.  n.  l'a.  avea  ìnd,;  si  era  persuaso.  E 
r-spressioiie  lat.  Cic.  Sull.  30:  «in  animuiii 
inducam  ejus  vitara  defendere».  Si  cita  solo 
c|uesto  luogo  dell'A. 

62.  1.  Infante  d'on.  Si  dissero  cosi,  alla 
Francese,  i  giovanetti  nobili  tenuti  alla  cor- 
te per  compagnia  del  principe  durante  la 
sua  fanciullezza.  Si  cita  solam.  questo  luogo 
dell'A. 

—  6.  era  in  infinito;  erano  infinite.  Per 
il  verbo  slng.  v.  e.  ix,  82,  u.  8.  In  infinito 
è  espressione  avverbiale  con  valore  d'ag- 
gettivo. Si  cita  solo  l'A. 


CAXTO  XI 


127 


Che  fu  fatto  alla  giovane,  e  da  cui 
Fatto  le  fu,  dal  perfido  Bireuo, 
Che  via  d'ogualtro  lo  dovea  far  meno. 
64 
Le  prove  gli  narrò,  che  tante  volte 
Ella  d'amarlo  dimostrato  avea: 
Come  i  parenti  e  le  sustaiizie  tolte 
Le  furo,  e  al  fin  per  lui  morir  volea; 
il  eh'  esso  testimonio  era  di  molte, 
E  renderne  buon  conto  ne  potea. 
Mentre  parlava  i  begli  occhi  sereni 
De  la  donna  di  lagrime  erau  pieni. 
65 
Era  il  bel  viso  suo,  quale  esser  suole 
Da  primavera  alcuna  volta  il  cielo, 

j    Quando  la  pioggia  cade,  e  a  un  tempo  il 

-j    Si  sgombra  intorno  il  nubiloso  velo,    [sole 
E  come  il  rosignuol  dolci  carole 
Mena  nei  rami  allor  del  verde  stelo; 
Cosi  alle  belle  lagrime  le  piume 
Si. bagna  Amore,  e  gode  al  chiaro  lume, 
G6 
r    E  ne  la  face  de'  begli  occhi  accende 

Y  L'aurato  strale,  e  nel  ruscello  ammorza, 
Che  tra  vermigli  e  bianchi  fiori  scende: 
E  temprato  che  1'  ha,  tira  di  forza 
Contra  il  garzon,  che  né  scudo  difende, 
Né  maglia  doppia,  né  ferrigna  scorza; 
Che,  mentre  sta  a  mirar  gli  occhi  e  le  chio- 

nv  Si  sente  il  cor  ferito,  e  non  sa  come,  (me, 

't  67 

Le  bellezze  d'Olimpia  eran  di  quelle 
Che  son  più  rare:  e  non  la  fronte  sola. 
Gli  occhi  e  le  guance  e  le  chiome  avea  belle, 
La  bocca,  il  naso,  gli  omeri  e  la  gola; 
Ma  discendendo  giù  da  le  mammelle, 
Le  parti  che  solea  coprir  la  stola, 
Fur  di  tanta  eccellenzia,  ch'anteporse 
A  quante  n'avea  il  mondo  potean  forse. 


68 
Vinceano  di  candor  le  nievi  intatte, 
Et  eran  più  ch'avorio  a  toccar  molli: 
Le  poppe  ritondette  parean  latte 
Che  fuor  dei  giunchi  allora  allora  folli. 
Spazio  fra  lor  tal  discendea,  qual  fatte 
Esser  veggìàn  fra  piccolini  colli 
L'ombrose  valli,  in  sua  stagione  amene, 
Che  '1  verno  abbia  di  nieve  allora  piene. 

69 
I  rilevati  fianchi  e  le  belle  anche, 
E  netto  più  che  specchio  il  ventre  piano, 
Pareano  fatti,  e  quelle  coscie  bianche. 
Da  Fidia  a  torno,  o  da  più  dotta  mano. 
Di  quelle  parti  debbovi  dir  anche. 
Che  pur  celare  ella  bramava  in  vano? 
Dirò  in  somma  ch'in  lei  dal  capo  al  piede, 
Quant'  esser  può  beltà,  tutta  si  vede. 

70 
Se  fosse  stata  ne  le  valli  Idee 
Vista  dal  pastor  Frigio,  io  non  so  quanto 
Vener,  se  ben  vincea  quelle  altre  Dee, 
Portato  avesse  di  bellezza  il  vanto: 
Né  forse  ito  saria  ne  le  Amiclee 


63.  8.  Tia;  uniscilo  col  meno  che  vien 
dopo. 

64.  2.  dimostrato  av.,  avea  dato  come  di- 
mostrazione d'amarlo.  Riferiscilo  diretta- 
mente a  prove  e  intendi  :  gli  narrò  le  prove 
d'amarlo,  che  ella  avea  t.  v.  dim.  V.  e.  v, 
55,  n.  4. 

—  0.  r.  buon  conto;  farne  fede.  La  Cr.  non 
cita  questo  significato. 

65.  2.  Da  primavera.  Cosi  al  e.  xlvi,  79,  2, 
da  mezzo  giorno.  Sono  espressioni  foggiate 
dall'A.  sulle  più  comuni  da  'mattina,  da 
sera,  che  determinano  il  punto  del  tempo, 
nel  quale  avviene  checchessia. 

—  5.  carole,  canzoni.  Pclci,  Morg.  27, 
134:  «E  sentirai  cantar  nostre  carole». 

—  6.  stelo,  albero.  V.  e.  vin,  20,  7. 

66.  2.  ammorza;  sottint.  lo.  Il  ruscello  sono 
le  lacrime,  che  scendono  sulle  bianche  guan- 
ce rosate. 


68.  2.  molli,  liscie,  levigate.  È  citato  dal 
Gherardini  con  questo  solo  esempio. 

—  3.  latte  ecc.;  la  cosi  detta  giuncata. 

—  6.  vegglan.  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 

—  7.  in  sua  stag.  Stagione  significa  spesso 
tempo,  nel  quale  le  cose  sono  nella  loro 
perfezione;  qui  s'intende  la  primavera. 
L'A.  nella  Lena,  2,  3:  «Or  che  l'arrosto  è 
in  stagion,  vieni  andiamone  A  mangiar  ». 
—  sua,  loro. 

69.  4.  a  torno.  Gli  antichi  dissero  egual- 
mente fare,  lavorare  a  torno,  al  torno,  a, 
al  tornio.  Gli  antichi  scultori  facevan  tal- 
volta le  statue  d'avorio,  o  altra  simil  ma- 
teria, al  tornio.  Cosi  Fidia,  celebre  scultore 
greco  (500-436  a.  C.  circa),  fece  d'avorio  il 
suo  Giove  Olimpico. 

70.  2.  pastor  Frigio,  Paride.  Mandato  dal 
padre  Priamo,  fin  da  fanciullo,  sull'Ida,  e 
quivi  divenuto  pastore,  fu  cercato  per  ag- 
giudicare alla  più  bella  dea  il  pomo  gettato 
dalla  Discordia.  Lo  aggiudicò  a  Venere,  che 
lo  compensò  colPamore  di  Elena.  —  quanto, 
se.  In  questo  senso  non  par  citato  dai  vocab. 
sebbene  ancora  vivissimo:  per  es.  non  so 
quanto  ti  convenga. 

—  4.  p.  avesse;  più  regolarm.  avrebbe, 
perché  è  una  interrogazione  indiretta.  Vedi 
e.  XLVI,  42,   I. 

—  5.  Amiclee  e,  la  Laconia,  o  Sparta, 
donde  Paride  rapi  Elena.  Amicla,  sebbene 
piccola  città  della  Laconia,  era  celebre  per 
aver  dato  i  natali  a  Castore  e  Polluce  e  per 
altre  glorie.  Gli  antichi  usano  spessissimo 
Amicleo  per  Spartano.  Silio  Ital.  6,  504  chia- 
ma Amiclaens  rector  Santippe  Spartano. 


128 


ORLANDO  FURIOSO 


Contrade  esso  a  violar  T ospizio  santo; 
Ma  detto  avria:  Con  Menelao  ti  resta, 
tlena,  pur;  ch'altra  io  non  vo'che  questa. 
71 

E  se  fosse  costei  stata  a  Crotone, 
Quando  Zeusi  rimanine  far  volse, 
Che  por  dovea  nel  Tempio  di  Giunone, 
E  tante  belle  nude  insieme  accolse; 
E  che  per  una  farne  in  perfezione, 
Da  chi  una  parte  e  da  chi  un'altra  tolse; 
Non  avea  da  tórre  altra  che  costei; 
Che  tutte  le  bellezze  erano  in  lei. 
72 

Io  non  credo  che  mai  Bireno,  nudo 
Vedesse  quel  bel  corpo:  eh'  io  son  certo 
Che  stato  non  saria  mai  cosi  crudo. 
Che  l'avesse  lasciata  in  quel  deserto. 
Ch'Oberto  se  n'accende,  io  vi  concludo. 
Tanto  che  '1  fuoco  non  può  star  coperto. 
8i  studia  consolarla,  e  darle  speme 
Ch'uscirà  in  bene  il  mal  ch'ora  la  preme: 
73 

E  le  promette  andar  seco  in  Olanda; 
Né  fin  che  ne  lo  stato  la  rimetta, 
E  ch'abbia  fatto  giusta  e  memoranda 
'Di  quel  periuro  e  traditor  vendetta, 
Non  cessarà  con  ciò  che  possa  Irlanda, 
E  lo  farà  quanto  potrà  più  in  fretta. 
Cercare  intanto  in  quelle  case  e  in  queste 
Facea  di  gonne  e  di  feminee  veste. 
74 

Bisogno  non  sarà,  per  trovar  gonne, 
Ch'a  cercar  fuor  de  l'isola  si  mande; 
Ch'ogni  di  se  n'avea  da  quelle  donne. 
Che  de  l'avido  Mostro  eran  vivande. 


—  6.  santo,  per  le  leggi  sacre  e  inviolabili 
dell'ospitalità. 

71.  2.  Zeusi,  pittore  Greco  (420-380  a.  C. 
circa)  «  avendo  a  dipingere  Elena  nel  tem- 
pio dei  Crotoniati,  elesse  di  vedere  ignuda 
cinque  fanciulle  :  e  togliendo  quelle  parti 
dall'una,  che  mancavano  all'altra,  ridusse 
la  sua  Elena  a  tanta  perfezióne,  che  ancora 
ne  resta  viva  la  fama  ».  Dolce,  Dialogo 
della  pittura. 

—  5.  E  che;  Dipende  da  quando.  V.  c>iv, 
€0,  u.  5.  —  in  perfezione,  a  perfezione.  Modo 
non  citato  dai  vocab. 

73.  2.  Né...  non.  Questa  doppia  negaz.  è 
assai  frequente  nella  nostra  Ietterai.  V.  For- 
N'ACiARi,  Sint.  p.  385,  dove  cita  l'es.  del 
Leopardi:  «Né  tu  né  io  non  possiamo  in- 
tendere la  ragione  ». 

—  4.  periuro  latinismo  (pex'jurus)  raro 
anche  negli  antichi. 

—  5.  cessarà;  V.  e.  V,  42,  n.  1. 

74.  1.  sarà  ecc.  Nota  in  quest'  ottava  la 
solita  libertà  poetica  nella  corrispondenza 
dei  tempi  (V.  e.  i,  81,  n.  3)  :  il  sarà  del  primo 
V.  e  il  rorreè&e  dell'ultimo  richiederebbero 


Non  fé"  molto  cercar,  che  ritrovonne 
Di  varie  foggie  Oberto  copia  grande; 
E  fé'  vestir  Olimpia;  e  ben  gì' increbbe 
Non  la  poter  vestir  come  vorrebbe. 
75 

Ma  né  si  bella  seta  o  si  fin'oro 
Mai  Fiorentini  industri  tesser  fenuo; 
Né  chi  ricama,  fece  mai  lavoro. 
Postovi  tempo,  diligenzia  e  senno, 
(^he  potesse  a  costui  parer  decoro, 
Se  lo  fesse  Minerva,  o  il  Dio  di  Lenno, 
E  degno  di  coprir  si  belle  membre. 
Che  forza  è  ad  or  ad  or  se  ne  rimerabre. 
76 

Per  più  rispetti  il  Paladino  molto 
Si  dimostrò  di  questo  amor  contento: 
Ch'oltre  che '1  Re  non  lasciarebbe  asciolto 
Bireno  andar  di  tanto  tradimento. 
Sarebbe  anch'esso  per  tal  mezzo  tolto 
Di  grave  e  di  noioso  impedimento. 
Quivi  non  per  Olimpia,  ma  venuto 
Per  dar,  se  v'era,  alla  sua  donna  aiuto.' 
77 

Ch'ella  non  v'era  si  chiari  di  corto: 
Ma  già  non  si  chiari,  se  v'era  stata; 
Perché  ogn'uomo  ne  l'isola  era  morto. 
Né  un  sol  rimaso  di  si  gran  brigata. 
Il  di  seguente  si  partir  del  porto, 
E  tutti  insieme  andaro  in  una  armata. 
Con  loro  andò  in  Irlanda  il  Paladino; 
Che  fu  per  gire  in  Francia  il  suo  camino. 
78 

A  pena  un  giorno  si  fermò  in  Irlanda: 
Non  valser  preghi  a  far  che  più  vi  stesse. 
Amor  che  dietro  alla  sua  donna  il  manda, 
Di  fermarvisi  più  non  gli  concesse. 
Quindi  si  parte;  e  prima  raccomanda 
Olimpia  al  Re,  che  servi  le  promesse: 


una  descrizione  in  tempo  presente,  mentre 
avea,  fé,  iacrebbe  la  vorrebbero  nel  pas- 
sato. 

75.  2.  Fiorentini  ind.  L'arte  dei  setaiuoli 
e  dei  battiloro  fu  una  delle  glorie  antiche 
di  Firenze. 

—  5.  decoro;  (lat.  decorus)  decoroso.  Lo- 
renzo d.  M.  Coni.  117:  «  La  chiama  soavis- 
sima e  decora;  decora  per  gli  ornamenti  »- 

—  6.  Minerva  era  insigne  per  i  lavori 
donneschi.  —  Il  Dio  di  L.  è  Vulcano,  che  avea 
la  fucina  in  Lenno  (oggi  Stalimene).  Era 
fabbro  ingegnoso,  e  l'A.  lo  mise  insieme  cou 
Minerva  pensando,  forse,  alla  famosa  rete, 
con  cui  prese  Marte  e  Venere. 

76.  3.  asciolto,  assolto.  Forma  già  usata 
da  Dante,  Par.  27,  76. 

—  7.  venuto.  Riferiscilo  ad  esso  del  v.  5. 

77.  1.  di  corto,  poco  dopo.  V.  e.  i,  63,  n.  3. 

—  6.  in  una  a.  ;  in  una  sola  a. 

78.  6.  che  servi;  e  che  serbi.  Dipende  da 
raccoman'fa,  il  cui  soggetto  è  Orlando. 


CANTO  XI 


129 


Benché  non  bisognassi;  che  gli  attenne 
Molto  pili,  che  di  far  non  si  convenne. 
79 

Cosi  fra  pochi  di  gente  raccolse; 
E  fatto  lega  col  Re  d'Inghilterra 
E  con  l'altro  di  Scozia,  gli  ritolse 
Olanda,  e  in  Frisa  non  gli  lasciò  terra; 
Et  a  ribellione  anco  gli  volse 
La  sua  Selandia:  e  non  tìni  la  guerra, 
Che  gli  die  morte;  né  però  fu  tale 
La  pena,  ch'ai  delitto  andasse  eguale. 
80 

Olimpia  Oberto  si  pigliò  per  moglie, 
E  di  Contessa  la  fé'  gran  Regina. 
Ma  ritorniamo  al  Paladin  che  scioglie 
Nel  mar  le  vele,  e  notte  e  di  camina: 
Poi  nel  medesmo  porto  le  raccoglie. 
Donde  pria  le  spiegò  ne  la  marina: 
E  sul  suo  Brigliador  armato  salse, 
E  lasciò  dietro  i  venti  e  1'  onde  salsQ. 
81 

Credo  che  '1  resto  di  quel  verno  cose  ' 
Facesse  degne  di  tenerne  conto; 
Ma  fur  sin  a  quel  tempo  si  nascose. 
Che  non  è  colpa  mia,  s'or  non  le  conto; 
Perché  Orlando  a  far  l'opre  virtuose, 


—  8.  n.  s.  convenne,  n.  s.  era  concordato 
fra  loro. 

79. 1.  fra  pochi  di';  dopo  p.  d.  V.  e.  i,  27,  n.  1. 

—  2.  fatto,  fatta.  V.  e.  ix,  32,  u.  1. 

—  3.  gli;  a  Direno,  nominato  nella  st.  76. 
Il  si  convenne  avendo  richiamato  alla  men- 
te dell'A.  i  patti  delle  st.  73,  76,  richiama 
cosi  il  nome  di  Bireno,  al  quale  si  riferi- 
scono. E  il  Poeta  r  ha  presente  in  modo  che 
l'accenna  solo  con  un  pronome. 

—  7.  che,  finché.  V.  e.  xiii,  7,  n.  4. 

80.  5.  nel  med.  p.  a  S.  Malo.  V.  e.  ix,  15. 

—  7.  salse.  V.  e.  vi,  41,  n.  4. 

81.  3.  sino.  a.  q.  tempo;  perfino  in  quel 
tempo,  anche  allora. 


Pili  che  a  narrarle  poi,  sempre  era  pronto  : 

Né  mai  fu  alcun  de  li  suoi  fatti  espresso, 

Se  non  quando  ebbe  i  testimoni  appresso. 

82 

Passò  il  resto  del  verno  cosi  cheto. 
Che  di  lui  non  si  seppe  cosa  vera: 
Ma  poi  che  '1  sol  ne  l'animai  discreto 
Che  portò  Frisso,  illuminò  la  sfera, 
E  Zefiro  tornò  soave  e  lieto 
A  rimenar  la  dolce  primavera; 
D'Orlando  usciron  le  mirabii  prove 
Coi  vaghi  fiori  e  con  T  erbette  nove. 
83 

Di  piano  in  monte,  e  di  campagna  in 
Pien  di  travaglio  e  di  dolor  ne  già:  [lido, 
Quando  all'entrar  d'un  bosco,  un  lungo 
Un  alto  duol  Y  orecchie  gli  feria,  [grido. 
Spinge  il  cavallo,  e  piglia  il  brando  fido; 
E  donde  viene  il  suon  ratto  s'invia: 
Ma  differisco  un'altra  volta  a  dire 
Quel  che  segui,  se  mi  vorrete  udire. 


—  7.  espresso;  ciliare,  palese. 

82.  2.  e.  vera;  cosa  che  si  potesse  assicu- 
rare come  vera;  giacché  sul  conto  di  uomo 
si  famoso  si  saran  fatte,  non  vedendolo, 
mille  supposizioni. 

—  3.  animai  d.,  l'Ariete.  Il  sole  entra  in 
.\riete  nel  marzo,  quando  comincia  la  pri- 
mavera; è  detto  discreto  per  la  bella  sta- 
gione, che  porta.  Dice  la  favola  che  Frisso, 
(uggendo  colla  sorella  Elle,  passò  il  mare 
(Ellesponto)  su  un  ariete  dal  vello  d'oro,  che 
poi  formò  l'oggetto  della  spedizione  degli 
Argonauti. 

83.  4.  TJn  a.  dnol  ecc.,  alte  grida  di  do- 
lore. Dante,  /»r.S,  63:  «  Ma  nelle  orecchie 
rni  percosse  un  duolo  ». 

—  7.  diff...  a  dire;  indugio  a  d.  Più  co- 
mune è  la  struttura  differisco  di  dire.  Ma- 
CHiAV.  Leg.  com.2,  192:  «non  possano  dif- 
ferire a  giungere  ». 


CANTO  XII 


Cerere,  poi  che  da  la  Madre  Idea 
Tornando  in  fretta  alla  solinga  valle. 
Là  dove  calca  la  montagna  Etnea 


[  Al  fulminato  Encelado  le  spalle, 
I  La  figlia  non  trovò  dove  l'avea 
Lasciata  fuor  d'ogni  segnato  calle;       [ui 
Fatto  ch'ebbe  alle  guancie,  al  petto,  ai  cri- 


1.  1.  Cerere.  Dice  la  favola  che  Cerere 
tornando  dall'  Ida,  (monte  della  Troade,  do- 
ve era  stata  a  trovare  la  madre  Cibele)  alle 
valli  dell'  Etna  (sotto  il  quale  è  sepolto  il 
gigante  Encelado  fulminato  da  Giove)  non 
trovò  più  la  figlia  Proserpina  rapita  da  Plu- 
tone, e  si  dette  a  cercarla. 


—  5.  dove  l'avea  ecc.  Tutto  questo  luogo 
è  imitato  da  Claudiano,  De  raptu  Proserp. 
I,  13S,  seg.  «  raptusque  timens...  Commeu- 
dat  Siculis  furtim  sua  gaudia  terris,  Ingenio 
confisa  loci  ». 

—  6.  segnato  o.  V.  e.  XI,   15,  n.  6. 


Ariosto  —  Papisi 


130 


ORLANDO  FURIOSO 


E  agli  occhi  danno,  al  fin  svelse  duo  pini; 
2 

E  nel  fuoco  gli  accese  di  Vulcano, 
E  die  lor  non  potere  esser  mai  spenti  : 
E  portandosi  questi  uno  per  mano 
Sul  carro  che  tiravan  dui  serpenti, 
Cercò  le  selve,  i  campi,  il  monte,  il  piano, 
Le  valli,  i  tìumi,  li  stagni,  i  torrenti. 
La  terra  e '1  mare;  e  poi  che  tutto  il  mondo 
Cercò  di  sopra,  andò  al  tartareo  fondo. 
3 

SMn  poter  fosse  stato  Orlando  pare 
All'Eleusina  Dea,  come  in  disio, 
Non  avria,  per  Angelica  cercare. 
Lasciato  o  selva  o  campo  o  stagno  o  rio 
O  valle  0  monte  ò  piano  o  terra  o  mare. 
Il  cielo  e  '1  fondo  de  l'eterno  oblio  ; 
'Ma  poi  che  '1  carro  e  i  draghi  non  avea. 
La  già  cercando  al  meglio  che  potea. 
4 

-L'ha  cercata  per  Francia:  or  s'apparec- 
Per  Italia  cercarla  e  per  Lamagna,  [chia 
Per  la  nuova  Castiglia  e  per  la  vecchia, 
E  poi  passare  in  Libia  il  mar  di  Spagna. 
Mentre  pensa  cosi,  sente  all'orecchia 
Una  voce  venir,  che  par  che  piagna: 
Si  spinge  inanzi;  e  sopra  un  gran  destrie- 
Trottar  si  vede  inanzi  un  cavalliero,    [ro 


—  8.  duo  pini.  In  questa  immagine  l'A. 
non  segue  Claudiano,  clie  dice  due  cipressi, 
ma  Ovidio,  Mei.  v,  441  :  «  Illa  duabus  Flam- 
mifera  pinus  mauibus  succendit  ab  Etna  ». 

2. 2.  E  die  ecc.  Claudiano  iii,  3S8-90  :  «  Tura, 
ne  deficerent,  insopitosque  mauere  lussit 
et  arcano  perfudit  robora  succo  ».  —  Av- 
verti l'omissione  della  prep.  di  (non  poter 
ecc.).  V.  e.  I,  4,  n.  1. 

—  4.  dui.  V.  e.  I,  16,  2. 

—  8.  tartareo  f.  Il  Tartaro,  dove  eran  pu- 
niti i  malvagi,  era  differente  dall'  Inferno, 
dal  quale  distava  quanto  l'Inferno  dal  Cielo. 
Plutone  era  re  dell'Inferno;  ma  spesso,  an- 
che i  poeti  classici,  confusero  questo  col 
Tartaro. 

3.  2.  Eleusina  Dea.  In  Eleusi  (città  dell'At- 
tica, ora  Lepsina)  si  celebravano,  più  solen- 
ni che  altrove,  i  misteri  di  Cerere,  detti 
perciò  Eleusini. 

—  6.  il  fondo  d.  1»  e.  o.;  il  Tartaro,  o  l'In- 
ferno. Tutte  le  anime  erano  obbligate  a  bere 
del  fiume  Lete,  che  faceva  dimenticare  il 
passato. 

—  8.  al  meglio;  V.  e.  VI,  55,  n.  1. 

4.  1.  s'app...  cercarla;  s'app.  a  cere.  V. 
C.  I,  4,  1. 

—  4.  pass,  in  Libia  il  m.  È  una  brachilo- 
gia: passare,  jjer  andare  in  Libia,  il  m.  di 
Spagna.  Libia  si  chiamò  anticamente  tutta 
l'Affrica;  ma  poi  il  nome  si  restrinse  alla 
parte  occidentale  fra  l' Etiopia,  1'  oceano 
Etiopico,  r.A.tlantico  e  il  Mediterr. 


Che  porta  in  braccio  su  l'arcion  davante 
Per  forza  una  mestissima  donzella. 
Piange  ella,  e  si  dibatte,  e  fa  sembiante 
Di  gran  dolore;  et  in  soccorso  appella 
Il  valoroso  principe  d'Anglante, 
Che  come  mira  alla  giovane  bella. 
Gli  par  colei,  per  cui  la  notte  e  il  giorno 
Cercato  Francia  avea  dentro  e  d'intorno. 

6 
Non  dico  ch'ella  fosse,  ma  parca 
Angelica  gentil  ch'egli  tant'ama. 
Egli,  che  la  sua  Donna  e  la  sua  Dea 
Vede  portar  si  addolorata  e  grama, 
Spinto  da  l'ira  e  da  la  furia  rea. 
Con  voce  orrenda  il  cavallier  richiama: 
Richiama  il  cavalliero,  e  gli  minaccia, 
E  Brigliadoro  a  tutta  briglia  caccia. 

7 
Non  resta  quel  fellon,  né  gli  risponde, 
All'alta  preda,  al  gran  guadagno  intento^ 
E  si  ratto  ne  va  per  quelle  fronde. 
Che  saria  tardo  a  seguitarlo  il  vento. 
L'un  fugge,  e  l'altro  caccia;  e  le  profonde 
Selve  s'odon  sonar  d'alto  lamento. 
Correndo,  uscirò  in  un  gran  prato;  e  quella 
Avea  nel  mezzo  un  grande  e  ricco  ostello. 

8 
Di  vari  marmi  con  suttil  lavoro 
Edificato  era  il  palazzo  altiero. 


5.  5.  principe  d'Angl.  Orlando.  V.  i,  57, 
n.  1. 

—  6.  che  come  m...  gli  p.  Gli  antichi  col- 
locavano spesso  il  soggetto  della  proposiz. 
dipendente  o  gerundiva  prima  della  congiun- 
zione o  del  gerundio.  Bocc.  nov.  3:  «Il  Sa- 
ladino... avendo  speso  tutto  il  suo  tesoro... 
gli  venne  in  mente».  —  mira  alla;  m.  la. 
cavalca,  Pung.  51  :  «  Or  come  miri  a  quelli 
che  ti  disprezzauo  ?  ». 

—  8.  d'intorno;  nelle  regioni,  che  le  sono 
dintorno. 

6.  3.  Dea.  Cosi  il  Petr.  di  Laura;  Trionfi 
m.  I,  124:  "  o  vera  mortai  Dea». 

—  4.  grama  (a.  a.  t.  grarn,  crucciato  di 
malumore),  mesta. 

—  7.  gli  minaccia.  È  il  latino  minari  ali- 
eni. Più  comunem.  lo  -minaccia. 

7.  3.  per  q.  fr.  Ha  detto,  e.  xi,  83,  che 
andavan  per  un  bosco.  Per  vale  fra.  Fr. 
Giord.  pred.  ii,  13S  :  «  Entrarono  per  le  spade 
e  per  li  coltelli  ».  V.  e.  xiii,  55,  8. 

—  5.  caccia;  Si  può  sottintendere  il  ca- 
vallo; ma  si  può  anche  intendere  cerca, 
va  dietro,  come  in  Dante,  Conv.  iv,  25  : 
«  (l'uomo)  caccia  quello  che  è  da  cacciare... 
e  fugge  quello  che  è  da  fuggire  ». 

8.  2.  p.  altiero.  Di  questo  palazzo  l'A.  ha 
preso  l'ispiraz.  e  qualche  particolare  da! 
Boiardo;  specialmente  dal  giardino  di  Dra- 


CANTO  XII 


131 


Corse  dentro  alla  porta  messa  d'oro 
Con  la  donzella  in  braccio  il  cavalliero. 
Dopo  non  molto  giunse  Brigliadoro, 
Che  porta  Orlando  disdegnoso  e  fiero. 
Orlando,  come  è  dentro,  gli  occhi  gira; 
Né  più  il  guerrier  né  la  donzella  mira. 
9 

Subito  smonta,  e  fulminando  passa 
Dove  più  dentro  il  bel  tetto  s'alloggia. 
Corre  di  qua,  corre  di  là,  né  lassa 
Che  non  vegga  ogni  camera,  ogni  loggia; 
Poi  che  i  segreti  d'ogni  stanza  bassa 
Ha  cerco  in  van,  su  per  le  scale  poggia; 
E  non  men  perde  anco  a  cercar  di  sopra, 
Che  perdessi  di  sotto,  il  tempo  e  l'opra. 
10 

D'oro  e  di  seta  i  letti  ornati  vede: 
Nulla  di  muri  appar,  né  di  pareti; 
Che  quelle,  e  il  suolo  ove  si  mette  il  piede, 
Son  da  cortine  ascose  e  da  tapeti. 
Di  su  di  giù  va  il  conte  Orlando,  e  riede  ; 
Né  per  questo  può  far  gli  occhi  mai  lieti. 
Che  riveggiano  Angelica  o  quel  ladro. 
Che  n'ha  portato  il  bel  viso  leggiadro. 

11  [passo 

E  mentre  or  quinci  or  quindi  in  vano  il 
Movea,  pien  di  travaglio  e  di  pensieri, 


gontina;  I,  ix,  73.  —  altiero,  splendido,  mae- 
stoso. Tasso,  Ger.  19,  23:  «(il  tempio)  Di 
cedri  e  d'oro  e  di  be'  marmi  altero  ». 

—  3.  messa  d'oro;  adorna  d'oro.  Più  co- 
mun.  inessa  a  oro.  Doc.  per  l'arte  della 
Stor.  Senese,  ii,  183:  «  La  sopradetta  volte- 
rella  sia  messa  d'azzurro». 

—  8.  mira;  vede;  cosi  al  e.  xiv,81.  Si  cita, 
per  questo  sigiiif.,  solam.  l'A. 

9.  2.  Dove  pili  d.  ecc.;  Si  può  intendere 
in  più  modi:  dove  si  alloggia  dagli  abitn- 
tori,  cioè  nelle  stanze  più  interne  della  bella 
casa;  oppure:  dove,  più  internamente  la 
bella  casa  si  abita,  è  abitata  ;  linalmente  : 
dove,  più  internam.  la  bella  casa  si  orna 
di  logge.  È  preferibile  la  prima  interpretaz., 
perché  per  le  altre  due  si  dovrebbe  ammet- 
tere, senza  necessità,  un  uso  nuovo  e  strano 
del  verbo  alloggiare. 

—  3.  né  lassa  che  non  v.  ;  né  lascia  di 
guardare  ecc.  Sull'uso  di  questo  costrutto 
V.  e.  I,  38,  n.  G.  Vedere  per  guardare  v. 
e.  X,  49,  5. 

—  6.  cerco,  cercato;  V.  e.  i,  48,  n.  4. 

—  8.  perdessi.  V.  e.  Il,  40,  n.  8. 

10.  2.  muri...  pareti.  I  muri  sono  i  muri 
maestri,  le  pareti  sono  i  tramezzi,  che  di- 
vidono le  stanze. 

—  4.  ascose;  Dovrebbe  dire  ascosi,  rife- 
rendosi anche  a  suolo.  —  tapeti.  Forma  più 
vicina  al  gr.  tàpes,  da  cui  deriva.  Non  è 
registrata  dai  vocabolari. 

—  7.  Che;  sicché.  V.  e.  I,  57,  7. 


Ferraù,  Brandimarte  e  il  Re  Gradasso, 
Re  Sacripante,  et  altri  cavallieri 
Vi  ritrovò,  ch'andavano  alto  e  basso, 
Né  men  facean  di  lui  vani  sentieri; 
E  si  ramaricavan  del  malvagio, 
Invisibil  signor  di  quel  palagio. 

12 
Tutti  cercando  il  van,  tutti  gli  danno 
Colpa  di  furto  alcun  che  lor  fatt'abbia. 
Del  destrier  che  gli  ha  tolto  altri  è  in  af- 

[fanno; 
Ch'abbia  perduta  altri  la  donna,  arrabbia; 
Altri  d'altro  l'accusa:  e  cosi  stanno. 
Che  non  si  san  partir  di  quella  gabbia; 
E  vi  son  molti,  a  questo  inganno  presi, 
Stati  le  settimane  intiere  e  i  mesi. 

13 
Orlando,  pò*  che  quattro  volte  e  sei 
Tutto  cercato  !bbc  il  palazzo  strano. 
Disse  fra  sé:  <  ni  dimorar  potrei, 
Gittare  il  tempo  e  la  fatica  in  vano: 
E  potria  il  ladro  aver  tratta  costei 
Da  un'altra  uscita,  e  molto  esser  lontano. 
Con  tal  pensiero  usci  nel  verde  prato, 
Dal  qual  tutto  il  palazzo  era  aggirato. 

14 
Mentre  circonda  la  casa  silvestra, 
Tenendo  pur  a  terra  il  viso  chino. 
Per  veder  s'orma  appare,  o  da  man  destra 
O  da  sinistra,  di  nuovo  camino; 
Si  sente  richiamar  da  una  finestra: 


11.  3.  Ferraù;  ecc.  Nel  canto  i,  31,  lo  ve- 
diamo mettersi  alla  ricerca  d'Orlando;  in- 
vece capita,  ma  non  si  sa  come,  nelle  insi- 
die di  Atlante;  e  cosi  pure  non  sappiamo  co- 
me vi  capitino  Brandimarte,  messosi  in  trac- 
cia d'  Orlando  (e.  viir,  SS),  Gradasso  e  Sa- 
cripante, che  ne  erano  stati  un'altra  volta 
liberati  da  Bradam.  (iv,  40), 

—  ti.  sentieri,  viaggi,  cammino.  I  vocabol. 
uou  registrano  questo  significato.  Nel  c.iv, 
S,  l'A.  usò  viaggio  per  via.  V.  c.xiv,  91,  C; 
XV,  16,  »;  xxviii,  74,  5. 

12.  6.  Che;  poiché. 

—  8.  Stati;  Uniscilo  a  sono. 

13.  1.  quattro  v.  e  s.  Indica  un  numero 
indeterminato  di  volte.  Dante,  imitando 
Virgilio  (En.  1,  94;  terque  quaterque  beati) 
disse,  Purg.  7,  1  :  «  tre  e  quattro  volte  »  ; 
l'A.  imitò,  rinnovandola,  l'espressione  Dan- 
tesca. Cfr.  e.  XXIII,  111. 

—  8.  era  aggir.;  era  circondato.   G.   Vil- 
I,  5,   2  :   «  (l'.vdriatico)   aggirando  il 
d' Italia  ». 
1.  circonda,  gira.  V.  e.  x,  112,  n.  2,  — 

silvestra,  posta  in  una  selva.  K  signif.  non 
registrato  dai  vocab.  Non  si  può  intendere 
nel  signif.  più  comune,  perché  era  un  ma- 
gnifico palazzo. 

—  4.  nuovo,  recente. 


I,ANI, 

paese 
14. 


132 


ORLANDO  FURIOSO 


E  leva  gli  occhi;  e  quel  parlar  divino 
Gli  pare  udire,  e  par  che  miri  il  viso, 
Che  r  ha  da  quel  che  fu,  tanto  diviso. 
15 

Fargli  Angelica  udir,  che  supplicando 
E  piangendo  gli  dica:  Aita,  aita; 
La  mia  virginità  ti  raccomando 
Più  che  l'anima  mia,  più  che  la  vita. 
Dunque  in  presenzia  del  mio  caro  Orlando 
Da  questo  ladro  mi  sarà  rapita  ? 
Più  tosto  di  tua  man  dammi  la  morte, 
Che  venir  lasci  a  si  infelice  sorte. 
16 

Queste  parole  una  et  un'altra  volta 
Fanno  Orlando  tornar  per  ogni  stanza, 
Con  passione  e  con  fatica  molta. 
Ma  temperata  pur  d'alta  speranza. 
Talor  si  ferma,  et  una  voce  ascolta, 
Che  di  quella  d'Angelica  ha  sembianza 
(E  s'egli  è  da  una  parte,  suona  altronde), 
Che  chieggia  aiuto;  e  non  sa  trovar  donde. 

17  [quando 
Ma  tornando  a.Ruggier,  ch'io  lasciai 

Dissi  che  per  sentiero  ombroso  e  fosco 
Il  gigante  e  la  donna  seguitando, 
In  un  gran  prato  uscito  era  del  bosco; 
Io  dico  ch'arrivò  qui  dove  Orlando 
Dianzi  arrivò,  se  '1  loco  riconosco. 
Dentro  la  porta  il  gran  gigante  passa: 
Ruggier  gli  è  appresso,  e  di  seguir  non  las- 

18  [sa. 
Tosto  che  pon  dentro  alla  soglia  il  piede. 

Per  la  gran  corte  e  per  le  loggie  mira; 
Né  più  il  gigante  né  la  donna  vede, 
E  gli  occhi  indarno  or  quinci  or  quindi ag- 
Di  su  di  giù  va  molte  volte  e  riede;    [gira: 
Né  gli  succede  mai  quel  che  desira: 
Né  si  sa  immaginar  dove  sr  tosto 
Con  la  donna  il  fellon  si  sia  nascosto. 
19 
Poi  che  revisto  ha  quattro  volte  e  cinque 


—  7.  par  che  m.;  yli  par  di  mirare.  Per 
l'omissione  del  pron.  V.  e.  i,  21,  n.  7.  Per  il 
costrutto  V.  e.  I,  38,  n.  6. 

—  8.  diviso,  reso  diverso.  Espressione  si- 
mile a  quella  del  e.  v,  26,  1. 

15.  8.  lasci;  mi  lasci.  V.  e.  i,  38,  n.  6. 

16.  3.  fatica,  travaglio  d'animo,  secondo 
uno  dei  sensi  del  lat.  labor.  Petr.  I,  son.  35: 
«Porto  dell'aniorose  mie  fatiche». 

—  8.  donde,  d.  lo  chieda. 

17.  1.  Ma  torn.  ecc.  V.  e.  xi,  21.  Nota  che 
nei  primi  quattro  versi  ripete  pensieri,  e- 
spressioni  e  rime  usate  già  nei  con-ispon- 
denti  della  st.  succitata. 

18.  4.  aggira;  muove  in  giro. 

—  5.  Di  su  ecc.  Questo  verso  è  quasi  u- 
guale  al  v.  5  delia  st.  10. 

19.  1.  revisto,  rivisto.  È  forma  non  citata 
dai  vocabol.  —  quattro  t.  e  c;  V.  st.  13,  n.  I. 


Di  su  di  giù  camere  e  loggie  e  sale. 
Pur  di  nuovo  ritorna,  e  non  relinque 
Che  non  ne  cerchi  tin  sotto  le  scale. 
Con  speme  al  fin  che  sian  ne  le  propinque 
Selve,  si  parte;  ma  una  voce,  quale 
Richiamò  Orlando,  lui  chiamò  non  manco, 
E  nel  palazzo  il  fc'  ritornar  anco. 
20 

Una  voce  medesma,  una  persona 
Che  paruta  era  Angelica  ad  Orlando, 
Parve  a  Ruggier  la  donna  di  Dordona, 
Che  lo  tenea  di  sé  medesmo  in  bando. 
Se  con  Gradasso  o  con  alcun  ragiona 
Di  quei  ch'andavan  nel  palazzo  errando, 
A  tutti  par  che  quella  cosa  sia. 
Che  più  ciascun  per  sé  brama  e  desia. 
21 

Questo  era  un  nuovo  e  disusato  incanto 
Ch'avea  composto  Atlante  di  Carena, 
Perché  Ruggier  fosse  occupato  tanto 
In  quel  travaglio,  in  quella  dolce  pena. 
Che  '1  mal'  influsso  n'andasse  da  canto. 
L'influsso  ch'a  morir  giovene  il  mena. 
Dopo  il  Castel  d'acciar,  che  nulla  giova, 
E  dopo  Alcina,  Atlante  ancor  fa  prova. 
22 

Non  pur  costui,  ma  tutti  gli  altri  ancora, 
Che  di  valore  inFraucia  han  maggior  fama, 
Acciò  che  di  lor  man  Ruggier  non  mora. 
Condurre  Atlante  in  questo  incauto  trama. 
E  mentre  fa  lor  far  quivi  dimora. 
Perché  di  cibo  non  patischin  brama, 
Si  ben  fornito  avea  tutto  il  palagio. 
Che  donne  e  cavaliier  vi  stanno  ad  agio. 
23 

Ma  torniamo  ad  Angelica,  che  seco 

—  3.  relinqne  (lat.  relinquit)  ;  lascia;  la- 
tinismo già  usato  da  Dante,  Par.,  9,  42.  Lo 
stesso  si  dica  di  ìjropinque,  vicine  (lat.  pro- 
pi  uquus)  del  v.  5. 

—  4.  Che  non  ecc.  Costrutto  eguale  a  quel- 
lo del  V.  3,  st.  9. 

—  8.  anco,  ancora,  di  nuovo.  Dante,  Inr., 
31,  81:  «  Si  che  in  Inferno  mi  credea  tornar 
anche  ». 

20.  3.  1.  d.  di  Dordona;  Bradamante,  che 
aveva  il  suo  castello  sul  fiume  Dordogna, 
nella  Guienna. 

—  4.  d.  s.  m.  in  bando.  Espressione  poe- 
tica, che  ripete  il  concetto  della  st.  14,  v.  8. 
Petr.  I,  son.  48  :  «  Ch'  ancor  me  di  me 
stesso  tene  in  bando  ». 

21.  5.  il  mal*  infl.  V.  e.  xxxvi,  64  seg.  — 
and.  da  canto,  a.  d.  parte,  sparisse.  Berni, 
Inn.  I,  34:  «  La  vergogna  alla  fin  messe  da 
canto  ». 

22.  6.  patischin;  patiscan.  Forma  popola- 
re viva  ancora  nel  popolo  Toscano  e  fre- 
quente negli  scritti  antichi. 

23.  1.  torniamo  a.  A.  Riprende  il  racconto 
interrotto  al  e.  xi,  12. 


CANTO  XII 


133 


Avendo  quell'annel  mirabil  tanto, 
Ch'  in  bocca  a  veder  lei  fa  rocchio  cieco, 
Nel  dito  l'assicura  da  l' incanto  ; 
E  ritrovato  nel  montano  speco 
Cibo  avendo  e  cavalla  e  veste  e  quanto 
Le  fu  bisogno,  avea  fatto  disegno 
Di  ritornar  in  India  al  suo  bel  regno. 
24 

Orlando  volentieri  o  Sacripante 
Voluto  avrebbe  in  compagnia:  non  ch'ella 
Più  caro  avesse  l'un,  che  l'altro  amante; 
Anzi  di  par  fu  a  lor  disii  ribella: 
Ma  dovendo,  per  girsene  in  Levante, 
Passar  tante  città,  tante  castella, 
Di  compagnia  bisogno  avea  e  di  guida, 
Né  potea  aver  con  altri  la  più  fida. 
25 

Or  l'uno  or  l'altro  andò  molto  cercando, 
Prima  ch'indizio  ne  trovasse  o  spia, 
Quando  in  cittade,  e  quando  in  ville,  e 

[quando 
In  alti  boschi,  e  quando  in  altra  via. 
Fortuna  al  fin  là  dove  il  conte  Orlando, 
Ferraù  e  Sacripante  era,  la  invia. 
Con  Ruggier,  con  Gradasso  et  altri  molti 
Che  v'avea  Atlante  in  strano  intrico  av- 
26  [volti. 

Quivi  entra,che  veder  non  la  può  il  Mago, 
E  cerca  il  tutto,  ascosa  dal  suo  annello, 
E  trova  Orlando  e  Sacripante  vago 
Di  lei  cercare  in  van  per  quello  ostello. 
Vede  come  fingendo  la  sua  imago. 
Atlante  usa  gran  fraude  a  questo  e  a  quel- 
Chi  tor  debba  di  lor,  molto  rivolve      [lo. 
Nel  suo  pensier,  né  ben  se  ne  risolve. 
27 

Non  sa  stimar  chi  sia  per  lei  migliore, 
Il  conte  Orlando  o  il  Re  dei  fier  Circassi. 
Orlando  la  potrà  con  più  valore 
Meglio  salvar  nei  perigliosi  passi  ; 
31a  se  sua  guida  il  fa,  se  '1  fa  signore; 
Ch'ella  non  vede  come  poi  l'abbassi, 


Qnalunque  volta,  di  lui  sazia,  farlo 
Voglia  minore,  o  in  Francia  rimandarlo. 

28 
Ma  il  Circasso  depor,  quando  le  piaccia. 
Potrà,  se  ben  l'avesse  posto  in  cielo. 
Questa  sola  cagion  vuol  ch'ella  il  faccia 
Sua  scorta,  e  mostri  avergli  fede  e  zelo. 
L'annel  trasse  di  bocca,  e  di  sua  faccia 
Levò  dagli  occhi  a  Sacripante  il  velo. 
Credette  a  lui  sol  dimostrarsi,  e  avvenne 
Ch'Orlando  e  Ferraù  le  sopravenne. 

29 
Le  sopravenne  Ferraù  et  Orlando  ; 
Che  l'uno  e  l'altro  parimente  giva 
Di  su  di  giù,  dentro  e  di  fuor  cercando 
Del  gran  palazzo  lei  ch'era  lor  Diva. 
Corser  di  par  tutti  alla  donna,  quando 
Nessuno  incantamento  gli  impediva; 
Perché  l'annel  ch'ella  si  pose  in  mano, 
Fece  d'Atlante  ogni  disegno  vano. 

30  [sta 

L'usbergo  indosso  aveano  e  l'elmo  in  te- 
Diii  di  questi  guerrier,  dei  quali  io  canto; 
Né  notte  o  di,  dopo  ch'entraro  in  questa 
Stanza,  l'aveano  mai  messi  da  canto; 
Che  facile  a  portar,  come  la  vesta, 
Era  lor,  perché  in  uso  l'avean  tanto. 
Ferraù  il  terzo  era  anco  armato,  eccetto 
Che  non  avea  né  volea  avere  elmetto  ; 

31 
Fin  che  quel  non  avea,  che  '1  paladino 
Tolse  Orlando  al  frate!  del  Re  Troiano; 
Ch'allora  lo  giurò,  che  l'elmo  fino 


24.  4.  di  par,  del  pai-i.  Per  l'omissione 
dell'artic.  V.  e.  ii,  15,  8. 

25.  2.  spia;  notizia.  V.  e.  vii,  34,  n.  8. 

—  3.  cittade.  Dal  contesto  sembra  plura- 
le. L'A.  usò  molti  plui".  la  e  invece  che  in  i. 
V.  e.  IX,  84,  l;  X,  1,  1;  xi,  59,  2. 

—  8.  in  strano  intr.  L' intrigo  consisteva 
nel  farli  aggirare  sempre  li  dentro  con  con- 
tinue allucinazioni. 

26.  1.  che;  Si  può  intendere  perché  o  in 
modo  che. 

—  8.  s.  n.  risolve.  Gli  antichi  dissero 
ugualm.  risolversi  ad  una  cosa,  e  di  u.  e. 
Caro,  Lett.  2,  197:  «Lasciando  che  V.  s. 
medesima  se  ne  risolva  ».  E  Giambull.  St. 
d' Eur.  219;  «risolversi  di  ciò». 

27.  6.  Ch'ella;  perchè  e.  Dice  la  ragione 
del  V.  precedente. 


—  7.  farlo...  minore;  f.  inferiore;  in  relaz. 
al  signore  del  v.  5. 

28.  1.  depor.  Male  il  Xisiely  intende  ri- 
fiutare; corrisponde  al  porre  in  cielo. 

—  4.  zelo;  affetto.  Petr.  I,  Son.  130: 
«  Amor,  che  'nceude  il  cor  d'ardente  zelo  ». 
E  Dante,  Purg.  vm,  83. 

—  5.  e  di  s.  faccia  ecc.  Intendi:  levò  dagli 
occhi  di  Sacr.  il  velo,  che  gli  nascondeva  la 
sua  faccia.  L'oscurità  di  questo  luogo  viene 
dall'espress.  levare  il  velo  di  sua  faccia, 
che  potrebbe  anche  intendersi,  ma  non  qui, 
il  velo  che  copriva  la  faccia  d'Ang. 

29.  4.  Del  gran  p.  Uniscilo  a  di  fuor. 

—  5.  quando;  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3.  — 
di  par.  V.  St.  24,  4. 

30.  5.  Che  facile  ecc.;  perché  era  cosa 
facile  a  portarli,  come  ecc.  Quanto  all'inf. 
a  lìort.  V.  e.  Il,  17,  u.  6.  Quanto  alla  parti- 
cella pronominale  omessa  v.  e.  i,  21,  n.  7. 
Potrebbe  anche  prendersi  facile  per  il  plur. 
facili;  (V.  e.  IX,  jsl,  n.  1)  e  era  per  eran. 
(V.  e.  IX,  82,  n.  8).  Finalm.  l'espressione  po- 
trebbe anche  riferirsi  solo  ad  usbergo;  es- 
sendo questo  l'arme  principale,  che  domina 
nella  mente  del  Poeta. 

31.  2.  fratel  ecc.  Almonte. 


134 


ORLANDO  FURIOSO 


Cercò  de  TArgalia  nel  fiume  in  vano  : 
E  se  ben  quivi  Orlando  ebbe  vicino, 
Né  però  Ferraù  pose  in  lui  mano, 
Avvenne  che  conoscersi  tra  loro 
Non  si  poter,  mentre  là  dentro  foro. 
32 

Era  cosi  incantato  quello  albergo, 
Ch'insieme  riconoscer  non  poteansi. 
Né  notte  mai  né  di,  spada  né  usbergo 
Né  scudo  pur  dal  braccio  rimoveansi. 
I  lor  cavalli  con  la  sella  al  tergo. 
Pendendo  i  morsi  da  l'arcion,  pasceaiisi 
In  una  stanza  che,  presso  all'uscita. 
D'orzo  e  di  paglia  sempre  era  tornita. 
33 

Atlante  riparar  non  sa  né  puote, 
Ch'in  sella  non  rimontino  i  guerrieri 
Per  correr  dietro  alle  vermiglie  gote, 
All'auree  chiome  et  a'  begli  occhi  neri 
De  la  Donzella  eh'  in  fuga  percuote 
La  sua  giumenta,  perché  -•  olentieri 
Non  vede  li  tre  amanti  in  ;ompagnia. 
Che  forse  tolti  un  dopo  l'a  tro  avria. 
34 

E  poi  che  dilungati  dal  palagio 
Gli  ebbe  si,  che  temer  più  non  dovea 
Che  contra  lor  l'incantator  malvagio 
Potesse  oprar  la  sua  fallacia  rea; 
L'annel  che  le  schivò  più  d'un  disagio. 
Tra  le  rosate  labra  si  chiudea; 
Donde  lor  sparve  subito  dagli  occhi, 
E  gli  lasciò  come  insensati  e  sciocchi. 


—  5.  E  se  ben  ecc.  K  un  luogo  non  chiaro. 
Sembra  da  intendere:  E  sebbene  quivi  ebbe 
Or.  vie;  non  per  ciò  F.  pose  mano  in  lui; 
avvegna  che  non  si  poterono  conoscere. 
Né,  per  il  semplice  non,  non  è  frequente  e 
non  se  ne  citano  esempi  appropriati,  che 
pur  vi  sono.  Machiav.  A.  di  Guerra,  vii: 
«  e  conosciutili  (i  soldati)  sanza  paura  e  oi-- 
dinati,  né  mai  ne  farai  prova,  se  non  quando 
vedi  che  egli  ecc.  ».  Avvenne  che  per  ai- 
vegna  che,  forse  non  ha  esempì;  che  nes- 
sun grammatico  o  vocabolario  lo  cita;  ma 
non  è  la  sola  novità  linguistica  nel  Furioso; 
e  d'altra  parte  il  poter  del  v.  8  potè  facil- 
mente agire  su  una  parte  della  congiunzione 
e  far  cambiare  il  pres.  in  passato.  Si  po- 
trebbe anche  intendere  :  imperocchc  avven- 
ne che  conoscersi  ecc.,  sottintendendo  la 
congiunzione.  Ma  il  periodo  cosi  avrebbe 
una  durezza,  che  non  è  dello  stile  dell'A. 

33.  1.  non  sa  né  p.  ;  Non  solo  per  l'anello 
d'Ang.,  ma  anche  per  la  natura  dell' incan- 
to. Cfr.  St.  12,  6. 

—  5.  in  f.  percuote.  Brachilogia:  dandosi 
alla  fuga,  percuote. 

34.  5.  le  schivò  ;  la  liberò  da  ecc.  V.  e.  ix, 
49,  8. 

—  7.  Donde;  per  lo  che.   Dante,   Purg., 


35 

Come  che  fosse  il  suo  primier  disegno 
Di  voler  seco  Orlando  o  Sacripante, 
Ch'  a  ritornar  l'avessero  nel  regno 
Di  Galafron  ne  l'ultimo  Levante; 
Le  vennero  amendua  subito  a  sdegno, 
E  si  mutò  di  voglia  in  uno  instante: 
E  senza  pili  obligarsi  o  a  questo  o  a  quello, 
Pensò  bastar  per  amendua  il  suo  annello. 
36 

Volgon  pel  bosco  or  quinci  or  quindi  in 
Quelli  scherniti  la  stupida  faccia;  [fretta 
Come  il  cane  talor,  se  gli  e  intercetta 
O  lepre  o  volpe  a  cui  dava  la  caccia, 
Che  d' improvviso  in  qualche  tana  stretta 
O  in  folta  macchia  o  in  un  fosso  si  caccia. 
Di  lor  si  ride  Angelica  proterva. 
Che  non  è  vista,  e  i  lor  progressi  osserva. 
37 

Perraezzo  il  bosco  appar  sol  una  strada: 
Credono  i  cavallier  che  la  Donzella 
Inanzi  a  lor  per  quella  se  ne  vada; 
Che  non  se  ne  può  andar,  se  non  per  quella. 
Orlando  corre,  e  Ferraù  non  bada, 
Né  Sacripante  men  sprona  e  puntella. 
Angelica  la  briglia  più  ritiene, 
E  djetro  lor  con  minor  fretta  viene. 
38 

Giunti  che  fur,  correndo,  ove  i  sentieri 
A  perder  si  venian  ne  la  foresta; 
E  cominciar  per  l'erba  i  cavallieri 
A  riguardar  se  vi  trovavan  pesta; 
Ferraù  che  potea  fra  quanti  altieri 
Mai  fosser,  gir  con  la  corona  in  testa, 

9,  138:  «Come  tolto  le  fu  il  buono  Metello, 
donde  poi  rimase  macra  ». 

35.  5.  amendua;  V.  e.  i,  16,  n.  2. 

36.  3.  intercetta.  È  nel  suo  significato  ve- 
ro di  tolta,  sottratta  dal  caso. 

—  8.  progressi;  Alcuni  intendono  passi, 
citando  questo  esemp.;  ma  si  potrebbe  an- 
che intendere  nel  senso  ordinario  il  loro 
procedere,  il  loro  avanzarsi. 

37.  1.  Per  mezzo  il  b.  V.  e.  vi,  23,  n.  8. 

—  5.  non  bada;  non  sta  ad  aspettare.  Petr. 
Ili,  son.  6:  «Consolate  lei  dunque,  che  an- 
cor bada». 

—  6.  puntella  ;  frequentativo  di  puntare, 
liccar  la  punta,  pungere.  Petr.  I,  son.  196: 
«  Se  il  cor  tema  e  speranza  mi  puntella  ». 
Si  cita  anche  un  es.  della  Legg.  d.  b.  Umil. 
de'  C.  «  Essendo  ella  inquietata...  e  puntel- 
lata, acciò  che  ella  ritornasse  in  sé  ». 

38.  3.  E  com.  lutendi  :  Giunti  che  furo- 
tio...  e  (poiché)  cominciarono;  rilevando  il 
poiché  dal  precedente  costrutto  ;  modo  che 
si  usa  spesso  nella  nostra  lingua  e  troverai 
anche  nel  e.  xx,  17. 

—  6.  gir  con  1.  e.  i.  t.  È  bella  trasforma- 
zione del  modo  comune  riportare,  portar 

\  la  corona,  primeggiare. 


CANTO  XII 


135 


Si  volse  con  mal  viso  agli  altri  dui, 
E  gridò  lor:  Dove  venite  vui? 
39  > 

Tornate  a  dietro,  o  pigliate  altra  via, 
Se  non  volete  rimaner  qui  morti: 
Né  in  amar  né  in  seguir  la  donna  mia 
Si  creda  alcun,  che  compagnia  comporti. 
Disse  Orlando  al  Circasso  :  Che  potria 
Più  dir  costui,  s'ambi  ci  avesse  scorti 
Per  le  più  vili  e  timide  puttane, 
Che  da  conocchie  mai  traesser  lane? 
40 

Poi  volto  a  Ferrali,  disse:  Uora  bestiale, 
S'io  non  guardassi  che  senza  elmo  sei, 
Di  quel  c'hai  detto,  s'hai  ben  detto  o  male, 
Senz'altra  indugia  accorgerti  farei. 
Disse  il  Spagnuol:  Di  quel  eh'  a  me  non 
Perché  pigliarne  tu  cura  ti  dei?       [cale, 
Io  sol  contra  ambidui  per  far  son  buono 
Quel  che  detto  ho,  senza  elmo  come  sono. 
41 

Deh  (disse  Orlando  al  Re  di  Circassia) 
In  mio  servigio  a  costui  l'elmo  presta. 
Tanto  ch'io  gli  abbia  tratta  la  pazzia; 
Ch'altra  non  vidi  mai  simile  a  questa. 
Kispose  il  Re:  Chi  più  pazzo  sai'ia? 
Ma  se  ti  par  pur  la  domanda  onesta, 
Prestagli  il  tuo  ;  eh'  io  non  sai-ò  men  atto, 
Che  tu  sia  forse,  a  castigare  un  matto. 
42 

Soggiunse  Ferraù:  Sciocchi  voi,  quasi 
Che  se  mi  fosse  il  portar  elmo  a  grado, 
Voi  senza  non  ne  fosse  già  rimasi  ; 
(Jhe  tolti  i  vostri  avrei,  vostro  mal  grado. 
Ma  per  narrarvi  in  parte  li  miei  casi, 
Per  voto  cosi  senza  me  ne  vado, 


39.  6.  scorti;  presi,  reputati.  Pulci,  Morg. 
I,  33:  «Questo  poltron  per  chi  m'aveva 
scorto?  ».  La  rude  espressione  del  v.  seg.  è 
una  eredità  del  poema  cavali,  popolare,  in 
cui  i  cavalieri  s'insultano  spesso  grossola- 
namente. 

40.  3.  Di  quel  che  ecc.  Dipende  da  accor- 
ger; ma  questo  verbo  ha  già  sentito  l'azione 
della  prop.  se  hai  b.  detto  o  m. 

—  4.  indugia.  Cosi  nel  e.  xxii,  64,  6,  e  cosi 
altri  scrittori.  Berni,  Itin.  I,  21,  29:  «  E 
senza  indugia  un  altro  colpo  mena  ». 

41.  2.  In  m.  servigio;  E  anche  ia  servigio 
dissero  gli  antichi  per  in  grazia,  per  fa- 
vore. Firenzuola,  Trinuzia:  2,  6.  «Deh!  in 
servigio,  fermatevi  un  poco  ». 

—  5.  Chi  p.  pazzo  s.?  lui  o  io,  se  gli  pre- 
stassi l'elmo? 

—  8.  Che  tu  sia;  di  quanto  possa  esser  tu. 

42.  3.  fosse,  foste.  Cosi  avesse  nel  e.  xviii, 
129:  vedesse  n.  e.  xix,  32.  Anche  il  Bocc. 
n.  55:  «  crederebbe  che  voi  sapesse  rabici  ». 

—  6.  voto,  giuramento.  V.  e.  i,  30,  5.  In 
questo  senso  non  è  citato  dai  Voc. 


Et  anderò,  fin  eh'  io  non  ho  quel  fino 
Che  porta  in  capo  Orlando  paladino. 
43 

Dunque  (rispose  sorridendo  il  Conte) 
Ti  pensi  a  capo  nudo  esser  bastante 
Far  ad  Orlando  quel  che  in  Aspramonte 
Egli  già  fece  al  figlio  d'Agolante  ? 
Anzi  credo  io,  se  tei  vedessi  a  fronte, 
Ne  tremeresti  dal  capo  alle  piante; 
Non  che  volessi  l'elmo,  ma  daresti 
L'altre  arme  a  lui  di  patto,  che  tu  vesti. 
44 

Il  vantator  Spagnuol  disse:  Già  molte 
Fiate  e  molte  ho  cosi  Orlando  astretto, 
Che  facilmente  l'arme  gli  avrei  tolte. 
Quante  indosso  n'avea,  non  che  l'elmetto. 
E  s'io  noi  feci,  occorrono  alle  volte 
Peusier  che  prima  non  s'aveano  in  petto: 
Non  n'ebbi,  già  fu,  voglia;  or  l'aggio,  e  spe- 
Che  mi  potrà  succeder  di  leggiero.       [ro 
45 

Non  potè  aver  più  pazienzia  Orlando, 
E  gridò:  Mentitor,  brutto  Marrano, 
In  che  paese  ti  trovasti,  e  quando, 
A  poter  più  di  me  con  l'arme  in  mano? 
Quel  Paladin,  di  che  ti  vai  vantando, 
Son  io,  che  ti  pensavi  esser  lontano. 


43.  3.  Far;  a  far.  V.  e.  I,  4.  n.  1. 

—  4.  figlio  d'A.  Ahnoute. 

—  S.  di  patto,  di  bel  patto,  di  piano 
patto,  di  inatti,  son  tutte  espressioni,  che 
i  nostri  scrittori  usarono  per  sicuramente 

44.  1.  Il  T.  Spagnuol.  L'A.  mette  in  rilievo 
il  fare  un  pò  spavaldo  di  quella  nazione 
Infatti  Ferraù  si  vanta  di  ciò,  che  non  è 
vero.  Sebbene  nell'  Innam.  si  trovi  a  con- 
fronto con  Orlando,  non  gli  è  mai  superiore 

—  2.  astretto,  messo  alle  strette.  I  vocab 
non  citano  questo  significato. 

—  5.  occorrono,  vengono  in  mente.  Cos 
nel  e.  xxvii,  44,  7,  e  cosi  spesso  gli  antichi 

I  Bocc,  nov.  4:  «  Occox'segli  una  nuova  ma- 
lizia ». 

—  7.  già  fu;  in  altri  tempi.  Si  cita  solam 
questo  esemp   dell'A. 

—  8.  succeder,  riuscire  a  bene.  Sottint 
la  cosa.  V.  e.  ii,  22,  n.  6. 

45.  1.  potè  Si  aspetterebbe  un  passato,  e 
'  si  potrebbe  facilmente  supporre  un  errore 
'  di  stampa;  ma  si  avverta  che  l'A.  nella  ediz. 

del  1532  non  usa  accenti;  e  il  Morali  nel- 
l'accentare  o  no  questa  parola,  che  si  trova 

:  Di  volte  nel  Poema,  ha  seguito  la  Principe; 
la  quale  in  questo  luogo  legge  puote.  Per 

[  lo  scambio  dei  tempi.  V.  e.  i,  81,  n.  3. 

I        —  2.  Marrano.  V.  e.  I,  26,  n.  6. 

'  —  6.  Son  io.  Ferraù  non  lo  avea  ricono- 
sciuto, perché,  usciti  del  castello  d'Atl.,  i 
guerrieri  avevan  calato,  come  era  uso,  la 
visiera  ;  dentro  il  castello  non  avea  potuto 


136 


ORLANDO  FURIOSO 


Or  vedi  se  tu  puoi  l'elmo  levai-me, 

0  s'io  son  buon  per  torre  a  te  l'altre  arme. 

46 
Né  da  te  voglio  un  minimo  vantaggio. 
Cosi  dicendo,  l'elmo  si  disciolse, 
E  lo  suspese  a  un  ramusce)  di  faggio; 
E  quasi  a  un  tempo  Durindana  tolse. 
Ferraù  non  perde  di  ciò  il  coraggio: 
Trasse  la  spada,  e  in  atto  si  raccolse, 
Onde  con  essa  e  col  levato  scudo 
Potesse  ricoprirsi  il  capo  nudo. 

47 
Cosi  li  duo  guerrieri  incominciaro, 
Lor  cavalli  aggirando,  a  volteggiarsi; 
E  dove  l'arme  si  giungeano,  e  raro 
Era  più  il  ferro,  col  ferro  a  tentarsi. 
Non  era  in  tutto  '1  mondo  un  altro  paro 
Che  più  di  questo  avessi  ad  accoppiarsi  : 
Pari  eran  di  vigor,  pari  d'ardire; 
Né  l'un  né  l'altro  si  potea  ferire. 

48 
Ch'abbiate,  Signor  mio,  già  inteso  esti- 
Che  Ferraù  per  tutto  era  fatato,        [mo, 
Fuor  che  là  dove  l'alimento  primo 
Piglia  ilbambin,  nel  ventre  ancor  servato: 
E  fin  che  del  sepolcro  il  tetro  limo 
La  faccia  gli  coperse,  il  luogo  armato 
Usò  portar,  dove  era  il  dubbio,  sempre 
Di  sette  piastre  fatte  a  buone  tempre. 

49 
Era  ugualmente  il  principe  d'Auglante 
Tutto  fatato,  fuor  che  in  una  parte: 
Ferito  esser  potea  sotto  le  piante; 
Ma  le  guardò  con  ogni  studio  et  arte. 
Duro  era  il  resto  lor  più  che  diamante. 
Se  la  fama  dal  ver  non  si  diparte; 
E  l'uno  e  l'altro  andò  più  per  ornato. 
Che  per  bisogno,  alle  sue  imprese  armato. 


riconoscerlo  per  forza  d'incanto.  Inoltre  O. 
avea  mutate  insegae.  V.  e.  viii. 

46.  5.  di  ciò;  per  ciò.  Petr.  I,  canz,  17: 
«  et  ho  il  cor  più  freddo,  De  la  paura,  che 
gelata  neve  ».  E  cosi  spesso  gli  scrittori. 

47.  3.  si  ginng  ;  si  congiuugeauo,  nelle 
giunture,   dove  1'  armatura  è  più  leggera. 

—  6.  avessi  ad.  acc;  dovesse  acc;  meri- 
tasse di  acc.  Sulla  termin.  in  i  v.  e.  ii,  40, 
n.  8. 

48.  3.  dove  l'a.  p.;  all' ombilico.  Dante, 
Inf.  25,  85:  «E  quella  parte,  donde  prima 
è  preso  Nostro  alimento  ».  Per  questa  fata- 
gione  di  Ferraù  cfr.  Jnnam.  I,  ii,  7;  e  la 
Cronaca  del  Pseudo-Turpino,  cap.  18,  dove 
Ferraguto  dice:  «Per  nullum  locuni  vulne- 
rari possum  nisi  per  umbilicum  ». 

—  7.  dubbio;  pericolo.  Sono  anche  fre- 
quenti i  modi  essere,  porre,  mettere  iu 
dubbio,  in  pericolo. 

—  8.  a  b.  t.;  con  b.  t.  È  1'  a  modale  :  cosi 
pittura  a  olio,  andare  a  capo  basso. 


50 

S'incrudelisce  e  inaspra  la  battaglia, 
D'orrore  itf  vista  e  di  spavento  piena. 
Ferraù  quando  punge  e  quando  taglia, 
Né  mena  botta  che  non  vada  piena  : 
Ogni  colpo  d'Orlando  o  piastra  o  maglia 
E  schioda  e  rompe  et  apreeastracciome- 
Angelica  invisibil  lor  pon  mente,         [na. 
Sola  a  tanto  spettacolo  presente. 
51 

In  tanto  il  Re  di  Circassia,  stimando 
Che  poco  inanzi  Angelica  corresse. 
Poi  ch'attaccati  Ferraù  et  Orlando 
Vide  restar,  per  quella  via  si  messe, 
Che  si  credea  che  la  Donzella,  quando 
Da  lor  disparve,  seguitata  avesse: 
Si  che  a  quella  battaglia  la  figliuola 
Di  Galafron  fu  testimonia  sola. 
52 

Poi  che,  orribil  come  era  e  spaventosa. 
L'ebbe  da  parte  ella  mirata  alquanto, 
E  che  le  parve  assai  pericolosa. 
Cosi  da  l'un  come  da  Taltro  canto; 
Di  veder  novità  voluntarosa. 
Disegnò  l'elmo  tor  per  mirar  quanto 
Fariano  i  duo  guerrier,  vistosel  tolto; 
Ben  con  pensier  di  non  tenerlo  molto. 
53 

Ha  ben  di  darlo  al  Conte  intenzione  ; 
Ma  se  ne  vuole  in  prima  pigliar  gioco. 
L'elmo  dispicca,  e  in  grembio  se  lo  pone; 
E  sta  a  mirare  i  cavallieri  un  poco. 
Di  poi  si  parte,  e  non  fa  lor  sermone; 
E  lontana  era  un  pezzo  da  quel  loco. 
Prima  ch'alcun  di  lor  v'avesse  mente: 
Si  l'uno  e  l'altro  era  ne  l'ira  ardente. 
54 

Ma  Ferraù,  che  prima  v'ebbe  gli  occhi. 
Si  dispiccò  da  Orlando,  e  disse  a  lui  : 
Deh  come  n'ha  da  male  accorti  e  sciocchi 


50.  1.  inaspra;  inasprisce.  Gli  antichi  l'u- 
sarono anche  in  prosa. 

—  6.  a  straccio  m.  Il  Gherardini  dice  : 
«  ìnenare  a  straccio,  locuzione  ellittica,  il 
cui  pieno  è  menare  a  ridursi  in  straccio, 
stracciare  ».  Cita  solam.  questo  luogo.  Nel 
e.  I,  72,  si  ha  menare  a  fracasso,  fracas- 
sare. 

51.  8.  testimonia.  Femmin.  di  testimonio. 
Già  il  Bocc.  Nov.  78:  «Tu  ne  puoi...  esser 
verissima  testimonia  ». 

52.  5.  voluntarosa;  V.  e.  X,  38,  n.  6. 

53.  3.  grembio  (più  vicino  al  lat.  gremio) 
grembo.  È  vivo  ancora  nel  popolo  Toscano. 

—  5.  fa  1.  s.  ;  Espressione  foggiata  sulla 
più  comune  far  parola.  Dante,  Inf.  29,  70: 
«  Passo  passo  andavam  senza  sermone  ». 

—  7.  T'avesse  m.  (È  il  greco  echein  ton 
noun)  vi  ponesse  m.  Berni,  Inn.  i,  4,  18: 
«  Bisogna  che  gli  abbi  ani  molto  Ijen  mente  ». 


CANTO  XII 


137 


Trattati  il  cavallier  ch'era  con  nni  ! 
Che  premio  fia  ch'ai  vincitor  più  tocchi, 
tSe  '1  bell'elmo  involato  n'ha  costui? 
Eitrassi  Orlando,  e  gli  occhi  al  ramo  gira: 
Non  vede  l'elmo,  e  tutto  avvampa  d'ira. 

55 
E  nel  parer  di  Ferrati  concorse, 
Che  '1  cavallier,  che  dianzi  era  con  loro, 
Se  lo  portasse  ;  onde  la  briglia  torse, 
E  fé'  sentir  gli  sproni  a  Brigliadoro. 
Ferraù  che  del  campo  il  vide  torse, 
Gli  venne  dietro;  e  poi  che  giunti  foro. 
Dove  ne  l'erba  appar  Torma  novella, 
Ch'avea  fatto  il  Circasso  e  la  Donzella; 

56 
Prese  il  sentiero  alla  sinistra  il  Conte 
Verso  una  valle,  ove  il  Circasso  era  ito: 
Si  tenne  Ferraù  più  presso  al  monte. 
Dove  il  sentiero  Angelica  avea  trito. 
Angelica  in  quel  mezzo  ad  una  fonte 
Giunta  era,  ombrosa  e  di  giocondo  sito, 
Ch'ognun  che  passa,  alle  fresche  ombre  i  u- 
Né,  senza  ber,  mai  lascia  far  partita,  [vita, 

57 
Angelica  si  ferma  alle  chiare  onde. 
Non  pensando  ch'alcun  le  sopravegna; 
E  per  Io  sacro  annel  che  la  nasconde. 
Non  può  temer  che  caso  rio  le  avvegna. 
A  prima  giunta  in  su  l'erbose  sponde 
Del  rivo  l'elmo  a  un  ramuscel  consegna; 
Poi  cerca,  ove  nel  bosco  è  miglior  frasca. 
La  giumenta  legar,  perché  si  pasca. 

58 
Il  cavallier  di  Spagna,  che  venuto 
Era  per  l'orme,  alla  fontana  giunge. 
Non  r  ha  si  tosto  Angelica  veduto, 
Che  gli  dispare,  e  la  cavalla  punge. 
L'elmo  che  sopra  l'erba  era  caduto, 
Kitor  non  può;  che  troppo  resta  lunge. 
Come  il  Pagan  d'Angelica  s'accorse, 
Tosto  ver  lei  pien  di  letizia  corse. 

59 
Gli  sparve,  come  io  dico,  ella  davante. 
Come  fantasma  al  dipartir  del  sonno. 
Cercando  egli  la  va  per  quelle  piante. 
Né  i  miseri  occhi  più  veder  la  ponno. 


54.  7.  Ritrassi  ;  si  ritrà,  si  ritrae.  Tra  per 
trae  v.  e.  xi,  12,  n.  5. 

56.  4.  avea  trito,  avea  battuto  ;  (È  il  lat. 
terere  viam).  Nel  e.  xx,  101,  trito  è  usato 
come  agg.  ;  qui  è  particip.  del  verbo  trita- 
re. Dante,  Inf.  16,  40  :  <  L'altro  che  appres- 
so me  la  rena  trita. 

57.  3.  sacro  a.  Consacrato  cou  parole  e 
segni  magici.  V.  e.  ni,  22,  n.  2.  Innam.  I, 
I,  51  :  «  il  libro  consegrato  ». 

—  6.  consegna  ;    attacca.   In  questo  senso 
non  è  registrato  dai  Vocab. 
59.  3.  per,  fra.  V.  st.  7,  n.  3. 


Bestemmiando  Macone  e  Trivigante, 
E  di  sua  legge  ogni  maestro  e  donno, 
Ritornò  Ferraù  verso  la  fonte, 
U'  ne  l'erba  giacca  l'elmo  del  Conte. 
60 
Lo  riconobbe,  tosto  che  rairollo, 
j  Per  lettere  ch'avea  scritto  ne  l'orlo; 
I  Che  dicean  dove  Orlando  guadagnollo, 
j  E  come  e  quando,  et  a  chi  fé'  deporlo. 
Armossene  il  Pagano  il  capo  e  il  collo  ; 
Che  non  lasciò,  pel  duol  ch'avea,  di  torlo; 
Pel  duol  ch'avea  di  quella  che  gli  sparve, 
Come  sparir  soglion  notturne  larve. 
61 
Poi  ch'allacciato  s'hail  buon  elmo  in  te- 
Avviso  gli  è  che  a  contentarsi  a  pieno,  [sta. 
Sol  ritrovare  Angelica  gli  resta. 
Che  gli  appar  e  dispar  come  baleno. 
Per  lei  tutta  cercò  l'alta  foresta  : 
E  poi  ch'ogni  speranza  venne  meno 
Di  più  poterne  ritrovar  vestigi. 
Tornò  al  campo  Spagnuol  verso  Parigi  ; 
62 
Temperando  il  dolor  che  gli  ardea  il  pet- 
Di  non  aver  si  gran  disir  sfogato,        [to, 
Col  refrigerio  di  portar  l'elmetto 
Che  fu  d'Orlando,  come  avea  giurato. 
Dal  Conte,  poi  che  '1  certo  gli  fu  detto. 
Fu  lungamente  Ferraù  cercato. 
Né  fin  quel  di  dal  capo  gli  lo  sciolse, 
Che  fra  duo  ponti  la  vita  gli  tolse. 
63 
Angelica  invisibile  e  soletta 
Via  se  ne  va,  ma  con  turbata  fronte  ; 
Clie  de  l'elmo  le  duol,  che  troppa  fretta 
Le  avea  fatto  lasciar  presso  alla  fonte. 
Per  voler  far  quel  ch'a  me  far  non  spetta, 
(Tra  sé  dicea)  levato  ho  l'elmo  al  Cdnte  : 


,  —  5.  Trivigante  o  Trevagant  fu  creduto 
dagli  antichi  romanzieri  francesi  un  dio  dei 
Maomettani,  che  accoppiano  spesso  a  Mao- 
metto (Macone). 

—  6.  legge,  religione. 

60.  2.  Per  lettere  ecc.  Non  poteva  ricono- 
scerlo alle  soie  prime  apparenze,  perché, 
secondo  l'uso  dei  cavalieri.  Orlando  l'avrà 
tenuto  ordinariamente  coperto  col  cappuc- 
cio della  sopravveste.  V.  e.  vi,  13,  n.  3. 

61.  3.  ritr...  gli  resta;  gli  resta  t^a  ritrov. 
V.  e.  J,  4,  n.  1. 

62.  5.  poiché  '1  e.  ecc.;  da  chi  in  seguito 
vide  Ferraù  coll'elmo  d'Orlando.  Ma  di  ciò 
non  si  parla  più  nel  Furioso. 

—  7.  fin  quel  di';  fino  a  quel  di.  Dante, 
Par.  25,  S3:  «  ver  la  virtù  che  m^  seguette 
Infin  la  palma  »,  fino  alla  palma  del  mar- 
tirio. 

—  S.  fra  dno  ponti.  Nel  Morg.  xxiv,  16,  4 
e  nella  Spagna,  v,  si  legge  che  Ori.  uccise 
Ferraù  sopra  un  ponte,  non  fra  due  ponti. 


138 


ORLANDO  FURIOSO 


Questo,  pel  primo  merito,  è  assai  buouo 
Di  quanto  a  lui  pur  ubligata  sono. 
64 

Con  buona  intenzione  (e  sallo  Idio, 
Ben  che  diverso  e  tristo  effetto  segua) 
Io  levai  l'elmo:  e  solo  il  pensier  mio 
Fu  di  ridur  quella  battaglia  a  triegua; 
E  non,  che  per  mio  mezzo  il  suo  disio 
Questo  brutto  Spagnuol  oggi  consegua. 
Cosi  di  sé  s'andava  lamentando 
D'aver  de  l'elmo  suo  privato  Orlando. 
65 

Sdegnata  e  mal  contenta  la  via  prese, 
Che  le  parca  miglior,  verso  Oriente. 
Più  volte  ascosa  andò,  talor  palese, 
•Secondo  era  oportuno,  infra  la  gente. 
Dopo  molto  veder  molto  paese, 
< riunse  in  un  bosco,  dove  iniquamente 
Fra  duo  compagni  morti  un  giovinetto 
Trovò,  ch'era  ferito  in  mezzo  il  petto. 
66 

Ma  non  dirò  d'Angelica  or  più  inante  ; 
Che  molte  cose  ho  da  narrarvi  prima: 
2sé  sono  a  Ferraù  né  a  Sacripante, 
Sin  a  gran  pezzo,  per  donar  più  rima. 
Da  lor  mi  leva  il  Principe  d'Anglante, 
Che  di  sé  vuol  che  inanzi  agli  altri  esprima 
!Le  fatiche  e  gli  affanni  che  sostenne 
Nel  gran  disio,  di  che  a  fin  mai  non  venne. 
67 

Alla  prima  città  ch'egli  ritrova 
(Perché  d'andare  occulto  avea  gran  cura) 
Si  pone  in  capo  una  barbuta  nova, 
Senza  mirar  s'  ha  debil  tempra  o  dura. 
Sia  qual  si  vuol,  poco  gli  nuoce  o  giova: 
Si  ne  la  fatagion  si  rassicura. 


63.  7.  merito,  premio.  V.  e.  ii,  16,  u.  3. 

65.  5.  D.  molto  v.  L' infinito  ha  forza  di 
sostantivo  (quasi  dica  dopo  il  molto  v.)  ; 
perciò  vi  è  il  pres.,  non  il  pass,  (aver  visto), 
il  primo  'molto  si  riferisce  alla  varietà 
delle  cose  viste,  il  secondo  alla  durata  del 
viaggio. 

—  6.  iniquamente.  È  uno  degli  arditi  spo- 
stamenti, che  si  trovano  nel  Fur.  V.  e.  ii, 
'JS,  3;  V,  55,  4  ecc.  Riferiscilo  a  morti  o, 
più  efficacemente,  a  ferito. 

66.  4.  S.  a.  g.  pezzo;  per  un  gran  pezzo. 
È  modo  elegante  foggiato  sulle  espressioni 
di  tempo  determinato  sino  a  domani,  sino 
a  f^uesV alt r^ anno  ecc.  V.  e.  xli,  70,  s. 

—  6.  di  sé  ;  regolarm.  di  lui  perché  appar- 
tiene alla  propos.  die  (io)  esprima  le  fati- 
che (di  lui).    V.     FORNACIARI,     S.    p.    59,    19. 

Cosi  l'A.  nel  e.  xvii,  121,  5.  Dante,  Inf.  19, 
36:  «Da  lui  saprai  di  sé  e  de'  suoi  toi'ti  ». 

67.  3.  barbuta.  Era  un  elmo  volgare,  sen- 
za cimiero  né  fregio,  solo  fornito  d'una  cri- 
niera cadente,  donde  prese  il  nome.  Avea 
ventaglia  e  visiera;  ed  era  tutto  chiuso. 


Cosi  coperto,  seguita  l' inchiesta; 
Né  notte  o  giorno,  o  pioggia  o  sol  l'arresta. 
68 

Era  ne  l'ora  che  traea  i  cavalli 
Febo  del  mar,  con  rugiadoso  pelo, 
E  l'Aurora  di  fior  vermigli  e  gialli 
Venia  spargendo  d'ognintorno  il  cielo; 
E  lasciato  le  stelle  aveano  i  balli, 
E  per  partirsi  postosi  già  il  velo  ; 
Quando  appresso  aParigi  un  di  passando, 
Mostrò  di  sua  virtù  gran  segno  Orlando. 
69 

In  dua  squadre  incontrossi:  e  Mauilardo 
Ne  reggea  l'una,  il  Saracin  canuto, 
Re  di  Norizia,  già  fiero  e  gagliardo, 
Or  miglior  di  consiglio,  che  d'aiuto  : 
Guidava  l'altra  sotto  il  suo  stendardo 
Il  Re  di  Tremisen,  ch'era  tenuto 
Tra  gli  Africani  cavallier  perfetto  : 
Alzirdo  fu,  da  chi  '1  conobbe,  detto. 
70 

Questi  con  l'altro  esercito  Pagano 
Quella  invernata  avean  fatto  soggiorno, 
Chi  presso  alla  città,  chi  più  lontano. 
Tutti  alle  ville  o  alle  castella  intorno: 
Ch'avendo  speso  il  ReAgramanteinvano, 
Per  espugnar  Parigi,  più  d'un  giorno. 
Volse  tentar  l'assedio  finalmente; 
Poi  che  pigliar  non  lo  potea  altrimente. 
71 

E  per  far  questo  avea  gente  infinita; 
Che  oltre  a  quella  che  con  lui  giunt'era, 
E  quella  che  di  Spagna  avea  seguita 


—  7.  inchiesta;  ricerca.  V.  e.  ix,  7,  n.  6. 
68. 6.  E  per  p,  «Leggiadra  fantasia  poetica, 

che  alle  stelle  dona  il  gesto  di  vive  donne, 
le  quali,  quando  si  partono,  prima  si  co- 
prono il  capo  e  la  fronte  onestamente  con 
uu  velo  »  Fornari. 

—  8.  segno,  prova.  V.  e.  v,  34,  n.  2. 

69.  1.  dua  sq.  È  questo,  sopra  126,  il  solo 
luogo,  dove  è  usato  dua  con  un  nome  fem- 
minile (Cfr.  e.  i,  16,  n.  2).  Ora,  se  osser- 
viamo che  nelle  ediz.  preced.  si  aveva  iti 
molti  di  questi  luoghi  duo  e  dua,  che  \\\. 
cambiò  in  due,  sembrerà  probabile  che  qui 
sia  corsa  una  svista  o  un  errore  di  stampa. 
—  Manilardo.  É  già  dell'/nw.  II,  xvii,  25,  27, 
dove,  invece,  è  gagliardo  fra  gli  altri  e 
fior  di  Pagania.  —  Norizia.  Forse  la  Nigri- 
zia  (Sudan).  Della  Norizia  dice  il  Boiardo 
«  la  qual  di  là  da  Setta  (Ceuta)  è  mille  mi- 
glia ». 

—  6.  Il  re  di  T.  Inn.  Il,  17.  60:  «  Questo 
Alzirdo  era  re  di  Tremisóna».  Treinisenne, 
Tremecen,  o  Tremesen;  città  e  paese  del- 
l'Algeria. Qui  nome  d'un  antico  regno,  im- 
maginario, dell'Affrica. 

70.  7.  Volse  t.;  Sull'assedio  cfr.  e.  viri, 
69,  n.  1.  Sulla  forma  del  pass.  e.  v,  15,  n.  2. 


CANTO  XIT 


1^9 


Del  Re  Marsilio  la  real  bandiera, 
Molta  di  Francia  n'avea  al  soldo  unita; 
Che  da  Parigi  insino  alla  riviera 
D'Arli,  con  parte  di  Guascogna  (eccetto 
Alcune  rocche)  avea  tutto  suggetto. 
72 

Or  cominciando  i  trepidi  ruscelli 
A  sciorre  il  freddo  giaccio  in  tiepide  onde, 
E  i  prati  di  nuove  erbe,  e  gli  arbuscelii 
A  rivestirsi  di  tenera  froude; 
Kagunò  il  Ee  Agramante  tutti  quelli 
Che  seguian  le  fortune  sue  seconde. 
Per  farsi  rassegnar  l'armata  torma. 
Indi  alle  cose  sue  dar  miglior  forma. 
73 

A  questo  effetto  il  Re  di  Treraisenne 
Con  quel  de  la  Norizia  ne  venia, 
Per  là  giungere  a  tempo,  ove  si  tenne 
Poi  conto  d'ogni  squadra  o  buona  o  ria. 
Orlando  a  caso  ad  incontrar  si  venne 
(Come  io  v'ho  detto)  in  questa  compagnia, 
Cercando  pur  colei,  com'egli  era  uso. 
Che  nel  career  d'Amor  lo  tenea  chiuso. 
74 

Come  Alzirdo  appressar  vide  quel  Conte 
Che  di  valor  non  avea  pari  al  mondo. 
In  tal  sembiante,  in  si  superba  fronte, 
Che  '1  Dio  de  l'arme  a  lui  parca  secondo; 
Restò  stupito  alle  fattezze  conte, 
AI  fiero  sguardo,  al  viso  furibondo: 
E  lo  stimò  guerrier  d'alta  prodezza; 
Ma  ebbe  del  provar  troppa  vaghezza. 
75 

Era  giovane  Alzirdo  et  arrogante 
Per  molta  forza,  e  per  gran  cor  pregiato. 

71.  5.  al  s.  uDita.  I  vocabol.  non  registrano, 
l'espress.  unire  al  soldo,  che  è  affine  al- 
l'altra prendere  al  soldo  con  più  l' idea 
d'aggiungere  i  nuovi  soldati  alle  altre  mi- 
lìzie. 

—  6.  riviera  d'A.  ;  il  Rodano,  che  bagna 
Arias  (Arli).  Riviera  per  ftume.  V.  e.  i,  13; 
XIV,  104;  XLVi,  6. 

72.  1.  trepidi;  tremolanti.  Latinismo  ele- 
gante. OviD.  Met.  12,  178:  «trepida  unda  ». 
Per  questo  signif.  si  cita  soltanto  l'A. 

—  2.  giaccio.  V.  e.  I,  41,  u.  1.  1 

—  4.  fronde.  Non  di  rado  gli  antichi  usa- 
rono, anche  in  prosa,  froude  al  sing.  e 
frondt  al  plur. 

—  7.  farsi  rass.  ;  far  fare  dai  diversi  capi 
la  rassegna  dei  soldati  in  sua  presenza. 

74.  4.  il  dio  d.  l'a;  Marte.  | 

—  5.  conte;  Il  verso  è  improntato  su  quello  | 
del  Petr.,  I,  Son.,  29,  4:  «  RafHgurato  alle  ' 
fattezze  conte  ».  Qui  conte  vale  note,  ma  nel 
luogo  dell'A.  vale  insigni,  perché  apparisce 
dagli  ultimi  v.  della  st.  che  Alzirdo  non  co- 
nosceva O.  La  Crusca  non  cita  esempi  di 
questo  signif. 


Per  giostrar  spinse  il  suo  cavallo  inante: 
Meglio  per  lui,  se  fosse  in  schiera  stato; 
Che  ne  lo  scontro  il  Principe  d'Anglante 
Lo  te'  cader,  per  mezzo  il  cor  passato. 
Giva  in  fuga  il  destrier  di  timor  pieno; 
Clie  su  non  v'era  chi  reggesse  il  freno. 
76 

Levasi  un  grido  subito  et  orrendo 
Che  d'ogu'intorno  n'ha  l'aria  ripiena. 
Come  si  vede  il  giovene  cadendo 
Spicciar  il  sangue  di  si  larga  vena. 
La  turba  verso  il  Conte  vien  fremendo 
Disordinata,  e  tagli  e  punte  mena; 
Ma  quella  è  più,  che  con  pennuti  dardi 
Tempesta  il  fior  dei  cavallier  gagliardi. 
77 

Con  qual  rumor  la  setolosa  frotta 
Correr  da  monti  suole  o  da  campagne. 
Se  '1  lupo  uscito  di  nascosa  grotta, 
O  l'orso  sceso  alle  minor  montagne, 
Un  tener  porco  preso  abbia  talotta. 
Che  con  grugnito  e  gran  stridor  si  lagne; 
Con  tal  lo  stuol  barbarico  era  mosso 
Verso  il  Conte,  gridando:  Adesso,  adosso. 
78 

Lance,  saette  e  spade  ebbe  l'usbergo 
A  un  tempo  mille,  e  lo  scudo  altretante: 
Chi  gli  percuote  con  la  mazza  il  tergo; 
Chi  minaccia  da  lato,  e  chi  davante. 
Ma  q_uej,  ch'ai  timor  mai  non  diede  alber- 
Estima  la  vii  turba  e  Tarme  tante       |go, 
Quel  che  dentro  alla  mandra,  all'aer  cupo, 
11  numer  de  l'agnelle  estimi  il  lupo. 
79 

Nuda  avea  in  man  quella  fulminea  spa- 
Che  posti  ha  tanti  Saracini  a  morte:  [da, 
Dunque  chi  vuol  di  quanta  turba  cada 
Tenere  il  conto,  ha  impresa  dura  e  forte. 
Rossa  di  sangue  già  correa  la  strada, 
Capace  a  pena  a  tante  genti  morte; 


76.  4.  Spicciar  il  s.  Del  verbo  siHcciare 
come  transit.  att.,  nel  senso  di  versare,  non 
si  citano  esempì.  Ma  si  potrebbe  anche  la- 
sciargli il  suo  significato  e  intendere:  Come 
si  vede,  cadendo  il  giovane,  il  suo  sangue 
spicciar  fuori  delle  larghe  ferite  ecc.  V.  e. 
XIX,  16,  n.  6.  Le  virgole  fra  cui  sì  suol  chiu- 
dere cadendo  sono  un  arbitrio  degli  edito- 
ri :  perciò  io  le  ho  soppresse  punteggiando 
come  l'ediz.  del  1532.  Simile  espressione  as- 
soluta vedila  al  e.  xvii,  133,  7-S  e  xviii,  153, 
5-6;  e  XIX,  16,  ó,  e  speciahu. /uh.I,  ni,  6. 

—  6.  punte  ;  \^  e.  IX,  70,  3. 

—  7.  pennuti  d.  Penna  del  dardo  è  la 
parte  allargata,  dal  lato  della  cocca,  per 
equilibrare  il  dardo  stesso. 

78.  7.  all'aer  e;  I  lupi  escono  alla  preda 
quando  comincia  la  notte. 

79.  6.  Capace  a.  Più  comuneiu.  cavac:  di. 
Cosi  anche  al  e.  m,  48,  6. 


140 


ORLANDO  FURIOSO 


Perché  né  targa  né  cappel  difende 
La  fatai  Durindana  ove  discende; 
SO 

Né  vesta  piena  di  cotone,  o  tele 
Che  circondino  il  capo  in  mille  vólti. 
Non  pur  per  l'aria  gemiti  e  querele. 
Ma  volan  braccia  e  spalle  e  capi  sciolti. 
Pel  campo  errando  va  Morte  crudele 
In  molti,  varii,  e  tutti  orribil  volti; 
E  tra  sé  dice:  In  man  d'Orlando  vaici 
Durindana  per  cento  di  mie  falci. 
81 

Una  percossa  a  pena  l'altra  aspetta. 
Ben  tosto  cominciar  tutti  a  fuggire; 
E  quando  prima  ne  veniano  in  fretta, 
Perch'era  sol,  credeanselo  inghiottire. 
Non  è  chi  per  levarsi  de  la  stretta 
L'amico  aspetti,  e  cerchi  insieme  gire. 
Chi  fugge  a  piedi  in  qua,  chi  colà  sprona: 
Nessun  domanda  se  la  strada  è  buona. 
82 

Virtude  andava  intorno  con  lo  speglio 
Che  fa  veder  ne  l'anima  ogni  ruga: 
Nessun  vi  si  mirò,  se  non  un  veglio 
A  cui  il  sangue  l'età,  non  l'ardir,  scinga. 
Vide  costui  quanto  il  morir  sia  meglio, 


—  7.  targa;  Scudo  di  forma  lunga  e  an- 
golare. —  cappel,  cappello  di  ferro.  Join- 
ville  p.  80:  «jetai  un  gamboison  (un  im- 
bottito) en  mon  dos  et  un  chapel  de  ter  en 
ma  teste  ».  Era  copricapo  dei  fanti. 

7-8.  difende  la  f.  D.;  ripara  La  f.  D.  V. 
e.  IX,  34,  n.  6.  Ma  potrebbe  anche  supporsi 
una  di  quelle  inversioni,  che  si  trovano  cosi 
spesso  nel  N.  In  questo  caso  costruisci:  di- 
fende (fa  difesa),  ove  la  f.  D.  discende. 

80.  1.  vesta  ecc.;  imbottito  (fran.  gam- 
boisoìi)  Nelle  note  al  Malmantile  1,  35,  si 
dice:  «  un  imbottito  è  una  veste  a  foggia  di 
piccolo  giubbone  o  camiciuola  di  cotone  o 
d'altro  ripiena  e  littamente  trapunta,  la  qual 
serve  per  ordinario,  siccome  il  giaco,  a  di- 
fesa del  torace  ».  I  pedoni  generalm.  non 
avevano  altra  difesa  del  petto. 

—  2.  vòlti;  avvolgimenti.  Non  è  registr.  dai 
vocabol.  Accenna  al  turbante  dei  Saracini. 

—  6.  volti;  aspetti. 

—  7.  vaici.  Il  ci  è  pleonastico,  come  al  e. 
XVIII,  67,  5  e  altrove.  Non  è  raro  negli  an- 
tichi. Bocc,  Intr.  «  Naturai  ragione  è  di 
ciascuno,  che  ci  nasce  »,  cioè  che  nasce. 
Potrebbe  fors'anche  intendersi  vale  a  noi, 
a  me. 

82.  1.  Lo  specchio  della  virtù  è  la  co- 
scienza morale,  che  ci  fa  apprezzare  il  bene 
e  il  male.  Nessuno  ascoltò  la  voce  di  questa 
coscienza. 

—  4.  scinga;  asciuga.  Forma  popol.  ancor 
viva  in  Toscana. 


Che  con  suo  disonor  mettersi  in  fuga  : 
Dico  il  Re  di  Norizia;  onde  la  lancia 
Arrestò  contra  il  Paladin  di  Francia, 
83 

E  la  roppe  alla  penna  de  lo  scudo 
Del  fiero  Conte,  che  nulla  si  mosse. 
Egli,  ch'avea  alla  posta  il  brando  nudo. 
Re  Manilardo  al  trapassar  percosse. 
Fortuna  l'aiutò,  che  '1  ferro  crudo 
In  man  d'Orlando  al  venir  giti  voltosse.  . 
Tirare  i  colpi  a  filo  ognor  non  lece; 
Ma  pur  di  sella  stramazzar  lo  fece. 
84 

Stordito  de  l'arcion  quel  Re  stramazza: 
Non  si  rivolge  Orlando  a  rivederlo; 
Che  gli  altri  taglia, tronca,  fende,  ammaz- 
A  tutti  pare  in  su  le  spalle  averlo,      [za: 
Come  per  l'aria,  ove  han  si  larga  piazza, 
Fuggou  li  storni  da  l'audace  smerlo; 
Cosi  di  quella  squadra  ormai  disfatta 
Altri  cade,  altri  fugge,  altri  s'appiatta. 
85 

Non  cessò  pria  la  sanguinosa  spada, 
Che  fu  di  viva  gente  il  campo  voto. 
Orlando  è  in  dubbio  a  ripigliar  la  strada. 
Ben  che  gli  sia  tutto  il  paese  noto. 
0  da  man  destra  o  da  sinistra  vada, 
Il  pensier  da  l'andar  sempre  è  remoto  : 


—  8.  Arrestò;  mise  in  resta.  V.  e.  il,  50, 
n.  5. 

83.  1.  penna  d.  s.  ;  È  Torlo  superiore  dello 
scudo,  il  quale  era  di  legno  o  d'osso  e  aveva 
intorno  un'orlaturn  di  ferro  per  renderlo 
più  resistente.  Questa  a  volte  finiva  in  for- 
ma angolare,  per  difender  il  viso  senza  to- 
glier la  vista;  e  perciò  si  diceva  penna. 

—  3.  alla  posta;  in  pronto.  I  vocabol.  ci- 
tano tenere  in  posta,  t.  in  pronto,  con  un 
es.  del  Sannazzaro,  Are.  171  ;  ma  non  citano 
questo  modo. 

—  4.  al  trap.  Quando  Manil.,  nell' impeto 
della  corsa,  gli  passò  da  canto. 

—  7.  a  filo;  La  Cr.  intende  per  taglio;  e 
cita  questo  solo  luogo.  Ma  forse  è  da  inten- 
dere per  diritto,  dirittamente;  e  cosi  fu 
usato  altrove  dall'A.  xxxin,  101;  Cinque  C. 
I,  105,  e  da  molti  altri  scrittori. 

84.  6.  smerlo,  detto  anche  smeriglio  e 
smeriglione,  è  un  uccello  di  rapina:  «Soa 
quasi  falconcelli  piccoli  e  uccellasi  con  essi 
più  per  diletto,  che  per  utilità  ».  Crescenzi 
Tratt.  d'agric,  10,  13. 

85.  1.  pria  e.  fu.  Per  l'indie,  invece  del 
cong.  V.  e.  V,  26,  n.  7. 

—  3.  a  ripigliar  1.  s.  ;  nel  ripigliar  la  stra- 
da è  dubbioso,  non  procede  sicuro. 

—  6.  Il  p.  d.  1.  andar  ecc.  Il  pensiero  d'Or- 
lando, non  s'acqueta  alla  via  che  percorre 
(è  remoto,  è  lontp.no  da  essa)  ;  ma  vola  ad  al- 
tri luoghi  e  vie  ('uve  crede  che  Ang.  si  trovi. 


CANTO  XII 


141 


D'Angelica  cercar,  fuor  ch'ove  sia, 
Sempre  è  in  timore,  e  far  contraria  via. 
86 

Il  suo  camin  (di  lei  chiedendo  spesso) 
Or  per  li  campi  or  per  le  selve  tenne: 
E  si  come  era  uscito  di  sé  stesso. 
Usci  di  strada,  e  a  pie  d'un  monte  venne, 
Dove  la  notte  fuor  d'un  sasso  fesso 
Lontan  vide  un  splendor  batter  le  penne. 
Orlando  al  sasso  per  veder  s'accosta, 
Se  quivi  fosse  Angelica  reposta. 
87 

Come  nel  bosco  de  l'umil  ginepre, 
O  ne  la  stoppia  alla  campagna  aperta, 
Quando  si  cerca  la  paurosa  lepre 
Per  traversati  solchi  e  per  via  incerta, 
Si  va  ad  ogni  cespuglio,  ad  ogni  vepre. 
Se  per  ventura  vi  fosse  coperta: 
Cosi  cercava  Orlando  con  gran  pena 
La  donna  sua,  dove  speranza  il  mena. 
88 

Verso  quel  raggio  andando  in  fretta  il 
Giunse  ove  ne  la  selva  si  diffonde  [Conte, 
Da  l'angusto  spiraglio  di  quel  monte, 
Ch'una  capace  grotta  in  sé  nasconde; 
E  trova  inanzi  ne  la  prima  fronte 
Spine  e  virgulti,  come  mura  e  sponde, 
Per  celar  quei  che  ne  la  grotta  stanno, 
Da  chi  far  lor  cercasse  oltraggio  e  danno. 
89 

Di  giorno  ritrovata  non  sarebbe; 
Ma  la  facea  di  notte  il  lume  aperta. 
Orlando  pensa  ben  quel  ch'esser  debbe; 
Pur  vuol  saper  la  cosa  anco  più  certa. 
Poi  che  legato  fuor  Brigliadoro  ebbe, 
Tacito  viene  alla  grotta  coperta; 


86.  6.  batter  1.  p.  Traslato  ardito,  che 
vale  tremolare  secondo  il  Casella,  venire 
secondo  il  Tommaseo. 

87.  1.  bosco  de  l'n.  e.  Nota  il  Besibo,  Prose 
III,  25,  che  al  complem.  di  materia  si  mette 
l'artic,  quando  il  nome,  che  precede,  ha 
l'artic;  si  lascia  quando  il  nome,  che  pre- 
cede, non  lo  ha.  Ma  avverte  che  ai  suoi 
tempi  già  molti  peccavano  in  questa  regola. 
—  umile  (lat.  huniiUs,  da  humus,  terra) 
basso. 

—  6.  Se  p.  T.  Sottint.  per  vedere  se  ecc. 
Cosi  spesso  i  Latini.  Cesare,  B.  G-.  vi,  29. 
«  L.  Miuuccium  Basilum  praemittit  si  quid 
celeritate  itineris  prolìcere  possit  ». 

88.  5.  ne  1.  p.  fronte;  e  anche  a  prima 
fr.,  in  pr.  fronte,  usarono  gli  antichi  per 
a  prima  vista  (È  il  lat.  prima  fronte).  Qui 
vuol  dire  :  la  prima  cosa  che  si  presentò  ad 
Ori.  furono  ecc. 

—  6.  sponde;  spallette,  parapetti. 

89.  2.  aperta;  manifesta.  Dante,  Purg., 
6,  101  :  «  Giusto  giudici©  dalle  stelle  caggia 
Sopra  il  tuo  sangue  e  sia  nuovo  ed  aperto  ». 


E  fra  li  spessi  rami  ne  la  buca 
Entra,  senza  chiamar  chi  l'introduca. 

90 
Scende  la  tomba  molti  gradi  al  basso, 
Dove  la  viva  gente  sta  sepolta. 
Era  non  poco  spazioso  il  sasso 
Tagliato  a  punte  di  scarpelli  in  volta; 
Né  di  luce  diurna  in  tutto  casso. 
Ben  che  l'entrata  non  ne  dava  molta; 
Ma  ve  ne  venia  assai  da  una  finestra 
Che  sporgeain  un  pertugio  da  man  destra. 

91 
In  mezzo  la  spelonca,  appresso  a  un  foco. 
Era  una  donna  di  giocondo  viso. 
Quindici  anni  passar  dovea  di  poco. 
Quanto  fu  al  Conte,  al  primo  sguardo,  av- 
Et  era  bella  si,  che  facea  il  loco        [viso: 
Salvatico  parere  un  paradiso; 
Ben  ch'avea  gli  occhi  di  lacrime  pregni. 
Del  cor  dolente  manifesti  segni. 

92 
V'era  una  vecchia;  e  facean  gran  conte- 
Come  uso  feminil  spesso  esser  suole:  [se. 
Ma  come  il  Conte  ne  la  grotta  scese, 
Finiron  le  dispute  e  le  parole. 
Orlando  a  salutarle  fu  cortese. 
Come  con  donne  sempre  esser  si  vuole; 
Et  elle  si  levaro  immantinente, 
E  lui  risalutar  benignamente. 

93  [quanto, 

Gli  è  ver  che  si  smarrirò  in  faccia  al- 
Come  improviso  udiron  quella  voce, 
E  insieme  entrare  armato  tutto  quanto 
Vider  là  dentro  un  uom  tanto  feroce. 


90.  1.  Scende  ecc.;  la  tomba  scende  al 
basso  di  molti  gradini. 

—  5.  casso;  privo  (lat.  cassus,  vuoto). 
Petr.  Il,  Son.  26:  «Amor  della  sua  luce 
ignudo  e  casso  ».    • 

—  8.  sporgea  i.  u.  p.  Vuol  dire  che  nella 
parete  della  caverna  c'era  un  foro,  il  quale 
era  fatto  a  finestra  dalla  parte  interna,  ma 
dalla  parte  esterna  era  un  semplice  per- 
tugio. 

91.  1.  In  m.  la  s.  V.  e.  Vi,  23,  n.  8. 

—  4.  Quanto...  fu  a.;  per  quanto  giudicò. 
Quanto  invece  di  per  quanto  v.  e.  ii,  4.  4. 

92.  4.  dispute;  Poetico  per  dispute.  Per 
questa  avventura  l'A.  ha  tolto  alcuni  ele- 
menti dall'Asino  d'oro  di  Apuleio.  Nel  lib. 
IV  si  dice  di  una  grotta  abitata  da  ladroni, 
i  quah,  rapita  una  regia  fanciulla,  la  por- 
tano quivi  per  trarne  un  guadagno  e  la 
conseguano  ad  una  brutta  vecchia.  Questi 
cenni  sono  stati  genialmente  sviluppati  dal- 
l'Ariosto. Altri  elementi  ha  tolto  dal  Guiron 
le  Courtois,  pei  quali  vedi  e.  xiii,  12. 

93.  2.  improviso;  improvvisamente.  V.  e. 
I,  53,  n.  8. 

—  4.  feroce;  fiero.  V.  e.  I,  32,  n.  2. 


142 


ORLANDO  FURIOSO 


Orlando  domandò,  qiial  fosse  tanto 
Scortese,  ingiusto,  barbaro  et  atroce. 
Che  ne  la  grotta  tenesse  sepolto 
Un  si  gentile  et  amoroso  volto. 
94 
La  vergine  a  fatica  gli  rispose, 
Literrotta  da  fervidi  signiozzi, 

94.  2.  signiozzi;  singhiozzi.  È  forma  non 
registrata  dai  vocab. 


Che  dai  coralli  e  da  le  preziose 
Perle  uscir  fanno  i  dolci  accenti  mozzi. 
Le  lacrime  scendean  tra  gigli  e  rose, 
Là  dove  avvien  ch'alcuna  se  n' inghiozzi. 
Piacciavi  udir  ne  l'altro  Canto  il  resto. 
Signor;  che  tempo  è  omai  di  finir  questo. 


—  3.  coralli...  perle  ;  le  labbra   e  i  denti. 
~  6.  iughiozzi;  ingozzi.  Per  questa  forma 
si  cita  solamente  questo  luogo  delI'A. 


CANTO  XIII 


Ben  furo  avventurosi  i  cavallieri 
Ch'erano  a  quella  età,  che  nei  valloni, 
Ke  le  scure  spelonche  e  boschi  fieri. 
Tane  di  sei-pi,  d'orsi  e  di  leoni, 
Trovavan  quel  che  nei  palazzi  altieri 
A  pena  or  trovar  puon  giudici  buoni; 
Donne,  che  ne  la  lor  pili  fresca  etade 
Sien  degne  d'aver  titol  di  beltade. 
2 

Di  sopra  vi  narrai  che  ne  la  grotta 
Avea  trovato  Orlando  una  donzella, 
E  che  le  dimandò  eh'  ivi  condotta 
L'avesse:  or  seguitando,  dico  ch'ella. 
Poi  che  più  d'un  signiozzo  l'ha  interrotta, 
Con  dolce  e  suavissima  favella 
Al  Conte  fa  le  sue  sciagure  note, 
Con  quella  brevità  che  meglio  puote. 
3 

Ben  che  io  sia  certa  (dice),  o  cavalliero. 
Ch'io  porterò  del  mio  parlar  supplizio, 
Perché  a  colui  che  qui  m'ha  chiusa,  spero 
Che  costei  ne  darà  subito  indizio; 


1.  6.  pnon.  V.  e.  x,  tìl,  n.  6. 

—  8.  titol.  V.  e.  X,  3,  lì.  4.  «  Anche  Raf- 
faello, in  una  lettera  al  Castiglione,  dice 
che,  avendo  a  dipingere  la  Galatea,  si  ser- 
viva di  una  certa  idea  essendovi  carestia  di 
belle  donne.  Eppure  la  bellezza  non  doveva 
scarseggiare  in  un  secolo,  che  tanta  ne 
seppe  riflettere  nel  mondo  dell'arte,  spec- 
chio più  0  meno  fedele  della  realtà  «(Casella). 
Ma  qui  è  da  vedere  una  punta  di  scherzo 
mordace,  come  spesso  si  trova  nel  Fur. 

3.  3.  spero.  Sperare,  cosi  nella  nostra, 
come  nelle  lingue  greca  e  latina,  altro  non 
significa  in  origine  che  aspettare,  e  però 
comprende  tanto  lo  sperare  propriamente 
detto,  quanto  il  temere.  Bocc.  nov.  -43:  «Del 
quale  non  sapea  che  si  dovesse  sperare  al- 
tro che  male  »  e  vedi  ivi  la  nota  del  Forna- 
ciari,  ed.  cit. 


Pur  son  disposta  non  celarti  il  vero, 
E  vada  la  mia  vita  in  precipizio. 
E  ch'aspettar  poss'io  da  lui  più  gioia, 
Che  '1  si  disponga  un  di  voler  ch'io  muoia? 
4 

Isabella  sono  io,  che  figlia  fui 
Del  Re  mal  fortunato  di  Gallizia: 
Ben  dissi  fui;  ch'or  non  son  pili  di  lui, 
Ma  di  dolor,  d'affanno  e  di  mestizia: 
Colpa  d'Amor;  ch'io  non  saprei  di  cui 
Dolermi  più,  che  de  la  sua  nequizia; 
Che  dolcemente  nei  principii  applaude, 
E  tesse  di  nascosto  inganno  e  fraude. 
5 

Già  mi  vivea  di  mia  sorte  felice, 
Gentil,  giovane,  ricca,  onesta  e  beila: 
Vile  e  povera  or  sono,  or  infelice; 
E  s'altra  è  peggior  sorte,  io  sono  in  quel- 
Ma  voglio  sappi  la  prima  radice,  [la. 
Che  produsse  quel  mal  che  mi  flagella; 

—  5.  disposta...  cel.  Sottint.  la  prep.  a. 
V.  e.  I,  4,  n.  1. 

—  7.  che...  più  gioia;  qual  maggior  gioia. 
Di  che  per  quale,  interposta  qualche  parola 
fra  il  che  e  il  sostant,  si  cita  qualche  es. 
antico.  Omel.  S.  Greg.  V.  2.  «  che  dunque 
cosa  presente  ci  debba  dare  diletto  ».  Per 
pia  in  senso  di  maggiore  V.  Fornac.  Sint. 
p.  108.  Cfr.  e.  vili,  43,  S;   xxxi,  1,  1. 

—  8.  '1;  È  troncamento  di  elio,  egli  — 
si  disp.  voler,  sottint.  la  prep.  a. 

4.  2.  Del  Re  ecc.  Il  padre  d'Isabella,  Ma- 
ricoldo  re  di  Galizia,  fu  ucciso  da  Orlando 
(innani.  II,  xxin,  60);  ma  l'A.  immagina  che 
Is.  fuggisse  prima  della  sua  morte  e  perciò 
non  ne  sa  nulla.  —  mal  fortunato,  per  l'av- 
ventura della  figlia. 

—  4.  Ma  di  dolor  ecc.  Figlia  di  dolor,  d'af- 
fanno ecc.  è  modo  orientale  ben  appropia- 
to  a  donna  Saracina.  Cosi  la  Bibbia  ha  /llii 
iniquitatis,  sanguinum  ecc.  (Casella). 

—  7.  applaude;  si  mostra  favorevole. 


CANTO  XIII 


m; 


E  ben  ch'aiuto  poi  da  te  non  esca, 
Poco  non  mi  pari;\,  che  te  n'iucresca. 
•  (■) 

Mi9J)atre  te'  in  Baiona  alcune  giostre: 
Esser  Senno  ogginiai  dodici  mesi. 
Trasse  la  fama  ne  le  terre  nostre 
Cavallieri  a  giostrar  di  pili  paesi. 
Fra  gli  altri  (o  sia  ch'Amor  cosi  mi  mostre, 
O  che  virtù  pur  sé  stessa  palesi) 
Mi  parve  da  lodar  Zerbino  solo. 
Che  del  gran  Re  di  Scozia  era  figliuolo. 
7 

Il  qual  poi  che  far  prove  in  campo  vidi 
Miracolose  di  cavalleria, 
Fui  presa  del  suo  amore,  e  non  m'avvidi, 
Ch'  io  mi  conobbi  più  non  esser  mia. 
E  pur,  ben  che  '1  suo  amor  cosi  mi  guidi, 
Mi  giova  sempre  avere  in  fantasia  [do, 
Ch"io  non  misi  il  mio  core  in  luogo  immon- 
Ma  nel  più  degno  e  bel  ch'oggi  sia  al  mon- 
8  fdo. 

Zerbino  di  bellezza  e  di  valore 
Sopra  tutti  i  Signori  era  eminente. 
Mostromrai,  e  credo  mi  portasse  amore, 
E  che  di  me  non  fosse  meno  ardente. 
Non  ci  mancò  chi  del  commune  ardore 
Interprete  fra  noi  fosse  sovente. 
Poi  che  di  vista  ancor  fummo  disgiunti; 
Che  gli  animi  restar  sempre  congiunti: 
9 

Però  che  dato  fine  alla  gran  festa, 
Il  mio  Zerbino  in  Scozia  fé'  ritorno. 
Se  sai  che  cosa  è  amor,  ben  sai  che  mesta 
Restai,  di  lui  pensando  notte  e  giorno  : 


6.  1.  patre;  Latinismo  non  frequente  nep- 
pure negli  antichi.  —  Baiona,  piccola  città 
della  Galizia,  sull' Oceano  Atlant.,  che  con- 
serva ancora  vestigia  di  antica  grandezza. 

—  5.  Fra  gli  a.;  sopra  y.  a.  Bocc.  nov.  5: 
<  tra  gli  altri  suoi  figliuoli  n'aveva  uno,  il 
quale  di  bellezza  gli  altri  giovani  trapas- 
sava ». 

—  6.  0...  pur.  Cfr.  e.  V,  75,  n.  5;  vi,  4,  7. 

—  7.  Zerbino.  Forse  fu  nome  suggerito 
aU'A.  dal  Gerbino  del  Bocc.  nov.  34. 

7.  3.  non  m'avv.  ;  non  me  ne  avv.  V.  e.  il, 
52,  n.  3. 

—  4.  ch'io  m.  0.  C/te  dipendente  da  proj). 
negativa  vale  talvolta  fintantoché.  Pulci, 
Morg,  19,  49:  «  Non  si  fermaron  che  tuc- 
corno  il  fondo  ».  —  mia,  padrona  di  me. 

—  5.  cosi  m.  g.  ;  mi  conduca  a  tal  punto, 
a  tal  disgrazia. 

—  0.  avere  in  f.;  aver  presente  al  pensiero. 
N'ello  stesso  senso  e  costrutto  si  disse  anche 
aver  fantasia. 

8.  7.  ancor.  Intendi:  poiché  fummo  xm' al- 
tra volta  lontani  l'uno  dall'altro,  come  pri- 
ma di  conoscerci,  ma  questa  volta  lontani 
solo  di  vista. 


Et  era  certa  che  non  men  molesta 
Fiamma  intorno  il  suo  coriacea  soggiorno. 
Egli  non  fece  al  suo  disio  più  schermi, 
Se  non  che  cercò  via  di  seco  avermi. 
-'  10 

E  perché  vieta  la  diversa  fede 
(Essendo  egli  Cristiano,  io  Saracina) 
Ch'ai  mio  padre  per  mogìienoumichiede. 
Per  furto  indi  levarmi  si  destina. 
Fuor  de  la  ricca  mia  patria,  che  siede 
Tra  verdi  campi  allato  alla  marina. 
Aveva  un  bel  giardin  sopra  una  riva. 
Che  colli  intorno  e  tutto  il  mar  scopriva. 
11 

Gli  parve  il  luogo  a  fornir  ciò  disposto. 
Che  la  diversa  religion  ci  vieta; 
E  mi  fa  saper  l'ordine  che  posto 
Avea  di  far  la  nostra  vita  lieta. 
Appresso  a  Santa  Marta  avea  nascosto 
Con  gente  armata  una  galea  secreta, 
In  guardia  d'Odorico  di  Biscaglia, 
In  mare  e  in  terra  mastro  di  battaglia. 
12 

Né  potendo  in  persona  far  l'effetto, 
Perch'egli  allora  era  dal  padre  antico 
A  dar  soccorso  al  Re  di  Francia  astretto, 
Manderia  in  vece  sua  questo  Odorico, 
Che  fra  tutti  i  fedeli  amici  eletto 
S'avea  pel  più  fedele  e  pel  più  amico: 
E  bene  esser  dovea,  se  i  benefici 
Sempre  hanno  forza  d'acquistar  gli  amici. 


10.  1.  vieta...  che  non.  V.  e.  v,  53,  n.  1. 

—  3.  chiede.  È  cong.  invece  di  chieda. 
V.  per  il  costrutto  v,  53,  1  ;  xxii,  88.  Quanto 
alla  forma  del  cong.,  osserva  il  Xannucci, 
Au.  cr.  p.  284:  «  Tutte  e  tre  le  persone  sing. 
del  pres.  cong.  si  chiusero  da  pi-incipio  in 
e  ».  Ivi  troverai  gli  esempi  antichi,  molti 
per  la  prima,  pochissimi  per  le  altre  co- 
mugaz.  V.  e.  xLi,  3,  4. 

—  4.  si  destina,  destina.  Il  si  è  pleona- 
stico. Si  cita  questo  solo  luogo  deil'A.  In- 
nam.  Il,  vi,  2:  «  Che  di  passar  in  Francia, 
si  destina  ». 

—  7.  Aveva.  Potrebbe  significare  vi  era. 
L'A.  usò  spesso  avere  per  essere:  ma  qui  è 
prima  pers.,  il  che  apparisce  dall'ediz.  del 
1516,  che  ha  la  forma  avevo.  —  riva,  d'un 
iiume,  che  passava  li  presso.  V,  St.  13,  7. 

11.  3.  r  ordine  e.  p.  a.;  la  deliberazione, 
che  avea  preso.  Al  e.  v,  42,4,  vedemmo  or- 
dine fu  che,  fu  stabilito  che.  Son  maniere 
non  registrate  dai  vocabol.  Cfr.  e.  xxii,  79,  3. 

—  5.  S.  Marta.  Borgo  in  Galizia  a  Sciroc- 
co del  capo  Ortegal.  vi  è  una  baia  dello 
stesso  nome,  lunga  e  stretta,  opportunissi- 
ma  a  nasconder  navi. 

—  6.  secreta.  Fa  le  veci  di  avverbio. 

12.  7.  dovea.  È  detto  come  pensiero  di 
Zerbino,  cioè  Zerbino  pensava  che  doveva 


144 


ORLANDO  FURIOSO 


13 

Verria  costui  sopra  un  navilio  armato, 
Al  terminato  tempo  indi  a  levarmi. 
E  cosi  venne  il  giorno  disiato, 
Che  dentro  il  mio  giardin  lasciai  trovarmi. 
Odorico  la  notte,  accompagnato 
Di  gente  valorosa  all'acqua  e  all'armi, 
Smontò  adjin  fiume  alla  città  vicino, 
E  venne  cnetamente  al  mio  giardino. 
14 

Quindi  fui  tratta  alia  galea  spalmata, 
Prima  che  la  città  n'avesse  avvisi. 
De  la  famiglia  ignuda  e  disarmata 
Altri  fuggirò,  altri  restaro  uccisi. 
Parte  captiva  meco  fu  menata. 
Cosi  da  la  mia  terra  io  mi  divisi. 
Con  quanto  gaudio,  non  ti  potrei  dire. 
Sperando  in  breve  il  mio  Zerbin  fruire. 
15 

Voltati  sopra  Mongia  eramo  a  pena. 
Quando  ci  assalse  alla  sinistra  sponda 
Un  vento  che  turbò  l'aria  serena, 
E  turbò  il  mare,  e  al  ciel  gli  levò  l'onda. 
Salta  un  Maestro  ch'a  traverso  mena, 
E  cresce  ad  ora  ad  ora,  e  soprabonda; 
E  cresce  e  soprabonda  con  tal  forza, 
Che  vai  poco  alternar  poggia  con  orza. 


«sser  tale,  se  pure  i  benelìci  han  forza  d'ac. 
-gli  a. 

13.  1.  naTilio;  nave.  V.  e.  x,  44,  5. 

—  2.  terminato;  determinato,  stabilito. 
Pulci,  Morg.  i,  19:  «E  terminò  passare  in 
Pagania  ». 

—  6.  valor,  all'a.  e  a.  a.;  valoroso  in  ma- 
re e  in  terra.  Petr.  Il,  Son.  265:  «  Porto  '1 
cor  grave  e  gli  òcchi  umidi  e  bassi  Al  mondo 
(nel  mondo;  ».  Express,  simile  al  e.  xxxi,  77,5. 

14.  1.  galea  sp.  Spalmato  e  unto,  referiti 
a  nave,  significano  spalmata  di  pece;  tal- 
volta sono  semplici  epiteti  descrittivi,  ma 
tal  altra,  come  al  e.  iv,  51,  e  forse  qui,  in- 
dicano una  nave  in  buono  stato,  quindi  più 
veloce.  Petr.,  ii,  Son.  44:  «Né  per  tran- 
quillo mar  legni  spalmati  ». 

—  3.  famiglia  (lat.  familia,  servitù);  la 
servitù  addetta  ad  Isabella. 

—  8.  il  m.  Z.  frnire.  Fruire  (godere)  nei 
nostri  scrittori  è  più  spesso  costruito  col 
complem.  diretto  che  coli'  indir,  (fruire  di 
una  cosa). 

15.  1.  Mongia;  Borgo  in  Galizia  fra  il  capo 
Belem  e  il  capo  Coriana  (Bolza).  —  eramo. 
V.  e.  v,  59,  n.  1. 

—  5.  Salta;  si  leva  improvvisamente.  È 
parola  ancor  viva  parlando  di  vento  o  di 
tempesta,  v.  e.  xvii,  27,  3. 

—  8.  alternar  p.  e.  o.  A  chi,  passando  pel 
golfo  di  Guascogna,  costeggia  la  Francia,  il 
maestrale,  vento  di  uord-ovest,  è  contrario 
e  tende  a  spingerlo  indietro  e  sulla  costa 


16 

Non  giova  calar  vele,  e  l'arbor  sopra 
Corsia  legar,  né  minar  castella; 
Che  ci  veggiàn  mal  grado  portar  sopra 
Acuti  scogli,  appresso  alla  Rocella. 
Se  non  ci  aiuta  quel  che  sta  di  sopra, 
Ci  spinge  in  tèrra  la  crudel  procella. 
Il  vento  rio  ne  caccia  in  maggior  fretta, 
Che  d'arco  mai  non  si  avventò  saetta. 
17  ' 

Vide  il  periglio  il  Biscaglino,  e  a  quello 
Usò  un  rimedio  che  fallir  suol  spesso: 
Ebbe  ricorso  subito  al  battello; 
Calessi,  e  me  calar  fece  con  esso. 
Sceserduialtri,euescendea  un  drappello, 
Se  i  primi  scesi  l'avesser  concesso; 
Ma  con  le  spade  li  tenner  discosto. 
Tagliar  la  fune,  e  ci  allargammo  tosto. 
18 

Fummo  gittati  a  salvamento  al  lite 
Noi  che  nel  palischermo  eramo  scesi; 
Periron  gli  altri  col  legno  sdrucito: 
In  preda  al  mare  andar  tutti  gli  arnesi. 
All'eterna  Boutade,  all'  infinito 
Amor,  rendendo  grazie,  le  man  stesi, 
Che  non  m'avessi  dal  furor  marino 
Lasciato  tor  di  riveder  Zerbino. 


a  traverso  niena);  quindi  per  potere  in 
qualche  modo  andare  avanti  occorre  bor- 
deggiare, cioè  ora  prendere  il  vento  da  una 
parte  ora  dall'altra  avanzando  a  zig-zag. 
Per  l'espressione  cfr.  e.  xix,  63,  n.  3. 

16.  2.  Corsia.  .Negli  antichi  bastimenti  da 
remo  era  un  passaggio  stretto  e  lungo,  ri- 
levato circa  un  metro  sopra  la  coperta  : 
andava  da  poppa  a  prua  per  metterle  in 
comunicazione.  —  Legar  l'a.  s.  e.  Forse  vuol 
dire:  assicurare  l'albero  legandolo  con  funi, 
che  si  fermano  alle  traverse  della  corsia, 
affinché  il  vento  non  lo  fiacchi.  V.  e.  xvin, 
143,  6-7.  —  castella.  Le  grosse  navi  avevano 
un  castello  in  poppa,  detto  comunem.  cas- 
sero, e  uno  talvolta  in  prua.  Erano  impal- 
cature rilevate  per  coprire  di  sotto  allog- 
giamenti e  sale  e  per  aver  di  sopra  la  piazza 
alta  di  scoperta  e  di  combattimento.  Si  di- 
sfacevano in  caso  di  forte  burrasca  per  al- 
leggerire il  legno. 

—  3.  veggiàn.  V.  e.  IX,  43,  n.  S.  —  malgra- 
do. V.  e.  I,  59,  n.  4. 

—  4.  Rocella;  Rochelle,  città  e  porto  di 
mare  francese  nella  Charente  infer. 

17.  8.  ci  allargammo.  Allargarsi  nel  senso 
marinaresco  di  prendere  il  largo  è  usate) 
per  lo  più  col  complem.  iu  mare,  o  simili 
(cfr.  e.  XVIII,  141). 

18.  4.  arnesi;  gli  attrezzi  della  nave.  Non 
è  citato  in  questo  senso. 

—  6.  le  m.  st.  La  prop.  princip.è  inserita 
nella  dipendente.  V.  e.  xi,  27,  5. 


CANTO  XIII 


145 


19 
Come  ch'io  avessi  sopra  il  legno  e  vesti 
Lasciato  e  gioie  e  l'altre  cose  care. 
Pur  che  la  speme  di  Zerbin  mi  resti, 
Contenta  son  che  s'abbi  il  resto  il  mare. 
Non  sono,  ove  scendemo,  i  liti  pesti 
D'alcun  sentier,né  intorno  albergo  appare, 
Ma  solo  il  monte,  al  qual  mai  sempre  fiede 
L'ombroso  capo  il  vento,  e  '1  mare  il  piede. 

20 
Quivi  il  crudo  tiranno  Amor,  che  sem- 
D'ogni  promessa  sua  fu  disleale,         [pre 
E  sempre  guarda  come  iiivolva  e  stempre 
Ogni  nostro  disegno  razionale. 
Mutò  con  triste  e  disoneste  tempre 
Mio  conforto  in  dolor, mio  bene  in  male; 
Che  quell'amico  in  chi  Zerbin  si  crede, 
Di  desire  arse,  et  agghiacciò  di  fede. 

21 
0  che  m'avesse  in  mar  bramata  ancora. 
Né  fosse  stato  a  dimostrarlo  ardito; 
O  cominciassi  il  desiderio  allora. 
Che  l'agio  v'ebbe  dal  solingo  lito; 
Disegnò  quivi  senza  più  dimora 
Condurre  a  fin  l'ingordo  suo  appetito, 
Ma  prima  da  sé  torre  un  de  li  dui 
Che  nel  battei  campati  eran  con  cui. 

22  [to, 

Quell'era  uomo  di  Scozia,  Almonio  det- 
Che  mostrava  a  Zerbin  portar  gran  fede; 
E  commendato  per  guerrier  perfetto 
Da  lui  fu,  quando  ad  Odorico  il  diede. 
Disse  a  costui  che  biasmo  era  e  difetto, 
Se  mi  traeano  alla  Rocella  a  piede  ; 
E  lo  pregò  ch'inanti  volesse  ire 
A  farmi  incontra  alcun  rouzin  venire. 

23 
Almonio,  che  di  ciò  nulla  temea. 
Immantinente  inanzi  il  camin  piglia 
Alla  città  che  '1  bosco  ci  ascondea, 
E  non  era  lontano  oltra  sei  miglia. 
Odorico  scoprir  sua  voglia  rea 
All'altro  finalmente  si  consiglia; 
Si  perché  tor  non  se  lo  sa  d'appresso. 
Si  perchè  avea  gran  confidenza  in  esso. 


19.  4.  abbi.  V.  e.  v,  87,  n.  2. 

—  5.  scendemo.  V.  e.  vi,  37,  7. 

20.  2.  disleale  ;  violatore.  Cosi  la  Crusca, 
che  cita  questo  solo  luogo.  Ma  è  piuttosto 
da  intendere  di  ogni  promessa,  come  com- 
plem.  di  limitazione:  quanto  a  og.pr.,  la- 
sciando a  disleale  il  suo  significato  comune. 

—  3.  involva  e  stempre;  imbrogli  e  guasti. 
Cavalca  Med.  cuor.  21  :  «  l' ira  al  tutto  stem- 
pra l'uomo  ». 

—  5.  tempre;  maniere.  Petr.,  I,  Ball.  3: 
«  E  tende  lacci  in  si  diverse  tempre  ». 

—  7.  chi;  cui.  V.  e.  II,  28,  8.  —  si  crede, 
si  fida.  Generalmente  credersi  a  uno. 

21.  4.  T'ebbe;  ne  ebbe.  V.  e.  vii,  2,  n.  1. 


24 

Era  Corebo  di  Bilbao  nomato 
Quel  di  eh'  io  parlo,  che  con  noi  rimase; 
Che  da  fanciullo  picciolo  allevato 
S'era  con  lui  ne  le  medesme  case. 
Poter  con  lui  communicar  l'ingrato 
Pensiero  il  traditor  si  persuase, 
Sperando  ch'ad  amar  saria  piti  presto 
Il  piacer  de  l'amico,  che  l'onesto. 
25 

Corebo,  che  gentile  era  e  cortese. 
Non  lo  potè  ascoltar  senza  gran  sdegno  : 
Lo  chiamò  traditore,  e  gli  contese 
Con  parole  e  con  fatti  il  rio  disegno. 
Grande  ira  all'uno  e  all'altro  il  core  acce- 
E  con  le  spade  nude  ne  fèr  segno.       [se. 
Al  trar  de'  ferri,  io  fui  da  la  paura 
Volta  a  fuggir  per  l'alta  selva  oscura. 
26 

Odorico,  che  mastro  era  di  guerra, 
In  pochi  colpi  a  tal  vantaggio  venne, 
Che  per  morto  lasciò  Corebo  in  terra, 
E  per  le  mie  vestigie  il  carain  tenne. 
Prestògli  Amor  (se '1  mio  creder  non  errai, 
Acciò  potesse  giungermi,  le  penne; 
E  gl'insegnò  molte  lusinghe  e  prieghi. 
Con  che  ad  amarlo  e  compiacer  mipieghi 
27 

Ma  tutto  è  indarno;  che  fermata  e  certa 
Pili  tosto  era  a  morir,  eh' a  satisfarli. 
Poi  ch'ogni  priego,  ogni  lusinga  esperta 
Ebbe  e  minacele,  e  non  potean  giovarli. 
Si  ridusse  alla  forza  a  faccia  aperta. 
Nulla  mi  vai  che  supplicando  parli 
De  la  fé'  ch'avea  in  lui  Zerbino  avuta, 
E  ch'io  ne  le  sue  man  m'era  creduta. 
28 

Poi  che  gittar  mi  vidi  1  prieghi  in  vauo 


24.  1.  Bilbao;  Cittadella  Spagna  nella  Bi- 
scaglia. 

—  3.  allevato  S'era;  era  stato  allev.  Cosi 
anche  al  e.  ix,  37,  5.  Vita  di  S.  Mar.  Madd. 
86:  «  Quaud'  io  era  Piccolino,  eh'  io  m'alle- 
vava con  teco  ». 

26.  8.  compiacer,  compiacerlo.  V.  e.  i,  21, 
n.  7. 

27.  1.  fermata,  che  ha  fatto  fermo  propo- 
sito. Petr.,  Sest.  4,  1:  «chi  è  fermato  di 
menar  sua  vita  ».  —  certa,  risoluta  ;  è  l'e- 
spressione lat.  certa  mori:  viro.,  E7i.  4, 
.064.  Per  lo  più  si  costruisce  con  di.  È  strano 
che  nessun  Vocabolario  citi  quest'uso.  Caro, 
En.  IV,  872:  <  Certa  già  di  morire  ». 

—  3.  esperta;  provata.  Dall'inusit.  espe- 
rire. È  latinismo  usato  soltanto  nei  tempi 
composti. 

—  8.  creduta;  aflQdata.  Latinismo  frequen- 
te anche  in  prosa.  Segni  S.  F.  100:  «  Non  si 
dee  credere  il  magistrato  supremo  ad  ogni 
uomo  ». 


Ariosto  —  Papini 


10 


146 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  mi  sperare  altronde  altro  soccorso; 
E  che  pili  sempre  cupido  e  villauo 
A  me  venia,  come  famelico  orso; 
Io  mi  difesi  con  piedi  e  con  mano, 
Et  adopra'vi  sin  a  l'ugne  e  il  morso: 
Pela'gli  il  mento,  e  gli  gratìiai  la  jielle, 
Con  stridi  che  n'andavano  alle  stelle. 

29 
Non  so  se  fosse  caso,  o  li  miei  gridi 
'Che  si  doveauo  udir  lungi  una  lega; 
0  pur  ch'usati  sian  correre  ai  lidi, 
Quando  navilio  alcun  si  rompe  o  anuiega; 
Sopra  il  monte  una  turba  apparir  vidi; 
E  questa  al  mare  e  verso  noi  si  piega. 
Come  la  vede  il  Biscaglin  venire, 
Lascia  l'impresa,  e  voltasi  a  fuggire. 

30 
Contra  quel  disleal  mi  fu  adiutrice 
Questa  turba,  Signor;  ma  a  quella  image 
Che  sovente  in  proverbio  il  vulgo  dice: 
Cader  de  la  padelhi  ne  le  brage. 
Gli  è  ver  ch'io  non  son  stata  si  infelice, 
Né  le  lor  menti  ancor  tanto  malvage. 
Ch'abbino  violata  mia  persona: 
Non  che  sia  in  lor  virtù,  né  cosa  buona; 

31 
Ma  perché  se  mi  serbau,  come  io  sono, 
Vergine,  speran  vendermi  più  molto. 
Finito  è  il  mese  ottavo  e  viene  il  nono. 
Che  fu  il  mio  vivo  corpo  qui  sepolto. 
Del  mio  Zerbino  ogni  speme  abbandono; 
Che  già,  per  quanto  ho  da  lor  detti  accolto, 
M'  bau  promessa  e  venduta  a  un  merca- 

[dante, 
Che  portare  al  Soldan  mi  de'  in  Levante. 

32 
Cosi  parlava  la  gentil  Donzella; 
E  spesso  con  signozzi  e  con  sospiri 
Interrompea  l'angelica  favella 
Da  muovere  a  pietade  aspidi  e  tiri. 
Mentre  sua  doglia  cosi  rinovella, 


28.  2.  Sé  mi  sperare;  e  vidi  non  (potere) 
sperare.  Sulla  forma  rifless.  efr.  e.  v,  23, 
n.  3. 

—  6.  sin  a  l'ugne,  perfino  le  ugne.  V.  e. 
ri,  28,  8. 

30.  2.  a.  q.  image;  Secondo  quella  imma- 
irine.  hnage  usò  anclie  Dante,  Purg.  25, 
20;  ma  è  più  comune,  in  poesia,  Imayo.  11 
signjf.  non  comune  di  a  rappresenta  forse 
Tabbreviazione  deirespressione  più  com- 
pleta: a  <iiiel  modo  che  è  significato  in 
quella  imagine  ecc.  —  Il  proverbio  che 
segue  è  vivo  e  comune  ancora. 

31.  C.  accolto;  appreso.  Petr.,  II,  son.  74  : 
■«  i  tuoi  detti,  t«  presente,  accolsi  ». 

—  t<.  de',  dee,  deve.  Gli  antichi  l'apostro- 
farono anche  in  prosa. 

32.  4.  tiri;  Si  chiamavano  anticam.  cosi 
i  serpi  velenosi.  Morg.  14,  82:  «  E  '1  tir  che 


0  forse  disacerba  i  suoi  martiri. 
Da  venti  uomini  entrar  ne  la  spelonca. 
Armati  chi  di  spiedo  e  chi  di  ronca. 
33 

Il  primo  d'essi,  uom  di  spietato  viso. 
Ha  solo  un  occhio,  e  sguardo  scuro  e  bieco: 
L'altro,  d'un  colpo  che  gli  avea  reciso 
Il  naso  e  la  mascella,  è  fatto  cieco. 
Costui  vedendo  il  cavallicro  assiso 
Con  la  vergine  bella  entro  allo  speco, 
Volto  a'corapagni,  disse:  Ecco  augel  novo, 
A  cui  non  tesi,  e  ne  la  rete  il  trovo. 
34 

Poi  disse  al  Conte:  Uomo  non  vidi  mai 
Più  commodo  di  te,  né  più  oportuno. 
Non  so  se  ti  se'  apposto,  o  se  lo  sai, 
Perché  te  l'abbia  forse  detto  alcuno. 
Che  si  bell'arme  io  desiava  assai, 
E  questo  tuo  leggiadro  abito  bruno. 
Venuto  a  tempo  veramente  sei, 
Per  riparare  a  gli  bisogni  miei. 
35 

Sorrise  amaramente,  in  pie  salito. 
Orlando,  e  fé'  risposta  al  mascalzone: 
Io  ti  venderò  l'arme  ad  un  partito 
Che  non  ha  mercadante  in  sua  ragione. 
Del  fuoco,  ch'avea  appresso,  indi  rapita 
Pien  di  fuoco  e  di  fumo  uno  stizzone, 
Trasse  e  percosse  il  malandrino  a  caso. 


avea  lo  incantatore  scorto  ».   Dal  gr.  thi- 
rion,  serpe. 

—  7.  Da  T.  Da  con  un  numerale  significa 
circa.  È  comune  e  vivo. 

—  8.  spiedo...  ronca.  Lo  spiedo  è  un'arma 
in  asta,  con  ferro  in  cima,  che  somigliava 
alla  lancia  e  serviva  per  caccia  e  per  bat- 
taglia. La  ronca  è  arma  in  asta  adunca  e 
tagliente. 

33.  1.  Il  primo;  il  capo  fra  loro. 

—  3.  L'altro,  occhio.  —  d'un  e.  ;  per  u.  e. 
Il  di  è  causale:  frequentissimo  negli  scrit- 
tori. Dante,  Inf.  26,  69:  «Vedi  che  del  de- 
sio ver'  lei  mi  piego  ». 

34.  2  commodo...  op.  Commodo  (più  co- 
mune di  cosa  che  di  persona)  è  ciò,  che  ri- 
sponde al  bisogno.  L'a.  scrisse  sempre  que- 
sta parola  con  due  m,  alla  latina,  come 
l'avevano  usata  i  buoni  scrittori.  Oportuno 
è  ciò  che  viene  a  tempo.  È  grafia  dialettale. 

—  6.  abito  br.  V.  e.  vili,  85. 

35.  1.  salito;  balzato.  V.  e.  viii,  84,  n.  5. 

—  2.  mascalzone.  V.  e.  iv,  69,  n.  7. 

—  4.  in  s.  ragione;  nei  suoi  conteggi.  Ala- 
manni, Colt.  4,  822:  «  Lo  fa  spesso...  Intrigar 
la  ragion  col  suo  signore  ».  Cosi  in  latino 
ratio.  Cicer.  Verr.  7,  57:  «  Cedo  rationem 
carceris,  dammi  il  conteggio  della  carcere  ». 

—  6.  stizzone;  Più  comunem.  tizzone. 
Dante,  Inf.,  13,  40,  ha  stizzo. 

—  7.  Trasse;  Sottint.  lo.  Le  immagini  del 


CANTO  XIII 


147 


Dove  confina  con  le  ciglia  il  naso. 

Lo  stizzone  ambe  le  palpebre  colse, 
Ma  maggior  danno  te'  ne  la  sinistra; 
Che  quella  parte  misera  gli  tolse. 
Che  de  la  luce,  sola,  era  ministra. 
Né  d'acciecarlo  contentar  si  volse 
Il  colpo  tìer,  s'ancor  non  lo  registra 
Tra  quegli  spirti  che  con  suoi  compagni 
Fa  star  Chiron  dentro  ai  bollenti  stagni. 
37 

Ne  la  spelonca  una  gran  mensa  siede 
Grossa  duo  palmi,  e  spaziosa  in  quadro, 
Che  sopra  un  mal  pulito  e  grosso  piede, 
Cape  con  tutta  la  famiglia  il  ladro. 
Con  quell'agevolezza  clip  si  vede 
Gittar  la  canna  lo  Spagnuol  leggiadro. 
Orlando  il  grave  desco  da  su  scaglia 
Dove  ristretta  insieme  è  la  canaglia. 
38 

A  eh'  il  petto,  a  eh'  il  ventre,  a  chi  la  te- 
A  chi  rompe  le  gambe,  a  chi  le  braccia;  [sta. 


tizzone,  della  mensa  scagliata,  e  qualclie 
altra,  son  tolte  da  Ovidio,  Met.  13,  235  segg., 
dove  descrive  la  battaglia  dei  Lapiti  coi 
Centauri. 

36.  6.  lo  registra;  lo  pone.  Dante,  Jnf. 
t9,  57:  «Punisce  i  falsator,  che  qui  (la  di- 
vina giustizia)  registra  » 

—  .s.  Chiron.  Centauro,  che  Dante  mette 
cogli  altri  suoi  compagni,  Folo,  Xesso,  ecc., 
nell'inferno  a  guardia  dei  violenti  contro 
gli  altri,  fra  cui  i  predoni,  tulìati  in  una 
fossa  di  sangue  bollente. 

37.  2.  sp.  inquadro;  spaziosa  e  quadrata. 

—  5.  che;  colla  quale.  Non  solo  nei  com- 
plementi di  tempo,  ma  in  quelli  di  luogo, 
di  specificazione,  di  termine,  usarono  gli 
scrittori,  come  l'usa  tuttora  il  popolo,  il  clii' 
senza  prepos.  V.  Petr.,  I,  Sou.  67,  6;  II, 
Son.  5tì,  2  e  Fornaciari,  Sint.  p.  117. 

—  6.  gittar  la  e.  Si  disse  anche  c/iiiocare 
a  canne.  Fu  una  specie  di  giostra,  intro- 
dotta dai  Mori  in  Ispagna  e  dagli  Spagnuoli 
in  Italia,  e  che  si  faceva  a  cavallo  dai  no- 
bili in  occasione  di  alcuna  solennità:  «  For- 
masi di  differenti  quadriglie,  che  ordina- 
riamente sono  otto...  (-:iascuna  quadriglia 
si  riunisce  a  parte,  e  prendendo  canne  lun- 
ghe tre  o  quattro  vare  (la  vara  è  metri 
0,845)  nella  mano  destra...,  quella  quadri- 
glia, che  comincia  il  giuoco,  corre  la  distan- 
za della  piazza  tirando  le  canne  in  aria  e 
prendendo,  al  galoppo,  la  volta  per  dove 
sta  l'altra  quadriglia  appostata;  la  quale  la 
carica  di  gran  carriera  e  tira  le  canne  agli 
altri  che  corrono  e  che  si  coprono  cogli 
scudi  perché  i  colpi  delle  canne  stesse  non 
li  offendano  :  e  cosi  successivamente  si  van 
caricando  una  quadriglia  dopo  V  altra  fa- 


Di  ch'altri  muore,  altri  storpiato  resta: 
Chi  meno  è  offeso,  di  fuggir  procaccia. 
Cosi  talvolta  un  grave  sasso  pesta 
E  fianchi  e  lombi,  e  spezza  capi  e  schiaccia, 
Gittato  sopra  un  gran  drappel  di  biscie. 
Che  dopo  il  verno  al  sol  si  goda  e  liscie. 
39 

Nascono  casi,  e  non  saprei  dir  quanti: 
Una  muore,  una  parte  senza  coda. 
Un'altra  non  si  può  muover  d'avanti, 
E  '1  deretano  indarno  aggira  e  snoda; 
Un'altra,  ch'ebbe  pili  propizii  i  santi, 
Striscia  fra  l'erbe,  e  va  serpendo  a  proda. 
Il  colpo  orrihil  fu,  ma  non  mirando. 
Poi  che  lo  fece  il  valoroso  Orlando. 
40 

Quei  che  la  mensa  o  nulla  o  poco  oftese, 
(È  Turpin  seri  re  a  punto  che  fur  sette) 


oendo  una  piacevole  vista  »  Dizion.  dell' .\c- 
cademia  sipaguuola. 

38.  6.  f.  e  lombi.  Il  Nisiely  biasima  l'ap- 
plicazione di  queste  parole  alle  serpi,  che 
non  bau  fianchi  né  lombi.  Nei  Cinque  C.  l'A. 
dà  braccia  e  lombi  alle  piante.  II,  122. 

—  7.  drappel.  Propiam.  si  disse  di  perso- 
ne riunite  sotto  una  bandiera  (drappo);  poi 
anche  di  animali  e  di  cose  inanimate.  Ga- 
lilei, Op.  I,  401;  III,  477;  disse  drappelli 
di  stelle  e  di  macchie  solari. 

39.  t).  va  s.  a  proda  ;  Va,  serpendo,  verso 
la  proda  del  campo,  per  nascondersi  nella 
fossa. 

40.  2.  Turpin.  Questo  riferirsi  alla  storia, 
per  dare  maggior  credibilità  ai  racconti,  fu 
vezzo,  non  dei  cantori  popolari  primitivi , 
ma  dei  rartazzonatori  e  compilatori.  Il  Bo- 
iardo e  1'.^.  s'intende  che  lo  fanno  per  i- 
scherzo  —  Tarpino  è  personaggio  storico  ; 
fu  arcivescovo  di  Reiins  e  visse  ai  tempi  di 
Carlo  Magno.  Si  trova  già  nell'antica  epopea 
cavalleresca  (Chanson  de  Roland  ecc.),  ma 
con  caratteri  non  storici.  K  vescovo  guer- 
riero, si  cuopre  di  gloria  in  diversi  com- 
battimenti, muore  a  Roncisvalle.  La  famosa 
cronaca,  magro  lavoro  di  falsari  che  per 
darle  credito  l'attribuirono  a  Turpino,  è, 
secondo  la  critica  più  attendibile,  distinta 
in  due  parti.  I  primi  5  cap.  sono  scritti  vei'- 
so  la  metà  dell'  xi  secolo  da  un  monaco  di 
Compostelìa,  gli  altri  sono  scritti  fra  gli 
anni  1109-1119  da  un  monaco  di  S.  Andrea 
di  Vienna.  Questa  cronaca  non  fu  che  per 
piccole  parti  fonte  di  alcuni  poemi  cavalle- 
reschi. Vi  si  parla  principalmente  delle  im- 
prese di  C.  Magno  conti'o  i  Saraceni  di  Spa- 
gna e  contro  Agolante;  del  tradimento  di 
Gano  di  Maganza,  di  alcune  imprese  e  della 
morte  di  Orlando  a  Roncisvalle.  Sia  detto 
ora  per  sempre  che  ogni  citazione  di  Tar- 
pino, fatta  dall'A.,  non  è  che  uno  scherzo, 


148 


ORLANDO  FURIOSO 


Ai  piedi  raccomandan  sue  difese: 
Ma  ne  l'uscita  il  Paladin  si  mette; 
E  poi  che  presi  gli  ha  senza  contese, 
Le  man  lor  lega  con  la  fune  istrette, 
Con  una  fune  al  suo  bisogno  destra, 
Che  ritrovò  ne  la  casa  silvestra. 
41 

Poi  li  strascina  fuor  de  la  spelonca, 
Dove  facea  grande  ombra  un  vecchio  sor- 
Orlando  con  la  spada  i  rami  tronca,    |bo. 
E  quelli  attacca  per  vivanda  al  corbo. 
Non  bisognò  catena  in  capo  adonca; 
Che  per  purgare  il  mondo  di  quel  morbo, 
L'arbor  medesmo  gli  uncini  prestolli, 
Con  che  pel  mento  Orlando  ivi  attaccolli. 
42 

La  donna  vecchia,  amica  a'  malandrini, 
Poi  che  restar  tutti  li  vide  estinti, 
Fuggi  piangendo,  e  con  le  mani  ai  ci'ini. 
Per  selve  e  boscherecci  labirinti. 
Dopo  aspri  e  malagevoli  camini, 
A  gravi  passi  e  dal  timor  sospinti. 
In  ripa  un  fiumeinunguerrier  scontrosse; 
Ma  differisco  a  ricontar  chi  fosse: 
43 

E  torno  all'altra  che  si  raccomanda 
Al  Paladin,  che  non  la  lasci  sola; 
E  dice  di  seguirlo  in  ogni  banda. 
Cortesemente  Orlando  la  consola; 
E  quindi,  poi  ch'usci  con  la  ghirlanda 
Di  rose  adorna  e  di  purpurea  stola 
La  bianca  Aurora  al  solito  camino, 
Parti  cou  Isabella  il  Paladino. 


senza  corrispondenza  alcuna  in  quell'antica 
cronachetta. 

—  3.  sue,  loro.  Spesso  gli  antichi.  Dante, 
Inf.  22,  144:  «  vSi  avieno  iuviscate  l'ale  sue  ». 

—  7.  destra,  acconcia.  È  significato  assai 
frequente.  Il  costrutto  è  C(in  a  e  con  per. 

41.  5.  in  capo  a.;  adunca  ad  un  capo;  con 
un  uncino  nella  cima,  come  si  adopra  per 
attaccar  buoi  macellati. 

42.  ò.  gravi  p.  tardi,  lenti.  Petr.  Cam. 
8,  26:  <■■  iSi  gravi  i  corpi  e  frali  Degli  uomini 
mortali  ». 

—  7.  In  ripa  u.  f.  Pili  coniiinem.  si  dice: 
in  i"iva  a  o  di  Petr.  Tr.  Et.  139:  «.\  l'iva 
un  fiume,  che  nasce  in  Gebeuna  ».  «  Molti 
fan  distinzione  fra  riva  e  ripa,  chiamando 
riva  quella  del  fiume  e  ripa  gli  argini,  che 
sopra  le  fosse  si  fanno  o  dintorno  alle  ca- 
stella, o  ancora  in  luoglii  declivi,  per  li  quali 
d'alcun  luogo  alto  si  scende  al  più  basso  ». 
Bocc.  Conim.  Dante,  3,  62.  I  poeti  e  i  pro- 
satori però  presero  l'una  voce  per   l'altra. 

—  8.  ricontar.  V.  e.  ix,  85,  u.  6.  È  questo 
il  primo  esempio,  nel  Furioso,  d'interru- 
zione, appena  r<acceuno  di  nuovi  fatti  riac- 
cende la  curiosità.  È  un  artifizio  già  usato 
dal  Boiardo.  I  Romanzieri  precedenti  sole- 


44 

Senza  trovar  cosa  che  degna  sia 
D'istoria,  molti  giorni  insieme  andare: 
E  finalmente  un  cavallier  per  via. 
Che  prigione  era  tratto,  riscontraro. 
Chi  tosse,  dirò  poi;  ch'or  me  ne  svia 
Tal,  di  chi  udir  non  vi  sarà  men  caro; 
La  figliuola  d'Amon,  la  qual  lasciai 
Languida  dianzi  in  amorosi  guai. 
45 

La  bella  donna  desiando  in  vano 
Ch'a  lei  facesse  il  suo  Ruggier  ritorno. 
Stava  a  Marsiglia,  ove  allo  stuol  Pagano 
Dava  da  travagliar  quasi  ogni  giorno;  [no 
11  qual  scorrea,  rubando  in  monte  e  in  pia- 
Per  Linguadoca  e  per  Provenza  intorno  ; 
Et  ella  ben  facea  l'uftìcio  vero 
Di  savio  Duca  e  d'ottimo  guerriero. 
46 

Standosi  quivi, e  di  gran  spazio  essendo 
Passato  il  tempo  che  tornare  a  lei 
Il  suo  Ruggier  dovea,  né  lo  vedendo, 
Vivea  in  timor  di  mille  casi  rei. 
Un  di  fra  gli  altri,  che  di  ciò  piangendo 
Stava  solinga,  le  arrivò  colei 
Che  portò  ne  l'annel  la  medicina 
Che  sanò  il  cor  ch'avea  ferito  Alcina. 
47 

Come  a  sé  lùtoruar  senza  il  suo  amante, 
Dopo  si  lungo  termine,  la  vede. 
Resta  pallida  e  smorta,  e  si  tremante, 
Che  non  ha  forza  di  tenersi  in  piede: 
Ma  la  Maga  gentil  le  va  davante 
Ridendo,  poi  che  del  timor  s'avvede; 
E  con  viso  giocondo  la  conforta, 
Qual  aver  suol  chi  buone  nuove  apporta. 

48 
Non  temer  (disse)  di  Euggier.Donzella; 
Ch'  è  vivo  e  sano,  e  come  suol,  t'adora: 
Ma  non  è  già  in  sua  libertà;  che  quella 
Pur  gli  ha  levata  il  tuo  nemico  ancora; 
Et  è  bisogno  che  tu  monti  in  sella, 


vano  passare  ad  altro  nei  punti,  dove  l'azio- 
ne aveva  una  sosta  e  l' interesse  era  raffred- 
dato. Nei  canti  precedenti  l'A.  si  attiene 
piuttosto  a  questo  modo  d' interruzione. 

44.  6.  di  chi;  di  cui.  V.  e.  il,  20,  n.  8. 

45.  fi.  Linguad.  Detta  cosi  dalla  lingua 
d'oc,  che  vi  si  parlava.  Regione  della  Fran- 
cia merid.  a  ovest  della  Provenza,  fra  il 
Rodano  e  i  Pirenei.  Si  chiamò  cosi  solo  nel 
sec.  XIII  ;  prima  .si  chiamava  Settimania. 

—  8.  DucH.  V.  e.  II,  64. 

46.  2.  Passato  il  t.  Melissa  avea  giurato 
di  ricondiirle  Rugg.  in.i)oclii  giorni.  V.  e. 
VII,  46,  7. 

—  6.  colei;  Melissa. 

47.  2.  termine;  tempo.  Rucellai,  Ap.  236: 
«  Se  bene  bau  picciol  termine  di  vita  ». 


CANTO  XIII 


149 


Se  brami  averlo,  e  che  mi  segui  or  ora; 
Che  se  mi  segui,  io  t'aprirò  la  via, 
D'onde  per  te  Ruggier  libero  fia. 
49 

E  seguitò,  narrandole  di  quello 
Magico  crror  che  gli  avea  ordito  Atlante: 
Che  simulando  d'essa  il  viso  bello, 
Che  captiva  parca  del  rio  gigante. 
Tratto  l'avea  ne  l'incantato  ostello. 
Dove  sparito  poi  gli  era  davante: 
E  come  tarda  con  simile  inganno 
Le  donne  e  i  cavallier  che  di  là  vanno. 
50 

A  tutti  par,  l'incantator  mirando, 
Mirar  quel  che  per  sé  brama  ciascuno, 
Donna,  scudier,  compagno,  amico;  quando 
Il  desiderio  uman  non  è  tutto  uno. 
Quindi  il  palagio  van  tutti  cercando 
Con  lungo  affanno,  e  senza  frutto  alcuno; 
E  tanta  è  la  speranza  e  il  gran  disire 
Del  ritrovar,  che  non  ne  san  partire. 
51 

Come  tu  giungi  (disse)  in  quella  parte 
Che  giace  presso  all'incantata  stanza. 
Verrà  l'incantatore  a  ritrovarti 
Che  terrà  di  Ruggiero  ogni  sembianza, 
E  ti  farà  parer  con  sua  mal'arte. 
Ch'ivi  lo  vinca  alcun  di  più  possanza, 
Acciò  che  tu  per  aiutarlo  vada, 
Dove  con  gli  altri  poi  ti  tenga  a  bada. 
52 

Acciò  l'inganni,  in  che  son  tanti  e  tanti 
Caduti,  non  ti  colgan,  sie  avvertita  : 
Che  se  ben  di  Kuggier  viso  e  sembianti 
Ti  parrà  di  veder,  che  chieggia  aita, 
Non  gli  dar  fede  tu;  ma,  come  avanti 
Ti  vien,  fagli  lasciar  l'indegna  vita: 
Né  dubitar  perciò  che  Ruggier  muoia, 
Ma  ben  colui  che  ti  dà  tanta  noia. 
53 

Ti  parrà  duro  assai  (ben  lo  conosco) 
Uccider  un  che  sembri  il  tuo  Ruggiero: 


48.  6.  segui,  segua.  Dantk,  laf.  1,  113: 
«  penso  e  discerno  Che  tu  mi  segui  ». 

—  7.  t'aprirò;  ti  farò  manifesta,  t'indi- 
cherò. V.  e.  IV,  68,  n.  2. 

49.  7.  tarda;  trattiene,  tiene  a  bada.  È  si- 
gnificato non  citato  dai  vocabolari. 

50.  3.  quando;  poiclié.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

51.  1.  Come...  giungi;  quando  sarai  giun- 
ta. V.  e.  Ili,  74,  n.  1. 

—  2.  stanza;  abitazione. 

52.  2.  sie;  sii.  È  forma  antica.  Dante, 
Piirg.  31,  15  :  «  Udendo  le  Sirene  sie  più 
forte  ». 

—  S.  Ma  ben  e.  Rileva  dal  contesto  il  ver- 
bo ritieni  (che  muoia  e). 

53.  5.  Fermati;  risolvi  fermamente.  G. 
Villani,  9,  19,  13:  «si  fermò  di  non  par- 
tirsi ». 


Pur  non  dar  fede  all'occhio  tuo,  che  losco 
Farà  l'incanto,  e  celeragli  il  vero. 
Fermati,  pria  eh"  io  ti  conduca  al  bosco, 
8i  che  poi  non  si  cangi  il  tuo  pensiero. 
Che  sempre  di  Ruggier  rimarrai  priva. 
Se  lasci  per  viltà  che  '1  Mago  viva. 
54 

La  valorosa  giovane  con  questa 
Inteuzion  che  '1  fraudolente  uccida, 
A  pigliar  l'arme,  et  a  seguire  è  presta 
Melissa;  che  sa  ben  quanto  l'è  fida. 
Quella,  or  per  terren  culto,  or  per  foresta 
A  gran  giornate  e  in  gran  fretta  la  guida, 
Cercando  alleviarle  tuttavia 
Con  parlar  grato  la'noiosa  via. 
55 

E  più  di  tutti  i  bei  ragionamenti. 
Spesso  le  repetea  ch'uscir  di  lei 
E  di  Ruggier  doveano  gli  eccellenti 
Principi,  e  gloriosi  Semidei. 
Come  a  Melissa  fossino  presenti 
Tutti  i  secreti  degli  eterni  Dei, 
Tutte  le  cose  ella  sapea  predire, 
Ch'avean  per  molti  secoli  a  venire. 
50 

Deh,  come,  o  prudentissima  mia  scorta, 
TDicea  alla  Maga  l'inclita  Donzella) 
Molti  anni  prima  tu  m'hai  fatto  accorta 
Di  tanta  mia  viril  progenie  bella; 
Cosi  d'alcuna  donna  mi  conforta. 
Che  di  mia  stirpe  sia,  s'alcuna  in  quella 
Metter  si  può  tra  belle  e  virtuose. 
E  la  cortese  Maga  le  rispose  : 
57 

Da  te  uscir  veggio  le  pudiche  donne 
Madri  d'Imperatori  e  di  gran  Regi, 
Reparatrici  e  solide  colonne 
Di  case  illustri  e  di  domini  egregi  ; 
Che  men  degne  non  son  ne  le  lor  gonne, 
Ch'  in  arme  i  cavallier,  di  sommi  pregi. 


54.  2.  che...  uccida;  di  uccidere.  V.  e.  I, 
3S,  n.  0. 

—  4.  rè;  le  è.  V.  e.  vii,  35,  n.  8. 

55.  4.  Semidei.  V.  e.  vii,  39, 

—  5.  fossino.  È  forma  popolare  amata 
assai  dagli  antichi,  e  vive  ancora  nella  plebe 
Toscana.  V.  Nannucci,  An.  cr.  p.  469.  ^ 

—  6.  Dei.  Il  plur.  fu  usato  non  di  rado 
da  poeti  cristiani  per  indicare,  in  generale, 
la  divinità.  Petr.  i.  Son.  190:  «  (Laura)  aspet- 
tata al  regno  degli  Dei  ». 

8.  per;  fra.  Cosi  è  usato  al  e.  vi,  72,  1; 
XII,  7,  3  dove  troverai  la  nota. 

57.  2.   Madri  ecc.  V,  e.  Ili,  17.  n.  8. 

—  6.  pregi,  lodi.  È  significato,  che  già  i 
nostri  rimatori  del  sec.  xii  derivarono  dal 
pretz  dei  provenzali.  Cosi  l'usò  il  Petr. 
canz.  39,  101;  Dante,  Pai-.,  xvi,  128:  l'A.  in 
più  luoghi.  Vedi  tutta  la  canzone  del  pre- 
gio di  Dino  Compagni. 


150 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  pietà,  di  gran  cor,  di  gran  prudenza, 
Di  somma  e  incomparabil  continenza. 
58 

E  s'io  avrò  da  narrarti  di  ciascuna 
Che  ne  la  stirpe  tua  sia  d'onor  degna, 
Troppo  sarà;  ch'io  non  ne  veggio  alcuna 
Che  passar  con  silenzio  mi  convegna. 
Ma  ti  farò  tra  mille  scelta  d'una 
O  di  due  coppie,  acciò  ch'a  fin  ne  vegna. 
Ne  la  spelonca  perché  noi  dicesti  ? 
Che  l'imagini  ancor  vedute  avresti. 
59 

De  la  tua  chiara  stirpe  uscirà  quella 
D'opere  illustri  e  di  bei  studii  amica, 
Ch'  io  non  so  ben  se  più  leggiadra  e  bella 
Mi  debba  dire,  o  più  saggia  e  pudica, 
Liberale  e  magnanima  Isabella, 
Che  del  bel  lume  suo  di  e  notte  aprica 
Farà  la  terra  che  sul  Menzo  siede, 
A  cui  la  madre  d'Ocno  il  n  me  diede: 
60 

Dove  onorato  o  splendid  >  certame 
Avrà  col  suo  dignissimo  consorte, 
Chi  di  lor  più  le  virtù  prezzi  et  ame, 
E  chi  meglio  apra  a  cortesia  le  porte. 
S'un  narrerà  ch'ai  Taro  e  nel  Reame 
Fu  a  liberar  da'  Galli  Italia  forte; 
L'altra  dirà:  Sol  perché  casta  visse, 
Penelope  non  fu  minor  d'Ulisse. 
61 

Gran  cose  e  molte  in  brevi  detti  accolgo 
Di  questa  donna,  e  più  dietro  ne  lasso, 
Che  in  quelli  di  ch'io  mi  levai  dal  volgo, 


—  7.  Di  pietà  ecc.  È  dichiarazione  di  pre- 
gi :  della  lode  di  pietà  ecc. 

59.  Questa  rassegna  è  il  compimento  del- 
la rassegna  del  e.  in.  Là  si  mostrarono  gli 
uomini  di  casa  d'Este,  qui  le  donne. 

—  5.  Isabella,  figlia  di  Ercole  I  e  d'Eleo- 
nora d'Aragona  (1471-1539),  maritata  (1490) 
al  marchese  Fi-ancesco  II  Gonzaga  di  Man- 
tova. Le  lodi  dell'A.  son  meritate.  La  cele- 
brarono il  Trissino  con  un  canzone,  il  Ban- 
dello  nella  nov.  71,  il  Berni,  nell'Imi.  I,  2. 

—  7.  Menzo;  Mincio.  Forma  dialettale. 
Cosi  anche  al  e.  xliii,  70,  8. 

—  8.  A  cui  ecc.  Virgilio,  En.  10,  97  segg. 
«  Ocnus...  F'atidicae  Mantus  et  Tuscii  lilius 
amnis  (il  Tevere),  Qui  muros  matrisque 
dedit  tibi,  Mantua,  nomen  ». 

60.  5.  al  Taro  e  n.  E.  Il  marchese  di  Man- 
tova capitanava  l'esercito  collegato  contro 
Carlo  vili,  alla  battaglia  del  Taro  (6  luglio 
1495).  .assistè  poi  alla  battaglia  d'Atella  (5 
agosto  1496),  dopo  la  quale  i  Francesi  sgom- 
brarono dal  Reame  di  Napoli. 

61.  3.  eh'  io  mi  1.  d.  v.,  che  mi  detti  agli 
studi  magici.  Ma  se  l'A.  avea  già  ui  mente 
quel  che  disse  di  M.  al  e.  xliii,  20  segg., 
sarà  meglio  intendere:  da  quel  di  che  mi 


Mi  fé'  chiare  Merlin  dal  cavo  sasso. 
E  s'in  questo  gran  mar  la  vela  sciolgo. 
Di  lunga  Tifi  in  navigar  trapasso.        [no 
Conchiudo  in  somma  ch'ella  avrà,  per  do- 
De  la  virtù  e  del  ciel,  ciò  eh' è  di  buono. 
62 

Seco  avrà  la  sorella  Beatrice, 
A  cui  si  converrà  tal  nome  a  punto; 
Ch'essa  non  sol  del  ben  che  qua  giù  lice. 
Per  quel  che  viverà,  toccherà  il  punto  ; 
Ma  avrà  forza  di  far  seco  felice 
Fra  tutti  i  ricchi  Duci  il  suo  congiunto, 
Il  qual,  come  ella  poi  lascierà  il  mondo, 
Cosi  de  l'infelici  andrà  nel  fondo. 
Ciò 

E  Moro  e  Sforza  e  Viscontei  colubri, 
Lei  viva,  formidabili  saranno 


tolsi  dalla  vita  comune,  che  conducevo  a 
Mantova,  per  venire  alla  tomba  di  Merlino 
e  consacrarmi  a  cose  più  alte,  (come  assi- 
stere Brad,  e  Ruggero). 

—  6.  Di  lunga;  Meno  comune  della  forma 
superlativa  di,  yran  l.  ;  ma  ha  esempi  e  non 
è  barbaro,  come  crede  il  Nisiely.  Machia- 
velli, Op.  Ili,  214:  «  E  di  lunga  (Castruccio) 
tutti  gh  altri  della  sua  età  superava  ».  Anzi 
il  Machiav.  amò  assai  questo  modo.  —  Tifi, 
piloto,  che  guidò  la  nave  Argo  alla  conquista 
del  vello  d'oro.  Per  antonomasia  ogni  esperto 
nocchiero. 

—  7.  per  dono  D.  v.  ecc.  La  virtù  è  qui 
personificata.  Nelle  ediz.  preced.  si  leggeva: 
per  dono  Del  Cielo  e  sua  v.  Forse  era  più 
efficace  distinguere  le  qualità  naturali,  dono 
del  Cielo,  dalle  acquisite  per  sua  virtù. 

62.  1.  Beatrice,  (1475-1497)  maritata  (1491) 
a  Lodovico  il  Moro  e  morta  di  parto  a  22 
anni. 

—  4.  Per  quel;  Sottintendi  tempo.  —  toc- 
cherà il  p.,  giungerà  alla  perfezione.  Per 
questa  locuz.  i  vocab.  citano  un  esempio  del 
Fagiuoli,  Rime  2,  112  e  non  questo  dell' A. 

—  6.  Duci;  duchi.  V.  e.  ni,  45,  n.  1.  — 
congiunto  e  congiunta  si  usarono  per  ma- 
rito e  moglie.  Morali  di  S.  Greg.  I,  74:  «  (il 
diavolo,  per  vincer  Giobbe),  ricorse  alla  lin- 
gua della  congiunta  sua». 

—  8.  andrà  n.  f.  È  noto  che  nel  1498  si 
fece  tra  il  re  di  Francia,  il  Papa  e  Venezia 
una  lega  contro  il  Moro,  e  nel  1499  i  Fran- 
cesi gli  tolsero  la  .Signoria  di  Milano.  Nel 
1500  fu  fatto  prigioniero  dagli  stessi  Fran- 
cesi e  nelle  loro  mani  mori  nel  1510. 

63.  1.  Viscontei  e;  Milano.  Per  il  plurale 
cfr.  e.  Ili,  26,  n.  4.  Qui  pure  l'A.  (V.  e.  in,  26, 
4;  XLVi,  94,  n.  4),  prende  il  colubro  che  era 
nell'arme  dei  Visconti,  per  lo  stemma  di 
Milano.  L'accenno  alla  grande  potenza,  che 
ebbe  Milano  e  la  famiglia  Sforza  in  questo 
tempo,  corrisponde  a  verità  storica. 


CANTO  XIII 


r)i 


Da  l'Iperboree  nievi  ai  lidi  Rubri, 
Da  r  ludo  ai  monti  ch'ai  tuo  mar  via  dannò: 
Lei  morta,  audran  col  regmo  degl'Insubri, 
E  con  grave  di  tutta  Italia  danno, 
la  servitute;  e  fia  stimata,  senza 
Costei,  ventura  la  somma  prudenza. 

64  [me 

Vi  saranno  altre  ancor,  ch'avranno  il  no- 
Medesmo,  e  nasceran  molt'anni  prima: 
Di  ch'una  s'ornerà  le  sacre  chiome 
De  la  corona  di  Pannonia  opima; 
Un'altra,  poi  che  le  terrene  some 
Lasciate  avrà,  fia  ne  l'Ausonio  clima 
Collocata  nel  numer  de  le  Dive, 
Et  avrà  incensi  e  imagini  votive. 
65 

De  l'altre  tacerò;  che,  come  ho  detto, 
Lungo  sarebbe  a  ragionar  di  tante; 
Ben  che  per  sé  ciascuna  abbia  suggetto 
Degno  ch'eroica  e  chiara  tuba  caute. 


—  3.  Da  1'  I.  n.  ecc.  Xaoì  dire  da  setten- 
trione a  mezzogiorno,  da  oriente  a  occi- 
dente. Pei"  Iperboree  ve.  x,  71,  n.  5.  — 
lidi  R.;  (lat.  ruber,  rosso)  il  mar  Rosso. 

—  4.  ai  monti  ecc.  Per  questi  monti  si 
potrebbero  intendere  i  Pirenei;  e  in  tal  caso 
via  danno  signitìca  fanno  capo,  riescono 
al  mare  di  Provenza.  Dar  via,  in  questo 
senso,  non  è  citato  dai  vocabol.;  ma  non  sa- 
rebbe locuzione  strana.  O  possono  essere 
anche  .\bila  e  Calpe,  che  sono  sullo  stretto 
di  Gibilterra;  il  quale,  a  chi  viene  dall'Indie 
(Indo),  dà  la  via  o  il  passaggio  al  mare  di 
Provenza.  In  tal  caso  avremmo  un  anacro- 
nismo, perché  questa  via  fu  fatta  da  C.  Co- 
lombo per  la  prima  volta. 

—  5.  r.  d.  Insubri.  V.  e.  ili,  26,  n.  6. 

—  8.  ventura  ecc.  Il  Moro  era  stimato 
astutissimo  e  prudentissimo,  ma  nei  tristi 
casi,  che  lo  colsero,  anche  la  prosperità 
precedente  fu  creduta  frutto  di  fortuna  più 
che  di  prudenza. 

64. 3.  nna  ecc.  Beatrice,  figlia  d' Aldobran- 
dino d'  Este,  fu  sposa  di  Andrea  II  re  d'Un- 
gheria. 

—  4.  Pannonia;  Era  anticamente  la  regio- 
ne fra  la  Sava,  il  Danubio  e  le  Alpi;  ma  gli 
scrittori  del  rinascimento  chiamarono  con 
questo  nome  latino  l'Ungheria  in  generale. 
—  opima,  insigne.  Kiferiscilo  a  corona  e  cfr. 
e.  Ili,  30,  n.  6. 

—  5.  Un'  altra  ecc.  Due  furono  le  beate 
Beatrici  d'Este,  una  sorella,  l'altra  figliuola 
d'.\zzo  Novello.  É  probabile  che  l'A.  parli 
qui  della  seconda  (m.  1262),  la  cui  memoria 
era  viva  in  Ferrara,  per  il  monastero  di 
S.  Antonio  da  lei  rimesso  a  nuovo  e  bene- 
licato;  mentre  l'altra  era  più  nota  a  Padova, 
dove  era  morta. 

—  6.  Ausonio;  V.  e.  iir,  33,  n.  4. 

65.  4.  Degno  che...  cante.  O  è  da  sottinten- 


Le  Bianche,  le  Lucrezie  io  terrò  in  petto, 
E  le  Costanze  e  l'altre,  che  di  quante 
Splendide  case  Italia  reggeranno, 
Reparatrici  e  madri  ad  esser  hanno. 

6G 
Pili  ch'altre  fpsser  mai,  le  tue  famiglie 
Saran  ne  le  lor  donne  avventurose; 
Non  dico  in  quella  più  de  le  lor  figlie, 
Che  ne  l'alta  onestà  de  le  lor  spose. 
E  acciò  da  te  notizia  anco  si  pigile 
Di  questa  parte  che  Merlin  mi  espose. 
Forse  perch'  io  '1  dovessi  a  te  ridire, 
Ho  di  parlarne  non  poco  desire. 

67 
E  dirò  prima  di  Ricciarda,  degno 
Esempio  di  fortezza  e  d'onestade: 
Vedova  rimarrà,  giovane,  a  sdegno 
Di  Fortuna;  il  che  spesso  ai  buoni  accade. 
I  figli  privi  del  paterno  regno. 
Esuli  andar  vedrà  in  strane  contrade. 
Fanciulli  in  man  degli  avversari  loro; 
Ma  in  fine  avrà  il  suo  male  ampio  ristoro. 

68 
De  l'alta  stirpe  d'Aragone  antica 
Non  tacerò  la  splendida  Regina, 


dere  lo;  o  si  può  intendere  cante  usato 
assolutamente,  o,  in  fine,  si  può  dare  al  che 
valore  di  relativo:  degno  cui...  cante.  V. 
e.  Ili,  27,  1. 

—  5.  Bianche...  Lucr...  Cost.  Molte  furono, 
con  questi  nomi,  le  donne  di  casa  d'Este 
maritate  ai  Pico,  ai  Malaspina,  ai  Malate- 
sta  ecc. 

66.  1.  le  t.  famiglie;  i  vari  rami  Estensi, 
che  da  te  procederanno. 

67.  1.  Eicciarda,  marchesa  di  Saluzzo, 
terza  moglie  di  .Niccolò  III  e  madre  d'  Er- 
cole I  e  di  Sigismondo.  Per  dispiacere  che 
fosse  tolto  lo  stato  ai  suoi  legittimi  ligli  e 
dato  a  Lionello  e  Borso,  si  ritirò  in  patria, 
finché,  morto  Borso,  non  venne  al  potere 
Ercole.  Tornò  allora  a  Ferrara  ed  ebbe  lar- 
go ristoro  alle  passate  disavventure. 

—  6.  E>snli;  Ercole  e  Sigismondo,  giovi- 
netti, furon  mandati  da  Lionello  alla  corte 
di  Napoli  col  pretesto  che  vi  apprendessero 
l'arte  militare;  ma  in  realtà  per  allontanare 
i  pericoli  di  rivolta,  che  poteva  produrre  la 
loro  presenza  in  Ferrai'a.  Stettero  lontani 
ambedue  circa  16  anni. 

—  7.  avversari  loro;  Riferiscilo  ad  Alfonso 
d'Aragona,  che,  sebbene  trattasse  con  molto 
riguardo  questi  principi,  pure  poteva  con- 
siderarsi, politicamente,  loro  avversario, 
perché  aveva  dato  a  Lionello  d' Este  sua  fi- 
glia Maria  in  isposa. 

68.  2.  la  spi.  Regina.  Eleonora  figlia  di 
Ferdinando  I  .\ragonese  re  di  Napoli,  ma- 
ritata a  Ercole  I.  È  detta  regina,  perchè  di 


152 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  cui  né  saggia  si,  né  si  pudica 
Veggio  istoria  lodar  Greca  o  Latina, 
Né  a  cui  Fortuna  pili  si  mostri  amica; 
Poi  che  sarà  da  la  Bontà  divina 
Eletta  madre  a  partorir  la  bella 
Progenie,  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. 
69 

Costei  sarà  la  saggia  Leonora 
Che  nel  tuo  felice  arbore  s'inesta. 
Che  ti  dirò  de  la  seconda  nuora, 
Succeditrice  prossima  di  questa? 
Lucrezia  Borgia,  di  cui  d'ora  in  ora 
La  beltà,  la  virtù,  la  fama  onesta, 
E  la  fortuna  crescerà  non  meno 
Che  gioviu  pianta  in  morbido  terreno. 
70 

Qual  lo  stagno  all'argento,  il  rame  al- 
II  campestre  papavero  alla  rosa,  [l'oro. 
Pallido  salce  al  sempre  verde  alloro, 


sangue  reale.  Per  lei   morta,  nel   1493,  l'A. 
scrisse  la  bella  elegia  17*.  V.  e.  xlvi,  85,  2. 

—  3.  Di  cui  n.  s.  si  ecc.  Abbiamo  qui  un'ir- 
regolarità sintattica.  Dovrebbe  dire  «Di  cui 
né  saggia  ^m  ecc.».  Nella  Principe  si  legge- 
va: «Di  cui  ìa.piH  magnanima  non  veggio 
Istoria  celebrar  Greca  o  latina».  La  varia- 
zione fu  fatta  per  Tediz.  del  1521  e  mantenuta 
anche  in  quella,  minutamente  corretta,  del 
1532;  il  che  rende  diflìcile  supporvi  una  svi- 
sta. Si  può  ritenere  uno  di  quelli  ardimenti, 
non  rari  nel  Furioso,  che.  in  questa  disposi- 
zione, non  è  privo  di  grazia  e  disinvoltura. 
Son  fuse  due  forme  di  comparativo. 

—  7.  m.  a  partorir.  Ridondanza  d'espres- 
sione :  basterebbe  eletta  madre  o  eletta  a 
partorir. 

.  —  8.  I  figli  furono  veramente  sei;  ma  di 
Beatrice  ha  detto  sopra,  st.  62,  Ferdinando 
congiurò  contro  i  fratelli;  Sigismondo  visse 
ritirato  e  ignoto.  I  tre  veramente  memora- 
iiili  sono  gli  accennati  dal  Poeta. 

69.  3.  seconda  nivora;  Lucrezia  Borgia,  se- 
conda moglie  di  Alfonso  I  e  perciò  seconda 
nuora  di  Eleonora.  Fu  liglia  di  Alessandro  VI. 
Chi  si  scandalizza  per  le  lodi  dell'A.  pensi 
1"  che  dopo  gli  studi  del  Roscoe  e  del  Gre- 
gorovius  (Lucrezia  Borgia,  I87J)  le  infamie 
attribuite  già  a  questa  donna  sono  da  rite- 
nersi molto  esagerate  ;  2°  che  «  dappoiché 
entrò  in  casa  d'  Este,  sempre  essendosi  go- 
vernata con  somma  saviezza  lasciò  perenne 
memoria,  non  meno  della  sua  pietà,  che  del 
suo  generoso  e  forte  animo  ».  Muratori, 
Ant.  E.  II,  275;  3°  che  altri  scrittori  come 
il  Pistofilo  (Vita  di  Alf.  I,  cap.  V)  e  il  Bembo 
avevano  celebrata  questa  donna. 

70.  1-3.  Questi  versi  sono  tolti,  con  lie- 
vissime varianti,  dall'  Egloga,  dove  l'A.  parla 
della  congiura  di  Giulio  e  di  Ferrante,  e 
della  venuta   di    Lucrezia  B.   in  Ferrara: 


Dipinto  vetro  a  gemma  preziosa; 
Tal  a  costei  ch'ancor  non  nata  onoro, 
Sarà  ciascuna  insino  a  qui  famosa 
Di  singular  beltà,  di  gran  prudenzia, 
E  d'ogni  altra  lodevole  eccellenzia. 
71 

E  sopra  tutti  gli  altri  incliti  pregi 
Che  le  saranno  e  a  viva  e  a  morta  dati. 
Si  loderà  che  di  costumi  regi 
Ercole  e  gli  altri  figli  avrà  dotati, 
E  dato  gran  principio  ai  ricchi  fregi 
Di  che  poi  s'orneranno  in  toga  e  armati; 
Perché  l'odor  non  se  ne  va  si  in  fretta. 
Ch'in  nuovo  vaso,  o  buono  o  rio,  si  metta. 
72 

Non  voglio  ch'in  silenzio  anco  Renata 
Di  Francia,  nuora  di  costei,  rimagna. 
Di  Luigi  duodecimo  Re  nata, 
E  de  l'eterna  gloria  di  Bretagna. 
Ogni  virtù  ch'in  donna  mai  sia  stata, 
Di  poi  che  '1  fuoco  scalda  e  l'acqua  bagna. 


<  Quale  è  il  peltro  all'argento,  il  rame  al- 
l'oro, Qual  campestre  papavero  alla  rosa, 
Qual  scialbo  salce  al  sempre  verde  alloro  ». 
—  all'argento;  a  significa  in  confronto  di. 
Cosi  anche  in  prosa.  Villani,  xii,  50:  «ne 
fece  piccolo  lamento  a  ciò,  che  ne  dovea 
tare  ». 

—  4.  Dipinto,  colorato.  Dante,  Inf.,  16^ 
108:  «la  lonza  alla  pelle  dipinta». 

—  7.  Di  s.  b.;  per  s.  b.  V.  st.  33,  n.  3. 

71.  2.  a  viva  ecc.;  da  viva.  Non  è  raro  fra 
gli  antichi  a  per  da.  Villani,  S,  58:  «  La 
Keina  prese  a  vero  la  parola  ».  Ila  agito  su 
<|uesto  costrutto  il  precedente  le. 

—  5.  dato  g.  pr.  Per  intender  ciò  si  ri- 
cordi che  Ercole,  il  maggiore  dei  figli  di 
Lucr.,  aveva  appena  11  auni  quando  la  ma- 
dre mori. 

—  6.  in  toga  e  a.;  in  pace  e  in  guerra. 
I  Latini  dicevano  toc/a  per  2Jace,  contrappo- 
nendolo a  belliiìn,  arma:  Cicer.,  Or.  42. 
«  Vir  omnibus  behi  ac  togae  dotibus  emi- 
nentissimus  ». 

—  7.  l'odor  ecc.  Comparaz.  tolta  da  Ora- 
zio, Ep.  I,  2,  69:  «Quo  semel  est  imbuta 
recens  servabit  odorem  Testa  diu  v. 

72.  1.  Renata,  figlia  di  Luigi  XII  e  di  .Anna 
di  Brettagna,  sposò  (1528)  Ercole  II;  più 
tardi  (1535)  parve  inclinare  al  Calvinismo, 
onde  nel  1551  fu  rinchiusa  in  un  monastero. 
Mori  in  Francia  nel  1575.  Brutta  di  corpo, 
ebbe  mente  e  cuore  grandissimi.  Brantòme 
la  disse  un'anima  di  fuoco. 

—  4.  eterna  g.  di  B.,  Anna  figlia  di  Fran- 
cesco II  ultimo  duca  della  Bretagna  Fran- 
cese. Erede  del  ducato,  sposò  prima  Car- 
lo VIII,  poi  Luigi  XII.  Ebbe  animo  grande; 
e  il  suo  nome  è  ancora  ricordato  in  Bre- 
tagna. 


CANTO  XIII 


153 


E  gira  intorno  il  cielo,  insieme  tutta 
Per  Renata  adornar  veggio  ridutta. 
73 

Lungo  sarà  che  d'Alda  di  Sansogna 
Narri,  o  de  la  Contessa  di  Celano, 
O  di  Bianca  Maria  di  Catalogna, 
O  de  la  figlia  del  Re  Sicigliano, 
O  della  bella  Lippa  da  Bologna, 
E  d'altre;  che  s'io  vo'  di  mano  in  mano 
Venirtene  dicendo  le  gran  lode, 
Entro  in  un  alto  mar  che  non  ha  prode. 
74 

Poi  che  le  raccontò  la  maggior  parte 
De  la  futura  stirpe  a  suo  grand'agio, 
Più  volte  e  più  le  replicò  de  l'arte 
Ch'avea  tratto  Ruggier  dentro  al  palagio. 
Melissa  si  fermò,  poi  che  fu  in  parte 
Vicina  al  luogo  del  vecchio  malvagio; 
E  non  le  parve  di  venir  più  inante. 
Acciò  veduta  non  fosse  da  Atlante; 
.  75 

E  la  Donzella  di  nuovo  consiglia 
Di  quel  che  mille  volte  ormai  l'ha  detto. 
La  lascia  sola;  e  quella  oltre  a  dua  miglia 
Non  cavalcò  per  un  sentiero  istretto. 
Che  vide  quel  ch'ai  suo  Ruggier  simiglia; 


73.  1.  Alda  di  S.  Non  ha  fondamento  sto- 
rico. V.  e.  Ili,  26,  n.  7. 

—  2.  Contessa  di  C.  Alcuni  commentatori, 
seguendo  il  Caleflfìni,  la  dicono  moglie  di 
un  Azzo,  altri  credono  che  sia  una  lìglia  di 
Ferdinando  I  d'  Este  maritata  al  conte  dì 
Celano.  Ma  nei  migliori  genealogisti  non  si 
trova  traccia  della  prima;  la  seconda  non 
sarebbe  sposa  di  casa  d' Este  Cfr.  st.  66,  v. 
4.  Si  ha  dunque  una  confusione  genealogica, 
da  aggiungere  alle  altre  del  e.  iir. 

—  3.  Bianca  M.  d.  C.  I  genealogisti  la  chia- 
mano soltanto  Maria.  Fu  figlia  di  Alfonso 
dWragona  (la  Catalogna  fu  unita  fin  dal 
1137  all'Aragona)  re  di  Napoli,  e  moglie  di 
Lionello  d'Este. 

—  4.  figlia  del  R.  S.,  Beatrice,  figlia  di 
Carlo  II  d'Anjou,  re  di  Sicilia;  sposò  (1305) 
AZZO  viir. 

—  5.  Lippa;  Lippa  Ariosti,  della  famiglia 
del  Poeta,  famosa  per  la  sua  bellezza,  fu 
concubina  di  Obizzo  III  e  si  dice  la  sposas- 
se in  punto  di  morte,  per  legittimare  gli 
undici  figli,  che  ne  aveva  avuto. 

—  7.  lode.  O  è  il  plurale  di  loda  (cfr.  e. 
XV,  2,  1);  o  è  il  plurale  di  lode  secondo  ciò 
che  si  è  detto  al  e.  ix,  81,  n.  1. 

74.  1.  Poi  che  le  r.  Più  comunem.  il  tra- 
pass, ebbe  raccontato;  ma  i  nostri  scrit- 
tori con  poi  che  usarono  spesso  il  passato 
remoto,  imitando  la  costruzione  latina  di 
post  quam. 

75.  2.  l'ha;  le  ha.  V.  st.  54,  n.  4. 


[  E  dui  giganti  di  crudele  aspetto 
Intorno  avea,  che  lo  stringean  si  forte, 
Ch'era  vicino  esser  condotto  a  morte. 
76 

Come  la  donna  in  tal  periglio  vede 
Colui  che  di  Ruggiero  ha  tutti  i  segni, 
Subito  cangia  in  sospizion  la  fede. 
Subito  oblia  tutti  i  suoi  bei  disegni. 
Che  sia  in  odio  a  Melissa  Ruggier  crede. 
Per  nuova  ingiuria  e  non  intesi  sdegni, 
E  cerchi  far  con  disusata  trama 
Che  sia  morto  da  lei  che  cosi  l'ama. 
77 

Seco  dicea:  Non  è  Ruggier  costui, 
Che  col  cor  sempre,  et  or  con  gli  occhi  veg- 
E  s'or  non  veggio  e  non  conosco  lui,   [gio? 
Che  mai  veder  o  mai  conoscer  deggio  ? 
Perché  voglio  io  de  la  credenza  altrui. 
Che  la  veduta  mia  giudichi  peggio? 
Che  senza  gli  occhi  ancor,  solper  sé  stesso 
Può  il  cor  sentir  se  gli  è  lontano  o  appresso. 
78 

Mentre  che  cosi  pensa,  ode  la  voce 
Che  le  par  di  Ruggier,  chieder  soccorso; 
E  vede  quello  a  un  tempo,  che  veloce 
Sprona  il  cavallo  e  gli  rallenta  il  morso, 
E  l'un  nemico  e  l'altro  suo  feroce. 
Che  lo  segue  e  lo  caccia  a  tutto  corso. 
Di  lor  seguir  la  Donna  non  rimase, 
Che  si  condusse  all'incantate  case. 
79 

De  le  quai  non  più  tosto  entrò  le  porte. 
Che  fu  sommersa  nel  commune  errore. 
Lo  cercò  tutto  per  vie  dritte  e  torte 
In  van  di  su  e  di  giù,  dentro  e  di  fuore: 
Né  cessa  notte  o  di;  tanto  era  forte 
L'incanto:  e  fatto  avea  l'incantatore. 
Che  Ruggier  vede  sempre,  e  gli  favella, 
Né  Ruggier  lei,  né  lui  riconosce  ella. 
80 

Ma  lasciàn  Bradamante,  e  non  v'incre- 
Udir  che  cosi  resti  in  quello  incanto;  [sea 
Che  quando  sarà  il  tempo  ch'ella  n'esca, 


—  6.  dni.  V.  e.  i,  16,  n.  2. 

—  8.  vicino  ess.;  vicino  a  ess.  V.  e.  i,  4, 
n.  1. 

76.  3.  sospizion  (lat.  suspicionem)  sospet- 
to. —  la  fede,  che  aveva  in  Marflsa. 

—  6.  intesi  saputi  (da  lei).  V.  e.  xliii,  80. 
Machiav.  Leg.  Cam.  «  Quando  mi  troverò 
in  luoghi  più  atti  ad  intendere,  ne  potrò 
dare  più  certa  notizia  ». 

77.  5.  de  la  e.  a.  Nota  la  dura  inversione. 

78.  8.  Che;  finché.  Cfr.  st.  7,  n.  4. 

79.  1.  entrò  1.  p.  V.  e.   Vili,  85,  n.  1. 

—  3.  Lo  e.  tutto.  Sillessi  0  costruz.  di  pen- 
siero. Sopra  l'A.  ha  detto  incantate  case  ; 
ma  qui  aveva  in  mente  palagio.  V.  canto 
xxxviii,  47,  7. 

80.  1.  lasciàn;  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 


Ib4 


ORLANDO  FURIOSO 


La  farò  uscire,  e  Ruggier(^  altretanto. 
Come  raccende  il  gusto  il  mutar  esca, 
Cosi  mi  par  che  la  mia  istoria,  quanto 
Or  qua  or  là  più  variata  sia, 
Meno  a  chi  l'udirà  noiosa  fia. 
81 

Di  molte  fila  esser  bisogno  parme 
A  coudur  la  gran  tela  ch'io  lavoro. 
E  però  non  vi  spiaccia  d'ascoltarme, 
Come  fuor  de  le  stanze  il  popol  Moro 
Davanti  alRe  Agramantehapreso  l'arme, 
Che,  molto  minacciando  ai  Gigli  d'oro, 
Lo  fa  assembrare  ad  una  mostra  nova, 
Per  saper  quanta  gente  si  ritrova: 
82 

Perch'oltre  i  cavallieri,  oltre  i  pedoni 
Ch'ai  numero  sottratti  erano  in  copia, 
Mancavan  capitani,  e  pur  de'  buoni. 


—  7.  or  qna  o.  1.;  andando  ora  qua  ora 
là  col  racconto. 

81.  I.  Di  m.  f.  Vedi  la  stessa  immagine 
al  e.  Il,  30. 

—  4.  stanze,  alloggiamenti.  Dava<:zati, 
Vit.  Agr.  «  Condusse  le  genti...  alle  stanze  », 
Tacito  ha  hibernis. 

—  6.  Gigli  d'o.  V.  e.  I,  16,  n.  8. 


E  di  Spagna  e  di  Libia  e  d'Etiopia: 

E  le  diverse  squadre  e  le  nazioni 
Givano  errando  senza  guida  propia. 
Per  dare  e  capo  et  ordine  a  ciascuna. 
Tutto  il  campo  alla  mostra  si  raguna. 
83 
In  supplimento  de  le  turbe  uccise 
Ne  le  battaglie  e  ne'  fieri  conflitti, 
L'un  Signore  in  Ispagna,  e  l'altro  mise 
In  Africa,  ove  molti  n'eran  scritti: 
E  tutti  alli  lor  ordini  divise, 
E  sotto  i  duci  lor  gli  ebbe  diritti. 
Differirò,  Signor,  con  grazia  vostra, 
Ne  l'altro  Canto  l'ordine  e  la  mostra. 


82.  4.  Libia.  V.  e.  XII,  n.  1. 

—  5.  nazioni;  i  gruppi  appartenenti  ai  32 
regni  dell'Africa,  e  ai  molti  della  Spagna 
che  presero  parte  alla  guerra. 

83.  3.  L'nn  Sign.;  Marsilio.  —  mise  (lat. 
misit)  mandò  (a  prenderne).  Allegorie  sopra 
le  Metam.  d'Ovid.  11:  «Ulisse  mise  amba- 
sciatori ad  Antifate  ». 

—  4.  scritti  (lat.  conscripti)  arruolati. 

—  6.  diritti,  indirizzati.  Pucci,  Centil.  47, 
53  :  «  Ma  tutti  verso  lor  si  fur  diritti  ». 


CANTO  XIV 


Xei  molti  assalti  e  nei  crudel  conflitti, 
Ch'  avuti  avea  con  Francia  Africa  e  Spa- 
Morti  erano  infiniti,  e  derelitti  [gna, 

Al  lupo,  al  corvo,  all'aquila  grifagna: 
E  benché  i  Franchi  fossero  più  afflitti, 
Che  tutta  avean  perduta  la  campagna  ; 
Più  si  doleano  i  Saracin,  per  molti 
Principi  e  gran  Baron  ch'eran  lor  tolti. 
2 

Ebbon  vittorie  cosi  sanguinose. 
Che  lor  poco  avanzò  di  che  allegrarsi. 
E  se  alle  antique  le  moderne  cose. 
Invitto  Alfonso,  denno  assimigliarsi; 
La  gran  vittoria,  onde  alle  virtuose 
<Jpere  vostre  può  la  gloria  darsi. 
Di  ch'aver  sempre  lacrimose  ciglia 
Ravenna  debbe,  a  queste  s'assimiglia: 


Quando  cedendo  Morini  e  Picardi, 
L'esercito  Normando  e  l'Aquitano, 
Voi  nel  mezzo  assaliste  li  stendardi 
Del  quasi  vincitor  nimico  Ispano, 
Seguendo  voi  quei  gioveni  gagliardi. 
Che  meritar  con  valorosa  mano 


1.  8.  eran...  tolti;  L'imperf.  invece  del 
trapass,  pross.  indica  che  l'effetto  durava 
tuttavia  nel  presente. 

2. 5.  La  gran  v.  Allude  alla  battaglia  di  Ra- 
venna vinta  dai  Francesi  (11  aprile  1512), 
specialmente  per  l'abilità  e  il  coraggio  d'Al- 
fonso d' Este  e  de'  suoi.  L'A.  fu  presente  a 
questa  battaglia,  come  si  rileva  dalla  Elegia 
X,  31-48. 


3.  1.  Morini.  È  nome  di  un  popolo  antico, 
che  abitava  nella  Gallia  (propriam.  nella 
Belgica,  odierno  Boulonuois  e  Artois). 

—  2.  Aquitano.  A'/uitania  dissero  gli  anti- 
chi la  moderna  Guascogna.  Nomina  questi 
popoli  per  tutto  l'esercito  Francese. 

—  4.  quasi  vino.  Trovandosi  i  due  eser- 
citi, Spagnuolo  e  Francese,  a  fronte,  né 
osando  alcun  dei  due  avanzare,  l'artiglieria 
del  Navarro  blfendeva  assai  i  Francesi,  che 
avrebbero  ripiegato,  se  Alfonso,  facendo 
avanzare  le  sue  artiglierie,  non  avesse  co- 
minciato a  batter  di  fianco  gli  Spagnuoli, 
restituendo  cosi  le  sorti  della  battaglia. 

—  5.  quei  g.  g.  Alfonso  avea  seco  100  uo- 
,  mini  d'arme  e  200  cavalli  leggeri.  Il  Giovio, 
j  Vita  d' Aif.   I,  conferma  :  «  Alfonso,  dopo 

aver  fulminato  colle  artiglierie,  con  un  pu- 
gno di  suoi  cavalieri  pesanti  si  lanciò  nella 
I  nemica  schiera  disordinata  e  si  incontrò  in 


CANTO  XIV 


155 


Quel  di  da  voi,  per  onorati  doni, 
L'else  indorate  e  gl'indorati  sproni. 

4 
Con  si  animosi  petti  che  vi  foro 
Vicini  0  poco  lungi  al  gran  periglio, 
Crollaste  si  le  ricche  Glande  d'oro, 
Si  rompeste  il  baston  giallo  e  vermiglio, 
Ch'a  voi  si  deve  il  trionfale  alloro, 
Che  non  fu  guasto  né  sfiorato  il  Giglio. 
D'un' altra  fronde  v'orna  anco  la  chioma 
L'aver  serbato  il  suo  Fabrizio  a  Roma. 

5 
La  gran  Colonna  del  nome  Romano, 
■Che  voi  prendeste,  e  che  servaste  intera. 


Fabrizio  Colonna,  che,  circondato  dai  ne- 
mici, era  con  spade  e  scudi  colpito  ». 

—  8.  L'else  i.  ecc.  ;  meritarono  d' esser 
fatti  cavalieri.  Gli  sproni  d'oro,  l'elsa  e  il 
pomo  della  spada  dorati  erano  il  distintivo 
dei  cavalieri.  Dante,  Pai:  xvi,  101  :  «  avea 
Galigaio  Dorata  in  casa  sua  già  l'elsa  e  il 
pome  ».  PiSTOFiLO,  Vita  d'Alf.,  i,  28:  «  Fece 
il  predetto  duca  Alf.,  finita  che  fu  la  batta- 
glia, alcuni  de' suoi  gentiluomini  cavalieri 
e  tra  gli  alti-i  il  conte  Alessandro  Farufini 
e  Messer  Vincenzo  Mosti  ». 

4.  3.  Glande  d'o.  Sulla  forma  glande  cfr. 
VII,  57,  n.  6.  Le  ghiande  d'oro  mdicano  Giu- 
lio II  della  Rovere,  che  avea  per  arme  di 
famiglia  una  quercia  con  ghiande  d'oro. 

—  4.  il  baston  g.  e  v.  Allude  alla  Spagna, 
che  ha  nella  sua  bandiera  questi  colori.  Qui 
bastone  è  usato  come  segno  del  comando 
militare.  Guicci.vrd.  S.  /.  4,  134:  «mentre 
che  aveva  in  mano  il  bastone  dei  Venezia- 
ni ». 

—  5.  trionfale  a.  È  la  corona  triumphalis 
dei  Romani,  che  era  di  foglie  d'alloro,  e  si 
dava  al  trionfatore.  Qui,  figuratamente,  vuol 
dire  l'onore  della  vittoria. 

—  6.  Che.  Forse  è  da  intendere  pel  quale, 
cioè  ijer  la  qual  vittoria.  V.  e.  xui,  37,  a. 
5.  Ma  si  può  anche  intendere  :  poiché. 

—  11  Giglio .  V.  e.  I,  46,  n.  8. 

—  7.  D' un'  altra  f.  Alcuni  intendono  la  co- 
rolla civica,  che  i  Romani  davano  a  chi 
salvava  in  guerra  la  vita  a  un  commilitone. 
In  questo  senso  si  dovrebbe  intendere  con 
qualche  larghezza,  perché  Fabrizio,  sebbene 
italiano  come  Alfonso,  era  suo  nemico  in 
guerra.  Si  può  anche  intendere,  senza  rife- 
rimento al  trionfale  alloro  e  alle  usanze  Ro- 
mane: s'orna  d'  un' altra  gloria. 

—  8.  il  s.  Fabr.  Fabrizio  Colonna  si  dette 
prigioniero  ad  Alfonso,  il  quale  rifiutò  osti- 
natamente di  consegnarlo  ai  Francesi,  che 
lo  domandavano,  e  anzi,  dopo  averlo  ono- 
rato, lo  rimandò  senza  riscatto  e  con  ma- 
gnifici doni. 

5.  1.  La  s    Colonna.    L' A.   ebbe  presente 


Vi  dà  più  onor  che  se  di  vostra  mano 
Fosse  caduta  la  milizia  fiera, 
Quanta  n'  ingrassa  il  campoìftavegnano, 
E  quanta  se  n'andò  senza  bandiera 
D'Aragon,  di  Castiglia  e  di  Navarra, 
Veduto  non  giovar  spiedi  né  carra, 
(5 

Quella  vittoria  fu  pili  di  conforto, 
Che  d'allegrezza;  perché  troppo  pesa 
Centra  la  gioia  nostra  il  veder  morto 
Il  Capitan  di  Francia  e  de  l'impresa; 
E  seco  avere  una  procella  absorto 
Tanti  Principi  illustri,  ch'a  difesa 
Dei  regni  lor,  dei  lor  confederati. 
Di  qua  da  le  fredd'Alpi  eran  passati. 
7 

Nostra  salute,  nostra  vita  in  questa 
Vittoria  suscitata  si  conosce, 
Che  difende  che  '1  verno  e  la  tempesta 
Di  Giove  irato  sopra  noi  non  croscè: 
Ma  né  goder  potiam,  né  farne  festa. 


qui  e  al.  v.  4  della  st.  7  il  sonetto  del  Pe- 
trarca a  Stefano  Colonna  :  «  Gloriosa  colon- 
na, in  cui  s'appoggia  Vostra  speranza  e  il 
gran  nome  latino  ». 

—  5.  ne.  È  pleonastico. 

—  8.  non  giovar  ecc.  «  Pietro  Navarra... 
aveva  in  sul  fosso  alla  fronte  della  fanteria 
collocate  trenta  carrette....  cariche  d'arti- 
glierie minute  con  uno  spiede  lunghissimo 
sopra  esse,  per  sostenere  più  facilmente  l'as- 
salto dei  Franzesi  »  GuiccrARDiN'i,  S.  /. 
lib.  X. 

6.  1.  pili  di  e.  Che  d'a.;  Di  conforto  per 
quel  che  dice  nella  st.  7;  non  d'  allegrezza 
per  quel  che  dice  in  questa. 

—  4.  Il  C.  di  Francia,  Gastone  diFoix  (148S- 
1512)  condottiero  delle  truppe  Francesi;  il 
quale,  volendo  in  questa  battaglia  inseguire 
i  nemici  sbaragliati,  fu  ucciso;  e  con  lui 
perirono  molti  illustri  personaggi  francesi. 

—  5.  absorto;  Forma  poetica  per  assorto, 
assorbito.  Assorbito,  è  la  forma  più  natu- 
rale, ma  forse,  nota  il  Mastrolini,  più  rara 
di  assorto  nell'  uso  degli  autori. 

—  7.  regni;  domini.  È  significato  non  re- 
gistrato dai  Vocabolari.  —  confederati.  11 
Poeta  aveva  in  mente  il  duca  di  Ferrara, 
principale  amico  di  Francia. 

7.  3.  Che  difende;  la  quale  vittoria  impe- 
disce. Per  difendere  in  questo  senso  e  colla 
proposiz.  oggettiva  dipendente  si  cita,  non 
però  dalla  Crusca,  questo  solo  es.  dell'-^.  Col 
complemento  diretto  cfr.  e.  ii,  34,  n.  6. 

—  4.  Giove  ir.  GiuUo  li.  L'immagine  è 
del  Petr.  son.  citat.  st.  5:  «Che  ancor  non 
torse  dal  vero  cammino  L'ira  di  Giove  (Bo- 
nifazio vili)  per  ventosa  pioggia  ».  —  cre- 
sce, crosci.  V.  e.  xiti,  10,  n.  3. 

—  5.  potiam  ;  possiamo.  Forma  popolare 


356 


ORLANDO  FURIOSO 


Sentendo  i  grau  raraarìchi  e  l'angosce, 
Ch'in  veste  bruna  e  lacrimosa  guancia 
Le  vedovel]e  fan  per  tutta  Francia. 
8 

Bisogna  che  proveggia  il  Re  Luigi 
Di  nuovi  capitani  alle  sue  squadre, 
Che  per  onor  de  l'aurea  Fiordaligi 
Castighino  le  man  rapaci  e  ladre. 
Che  suore,  e  frati  e  bianchi  e  neri  e  bigi 
Violato  hanno,  e  sposa  e  figlia  e  madre; 
Gittato  in  terra  Cristo  in  sacramento, 
Per  torgli  un  tabernacolo  d'apgento. 
9 

O  misera  Ravenna,  t'era  meglio 
Ch'ai  vincitor  non  fessi  resistenza; 
Far  ch'a  te  fosse  innanzi  Brescia  speglio, 
Che  tu  lo  fossi  a  Arimino  e  a  Faenza. 
Manda,  Luigi,  il  buon  Traulcio  veglio. 
Ch'insegni  a  questi  tuoi  più  continenza, 
E  conti  lor  quanti  per  simil  torti 
Stati  ne  sian  per  tutta  Italia  morti. 


toscana,  viva  ancora,  e  non  rara  negli  an- 
tichi scrittori.  Luigi  XII  a  chi  si  congratu- 
Java  di  questa  vittoria  rispondeva  :  «  Augu- 
rate di  tali  vittorie  a'  miei  nemici  ». 

8.  1-2.  proveggia...  di...  alle.  V.  per  il  co- 
strutto, e.  V,  91,  3. 

—  3.  Fiordaligi  (frane,  jieurs  de  lis,  tra- 
dotto dagli  Italiani  Fiordaligi  o  Fiordaliso). 
Sono  i  gigli  d'oro,  di  cui  al  e.  i,  46,  n.  8. 
Come  il  francese  fleur,  l'italiano  Fiorda- 
ligi si  è  couservato  femminile. 

—  7.  Gittato  in  terra  ecc.  Accenna  a  un 
fatto,  che  fece  strepito  e  che,  narrato  da  Giro- 
lamo Rossi  antico  storico  di  Ravenna,  è  ri- 
portato dal  Muratori,  Ant.  Estensi,  ii,  240: 
«  Un  soldato  rubò  una  pisside,  gettando 
l'ostia:  accorso  uu  religioso,  gli  comandò 
di  restituire  il  vaso  sacro,  vi  ripose  l'ostia  e 
la  portò  processionalmente  all'  abitazione 
del  Duca  Alfonso,  due  miglia  fuori  di  Ra- 
venna, dove  fu  da  Alfonso  e  da  tutti  vene- 
rata con  altissimi  onori  ». 

9.  3.  Far  eh'  a  te  ecc.  L'eccidio  di  Brescia, 
accaduto  poco  avanti  (19  febbraio)  non  servi 
d'esempio  a  Ravenna  per  indurla  a  miti 
consigli:  ma  l'esempio  di  questa  servi  ben 
d'esempio  a  Imola,  a  Forlì,  a  Cesena,  a  Ri- 
mini, a  Faenza  ecc.,  che  non  fecero  perciò 
nessuna  resistenza  ai  Francesi.  —  speglio, 
esempio,  v.  e.  xvi,  18,  8.  | 

—  5.  Tranlcio;  Giaugiacomo  Trivulzio  o 
Triulzio  (1436-1515)  prode,  non  buon  gene-  | 
rale,  avea  dato  prova  di  ferocia,  non  di  con-  ' 
tinenza,  specialmente  quando  fu  governa-  > 
tore  di  Milano  (1499-1500).  Qui  l'A.  invocali  i 
Triulzio,  forse  per  compiacere  alla  corte  '< 
iistense,  della  quale,  nel  1511,  era  stato,  [ 
colle  armi  Francesi,  fedele  aiuto  contro  il  ' 
j.apa.  j 

—  7.  quanti  ecc.  Allude  in  generale  alle  1 


10      . 

Come  di  capitani  bisogna  ora 
Che '1  Re  di  Francia  al  campo  suo  proyeg- 
Cosi  Marsilio  et  Agramante  allora,    [già. 
Per  dar  buonreggimentoallasuagreggia. 
Dai  lochi  dove  il  verno  fé'  dimora, 
Vuol  ch'in  campagna  all'ordine  si  veggia; 
Perché  vedendo  ove  bisogno  sia. 
Guida  e  governo  ad  ogni  schiera  dia. 
11 

Marsilio  prima,  e  poi  fece  Agramante 
Passar  la  gente  sua  schiera  per  schiera. 

I  Catalani  a  tutti  gli  altri  inante 
Di  Dorifebo  van  con  la  bandiera. 
Dopo  vien,  senza  il  suo  Re  Folvirante 
Che  per  man  di  Rinaldo  già  morto  era, 
Le  gente  di  Navarra  ;  e  lo  Re  Ispano 
Halle  dato  Isolier  per  capitano. 

12 
Balugante  del  popol  di  Leone, 
Grandonio  cura  degli  Algarbi  piglia. 

II  fratel  di  Marsilio,  Falsirone, 

Ha  seco  armata  la  minor  Castiglia. 
Seguon  di  Madarasso  il  gonfalone 
Quei  che  lasciato  han  Malaga  e  Siviglia, 
Dal  mar  di  Gade  a  Cordova  feconda 
Le  verdi  ripe  ovunque  il  Beti  inonda. 
13 
Stordilano  e  Tesìra  e  Baricondo, 
L' un  dopo  l'altro,  mostra  la  sua  gente  : 


ribellioni  contro  prepotenti  stranieri,  come 
Carlo  d'Anjou,  il  Duca  d'Atene,  Carlo  VI  li,  ec. 
10. 4-6.  Vnol.  L'A.  usa  vuol  e  sua,  sebbene 
il  soggetto  siano  due  persone,  per  indicare 
che  ciascun  di  loro  attende  per  suo  conto 
a  dare  gli  ordini  opportuni. 

11.  4.  Dorifebo.  I  nomi  di  questi  capitani 
l'A.  li  ha  presi,  per  la  maggior  parte,  dal 
Boiardo,  che,  alla  sua  volta,  li  ricevè,  tranne 
pochi,  dalla  tradizione  romanzesca. 

12.  1.  Leone,  o  Leon;  Antichissimo  regno 
Spagnuolo,  che  fu  unito  alla  Castiglia  nel 
sec.  XIII.  11  nome  è  rimasto  a  una  provincia 
della  Spagna. 

—  2.  Algarbi;  gli  abitanti  di  Algarve,  che 
fu  pure  un  antico  regno  ;  e  oggi  è  una  pro- 
vincia del  Portogallo. 

—  4.  la  m.  Castiglia;  la  Vecchia  C,  che 
è  più  piccola  della  Nuova  C. 

—  5.  Madarasso  ;  Il  Boiardo  la  chiama  Ma- 
rad  as\o. 

—  7.  Gade;  Gades,  o  Cadice 

—  8.  Le  verdi  r.  ;  Si  può  intendere  dipen- 
dente da /"ecowda  con  costruzione  alla  greca: 
feconda  le  verdi  ripe.  O  si  può  intendere 
come  complemento  diretto  di  inonda,  e  iniio 
il  verso  come  dichiarazione  del  precedente: 
cioè  per  tutto  quello  spazio  (ovunque)  in 
cui  il  Beti  inonda  le  verdi  ripe.  —  Beti  è  an- 
tico nome  del  fiume  Guadalquivir. 


CANTO  XIV 


15^ 


Granata  al  primo,  Ulisbona  al  secondo, 
E  Waiorica  al  terzo  è  iibidieute. 
Fu  d' Ulisbona  Re  (tolto  dal  mondo 
Larbin)  Tessira,  di  Larbin  parente. 
Poi  vien  Gallizia,  che  sua  guida,  iu  vece 
Di  Maricoldo,  Serpentino  fece. 
14 

Quei  di  ToUedo  e  quei  di  Calatrava, 
Di  ch'ebbe  Sinagon  già  la  bandiera, 
Con  tutta  quella  gente  che  si  lava 
In  Guadiana  e  bee  della  riviera, 
L'audace  Matalista  governava: 
Bianzardin  quei  d'Asturga  in  una  schiera 
Con  quei  di  Salamanca  e  di  Piagenza, 
D'Avila,  di  Zauiora  e  di  Palenza. 
15 

Di  quei  di  Saragosa  e  de  la  corte 
Del  Re  Marsilio  ha  Ferrati  il  governo: 
Tutta  la  gente  è  ben  armata  e  forte. 
In  questi  è  Malgariuo,  Balinverno, 
Malzarise  e  Morgante,  ch'una  sorte 
Avea  fatto  abitar  paese  esterno; 
Che  poi  che  i  regni  lor,  lor  furon  tolti. 
Gli  avea  Marsilio  in  corte  sua  raccolti. 
16 

In  questa  è  di  Marsilio  il  gran  bastardo, 
Follicon  d'Alraeria,  con  Doriconte, 
Bavarte  e  Largalifa  et  Analardo, 
Et  Archidaute  il  Sagontino  Conte, 
E  l'A.niirante  e  Langhiran  gagliardo, 
E  Malagur  ch'avea  l'astuzie  pronte. 
Et  altri  et  altri,  di  quai  penso,  dove 
Tempo  sarà,  di  far  veder  le  prove. 


18.  3.  Ulisbona.  (lat.  Olisiponem  e  basso 
lat.  Oìisipona)  Lisbona.  Fazio  degli  Ub.  Ditt. 
IV,  27,  sa  :  «  Ulissipou...  Ch'edificò  Ulisse 
per  mostrare  Ch'egli  era  stato  al  fin  di  que- 
sto regno  ». 

—  4.  Maiorica;  Forma  usata  spesso  dagli 
antichi  per  Maiorca;  la  più  grande  delle 
Baleari. 

14.  1.  Calatrava;  Città  della  provincia  di 
Ciudad-Real. 

—  6.  Asturga;  il  regno  delle  Asturie. 

—  7.  Piagenza,  Placencia,  città  e  prov.  di 
Spagna. 

15.  1.  Saragosa,  Saragozza. 

—  5.  Malzarise,  Morgante,  due  re  già  no- 
minati dal  Boiardo",  i  quali,  cacciati  dal  loro 
regno,  erano  stati  costretti  dalla  stessa  di- 
sgrazia a  rifugiarsi  presso  Marsilio. 

16.  3.  Largalifa;  Il  Boiardo  lo  chiama l'Ar- 
ffalifa,  e  cosi  pure  l'A.  nel  e.  xviii,   44,  3. 

—  4.  Sagontino  ;  di  Sagunto  ;  oggi  Mur- 
viedro,  città  di  Spagna. 

—  5.  l'Amirante.  Cosi  anche  il  Boiardo.  Le 
ed.  d.  '16,  del  '21  e  il  Morali  hanno  Lamirante. 

—  7.  di  quai.  V.  e.  il,  15,  n.  8. 


17 

Poi  che  passò  l'esercito  di  Spagna 
Con  bella  mostra  inauzi  al  ReAgramante, 
Con  la  sua  squadra  ai)parve  alla  campagna 
Il  Re  d'Oran,  che  quasi  era  gigante. 
L'altra  che  vien,  per  Martasin  si  lagna. 
Il  quai  morto  le  fu  da  Bradamante; 
E  si  duol  ch'una  femina  si  vanti 
D'aver  ucciso  il  Re  de'  Garamanti. 
18 

Segue  la  terza  schiera  di  Marmonda, 
Ch'Argosto  morto  abbandonò  in  Guasco- 
Aquesta  un  capo,  come  alla  seconda,  [gna, 
E  come  anco  alla  quarta,  dar  bisogna. 
Quantunque  il  Re  Agramantenon  abonda 
Di  capitani,  pur  ne  tinge  e  sogna: 
Dunque  Buraldo,  Ormida,  Arganio  elesse, 
E  dove  uopo  ne  fu,  guida  li  messe. 
19 

Diede  ad  Arganio  quei  di  Libicana, 
Che  piangean  morto  il  negro  Dudriuasso. 
Guida  Brunello  i  suoi  di  Tingitana, 
Con  viso  nubiloso  e  ciglio  basso; 
Che,  poi  che  ne  la  selva  non  lontana 
Dal  Castel  ch'ebbe  Atlante  in  cima  al sas- 
(tH  fu  tolto  l'anuel  da  Bradamante       so. 
Caduto  era  iu  disgrazia  al  ReAgramante: 
20 

E  se  '1  fratel  di  Ferrati,  Isoliero, 
Ch'  a  l'arbore  legato  ritrovollo, 
Non  facea  fede  inanzi  al  Re  del  vero. 
Avrebbe  dato  iu  su  le  forche  un  crollo. 
Mutò  a  prieghi  di  molti  il  Re  pensiero, 
Già  avendo  fatto  porgli  il  laccio  al  collo: 
Gli  lo  fece  levar,  ma  riserbarlo 
Pel  primo  error  ;  che  poi  giurò  impiccarlo: 
•21 

Si  ch'avea  causa  di  venir  Brunello 
Col  viso  mesto  e  con  la  testa  china. 


17.  4.' Il  re  d'Oran  ;  Marbalusto.  —  Oran  ; 
città  della  moderila  Algeria. 

—  5.  Martasin;  Innam.  Ili,  vi,  13.  È  uc- 
ciso da  Bradamante,  perché,  sorpresala,  l'ha 
ferita  nella  testa. 

—  8.  Garamanti  ;  Antico  popolo  della  Libia 
interiore. 

18.  1.  Marmonda;  Forse  Mahmon,  città  sul 
mare,  non  lontana  da  Fez. 

—  6.  ne  finge  e  s.;  Sebbene  non  siano 
adatti  come  capitani,  pure  se  li  immagina 
e  se  li  sogna  tali  nel  suo  cervello. 

19.  1.  Libicana;  Libia;  come  Serica »i«  in- 
vece di  Serica  ;  Mangiana  invece  di  Mangi. 

—  3.  Tingitana,  Mauritania  Tingitana, 
che  corrisponde,  in  gran  parte,  al  moderno 
Marocco. 

20.  2.  Ch'a  l'arb.  Non  si  accenna  altrove 
questa  circostanza,  relativa  ad  Isoliero. 

—  5.  a  prieghi,  ai  pr.  V.  e.  il,  15,  n.  S. 

—  7.  Gli  lo  ;  V.  e.  V,  89,  n.  4. 


158 


ORLANDO  FURIOSO 


Seguia  poi  Farurante  e  dietro  a  quello 
Erau  cavalli  e  fanti  di  Mauriua. 
Venia  Libanio  appresso,  il  Re  novello: 
La  gente  era  con  lui  di  Costautina  ; 
Però  che  la  corona  e  il  baston  d'oro 
Gli  ha  dato  il  Re,  che  fu  di  Piuadoro. 

22 
Con  la  gente  d'Esperia  Soridano, 
E  Dorilon  ne  vien  con  quei  di  Setta: 
Ne  vien  coi  Nasamoni  Puliano. 
Quelli  d'Amonia  il  Re  Agricalte  affretta; 
Malabnferso  quelli  di  Fizano. 
Da"Finadurro  è  l'altra  squadra  retta. 
Che  di  Canaria  viene  e  di  Marocco: 
Balastro  ha  quei  che  tur  del  Re  Tardocco. 

23 
Due  squadre,una  di  Mulga,una  d'Arzilla, 
Seguono:  f  questa  ha '1  suo  Signor  antico; 
Quella  n'è  priva;  e  però  il  Re  sortilla, 
E  diella  a  Corineo  suo  lido  amico. 
E  cosi  de  la  gente  d'Almansilla, 
Ch'ebbe  Tanfirìon,  fé'  Re  Caico  : 
Die  quella  di  Getulia  a  Rimedonte. 


21.  4.  Maurina;  Mauritania. 

—  6.  Costantina;  Cittfi  dell'Algeria. 

22.  1.  Esperia;  O  è  l'antica  Hesperides 
(oggi  Bengasi,  città  e  porto  nella  Tripoli- 
tania)  ;  o  sono  le  isole  del  Capo  Verde,  dette 
anticamente  insulae  Hesperides;  Di  questa 
regione  dice  il  Boiardo  II,  xxii,  6:  «Cotanto 
è  in  là  che  quasi  è  fuor  del  mondo.  Ed  è 
pur  negra  ancor  la  sua  genia  ». 

—  2.  Setta;  (lat.  Sepia)  Ceuta,  città  del- 
l'Affrica presso  lo  stretto  di  Gibilterra.  V. 
Dante,  laf.  xxv.  111. 

—  3.  Nasamoni  ;  (lat.  Nasamones)  Popolo 
antico,  che  abitava  pi-esso  la  Gran  Sirte, 
nella  parte  NE.  della  moderna  TripoUtania. 

—  4.  Amonia;  (lat.  Ammoniuin)  Nome  an- 
tico dell'Oasi  di  Siua  nel  deserto  di  Libia. 
Cosi  detta  dal  tempio  di  Giove  Ammone,  che 
ivi  era. 

—  5.  Fizano;  Fezzan ;  antico  regno  indi- 
pendente, solo  in  questo  secolo  provincia 
Turca  di  Tripoli. 

—  7.  Canaria;  Oggi  Gran  Canaria. 

23.  1.  Mnlga;  Forse  è  nome  fatto  dal  liume 
Molocbath  nell'Algeria.  C.  —  Arzilla,  Arzila 
nel  regno  di  Fez. 

—  3.  sortilla  ecc.  ;  la  destinò.  Dante, 
Par.,  18, 105*  Siccome  il  Sol,  che  le  accende, 
sortine  ».  Sortilla  dice  il  decreto  fatto,  diella 
dice  la  consegna  effettiva. 

—  5.  Almansilla;  Forse  il  paese  degli  an- 
tichi Massili,  popolo  della  Nuraidia,  (Alge- 
i-ia)  C. 

—  7.  Getnlia;  La  regione  fra  la  catena 
dell'  Atlante  e  il  bacino  del  Niger,  detta  an- 
ticamente cosi  dall'antico  popolo  dei  Getuli, 
che  l'abitavano. 


Poi  vien  con  quei  di  Cosca  Balinfronte. 
24 

Quell'altra  schiera  è  la  gente  di  Bolga: 
Suo  Re  è  Clarindo,  e  già  fu  Mirabaldo. 
Vien  Baliverzo,  il  qual  vo'  che  tu  tolga 
Di  tutto  il  gregge  pel  maggior  ribaldo.. 
Non  credo  in  tutto  il  campo  si  disciolga 
Bandiera  ch'abbia  esercito  più  saldo 
De  l'altra,  con  che  segue  il  Re  Sobrino, 
Né  pili  di  lui  prudente  Saracino. 
25 

Quei  di  Bellamarina,  che  Gualciotto 
Solea  guidare,  or  guida  il  Re  d'Algieri 
Rodomonte  di  Sarza,  che  condotto 
Di  nuovo  avea  pedoni  e  cavallieri  ; 
Che,  mentre  il  sol  fu  nubiloso  sotto 
Il  gran  Centauro  e  i  corni  orridi  e  fieri. 
Fu  in  Africa  mandato  da  Agramante, 
Onde  venuto  era  tre  giorni  inante. 

Non  avea  il  campo  d'Africa  più  forte. 
Né  Saracin  più  audace  di  costui  ; 
E  più  temean  le  Parigine  porte, 


—  8.  Cosca  ;  Forse  questo  nome  di  paese 
è  fatto  dal  fiume  detto  Tusca  dagli  antichi, 
nella  Numidia.  Potrebbe  mai  essere  il  paese, 
che  ora  si  dice  Kaschna?  C. 

24.  1.  Belga;  È  luogo  ignoto  a  noi.  Il  Ca- 
sella dubita  se  s'abbia  a  intendere  la  pro- 
vincia di  Boke.  Il  Boiardo,  Inn.  Il,  xxii , 
10,  dice:  «  Ch' è  lungi  al  mare  ed  abita  fra 
terra  :  Grande  è  il  paese,  tutto  ardente  e 
caldo  :  Sempre  sua  gente  con  le  serpi  han 
guerra  ». 

—  7.  Sobrino;  Già  nelV Innam.  II,  i,  57,. 
è  detto  «  sacerdote  d'Apollino,  Saggio  e  de- 
gli anni  avea  più  di  novanta  »  ;  sconsiglia- 
la spedizione  in  Francia  ed  appare  già  pre-- 
disposto,  per  carattere,  a  quel  cambiamento, .  f 
che  vedremo  nel  e.  xliii,  193  del  Furioso. 

25.  1.  Bellamarina;  Antico  nome  della  co- 
sta dell'Algeria,  della  Tunisia  e  della  Tri- 
politania.  Uberti,  Dittam.  v,  6:  «Vidi  Ma- 
rocco e  poi  Bellamarina». 

—  3.  Rodomonte  ;  Grande  figura  creata 
dal  Boiardo,  che  usa  la  forma  Rodamonte. 
Dicono  che  si  compiacesse  tanto  d'aver  tro- 
vato questo  nome,  che  fece  sonare  a  festa 
le  campane  del  suo  castello  di  Scandiano. 
Rodomonte  era  re  di  Sarza  e  d'Algeri. 

—  5.  mentre  il  s.  ecc.  Il  sole  è  nel  Sagit- 
tario (secondo  la  favola,  il  centauro  Chirone 
fu  cangiato  in  questa  costellazione)  e  nel 
Capricorno  (corni  orridi  e  fieri)  dal  21  no- 
vembre al  21  gennaio.  Questo  viaggio  di 
Rodomonte  in  Affrica  a  raccoglier  soldati 
è  un'  invenzione  dell'A.,  non  del  Boiardo. 

86. 1-2.  pin  forte  Né  Sar.  Avverti  lo  sposta- 
mento non  comune  dal  sostantivo;  più  re- 
golarmente: più  f.  S.  né  più  a. 


CANTO  XIV 


159 


Et  avean  più  cagion  di  temer  lui. 

Che  Marsilio,  Agraniante,  e  la  gran  corte 

Ch'avea  seguito  in  Francia  questi  dui  : 

)E  pili  d'ogn' altro  che  facesse  mostra, 
Era  nimico  de  la  Fede  nostra. 
27 
Vien  Prus'i'one,  il  lie  de  l'Alvaracchie  ; 
Poi  quel  de  la  Zuraara,  Uardinello. 
Non  so  s'abbiano  o  nottole  o  cornacchie, 
O  altro  manco  et  importuno  augello, 
Il  qual  dai  tetti  e  da  le  fronde  gracchie. 
Futuro  mal  predetto  a  questo  e  a  quello; 
Che  fissa  in  ciel  nel  di  seguente  è  l'ora, 
Che  l'uno  e  l'altro  in  quella  pugna  muora. 
28 
In  campo  non  aveano  altri  a  venire. 
Che  quei  di  Tremisenne  e  di  Norizia; 


—  7.  facesse  mostra;  .Sottint.  <li  sé;  pas- 
sasse in  rassegna.  Dante,  Inf.,  xxii,  2  :  «  E 
cominciare  stormo  e  far  lor  mostra  ». 

27.  1.  Alvaracchie.  Inn.  li,  22,  13:  «Il  re 
de  rAlvaracchie  è  Prusione,  Che  l'isole  fe- 
lici son  chiamate  ».  Quest'  isole  felici  o  beate 
o  fortunate,  si  credettero  sede  del  paradiso 
terrestre  (V.  la  leggenda  di  S.  Brandano). 
Alcuni  le  confusero  colle  Canarie,  altri  le 
posero  ad  occidente  di  esse  ;  chi  la  disse 
una  sola,  chi  più:  ma  si  prestò  tanta  fede 
alla  leggenda,  che  V  isola  Fortunata  venne 
menzionata  pur  nel  trattato  con  cui  il  Por- 
togallo cede  alla  Castiglia  le  Canarie.  Sem- 
bra che  TA.  distingua  le  Alvaracchie  dalle 
Canarie,  di  cui,  secondo  la  st.  22,  7,  era  capo 
Finadurro.  V.  Pi, atto,  Trirmrii^xyóO. 

—  2.  Znmara  ;  Antico  nome  d'  una  regione 
dell'Affrica.  B. 

—  4.  manco  ;  sinistro,  di  cattivo  augurio. 
Sebbene  presso  i  Romani  il  volare  e  il  can- 
tare a  destra  degli  uccelli  fosse  di  cattivo 
augurio  e  a  sinistra  di  buono,  pure  trovansi 
esempì  del  contrario.  Ovid.  Eroid.  2,  127, 
ìidt.avlbus  sinistrls  nel  senso  di  cattivo  au- 
gurio :  lo  stesso  trovasi  in  Apul.  i  Met.  For- 
s' anche,'  prescindendo  da  questo  ricordo 
classico,  manco  ha  il  significato  del  più  co- 
mune sinistro,  come  in  questo  esempio  del 
Lancia,  Eneid.  3,  127:  «  contrista  il  ciel  con  j 
manco  lume  ».  —  importuno,  riferito  a  uc- 
cello di  cattivo  augurio  è  epiteto  Virgiliano, 
Georgica,  1,  470:  «  importunaeque  volucres 
Signa  dabant  ». 

28.  2.  Tremisenne...  Nor.  V.  e.  xil,  69.  E 
notiamo,  col  Casella,  che  molti  di  questi 
nomi  geografici  son  tolti  dal  Boiardo  e  che 
di  molti  è  difficile  dare  spiegazione  precisa, 
perché  sembran  fatti  ad  arbitrio,  sul  fon- 
damento di  qualche  somiglianza  di  suono  o 
nome  della  geografia  antica  o  medievale. 
E  col  Raina  notiamo  che  questo  catalogo, 
«ecco  e  nudo,  a  confronto  dei  Virgiliani  e 


Né  si  vedea  alla  mostra  comparire 
Il  segno  lor,  né  dar  di  sé  notizia. 
Non  sapendo  Agramante  che  si  dire, 
Né  che  pensar  di  questa  lor  pigrizia; 
Uno  scudiero  al  fin  gli  fu  condutto 
Del  Re  di  Tremisen,  che  narrò  il  tutto. 
29 

E  gli  narrò  ch'Alzirdo  e  Manilardo 
Con  molti  altri  de'  suoi  giaceano  al  campo  : 
Signor  (diss'egli)  il  cavallier  gagliardo 
Ch'ucciso  ha  i  nostri,  ucciso  avria  il  tuo 
Se  fosse  stato  atorsi viapiùtardo  [campo, 
Di  me  eh' a  pena  ancor  cosi  ne  scampo. 
Fa  quel  de'  cavallieri  e  de'  pedoni, 
Che  '1  lupo  fa  di  capre  e  di  montoni. 
30 

Era  venuto  pochi  giorni  avante 
Nel  campo  del  Re  d'Africa  un  Signore  ; 
Né  in  Ponente  era,  né  in  tutto  Levante 
Di  più  forza  di  lui,  né  di  più  core. 
Gli  facea  grande  onore  il  Re  Agramante, 
Per  esser  costui  tìglio  e  successore 
In  Tarlarla  del  Re  Agrican  gagliardo: 
Suo  nome  era  il  feroce  3Iandricardo. 
31 

Per  molti  chiari  gesti  era  famoso, 
E  di  sua  fama  tutto  il  mondo  empia; 
Ma  lo  facea  più  d'altro  glorioso. 
Ch'ai  Castel  de  la  Fata  di  Sona 


dei  Boiardeschi,  è  messo  qui  per  imitare  il 
doppio  catalogo  degli  epici  antichi.  Omero 
e  Virgilio.  L'altro  è  nel  e.  x. 

29.  1.  E  gli  n.  Cfr.  e.  XII,  69. 

—  5.  Se  fosse  st.  È  omessa  la  prima  parte 
del  pensiero  :  se  fosse  stato  là  presente  e 
se  fosse  st.  a  torsi  via  più  tardo. 

30.  3-4.  Né...  era...  di  pili  f.  ;  Né...  vi  era... 
uno  di  più  f. 

—  S.  S.  nome  era  il  f.  M.  ;  Forse  l'A.  in- 
tese dire  che  feroce  faceva  quasi  parte  del 
nome  di  lui;  seppure  non  si  ha  qui  un  al- 
tro esempio  di  fusione  di  due  costrutti  (cfr. 
II,  6,  3;  III,  15,  5):  Il  suo  nome  era  M.  ;  Egli 
era  il  feroce  M.  Cfr.  e.  xviii,  99,  1.  —  Man- 
dricardo  è  creazione  Boiardesca  ed  entra 
in  scena  nella  III  parte  dell' Inn. 

31.  4.  Ch'ai  Castel  ecc.  Ecco,  in  sunto, 
questa  avventura,  di  cui  wqW  Innam.  HI, 
Il  e  III:  Mandricardo,  volendo  vendicare  il 
padre  Agricane  ucciso  da  Orlando,  viene  in 
Ponente  senz^armi  e  senza  cavallo,  che  vuol 
conquistare  col  suo  valore.  Trova  in  Siria 
un  padiglione,  v'entra  e  resta  in  potere 
d'una  fata,  che  gli  racconta  d'aver  avuto 
da  Enea  le  armi  di  Ettore,  eccetto  la  spada 
(che,  venuta  prima  in  possesso  di  Pentesi- 
lea,  passò  poi  ad  Almonte  e  quindi  ad  Or- 
lando). Per  conquistare  quelle  armi  occor- 
reva vincere  grandi  difficoltà  e  uccidere 
mostri  terribili.  M.  eseguisce  tutto  ciò  e  con- 


160 


ORLANDO  FURIOSO 


L'usbergo  avea  acquistato  luminoso 
Ch'Ettor  Troian  portò  mille  anni  pria, 
Per  strana  e  formidabile  avventura, 
Che  '1  ragionarne  pur  mette  paura. 
32 

Trovandosi  costui  dunque  presente 
A  quel  parlar,  alzò  l'ardita  taccia; 
E  si  dispose  andar  immantinente,      [eia. 
Per  trovar  quel  guerrier,  dietro  alla  trac- 
Ritenne  occulto  il  suo  pensiero  in  mente, 
O  sia  perché  d'alcun  stima  non  faccia, 
O  perché  tema,  se  '1  pensier  palesa, 
Ch'un  altro  inanzi  a  lui  pigli  l'impresa. 
33 

Allo  scudier  fé'  dimandar  come  era 
La  sopravesta  di  quel  cavalliero. 
Colui  rispose  :  Quella  è  tutta  nera. 
Lo  scudo  nero,  e  non  ha  alcun  cimiero. 
E  fu.  Signor,  la  sua  risposta  vera, 
Perché  lasciato  Orlandoaveail  quartiero; 
Che  come  dentro  l'animo  era  in  doglia, 
Cosi  imbrunir  di  fnor  volse  la  spoglia. 
34 

Marsilio  a  Mandricardo  avea  donato 
Un  destrier  baio  a  scorza  di  castagna. 
Con  gambe  e  chiome  nere;  et  era  nato 
Di  Frisa  madre,  e  d'un  villan  di  Spagna. 
Sopra  vi  salta  Mandricardo  armato, 
E  galoppando  va  per  la  campagna; 
E  giura  non  tornar  a  quelle  schiere, 
Se  non  trova  il  campion  da  l'arme  nere, 
35 

Molta  incontrò  de  la  paurosa  gente 
Che  da  le  man  d'Orlando  era  fuggita, 
Chi  del  figliuol,  chi  del  fratel  dolente, 
Ch' inanzi  agli  occhi  suoi  perde  la  vita. 
Ancor  la  codarda  e  trista  mente 
Ne  la  pallida  faccia  era  sculpita; 
Ancor  per  la  paura  che  avuta  hanno 
Pallidi,  muti  et  insensati  vanno. 
36 

Non  fé'  lungo  camin,  che  venne  dove 
Crudel  spettacolo  ebbe  et  inumano, 
Ma  testimonio  alle  mirabil  prove 
Che  fur  racconte  inanzi  al  Re  Africano. 
Or  mira  questi,  or  quelli  morti,  e  muove, 


quista  le  armi  :  quindi  va  al  campo  di  Agra- 
mante  e  prende  parte  alla  guerra. 

32.  4.  traccia,  indizi.  In  questo  senso  non 
è  registrato  dai  vocabolari. 

33.  6.  lasciato  ecc.  V.  e.  var,  35. 

34.  2.  baio  ecc.  Jnnam.  II,  ii,  69:  «Baio 
€ra  tutto  a  scorza  di  castagna  »;  cioè  del 
colore  della  castagna. 

—  4.  villan;  Nome  d'una  razza  di  cavalli 
di  Spagna.  Si  cita  questo  solo  es.  dell'A. 

35.  5.  trista  mente;  l'anima  trista. 

36.  4.  racconte  ;  raccontate.  V.  e.  I,  48, 
n.  4. 

—  5.  e  maoTe  E  vuol.   Forse   è    figura  di 


E  vuol  le  piaghe  misurar  con  mano, 
Mosso  da  strana  invidia  ch'egli  porta 
Al  cavallier  ch'avea  la  gente  morta. 
37 

Come  lupo  o  mastio  ch'ultimo  giugne 
Al  bue  lasciato  morto  da'  villani. 
Che  trova  sol  le  corna,  l'ossa  e  l'ugne, 
Del  resto  son  sfamati  augelli  e  cani; 
Riguarda  in  vano  il  teschio  che  nonugne: 
Cosi  fa  il  crudel  Barbaro  in  que'  piani; 
Per  duol  bestemmia,  e  mostra  invidia  im- 

[mensa, 
Che  venne  tardi  a  cosi  i-icca  mensa. 
38 

Quel  giorno  e  mezzo  l'altro  segue  incer- 
II  cavallier  dal  negro,  e  ne  domanda,    [to 
Ecco  vede  un  pratel  d'ombre  coperto, 
Che  si  d'un  alto  fiume  si  ghirlanda. 
Che  lascia  a  pena  un  breve  spazio  aperto, 
Dove  l'acqua  si  torce  ad  altra  banda. 
Un  simil  luogo  con  girevol  onda 
Sotto  Ocricoli  il  Tevere  circonda. 
39 

Dove  entrarsi  potea,  con  l'arme  indosso 
Stavano  molti  cavallieri  armati. 
Chiede  il  Pagan,  chi  gli  avea  in  stuol  si 

[grosso, 
Et  a  che  effetto  insieme  ivi  adunati. 
Gli  fé'  risposta  il  Capitano,  mosso 
Dal  signoril  sembiante,  e  da'  fregiati 
D'oro  e  di  gemme  arnesi  di  gran  pregio, 
Che  lo  mostravan  cavalliero  egregio. 
40 

Dal  nostro  Re  siàn  (disse)  di  Granata 
Chiamati  in  compagnia  de  la  figliuola. 


endiadi:  e  muove  (va)  volendo  (coli' inten- 
zione di)  misurar  ecc.  Si  poti'ebbe  anche 
dare  a  muove  il  senso  di  si  avanza,  del 
quale  però  non  si  citano  esempi. 

—  6.  misurar  e.  m.  È  una  variazione  de! 
modo  toccar  con  mano  ;  accertarsi  coi  pro- 
pri sensi  della  loro  gravità. 

37.  4.  son  sfam.  O  si  può  sottintendere  la 
particella  pronominale  si  ;  o  deve  inten- 
dersi: sono  stati  sfamati.  V.  Fornaciari, 
Sint.  p.  230,  14. 

—  S.  a.  e.  r.  mensa  ;  a  questa  battaglia. 

38.  3.  dal  negro  ;  dal  vestimento  negro. 
Cosi  anche  e.  xix,  95.  L'espressione  intera 
vedila  più  sotto  alla  st.  56,  3. 

—  4.  si  ghiri.;  si  inghirlanda,  si  cinge 
come  di  ghirlanda.  Tansillo,  Podere  :  «  O  v:a 
che  intorno  intorno  la  ghirlanda». 

—  8.  Ocricoli;  Otricoli,  piccola  terra  sulla 
via  di  Roma,  non  lungi  da  Orte.  Ivi  il  Te- 
vere formava  una  penisoletta,  di  cui  oggi 
rimane  appena  la  traccia,  essendosi  il  corso 
del  fiume  raddirizzato  in  quel  punto. 

40.  1.  Dal  nostro  Re  ecc.;  Intendi:  Si^mo 
stati  chiamati  di  Granata   dal  nostro   '%ie. 


CANTO  XIV 


161 


La  quale  al  Re  di  Sarza  ha  maritata, 
Benché  di  ciò  la  fama  aucor  non  vola. 
Come  appresso  la  sera  racchetata 
La  cicaletta  sia,  ch'or  s'ode  sola, 
Avanti  al  padre  fra  l' Ispane  torme. 
La  condurremo:  intanto  ella  si  dorme. 
41 

Colui  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
Disegna  di  veder  tosto  la  prova. 
Se  quella  gente  o  bene  o  mal  difende 
La  donna,  alla  cui  guardia  si  ritrova. 
Disse:  Costei,  per  quanto  se  n'intende, 
È  bella;  e  di  saperlo  ora  mi  giova. 
A  lei  mi  mena,  o  falla  qui  venire; 
Ch'altrove  mi  convien  subito  gire. 
42 

Esserper  certo  dei  pazzo  solenne 
.(Hispose  il  Grauatin),  né  pili  gli  disse. 
Ma  il  Tartaro  a  ferir  tosto  lo  venne 
Con  l'asta  bassa,  e  il  petto  gli  trafisse  ; 
Che  la  corazza  il  colpo  non  sostenne, 
E  forza  fu  che  morto  in  terra  gisse. 
L'asta  ricovra  il  figlio  d'Agricane, 
Perché  altro  da  ferir  non  gli  rimane. 
43 

Non  porta  spada  nébaston;che  quando 
L'arme  acquistò,  chefur  d'Ettor  Troiano, 
Perché  trovò  che  lor  mancava  il  brando, 
Gli  convenne  giurar  (né  giurò  in  vano) 
Che  fin  che  non  togliea  quella  d'Orlando, 
Mai  non  porrebbe  ad  altra  spada  mano  : 
Durindana  ch'Almonte  ebbe  in  gran  stima, 
E  Orlando  or  porta,  Ettor  portavaprima. 


perché  gli  accompagnassimo  la  figliuola,  che 
è  promessa  sposa  di  Rodom.  Stasera  per  il 
fresco  la  condurremo  al  padre,  che  la  darà 
poi  allo  sposo.  —  siàn;  V.  e.  ix,  43,  S. 

—  6.  La  cicaletta  ecc.  Era  appena  prima- 
vera, quando  Orlando  scontrò  Alzirdo  e  Ma- 
nilardo  (xii,  72-74).  Mandricardo  parte  su- 
bito che  ha  contezza  della  strage  {xiv,  34-36); 
e  solo  un  giorno  e  mezzo  dopo  assalta  la 
scorta  di  Doralice.  Come  dunque  vien  fuori 
la  state  colle  cicale  ?  É  una  dimenticanza 
del  poeta. 

41.  5.  8.  n'  intende;  Se  ne  sente  dire.  V. 
e.  II,  76,  6. 

42.  7.  ricovra;  ritira.  V.  e.  Il,  43,  8. 

43.  4.  Gli  conv.  g.  Innam.  Ili,  ii,  35-37: 
«  E  ciò  mi  giurerai  sulla  tua  fede  Che  Du- 
rindana r  incantato  brando  Torrai  per  forza 
d'arme  al  Conte  Orlando...  \uir  altra  spada 
porterai  più  cinta.  Re  Mandricardo...  Sic- 
come piace  a  quella  fata,  giura  ». 

—  7.  Durindana.  V.  e.  IX,  3.  Questa  ver- 
sione, che  la  fa  risalire  fino  ad  Ettore,  è 
Fantasia  del  Boiardo,  la  quale  si  risente  del 
classicismo  invadente.  Già  nelle  antiche  can- 
zoni si  trova  il  nome  di  altre  spade  famose  : 

Ariosto  —  Pai-ini 


44 

Grande  è  l'ardir  del  Tartaro,  che  vada 
Con  disvantaggio  tal  contra  coloro, 
Gridando:  Chi  mi  vuol  vietarla  strada? 
E  con  la  lancia  si  cacciò  tra  loro. 
Chi  l'asta  abbassa,  e  chi  tra  fuor  la  spada  ; 
E  d'oga' intorno  subito  gli  foro. 
Egli  ne  fece  morir  una  frotta 
Prima  che  quella  lancia  fosse  rotta. 
45 

Rotta  che  se  la  vede,  il  gran  troncone. 
Che  resta  intero,  ad  ambe  mani  aff"erra  ; 
E  fa  morir  con  quel  tante  persone, 
Che  non  fu  vista  mai  più  crudel  guerra. 
Come  tra  Filistei  l'Ebreo  Sansone 
Con  la  mascella  che  levò  di  terra,  [spesso 
Scudi  spezza,  elmi  schiaccia;  e  un  colpo 
Spenge  i  cavalli  ai  cavallieri  appresso. 
46 

Correno  a  morte  que'  miseri  a  gara; 
Né  perché  cada  l'un,  l'altro  andar  cessa; 
Che  la  maniera  del  morire  amara 
Lor  par  pili  assai,  che  non  è  morte  istessa. 
Patir  non  ponno  che  la  vita  cara 
Tolta  lor  sia  da  un  pezzo  d'asta  fessa, 
E  sieno  sotto  alle  picchiate  strane 
A  morir  giunti,  come  biscie  o  rane. 
47 

Ma  poi  eh' a  spese  lor  si  furo  accorti 
Che  male  in  ogni  guisa  era  morire, 
Scudo  già  presso  alli  duo  terzi  morti. 
Tutto  l'avanzo  cominciò  a  fuggire. 
Come  del  proprio  aver  via  se  li  porti, 
Il  Saracin  crudel  non  può  patire 
Ch'alcun  di  quella  turba  sbigottita 
Da  lui  partir  si  debba  con  la  vita. 
48 

Come  in  palude  asciutta  dura  poco 
Stridula  canna,  o  in  campo  arida  stoppia 


Gioiosa  quella  di  C.  Magno  ;  Almace  quella 
di  Turpino  ecc. 

44.  1.  che  vada,  perché  vada,  perché  possa 
andare. 

—  5.  tra;  trae.  V.  e.  xi,  12,  n.  5. 

45.  2.  ad  a.  mani  ;  Si  disse  anche  ad  ambe 
le  mani;  con  due  mani.  Berm,  0.  I.  48, 
38:  «  Brandimante  colse,  Ad  ambe  man  me- 
nando, il  mascalzone  ». 

—  5.  tra  P.  Per  l'omissione  dell'articolo 
V.  e.  II,  15,  n.  8.  È  il  racconto  biblico  :  Giu- 
dici, 15:  «E  trovata  una  mascella  d'asino 
non  ancora  secca,  vi  die  mano,  e,  presala, 
ammazzò  con  essa  mille  uomiui  ». 

—  7.  scudi  sp.  Il  soggetto  è  Mandricardo. 

46.  2.  andar  e.  ;  cessa  di  and.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

—  7.  picchiate;  Si  dice  specialra.  di  colpi 
dati  con  pezzi  grossi  di  legno  o  altro. 

47.  5.  se  li  p.  se  gli  p.  ;  si  porti  via  a  lui 
della  roba  sua. 

48.  2.  Stridula;  Per  il  vento.  È  epiteto 
puramente  descrittivo. 

Il 


1G2 


ORLANDO  FUillOSO 


Centra  il  soffio  di  Borea  e  centra  il  fuoco, 
Che  '1  cauto  agricoltore  insiemeaccoppia, 
Quando  la  vaga  fiamma  occupa  il  loco, 
E  scorre  per  li  solchi,  e  stride  e  scoppia  ; 
Cosi  costor  centra  la  furia  accesa 
Di  Mandricardo  fan  poca  difesa. 
49 

Poscia  ch'egli  restar  vede  l'entrata, 
Che  mal  guardata  fu,  senza  custode  ; 
Per  la  via  che  di  nuove  era  segnata 
Ne  l'erba,  e  al  suono  dei  ramarchi  ch'ode, 
Viene  a  veder  la  donna  di  Granata, 
Se  di  bellezze  è  pari  alle  sue  lede  : 
Passa  tra  i  corpi  de  la  gente  morta, 
Dove  gli  dà,  torcendo,  il  fiume  porta. 
50 

E  Doralice  in  mezze  il  prato  vede 
(Che  cesi  nome  la  donzella  avea). 
La  qual,  suffolta  da  1'  antico  piede 
D'un  frassino  silvestre,  si  dolea. 
Il  pianto,  come  un  rivo  che  succede 
Di  viva  vena,  nel  bel  sen  cadea; 
E  nel  bel  viso  si  vedea  che  insieme 
De  l'altrui  mal  si  duole,  e  del  suo  teme. 
51 

Crebbe  il  timor,  come  venir  lo  vide 
Di  sangue  brutto  e  con  faccia  empia  e  oscu- 
E  '1  gi-ido  sin  al  ciel  l'aria  divide,        [ra  ; 
Di  sé  e  de  la  sua  gente  per  paura; 


—  5.  vaga,  vagante,  che  va  qua  e  là;  dal 
lat.  vagus,  che  ha  questo  significato. 

49.  4.  ramarchi,  rammarclii,  rammarichi. 

—  6.  lode  ;  V.  e.  xiii,  73,  n.  7. 

50.  1.  Doralice.  L'A.  non  deve  al  Boiardo 
che  il  nome  di  questa  donna,  e  un  cenno 
de'  suoi  sponsali  con  Rodomonte.  V.  la  ci- 
tazione alla  st.  114,  n.  2.  Il  resto  è  tutta  crea- 
zione sua.  Il  Foraari  dice  ;  «  Doralice  rapita 
da  Mandricardo  in  mezzo  del  cammino, 
mentre  andava  in  campo  a  Rodomonte  suo 
sposo,  adombra  e  rappresenta  la  presura 
della  sposa  di  Caraccio  capitan  de'  Vinizia- 
ni  ».  Ecco  il  fatto  :  Una  damigella  della  du- 
chessa d'  Urbino  era  condotta  sposa  al  Na- 
poletano Giambattista  Caracciolo  capitano 
de'fanti  della  repubblica  veneta.  Cesare  Bor- 
gia, invaghito  della  fanciulla,  la  fece  rapire. 
I  particolari  però  sono  molto  variati  e  imi- 
tati in  parte  da  rapimenti  simili,  che  si  tro- 
vano nella  Tavola  Rotonda  e  forse  dall'Ala- 
tiel  del  Boccaccio,  Nov.  17.  —  in  mezzo  il. 
V.  e.  VI,  23,  n.  8. 

—  3.  snffolta  (lat.  surrultus);  son-etta. 
L'usò  già  Dante,  Par.,  23,  130. 

—  5.  snccede,  scaturisce.  Si  cita  questo 
solo  es.  dell'A. 

51.  2.  empia;  spietata. 

—  4.  Di  sé  ecc.;  per  paura  di  sé  e  d.  s. 
g.  Vedi  simih  inversioni  al  e.  vi,  31,  6;  xiii, 
77,  5,  ecc. 


Che,  oltre  i  cavallier,  v'erano  guide 
Che  de  la  bella  Infante  aveane  cura. 
Maturi  vecchi,  e  assai  donne  e  donzelle 
Del  regno  di  Granata,  e  le  più  belle. 
52 

Come  il  Tartaro  vede  quel  bel  viso 
Che  non  ha  paragone  in  tutta  Spagna, 
E  e'  hanel  pianto  (or  ch'esser  de'  nel  riso  ?> 
Tesa  d'Amor  l'inestricabil  ragna; 
Non  sa  se  vive  e  in  terra  e  in  paradise: 
Né  de  la  sua  vittoria  altre  guadagna. 
Se  non  che  in  man  de  la  sua  prigioniera 
Si  dà  prigione,  o  non  sa  in  qual  maniera. 
53 

A  lei  però  non  si  concede  tante, 
Che  del  travaglio  suo  le  doni  il  frutto; 
Benché  piangendo  ella  dimostri,  quanta 
Possa  donna  mostrar,  dolore  e  lutto. 
Egli,  sperando  volgerle  quel  pianto 
In  somme  gaudio,  era  disposto  al  tutto 
Menarla  seco  ;  e  sopra  un  bianco  ubine 
Montar  la  fece,  e  tornò  al  suo  camino. 
54 

Donneedonzelleevecchietaltragente,, 
Ch'eran  con  lei  venuti  di  Granata, 
Tutti  licenziò  benignamente. 
Dicendo:  Assai  da  me  fia  accompagnata: 
Io  mastro,  io  balia,  io  le  sarò  sergente 
In  tutti  i  suoi  bisogni:  a  Dio,  brigata. 
Cosi  non  gli  possende  far  riparo. 
Piangendo  e  sespirando  se  n'andare; 


—  6.  Infante;  In  antico  si  chiamò  cosi  il 
pi-incipe  ereditario  Spagnuolo;  poi  ognuno 
dei  figli  del  re  di  Spagna  e  del  Portogallo 
dal  secondogenito  in  avanti.  Se  donna,  si 
disse  più  comunem.  infanta. 

52.  3.  or  ecc.  Intendi  :  ora  (in  questo  fran- 
gente) che  (forse)  Doralice  deve  essere  nel 
riso  ?  E  avverti  una  punta  di  scherzo. 

53.  1.  si  concede;  si  dà,  si  sottomette. 

—  2.  Che  del  trav.  ecc.  ;  da  donarle  il 
frutto  della  sua  fatica;  cioè  da  rinunziare 
al  possesso  di  lei. 

—  6.  al  tutto,  in  tutti  i  modi.  Xon  è  fre- 
quente. Bekm,  Ina.,  2,  9,  41  :  «  eli'  al  tutto 
vuol  portarlo  a  Montalbano  ». 

—  7.  nbino  (arabo  binek,  cavallo)  ;  antica 
voce,  che  indica  piccoli  cavalli,  la  cui  ca- 
ratteristica era  di  camminar  piano  e  pari. 
Servivano  perciò  alle  donne. 

54.  5.  mastro;  maestro  di  camera,  che 
era  il  principal  cortigiano  d' un  principe  — 
balia,  la  nutrice.  Era  un  ufllcio,  più  che  di 
serva,  materno,  nella  famiglia  e  nel  dramma 
greco;  ed  era  una  vecchia  donna  che  ac- 
compagnava e  assisteva  le  nobili  fanciulle. 
In  questo  senso  i  vocab.  citano  nutrice  non 
balia.  —  sergente  ;  servente.  È  comune  ne- 
gli scrittori  antichi. 

—  7.  poEsendo.  Forma  &niic&  d&  passere. 


CANTO  XIV 


163 


Tralor  dicendo:  Quanto  doloroso 
Né  sarà  il  padre,  come  il  caso  intenda! 
Quanta  ira,  quanto  duol  ne  avrà  il  suo 

[sposo! 
Oh  come  ne  farà  vendetta  orrenda  ! 
Deh,  perché  a  tempo  tanto  bisognoso 
Non  è  qui  presso  a  far  che  costui  renda 
Il  sangue  illustre  del  Re  Stordilauo, 
Prima  che  se  lo  porti  più  lontano  ? 
56 

De  la  gran  preda  il  Tartaro  contento. 
Che  fortuna  e  valor  gli  ha  posta  inanzi, 
Di  trovar  quel  dal  negro  vestimento 
Non  par  eh'  abbia  la  fretta  ch'avea  dianzi. 
Correva  dianzi:  or  viene  adagio  e  lento  ; 
E  pensa  tuttavia  dove  si  stanzi. 
Dove  ritrovi  alcun  commodo  loco, 
Per  esalar  tanto  amoroso  foco. 
57 

Tuttavolta  conforta  Doralice, 
Ch'avea  di  pianto  e  gli  occhi  e'I  viso  mol- 
Compone  e  fìnge  molte  cose,  e  dice     [le: 
Che  per  fama  gran  tempo  ben  le  volle; 
E  che  la  patria,  e  il  suo  regno  felice 
Che  '1  nome  di  grandezza  agli  altri  folle, 
Lasciò,  non  per  vedere  o  Spagna  o  Fran- 

[cia, 
Ma  sol  per  contemplar  sua  bella  guancia. 
58 

Se  per  amar,  l'uom  debbe  esser  amato. 
Merito  il  vostro  amor;  che  v'  ho  amat'  io: 
Se  per  stirpe,  di  me  chi  è  meglio  nato  ? 
Che  '1  possente  Agrican  fu  il  padre  mio  : 
Se  per  ricchezza,  chi  ha  di  me  più  stato  ? 
Che  di  dominio  io  cedo  solo  a  Dio: 
Se  per  valor,  credo  oggi  aver  esperto 
Ch'es.ser  amato  per  valore  io  merto. 


usata  anche  nella  prosa.  V.  Nannucci,  Anal 
crit.  p.  661.  V.  e.  XXXIV,  49,  5. 

55.  1.  doloroso;  dolete.  Dante,  Inf.  3, 
«  le  genti  dolorose  ». 

56.  3.  quel  dal  negro  v.;  ORLANDO.  Vedi 
it.  33. 

57.  3.  Compone  e  f .  ;  inventa  e  f .  È  lati- 
nismo non  comune.  V.  e.  v,  39.  Cavalca, 
V.  SS.  PP,  1,  21:  «Componendo...  una  ca- 
gione molto  pietosa  e  maliziosa  ». 

—  6.  Che  '1  nome  ecc.  ;  che  è  cosi  grande 
da  far  parer  piccoli  tutti  gli  altri. 

58.  1.  per  amar;  in  grazia  dell'amore. 

—  7.  a.  esperto;  a.  mostrato  a  provai 
aver  dato  esperimento.  È  il  latino  experirt , 
che,  in  italiano,  si  usò  solo  in  poesia  e  nei 
tempi  composti,  nel  senso  di  fare  esperi- 
mento; ma  nel  significato  di  mostrare  a 
prova  si  cita  questo  solo  es.  dell'A.  Sarebbe 
forse  più  semplice  lasciare  al  verbo  il  suo 
significato  naturale  e  comune,  sottinten- 
dendo piuttosto  il  sogg.  voi.  (Credo  voi  oggi 


Queste  parole  et  altre  assai,  ch'Amore 
A  Mandricardo  di  sua  bocca  ditta, 
Van  dolcemente  a  consolare  il  core 
De  la  Donzella  di  paura  attiitta. 
Il  timor  cessa,  e  poi  cessa  il  dolore 
Che  le  avea  quasi  l'anima  trafitta. 
Ella  comincia  con  più  pazienza 
A  dar  più  grata  al  nuovo  amante  udienza: 
60 

Poi  con  risposte  più  benigne  molto 
A  mostrarsegli  affabile  e  cortese, 
E  non  negargli  di  fermar  nel  volto 
Talor  le  luci  di  pietade  accese: 
Onde  il  Pagan,  che  da  lo  strai  fu  colto 
Altre  volte  d'Amor,  certezza  prese. 
Non  che  speranza,  che  la  donna  bella 
Non  saria  a  suo  desir  sempre  ribella. 
61 

Con  questa  e  :»mpagnia  lieto  e  gioioso 
Che  si  gli  satisfa,  sigli  diletta. 
Essendo  presso  all'ora  eh' a  riposo 
La  fredda  notte  ogni  animale  alletta, 
Vedendo  il  sol  già  basso  e  mezzo  ascoso. 
Cominciò  a  cavalcar  con  maggior  fretta; 
Tanto  eh'  udi  sonar  zutìfoli  e  canne, 
E  vide  poi  fumar  ville  e  capanne. 
62 

Erano  pastorali  alloggiamenti 
Miglior  stanza  e  più  commoda,  che  bella. 
Quivi  il  guardian  cortese  degli  armenti 
Onorò  il  Cavalliero  e  la  Donzella 
Tanto  che  si  chiamar  da  lui  contenti  : 
Che  non  pur  per  cittadi  e  per  castella, 
Ma  per  tuguri  ancora  e  per  fenili 
Spesso  si  trovan  gli  uomini  gentili. 


avere  esp.  ;  credo  che  voi  abbiate  fatto  espe- 
rimento). 

59.  8.  grata,  benevola.  Grato  si  usò  non 
di  rado  a  indicare,  come  qui,  non  tanto  il 
piacere,  che  si  fa  ad  altri,  quanto  quello, 
con  cui  la  cosa  si  fa. 

60.  3.  non  neg.  d.  ferm.;  non  ricusare  di 
fermagli.  Intendi  che  essa  fermava  talvolta 
nel  viso  di  lui  uno  sguardo  pietoso. 

61.  7.  canne.  Canna,  per  lo  più  coli' ag- 
giunto di  sonora  o  simile,  fu  spesso  usato 
per  i^mpogna.  V.  e.  xvii,  54. 

62.  2.  Miglior...  che  bella.  Si  dovrebbe 
dire  jjiù  buona  che  b.,  perché  il  confronto 
è  fra  due  qualità  espresse  dagli  aggett.  (V. 
FoRNAC.  Sint.  pag.  351)  ;  ma  qui  il  costrutto 
è  dominato  dal  secondo  aggett.  pia  comodo. 

—  5.  da  lui  e.  ;  Il  costrutto  regolare  sa- 
rebbe chiamarsi  cont.  di  uno;  ma  forse 
su  questo  luogo  ha  agito  l'uso,  che  fecero 
gli  antichi,  di  contento  per  contentato  ;  co- 
sicché l'A.  ha  costruito  il  modo  chiaìnarsi 
contento,  come  se  fosse  ritenersi  conteìi- 
tato. 

—  7.  fenili.  Forma  poetica 


164 


ORLANDO  FURIOSO 


03 

Quel  che  fosse  di  poi  fatto  all'oscuro 
Tra  Doralice  e  il  figlio  d'Agricane, 
A  punto  raccontar  non  m'assicuro; 
Si  ch'ai  giudizio  di  ciascun  rimane. 
Creder  si  può  che  ben  d'accordo  furo; 
Che  si  levar  più  allegri  la  dimane  : 
E  Doralice  ringraziò  il  pastore. 
Che  nel  suo  albergo  l'avea  fatto  onore. 
64 

Indi  d'  uno  in  un  altro  luogo  errando, 
Si  ritrovaro  al  fin  sopra  un  bel  fiume 
Che  con  silenzio  al  mar  va  declinando, 
E  se  vada  o  se  stia,  mal  si  presume  ; 
Limpido  e  chiaro  si,  eh'  in  lui  mirando, 
Senza  contesa  al  fondo  porta  il  lume. 
In  ripa  a  quello,  a  una  fresca  ombra  e  bella, 
Trovar  dui  cavallieri  e  una  donzella. 
65 

Or  l'alta  fantasia,  eh' un  sentier  solo 
Non  vuol  eh'  i'  segua  Ognor,  quindi  mi  gui- 
E  mi  ritorna  ove  il  Moresco  stuolo      [da, 
Assorda  di  rumor  Francia  e  di  grida, 
D'intorno  il  padiglione  ove  il  figliuolo 
Del  Re  Troiano  il  santo  Imperio  sfida  ; 
E  Rodomonte  audace  se  gli  vanta 
Arder  Parigi,  e  spianar  Roma  santa. 
66 

Venuto  ad  Agraraante  era  all'orecchio, 
Che  già  l'Inglesi  avean  passato  il  mare: 
Però  Marsilio  e  il  Re  del  Garbo,vecchio, 
E  gli  altri  capitan  fece  chiamare. 


Consigliantuttiafar  grande  apparecchio, 
Si  che  Parigi  possino  espugnare. 
Ponno  esser  certi  che  pili  non  s'espugna 
Se  noi  fan  prima  che  l'aiuto  giugua. 
67 

Già  scale  innumerabili  per  questo 
Da  luoghi  intorno  avea  fatto  raccorre, 
Et  asse  e  travi,  e  vimine  contesto. 
Che  lo  poteano  a  diversi  usi  porre: 
E  navi  e  ponti:  e  più  facea  che  ')  resto, 
Il  primo  e  il  secondo  ordine  disporre 
A  dar  l'assalto  ;  et  egli  vuol  venire 
Tra  quei  che  la  città  deuno  assalire. 
68 

L'Imperatore  il  di  che  'I  di  precesse 
De  la  battaglia,  fé'  dentro  a  Parigi 
Per  tutto  celebrare  uffici  e  messe 
A  preti,  a  frati  bianchi,  neri  e  bigi  ; 
E  le  gente  che  dianzi  eran  confesse, 
E  di  man  tolte  agl'inimici  Stigi, 
Tutte  communicar,  non  altramente 
Ch'avessino  a  morire  il  di  seguente. 
69 

Et  egli  tra  Baroni  e  Paladini, 
Principi  et  Oratori,  al  maggior  tempio 
Con  molta  religione  a  quei  divini      [pio, 
Atti  intervenne,  e  ne  die  agli  altri  esem- 


63.  8.  l'avea,  le  a.  V.  e.  vii,  35,  n.  8. 

64.  2.  fiume.  Vedi  la  dimenticanza  di  que- 
sto luogo  al  e.  XXIII,  66,  dove  il  fiume  di- 
venta una  fonte. 

—  4.  se  vada  o  s.  st.  Par  tradotto  da  Ce- 
sare B.  G.  I,  3,  che  dice  dell' Arari  (Saone) 
«  ita  ut  oculis  in  utram  partem  fluat  iudi- 
cari  non  possit». 

—  6.  Senza  cont,  ecc.;  Il  fiume  è  si  chiaro 
che  porta  (lascia  passare)  senza  contesa  lo 
sguardo  (il  lume)  Un  nel  fondo.  È  imita- 
zione del  PoLiz.  st.  I,  80,  che  dice  d'una  fon- 
tana: «gli  occhi  non  offesi  al  fondo  mena> 
imitando  a  sua  volta  Claudiano,  Rapt.  Pro- 
serp.  I  :  «  admittit  in  illum  Cernentes  ocu- 
los  et  late  pervius  humor  Ducit  inoffensos 
liquido  sub  gurgite  visus  ». 

65.  1.  altafant.  Dante,  Par.  33,  142:  «Al- 
l'alta fantasia  qui  mancò  possa  ». 

—  5.  intorno  il:  V.  e.  vìi,  12,  n.  4. 

—  8.  Roma,  come  capitale  del  cristiane- 
simo e  del  sacro  romano  impero. 

66.  3.  il  Re  d.  G.  v.  ;  il  vecchio  re  del 
Garbo;  Sobriuo,  già  descritto  dal  Boiardo 
come  il  Nestore  dei  Saracini.  Il  Garbo  era 
un  antico  regno  dell'Affrica  sulla  costa  di 
Barberia.  È  ricordato  anche  dal  Boccaccio, 
nov.  17. 


—  6.  possino  ;  Forma  popolare  ancor  viva. 

67.  2.  Da,  (lai.  Per  l'omissione  dell'art, 
cfr.  e.  II,  15,  n.  8.  Già  il  Boiardo  nell'  ultimo 
canto  dell'  Inn.  avea  descritto  un  primo  as- 
salto dato  a  Parigi.  T  Saracini  erano  stati 
ributtati  specialmente  dal  valore  d'Orlando 
e  per  una  tempesta  mandata  loro  addosso 
da  Dio.  Fattasi  sera,  ogni  esercito  si  ritirò. 
L'  A.  continua,  immaginando  che  nella  notte 
Orlando  abbia  un  sogno  e  parta  (e.  viii)  e 
che  qualche  giorno  dopo  i  Saracini  rinnuo- 
vino  l'assalto,  come  è  descritto  qui. 

—  3.  asse;  assi.  ^  C.  IX,  SI,  n.  I  —  vi- 
mine contesto,  cestelle. 

—  4.  che  lo;  il  che  si  riferisce  evidentem. 
a  vimine  e.;  e  il  lo  è  pleonasmo,  secondo 
r  uso  popolare  :  cosi  anche  st.  71,  3. 

—  6.  ordine  ;  schiera. 

68.  5.  eran  confesse  ;  si  erano  confessate. 
Confesso  per  confessato  usò  già  Dante,  Jnf. 
27,  83.  Esser  confesso  per  essersi  confessato 
non  è  frequente.  Volgarizzam.  gr.  S.  Giro- 
lamo 10:  «Quei  che  sarà  confesso  ecc.  ». 

—  7.  communicar;  Alcuni  lo  intendono, 
non  bene,  come  infinito  dipendente  da /"ece. 
È  meglio  intenderlo  come  passato  rimoto  : 
si  comunicarono.  Comunicare  per  com,u- 
nicarsi,  oggi  non  comune,  fu  usato  non  di 
rado  dagli  antichi;  vite  SS.  PP.  1,  119: 
«  Avea  ordinato  che  ogni  di  ricevessero  il 
SS.  corpo  di  Cristo  e  comunicassero  ». 

69.  2.  Oratori;  ambasciatori. 


CANTO  XIV 


IGo 


Con  le  man  giunte,  e  gli  occhi  al  ciel  sa- 

Ipìui, 
Disse:  Signor,  ben  ch'io  sia  iniquo  et  cm- 
Non  vogliatua  bontà, pelmiofallire    [pio, 
Che  '1  tuo  popol  fedele  abbia  a  patire. 
'  70 

E  se  gli  è  tuo  voler  ch'egli  patisca, 
E  ch'abbia  il  nostro  error  degni  supplici, 
Almen  Ja  punizion  si  differisca 
.Si,  che  per  man  non  sia  de'  tuoi  nemici; 
Che  quando  lor  d'uccider  noi  sortisca,'^ 
Che  nome  avemo  pur  d'esser  tuo'  amici  ; 
I  Pagani  diran  che  nulla  puoi, 
Che  perir  lasci  i  partigiani  tuoi. 
71 

E  per  un  che  ti  sia  fatto  ribelle, 
Cento  ti  si  faran  per  tutto  il  mondo  ; 
Tal  che  la  legge  falsa  di  Babelle 
Caccierà  la  tua  fede  e  porrà  al  fondo. 
Difendi  queste  genti,  che  son  quelle 
Che  ']  tuo  sepulcro  hanno  purgato  e  mondo 
Da  brutti  cani,  e  la  tua  tSanta  Chiesa 
Con  li  Vicari  suoi  spesso  difesa. 
72 

So  che  i  meriti  nostri  atti  non  sono 
A  satisfar  al  debito  d'un' oncia; 
Né  devemo  sperar  da  te  perdono. 
Se  riguardiamo  a  nostra  vita  sconcia: 
Ma  se  vi  aggiugni  di  tua  grazia  il  dono. 


—  5.  al  e.  sopini;  rivolti  in  su  verso  il 
cielo.  Dante,  Pura.  14,  9  :  «  Poi  far  li  visi, 
per  dirmi,  supini. 

70.  5.  sortisca;  tocchi  in  sorte.  Cosi  col- 
r infinito  si  usò  anche  in  prosa.  Dati,  Lett. 
59  :  «  Se  mi  sortisse  impetrar  questa  grazia  ». 
Il  pensiero  è  tolto  dal  Salmo  71  :  «  \e  quan- 
do dicant  gentes:  ubi  est  deus  eorum  ?  ». 

—  6.  avemo;  abbiamo.  V.  e.  vi,  37,  n.  7. 

71.  3.  legge...  di  Bab.  ;  legge  o  religione 
Maomettana.  Babilonia  fu  già  centro  della 
potenza  Musulmana. 

—  6.  che  '1  tao  s.  ecc.  Che  Carlo  M.  avesse 
liberato  Gerusalemme  dalle  mani  dei  Sara- 
cini  era  credenza  molto  diffusa  nei  tempi 
di  mezzo  e  se  ne  hanno  in  proposito  leg- 
gende e  poesie  (Casella).  Il  Fornari  cita  un 
Sermone  di  Urbano  II,  dove  si  incoraggiano 
i  principi  cristiani  all'  impresa  di  Terra 
Santa  coU'esempio  di  Carlo  M.  È  noto  però 
che  C.  Magno  non  andò  mai  in  Terra  Santa. 

72.  2.  oncia.  Può  intendersi  per  una  pic- 
cola quantità  di  una  cosa  (debito  di  pochis- 
simo conto);  e  cosi  l'usò  l'A.,  xvii,  92; 
XXXI,  13  e  Dante,  Inf.  xxx,  83;  oppure 
come  una  piccola  moneta  Siciliana  e  .Napo- 
letana (BoccACC.  N'ov.  45). 

—  3.  devemo.  Si  usò  in  antico  devere  ac- 
canto a  dovere.  La  desin.  emo  fu  del  verso  e 
della  prosa;  oggi  è  appena  del  sobrio  poeta, 
quantunque  viva  in  qualche  dialetto. 


Nostra  ragion  tìa  ragguagliata  e  concia  : 
Né  del  tuo  aiuto  disperar  possiamo, 
Qualor  di  tua  pietà  ci  ricordiamo. 
73 

Cosi  dicea  l'Imperator  devoto, 
Con  umiltade  e  contrizion  di  core. 
Giunse  altri  prieghi,  e  convenevol  voto 
Al  gran  bisogno  e  all'alto  suo  splendore. 
Non  fu  il  caldo  pregar  d'effetto  voto; 
Però  che  '1  Genio  suo,  l'Angel  migliore, 
I  prieghi  tolse  e  spiegò  al  ciel  le  penne. 
Et  a  narrar  al  Salvator  li  venne. 
74 

E  furo  altri  infiniti  in  quello  instante 
Da  tali  messaggier  portati  a  Dio  ; 
Che  come  gli  ascoltar  l'anime  sante, 
Dipinte  di  pietade  il  viso  pio. 
Tutte  miraro  il  sempiterno  Amante, 
E  gli  mostraro  il  coramun  lor  disio, 
Che  la  giusta  orazion  fosse  esaudita 
Del  popolo  Cristian  che  chiedea  aita. 
75 

E  la  Bontà  ineffabile,  ch'in  vano 
Non  fu  pregata  mai  da  cor  fedele, 
Leva  gli  occhi  pietosi,  e  fa  con  mano 
Cenno  che  venga  a  sé  l'Angel  Michele. 
Va  (gli  disse)  all'esercito  Cristiano 
Che  dianzi  in  Picardia  calò  le  vele, 
E  al  muro  di  Parigi  l'appresenta 
Si,  che  '1  campo  nimico  non  lo  senta. 
70 

Trova  prima  il  Silenzio,  e  da  mia  parte 
Gli  di'  che  teco  a  questa  impresa  venga; 


—  6.  Nostra  ragion  ecc.;  il  nostro  conteg- 
gio sarà  pareggiato  e  aggiustato.  V.  e.  xiii, 
35,  n.  4.  —  Concio  usarono  per  aggiustato 
anche  altri;  Rosso,  Vite  diSvetonio:  «Vi- 
de della  mano  di  Nerone  alcuni  versi  conci 
e  riconci  ». 

73.  6.  il  Genio  s.  Il  Genio  era  per  i  pa- 
gani uno  spirito  buono,  che  si  credeva  ve- 
nisse al  mondo  coli'  uomo  al  suo  nascere  e 
morisse  con  luì  dopo  avergli  fatto  da  com- 
pagno. Aver  direttorie  sue  azioni  e  vegliato 
al  suo  benessere.  Lo  figuravano  in  un  putto 
alato.  Il  cristianesimo  lo  converti  nell'an- 
gelo custode.  L'A.  combina  le  due  idee  — 
Ang.  migliore,  l'augelo  Custode,  che  per  noi 
è  il  migliore.  Significato  non  registr.  dai 
vocab.  e  forse  nuovo.  Il  Fornari  invece 
annota  :  «  Per  rispetto  del  pessimo  angelo 
(il  demonio)  si  è  qui  detto  l'angelo  migliore  ». 

74.  3.  Che...  gli.  Gli  è  pleonastico, come  ;o 
alla  st.  67,  4;  cfr.  anche  e.  i,  65,  n.  3. 

75.  6.  Picardia;  Regione  dell'antica  Fran- 
cia (compart.  Somme),  vi  era  sbarcato  l'e- 
sercito cristiano  d' Inghilterra  e  Scozia.  V. 
e.  X. 

—  7.  appresenta  ;  presenta.  V.  e.  i,  02,  n.  2. 


166 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'egli  ben  proveder  con.;^ttima  arte 
Saprà  di  quanto  preveder  convenga. 
Fornito  questo,  subito  va  in  parte 
Dove  il  suo  seggio  la  Discordia  tenga  : 
Dille  che  l'esca  e  il  fucil  seco  prenda, 
E  nel  campo  de' Mori  il  fuoco  accenda  ; 

77 
E  tra  quei  che  vi  son  detti  più  forti, 
Sparga  tante  zizauie  e  tante  liti, 
Che  combattano  insieme,  et  altri  morti. 
Altri  ne  sieno  presi,  altri  feri  li,  .       ■ 

E  fuor  del  campo  altri  lo  sdegno  porti, 
Si  che  il  lor  Re  poco  di  lor  s'aiti. 
Non  replica  a  tal  detto  altra  parola 
Il  benedetto  Augel,  ma  dal  ciel  vola. 

78 
Dovunque  drizza  Michel  Angel  l'ale, 
Fuggon  le  nubi,  e  torna  il  ciel  sereno. 
Oli  gira  intorno  un  aureo  cerchio,  quale 
Veggiàn  di  notte  lampeggiar  baleno. 
Seco  pensa  tra  via,  dove  si  cale 
Il  celeste  Corner  per  fallir  meno 
A  trovar  quel  nimico  di  parole, 
A  cui  la  prima  commission  far  vuole. 

79 
Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli  usi; 
E  se  accordare  in  fin  tutti  i  pensieri. 
Che  di  frati  e  di  monachi  rinchiusi 
Lo  può  trovare  in  chiese  e  in  monasteri, 
Dove  sono  i  parlari  in  modo  esclusi. 
Che  '1  Silenzio,  ove  cantano  i  salteri, 
Ove  dormeno,  ove  hanno  la  piatanza, 
E  finalmente  è  scritto  in  ogni  stanza. 


76.  7.  fucil;  focile,  acciarino;  col  quale 
si  batteva  la  pietra  focaia  per  averne  scin- 
tille e  accender  l'esca. 

—  8.  il  fuoco  ;  delle  discordie  e  delle  con- 
tese. 

77.  2.  zizanie  (voce  orientale  entrata  nel 
greco:  ^isanioìi).  Significa  propriam.  lo- 
glio; ma,  per  lo  più,  si  usa  figuratamente 
per  discordia,  scandalo. 

—  5.  altri  è  complera.;  il  sogg.  è  lo  sdegno. 

—  8.  Augel.  Danti:,  Purg.  ii,  38.:  «  uccel 
divino».  8,  104:  «astori  celestiali». 

78.  4.  Veggiàn.  V.  e.  IX,  43,  n.  8. 

—  5.  si  cale  ;  possa  calarsi.  È  cong.  po- 
tenziale. 

—  7.  A  tr.  ;  nel  trov. 

79.  1.  scorrendo,  discorrendo,  cercando 
col  pensiero,  si  cita  questo  solo  es.  delI'A. 

—  3.  monachi.  V.  e.  IV,  55.  —  rinchiusi, 
claustrali.  Questa  parola  si  usò  spesso  come 
aggiunto  di  frati  e  monache. 

—  7.  piatanza,  antiq.  per  pietanza  (eti- 
mol.  oscura).  Suo  primo  signific.  fu  appunto 
il  piatto  di  vivanda,  che  si  dava  alle  mense 
dei  claustrali.  Uocc.  nov.  61  :  «  egli  dava 
buone  pietanze  a'  frati  ». 


80 
Credendo  quivi  ritrovarlo,  mosse 
Con  maggior  fretta  le  dorate  penne; 
E  di  veder  ch'aucor  Pace  vi  fosse, 
Quiete  e  Carità,  sicuro  tenne. 
Ma  da  la  opinion  sua  ritrovosse 
Tosto  ingannato,  che  nel  chiostro  venne  : 
Non  è  il  Silenzio  quivi  ;  e  gli  fu  ditto 
Che  non  v'abita  più,  fuor  che  in  iscritto 

81 
Né  Pietà,  né  Quiete,  né  Umiltade, 
Né  quivi  Amor,  né  quivi  Pace  mira.  - 
Ben  vi  fur  già,  ma  ne  l'antiqua  etade  ; 
Che  le  cacciar  Gola,  Avarizia  et  Ira, 
Superbia,  Invidia,  Inerzia  e  Crude.ltade. 
Di  tanta  novità  l'Angel  si  ammira'':    ''' 
Andò  guardando  quella  brutta  schiera, 
E  vide  eh' anco  la  Discordia  v'era. 

82 
Quella  che  gli  avea  detto  ilPadreeter- 
Dopo  il  Silenzio,  che  trovar  dovesse,  [no. 
Pensato  avea  di  far  la  via  d'Averno, 
Che  si  credea  che  tra  dannati  stesse; 
E  ritrovolla  in  questo  nuovo  inferno 
(Ch'il  crederia?)  tra  santi  uffici  e  messe. 
Par  di  strano  a  Michel  ch'ella  vi  sia. 
Che  per  trovar  credea  di  far  gran  via. 

La  conobbe  al  vestir  di  color  cento. 
Fatto  a  liste  inequali  et  infinite,     [vento 
Ch'or  la  colarono  or  no;  che  i  passi  e  '1 
Le  giano  aprendo;  ch'erano  sdrucite. 
I  crin  avea  qual  d'oro  e  qual  d'aygento, 
E  neri  e  bigi:  e  aver  pareanClité: 
Altri  in  treccia,  altri  in  nastro  erau  raccolti 
Molti  alle  spalle,  alcuni  a|  petto  sciolti. 
84 

Di  citatorie  piene  e  di  libelli, 
D'essamine  e  di  carte  di  procure  a'' 

81.  6.  si  ammira,  si  maraviglia.  Dante, 
Par.  2,  17:  «Quei  gloriosi,  che  passaro  a 
Coleo,  Non  s'ammiraron,  come  voi  farete  ». 

82.  4.  tra  d.;  tra  i  d.  V.  e.  il,  15,  8. 

—  7.  Par  di  strano.  Il  Tommaseo  nota  che 
pare  strano  si  dice  propriam.  di  cosa  dif- 
ficile a  credere,  a  pensare;  par  di  strano 
di  cosa  difficile  a  fare  ;  ma  spesso  gli  scrit- 
tori usarono,  come  qui  l'A.,  l'una  espres- 
sione per  l'altra. 

—  8.  Che  per  tr.;  il  quale,  Michele,  per 
trovarla  ecc.  Per  l'omissione  del  pron.  cfr. 
e.  21,  n.  7.  Il  che  potrebbe  anche  essere  conir 
pi.  ogg.  riferito  a  discordia;  ma  è  un  co- 
strutto che  l'A.  non  ha  familiare. 

83.  4.  sdrucite.  L'immagine  è  di  Virgilio, 
En.  8,  702  :  «  Scissa  discordia  palla  ». 

84.  1.  citatorie,  citazioni.  Non  comune. 
Cosi  anche  nella  Lena  4,  2.  —  libelli,  .-sono 
domande  giudiziarie  fatte  per  scrittura. 

—  2.  essamine;  esami  scritti  dei  richiedenti 
e  dei  rei. 


CANTO  XIV 


167 


Avea  le  mani  e  il  seno,  e  gran  fastelli 
Di  cliiose,  di  consigli  e  di  letture; 
Per  cui  le  facultà  de'  poverelli 
IS'on  sono  mai  ne  le  città  secure. 
Avea  dietro  e  dinanzi  e  d'ambi  i  lati, 
aS'otai,  Procuratori  et  Avvocati. 

85 
La  chiama  a  sé  Michele,  e  le  comanda 
Chejra  i  più  l'orti  Saracini  scenda, 
E  cagion  trovi,  che  con  memoranda 
Euina  insieme  a  guerreggiar  gli  accenda. 
Poi  del  Silenzio  nuova  le  domanda: 
Facilmente  esser  può  ch'essa  n'intenda. 
Si  come  quella  ch'accendendo  fochi 
Di  qua  e  di  là,  va  per  diversi  lochi. 

8G 
Rispose  la  Discordia:  Io  non  ho  a  mente 
In  alcun  loco  averlo  mai  veduto: 
Udito  r  ho  ben  nominar  sovente, 
E  molto  commendarlo  per  astuto. 
Ma  la  Fraude,  una  qui  di  nostra  gente. 
Che  compagnia  talvolta  gli  ha  tenuto, 
Penso  che  dir  te  ne  saprà  novella  : 
E  verso  una  alzò  il  dito, e  disse:  È  quella. 

87 
Avea  piacevol  viso,  abito  onesto. 
Un  umil  volger  d'occhi,  un  andar  grave, 
Un  parlar  si  benigno  e  si  modesto. 
Che  parea  Gabriel  che  dicesse  :  Ave. 
Era  brutta  e  deforme  in  tutto  il  resto: 
Manascoudea  queste  fattezze  prave 
Con  lungo  abito  e  largo;  e  sotto  quello. 
Attossicato  avea  sempre  il  coltello. 

88 
Domanda  a  costei  l'Angelo,  che  via 
Debba  tener,  si  che  '1  Silenzio  trove. 
Disse  la  Fraude:  Già  costui  solia 
Fra  virtudi  abitare,  e  non  altrove. 
Con  Benedetto,  e  con  quelli  d'Elia 
Xe  le  Badie,  quando  erano  ancor  nuove: 


—  4.  chiose  ;  i  commeuti  delle  leggi  — 
consigli,  i  consulti  legali  —  letture  ;  la  giu- 
risprudenza, ossia  le  illustrazioni  delle  leggi. 

85.  2.  scenda.  Perché  i  monasteri  sogliono 
essere  in  aito.  ''  ^'<^^'^;---^'"*'^'^'^^ 

—  3.  che,  perché. 

—  6.  n'intenda;  ne  sappia,  ne  abbia  noti- 
zia. Machi.wklli,  Leff.  Coin.2, 29i  .'«Quando 
mi  troverò  in  luoghi  più  atti  ad  intendere, 
ne  potrò  dare  più  certa  notizia  ». 

87.  4.  Che  parea  ecc.  Dante,  Purg.  10, 
40  :  «  Giurato  si  saria  eh'  ei  dicesse  ave  ». 

88.  5.  Con  Benedetto.  S.  Benedetto  (4S0- 
513)  fu  il  gran  fondatore  del  monachismo 
in  occidente.  —  quelli  d' E.  sono  i  carmeli- 
tani; l'ordine  de'  quali  fu  fondato  soltanto 
nel  1160  da  Bertoldo  sul  monte  Carmelo  in 
Siria,  ov'  era  tradizione  che  fosse  vissuto 
il  profeta  Elia.  Osserva  l'anacronismo. 


Fé'  ne  le  Scuole  assai  de  la  sua  vita 
Al  tempo  di  Pitagora  e  d'Archita. 
89 

Mancati  quei  Filosofi  e  quei  Santi 
Che  lo  solean  tener  pel  camin  ritto, 
Dagli  onesti  costumi  ch'avea  inanti. 
Fece  alle  sceleraggiui  tragitto. 
Cominciò  andar  la  notte  con  gli  amanti, 
Indi  coi  ladri,  e  fare  ognidei'tto. 
Molto  col  Tradimento  egli  dimora:     .  ^  ■ 
Veduto  r  ho  con  l'Omicidio  ancora. 
90 

Con  quei  ch^  falsan  le  monete,  ha  usati- 
Di  ripararsi  in  qualche  buca  scura.      [za 
Cosi  spesso  compagni  muta  e  stanza, 
Che  '1  ritrovarlo  ti  saria  ventura. 
Ma  pur  ho  d'insegnartelo  speranza. 
Se  d'arrivare  a  mezza  notte  hai  cura 
Alla  casa  del  Sonno:  senza  fallo 
Potrai  (che  quivi  dorme)  ritrovano. 
91 

Ben  che  soglialaFraude  esser  bugiarda, 
Pur  è  tanto  il  suo  dir  simile  al  vero. 
Ohe  l'Angelo  le  crede;  indi  non  tarda 
A  volarsene  fuor  del  monastero. 
Temprail  batterdel'alce  studia  eguarda 
Giungere  in  tempo  al  fin  del  suo  sentiero, 
Ch'alia  casa  del  Sonno,  che  ben  dove 
Era  sapea,  questo  Silenzio  trove. 
92 

Giace  in  Arabia  una  valletta  amena. 
Lontana  da  cittadi  e  da  villaggi, 
Ch' all'ombra  di  due  monti  è  tutta  piena 
D'antiqui  abeti  e  di  robusti  faggi. 
Il  sole  indarno  il  chiaro  di  vi  mena; 
Che  non  vi  può  mai  penetrar  coi  raggi, 
Si  gli  è  la  via  da  folti  rami  tronca: 
E  quivi  entra  sotterra  una  spelonca. 
93 

Sotto  la  negra  selva  una  capace 
E  spaziosa  grotta  entra  nel  sasso, 
Di  cui  la  fronte  l'edera  seguace 


—  8.  Pitagora,  filosofo  greco  (5S2-500  a. 
C),  prescriveva  agli  scolari  suoi  che  per 
cinque  anni  tacessero  e  non  ardissero  di- 
sputare. —  Archita  (circa  400  a.  C.)  filosofo 
pitagorico  di  Taranto. 

89.  5.  Cominciò  and.;  e.  ad  and.  V.  e.  r, 
4,  n.  1. 

90.  S.  ritrovano;  ritrovarlo.  V.  e. n, 3, n. 4. 

91.  5.  Tempra;  regola.  M  vchiav.  St.  F.3, 
78  :  «  Temprava  l'oriuolo  di  Palagio  ». 

—  7.  che;  É  correlativo  di  in  tempo. 

92.  1.  I  commentatori  dicono  che  in  que- 
sta descrizione  l'A.  segue  Ovidio  e  Stazio; 
ma  il  Raina,  F.  p.  203,  giustamente  dice  die 
essa  è  una  ricreazione  dei  modem,  non 
già  una  copia  o  un  accozzamento. 

93.  3.  edera  seguace.  Persio,  prologo,  0: 
«  hederae  sequaces  ». 


16S 


ORLANDO  FURIOSO 


c 


Tutta  aggirando  va  con  storto  passo. 
In  questo  albergo  il  grave  Sonno  giace  : 
L'Ozio  da  un  canto  corpulento  e  grasso  ; 
Da  l'altro  la  Pigrizia  in  terra  siede,  [de. 
Che  non  può  andare,  e  mal  reggersi  in  pie- 
94 

Lo  smemorato  Oblio  sta  su  la  porta: 
Non  lascia  entrar,  né  riconosce  alcuno; 
Non  ascolta  imbasciata,  né  riporta; 
E  parimente  tien  cacciato  ognuno.    ,  .      ' 
Il  Silenzio  va  intorno,  e  fa  la  scorta  : 
Ha  le  scarpe  di  feltro,  e  '1  mantel  bruno  ; 
Et  a  quanti  n'  incontra,  di  lontano, 
Che  non  debban  venir,  canna  eon  mano. 
95 

Segli  accosta  all'orecchio,  e  pianamente 
L'Angel  gli  dice  :  Dio  vuol  che  tu  guidi 
A  Parigi  Rinaldo  con  la  gente 
Che  per  dar,  mena,  al  suo  Signor  sussidi  ; 
Ma  che  lo  facci  tanto  chetamente. 
Ch'alcun  de'  Saracin  non  oda  i  gridi; 
Si  che  più  tosto  che  ritrovi  il  calle 
La  Fama  d'avvisar,  gli  abbia  alle  spalle. 
96 

Altrimente  il  Silenzio  non  rispose. 
Che  col  capo,  accennando  che  farla; 
E  dietro  ubidiente  se  gli  pose; 
E  furo  al  primo  volo  in  Picardia. 
Michel  mosse  le  squadre  coraggiose, 
E  fé'  lor  breve  un  gran  tratto  di  via  ; 
Si  che  in  un  di  a  Parigi  le  condusse, 
Né  alcun  s'avvide  che  miracol  fusse. 
97 

Discorreva  il  Silenzio,  e  tutta  volta, 
E  dinanzi  alle  squadre  e  d'ogn' intorno 
Facea  girare  un'alta  nebbia  in  volta. 


—  8.  reggersi;  Rileva  un  può  dalla  pre- 
cedente proposiz.  La  concordia  delle  ediz. 
curate  dall'A.  esclude  errore  o  svista. 

94.  4.  cacciato  ;  rimoto,  lontano.  I  vocab. 
non  notano  questo  signific. 

—  5.  fa  la  scorta;  f.  1.  scolta.  Scorta  (da 
accorto)  significa  propr.  guida  ;  ma  si  usò 
anche  per  scolta  (da  ascoltare).  Berm,  Ina. 
4,  81  :  «  E  fanno  al  llume  ed  al  ponte  la 
scorta». 

—  7.  n'  incontra.  Il  ne  è  pleonastico. 

—  8.  canna;  accenna.  Cosi  Scolastica, 5,  3. 
e  cosi  altri,  sebbene  non  sia  frequente.  Caro, 
Loìiy.  85:  «  comandò...  che  cennasse  loro  ». 

95.  5.  facci,  faccia.  Si  hanno  esempi  in 
copia  di  ambedue  le  forme  :  oggi  è  più  co- 
mune la  seconda. 

—  7.  Si  ecc.;  s.  e.  ognuno  li  abbia  alle 
spalle  prima  che  la  Fama  trovi  la  via  per 
andare  ad  avvisare  i  Saracini. 

—  8.  avvisar;  avvisarli.  V.  ci,  21,7. 

97.  ].  Discorreva;  correva  di  qua  e  di  là 
—  tutta  volta,  continuamente,  mentre  cor- 
reva. 


Et  avea  chiaro  ogn'altra  parte  il  giorno  : 
E  non  lasciava  questa  nebbia  folta. 
Che  s'udisse  di  fuor  tromba  né  corno  : 
Poi  n'andò  tra  Pagani,  e  menò  seco 
Un  non  so  che,  ch'ognun  fé' sordo  e  cieco. 

98 
Mentre  Rinaldo  in  tal  fretta  venia. 
Che  ben  parca  da  l'Angelo  condotto, 
E  con  silenzio  tal,  che  non  s' udia 
Nel  campo  Saraciu  farsene  motto; 
Il  Re  Agramante  avea  la  fanteria 
Messo  ne'  borghi  di  Parigi,  e  sotto 
Le  minacciate  mura  iu  su  la  fossa. 
Per  far  quel  di  l'estremo  di  sua  possa. 

99 
Chi  può  contar  l'esercito  che  mosso 
Questo  di  contra  a  Carlo  ha  '1  Re  Agraraan- 
Conterà  ancora  in  su  l'ombroso  dosso  [te. 
Del  silvoso  Apennin  tutte  le  piante  ; 
Dirà  quante  onde,  quando  è  il  mar  più  gros- 
Bagnano  i  piedi  al  Mauritano  Atlante;  [so, 
E  per  quanti  occhi  il  ciel  le  furtive  opre 
Degli  amatori  a  mezza  notte  scuopre. 

100 
Le  campane  si  sentono  a  martello 
Di  spessi  colpi  e  spaventosi  tocche; 
Si  vedemolto,inquestotempioein  quello. 
Alzar  di  mano  e  dimenar  di  bocche. 
Se  '1  tesoro  paresse  a  Dio  si  bello. 
Come  alle  nostre  openioni  sciocche; 
Questo  era  il  di  che  '1  santo' consistoro 
Fatto  avria  in  terra  ogni  sua  statua  d'oro. 

101 
S'odon  ramaricare  i  vecchi  giusti, 
Che  s'erano  serbati  in  quelli  affanni, 

—  4.  Questo  verso  è  inteso  variam.  Al- 
cuni: ed  era  chiaro  in  ogni  altra  p.  il  g.  ; 
altri,  meglio:  e  ogni  altra  parte  aveva  il 
giorno  chiaro. 

—  7.  tra,  tra  i.  V.  e.  ii,  15,  n.  8  —  menò  j 
portò.  Con  riferimento  a  cosa  non  è  regi- 
strato dai  vocabol. 

98.  2.  parca;  appariva. 

99.  6.  Manrit.  Atl.  «  Perciocché  questo 
monte  è  d'ampie  falde  attorniato  e  disten- 
desi  molto  nel  mare,  il  quale  in  quelle 
bande  si  gonfia  e  si  inalza  più  che  altrove  » 

(FORNARI). 

—  7.  occhi  del  ciel  son  dette  le  stelle. 
Dante,  Purg.  20,  132,  chiamò  il  sole  e  la 
luna  li  due  occhi  del  cielo. 

100.  6.  openionì  e  oxjpenioni  sono  forme 
non  rare  negli  antichi. 

—  7.  consistoro,  il  consesso  dei  beati. 
Dante  disse  di  Ganimede  Purg.,  9,  24: 
«  Quando  fu  ratto  al  sommo  concistoro  »  al 
consesso  degli  dei. 

101.  2.  8'  erano  serb.  ecc.  Può  significare  : 
che  aveano  vissuto  jjer  provare  q.  aff.  ;  oi>- 
pure:  che  in  raezzo  a  quegli  affanni  erano 


CANTO  XIV 


169 


E  nominar  felici  i  sacri  busti 
Composti  in  terra  già  molti  e  raolf  anni. 
M^gli  animosi  gioveni  robusti 
Che  miran  poco  i  lor  propinqui  danni, 
Sprezzando  le  ragion  de'  più  maturi, 
1)1  qua  di  là  vanno  correndo  a'  muri. 
102 

Quivi  erano  Baroni  e  Paladini, 
Re,  Duci,  Cavallier,  Marchesi  e  Conti, 
Soldati  forestieri  e  cittadini. 
Per  Cristo  e  pel  suo  onore  a  morir  pronti  ; 
Che  per  uscire  adosso  ai  Saracini, 
Pregan  Tlmperator  ch'abbassi  i  ponti. 
Gode  egli  di  veder  l'animo  audace  ; 
Ma  di  lasciarli  uscir  non  li  compiace. 
103 

E  li  dispone  in  oportuni  lochi, 
Per  impedire  ai  Barbari  la  via. 
Là  sì  contenta  che  ne  vadan  pochi; 
Qua  non  basta  una  grossa  compagnia. 
Alcuni  han  cura  maneggiare  i  fuochi. 
Le  machine  altri,  ove  bisogno  sia. 
Carlo  di  qua  di  là  non  sta  mai  fermo  ; 
Va  soccorrendo,  e  fa  per  tutto  schermo. 
101 

Siede  Parigi  in  una  gran  pianura. 
Ne  Tombilico  a  Francia,  anzi  nel  core: 
Gli  passa  la  riviera  entro  le  mura, 


sopravvissuti.  Sembra  preferibile  questa  se- 
condainterpret.  Petr.  canz.  «Spirto  gentil»: 
«i  vecchi  stanchi  C  hanno  sé  in  odio  e  la  so- 
verchia vita  ». 

.  —  3.  busti,  (lat.  bìistum  da  duro,  bru- 
ciare ;  era  il  luogo,  dove  si  era  arso  un 
morto,  e  anche  il  cadavere  bruciato,  (Vm- 
GiL.  Eli.  11,  201);  qui  vale  sempUcem.  cada- 
veri. Tasso,  Ger.  19,  11":  «  Nessuna  a  me 
col  busto  esangue  e  muto  Kiman  più  guer- 
ra ».  —  sacri,  per  la  religione  dei  sepolcri. 

—  4.  già  m.  e  m.  a  ;  già  da  ni.  e  m.  a. 
V.  e.  I,  26,  u.  8.  —  composti  in  t.  È  il  compo- 
nere  tumulo  dei  Latini.  Cosi  nel  cauto 
XXIV,  9i.  Alcuni  vocabol.  non  la  Cr.,  citano 
il  modo  col  solo  es.  deli'A. 

—  8.  muri,  per  mura  della  città  usò  più 
volte  l'A. 

102.  2.  duci;  duchi.  V.  e.  ni,  45,  n.  1. 

103.  5.  han  cura  m.;  han  cura  di  m.  V. 
e.  I,  4,  n.  1.  —  i  fuochi;  Termine  guerresco 
generico  per  indicare  ogni  composizione  ar- 
tificiosa, che  si  infiammava  e  si  gettava  sui 
nemici  nei  combattimenti.  Erano  di  molte 
e  diverse  specie. 

104.  2.  Ne  l' omhil.  ecc.  Imitazione  dei  La- 
tini che  dissero  umbiCicus  terrarum,  Sici- 
liae.  Graeciae,  orbis,  per  la  parte  centrale. 
—  anzi  nel  core,  perché  Parigi  è  più  verso 
tramontana  che  verso  mezzodì,  come  il  cuore 
è  più  in  alto  dell'ombelico. 

—  3.  la  riviera;  la  Senna,  che  fa  un'  isola. 


E  corre,  et  esce  in  altra  parte  fuore; 
Ma  fa  un'  isola  prima,  e  v'assicura 
De  la  città  una  parte,  e  la  migliore: 
L'altre  due  (eh' in  tre  parti  è  lagranterra^ 
Di  fuor  la  fossa,  e  dentro  il  fiume  serra. 
105 
Alla  città  che  molte  miglia  gira. 
Da  molte  parti  si  può  dar  battaglia: 
I  Ma  perché  sol  da  un  canto  assalir  mira, 
!  Né  volentier  l'esercito  sbarraglia  ; 
Oltre  il  fiume  Agramante  si  ritira 
I  Verso  Ponente,  acciò  che  quindi  assaglia: 
Però  che  né  cittade  né  campagna 
Ha  dietro,  se  non  sua,  fin  alla  Spagna. 

106 
Dovunque  intorno  il  gran  muro  circonda, 
Gran  munizioni  avea  già  Carlo  fatte, 
Fortificando  d'argine  ogni  sponda. 
Con  scannafossi  dentro  e  case  matte: 
Onde  entra  ne  la  terra,  onde  esce  l'onda, 
Grossissime  catene  aveva  tratte; 
Ma  fece,  più  ch'altrove,  provedere 
Là  dove  avea  più  causa  di  temere. 
107 
Con  occhi  d'Argo  il  figlio  di  Pipino 
Previde  ove  assalir  dovea  Agramante; 
E  non  fece  disegno  il  Saracino, 
A  cui  non  fosse  riparato  inante. 
Con  Ferraù,  Isoliero,  Serpentino, 
Grandonio,  Falsirone  e  Balugante, 
E  con  ciò  che  di  Spagna  avea  menato, 


I  la  quale  è  stata  anticamente  il  primo  luogo- 
!  abitato  e  quindi  il  primo  a  sorgere  a  gran- 
dezza. 

—  8.  la  fossa  ;  la  fossa,  che  cingeva  le 
mura. 

105.  1.  gira;  si  estende  intorno.  Giam- 
BULL.  St.  381  :  «  Gira  questo  paese  circa  mi- 
glia 260  ». 

j       —  3.  assalir  mira;  ass.  pensa.  In   questo 

I  senso  si  disse  per  lo  più  mirare  a,  mirare 
di.  L'A.  l'usò  senza  pi'ep.  anche  al  e.  xxx, 

I  50. 

I       106.  1.  circonda;   gira   intorno.   V.   e.  x, 

j  113,  n.  2. 

—  3.  ogni  sponda;  sia  le  sponde  del  fiume 
'per  difender  la  parte  interna,  la  parte  ,,>i- 
j  gliore;  sia  le  sponde  della  fossa  esterna  alle 
[  mura.  O  anche:  ogni  parte  d.  sp.  d.  fiume. 

'  —  4.  scannafossi;  condotti  murati  nell'in- 
terno dell'argine  per  passare  da  una  parte 
all'altra  di  esso  —  case  matte,  vani,  nell'  in- 
terno dell'argine,  chiusi  e  coperti,  con  fe- 
ritoie, per  batter  l' inimico  senza  scoprire 
i  difensori;  per  riporvi  munizioni  ecc. 

107.  1.  Argo,  pastore,  che  secondo  la  fa- 
vola avea  cent'  occhi. 

—  7.  con  ciò  ;  con  tutte  quelle  genti.  Dan- 
te, Inf.,  24,  90  :  «  E  con  ciò  (con  tutti  quegli 
animali),  che  di  sopra  il  Mar  Rosso  èe  ». 


170 


ORLANDO  FURIOSO 


Restò  Marsilio  alla  campagna  armato. 
108 

Sobrio  gli  era  a  man  manca  in  ripa  a 

[Senna, 
Con  Pulian,  con  Dardinel  d'Almonte, 
Col  Re  d'Oran,  ch'esser  gigante  accenna, 
Lungo  sei  braccia  dai  piedi  alla  fronte. 
Deh  perché  a  muover  menson  io  la  penna. 
Che  quelle  genti  a  muover  l'arme  pronte  V 
Che  '1  Re  di  Sarza,  pien  d'ira  e  di  sdegno, 
Grida  e  bestemmia,  e  non  può  star  più  a 
109  [segno. 

Come  assalire  o  vasi  pastorali, 
O  le  dolci  reliquie  de'  convivi 
Soglion  con  rauco  suon  di  stridule  ali 
Le  impronte  mosche  a  caldi  giorni  estivi  ; 
Come  li  storni  a  rosseggianti  pali 
Vanno  di  mature  uve;  cosi  quivi, 
Empiendo  il  ciel  di  grida  e  di  rumori, 
Veniano  a  dare  il  fiero  assalto  i  Mori. 
110 

L'esercito  Cristian  sopra  le  mura 
Con  lancie,  spade  e  scure  e  pietre  e  fuoco 
Difende  la  città  senza  paura, 
E  il  barbarico  orgoglio  estima  poco  ; 
E  dove  Morte  uno  et  un  altro  fura, 
Non  è  chi  per  viltà  ricusi  il  loco. 
Tornano  i  Saracin  giù  ne  le  fosse 
A  furia  di  ferite  e  di  percosse. 


—  8.  alla  campagna.  Dunque  Sobrino,  il  re 
d"Orano  ecc.,  sono  schierati  lungo  la  Senna, 
Marsilio  è  più  a  dentro  nella  campagna  ;  e, 
avendo  tutti  la  fronte  verso  Parigi,  Marsilio 
rimaneva  sulla  destra,  Sobrino  e  gli  altri 
sulla  sinistra. 

108.  3.  accenna,  dà  l'idea  di.  V.  st.  17,  4. 

—  6.  pronte;  Regolarm.  dovrebbe  essere 
pronto.  È  un  fenomeno  d'attrazione  come 
quello  notato  al  e.  xi,  27,  6. 

109.  1.  Come  ecc.  La  compara/,  è  imitata 
da  quella  d'OMERO,  II.  2,  614:  «Conti  lo 
sciame  delle  impronte  mosche,  Che  ronzano 
in  aprii  nella  capanna  Quando  di  latte  sgor- 
gano le  secchie  Chi  contar  degli  Achei  desia 
le  torme  »  e  II.  16,  899  seg.  :  «  e  quale  è  il 
zonzo.  Con  che  soglion  le  mosche  a  prima- 
vera Assalir  susurrando  entro  il  presepe 
I  vasi  pastorali  allor  che  pieni  Sgorgan  di 
latte,  di  costor  tal  era  La  giravolta  intorno 
a  quell'estinto  ». 

—  4.  a  caldi.  Per  l'omissione  dell'art,  cfr. 
e.  II,  15  n.  8. 

—  5.  rosseggianti  di  mature  uve,  che  pen- 
dono dalle  viti  appoggiate  ai  pali.  Avverti 
che  con  queste  comparazioni  l'A.  ha  voluto 
mettere  in  mostra  la  poca  conoscenza  del- 
l'arte militare  dei  saracini,  mentre,  nel  e. 
XVI,  40-42,  mostra  l'ordine  disciplinato  d'un 
assalto  dato  dai  cristiani. 

no.  2.  scure,  scuri.  V.  e.  IX,  84,  n,  1. 


Ili 

Non  ferro  solamente  vi  s'adopra, 
Ma  grossi  massi,  e  merli  integri  e  saldi, 
E  muri  dispiccati  con  molt'opra, 
Tetti  di  torri,  e  gran  pezzi  di  spaldi. 
L'acque  bollenti  che  vengono  di  sopra, 
Portano  a'  Mori  insupportabil  caldi; 
E  male  a  questa  pioggia  si  resiste. 
Ch'entra  per  gli  elmi,  e  fa  acciecar  le  viste. 
112 

E  questa  più  nocca  che  '1  ferro  quasi  : 
Or  che  de'  far  la  nebbia  di  calcine  ? 
Or  che  doveano  far  li  ardenti  vasi 
Con  olio  e  zolfo  e  peci  e  trementine? 
I  cerchi  in  munizion  non  son  rimasi, 
Che  d'ognintorno  hanno  di  fiammail  crine  : 
Questi,  scagliati  per  diverse  bande, 
Metton  a'  Saracini  aspre  ghirlande. 

113  .      .  ..^ 

Intanto  il  Re  di,  Sarza  avea  cacciato 
Sotto  le  mura  la  schiera  seconda. 
Da  Buraldo,  da  Ormida  accompagnato, 
Quel  Garamante,  e  questo  di  Marmonda. 
Clarindo  e  Soridan  gli  sono  allato'; 
Né  par  che.'l  Re  di  Setta  si  nasconda  : 
Segue  il  Re  di  Marocco  e  quel  di  Cosca, 
Ciascun  perché  il  valor  suo  si  conosca. 
114 
Ne  la  bandiera,  eh' è  tutta  vermiglia, 
Rodomonte  di  Sarza  il  leon  8t)1ega,    {■' 
Che  la  feroce  bocca  ad  un?,  briglia 
Che  gli  pon  la  sua  donna,  aprir  non  niega. 
Al  leon  sé  medesimo  assimiglia;  '. 

E  per  la  donna  che  lo  frena  e  lega. 
La  bella  Doralice  ha  figurata. 
Figlia  di  Stordilan  Re  di  Granata  : 

111.  4.  spaldi  (etimol.  incerta:  il  Diez  lo 
ravvicina  al  td.  spalt,  fenditura  tra  merlo 
e  merlo);  ballatoi  sporgenti  in  cima  alle 
mura  e  alle  torri,  per  assicurare  i  combat- 
tenti. 

112.  5.1  cerchi;  comunemente  detti  cerchi 
di  fuoco,  erano  una  specie  di  girandole,  so- 
pra legni,  in  tondo,  ferrati  e  accesi  di  fuochi      f 
artifiziati  (zolfo,  pece,  trementina  ecc.),  che 

si  lasciavan  cadere  dall'alto  sui  nemici,  fra 
i  quali  spargevano  l' incendio.  Questi  cerchi 
non  eran  rimasti  iri,  munizione,  cioè  nei 
magazzini. 

113.  6.  Re  di  Setta;  Dorilone. 

—  7.  Re  di  Marocco,  Finadurro;  quel  di  Co- 
sca, Balinfronte. 

114.  2.  il  leon.  Inn.  il,  7,  28:  «  Del  re  di 
sarza  in  terra  è  il  gonfalone,  Ch'era  ver- 
miglio e  dentro  ha  una  regina.  Quale  avea 
posto  il  freno  ad  un  leone  :  Questa  era  Do- 
ralice di  Granata  Da  Rodamonte  più  che  il 
core  amata».  Avverti  che  fra  i  pagani  solo 
Rodomonte,  Dardinelloe  Mandricardohanno 


CANTO  XIV 


171 


115 
Quella  che  tolto  avea  (come  io  nan-ava) 
Re  Mandricardo  (e  dissi  dove  e  a  cui). 
Era  costei  che  Eodomonte  amava 
Più  che  'J  suo  regno  e  più  che  gli  occhi  sui  ; 
E  cortesia  e  valor  per  lei  mostrava, 
Non  già  sapendo  ch'era  in  forza  altrui  : 
♦Se  saputo  l'avesse,  allora  allora 
Fatto  a  vria  quel  che  fé'  quel  giorno  ancora. 
116 
Sono  appoggiate  a  un  tempo  mille^scale 
K^^^  jChe  non  han  meu  di  dua  per  ogni  grado, 
"-►iopinge  il  secondo  quel  ch'inanzi  sale; 
Che  'I  terzo  lui  montar  fa  suo  mal  grado. 
Chi  per  virtù,  chi  per  paura  vale  :       [do; 
Convien  ch'ognunper  forza  entri  nel  gua- 
Che  qualunque  s'adagia,  il  Re  d'Alglere, 
Rodomonte  crudele,  uccide  o  fere. 
117 
Ognun  dunque  si  sforza  di  salire 
Tra  il  fuoco  e  le  mine  in  su  le  mura. 
Ma  tutti  gli  altri  guardano,  se  aprire 
Aleggiano  passo  ove  sia  poca  cura  : 
Sol  Rodomonte  sprezza  di  venire, 
Se  non  dove  la  via  meno  è  sicura. 
Dove  nel  caso  disperato  e  rio 
Gli  altri  fan  voti,  egli  bestemmia  Dio. 
118 
Armato  era  d'un  forte  e  duro  usbergo, 
Che  fu  di  drago  una  scagliosa  pelle.    • 
Di  questo  già  si  cinse  il  petto  e  '1  terg^ó 
Quello  avol  suo  ch'edificò  Babelle,       .     , 
E  si  penso  cacciar  de  l'aureo  albergo,  - 
E  tórre  a  Dio  il  governo  de  le  stelle: 
L'elmo  e  lo  scudo  fece  far  perfetto, 
E  il  brando  insieme  ;  e  solo  a  questo  effetto. 
119 
Rodomonte  non  già  men  di  Nembrotte 
Indomito,  superbo  e  furibondo, 


Che  d' ire  al  ciel  non  tarderebbe  a  notte, 
Quando  la  strada  si  trovasse  al  mondo. 
Quivi  non  sta  a  mirar  s' intere  o  rotte 
Sieno  le  mura,  o  s'abbia  l'acqua  fondo: 
Passa  la  fossa,  anzi  la  corre,  e  vola, 
Ne  l'acqua  e  ijel  pantan  fin  alla  gola. 
•  — '    ■   ■-.  120  . 

Di  fango  brutto,  e  molle  d'acqua  vanne 
Tra  il  foco  e  i  sassi  egli  archi  e  le  balestre. 
Come  andar  suol  tra  le  palustri  canne 
De  la  nostra  Malica  porco  silvestre,   - 
Che  col  petto,  col  grifo  e  con  le  zanne   . 
Fa,  dovunque  si  volge,  ampie  finestre.     -, 
Con  lo  scudo  alto  il  Saraciu  sicuro 
Nevieu  sprezzando  il  ciel,  non  che  quel 
"  121      ,  [muro. 

Non  si  tosto  all'asciutto  è  Rodomonte, 
Che  giunto  si  senti  su  le  bertresche 
Che  dentro  alla  muraglia  facean  ponte 
Capace  e  largo  alle  squadre  francesche. 
Or  si  vede  spezzar  più  d'una  fronte, 
Far  chieriche  maggior  de  le  fratesche, 
Braccia  e  capi  volare,  e  ne  la  fossa 
Cader  da  muri  una  fiumana  rossa. 

122  [prende 

Getta  il  Pagan  lo  scudo,  e  a  duo  man 
La  crudel  spada,  e  giunge  il  duca  Arnolfo. 
Costui  venia  di  là  dove  discende 
L'acqua  del  Reno  nel  salato  golfo. 
Quel  miser  centra  lui  non  si  difende 
Meglio  che  faccia  contra  il  fuoco  il  zolfo; 
E  cade  in  terra,  e  dà  l'ultimo  crollo, 
pai  capo  fesso  un  palmo  sotto  il  collo. 
123 

Uccise  di  rovescio  in  una  volta 
Anselmo,  Oldrado,  Spineloccio  e  Fraudo  : 
Il  luogo  stretto  e  la  gran  turba  folta 
Fece  girar  si  pienamente  il  brando. 


insegne;  e  Rod.  nella   bandiera,  non  nelle 
armi. 

115.  7.  allora  a.  Fatto  a.  ecc.;  avrebbe  fatto 
subito  quello,  che,  pur  nel  giorno  stesso,  fece 
più  tardi,  quando  seppe  dal  Nano  T  accaduto 
a  Doralice  (e.  xviii,  36)  ;  cioè  sarebbe  partito, 
lasciando  la  battaglia.  V.  e.  xxv,  46,  n.  4. 

116.  3.  Spinge  il  s.;  chi  è  montato  secondo 
spinge  quello  che  gli  è  innanzi  (ossia  chi  è 
montato  primo),  perché  a  sua  volta  è  spinto 
da  chi  monta  terzo. 

—  6.  entri  nel  g.  Si  può  intendere  figu- 
rat.  come  al  e.  ii,  73;  ma  anche  in  senso 
proprio  perché  si  trattava  di  passar  la  fossa 
per  arrivare  alle  mura.  ; 

117.  7.  Dove,  laddove,  mentre.  I 

118.  4.  Quello  avol  suo  ecc.  Questa  discen-  i 
denza  di  Rod.  da  Nembrotte,  che  edificò  la  j 
torre  di  Babele,  l' usbergo  e  le  armi  prove-  \ 
untegli  pure  da  lui,  sono  invenzioni  del  ! 
Boiardo,  II,  vii,  5,  xiv,  32;  HI,  i,  59.  | 


119.  6.  0  s'abbia  l'a.  f.  ;  se  la  fossa  abbia 
acqua  profonda  o  no. 

120.  4.  Mallea;  «luogo  basso  e  palustre 
nel  Ferrarese  sulla  sinistra  del  Po  di  Vo- 
lano, poco  discosto  dal  mare,  abbondante 
anche  adesso  di  cinghiali.  E  forse  da  marea 
corrottamente  fu  detto  Blallea  ».  Barotti. 

121.  2.  si  senti  ;  dai  nemici;  se  lo  sentiro- 
no —  bertresche;  bertesche,  (etimol.  incerta); 
Specie  di  cateratl:e  fra  merlo  e  merlo,  sulle 
mura  e  sulle  torri.  Si  alzavano  e  si  abbas- 
savano per  coprire  o  scoprire  i  soldati  nella 
difesa  e  nell'offesa.  Qui  però  deve  intendersi, 
non  solo  queste  cateratte,  ma  anche  l'im- 
palcato all'altezza  della  bertesca,  sul  quale 
potessero  stare  i  combattenti. 

—  S.  da  muri;  dai  muri.  V.  e.  ii,  15,  S. 

122.  2.  giunge,  colpisce.  V.  e.  x,  104,  n.  7. 

—  3.  dove  ecc.;  dall'Olanda,  dove  il  Reno 
entra  nel  Zuidersee  (salato  golfo). 

—  8.  Dal  capo  fesso  ecc.  ;  fesso  dal  capo 
a  un  palmo  sotto  il  collo. 


172 


ORLANDO  FURIOSO 


Fn  la  prima  metade  a  Fiandra  tolta, 
L'altra  scemata  al  popolo  Normando. 
Divise  appresso  da  Ja  fronte  al  petto, 
Et  indi  al  ventre  il  Magauzese  Orghetto. 

Getta  da  merli  Andropouo  e  Meschino 
Giù  nella  fossa:  il  primo  è  sacerdote  ; 
Non  adora  il  secondo  altro  che  '1  vino, 
E  le  bigonce  a  un  sorso  n'  ha  già  vuote. 
Come  veneno  e  sangue  viperino 
L'acque  fuggia  quanto  fuggir  si  puote: 
Or  quivi  muore;  e  quel  che  più  l'annoia, 
È  '1  sentir  che  ne  l'acqua  se  ne  muoia. 

125 
Tagliò  in  due  parti  il  Provenzal  Luigi, 
E  passò  il  petto  al  Tolosano  Arnaldo. 
Di  Torse  Oberto,  Claudio,  Ugo  e  Dionigi 
Mandar  lo  spirto  fuor  col  sangue  caldo; 
E  presso  a  questi,  quattro  da  Parigi, 
Gualtiero,  Satallone,  Odo  et  Ambaldo, 
Et  altri  molti;  et  io  non  saprei  come 
Di  tutti  nominar  la  patria  e  il  nome. 
126 

La  turba  dietro  a  Rodomonte  presta 
Lescaleappoggiaemontainpiùd'un  loco. 
Quivi  non  fanno  i  Parigin  più  testa; 
Che  la  prima  difesa  lor  vai  poco. 
San  ben,  ch'agli  nemici  assai  più  resta 
Dentro  da  fare,  e  non  l'avran  da  gioco; 
Perché  tra  il  muro  e  l'argine  secondo 
Discende  il  fosso  orribile  e  profondo. 
127 

Oltra  che  i  nostri  facciano  difesa 
Dal  basso  all'alto,  e  mostrino  valore; 


123.  5.  la  prima  metade,  i  primi  due  dei 
quattro  suddetti. 

124.  1.  da  m.  dai  m.  V.  e.  ii,  15,  n.  8.  Av- 
verti che  V.\.  non  ama,  come  il  Boiardo,  le 
grossolane  caruificine;  e,  pure  indulgendo 
alla  tradizione  del  poema  cavalleresco  po- 
polare, le  rende  meno  truci  con  qualche  se- 
rena immagine,  come  sopra  st.  114,  o  con 
qualche  tratto  comico,  come  qui. 

—  8.  che...  muoia,  di  morire.  V.  e.  i,3S,  n.  6. 

125.  3.  Torse,  Tours,  città  della  Turenne, 
Dante  ha  Torso. 

126.  7.  argine  secondo.  Quest'argine  se- 
condo è  parte  di  quelle  munizioni  accennate 
alla  st.  106,  2,  né  pare  che  abbia  che  vedere 
coU'argine  del  v.  3:  quello  muniva  la  fossa 
di  cinta  e  le  sponde  del  fiume,  questo  è 
come  un  secondo  muro  di  terra  inalzato  per 
ì  bisogni  del  momento  un  po'  discosto  dalle 
mura  di  materiale. 

—  8.  il  fosso.  Questo,  come  appare  più 
sotto,  era  senz'  acqua  e  preparato  con  ma- 
terie infiammabili. 

127.  1.  Oltra  che...  facciano.  Per  il  costrutto 
cfr.  e.  iir,  07,  n.  1. 

—  2.  Dal  basso    all'alto;    dai   piedi   delle 


Nuova  gente  succede  alla  contesa 
Sopra  l'erta  pendice  interiore. 
Che  fa  con  lancie  e  con  saette  offesa 
I  Alia  gran  moltitudine  di  fuore, 
j  Che  credo  ben  che  saria  stata  meno, 
i  Se  non  v'era  il  figliuol  del  Re  Ulieno. 

!  :.     ...      .128  .       -u 

I     Egli  questi  conforta,  e  quei  riprende  ; 

j  E  lor  mal  grado  inaiizi  se  gli  caccia  : 
Ad  altri  il  petto,  ad  altri  il  capo  fende, 

<  Che  per  fuggir  veggia  voltar  la  faccia. 

j  Molti  ne  spinge  et  urta;  alcuni  prende 
Pei  capelli,  pel  collo  e  per  le  braccia: 
E  sozzopra  là  giù  tanti  ne  getta, 

j  Che  quella  fossa  a  capir  tutti  è  stretta. 

j  129  ^ 

]     Mentre  lo  stuol  de'  Barbari  si  cala. 
Anzi  trabocca  al  periglioso  fondo, 
Et  indi  cerca  per  diversa  scala     - 
Di  salir  sopra  l'argine  secondo  ; 
Il  Re  di  Sarza  (come  avesse  un'ala 
Per  ciascun  de'  suoi  membri)  levò  il  pondo 
Di  si  gran  corpo  e  con  tant'arme  indosso, 
E  netto  si  lanciò  di  là  dal  fosso. 
130 
Poco  era  men  di  trenta  piedi,  o  tanto  ; 
Et  egli  il  passò  destro  come  un  veltro, 
E  fece  nel  cader  strepito,  quanto 
Avesse  avuto  sotto  i  piedi  il  feltro: 
Et  a  questo  et  a  quello  affrappa  il  manto. 
Come  sien  l'arme  di  tenero  peltro, 
E  non  di  ferro,  anzi  pur  sien  di  scorza  : 
Tal  la  sua  spada,  e  tanta  è  la  sua  forza. 
131 
In  questo  tempo  i  nostri,  da  chi  tese 


mura  contro  i  nemici,  che  le  hanno  occu- 
pate. 

—  4.  pendice  ;  l'argine  secondo. 

—  6.  di  fuore;  fuori  dell'argine,  ossia  sulle 
mura  e  fra  le  mura  e  la  fossa  secca. 

128.  8.  sozzopra;  Per  sossopra  usarono 
spesso  i  Toscani.  Buouarr.  Tane.  2,  4  ;  «  La 
m'  ha  messo  sozzopra  le  budella  ».  E  il  Sal- 
vini annota:  «  É  detto  per  abbreviatura  o 
sincope  (sottosopra),  come  oz soldi  dice  la 
plebe  invece  di  otto  .soldi  ». 

129.  3.  diversa  scala  ;  diverse  scale. 

130.  1.  piedi.  Il  piede  fu  misura  diversa 
secondo  i  tempi  e  i  paesi,  ma  generalmente 
fu  sempre  lunghezza  di  circa  30  centimetri 
—  0  tanto  ;  o  veramente  30  piedi  giusti. 

I       —  5.  affrappa  il  m.  ;  taglia  colla  spada  le 

vesti  e  le  armi  facendoli  a  frappe  e  sbren- 

I  doli  come  fossero  di  peltro   (metallo  com- 

'  posto  di  stagno  raffinato  con  mercurio  :  eti- 

!  mologia  ignota).  L'immagine  del  tnanto  èl 

I  introdotta  per  l'azione  del  verbo  affrappareA 

Innam.l,  iv,48:  «  Non  dimandar  se 'Ifrappa 

con  Fusberta  ». 

I       131.  1.  da  chi  ;  da  cui.  V.  e.  li',  20,  n.  8. 


CANTO  XIV 


173 


L'insidie  son  ne  la  cava  profonda, 
Che  v'iian  scope  e  fascine  in  copia  stese, 
Intorno  a  quai  di  molta  pece  abonda, 
Né  però  alcuna  si  vede  palese. 
Ben  che  n'  è  piena  l'una  e  l'altra  sponda 
Dal  fondo  cupo  insino  all'orlo  quasi  ; 
E  senza  fin  v'  hanno  appiattati  vasi, 
132 
Qual  con  salnitro,  qual  con  olio,  quale 
Con  zolfo,  qual  con  altra  simil  esca  : 
I  nostri  in  questo  tempo,  perché  male 
Ai  Saracini  il  folle  ardir  riesca, 
Ch'eran  nel  fosso,  e  per  diverse  scale 


—  2.  cava,  fossa,  elle  cinge  l'argine  se- 
condo. 

—  4.  a  quai,  alle  quali.  V.  e.  li,  15,  n.  8. 
E  serva  questo  esempio  a  mostrare  che  in 
tutti  quei  luoghi,  dove  la  mancanza  dell'ar- 
ticolo potrebbe  far  supporre   omissione  di 
apostrofo  {Da   per  da'  ;  a  per  a'  ecc.)  l'A.  l 
ha  omesso  veramente  l' articolo.  —  di  mol- 1 
ta;   È  d' uso  popolare  Toscano  invece  del 
semplice  molto,  sia  nel   soggetto  che  nei  ' 
complementi. 

—  5.  Né  però  ecc.  Intendi  che  le  avevano 
nascoste,  a  gruppi,  in  incavi  fatti  nel  fondo 
e  nelle  sponde  del  fosso,  celandovi  in  mezzo 
vasi  pieni  di  materie  infiammabili.  ; 

132.  3.  I  nostri;  Riprende  il  costrutto  iu-  1 
terrotto  nel  primo  verso  della  st.  prece- 
dente. 


Credean  montar  su  l'ultima  bertresca; 

Udito  il  segno  da  oportuni  lochi, 

Di  qua  e  di  là  fenno  avvampare  i  fuochi. 

133 

Tornò  la  fiamma  sparsa,  tutta  in  una. 
Che  tra  una  ripa  e  l'altra  ha '1  tutto  pieno 
E  tanto  ascende  in  alto,  ch'alia  luna 
Può  d'appresso  asciugar  l'umido  seno. 
Sopra  si  volve  oscura  nebbia  e  bruna, 
Che 'Isole  adombra,  e  spegne  ogni  sereno. 
Sentesi  un  scoppio  iu  un  perpetuo  suono, 
Simile  a  un  grande  e  spaventoso  tuono. 
134 

Aspro  concento,  orribile  armonia 
D'alte  querele,  d'ululi  e  di  strida 
De  la  misera  gente  che  peria 
Nel  fondo  per  cagion  de  la  sua  guida, 
Istranamente  concordar  s'udia 
Col  fiero  suon  de  la  fiamma  omicida. 
Non  pili.  Signor,  non  più  di  questo  Canto; 
Ch'io  son  già  rauco,  evo' posarmi  alquan- 

[to. 

133.  4.  rnmido  seno.  La  luna  è  personifica- 
ta, e  il  seno  di  lei  è  detto  umido,  perché 
quando  essa  splende  cadono  le  rugiade. 

—  5.  oscura  nebbia,  il  fumo  denso  delle 
sostanze  infiammate. 

—  7.  un  scoppio  ecc.  ;  uno  scoppio  di 
urli,  che  spiccano  fra  la  romba  delle  fiamme, 
come  un  tuono  fra  la  romba  del  turbine. 
La  st.  seg.  è  spiegazione  di  ciò. 


CANTO  XV 


1 

Fu  il  vincer  sempre  mai  laudibilcosa, 
Vincasi  o  per  fortuna  o  per  ingegno: 
Gli  è  ver  che  la  vittoria  sanguinosa 
Spesso  far  suole  il  Capitan  men  degno; 
E  quella  eternamente  è  gloriosa, 
E  dei  divini  onori  arriva  al  segno. 
Quando,  servando  i  suoi  senza  alcun  dan- 
Si  fa  che  gl'inimici  in  rotta  vanno:      [no 


1.  3.  Gli  è  ver  :  Ha  forza  avversativa  :  ma 
gli  è  ver. 

—  6.  arriva  al  segno  ;  a.  al  raggiungi- 
mento, fino  al  punto,  dove  si  meritano  onori 
divini.  Petr.  Tr.  f.  ITI,  4:  «Plato,  Che  'n 
quella  schiera  andò  più  presso  al  segno.  Al 
quale  aggiunge  a  chi  dal  cielo  è  dato  ». 

—  7.  Quando  ecc.  Completa:  quella  c/ic  si 
ottiene,  quando  ecc. 


La  vostra.  Signor  mio,  fu  degna  loda. 
Quando  al  Leone  in  mar  tanto  feroce, 
Ch'avea  occupata  l'una  e  l'altra  proda 
Del  Po,  da  Francolin  sin  alla  foce. 
Faceste  si,  ch'ancor  che  ruggir  l'oda. 
S'io  vedrò  voi,  non  tremerò  alla  voce. 


2.  1,  loda,  Dante,  Par.  10,  122:  «  Se  tu 
l'occhio  della  mente  trani  Di  luce  in  luce 
dietro  alle  mie  lode  ».  Qui  loda  significa 
opera  lodevole  come  nella  canzone  del  Petr. 
ai  Signori  d'Italia  :  «  In  qualche  bella  lode. 
In  qualche  onesto  studio  si  converta  ». 

—  2.  Leone;  Venezia.  V.  e.  iii,  49,  n.  2. 

—  4.  Francolin;  Terra  sul  Po,  a  40  miglia, 
dalla  foce,  a  5  da  Fei-rara,  L'A.  parla  qui 
della  battaglia  della  Polesella,  di  cui  fa  cenno 
anche  al  e.  ni.  57. 


174 


OKLANDO  FURIOSO 


Come  vincer  si  de',  ne  dimostraste; 
Ch'uccideste  i  nemici  e  noi  salvaste. 

3  dace, 

Qnesto  il  Pagan,  troppo  in  suo  danno  aii- 
Non  seppe  far;  che  i  suoi  nel  fosso  spinse, 
Dove  la  fiamma  subita  e  vorace 
Non  perdonò  ad  alcun,  ma  tutti  estiuse. 
A  tanti  non  saria  stato  capace 
Tutto  il  gran  fosso,  ma  il  foco  restrinse, 
Restrinse  i  corpi  e  in  polve  li  ridusse, 
Acciò  ch'abile  a  tutti  il  luogo  fusse. 
4 

Undici  mila  et  otto  sopra  venti 
Si  ritrovar  ne  l'affocata  buca, 
Che  v'erano  discesi  mal  contenti; 
Ma  cosi  volle  il  poco  saggio  Duca. 
Quivi  fra  tanto  lume  or  sono  spenti, 
E  la  vorace  fiamma  li  manuca  : 
E  Rodomonte,  causa  del  mal  loro, 
Se  ne  va  esente  da  tanto  martore; 
5 

Che  tra'  nemici  alla  ripa  più  interna 
Era  passato  d'un  niirabil  salto. 
Se  con  gli  altri  scendeane  la  caverna. 
Questo  era  ben  il  fin  d'ogni  suo  assalto. 
Rivolge  gli  occhi  a  quella  valle  inferna; 
E  quando  vede  il  fuoco  andar  tant'alto, 
E  di  sua  gente  il  pianto  ode  e  lo  strido, 
Bestemmia  il  ciel  con  spaventoso  grido. 
6 

In  tanto  il  Re  Agramante  mosso  avea 
Impetuoso  assalto  ad  una  porta; 
Che,  mentre  la  crudel  battaglia  ardea 
Quivi  ove  è  tanta  gente  afflitta  e  morta, 
Quella  sprovista  forse  esser  credea 
Di  guardia,  che  bastasse  alla  sua  scorta. 
Seco  era  il  Re  d'Arzilla  Bambirago, 
E  Baliverzo  d'ogni  vizio  vago; 
7 

E  Corineo  di  Mulga,  e  Prusione, 

—  8.  noi,  la  nostra  parte,  il  nostro  eser- 
cito. Noi)  intendere  che  l'A.  fosse  presente 
a  questa  battaglia,  giacché  in  quel  giorno 
si  trovava  a  Roma;  V.  e.  :;{l,  3. 

3.  8.  abile  ;  capace  a  contenere.  Per  que- 
sto signific.  si  cita  soltanto  1'  A.  Potrebbe 
anche  avere  il  signific.  latino  di  atto,  ido- 
ìieo. 

4.  1.  Undici  ecc.,  undicimila  vent' otto. 

—  5.  fra  tanto  1.  or.  s.  sp.  Questa  antitesi 
è  uno  scherzo  che  giova  allo  stesso  fine  di 
quella  del  e.  xiv,  121  8. 

—  6.  manuca;  manduca.  Èforma  frequente 
specialmente  negli  scrittori  Toscani  auticlii. 

5.  1.  ripa  p.  int.  ;  all'argine  secondo.  V. 
e.  XVI,  12e,  n.  7. 

6.  6.  che  bastasse  ecc.;  che  bastasse  a  re- 
spingere ia  scorta  che  aveva  seco.  Oppure: 
che  bastasse  alla  difesa  della  porta  stessa. 

—  8.  d'ogni  Tizio  Tago;  cfr.  C.  XIV,  24,  3-4. 


Il  ricco  Re  de  l'Isole  beate; 
Malabuferso  che  la  regione 
Ticn  di  Fizan,  sotto  continua  estate  ; 
Altri  Signori,  et  altre  assai  persone 
Esperte  ne  la  guerra  e  bene  armate, 
E  molti  ancor  senza  valore  e  nudi, 
Che  '1  cor  non  s"armeriau  con  mille  scudi. 
8 

Trovò  tutto  il  contrario  al  suo  pensiero 
In  questa  parte  il  Re  de'  Saracini; 
Perché  in  persona  il  capo  de  l'Impero 
V'era,  Re  Carlo,  e  de'  suoi  Paladini, 
Re  Baiamone,  et  il  Danese  Uggiero,      - 
Et  ambo  i  Guidi  et  ambo  gli  Angelini, 
E  '1  Duca  di  Bavera,  e  Ganelone, 
E  Berlengier,  e  Avolio,  e  Avino,  e  Ottone. 
9 

Gente  infinita  poi  di  minor  conto 
De'  Franchi,  de'  Tedeschi  e  de' Lombardi, 
Presente  il  suo  Signor,  ciascuno  pronto 
A  farsi  riputar  fra  i  pili  gagliardi. 
Di  questo  altrove  io  vo'  rendervi  conto; 
Ch'ad  un  gran  Duca  è  forza  ch'io  riguardi,. 
Il  qual  mi  grida,  e  di  lontano  accenna, 
E  priega  ch'io  noi  lasci  ne  la  penna. 
10 

Gli  è  tempo  ch'io  ritorni  ove  lasciai 
L'avventuroso  Astolfo  d' Inghilterra, 
Che  '1  lungo  esilio  avendo  in  odio  ormai» 
Di  desiderio  ardea  de  la  sua  terra; 
Come  gli  n'aveadata  pur  assai 


I       7.  7.  nudi  ;  senz'armi. 
j       8.  4.  Paladini.  Propriam.  i  paladini  (co- 
'  mites  palatini),  che  stavano  alla  corte  di 
I  Carlo  M.,  erano  dodici;  mala  dozzina  è  va- 
I  riamente  combinata  dai  romanzieri.  I  due 
I  che    appariscono   più   costantemente  sono 
Orlando  e  Oliviero.  In  questo  luogo  Pala- 
din  f  ha  il  senso  più  largo  di  prodi  guer- 
rieri. V.  e.  VII,  20,  n.  6. 

—  6.  ambo  i  Guidi  ;  «  Quel  di  Borgogna,, 
che  porta  '1  leone,  Negro  nell'oro  ».  Inn.  I, 
II,  56;  «  Guido  il  conte  di  Monforte,  E  non 
il  Borgognon  eh'  è  paladino.  Il  qual  si  stava 
con  Carlo  alla  corte  y>  Inn.  II,  xxiii,  31. 

—  ambo  gli  Angelini  ;  Il  «  Sir  di  Bordella 
(Bordeaux)  »  Inti.  I,  ii,  37;  e  l'altro,  pala- 
dino. 

—  8.  Beri.  Avol.  Av.  0.,  sono  i  quattro  fi- 
gli di  Namo  duca  di  Baviera,  che  appari- 
scono sempre  inseparabili,  pur  neW'Inna- 
inorato. 

9.  2.  Lombardi.  Si  ricordi  che  Carlo  M., 
vinto  Desiderio,  si  fece  re  de'  Longobardi,. 
0  Lombardi. 

10.  5.  gli  ne.  V.  e.  V,  89,  n.  4.  Abbiamo 
qui  una  costruzione  a  senso.  Invece  di  de- 
siderio della  s.  t.,  l'A.  ha  in  niente  deside- 
rio di  rivedere  la  s.  t.;  e  seguita;  secondo- 


CANTO  XV 


r.y 


Speme  colei  clrAlcina  vinse  in  guerra. 
Ella  di  rimandarvilo  avea  cura 
Per  la  via  più  espedita  e  più  sicura. 
11 
E  cosi  una  galea  fu  apparecchiata, 
Di  che  miglior  mai  non  solcò  marina: 
E  perché  ha  dubbio  pur  tutta  fiata, 
Che  non  gli  turbi  il  suo  viaggio  Aleina, 
Vuol  Logistilla  che  con  forte  armata 
Audronica  ne  vada  e  ISofrosina, 
Tanto  che  nel  mar  d'Arabi,  o  nei  golfo 
De'  Persi  giunga  a  salvamento  Astolfo. 
12 
Più  tosto  vuol  che  volteggiando  rada 
Gli  Sciti  e  gì'  Indi  e  i  regni  Nabatei, 
E  torni  poi  per  cosi  lunga  strada 
A  ritrovare  i  Persi  e  gli  Eritrei, 
Che  per  quel  boreal  pelago  vada. 
Che  turban  sempre  iniqui  venti  e  rei, 
E  si  qualche  stagion  pover  di  sole 
Che  starne  senza  alcuni  mesi  suole. 
là 
La  Fata,  poi  che  vide  acconcio  il  tutto, 
Diede  licenzia  al  Duca  di  partire, 
Avendol  prima  ammaestrato  e  instrutto 
Di  cose  assai,  che  fora  lungo  a  dire: 
E  per  schivar  che  non  sia  più  ridutto 


che  di  ciò  gli  avea  data  assai  sper.  anche 
Logist. 

—  G.  colei  ecc.  Logistilla.  V.  e.  x,  53  e66. 
.  11.  6.  Andronica.  Sofr.  ;  V.  e.  x,  52. 

—  7,  d'Arabi;  degli  Arabi.  V.  e.  u,  15, 
n.  S. 

12.  2.  Gli  Sciti  ecc.  Ecco  il  viaggio  d'A- 
stolfo :  muove  dal  Giappone  o  altra  isola  vi- 
cina (isola  di  Logistilla);  costeggia  il  Catai 
(che  avea  popoli  di  nazione  Scitica),  l'India 
e,  in  generale,  quelle  regioni  orientali  (re- 
gni Nabatei.  Dai  poeti  son  detti  Nabatei 
tutti  gli  orientali:  efr.  e.  i,  55);  vede  le  nu- 
merosissime isole  del  mar  della  China  e  del 
mare  Indiano,  gira  le  Indie  e  riesce  nel 
golfo  Persico.  Di  11  scende  in  terra,  traver- 
sa la  parte  settentrionale  dell'Arabia  Felice 
e,  andando  a  nord-ovest,  riesce  all'  ismo  di 
Suez.  I 

—  5.  boreal  pelago  ;  il  mar  glaciale  artico;  ' 
per  il  quale  si  è  tentato  più  volte  invano  di 
giungere  nei  paesi  dell'estremo  oriente. 

13.  3.  ammaestr.  u  instr.  V.  e.  vi,  56,  n.  S. 

—  5.  per  schiv.  che  non.  Son  notevoli  l'in- 
finito, e  il  costrutto  negativo.  L' infinito  è 
usato  in  modo  indetermiuato  e  impersonale, 
perché  si  evitasse,  fosse  evitato  che  ecc.  ■ 
É  comune  ancora  nel  linguaggio  parlato  : 
es.  :  Per  evitar  le  disgrazie  lo  mandai  per 
la  strada  migliore.  Per  il  costrutto  nega-  , 
tivo  non  si  cita  dai  vocabolari  né  questo  né 
altri  esempi;  ma  è  uso  affine  a  quello  del 
verbo  vietare,  notato  nel  e.  v,  53,  1.  i 


Per  arte  maga,  onde  non  possa  uscire. 
Un  bello  et  util  libro  gli  avea  dato. 
Che  per  suo  amore  avesse  ogn'ora  allato 
14 

Come  l'uora  riparar  debba  agl'incanti 
Mostra  il  libretto  che  costei  gli  diede  • 
Dove  ne  tratta  o  più  dietro  o  più  inanti 
Per  rubrica  e  per  indice  si  vede. 
Un  altro  don  gli  fece  ancor,  che  quanti 
Doni  tur  mai,  di  gran  vantaggio  eccede  • 
E  questo  fu  d'orribil  suono  un  corno. 
Che  fa  fuggire  ognun  che  l'ode  intorno. 
15 

Dico  che  '1  corno  è  di  si  orribil  suono, 
Ch  ovunque  s'oda,  fa  fuggir  la  gente. 
Non  può  trovarsi  al  mondo  un  cor  si  buono. 
Che  possa  non  fuggir  come  lo  sente. 
Rumor  di  vento  e  di  termuoto,  e  '1  tuono, 
A  par  del  suon  di  questo,  era  niente. 
Con  molto  riferir  di  grazie,  prese 
Da  la  Fata  licenzia  il  buono  Inglese. 
16 

Lasciando  il  porto  e  l'onde  più  tranquille 
Con  felice  aura  ch'alia  poppa  spira. 
Sopra  le  ricche  e  populose  ville 
De  l'odorifera  India  il  Duca  gira. 
Scoprendo  a  destra  et  a  sinistra  mille 
Isole  sparse;  e  tanto  va,  che  mira 
La  terra  di  Tomaso,  onde  il  nocchiero 


I  —  6.  maga,  magica.  Petr.  i,  son.  69  :  «  Ma 
:  forza  assai  maggior  che  d'arti  maghe  ». 
I  —  7.  libro.  Avverte  il  Kaiua  che  que- 
st'idea  del  libro  per  riparare  agli  incanti 
è  già  iiell'  Inu.,  dove  Orlando  riceve  un  libro 
per  espugnare  il  giardino  di  Falerina;  II, 
IV.  Prima  del  Boiardo  tale  fantasia  la  tro- 
viamo appena  in  qualche  altro  romanzo  ca- 
valleresco. Dei  comi  invece  ne  abbiamo  mol- 
tissimi nella  letteratura  cavalieresca,  a  co- 
minciare dal  famoso  Olifant  di  Oi'laudo, 
che  però  non  aveva  virtù  magica. 

—  8.  Che...  avesse,  perché  lo  avesse.  È  il 
relativo  finale,  imitato  dai  Latini  «homini 
natura  rationem  dedit,  qua  (ut  ea)  rege- 
rentur  animi  appetitus  «.  (Cicer.). 

14.  8.  intorno;  tutti  quelli  che  sono  all'in- 
torno di  chi  lo  suona. 

15.  3.  buono,  iinperteri'ito,  forte.  Bocc, 
nov.  17  :  «  Ora  io  vo  :  aspettati  e  sia  di  buon 
cuore  (di  animo  forte)  ». 

—  5.  termuoto.  È  forma  non  registrata 
dai  vocabol. 

—  7.  riferir  di  grazie;  V.  e.  vi,  SI,  n.  1. 

16.  3.  ville  ;  città.  Dante,  Inf.,  23,  95  : 
«  Sovra  '1  bel  fiume  d'Arno  alla  gran  villa  ». 
Villa  per  città  si  trova  già  nel  latino  del  v 
secolo.  Rut.  Numaziano  nell'  Itinerario  scri- 
ve :  «  Xunc  villae  ingentes,  oppida  parva 
prius  ». 

—  7,  La  terra  di  T.  Il  luogo  non  facile  fu 


176 


ORLANDO  FURIOSO 


Pili  a  Tramontana  poi  volge  il  sentiero. 
17 

Quasi  radendo  l'aurea  Chersonesso, 
La  bella  armata  il  gran  pelago  frange: 
E  costeggiando  i  ricchi  liti,  spesso 
Vede  come  nel  mar  biancheggi  il  Gange; 
E  Taprobane  vede,  e  Cori  appresso; 
E  vede  il  mar  che  trai  duo  liti  s'ange. 
Dopo  gran  via  furo  a  Cechino,  e  quindi 
Uscirò  fuor  dei  termini  degl'Indi. 
18 

Scorrendo  il  Duca  il  mar  con  si  fedele 
E  si  sicura  scorta,  intender  vuole, 
E  ne  domanda  Andronica,  se  de  le 
Parti  ch'han  nome  dal  cader  del  sole. 
Mai  leguo  alcun  che  vada  a  remi  e  a  vele. 
Nel  mare  orientale  apparir  suole; 
E  s'andar  può  senza  toccar  mai  terra. 
Chi  d'India  scioglia,  in  Francia  o  in  Inghil- 
19  [terra. 

Tu  dèi  sapere  (Andronica  risponde) 
Che  d'ognintorno  il  mar  la  terra  abbraccia; 
E  van  l'una  ne  l'altra  tutte  l'onde. 
Sia  dove  bolle  o  dove  il  mar  s'aggiaccia. 


chiarito  dal  Bolza.  S.  Tommaso  apostolo 
subì  il  martirio  a  Maliapur,  nella  provincia 
di  Maabar,  sulla  costa  orientale  della  peni- 
sola indiana  di  qua  dal  Gange  ;  ma  1  geo- 
grafi antichi  prima  del  1550  mettevano  la 
provincia  di  Maabar  e  ì"  isola  di  Taprobane 
(Ceylon)  assai  di  là  dal  Gange  e  precisa- 
mente nell'odierno  impero  di  Annam.  Si  ag- 
giunga che  in  quelle  carte  questa  penisola 
scende  più  a  Sud  della  penisola  di  Malacca 
(Aurea  Chersoneso).  Quindi  l'A.  potè  dire, 
attenendosi  a  quelle  carte,  che  Astolfo,  vista 
la  terra  di  Tommaso,  voltò  a  tramontana, 
radendo  l'Aurea  Chers. 

17.  1.  a.  Chersoneso.  Oggi  penisola  di  Ma- 
lacca. Chersoneso  fu  per  gli  antichi  nome 
comune,  che  valeva  penisola  (gr.  Chèrsos, 
asciutto,  nésos  isola),  e  si  determinava  con 
aggiunti  diversi,  come  Ch.  Taurica,  Thra- 
cica  ecc.  Questa  fu  detta  aurea  per  l'oro 
che  se  ne  traeva. 

—  3.  spesso.  Perché  le  molle  bocche  del 
Gange  si  estendono  per  lungo  tratto. 

—  5.  Taprobane  e  Taprobana  era  chia- 
mata, latinamente,  dagli  antichi  l'isola  di 
Ceylon  —  Cori  (lat.  Cory),  il  punto  di  con- 
tro a  Ramiseram  e  Ceylon. 

—  6.  il  mar  ecc.  lo  stretto  di  Manaar. 

—  7.  Cechino,  Cochin,  sulla  costa  di  Ma- 
labar. 

18.  Da  questa  stanza  a  tutta  la  36  è  una 
giunta  fatta  per  Tediz.  del  1532,  forse  in 
grazia  delle  buone  relazioni,  che  passavano 
allora  fra  Carlo  V  e  il  duca  di  Ferrara. 

—  8.  scioglia,  sciolga,  salpi.  V.  e.  x,  44,  1. 

19.  4.  dove  bolle  ecc.  ;  dove  l'acqua  è  calda 


Ma  perché  qui  davante  si  diffonde, 
E  sotto  il  Mezzodì  molto  si  caccia 
La  terra  d'Etiopia,  alcuno  ha  detto 
Ch'a  Nettuno  ir  pili  inanzi  ivi  è  interdetto. 
20 

Per  questo  dal  nostro  Indico  Levante 
Nave  non  è  che  per  Europa  scioglia; 
Né  si  muove  d'Europa  navigante 
Ch'in  queste  nostre  parti  arrivar  voglia. 
Il  ritrovarsi  questa  terra  avante 
E  questi  e  quelli  al  ritornare  invoglia; 
Che  credano,  veggendola  si  lunga, 
Che  con  l'altro  emisperio  si  congiunga. 
21 

Ma  volgendosi  gli  anni,  io  veggio  uscire 
Da  l'estreme  contrade  di  Ponente 
Nuovi  Argonauti  e  nuovi  Tifi,  e  aprire 
La  strada  ignota  in  fin  al  di  presente  : 
Altri  volteggiar  l'Africa,  e  seguire 
Tanto  la  costa  de  la  negra  gente, 
Che  passino  quel  segno  onde  ritorno 
Fa  il  sole  a  noi,  lasciando  il  Capricorno  : 


per  il  calore  del  soie;  i  mari  equatoriali  — 
aggiaccia;  V.  e.  I,  li,  n.  1.  L'A.,  accennando 
alla  comunicazione  di  tutti  i  mari,  fra  loro, 
mostra  di  conoscere  l'opinione  di  Plinio  che 
anche  il  Caspio  abbia  comunicazioni  sot- 
terranee, opinione  esclusa  dalla  moderna 
scienza. 

—  6.  Mezzodì;  l'Equatore. 

20.  2.  Nave  non  è  ecc.  L'A.  nel  e.  xxvit, 
55  ammette  col  Boiardo,  non  ricordando 
questo  luogo,  che  Gradasso  facesse,  per  ve- 
nire in  Francia,  il  giro  dell'Affrica. 

—  5.  Il  ritrovarsi  ecc.  Il  ritrovarsi  la  terra 
d'Etiopia  cosi  avanti,  al  di  sotto  dell'Equa- 
tore. 

21.  3.  Argonauti.  Furono,  secondo  il  mito, 
alcuni  Greci,  che  sulla  nave  Argo,  gover- 
nata dal  pilota  Tifi,  andarono  nella  Colchide 
alla  conquista  del  vello  d'oro.  Qui  si  accenna 
ai  Portoghesi  e  agli  Spagnuoli,  che  si  spin- 
sero per  i  primi  nell'Atlantico. 

—  4.  di  presente,  fino  a  quel  giorno,  di 
cui  ti  parlo.  Altri  scrittori  prima  dell' A.  usa- 
rono pres<?«  «e,  riferendolo  al  tempo  del  qua- 
le si  parla,  non  a  quello  nel  quale  si  parla. 
Villani,  7,  21  :  «Lo  re  Carlo  si  venne  di  Pu- 
glia in  Toscana  ed  il  presente  mese  d'Agosto 
(80  anni  prima  del  tempo  in  cui  il  Vili,  scri- 
veva)  con  sua  baronia  entrò  in  Firenze  ». 

—  5.  Altri;  alcuni  di  essi.  Vasco  di  Gama, 
nel  1497  passò  pel  primo  il  capo  di  B.  Spe- 
ranza, che  è  al  di  sotto  del  tropico  del  Ca- 
pricorno, e  girando  l'Affrica  arrivò  poi  fino 
al  Malabar  —  volteggiar,  girare  attorno. 
Caro,  En.  3,  755:  «  Ma  fa  mestier  di  volteg- 
giarla (l' Italia)  ancora  ». 

—  7.  Che  passino,  da  passare.  V.  e.  i,  38, 
n.  t). 


CANTO  XV 


177 


22 

E  ritrovar  del  lungo  tratto  il  fine, 
Che  questo  fa  parer  dui  mar  diversi; 
E  scorrer  tutti  i  liti  e  le  vicine 
Isole  d'Indi,  d'Arabi  e  di  Persi  : 
Altri  lasciar  le  destre  e  le  mancine 
Rive  che  due  per  opra  Erculea  fèrsi  : 
E  del  sole  imitando  il  camin  tondo, 
Ritrovar  nuove  terre  e  nuovo  mondo. 
23 

Veggio  la  Santa  Croce,  e  veggio  i  segni 
Imperiai  nel  verde  lito  eretti: 
Veggio  altri  a  guardia  dei  battuti  legni, 
Altri  all'acquisto  del  paese  eletti: 
Veggio  da  dieci  cacciar  mille,  e  i  regni 
Di  là  da  l'India  ad  Aragon  suggetti  ; 
E  veggio  i  capitan  di  Carlo  Quinto, 
Dovunque  vanno,  aver  per  tutto  vinto. 
24 

Dio  vuol  ch'ascosa  autiquamente  questa 
Strada  sia  stata,  e  ancor  gran  tempo  stia; 
Né  che  prima  si  sappia  che  la  sesta 


22.  1.  del  1.  tr.  il  f.,  il  fine  di  quel  lungo 
tratto  di  terra,  che  riesce  al  capo  di  B.  Spe- 
ranza. 

—  2.  questo;  l'oceano,  che  da  una  parte 
del  capo  si  dice  Atlantico,  dall'altra  ludiano. 

—  5.  le  destre  e  le  m..  Lo  Stretto  di  Gi- 
bilterra. V'.  e.  IV,  61,  n.  8.  Dice  la  favola  che 
Ercole  separò  le  due  montagne  Abila  e  Calpe 
per  mettere  il  Mediterraneo  in  comunica- 
zione coH'Atlantico  —  Altri.  Cristoforo  Co- 
lombo, e  gli  altri  che  continuarono  l'opera 
di  lui.  Anche  il  Tasso,  Ger.  15,  30,  disse 
Crist.  Colombo  «  vittorioso  ed  emulo  del 
Sole  ». 

23.  1.  la  Santa  Cr.  ;  il  cristianesimo  por- 
tato in  quelle  regioni  —  i  segni  Imp.  ;  la  ban- 
diera dell'  imperatore  Carlo  V  che  Cortes  e 
Pizzarro  alzarono  nel  nuovo  mondo.  Segni 
per  bandiere,  dal  lat.  signa,  per  lo  più  è 
poetico,  ma  si  trova  anche  in  prosa. 

—  3.  altri  a  sguardia  ecc.  Accenna,  in  ge- 
nere, all'  uso  dei  conquistatori  del  nuovo 
mondo,  dei  quali  una  parte  restava  a  guar- 
dia delle  navi,  una  parte  avanzava  nelle 
nuove  terre  per  riconoscerle. 

—  5.  Vegg.  da  dieci  e.  m.  ;  veggio  cacciar 
(esser  cacciati)  mille  da  dieci.  Su  questo  co- 
strutto, che  è  una  proprietà  della  nostra 
lingua,  cfr.  Fornaciari,  Sint.  p.  202-3.  Fer- 
nando Cortes  conquistò  il  Messico  con  po- 
che centinaia  di  uomini;  ma  forse  l'A.  ac- 
cenna, in  generale,  alle  lotte  fra  i  pochi 
conquistatori  bene  armati  e  i  molti  selvaggi 
indigeni. 

24.  3.  la  sesta  e  la  8.  e.  ecc.  Dall'  viii  se- 
colo, quando  visse  Carlo  Magno,  al  sec.  xv 
e  XVI,  quando  si  fecero  queste  scoperte,  cor- 
rono sei  o  sette  secoli.  Età  per  secolo  è  la- 


fi  la  settima  età  passata  sia: 
E  serba  a  farla  al  tempo  manifesta. 
Che  vorrà  porre  il  mondo  a  monarchia 
Sotto  il  più  saggio  imperatore  e  giusto. 
Che  sia  stato  o  sarà  mai  dopo  Augusto. 
25 

Del  sangue  d'Austria  e  d'Aragon  io  veg- 
Nascer  sul  Reno  alla  sinistra  riva      [gio 
Un  Principe,  al  valor  del  qual  pareggio 
Nessun  valor,  di  cui  si  parli  o  scriva. 
Astrea  veggio  per  lui  riposta  in  seggio, 
Anzi  di  morta  ritornata  viva; 
E  le  virtù  che  cacciò  il  mondo,  quando 
Lei  cacciò  ancora,  uscir  per  lui  di  bando. 
26 

Per  questi  merli  la  Bontà  suprema 
Non  solamente  di  quel  grande  impero 
Ha  disegnato  ch'abbia  diadema, 
Ch'ebbe  Augusto,  Traian,  Marco  e  Severo  ; 
Ma  d'ogni  terra  e  quinci  e  quindi  estrema, 
Chemainéalsol  né  all'anno  apre  il  aentie- 
E  vuol  che  sotto  a  questo  Imperatore  [ro: 
Solo  un  ovile  sia,  solo  un  pastore. 
27 

E  perch'abbian  più  facile  successo 
Gli  ordini  in  cielo  eternamente  scritti, 
Gli  pon  la  somma  Providenzia  appi-esso 
In  mare  e  in  terra  capitani  invitti. 


tinismo  usato  più  spesso  nella  nostra  lingua 
dai  traduttori. 

j       —  7.  il  più  saggio  ecc.  Si  ricordi  che  dal 
1526  al  1532,  quando  sembra  scritta  questa 

I  aggiunta,  le  corrispondenze  politiche  fra  i 
Duchi  di  Ferrara  e  Carlo   V  furono  eccel- 

I  lenti;  perciò  il  poeta  colse  l'occasione  di 
celebrare  il  Monarca,  come  Alfonso  I  di  cat- 

!  tivarselo. 

25.  1.  Del  sangue  ecc.  Carlo  V  era  nato 
a  Gand  in  Fiandra  (sul  Reno)  (1500)  da  Fi- 
lippo d'Austria  e  Giovanna,  detta  la  folle, 

1  figliuola  di  Ferdinando  re  d'Aragona  e  d'Isa- 
bella regina  di  Castiglia. 

—  5.  Astrea,  dea  della  giustizia.  Secondo 
il  mito  abitava  la  terra  nell'età  dell'oro,  ma 
la  corruzione  degli  uomini  la  obbligò  a  fug- 

:  gire  in  cielo. 

i       26.  4.  Marco,  Severo;  M.  Aurelio,  Settimio 
'  Sev.  L'.-^.  sceglie  questi  imperatori  piutto- 
sto che  altri,  perché  alla  prodezza  congiun- 
sero il  senno.  —  Che,  è  relat.  d' impero. 

—  5.  ogni  terra  ecc.  ;   le   regioni  polari, 
■  dove  non  arriva  il  sole  e  non  si   alternano 

le  stagioni  (anno).  È  espressione  virgiliana, 
I  Georg',  ir,  340:   «  lacet  extra   sidera  tellus 
I  Extra  anni  solisque  vias  ». 
I       —  8.  Solo  un  ovile  ecc.  L'A.  adatta  al  con- 
cetto politico  l'espressione  religiosa  del  van- 
gelo, S.  Giov.  10,  16  :  «  Et  fìat  unum  ovile  et 
unus  pastor». 


Ariosto  —  Papinì 


12 


178 


ORLANDO  FURIOSO 


Veggio  Ernando  Cortese,  il  qualeha  messo 
Nuove  città  sotto  i  Cesarei  editti, 
E  regni  in  Oriente  si  remoti, 
Ch'  a  noi,  che  siamo  in  India,  non  son  noti. 
28 

Veggio  Prosper  Colonna,  e  di  Pescara 
Veggio  nn  Marchese,  e  veggio  dopo  loro 
Un  giovane  del  Vasto,  che  fan  cara 
Parer  la  bella  Italia  ai  Gigli  d'oro: 
Veggio  ch'entrare  inanzi  si  prepara 
Quel  terzo  agli  altri  a  guadagnar  l'alloro; 
Come  buon  corridor  ch'ultimo  lassa 
Le  mosse,  e  giunge,  e  inanzi  a  tutti  passa. 
29 

Veggio  tanto  il  valor,  veggio  la  fede 
Tanta  d'Alfonso  (che '1  suo  nome  è  questo), 
Ch'in  cosi  acerba  età  che  non  eccede 
Dopo  il  vigesirao  anno  ancora  il  sesto, 
L'Imperator  l'esercito  gli  crede, 

27.  5.  Ernando  C.  ;  Fernando  Cortes,  che 
conquistò  il  Messico,  Il  nome  ha  la  forma 
Spagnuola. 

—  7.  regni  in  0.  ecc.;  regni  posti  ad 
Oriente,  ma  cosi  lontani,  che  neppure  a  noi, 
che  pur  siamo  in  Oriente,  son  noti. 

28.  1.  Prosper  C.  (m.  1523);  uno  dei  più 
grandi  capitani  del  seo.  xv  e  xvi.  Combatté 
prima  coi  Francesi,  poi  contro  di  loro  per 
la  Spagna. 

—  2.  nn  Marchese,  Francesco  d'Avalos,  mar- 
chese di  Pescara,  marito  di  Vittoria  Colonna 
e  celebre  capitano  (m.  1525). 

—  3.  Un  giovane  d.  V.,  Alfonso  d'Avalos, 
cugino  di  Francesco  e  marchese  del  Vasto 
(territorio  in  quel  di  Chieti);  le  cui  lodi 
vedi  anche  nel  e  xxxiii,  47  segg.  Queste 
stanze  e  quelle  furono  scritte  probabilmente 
dopo  l'ottobre  del  1531,  quando  l'A.,  man- 
dato ad  Alfonso  d'Avalos,  che  comandava 
le  truppe  imperiali  a  Mantova,  a  doman- 
dare aiuto  contro  il  papa  Clemente  VII  che 
voleva  ritoglier  Carpi  al  duca  di  Ferrara, 
ebbe  da  quel  generale  cortesi  accoglienze, 
magnifici  regali  e  una  pensione  annua  di 
cento  ducati  per  sé  e  per  i  suoi  eredi.  —  fan 
cara  P.  fan  parere  ai  Francesi  troppo  caro 
il  prezzo  di  tanto  sangue  e  di  tante  fatiche 
per  toglier  P  Italia  a  Carlo  V. 

—  5.  entrare  inanzi,  a  correre  avanti.  Il 
marchese  del  Vasto  successe  al  Pescara  nel 
comando  degli  eserciti  di  Carlo  V  (1525)  e  fu 
assaivaloroso;  ma  èpredilezionedell'A.  farlo 
superiore  agli  altri  due  ;  predilezione,  che  si 
spiega  pensando  che  questi  era  vivente  e  glo- 
rioso, gli  altri  già  morti,  quando  il  poeta  scri- 
veva. Per  l'espress.  V.c.  xxxii,  59,  n.  7. 

—  8.  Le  mosse;  Voce  tecnica  nelle  corse 
di  cavalli  per  indicare  il  punto  di  partenza. 
^-  giunge,  raggiunge:  sottint.  gli  altri. 

29.  5.  gli  crede;  gli  affida  (lat.  credere). 
È  frequente  nella  letteratura. 


Il  qual  salvando,  salvar  non  che  '1  resto, 
Ma  farsi  tutto  il  mondo  ubidiente 
Con  questo  capitan  sarà  possente. 

30  [ra 

Come  conquesti,ovnnqueandarperter- 
Sì  possa,  accrescerà  l'imperio  antico; 
Cosi  per  tutto  il  mar  ch'in  mezzo  serra 
Di  là  l'Europa,  e  di  qua  l'Afro  aprico, 
Sarà  vittorioso  in  ogni  guerra, 
Poi  ch'Andrea  Doria  s'avrà  fatto  amico. 
Questo  è  quel  Doria  che  fa  dai  pirati 
Sicuro  il  vostro  mar  per  tutti  i  lati. 
:-51 

Non  fu  Porapeio  a  par  di  costui  degno. 
Se  ben  vinse  e  cacciò  tutti  i  corsari; 
Però  che  quelli  al  più  possente  regno 
Che  fosse  mai,  non  poteano  esser  pari: 
Ma  questo  Doria  sol  col  proprio  ingegno 
E  proprie  forze  purgherà  quei  mari; 
Si  che  da  Calpe  al  Nilo,  ovunque  s'oda 
Il  nome  suo,  tremar  veggio  ogni  proda. 
32 

Sotto  la  fede  entrar,  sotto  la  scorta 
Di  questo  capitan  di  ch'ioti  parlo, 


—  6.  H  qual  salvando;  salvando  il  qual 
capitano  da  quella  morte  che  gli  rapirà  il 
Colonna  e  il  Pescara  ecc.  —  salvar  non  che; 
non  che  a  salvar.  V.  tali  inversioni  al  e.  xiii, 
77,  5;  XIV,  51,  4  ecc.  Per  l'omissione  della 
prep.  a  davanti  a  quest'infinito  e  al  seguen- 
te farsi  cfr.  e.  i,  4,  n.  1. 

30.  3.  ch'in  mezzo  ecc.;  cui  in  m.  Il  Me- 
diterraneo, cui  serrano  in  mezzo  l' Europa 
e  l'Affrica. 

—  4.  di  qua.  Andronica,  che  parla,  è  nel- 
l'Oceano Indiano  e  per  ciò  dice  di  qua  — 
aprico,  esposto  al  Sole.  Persio,  Sat.  5,  179, 
disse  aprici  senes,  i  vecchi,  che  stanno  a 
prèndere  il  Sole. 

—  6.  Andrea  Doria,  che  prima  tenea  le 
parti  Francesi,  nel  1528  per  liberare  la  sua 
patria  Genova  passò  a  Carlo  V  e  cacciò  i 
Francesi  da  Napoli  e  da  Genova. 

—  7.  dai  pirati.  Il  Doria  con  dodici  sue 
galee  andò  liberando  i  porti  e  le  marine  dai 
pirati;  e  il  Barbarossa,  celebre  corsaro  del 
tempo,  più  volte  fuggi  di  venire  alle  mani 
con  lui  e  lasciò  i  nostri  mari. 

31.  7.  Calpe;  la  ru%ie  di  Gibilterra.  Que- 
sta rupe  e  il  Nilo  sono  appunto  i  due  estremi 
ovest-est  del  Mediterraneo. 

—  8.  proda;  Forse  prua,  nave;  V.  e.  xviii, 
140,  7;  0  anche  ogni  lido,  cioè  ogni  terra; 
V.  e.  XIX,  61,    1. 

32.  1.  Sotto  ecc.  Carlo  V,  movendo  da 
Barcellona  per  venire  in  Italia  a  prender 
la  corona  (alla  corona)  a  Bologna  (1529),  sbar- 
cò a  Genova,  della  quale  il  Doria,  che  ne 
avea  cacciati  i  Francesi,  gli  aperse  le  porte 
e  lo  ricevè  onorevolmente. 


CANTO  XV 


179 


Veggio  in  Italia,  ove  da  lui  la  porta 
Gli  sarà  aperta,  alla  corona  Carlo. 
Veggio  che  '1  premio  che  di  ciò  riporta, 
Non  tien  per  sé,  ma  fa  alla  patria  darlo: 
Con  prieghi  ottien  ch'in  libertà  la  metta, 
Dove  altri  a  sé  l'avria  forse  suggetta. 
33 

Questa  pietà  ch'egli  alla  patria  mostra, 
È  degna  di  più  onor  d'ogni  battaglia  [stra 
Ch'in  Francia©  in  Spagna  o  ne  la  terra  vo- 
Vincesse  Giulio,  o  in  Africa  o  in  Tessaglia. 
Né  il  grande  Ottavio,  né  chi  seco  giostra 
Di  par,  Antonio,  in  più  onoranza  saglia 
Pei  gesti  suoi;  ch'ogni  lor  laude  ammorza 
L'avere  usato  alla  lor  patria  forza. 
34 

Questi  et  ogn'altro  che  la  patria  tenta 
Di  libera  far  serva,  si  arrossisca; 
Né  dove  il  nome  d'Andrea  Doria  senta. 
Di  levar  gli  occhi  in  viso  d'uomo  ardisca. 
Veggio  Carlo  che  '1  premio  gli  augumenta; 
Ch'oltre  quel  ch'in  commun  vuol  che  frui- 
Gli  dà  la  ricca  terra  ch'ai  Normandi  [sca, 
Sarà  principio  a  farli  in  Puglia  grandi. 
35 

A  questo  Capitan  non  pur  cortese 
Il  magnanimo  Carlo  ha  da  mostrarsi. 
Ma  a  quanti  avrà  ne  le  Cesaree  imprese 
Del  sangue  lor  non  ritrovati  scarsi. 
D'aver  città,  d'aver  tutto  un  paese 
Donato  a  un  suo  ledei,  più  rallegrarsi 
Lo  veggio,  e  a  tutti  quei  che  ne  son  degni. 
Che  d'acquistar  nuov'altri  imperii  eregni. 
3G 

Cosi  de  le  vittorie  le  qiial,  poi 
Ch'un  gran  numero  d'anni  sarà  corso, 


Daranno  a  Carlo  i  capitani  suoi, 
Facea  col  Duca  Andronica  discorso: 
E  la  compagna  intanto  ai  venti  Eoi 
Viene  allentando  e  raccogliendo  il  morso; 
E  fa  ch'or  questo  or  quel  propizio  l'esce; 
E  come  vuol.,  ii  rainuisce  e  cresce. 
37 
Veduto  nvtario  intanto  il  mar  de'  Persi 
''ome  in  ei  "argo  spazio  si  dilaghi; 
,  Onde  vicini  in  pochi  giorni  férsi 
!  Al  golfo  che  nomar  gli  antiqui  Maghi. 
Quivi  pigliare  il  porto,  e  fur  conversi 
■  Con  la  poppa  alla  ripa  i  legni  vaghi  ; 
;  Quindi  sicur  d'Alcina  e  di  sua  guerra, 
I  Astolfo  il  suo  camin  prese  per  terra. 
i  38  [SCO, 

I     Passòper  più  d'uà  campo  e  più  d'un  bo- 
;  Per  più  d'un  monte  e  per  più  d'una  valle; 
Ove  ebbe  spes  o,  all'aer  chiaro  e  al  fosco, 
I  ladroni  or  in^nzi  or  alle  spalle. 
:  Vide  leoni,  e  d/aghi  pien  di  tosco, 
:  Et  altre  fere  attraversarsi  il  calle  ; 
'  Ma  non  si  tosto  avea  la  bocca  al  corno, 
j  Che  spaventati  gli  fuggian  dintorno, 
j  39 

Vien  per  l'Arabia  eh' è  detta  Felice 
Ricca  di  mirra  e  d'odorato  incenso, 
;  Che  per  suo  albergo  l'unica  Fenice 
I  Eletto  s'ha  di  tutto  il  mondo  immenso; 


—  5.  Veggio  ecc.  Il  Doria  ebbe  in  otterta 
il  principato  di  Genova,  ma  egli  preferi  che 
l'Imperatore  la  mantenesse  libera. 

33.  4.  Giulio;  G.  Cesare  combatté  in  Gal- 
lia  per  la  repubblica,  in  Spagna  contro  i 
Pompeiani,  a  Farsaglia  (Tessaglia)  contro 
Pompeo,  in  Affrica  di  nuovo  contro  i  Pom- 
peiani. Dalla  Gallia  passò  in  Brettagna  {la 
terra  vostra,  perché  Astolfo  era  Inglese). 

34;  6.  in  commnn  ;  in  comune  coi  suoi 
concittadini  godeva  della  libertà  ottenuta. 

—  7.  la  ricca  terra,  la  signoria  di  Melfi, 
in  Basilicata,  che  occupata  da  Guglielmo 
Normanno  fu  il  punto  fisso,  donde  mossero 
i  Normanni  alla  conquista  della  Puglia  e 
della  Sicilia  (sec.  xi). 

35.  2.  ha  da  m.,  si  mostrerà.  11  verbo  avere 
seguito  da  »  o  da  coU'infin.  significa  più 
comunem.  dovere,  ma  anche  azione  futura. 
Dante,  Purg.  24,  88:  «Non  hanno  molto  a 
volger  queste  ruote  ».  E  l'A.  al  e.  v,  92,  7. 

—  4.  Scarsi,  avari.  Petr.  ii  Son.  52:  «  Ilo 
servito  a  Signor  crudele  e  scarso  ». 

—  6.  a  un  s.  fedel  ;  È  sempre,  il  Daria. 


36.  5.  venti  Eoi  ;  venti  che  vengono  dal- 
l'Oriente. V.  e.  I,  7. 

—  6.  race,  il  morso  ;  ora  li  fa  soffiare,  ora 
li  raffrena.  Per  il  modo  raccogliere  il  m. 
cfr.  e.  XI,  1,  n.  1. 

—  7.  l'esce,  le  esce,  le  riesce.  V.  e.  vii, 
35,  n.  8. 

37.  1.  mar  de'  P.;  golfo  Persico. 

—  4.  Al  golfo  ecc.;  Magorum  Sinus,  oggi 
Bahrein.  Seno  e  porto  nel  golfo  Persico, 
che  prese  nome  dai  Maghi  o  Magi,  antica 
tribù  della  Persia,  che  formava  come  una 
casta  sacerdotale  e  che  per  qualche  tempo 
usurpò  quel  regno.  —  nomar,  dettero  il 
nome. 

—  5.  fur  conversi  ecc.  È  immagine  Vir- 
giliana, En.  6,  3:  «  oljvertunt  pelago  pro- 
ras  ».  Gli  antichi,  arrivati  al  lido,  approda- 
vano colla  poppa  rivolta  a  terra:  cosi  le 
navi  potevan  riprendere  il  mare  senza  es- 
sere altrimenti  girate. 

—  6    vaghi,  vaganti.  V.  e.  vii,  45,  n.  3. 

38.  G.  attraversarsi  ;  attraversare  a  sé.  Re- 
golami, dovrebbe  dire  attraversargli,  per- 
ché il  pronome  appartiene  a  una  proposi- 
zione, che  ha  per  soggetto  leoni,  draghi, 
ecc.  V.  e.  xii,  G6,  n.  0. 

39.  3.  l'unica  F.  Ovidio,  Met.,  15,  373: 
«  Una  est,  quae  reparet  seque  ipsa  resemi- 
net  ales  ».  Dalle  ceneri  di  quell'  unica  rina- 
sce, secondo  la  favola,  l'altra,  che  le  succe- 


ISO 


ORLANDO  FURIOSO 


Fin  che  Tonda  trovò  vendicatrice 
Già  d'Israel,  che  per  diviu  consenso 
Faraone  sommerse  e  tutti  i  suoi: 
E  poi  venne  alla  terra  degli  Eroi. 
40 

Lungo  il  fiume  Traiano  egli  cavalca 
Su  quel  destrier  ch'ai  mondo  è  senzapare, 
Che  tanto  leggermente  e  corre  e  valca, 
Che  ne  l'arena  l'orma  non  n'appare: 
L'erba  non  pur,  non  pur  la  nieve  calca; 
Coi  piedi  asciutti  andar  potria  sul  mare; 
E  si  si  stende  al  corso,  e  si  s'affretta, 
Che  passa  e  vento  e  folgore  e  saetta. 
41 

Questo  è  il  destrier  che  fu  de  l'Argalia, 
Che  di  fiamma  e  di  vento  era  concetto; 
E  senza  fieno  e  biada,  si  nutria 
De  l'aria  pura,  e  Rabican  fu  detto. 
Venne,  seguendo  il  Duca  la  sua  via, 
Dove  dà  il  Nilo  a  quel  fiume  ricetto; 


de.  L'epiteto  di  imica  è  di  OviOio,  2,  Amor. 
6,  54  :  «  Phoenix,  uuica  seniper  avis  ». 

—  5.  l'onda...  vendic,  il  Mar  Rosso,  dove 
furono  sommei'si  gli  Egiziani  che  insegui- 
vano gli  Israeliti  fuggenti. 

—  8.  terra  degli  E.  Heroopolis,  città  del- 
l'Egitto  antico,  sul  golfo  di  Suez:  i  suoi 
ruderi  sono  presso  la  moderna  Abu-Key- 
scheid. 

40.  1.  fiume  Tr.;  Deve  intendersi  l'antico 
Ptolomeus  canalis  o  Trajamix  canalis.  In- 
cominciato da  Seti  I.  riaperto  e  compiuto 
da  Neco,  riattato  da  Tolomeo  e  poi  da  Tra- 
iano, andava  dal  Nilo  al  golfo  di  Suez.  Lo 
dice  fiume,  perché  cosi  è  desiguato  nelle  an- 
tiche carte. 

—  2.  quel  destrier,  Rabicano.  È  creazione 
del  Boiardo,  Inn.  I,  xiii,  4  :  «  di  fuoco  e 
di  favilla  pura  Fatta  fu  una  cavalla  a  com- 
pimento... Questa  da  poi  si  fé  pregna  di 
vento.  Nacque  il  destrier  veloce  a  dismisura. 
Ch'erba  di  prato  né  biada  rodea.  Ma  sola- 
mente d'aria  si  pascea  ».  Ucciso  l'Argalia, 
che  ne  era  il  padrone,  fuggi  nella  spelonca 
ove  era  nato,  e  qui  era  custodito  da  un  gi- 
gante. Rinaldo  uccise  il  gigante  e  prese  il  ca- 
vallo, che  dette  poi  ad  Astolfo.  Cosi  U  Boiardo. 

—  3.  valca  ;  valici),  passa  da  luogo  a  luo- 
go. Dante,  Pury.  27,  97,  ha  valco. 

—  5.  non  pur;  né  pur  ;  ma  in  questo  sen- 
so le  due  parole  si  separano  generalmente 
con  qualche  altra.  Petr.  i,  son.  3  :  «  a  voi 
armata  non  mostrar  pur  V  arco  ». 

41.  6.  Dove  da  il  N.  ecc.;  dove  il  Nilo  ri- 
ceve il  canale  Traiano.  Ciò  dice  secondo 
l'opinione  di  alcuni  geo'grafi  antichi  (peres. 
Frane.  Berlinghieri  lib.  IV,  e.  7)  che  il  Nilo 
fosse  più  basso  del  livello  del  Mar  Rosso  e 
che  quindi  il  canale  scorresse  da  levante  al 
Mio.  Sappiamo  invece  da  moderne  indagini 


E  prima  che  giuguesae  in  su  la  foce, 
Vide  un  legno  venir  a  sé  veloce. 
42 

Naviga  in  su  la  poppa  uno  Eremita 
Con  bianca  barba,  a  mezzo  il  petto  lunga, 
Che  sopra  il  legno  il  Paladino  invita, 
E  :  Figliuol  mio,  gli  grida  da  la  lunga, 
Se  non  t'  è  in  odio  la  tua  propria  vita. 
Se  non  brami  che  morte  oggi  ti  giunga, 
Venir  ti  piaccia  su  quest'altra  arena; 
Ch'a  morir  quella  via  dritto  ti  mena. 
43 

Tu  non  andrai  piiicheseimigliainante. 
Che  troverai  la  sanguinosa  stanza 
Dove  s'alberga  un  orribil  gigante 
Che  d'otto  piedi  ogni  statura  avanza. 
Non  abbia  cavallier  né  viandante 
Di  partirsi  da  lui,  vivo,  speranza: 
Ch'altri  il  crudel  ne  scanna,  altri  ne  scuoia  ; 
Molti  ne  squarta,  e  vivo  alcun  ne  'ngoia. 
44 

Piacer,  fra  tanta  crudeltà,  si  prende 
D'una  rete  ch'egli  ha,  molto  ben  fatta; 
Poco  lontana  al  tetto  suo  la  tende, 
E  nella  trita  polve  in  modo  appiatta, 
Che  chi  prima  noi  sa,  non  la  comprende; 
Tanto  è  sottil,  tanto  egli  ben  l'adatta: 
E  con  tai  gridi  i  peregrin  minaccia, 
Che  spaventati  dentro  ve  li  caccia. 
45 

E  con  gran  risa,  avviluppati  in  quella 
Se  li  strascina  sotto  il  suo  coperto  ; 
Né  cavallier  riguarda  né  donzella, 
O  sia  di  grande  o  sia  di  picciol  merto; 
E  mangiata  la  carne,  e  le  cervella 


che  il  Mar  Rosso  è  presso  Suez  un  po'  più 
basso  del  Nilo. 

42.  4.  da  la  lunga,  e  da  la  lungi,  dissero 
i  nostri  scrittori  per  da  lontano.  Bocc.  Nov. 
75  :  «  Costoro  dalla  lungi  cominciarono  a 
ridere  di  questo  fatto  ». 

43.  3.  s'alberga.  La  forma  rifless.  non  è 
citata  dai  vocabol. 

44.  2.  una  rete.  Una  rete  cosi  invisibile 
tende,  xieW'Inn.  I,  v,  Sl-84,  il  gigante  Zam- 
baldo,  ucciso  poi  da  Orlando.  Quindi  l'A. 
ha  tolto  l'idea,  che,  forse,  il  Boiardo  avea 
tratto,  alla  sua  volta,  dalla  rete  invisibile 
di  Vulcauo. 

—  5.  non  la  compr.;  non  la  scorge.  Cosi 
anche  al  e.  xxii,  37.  Dante,  Purg.  31,  78: 
«  Posarsi  quelle  prime  creature  Da  loro 
aspersion  l'occhio  comprese  ». 

45.  2.  coperto  ;  luogo  coperto  con  tetto. 
Guicciardini,  St.  I.  2,  43  :  «  Non  v'era  quasi 
coperto  alcuno  ». 

—  3.  riguarda;  ha  riguardo.  Bocc.  Nov. 
1  :  «e  dalla  corte  fu  riguardato  (gli  fu  usato 
riguardo)  ». 


CANTO  XV 


181 


Succhiate  e  '1  sangue,  dà  l'ossa  al  deserto; 
E  de  l'umane  pelli  intorno  intorno 
Fa  il  suo  palazzo  orribilmente  adorno. 
46 

Prendi  quest'altra  via,  prendila,  figlio, 
Che  fin  al  mar  ti  fia  tutta  sicura. 
Io  ti  ringrazio,  padre,  del  consiglio 
(Rispose  il  Cavallier  senza  paura); 
Ma  non  istimo  per  l'onor  periglio, 
Di  ch'assai  più  che  de  la  vita  ho  cura. 
Per  far  ch'io  passi,  in  van  tu  parli  meco; 
Anzi  vo  al  dritto  a  ritrovar  lo  speco. 
47 

Fuggendo,  posso  con  disnor  salvarmi; 
Ma  tal  salute  ho  più  che  morte  a  schivo. 
.S'io  vi  vo,alpeggiochepotrà  incontrarmi, 
Fra  molti  resterò  di  vita  privo  ; 
Ma  quando  Dio  cosi  mi  drizzi  l'armi. 
Che  colui  morto,  et  io  rimanga  vivo. 
Sicura  a  mille  renderò  la  via; 
Si  che  l'util  maggior  che  '1  danno  fia. 

48 
Metto  all'  incontro  la  morte  d'un  solo 
Alla  salute  di  gente  infinita. 
Vattene  in  pace  (rispose),  figliuolo; 
Dio  mandi  in  difension  de  la  tua  vita 
L'Arcangelo  Michel  dal  sommo  polo: 
E  benedillo  il  semplice  Eremita. 
Astolfo  lungo  il  Nil  tenne  la  strada. 
Sperando  più  nel  suon,  che  ne  la  spada. 
49 

Giace  tra  l'alto  fiume  e  la  palude 
Picciol  sentier  ne  l'arenosa  riva: 
La  solitaria  casa  lo  richiude, 
D'umanitade  e  di  commercio  priva. 


—  8.  palazzo.  È  veramente  un  palazzo 
come  appare  dalla  St.  49,  7;  ma  nella  st. 
seg.  lo  dice  speco  perché  appartato  e  soli- 
tario come  una  spelonca;  e  una  fiera,  non 
un  uomo,  l'abitava. 

47.  2.  a  schiTo,  a  schifo.  V.  e.  vii,  71, 
n.  8. 

—  8.  l'ntil  ecc.  l'utile  possibile  sarà  mag- 
giore del  danno  possibile. 

48.  1.  all'ine;  a  confi'onto.  Cosi  anche 
al  e.  xxxvi,  27,  6.  AlVinconti'o  si  costruisce 
con  a  e  con  di. 

—  5.  sommo  polo;  dall'alto  cielo. 

—  8.  nel  suon,  del  suo  corno. 

49.  1.  la  palude.  Il  Nilo  colle  frequenti 
inondazioni  rende  paludoso  il  terreno  cir- 
costante. 

—  3.  richiAe,  chiude.  Petr.  Ili,  Son.  8  : 
«richiudete...  La  strada  (gli  occhi)  a' messi 
suoi,  ch'indi  passare». 

—  4.  commercio,  compagnia.  Guicciard. 
S.  I.  2,  214  :  «  Attribuiremo  alla  tua  virtù, 
che  godiamo  il  commercio  degli  uomini  ». 
La  descrizione  di  questo  luogo  ha  partico- 
lari tolti  dalla  descrizione  di  Rocca  crudele, 


Son  fisse  intorno  teste  e  membra  nude 
De  l'infelice  gente  che  v'an'iva. 
Non  v'  è  finestra,  non  v'è  merlo  alcuno. 
Onde  penderne  almen  non  si  veggia  uno. 
50 
Qual  ne  le  alpine  ville' o  ne'  castelli 
Suol  cacciator  che  gran  perigli  ha  scorsi, 
Su  le  porte  attaccar  l'irsute  pelli, 
L'orride  zampe  e  i  grossi  capi  d'orsi; 
Tal  dimostrava  il  fier  gigante  quelli 
Che  di  maggior  virtù  gli  eran*  occorsi. 
D'altri  infiniti  sparse  appaion  l'ossa: 
Et  è  di  sangue  «man  piena  ogni  fossa. 

51 

Stassi  Caligorante  in  su  la  porta; 
Che  cosi  ha  nome  il  dispietato  mostro 
Ch'orna  la  sua  magion  di  gente  morta, 
Come  alcun  suol  di  panni  d'oro  o  d'ostio. 
Costui  per  gaudio  a  pena  si  comporta, 
Come  il  Duca  lontan  se  gli  è  dimostro  ; 
Ch'eran  duo  mesi,  e  il  terzo  ne  venia, 
Che  non  fu  cavallier  per  quella  via. 
52 

Ver  la  palude,  ch'era  scura  e  folta 
j  Di  verdi  canne,  in  gran  fretta  ne  viene; 
Che  disegnato  avea  correre  in  volta 
E  uscire  al  Paladin  dietro  alle  schene; 
Che  ne  la  rete,  che  tenea  sepolta 
Sotto  la  polve,  di  cacciarlo  ha  spene. 
Come  avea  fatto  gli  altri  peregrini 
Che  quivi  tratto  avean  lor  rei  destini. 


Inn.,  I,  vili,  25;  e  da  quella,  che  Vii"gilio 
fa  della  spelonca  di  Caco,  En.  8,   195  seg. 

50.  2.  ha  scorsi;  ha  passati.  È  affine  a 
quel  di  Dante,  Inf.,  19,  68:  «Che  tu  abbi 
però  la  ripa  scorsa  (percorsa)  »  ;  ma  non  è 
registrato,  in  questo  senso,  nei  vocabol. 

—  5.  dimostrava,  mostrava,  metteva  in 
mostra.  Cellini,  Oref.,  12:  «  La  mia  forma 
di  figura  si  veniva  a  dimostrare  ». 

51.  1.  Caligorante;  È  nome,  avverte  il 
Raina,  ispirato  da  quello  di  Calogriant  o 
Cologrenanz,  che  si  trova  nei  romanzi  della 
Tavola  Rotonda. 

—  5.  si  comporta;  si  contiene.  Cellini, 
Vita,  338  :  «  Non  mi  potendo  comportare 
colle  ribalderie  di  quei  Francesi  ».  Ma  è  poco 
usato. 

52.  3.  corr.  in  volta,  girare  al  largo.  Que- 
sto senso  non  è  registrato  dai  vocab. 

—  6.  cacciarlo;  spingerlo  a  forza,  incal- 
zandolo alle  spalle. 

—  7.  avea  fatto  ;  avea  cacciato.  Spesso  gli 
antichi,  e  non  di  rado  anche  noi,  invece  di 
ripetere  il  verbo,  sostituiamo  il  verbo  fare, 
che,  avendo  significato  generalissimo,  può 
stare  in  luogo  di  qualunque  verbo. 

—  8.  Che;  cui. 


182 


ORLANDO  FURIOSO 


53 

Come  venire  il  Paladin  lo  vede, 
Femia  il  destrier,  nou  seuza  gran  sospetto 
Che  vada  in  quelli  lacci  a  dar  del  piede, 
Di  che  il  buouVecchiarel  gli  avea  predetto. 
Quivi  il  soccorso  del  suo  corno  chiede, 
E  quel  sonando  fa  l'usato  effetto: 
Nel  cor  fere  il  gigante  che  l'ascolta, 
Di  tal  timor,  ch'a  dietro  i  passi  volta. 
.04 

Asfolfo  sjiona,  e  tuttavolta  bada  ; 
Che  gli  par  sempre  clie  la  rete  scocchi. 
Fugge  il  fellon,  né  vede  ove  si  vada; 
Che,  come  il  core,  avea  perduti  gli  occhi. 
Tanta  è  la  tema,  che  non  sa  far  strada. 
Che  ne  li  proprii  aguati  non  trabocchi: 
"Va  ne  la  rete;  e  quella  si  disserra, 
Tutto  l'annoda,  e  lo  distende  in  terra. 
55 

Astolfo  ch'andar  giù  vede  il  gran  peso, 
Già  sicuro  per  sé,  v'accorre  in  fretta; 
E  con  la  spada  in  man,  d'arcion  disceso. 
Va  per  far  di  mill' anime  vendetta. 
Poi  gli  par  che  s'uccide  un  che  sia  preso, 
Viltà,  più  che  virtù,  ne  sarà  detta; 
Che  legate  le  braccia,  i  piedi  e  il  collo 
Gli  vede  si,  che  non  può  dare  un  crollo. 
56 

Avea  la  rete  già  fatta  Vulcano 
Di  sottil  tìl  d'acciar,  ma  con  tal'arte, 
Che  saria  stata  ogni  fatica  in  vano 
Per  ismagliarne  la  più  debol  parte; 
Et  era  quella  che  già  piedi  e  mano 
Avea  legate  a  Venere  et  a  Marte. 
La  fé'  il  geloso,  e  non  ad  altro  effetto, 
Che  per  pigliarli  insieme  ambi  nel  letto. 


53.  2.  sospetto  Che  vada;  sosp.  di  andare 
Y.  e,  I,  38,  6. 

—  4.  predetto,  parlato  innanzi.  Questo  si- 
gnific.  e  questo  costrutto  non  sono  registrati 
dai  vocabol. 

54.  1.  bada;  indugia  a  andare  avanti.  V. 
e.  XII,  37,  5. 

—  (3.  Che,  seuza  che.  Il  che  dopo  propo- 
siz.  negativa  prende  spesso  questo  signifìc, 
anche  senza  il  non  nella  prop.  dipendente. 
Pulci,  Morg.  19,  139:  «E  non  si  parta  che 
prometta  questo  »-. 

—  7.  si  disserra.  La  Crusca  intende  si 
apre;  ma,  se  è  tesa,  è  già  aperta.  Intendi 
scatta,  si  avventa  su  lui  come  bestia  te- 
nuta chiusa  0  in  catena.  Più  che  un  signi- 
ficato speciale  è  da  vedervi  un'immagine. 

55.  6.  ne  s.  detta.  Il  ne  non  è  pleonastico, 
ma  una  vera  particella  pronominale;  Sarà 
detta  viltà  da  chi  senta  parlar  di  ciò. 

56.  1.  Avea  ecc.  Per  questa  rete  vedi  Odis- 
sea lib.  5,  300  seg. 


57 

Mercurio  al  Fabbro  poi  la  rete  invola; 
Che  Cloride  pigliar  con  essa  vuole, 
Cloride  bella  che  per  l'aria  vola 
Dietro  all'Aurora,  all'apparir  del  sole, 
E  dal  raccolto  lembo  de  la  stola 
Gigli  spargendo  va,  rose  e  viole. 
Mercurio  tanto  questa  Ninfa  attese, 
Che  con  la  rete  in  aria  un  di  la  prese. 
58 

Doveentra  in  mare  il  gran  fiume  Et  iopo, 
Par  che  la  Dea  presa  volando  fosse. 
Poi  nel  tempio  d'Anubide  a  Canopo 
La  rete  molti  secoli  serbosse. 
Caligorante  tre  mila  anni  dopo, 
Dì  là,  dove  era  sacra,  la  rimosse; 
Se  ne  portò  la  rete  il  ladrone  empio. 
Et  arse  la  cittade,  e  rubò  il  tempio. 
59 

Quivi  adattolla  in  modo  in  su  l'arena, 
Che  tutti  quei  ch'avean  da  lui  la  caccia, 
Vi  davan  dentro;  et  era  tocca  a  pena. 
Che  lor  legava  e  collo  e  piedi  e  braccia. 
Di  questa  levò  Astolfo  una  catena, 
E  le  man  dietro  a  quel  fellon  n'allaccia  ; 
Le  braccia  e  '1  petto  in  guisa  gli  ne  fascia, 
Che  non  può  sciorsi:  indi  levarlo  lascia, 
60 

Dagli  altri  nodi  avendo]  sciolto  prima; 
Ch'era  tornato  umau  più  che  donzella. 
Di  trarlo  seco,  e  di  mostrarlo  stima 
Per  ville,  per  cittadi  e  per  castella. 
Vuol  la  rete  anco  aver,  di  che  né  lima 
Né  raartel  fece  mai  cosa  più  bella  : 
Ne  fa  somier  colui  ch'alia  catena 
Con  pompa  trionfai  dietro  si  mena. 
61 

L'elmo  e  lo  scudo  anche  a  portar  gli  die- 
Come  a  valletto,  e  seguitò  il  camino,  [de, 


57.  2.  Cloride,  o  Flora,  fu  amante  di 
Zefbro.  L'episodio  fra  Cloride  e  Mercurio 
sembra  una  felice  invenzione  dell'A. 

58.  1.  fiume  EtVopo,  il  Nilo. 

—  3.  Anubide  o  Anubi,  dio  Egiziano  ligu- 
rato  con  testa  di  cane  —  Canopo,  antica 
città  Egiziana  e  porto  principale  del  delta. 

—  8.  rubò;  derubò.  Dan'te,  Purg.  33,  58  : 
«Qualunque  ruba  quella  (la  mistica  pianta) 
0  quella  schianta  ». 

59.  5.  levò  A.  un  e.  Poiché  sopra,  st.  56, 
ha  detto  che  non  si  poteva  smagliarne  al- 
cuna parte,  qui  si  dovrà  intendere  una  di 
quelle  catene  aggiunte  per  ticare  e  stender 
la  rete;  come  le  funi  che  gli  uccellatori  ado- 
prano  a  tale  uso, 

60.  2.  era  tornato;  era  divenuto.  Tasso, 
Ger.  13, 20  :  «  Che  lor  si  scosse  e  tornò  ghiac- 
cio il  core  ». 

61.  2.  Come  a  valletto.  I  valletti  erano  do- 
mestici del  cavaliere,  ma  inferiori  agli  scu- 


CANTO  XV 


183 


Di  gaudio  empiendo,  ovunque  metta  il  pie- 
Ch'ir  possaormai  sicuro  il  peregrino,  [de, 
Astolfo  se  ne  va  tanto,  che  vede 
Ch'ai  sepolcri  di  Memfi  è  già  vicino, 
3Iemfi  per  le  Piramidi  famoso: 
Tede  all'incontro  il  Cairo  populoso. 

62 
Tutto  il  popol  correndo  si  traea 
Per  vedere  il  gigante  smisurato. 
Come  è  possibil  (l'un  l'altro  dicea) 
Che  quel  piccolo  il  grande  abbia  legato  ? 
Astolfo  a  pena  inanzi  andar  potea: 
Tanto  la  calca  il  preme  da  ogni  iato; 
E  come  cavallier  d'alto  valore 
Ognun  l'ammira,  e  gli  fa  grande  onore. 

63 
Non  era  grande  il  Cairo  cosi  allora. 
Come  se  ne  ragiona  a  nostra  etade  : 
Che  '1  popolo  capir,  che  vi  dimora, 
Non  puon  diciotto  mila  gran  contrade; 
E  che  le  case  hanno  tre  palchi,  e  ancora 
Ne  dormono  infiniti  in  su  le  strade; 
E  che  '1  Soldano  v'abita  un  castello 
Mirabil  di  grandezza,  e  ricco  e  bello; 

64 
E  che  quindici  mila  suoi  vassalli 
Che  son  Cristiani  rinegati  tutti. 


dieri,  ai  sergebti,  ai  paggi.  Non  avevan 
grado  nelle  armi,  non  assisa  né  distintivo  ; 
e  servivano,  generalmente,  per  mercede. 

—  6.  sep.  dì  Henifi;  (gr.  Memphis)  le  pira- 
midi, che  sorgevano  appunto  vicino  a  Menfi. 
Fu  questa  un'antica  città  sulla  sponda  si- 
nistra del  Nilo.  Rimangono  solo  alcuni  avan- 
zi, dove  ora  sorge  Mitranieh. 

—  8.  all'incontro,  di  contro. 

63.  2.  se  ne  ragiona;  se  ne  dice.  Petr.  II, 
canz.  2,  10:  «  E  s'egli  è  ver  che  tua  potenza 
sia  Nel  ciel  si  grande,  come  si  ragiona  ». 

—  3.  Che.  È  temporale:  a  nostra  etade, 
quando.  Fors'  anche  è  congiunzione  della 
proposizione  oggettiva  dipendente  da  un  si 
<Hoe  cioè,  che  può  rilevarsi  dal  verso  pre- 
dente. 

—  4.  diciotto  mila  ecc.  Della  grandezza 
del  Cairo  parla  anche  il  Tasso,  Ger.  17,  17. 
Ma  il  Fornari  annota:  «Il  Cairo,  come  af- 
ferma Ludovico  Romano,  non  è  gran  città 
come  se  ne  parla  universalmente...  non  è 
di  Roma  maggiore.  Ma  il  paese  intorno  è 
abitato  di  ville  innumerabili  ». 

—  5.  tre  palchi;  tre  piani.  È  significato 
raro,  ma  si  cita  qualche  esempio.  Razzi, 
Bai.  I,  se.  3:  «la  camera...  in  su  '1  primo 
palco  ». 

—  8.  di  gr.  ;  per  gr.  È  di  uso  comune. 

64.  1.  s.  vassalli;  i  Mammalucchi  (arab. 
raamluk,  schiavo),  che  furono  una  specie 
di  guardia  pretoriana  del  Sultano  d'Egitto. 
Instituiti  nel    1227  durarono  fino   al    1814. 


Con  mogli,  con  famiglie  e  con  cavalli 
Ha  sotto  un  tetto  sol  quivi  ridutti. 
Astolfo  veder  vuole  ove  s'avvalli, 
E  quanto  il  Nilo  entri  nei  salsi  flutti 
A  iJamiata  ;  ch'avea  quivi  inteso, 
Qualunque  passa  restar  morto  o  presQ. 
65 

Però  ch'in  ripa  al  Nilo  in  su  la  foce 
Si  ripara  un  ladron  dentro  una  torre, 
Ch'a  paesani  e  a  peregrini  nuoce, 
E  fin  al  Cairo,  ognun  rubando,  scorre. 
Non  gli  può  alcun  resistere;  et  ha  voce. 
Che  l'uom  gli  cerca  in  van  la  vita  torre. 
Cento  mila  ferite  egli  ha  già  avuto  ; 
Né  ucciderlo  però  mai  s'  ò  potuto. 
66 

Per  veder  se  può  far  rompere  il  filo 
Alla  Parca,  di  lui,  si  che  non  viva, 
Astolfo  viene  a  ritrovare  Orrilo, 
(Cosi  avea  nome)  e  a  Damiata  arriva: 
Et  indi  passa  ove  entra  in  mare  il  Nilo, 
E  vede  la  gran  torre  in  su  la  riva, 
Dove  s'alberga  l'anima  incantata 
Che  d' un  Folletto  nacque  e  d' una  Fata. 


Erano,  per  lo  più,  giovani  cristiani  dive- 
nuti maomettani. 

—  5.  ove  s'avvalli.  Alcuni  credono  si  ac- 
cenni alle  cateratte  del  Nilo;  ma  è  grave 
abbaglio,  perché  queste  sono  molte  centi- 
naia di  chilometri  prima  del  Cairo.  Intendi: 
dove  il  Nilo  entra  nelle  ultime  valli  Egiziane 
formando  il  lago  Mareotide,  la  laguna  di 
Burlos  ecc.  e  poi  nel  mare  per  la  bocca  di 
Damietta  (Domiata). 

—  6.  quanto  (lat.  quantus)  quanto  grande. 
Innam.  Ili,  in,  13:  «Grande  in  quel  loco 
è  il  Nilo;  assembra  un  mare». 

65.  5.  ha  voce;  ha  fama. 

—  6.  gli  cerca...  torre  ;  cerca  torgli.  V.  e.  I, 
47,  11.  6. 

66.  3.  Orrilo.  Questo  episodio  è  già  co- 
minciato dal  Boiardo;  l'A.  lo  continua.  Nel- 
Vlnnam.  Ili,  ii  si  dice  che  due  fate  sono 
protettrici  di  Grifone  e  d'Aquilante,  figli 
d'Oliviero.  Per  trattenere  i  due  giovani,  pei 
quali  era  destinato  che  sarebbero  periti  se 
fossero  venuti  in  Francia,  li  incitano  a  com- 
battere contro  il  ladrone  Orrilo,  che  abi- 
tava una  torre  sulla  foce  del  Nilo,  e  che 
viene  alla  battaglia  con  un  terribile  cocco- 
drillo. Orrilo  non  si  poteva  uccidere  per- 
ché si  rappiccava  le  membra  tagliate.  Gri- 
fone e  Aquilante,  ucciso  il  coccodrillo,  stanno 
combattendo  invano  contro  di  lui,  quando 
arriva  un  cavaliere  armato,  «  Che  avea  preso 
in  catene  un  gran  gigante.  Ma  di  tal  cosa 
pili  non  dico  avante  ».  L'A.,  riassunto  il 
Boiardo,  continua  immaginando  che  questo 
cavaliere  sia  .\stolfo. 


184 


ORLANDO  FURIOSO 


67 

Quivi  ritrova  che  crudel  battaglia 
Era  tra  Orrilo  e  dui  guerrieri  accesa. 
Orrilo  è  solo;  e  si  qua'  dui  travaglia, 
Ch'a  gran  fatica  gli  puon  far  difesa  : 
E  quanto  in  arme  l'uno  e  l'altro  vaglia, 
A  tutto  il  mondo  la  fama  palesa. 
Questi  erano  i  dui  tìgli  d'Oliviero, 
Grifone  il  bianco,  et  Aquilante  il  nero. 
68 

Gli  è  ver  che  '1  Negromante  venuto  era 
Alla  battaglia  con  vantaggio  grande; 
Che  seco  tratto  in  campo  avea  una  fera, 
La  qual  si  trova  solo  in  quelle  bande: 
Vive  sul  lito,  e  dentro  alla  rivera; 
E  i  corpi  umani  son  le  sue  vivande. 
De  le  persone  misere  et  incaute 
Di  viandanti  e  d'infelici  naute. 
69 

La  bestia  ne  la  rena  appresso  al  porto 
Per  man  dei  duo  fratei  morta  giacea; 
E  per  questo  ad  Orril  non  si  fa  torto, 
S' a  un  tempo  l' uno  e  l'altro  gli  nocca. 
Pili  volte  r  han  smembrato  e  non  mai  mor- 
Né  per  smembrarlo,  uccider  si  potea;    [to, 
Che  se  tagliato  o  mano  o  gamba  gli  era, 
La  rappiccava,  che  parea  di  cera. 
70 

Or  fin  a'  denti  il  capo  gli  divide 
Grifone,  or  Aquilante  fin  al  petto  ; 
Egli  dei  colpi  lor  sempre  si  ride: 
fS'adiran  essi,  che  non  hanno  effetto. 
Chi  mai  d'alto  cader  l'argento  vide. 
Che  gli  Alchimisti  hanno  mercurio  detto, 
E  spargere  e  raccor  tutti  i  suoi  membri, 
Sentendo  di  costui,  se  ne  rimembri. 


68.  8.  nante;  (lat.  nautae)  naviganti.  Lati- 
nismo non  frequente.  Si  cita  solo  un  esem- 
pio col  plurale  nauti. 

69.  3.  non  si  fa  torto;  non  si  usa  soper- 
chieria,  se  due  combattono  contro  uno  ;  per- 
ché egli  pure  era  venuto  coli' aiuto  della 
fiera  che  era  già  stata  uccisa. 

—  6.  per  sm.  Il  per  ha  senso  concessivo  : 
ancorché  si  smembrasse.  È  d'uso  frequen- 
tissimo. Dante,  Inf.,  4,  11  :  «per  ficcar  lo 
viso  al  fondo  Io  non  vi  discernea  alcuna 
cosa  ». 

—  7.  tagliato.  Per  la  concordanza  V.  e. 
v,  58,  n.  5. 

70.  5.  d'alto;  da  alto,  dall'alto  V.  e.  v, 
10,  n.  5.  —  argento  ;  argento  vivo,  nome  po- 
polare del  mercurio.  Cosi  anche  scrittori 
di  scienze,  ma  raramente  senza  l'aggiunto 
vivo.  Magalotti,  Saggi  di  natur.  esper. 
20  :  «  scenderà  subitol'argento  dalla  canna  ». 
]J  mercurio,  cadendo,  si  divide  in  piccolis- 
simi globi,  che  poi,  ravvicinandosi,  si  riu- 
niscono. 

—  0.  Alchimisti.  V.  e.  VI,  59,  n.  6. 


71 

Se  gli  spiccano  il  capo,  Orrilo  scende, 
Né  cessa  brancolar  fin  che  lo  trovi; 
Et  or  pel  crine  et  or  pel  naso  il  prende, 
Lo  salda  al  collo,  e  non  so  con  che  chiovi  ^ 
Pigliai  talor  Grifone,  e  '1  braccio  stende, 
Nelfiumeilgetta,e  non  par  ch'anco  giovi; 
Che  nuota  Orrilo  al  fondo  come  un  pesce, 
E  col  suo  capo  salvo  alla  ripa  esce. 
72 

Due  belle  donne  onestamente  ornate, 
L'una  vestita  a  bianco  e  l'altra  a  nero. 
Che  de  la  pugna  causa  erano  state. 
Stavano  a  riguardar  l'assalto  fiero. 
Queste  eran  quelle  due  benigne  Fate 
Ch'avean  nefriti  i  tìgli  d'Oliviero, 
Poi  che  li  trasson  teneri  citelli 
Dai  curvi  artigli  di  duo  grandi  augelli: 
7.3 

Che  rapiti  gli  avevano  a  Gismonda, 
E  portati  lontan  dal  suo  paese. 
Ma  non  bisogna  in  ciò  ch'io  mi  diffonda; 
Ch'a  tutto  il  mondo  è  l'istoria  palese. 
Ben  che  l'autor  nel  padre  si  confonda, 
Ch'unperunaltro  (io  non  so  come)  prese. 
Or  la  battaglia  i  duo  gioveni  fanno. 
Che  le  due  donne  ambi  pregati  n'hanno. 
74 

Era  in  quel  clima  già  sparito  il  giorno. 
All'isole  ancor  alto  di  Fortuna: 
L'ombre  avean  tolto  ogni  vedere  a  torno 
Sotto  l'incerta  e  mal  compresa  Luna  ; 
Quando  alla  rocca  Orril  fece  ritorno. 
Poi  ch'alia  bianca  e  alla  sorella  bruna 
Piacque  di  differir  l'aspra  battaglia 
Fin  che  'I  Sol  nuovo  all'orizzonte  saglia. 
75 

Astolfo,  che  Grifone  et  Aquilante 
Et  all'insegne  e  più  al  ferir  gagliardo, 


71.  2.  cessa  br.  ;  cessa  di  br.  V.  e.  i,  4, 
n.  1. 

—  6.  non...  anco;  neppur.  V.  c.xvi,36,  n. 8. 

72.  5.  benigne  Fate.  Questi  particolari  delle 
due  fate,  le  quali  avean  nutrito  Aquilante 
e  Grifone  dopo  averli  salvati  da  due  grandi 
uccelli,  un'aquila  e  un  grifo,  che  li  avevan 
rapiti  aUa  madre  Ghismonda,  son  tolti  dal 
poema  Uggieri  il  Danese.  Ma  ivi  i  due  gio- 
vani son  detti  figli  di  Ricciardetto,  mentre 
il  Boiardo,  che  riproduce  tutto  l'episodio, 
li  dice  figli  d'Oliviero.  L'A.  accetta  l'auto- 
rità del  Boiardo  e  non  quella  del  Danese; 
cfr.  la  st.  seguente,  v.  5-6. 

—  7.  citelli.  V.  e.  IX,  37,  n.  6. 

74.  2.  di  Fortuna,  Fortunate.  V.  e.  xiv,  27, 
n.  l.  Essendo  molto  più  a  ponente  dell'Egitto 
avevano  il  tramonto  assai  più  tardi. 

—  4.  mal  compresa;  poco  appariscente 
nella  luce  crepuscolare.  È  senso  affine  »  a 
quello  della  st.  41,  5. 


CANTO  XV 


1S5 


Riconosciuto  avea  gran  pezzo  inante, 
Lor  non  fu  altiero  a  salutar  né  tardo. 
Essi  vedendo  che  quel  che  '1  gigante 
Traea  legato,  era  il  Baroii  dal  Pardo 
(Che  cosi  in  corte  era  quel  Duca  detto), 
Raccolser  lui  con  non  minore  alletto. 
76 

Le  donne  a  riposare  i  cavallieri 
Menaro  a  un  lor  palagio  indi  vicino. 
Donzelle  incontra  vennero  e  scudieri 
Con  torchi  accesi,  a  mezzo  del  camino. 
Diero  a  chi  n'ebbe  cura,  i  lor  destrieri, 
Trassonsi  l'arme;  e  dentro  un  bel  giardi- 
Trovàr  ch'apparecchiata  era  la  cena   [uo 
Ad  una  fonte  limpida  et  amena. 
77 

Fan  legare  il  gigante  alla  verdura 
Con  un'altra  catena  molto  grossa 
Ad  una  quercia  di  molt'auni  dura, 
Che  non  si  romperà  per  una  scossa; 
E  da  dieci  sergenti  averne  cura, 
Che  la  notte  discior  non  se  ne  possa. 
Et  assalirli  e  forse  far  lor  danno, 
Mentre  sicuri  e  senza  guardia  stanno. 
78 

All'abondante  e  sontuosa  mensa. 
Dove  il  manco  piacer  fur  le  vivande, 
Del  ragionar  gran  parte  si  dispensa 
Sopra  d'Orrilo  e  del  miracol  grande. 
Che  quasi  par  un  sogno  a  chi  vi  pensa, 
Ch'orcapo,  or  braccio  a  terra  se  glimaude, 
Et  egli  lo  raccolga  e  lo  raggiugna, 
E  più  feroce  ognor  torni  alla  pugna. 
79 

Astolfo  nel  suo  libro  avea  già  letto. 
Quel  eh' agi' incanti  riparare  insegna. 


75.  1.  Lor.  È  complem.  di  salutar. 

—  6.  il  B.  dal  Pardo.  Astolfo,  come  figlio 
del  re  d'Inghilterra  avea  per  insegna  un 
pardo.  V.  e.  x,  77. 

—  S.  Raccolser,  accolsero.  V.  e.  vii,  9,  n.  3. 

76.  2.  indi  vie;  vicino  di  li.  Vicino  si  co- 
struisce con  a  e  con  da  o  di.  Oggi  è  più 
comune  la  prima  costr. 

—  5.  Diero,  i  cavalieri. 

77.  3.  di  molt'anni;  È  complem.  tempo- 
rale di  quercia.  V.  Fornaciari,  Sint.  p.  319. 

—  4.  É  verso  quasi  eguale  al  4  del  e. 
xxxvii,  108. 

—  5.  da  dieci  ecc.  Su  questo  costrutto  cfr. 
la  st.  23,  n.  4  di  questo  canto  —  sergenti, 
servi.  V.  e.  XIV,  51,  n.  5. 

78.  3.  si  dispensa;  s'impiega.  L'A.  usa,  in 
questo  senso,  tre  volte  dispensare  in,  una 
volta  dispensare  a,  e  solo  qui  dispensare 
sopra  :  ma  forse  questo  costrutto  ha  sentito 
razione  del  verbo  ;'a^io/?«/'é',  come  è  acca- 
duto al  e.  VII,  21,  5;  x,  113,  2,  e  altrove.  C  è 
dunque  fusione  di  due  costrutti. 

—  7.  raggiugna,  ricongiunga. 


Ch'ad  Orril  non  trarrà  l'alma  del  petto 
Fin  eh' un  crine  fatai  nel  capo  tegna; 
Ma  se  lo  svelle  o  tronca,  fìa  constretto 
Che  suo  mal  grado  fuor  l'alma  ne  vegna. 
Questo  ne  dice  il  libro;  ma  non  come 
Conosca  il  crine  in  cosi  folte  chiome. 
80 

Non  men  de  la  vittoria  si  godea, 
Che  se  n'avesse  Astolfo  già  la  palma; 
Come  chi  speme  in  pochi  colpi  avea 
Svellere  il  crine  al  Negromante  e  l'alma. 
Però  di  quella  impresa  promettea 
Tòr  su  gli  omeri  suoi  tutta  la  salma  : 
Orril  farà  morir,  quando  non  spiaccia 
Ai  duo  fratei,  ch'egli  la  pugna  faccia. 
81 

Ma  quei  gli  danno  volentier  l'impresa. 
Certi  che  debbia  affaticarsi  in  vano. 
Era  già  l'altra  aurora  in  cielo  ascesa, 
Quando  calò  dai  muri  Orrilo  al  piano. 
Tra  il  Duca  e  lui  fu  la  battaglia  accesa: 
La  mazza  l'un,  l'altro  ha  la  spada  in  mano. 
Di  mille  attende  Astolfo  un  colpo  trarne. 
Che  lo  spirto  gli  sciolga  da  la  carne. 

82 
Or  cader  gli  fa  il  pugno  con  la  mazza. 
Or  l'uno  or  l'altro  braccio  con  la  mano; 
Quando  taglia  a  traverso  la  corazza, 
E  quando  ilvatroncandoabranoabrano: 
Ma  ricogliendo  sempre  de  la  piazza 


79.  4.  un  crine  f.  Questo  crine  fatato  manca 
nel  Boiardo,  ma  Va.  ne  ha  presa  l'idea  dal 
classicismo.  lu  Euripide  Alceste  muore  per 
un  capello  tagliatole  da  Mercurio;  Scilla,  fi- 
glia del  re  di  Megara,  taglia  al  padre  il  ca- 
pello sacro,  da  cui  dipendevano  le  sorti  di 
quella  città.  Vedi  pure  Eneide,  4,  698  segg. 
Nel  Trionfo  della  morte,  del  Petr.,  la  Morte 
svelle  dal  capo  di  Laura  un  capello  fatale. 
La  Crusca  intende  fatale  nel  senso  che  da 
esso  dipende  il  destino  d'Orrilo,  ma  forse 
deve  intendersi  per  fatato  come  al  e.  xii, 
79;  xxvi.  83  ecc.  e  come  in  altri   scrittori. 

—  5.  fla  constretto.  Il  soggetto  è  V  alma. 
Per  questa  sconcordanza  del  participio  cfr. 
e.  V,  SS,  n.  5.  Volendo  riferirlo  ad  Orrilo  si 
avrebbe  un  costrutto  molto  più  strano,  né 
confortato  da  altri  esempi. 

—  S.  Conosca.  È  potenziale  :  possa  cono- 
scere. 

80.  3.  Come  chi;  come  colui  che.  È  il 
quippe  qui  dei  Latini. 

—  ó.  salma,  carico.  V.  e.  x,  25,  n.  4. 

81.  6.  La  mazza.  I  giganti  combattevano, 
non  colla  spada,  che  era  l'arme  de'  cava- 
lieri, ma  con  mazza,  con  tronconi  e  simili 
armi  grossolane. 

—  7.  trarne.  Il  ne  si  riferisce  a  spada  : 
un  colpo  di  spada. 

82.  5.  ricogliendo,  raccogliendo.  Anch'oggi 


1S6 


ORLANDO  FURIOSO 


Va  le  sue  membra  Orrilo,  e  si  fa  sano. 
S'in  cento  pezzi  ben  l'avesse  fatto, 
Kedintegrarsi  il  vedea  Astolfo  a  un  tratto. 

83 
Al  fin  di  mille  colpi  un  gli  ne  colse 
Sopra  le  spalle  ai  termini  del  mento:    ' 
La  testa  e  l'elmo  dal  capo  gli  tolse, 
Né  fu  d'Orrilo  a  dismontar  più  lento. 
La  sanguinosa  chioma  in  man  s'avvolse, 
E  risalse  a  cavallo  in  un  momento  ; 
E  la  portò  correndo  incontra  '1  Nilo 
Che  riaver  non  la  potesse  Orrilo. 

84 
Quel  sciocco  che  del  fatto  non  s'accorse. 
Per  la  polve  cercando  iva  la  testa; 
Ma  come  intese  il  corridor  via  torse, 
Portare  il  capo  suo  per  la  foresta  ; 
Immantinente  al  suo  destrier  ricorse, 
Sopra  vi  sale,  e  di  seguir  non  resta. 
Volea  gridare:  Aspetta;  volta,  volta; 
Ma  gli  avea  il  Duca  già  la  bocca  tolta. 

85 
Pur,  che  non  gli  ha  tolto  anco  le  calcagna 
Si  riconforta,  e  segue  a  tutta  briglia. 
Dietro  il  lascia  gran  spazio  di  campagna 
Quel  Rabican  che  corre  a  maraviglia. 
Astolfo  intanto  per  la  cuticagna 
Va  da  la  nuca  fin  sopra  le  ciglia 
Cercando  in  fretta,  se  '1  crine  fatale 
Conoscer  può,  ch'Orril  tiene  immortale. 

86 
Fra  tanti  e  innumerabili  capelli, 
Un  pili  de  l'altro  non  si  stende  o  torce; 
Qual  dunque  Astolfo  scieglierà  di  quelli. 
Che  per  dar  morte  al  rio  ladron  raccorce? 
3Ieglio  è,  disse,  che  tutti  io  tagìi  o  svelli  : 


il  popolo  Toscano  dice  ricotto,  ricolta  per 
raccolto,  raccolta. 

—  7.  se...  ben;  sebbene.  Tale  separazione 
vedila  anche  al  e.  v,  75,  5  ;  vi,  4,  7,  e  altrove. 

83.  1.  gli  ne  colse.  Intendono  tutti  cogliere 
per  aggiustare  e  la  Crusca,  citando  questo 
solo  esempio,  dice  che  è  locuzione  poetica. 
Più  semplice  e  più  conforme  agli  altri  usi 
di  questo  verbo  è  intendere:  uno  di  questi 
collii  gli  (lo)  colse  sotto  le  spalle.  Per  il  ne 
pleonastico  cfr.  e.  ii,  4,  1  ;  per  il  complem. 
gli  invece  di  lo  cfr.  Bocr.  Nov.  5  :  «  Quan- 
tunque sciagura  ne  cogliesse  ad  alcuno  ». 

—  6.  risalse.   V.  e.  vi,  41,  n.  4. 

—  7.  la  portò,  la  portò  seco,  perché  ecc. 

84.  3.  via  torse ,  togliersi  via  di  là  e  por- 
tare ecc. 

85.  1.  le  calcagna,  per  spronare. 

—  5.  la  caticagna,  la  pelle  di  tutto  il  capo. 

—  7.  se;  per  vedere  se.  V.  e.  xii,  87,6. 

86.  5.  svelli  ;  svella.  Avverte  il  .Nannucci, 
(Analisi  Cr.  dei  verbi  ital.)  che  per  unifor- 
mità di  cadenza  colla  prima  coniug.  anche 
il  pres.  cong.  della  seconda  iSL  terza  terminò 


Né  si  trovando  aver  rasoi  né  force, 
Ricorse  immantinente  alla  sua  spada, 
Che  taglia  si,  che  si  può  dir  che  rada. 
87 

E  tenendo  quel  capo  per  lo  naso, 
Dietro  e  dinanzi  lo  dischioma  tutto. 
Trovò  fra  gli  altri  quel  fatale  a  caso  ; 
Si  fece  il  viso  allor  pallido  e  brutto. 
Travolse  gli  occhi,  e  dimostrò  airoccaso 
Per  manifesti  segni  esser  condntto; 
E  '1  busto  che  seguia  troncato  al  collo, 
Di  sella  cadde,  e  die  l'ultimo  crollo. 
88 

Astolfo,  ove  le  donne  e  i  cavallieri 
Lasciato  avea,  tornò  col  capo  in  mano. 
Che  tutti  avea  di  morte  i  segni  veri, 
E  mostrò  il  tronco  ove  giacca  lontano. 
Non  so  ben  se  lo  vider  volentieri, 
Ancor  che  gli  niostrasser  viso  umano  ; 
Che  la  intercetta  lor  vittoria  forse 
D'invidia  ai  duo  germani  il  petto  morse. 
89 

Né  che  tal  fin  quella  battaglia  avesse, 
Credo  più  fosse  alle  due  donne  grato. 
Queste,  perché  più  in  lungo  si  traesse 
De'  duo  fratelli  il  doloroso  fato  [se, 

Che  'n  Francia  par  ch'in  breve  esser  doves- 
Con  loro  Orrilo  avean  quivi  azzuffato, 
Con  speme  di  tenerli  tanto  a  bada, 
Che  la  trista  influenzia  se  ne  vada. 
90 

Tosto  che  '1  castellan  di  Damiata 
Certificossi  chera  morto  Orrilo, 
La  columba  lasciò,  ch'avea  legata 


anticamente  tutte  e  tre  le  persone  in  i.  Gli 
esempi  che  egli  cita  sono  numerosi  per  la 
seconda  persona,  pochi,  e  tutti  molto  anti- 
chi, per  la  prima  e  la  terza.  V.  e.  fii,  17, 
4;  XX,  70,  4;  xi.v,  42,  2. 

—  6.  force;  È  sincope  di  forbice,  forse 
con  influenza  del  latino  furcae.  È  già  iu 
Dante,  Par.  16,  9. 

87.  5.  all'occaso;  a  morte.  V,  e.  ix,  31,  4. 

89.  5.  in  breve,  fra  breve.  —  esser,  com- 
piersi. Cosi  r  usò  il  Ce<;(  HI  Le  Pellegrine 
III,  se.  7  :  «  Il  voto  dovea  esser  (compiersi) 
cosi  ». 

—  8.  Che  la  trista  ecc.  In  queste  parole 
è  riassunto  il  concetto  del  Boiardo,  che  fa 
dire  alle  due  donne  III,  ir,  43:  «  Ma  pur  si 
puote  il  tempo  prolungare  E  far  col  senno 
forza  alla  fortuna  :  Chi  fece  il  mondo  lo 
potrà  mutare...  Prendiam  dunque  partito, 
se  ti  pare,  Di  ritener  costor  ». 

90.  1.  il  castellan  ecc.  il  capitano  del  ca.. 
stello  di  Damietta. 

—  3.  La  columba.  É  antico  costume  quello 
dei  colombi  messaggeri.  Plinio  dice  che  nel- 
l'assedio di  Modena  una  colomba  portava 


CANTO  XV 


187 


Sotto  l'ala  la  lettera  col  filo. 
Quella  andò  al  Cairo;  et  indi  fu  lasciata 
Un'  altra  altrove,  come  quivi  è  stilo: 
Si  che  in  pochissime  ore  andò  l'avviso 
Per  tutto  Egitto,  ch'era  Orrilo  ucciso. 

91 
Il  Duca,  come  al  fin  trasse  l'impresa, 
Confortò  molti  nobili  garzoni. 
Ben  che  da  sé  v'avean  la  voglia  intesa. 
Né  bisognavau  stirauli  né  sproni  ; 
Che  per  difender  de  la  santa  Chiesa 
E  del  Romano  Imperio  le  ragioni, 
Lasciasser  le  battaglie  d'Oriente, 
E  cercassino  onor  ne  la  lor  gente/ 

92 
Cosi  Grifone  et  Aquilante  tolse 
Ciascuno  da  la  sua  donna  licenzia; 
Le  quali,  ancor  che  lor  n'encrebbe  e  dolse, 
Non  vi  seppon  però  far  resistenzia. 
Con  essi  Astolfo  a  man  destra  si  volse; 
Che  si  deliberar  far  riverenzia 
Ai  santi  luoghi  ove  Dio  in  carne  visse. 
Prima  che  verso  Francia  si  venisse. 

93 
Potuto  avrian  pigliar  la  via  mancina. 
Ch'era  più  dilettevole  e  più  piana, 
E  mai  non  si  scostar  da  la  marina; 
Ma  per  la  destra  andaro  orrida  e  strana, 
Perché  l'alta  città  di  Palestina 
Per  questa  sei  giornate  è  men  lontana. 
Acqua  si  trova  et  erba  in  questa  via  : 
Di  tutti  gli  altri  ben  v'  è  carestia. 


94 

Si  che  prima  ch'entrassero  in  viaggio. 
Ciò  che  lor  bisognò,  fecion  raccorrò  ; 
E  carcar  sul  gigante  il  carriaggio, 
Ch'avria  portato  in  collo  anco  una  torre. 
Al  finir  del  camino  aspro  e  selvaggio. 
Da  l'alto  monte  alla  lor  vista  occorre 
La  santa  terra,  ove  il  superno  Amore 
Lavò  col  proprio  sangue  il  nostro  errore. 
95 

Trovano  in  sn  l'entrar  de  la  cittade 
Un  gìovene  gentil,  lor  conoscente, 
Sansonetto  da  Mecca,  oltre  l'etade 
(Ch'era  nel  primo  fior)  molto  prudente; 
D'alta  cavalleria,  d'alta  boutade 
Famoso,  e  riverito  fra  la  gente. 
Orlando  lo  converse  a  nostra  fede, 
E  di  sua  man  battesmo  anco  gli  diede. 
96 

Quivi  lo/trovan  che  disegna  a  fronte 
Del  Calife  d'Egitto  una  fortezza; 
E  circondar  vuole  il  Calvario  monte 
Di  muro  di  duo  miglia  di  lunghezza 
Da  lui  raccolti  fur  con  quella  fronte 
Che  può  d'interno  amor  dar  più  chiarezza, 
E  dentro  accompagnati,  e  con  grande  agio 
Fatti  alloggiar  nel  suo  real  palagio. 
97 

Avea  in  governo  egli  la  terra,  e  in  vece 
Dì  Carlo  vi  reggea  l' imperio  giusto. 
Il  duca  Astolfo  a  costui  dono  fece 
Di  quel  si  grande  e  smisurate  busto. 


le  lettere  agli  alloggiamenti.  Il  Tasso  parla 
di  quest'uso  in  Levante,  Ger.  18,  49. 

—  6.  altrove;  per  altra  parte,  perché  an- 
dasse altrove.  Altrove  esprime  tanto  moto 
a  luogo,  che  stato  in  luogo. 

91.  3.  benché...  T'avean.  L'A.  usa,  nelle  pro- 
pos.  concessive,  più  spesso  l' indicat.  che  il 
congiunt.  come  dovrebbe  essere  regolar- 
mente. V.  e.  V,  11,  n.  7.  —  intesa,  rivolta  (è 
il  latino  intendere)  ;  significato  assai  fre- 
quente nella  letteratura  nostra. 

92.  3.  n'encrebbe;  L'ediz.  del  1516  e  del 
'21  leggono,  meglio,  ne  'ncrebbe.  E  questo 
dev'essere  nient' altro  che  un  errore  di 
stampa,  che  il  Morali  avrebbe  potuto  to- 
gliere senza  scrupolo. 

—  6.  8i  deliberar.  V.  e.  IV,  49,  n.  1.  —  Che 
vale  perche. 

93.  4.  per  la  destra.  Forse  l' Ariosto  ac- 
cenna vagamente  ad  una  delle  vie  interne, 
che,  traversando  i  monti,  conducono  dal- 
l'Egitto a  Gerusalemme;  e  non  è  improba- 
bile che,  come  crede  il  Pomari,  avesse  la 
mente  all'  allegoria,  secondo  la  quale  la  via 
sinistra  sarebbe  la  via  dei  vizio,  la  destra 
quella  della  virtù. 

—  5.  l'alta  e.  Gerusalemme  è  in  un  alti- 
piano ed  è  assisa  sopra  alcuni  colli. 


94.  6.  Da  l'alto  monte.  Probabilmente  l'A. 
non  pensa  a  nessun  monte  determinato,  ma 
accenna  in  generale  ai  monti  della  Palesti- 
na» e  vagamente  a  qualcuno  di  essi.  — 
occorre  (lat.  occurrit)  si  presenta.  Bocc, 
yov.  41  :  «  e  quelle  (le  scale)  scendendo,  oc- 
corse lor  Pasimunda  ». 

95.  3.  Sansonetto  da  M.  ;  È  un  personag- 
gio deìVEntrée  d'Espac/ne.  Ivi  si  dice  co- 
m'egli ricevesse  il  Imttesimo  da  Orlando  e 
lo  accompagnasse  in  Spagna.  L'A.  lo  fa  luo- 
gotenente di  Carlo  M.  in  Gerusalemme;  in- 
vece nella  Spagna  si  dice  che  a  governare 
la  Santa  Città  Orlando  lasciò  Ansuigi.  V. 
RAi>fA,  Fonti,  pag.  228. 

96.  1.  a  fronte  ecc.  ;  contro  il  Califfo  d'E. 
I  Signori  dell'  Egitto  ebbero  sempre  gli  oc- 
chi avidi  sulla  Siria  e  nel  secolo  undecima 
la  dominarono. 

—  3.  Calvario  ;  È  un  monticello  presse  Ge- 
rusalemme. 

—  5.  raccolti.  V.  st.  75,  8 

—  6.  dar...  chiarezza;  dar  prova  o  cer- 
tezza. Vasaiu,  Vite,  2,  504:  «Come  ne  reii- 
don  cluarezza  (ne  fanno  prova)  le  mone- 
te ecc.  ». 

97.  2.  giusto;  È  meglio  riferirlo  a  San- 
sonetto, che  a  imperio. 

—  4.  basto;  Per    tutta    la   persona   fu 


188 


GELANDO  FURIOSO 


Ch'a  portar  pesi  gli  varrà  per  diece 
Bestie  da  soma:  tanto  era  robusto. 
DJegli  Astolfo  il  gigante,  e  diagli  appresso 
La  rete  ch'in  sua  forza  l'avea messo. 
98 

Sansonetto  all'incontro  al  Duca  diede 
Per  la  spada  una  cinta  ricca  e  bella; 
E  diede  spron  per  l'uno  e  l'altro  piede, 
Che  d'oro  avean  la  fìbbia  e  la  girella; 
Ch'esser  del  cavallier  stati  si  crede, 
Che  liberò  dal  drago  la  donzella: 
Al  Zaffo  avuti  con  molt'altro  arnese 
Sansonetto  gli  avea,  quando  lo  prese. 
99 

Purgati  di  lor  colpe  a  un  monasteiio 
Che  dava  di  sé  odor  di  buoni  esempii, 
De  la  passion  di  Cristo  ogni  misterio 
Contemplando  n'andar  per  tutti  i  tempii 
Ch'or  con  eterno  obbrobrio  e  vituperio 
A  gli  Cristiani  usurpano  i  Mori  empii. 
L'Europa  è  in  arme,  e  di  far  guerra  agogna 
In  ogni  parte,  fuor  ch'ove  bisogna. 
100 

Mentre  avean  quivi  l'animo  divoto, 
A  perdonanze  e  a  cerenionie  intenti. 
Un  peregrin  di  Grecia,  a  Grifon  noto, 
Novelle  gli  arrecò  gravi  e  pungenti. 
Dal  suo  primo  diseguo  e  lungo  voto 
Troppo  diverse  e  troppo  differenti  ; 
E  quelle  il  petto  gì'  infiammaron  tanto. 
Che  gli  scacciar  l'orazion  da  canto. 
101 

Amava  il  cavallier,  per  sua  sciagura, 
Una  donna  ch'avea  nome  Orrigille: 
Di  più  bel  volto  e  di  miglior  statura 

usato  da  altri.  Anguillara,  Metani.  7,  102: 
«  Che  al  padre  avea  ringiovanito  il  busto  ». 

—  8.  in  sua  forza;  in  suo  potere. 

98.  4.  la  girella.  Veramente  al  tempo  di 
Carlo  M.,  e  assai  dopo,  gli  sproni  erano  a 
punta,  non  a  girella  o  rotella;  e  i  cavalieri 
li  portavano  d'oro  o  dorati. 

—  5.  cavallier  ecc.  S.  Giorgio,  del  quale 
la  leggenda  dice  che  pervenuto  in  una  città, 
dov'era  un  drago  a  cui  si  gettavano  ogni 
giorno  vittime  umane,  vide  esposta  per  es- 
ser divorata  la  figlia  del  re.  S.  Giorgio  as- 
sali il  drago  colla  lancia  e  lo  ferì  ;  quindi 
legato  lo  dette  alla  fanciulla,  che  lo  trasse 
per  la  città  già  mansueto. 

—  8.  Zaffo,  laffa,  l'antica  loppe  ;  città  ma- 
rittima della  Siria. 

100.  2.  perdonanze,  indulgenze  concedute 
a  chi  visita  luoghi  pii. 

—  8.  scacciar....  da  canto,  cacciarono  da 
una  parte,  gli  fecero  metter  da  parte. 

101.  2.  Orrigille.  Questa  figura  è  creata 
dal  Boiardo,  con  alcuni  elementi  presi  dal 
Guiron.  Grifone  è  innamorato  di  questa 
donna  volubile  ;  con  lei  va  a  Costantinopoli^ 
ma  dopo  poco  parte  per  un  torneo,  che  si 


Non  se  ne  sceglierebbe  una  fra  mille; 
Ma  disleale  e  di  si  rea  natura. 
Che  potresti  cercar  cittadi  e  ville. 
La  terra  ferma  e  l'isole  del  mare, 
Né  credo  ch'una  le  trovassi  pare. 
102 

Ne  la  città  di  Constantin  lasciata 
Grave  l'avea  di  febbre  acuta  e  fiera. 
Or  quando  rivederla  alla  tornata 
Più  che  mai  bella,  e  di  goderla  spera, 
Ode  il  meschin,  ch'in  Antiochia  andata 
Dietro  un  suo  nuovo  amante  ella  se  n'era. 
Non  le  parendo  ormai  di  più  patire 
Ch'abbia  in  si  fresca  età  sola  a  dormire. 
103 

Da  indi  in  qua  ch'ebbe  la  trista  nuova. 
Sospirava  Grifon  notte  e  di  sempre.  * 
Ogni  piacer  ch'agli  altri  aggrada  e  giova. 
Par  ch'a  costui  più  l'animo  distempre: 
Pensilo  ognun,  ne  li  cui  danni  prova 
Amor,  se  li  suoi  strali  han  buone  tempre. 
Et  era  grave  sopra  ogni  martire, 
Che  '1  mal  ch'avea  si  vergognava  a  dire. 
104 

Questo,  perché  mille  fiate  inante 
Già  ripreso  l'avea  di  quello  amore. 
Di  lui  più  saggio,  il  fratello  Aquilante, 
E  cercato  colei  trargli  del  core; 
Colei  ch'ai  suo  giudizio  era  di  quante 
Femine  rie  si  trovin  la  peggiore. 
Grifon  l'escusa,  se  '1  fratel  la  danna; 
E  le  più  volte  il  parer  proprio  inganna. 
105 

Però  fece  pensier,  senza  parlarne 
Con  Aquilante,  girsene  soletto 
Sin  dentro  d'Antiochia,  e  quindi  trarne 
Colei  che  tratto  il  cor  gli  avea  del  petto  ; 
Trovar  colui  che  gli  l'ha  tolta,  e  farne 
Vendetta  tal,  che  ne  sia  sempre  detto. 
Dirò,  come  ad  effetto  i  pensier  messe. 
Ne  l'altro  Canto,  e  ciò  che  ne  successe. 


teneva  in  Nicosia,  e  lascia  Orrigille  amma- 
lata con  febbre.  Fin  qui  il  Boiardo. 

—  8.  trovassi;  Più  regolarm.  troveresti, 
perché  è  l'apodosi  di  un  periodo  ipotetico, 
nel  quale  è  sottintesa  la  prodosi  :  se  tu  cer- 
cassi. Lo  scambio  è  avvenuto  per  l' azione 
del  verbo  credo.  Forse  ne  abbiamo  un  al- 
tro esempio  nel  e.  xlii,  81,  6.  —  pare,  pari, 
eguale. 

102.  2.  di  febbre;  per  f.  V.  e.  x,  39,  n.  6. 

—  5.  Antiochia;  oggi  Antahiech. 

—  8.  eh'  abbia,  d'  avere.  V.  e.  I,  38,  n.  0. 

103.  4.  dlstempre  ;  guasti.  V.  c.  XIII,  20,  3. 

104.  8.  E  le  p.  v.  Nota  la  finezza  di  quella 
congiunzione,  che  viene  a  dire:  e  cosi  Gri- 
fone mostra  una  volta  ancora  che  le  più 
volte  ecc.  Potrebbe  essere  anche  per  ma,  e 
sarebbe  esempio  più  spiccato  di  quelli,  che 
citano  i  vocabolari.  V.  e.  xviii,  92,  S,  dove 
abbiamo  pure  e  per  ma. 


CANTO  XVI 


189 


CANTO  XVI 


Grave  pene  in  Amor  si  provan  molte, 
Di  clie  patito  io  n'iio  la  maggior  parte; 
E  quelle  in  danno  mio  si  ben  raccolte, 
Ch'  io  ne  posso  parlar  come  per  arte. 
Però  s' io  dico  e  s'  ho  detto  altre  volte, 
E  quando  in  voce  e  quando  in  vive  carte, 
Ch'un  mal  sia  lieve,  un  altro  acerbo  e  fiero, 
Date  credenza  al  mio  giudicio  vero. 
2 

Io  dico  e  dissi,  e  dirò  fin  ch'io  viva, 
Che  chi  si  trova  in  degno  laccio  preso, 
Se  ben  di  sé  vede  sua  donna  schiva. 
Se  in  tutto  avversa  al  suo  desire  acceso  : 
Se  bene  Amor  d'ogni  mercede  il  priva. 
Poscia  che  '1  tempo  e  la  fatica  ha  speso; 
Pur  eh'  altamente  abbia  locato  il  core, 
Pianger  non  de',  se  ben  languisce  e  muore. 
3 

Pianger  de'  quel  che  già  sia  fatto  servo 
Di  duo  vaghi  occhi  e  d'una  bella  treccia. 
Sotto  cui  si  nasconda  un  cor  protervo. 
Che  poco  puro  abbia  con  molta  feccia. 


1.  2.  n'ho;  Il  ne  è  pleonastico,  e  d'uso 
popolare.   . 

—  3.  quelle  in  d.  m.  ecc.;  q.  che  tian  dan- 
neggiato me.  Ma  cosi  intendendo,  a  mio  ci., 
sarebbe  ripetiz.  superflua.  Meglio:  e  quelle 
ho  (per  mio  danno)  cosi  ben  race,  nella  memo- 
ria, che  ne  posso  parlare,  quasi  in  virtù  di  ar- 
te, appresa  col  trattareun  si  fatto  argomento. 

—  6.  in  voce  ;  a  voce.  Davanzati,  Dia- 
logo delle  cag.  della  perd.  eloq.  36  :  «  Con- 
veniva in  voce  difenderle  accuse,  in  voce 
e  non  in  carta  far  le  fedi  pubbliche  ».  — 
vive  carte;  gli  scritti,  che  sono  come  carte 
vive,  paiianti. 

—  7.  Che...  sia.  Per  il  congiunt.  cfr.  e. 
V,  67,  n.  S. 

2.  3.  di  sé...  schiva;  sdegnosa  con  lui,  non 
facile,  ritrosa. 

—  4.  Se;  se  bene.  Il  bene  si  rileva  facil- 
mente dal  V.  precedente;  ma  anche  il  solo  se 
fu  usato  cosi.  Boccaccio  ,  Dee.  Nov.  74  : 
«  Si  dispose,  se  morir  ne  dovesse,  di  par- 
lare». L'A.  usa,  nelle  proposiz.  concessive, 
più  spesso  l'indicat.  che  il  cong.  contro  l'uso 
comune:  cfr.  xv,  91,  7,  v,  li,  n.  7. 

3.  3.  protervo;  superbo  e  ostinato.  Fa  bel 
riscontro  allo  schiva.  Questo  dice  la  genti- 
lezza dell'  animo  unita  a  modestia  ;  quello 
la  durezza  procedente  da  superbia. 


Vorria  il  miser  fuggire;  e  come  cervo 
Ferito,  ovunque  va,  porta  la  freccia: 
Ha  di  sé  stesso  e  del  suo  amor  vergogna, 
Né  l'osa  dire,  e  in  van  sanarsi  agogna, 
4 

In  questo  caso  è  il  giovene  Grifone, 
Che  non  si  può  emendare,  e  il  suo  error 

[vede: 
Vede  quanto  vilmente  il  suo  cor  pone 
In  Orrigille  iniqua  e  senza  fede: 
Pur  dal  mal'uso  è  vinta  la  ragione, 
E  pur  l'arbitrio  all'appetito  cede: 
Perfida  sia  quantunque,  ingrata  e  ria, 
Sforzato  è  di  cercar  dove  ella  sia. 
5 

Dico,  la  bella  istoria  ripigliando, 
Ch'  usci  de  la  città  secretaniente; 
Né  parlarne  s'ardi  col  fratel,  quando 
Ripreso  in  van  da  lui  ne  fu  sovente. 
Verso  Kania,  a  sinistra  declinando, 
Prese  la  via  più  piana  e  più  corrente: 
Fu  in  sei  giorni  a  Damasco  di  Soria; 
Indi  verso  Antiochia  se  ne  già. 
6 

Scontrò  presso  a  Damasco  ilcavalliero 
A  cui  donato  avea  Orrigille  il  cuore: 
E  convenian  di  rei  costumi  in  vero, 


—  5.  come  cervo.  Viro.  En.  4,  73:  «  Qualis 
coniecta  cerva  sagitta....  haeret  lateri  le- 
talis  arundo  ». 

4.  6.  arbitrio,  volontà.  Più  comunemente 
coir  aggiunta  di  libero. 

—  7.  Perf.  s.  quantunque,  quantunque  sia 
perfida.  Abbiamo  anche  nel  e.  ir,  13,  7  e 
XXXI,  38,  6  esempì  spiccati  di  questa  po- 
sposizione. I  vocabolari  non  ne  fanno  pa- 
rola. 

5.  3.  s'ardi;  La  forma  riflessa  è  frequente 
nei  buoni  scrittori.  —  quando,  poiché.  V.  e. 
I,  18,  3. 

—  5.  Rama;  Piccola  città  della  Siria,  oggi 
Ramla. 

—  6.  corrente,  frequentata,  battuta.  Tasso, 
Dialog.  I,  383  :  «  vicino  a  strade  correnti  ». 

—  7.  Damasco  ;  Città  di  Siria  (Soria). 

6.  3.  convenian,  si  trovavan  d'accordo. per 
rei  costumi.  Avverti  che  si  dice  convenire 
in  una  cosa  e,  con  una  cosa  o  jiersona; 
ma  qui  di  rei  e.  non  è  complemento  del 
verbo;  è  complem.  di  limitazione.  I  due 
complementi  son  riuniti  in  questo  esempio 
del  Boccaccio  Dee.  Nov.  8:  «  quantunque  in 


190 


ORLANDO  FUEIOSO 


Come  ben  si  convien  l'erba  col  fiore; 
Che  rimo  e  l'altro,  erau  di  cor  leggiero, 
Perfido  l'uno  e  l'altro  e  traditore; 
E  copria  l' uno  e  l'altro  il  suo  difetto. 
Con  danno  altrui,  sotto  cortese  aspetto. 
7 

Come  io  vi  dico,  il  cavallier  venia[raato; 
8' un  gran  destrier  con  molta  pompa  ar- 
La  perfida  Orrigille  in  compagnia, 
In  un  vestire  azur  d'  oro  fregiato, 
E  duo  valletti,  donde  si  servia 
A  portar  elmo  e  scudo,  aveva  a  lato; 
Come  quel  che  volea  con  bella  mostra 
Comparire  in  Damasco  ad  una  giostra. 
8 

Una  splendida  festa  che  bandire 
Fece  il  Re  di  Damasco  in  quelli  giorni, 
Era  cagion  di  far  quivi  venire 
I  cavallier  quanto  potean  più  adorni. 
Tosto  che  la  puttana  comparire 
Vede  Grifon,  ne  teme  oltraggi  e  scorni: 
Sa  che  l'amante  suo  non  è  si  forte. 
Che  centra  lai  l'abbia  a  campar  da  morte. 
9 

Ma  si  come  audacissima  e  scaltrita, 
Ancor  che  tutta  di  paura  trema, 
S'acconciali  viso,  e  si  la  voce  aita. 
Che  non  appar  in  lei  segno  di  tema. 
Col  drudo  avendo  già  l'astuzia  ordita. 
Corre  e  fingendo  una  letizia  estrema, 
Verso  Grifon  l'aperte  braccia  tende, 
Lo  stringe  al  collo, egran  pezzonepende. 
10 

Dopo,  accordando  affettuosi  gesti 
Alla  siiavità  de  le  parole, 
Dicea piangendo:  Signor  mio,  son  questi 
Debiti  premii  a  chi  t'adora  e  cole? 


molte  altre  cose  male  insieme  di  costumi 
si  convenissero  ecc.  »,  cioè:  in'molte  altre 
cose,  si  trovavano  per  i  costumi  mal  d'ac- 
cordo. 

—  5.  l'nno  e  l'altrs;  E  cosi  al  e.  xxvii, 
116;  XLiv,  40  quest'espressione  fu  riferita 
a  un  maschile  e  a  un  femminile  e  perfino 
a  un  plurale.  Boccaccio,  nov.  16:  «L'uno 
e  r  altro  (Spina  e  Giannotto)  s' innamorò  »  ; 
dove  il  Fornaciari  nota  :  «  Più  razionale 
parrebbe  il  dire  V uno  e  l'altra...  male 
due  persone  sono  qui  prese  semplicemente 
come  individui  e  si  prescinde  dalle  loro 
qualità  particolari  per  porre  unicamente  in 
rilievo  la  relazione,  che  han  fra  loro  ». 

7.  4.  aznr.  Troncamento  inusitato  e  ardito. 

—  5.  valletti.  V.  XV,  61,  n.  2.  —  donde, 
dei  quali.  Di  donde  riferito  a  persona  non 
si  cita  che  quest'esempio  dell' A. 

10.  4.  cole,  venera.  È  poetico  e  usato 
quasi  solamente  nel  singolare  del  presente 
indicat. 


Che  sola  senza  te  già  un  anno  resti, 
E  va  per  l'altro,  e  ancor  non  te  ne  duole? 
E  s'io  stava  aspettare  il  tuo  ritorno, 
Non  so  se  mai  veduto  avrei  quel  giorno. 
11 

Quando  aspettava  che  di  Nicosia, 
Dove  tu  te  n'andasti  alla  gran  corte. 
Tornassi  a  me  che  con  la  febbre  ria 
Lasciata  avevi  in  dubbio  de  la  morte. 
Intesi  che  passato  eri  in  Soria: 
Il  che  a  patir  mi  fu  si  duro  e  forte. 
Che  non  sapendo  come  io  ti  seguissi, 
Quasi  il  cor  di  man  propria  mi  traflSssi. 
12 

Ma  Fortuna  di  me  con  doppio  dono 
Mostra  d'aver,  quel  che  non  hai  tu,  cura: 
Wandommi  il  fratel  mio,  col  quale  io  sono 
Sin  qui  venuta  del  mio  ouor  sicura; 
Et  or  mi  manda  questo  incontro  buono 
Di  te,  ch'io  stimo  sopra  ogni  avventura: 
E  bene  a  tempo  il  fa;  che  più  tardando. 
Morta  sarei,  te,  Signor  mio,  bramando. 
13 

E  seguitò  la  donna  fraudolente, 
Di  cui  l'opere  fur  pili  che  di  volpe, 
La  sua  querela  cosi  astutamente. 
Che  riversò  in  Grifon  tutte  le  colpe. 
Gli  fa  stimar  colui,  non  che  parente, 
Ma  che  d'un  padre  seco  abbia  ossa  e  pol- 
E  con  tal  modo  sa  tesser  gl'inganni,  [pet 


—  5.  già  un  anno,  g.  da  un  a.  V.  e.  I,  26, 
n.  8.  Nota  che  il  pres.  iresti,  invece  del 
pass,  sia  restata,  indica  il  timore  che  l' ab- 
bandono continui,  non  la  fiducia  che  sia 
cessato. 

—  6.  va  per  l'altro;  corre  già  l'altro.  È 
modo  elegante  e  vivo. 

—  7.  stava  asp.  ;  st.  ad  asp.  V.  e.  I,  4,  n.  1. 
11.  1.  Nicosia;  Città  capitale  dell'isola  di 

Cipro. 

4.  Lasciata  ecc.  Il  Boiardo,  Inn.  II,  xx, 
8,  ha  detto:  «Ma  pure  essendo  migliorata 
alquanto  »,  il  che  però  non  toglie  che,  quan- 
do parti  Grifone,  Orrigille  fosse  sempre 
gravemente  ammalata  :  e  in  ogni  modo  essa, 
qui  ha  interesse  a  dipingere  il  suo  stato  con 
forti  colori. 

—  7,  ti  seguissi;  potessi  seguirti.  V.  c^ 
XV,  79.  8. 

—  8.  trafflssi,  trafissi.  L'A.,  colla  incer- 
tezza ortografica  che  si  aveva  ancora  in 
quel  tempo,  ora  sciùve  questa  parola  con 
una,  ora  con  due  f.  V.  e.  i,  30. 

13.  2.  l'opere  ecc.  Dante,  Inf.  27,  74:  «  l'o- 
pere mie  Non  furon  leonine,  ma  di  volpe  ». 

—  6.  Ma  che  d'un  p.  ecc.  ;  ma  che  abbia, 
con  lei,  ossa  e  polpe  da  un  medesimo  pa- 
dre. Seco  usò  cosi  il  Petr.  il,  257:  «  mai  ri- 
bellion  l'anima  santa  Non  senti  poi  eh'  a 
star  seco  (con  lei)  fur  giunte». 


CANTO  XVI 


191 


Che  men  verace  par  Luca  e  Giovanni, 

14 
Non  pur  di  sua  perfìdia  non  riprende 
Grifon  la  donna  iniqua  più  che  bella; 
Non  pur  vendetta  di  colui  non  prende, 
Che  fatto  s'era  adultero  di  quella: 
Ma  gli  par  far  assai,  se  si  difende 
Che  tutto  il  biasmo  in  lui  non  riversi  ella; 
E  come  fosse  suo  cognato  vero, 
D'accarezzar  non  cessa  il  cavalliero. 

15 
E  con  lui  se  ne  vien  verso  le  porte 
Di  Damasco,  e  da  lui  sente  tra  via, 
Che  là  dentro  dovea  splendida  corte 
Tenere  il  ricco  Re  della  Soria; 
E  ch'ognun  quivi,  di  qualunque  sorte, 
O  sia  Cristiano,  o  d'altra  legge  sia. 
Dentro  e  di  fuori  ha  la  città  sicura 
Per  tutto  il  tempo  che  la  festa  dura, 

16 
Non  però  son  di  seguitar  si  intento 
L'istoria  de  la  perlida  Orrigille, 
Ch'a  giorni  suoi  non  pur  un  tradimento 
Fatto  agli  amanti  avea,  ma  mille  e  mille. 
Ch'io  non  ritorni  a  riveder  dugento 
Mila  persone,  o  più  de  le  scintille 
Del  foco  stuzzicato,  ove  alle  mura 
Di  Parigi  facean  danno  e  paura. 

17 
Io  vi  lasciai,  come  assaltato  avea 
Agramante  una  porta  de  la  terra. 
Che  trovar  senza  guardia  si  credea: 


—  8.  Lnca  e  Qiov.;  due  evangelisti. 

14.  6.  Che  ;  in  modo  che. 

—  7.  suo  cognato  v.  Si  può  intendere  co- 
gnato di  lei  e  cognato  avrebbe  il  signili- 
cato  generico  di  parente  come  il  lat.  co- 
gnatus;  ma  si  può  anclie  intendere  co<;wa(o 
di  Grifone,  perché  spesso  agli  amori  fra 
cavalieri  e  dame  si  applica  il  linguaggio 
proprio  della  vera  parentela:  cfr.  sopra  v. 
4  e  e.  XVII,  17,  8;  xxxviii,  69,  2. 

15.  2.  tra  via,  per  la  via.  Petr,  i,  son. 
68:  <  e  poi  tra  via  m'  apparve  ».  Bocc.  nov. 
16  :  «  ad  andare  fra  V  isola  si  mise  ». 

—  7.  la  città  sicura;  franca,  sicuro  asilo. 
Innam.  I,  x,  9:  «  Ed  era  ciascheduno  assicu- 
rato (aveva  la  città  franca),  Che  non  sia  tra- 
ditore o  rinnegato  ». 

16. 1.  di  seg...  intento.  Cosi  pure  nel  e.  i,  31, 
5.  I  vocabolari  citano  i  costrutti  intento  a, 
in;  ma  non  intento  di. 

—  3.  a  giorni:  ai  g.  V.  e.  II,  15,  n.  8. 

—  7.  ove  alle  m.  ;  in  quel  punto  delle  mura, 
dove  ecc. 

17.1.  Io  vi  lasciai,  come  ecc.;  Maniera  accor- 
ciata invece  di:  io  vi  lasciai  dicendo  come. 

—  3.  Che  trovar  ecc.  Questo  verso  e  i 
segg.  5,  8  sono  quasi  interamente  ripetizio- 
ne di  quelli  al  e.  xv,  6,  5;  8,  3-8. 


Né  più  riparo  altrove  il  passo  serra; 
Perché  in  persona  Carlo  la  tenea, 
Et  avea  seco  i  mastri  de  la  guerra. 
Duo  Guidi,  duo  Angelini,  uno  Angeliero, 
Avino,  Avolio,  Ottone  e  Berlingiero. 
18 
Inanzi  a  Carlo, inanzi  al  re  Agramante 
L'un  stuolo  e  l'altro  si  vuol  far  vedere, 
Ove  gran  loda,  ove  mercé  abondante 
Si  può  acquistar,  facendo  il  suo  dovere. 

I  Mori  non  però  fèr  prove  tante. 

Che  par  ristoro  al  danno  abbiano  avere; 
Perché  ve  ne  restar  morti  parecchi, 
Ch'agli  altri  fur  di  folle  audacia  specchi, 
19 
Grandine  sembran  le  spesse  saette 
Dal  muro  sopra  gli  nimici  sparte. 

II  grido  insin  al  ciel  paura  mette. 
Che  fa  la  nostra  e  la  contraria  parte. 
Ma  Carlo  un  poco  et  Agramante  aspette; 
Ch'io  vo'  cantar  de  l'Africano  Marte, 
Rodomonte  terribile  et  orrendo. 

Che  va  per  mezzo  la  città  correndo. 
20 

Non  so.  Signor,  se  più  vi  ricordiate 
Di  questo  Saracin  tanto  sicuro. 
Che  morte  le  sue  genti  avea  lasciate 
Tra  il  secondo  riparo  e  '1  primo  muro, 
Da  la  rapace  fiamma  devorate, 
Che  non  fu  mai  spettacolo  più  oscuro. 
Dissi  ch'entrò  d'un  salto  ne  la  terra 
Sopra  la  fossa  che  la  cinge  e  serra. 
21 

Quando  fu  noto  il  Saracino  atroce 
All'arme  istrane,  alla  scagliosa  pelle. 
Là  dove  i  vecchi  e  '1  popol  men  feroce 
Tendean  l'orecchie  a  tutte  le  novelle, 
Levossi  un  pianto,  un  grido,  un'alta  voce, 
Con  un  batter  di  man  ch'andò  alle  stelle; 
E  chi  potè  fuggir  non  vi  rimase. 
Per  serrarsi  ne'  templi  é  ne  le  case. 

•  22  [de. 

Ma  questo  a  pochi  il  brando  rio  conce - 


18.  3.  loda.  V.  e.  XV,  2,  1. 

—  6.  abbiano  ay.;  abb.  ad  avere;  possano 
avere.  Per  1' omissione  della  prep,  cfr.  e.  i, 
4, 1.  Per  il  signilicato  cfr.  xvii,  38,  5;  xviii, 
76,  1. 

—  8.  specchi,  esempi.  Cioè  quelli  che  mo- 
rivano erano  esempio  e  incitamento  di  folle 
audacia  anche  agli  altri. 

19.  3.  Il  gr.  in.  al  ciel;  il  grido  che  arriva 
sino  al  ciel. 

20.4.  secondo  r, ;  l'argine  secondo.  V. 
e.  XIV,  126,  n.  7. 

—  6.  Che;  cosicché.  Per  il  racconto  cfr. 
e.  XV,  5.  —  oscuro,  tetro,  orribile.  In  questo 
senso  non  si  citano  esempi  chiari. 

21.  3.  p.  men  feroce;  le  donne,  i  fanciulli 
i  vecchi  ecc. 


192 


OKLA.NDO  FURIOSO 


ChMntorno  ruota  il  Saracin  robusto. 
<5ui  fa  restar  con  mezza  gamba  un  piede, 
Là  fa  un  capo  sbalzar  lungi  dal  busto: 
L'un  tagliare  a  traverso  se  gli  vede, 
Dal  capo  all'anche  un  altro  fender  giusto; 
E  di  tanti  che  uccide,  fere  e  caccia, 
Non  se  gli  vede  alcun  segnare  in  faccia. 
23 

Quel  che  la  tigre  de  l'armento  imbelle 
Ne'  campi  Ircani  o  là  vicino  al  Gange, 
O  '1  lupo  de  le  capre  e  de  le  agnelle 
Nel  monte  che  Tifeo  sotto  si  frange; 
Quivi  il  crudel  Pagan  facea  di  quelle 
Non  dirò  squadre,  non  dirò  falange, 
Ma  vulgo  e  populazzo  voglio  dire, 
Degno,  prima  che  nasca,  di  morire. 

24  [te. 

Non  ne  trova  un  che  veder  possa  in  fron- 
Fra  tanti  che  ne  taglia,  fora  e  svena. 
Per  quella  strada  che  vien  dritto  al  ponte 
Di  san  Michel,  si  popolata  e  piena. 
Corre  il  fiero  e  terribil  Rodomonte, 
E  la  sanguigna  spada  a  cerco  mena: 
Non  riguarda  né  al  servo  né  al  signore. 
Né  al  giusto  ha  più  pietà,  ch'ai  peccatore. 


22.  7.  caccia,  perseguita,  dà  la  caccia. 

23.  2.  campi  Ire.  Ircania  è  1'  odierno  Gur- 
gan  nella  Persia.  È  regione  montuosa  e  sel- 
vaggia, famosa  per  le  bestie  feroci,  special- 
mente per  le  sue  tigri.  Cosi  pure  V  Indostan 
(là  vicino  al  Gange). 

—  4.  Nel  monte  ecc.  Nel  monte,  che  sotto  di 
sé  frange,  schiaccia,  Tifeo.  Tifeo,  gigante,  se- 
condo alcuni  antichi  fu  sepolto  sotto  l' Etna, 
ma  per  i  più  nell'  isola  d' Ischia,  nel  golfo 
di  Napoli.  Qui  deve  intendersi  Ischia,  per- 
ché l'A.  sotto  l'Etna  pone  Encelado.  V.  e. 
XII,  1,  4,  e  Virgilio,  En.  9,  716.  L'A.  nel  ca- 
pitolo II,  20  :  «  Ischia  a  Tifeo  non  è  si  grave  ». 

—  6.  falange;  falangi.  Squadre  accenna 
air  ordine  tattico,  che  si  sarebbe  richiesto 
per  opporsi  con  vantaggio  a  Rodomonte, 
falange  accenna  alla  compattezza  che,  al- 
meno, avrebbe  dovuto  mantenersi  fra  per- 
sone coraggiose.  Per  il  plur.  in  e  cfr.  e.  ix, 
&4,  n.  1. 

—  7.  populazzo  (frane,  populace)  popolo 
vile  e  minuto.  Fu  usato  dal  Boccaccio,  dal 
Villani  e  da  altri. 

24.  3.  ponte  di  S.  M.  Esiste  anche  oggi, 
non  lontano  dall'antico,  che  era  in  legno. 
É  inutile  dire  che  l'A.  parla  di  Parigi  quale 
era  a'  suoi  tempi  :  che  al  tempo  di  Carlo 
Magno  forse  non  esisteva  neppure  la  cinta 
delle  mura. 

—  6.  a  cerco  m.  V.  c.  XI,  7,  2.  È  espres- 
sione Petrarchesca;  App.  ai  Tr.  52:  «Vidi 
il  vittorioso  e  gran  Camillo  Sgombrar  l' oro 
e  menar  la  spada  a  cerco». 


25 

Religìon  non  giova  al  sacerdote, 
Né  la  innocenzia  al  pargoletto  giova: 
Per  sereni  occhi  o  per  vermiglie  gote 
Mercé  né  donna  né  donzella  trova: 
La  vecchiezza  si  caccia  e  si  percuote; 
Né  quivi  il  Saracin  fa  maggior  prova 
Di  gran  valor,  che  di  gran  crudeltade; 
Che  non  discerne  sesso,  ordine,  etade. 
26 

Non  pur  nel  sangue  uman  l'ira  si  stende 
De  l'empio  Re,  capo  e  signor  degli  erapi. 
Ma  centra  i  tetti  ancor  si,  che  n'incende 
Le  belle  case  e  i  profanati  tempi. 
Le  case  eran,  per  quel  se  n'intende, 
Quasi  tutte  di  legno  in  quelli  tempi: 
E  ben  creder  si  può;  ch'in  Parigi  ora 
De  le  diece  le  sei  son  cosi  ancora. 

27  [arda, 

Non  par,  quantunque  il  fuoco  ogni  cosa 
Che  si  grande  odio  ancor  saziar  si  possa. 
Dove  s'aggrappi  con  le  mani  guarda. 
Si  che  ruini  un  tetto  ad  ogni  scossa. 
Signor,  avete  a  creder  che  bombarda 
Mai  non  vedeste  a  Padova  si  grossa, 
Che  tanto  muro  possa  far  cadere. 
Quanto  fa  in  una  scossa  il  Re  d'AIgiere. 
28 
Mentre  quivi  col  ferro  il  maledetto, 
E  con  le  fiamme  facea  tanta  guerra; 
Se  di  fuor  Agramante  avesse  astretto, 
Perduta  era  quel  di  tutta  la  terra: 
Ma  non  v'ebbe  agio;  che  gli  fu  interdetto 


25.  8.  ordine,  condizione,  grado. 

26.  3.  tetti;  Qui  ha  il  signiflc.  generale 
di  edifìci,  come  si  vede  dal  verso  che  se- 
gue. È  uso  notevole  non  registrato  da' vo- 
cabolari. Che  tetti  deve  intendersi  in  gene- 
rale per  edifici,  lo  dice  il  si  che,  indicante, 
non  una  dichiarazione,  ma  una  conseguen- 
za; lo  dice  il  ne,  che  altrimenti  sarebbe 
pleonastico;  e  io  dice  la  distinzione  di  case 
e  templi  del  v.  4. 

—  5.  se  n'  int.  ;  se  ne  sente  dire.  V.  e.  xiv, 
41,  n.  5. 

27.  6.  a  Padova.  Il  cardinale  Ippolito  fu 
all'  assedio  di  Padova  fatto  nel  1509  dal- 
l' Imperatore  Massimiliano  durante  la  lega 
di  Cambrai,  dove  si  usarono  bombarde  gros- 
sissime. 

28.  3.  avesse  astretto;  La  Crusca  intende 
a.  attaccato  con  gran  veemenza  e  cita 
questo  solo  esempio;  ma  forse  è  da  inten- 
dere a/vesse  stretto,  forzato  (le  mura).  L'A. 
usò  accozzai'  per  cozzare;  accogliere  per 
cogliere ,  allusingare  per  lusingare  ;  il 
Machiav.  238,  2:  affo rtiflcare,  aggiungere. 

—  5.  T'ebbe  ;  n' ebbe.  V.  e.  xi,7,  4;  xtii, 
21,  4. 


CANTO  XVI 


193 


Dal  Paladin  che  venia  d'InghilteiTa 
Col  popolo  alle  spalle  Inglese  e  Scotto, 
Dal  Silenzio  e  da  l'Angelo  condotto. 
29 

Dio  volse  che  all'entrar  che  Rodomonte 
Fé'  ne  la  terra,  e  tanto  foco  accese, 
Che  presso  ai  muri  il  fior  di  Chiaramonte, 
Rinaldo,  giunse,  e  seco  il  campo  Inglese. 
Tre  leghe  sopra  avea  gittato  il  ponte, 
E  torte  vie  da  man  sinistra  prese, 
Che  disegnando  i  Barbari  assalire, 
11  fiume  non  l'avesse  ad  impedire. 
30 

Mandato  avea  sei  mila  fanti  arcieri 
Sotto  l'altiera  insegna  d'Odoardo, 
E  duo  mila  cavalli,  o  più,  leggieri 
Dietro  alla  guida  d'Ariman  gagliardo; 
E  mandati  gli  avea  per  li  sentieri       [do, 
Che  vanno  e  vengon  dritto  al  mar  Picar- 
Ch'a  porta  san  Martino  e  san  Dionigi 
Entrassero  a  soccorso  di  Parigi. 
31 

I  carriaggi  e  gli  altri  impedimenti 
Con  lor  fece  drizzar  per  questa  strada. 
Egli  con  tutto  il  resto  de  le  genti 
Più  sopra  andò  girando  la  contrada. 
Seco  aveau  navi  e  ponti  et  argiimenti 
Da  passar  Senna  che  non  ben  si  guada. 
Passato  ogn'uno,  e  dietro  i  ponti  rotti, 
Ne  le  lor  schiere  ordinò  Inglesi  e  Scotti. 
32 

Ma  prima  quei  Baroni  e  Capitani 
Rinaldo  intorno  avendosi  ridutti, 
Sopra  la  riva  eh'  aita  era  dai  piani 
Si,  che  poteano  udirlo  e  veder  tutti, 


—  7.  Scotto.  Gli  antichi  1'  usarono  non  di 
rado  pei'  Scoscese. 

29.  2.  e  tanto  f.  ac.  Avverti  l'anacoluto. 
Dovrebbe  dire:  dove  tanto  f.  ac. 

—  3.  Che.  Sulla  ripetizione  del  che  cfr. 
e.  V,  27,  6. 

—  4.  giunse.  Regolami,  il  congiunt.  V. 
FoRXACiARi,  Siili.,  p.  3PS,  5.  Se  non  è  una 
sottigliezza,  si  può  osservare  che  l'indica- 
tivo significa  meglio  1'  effetto  immediato 
della  volontiX  di  Dio,  per  cui  non  vi  è  di- 
stanza tra  il  volere  e  il  fare. 

—  7.  Che;  si  che.  Rinaldo,  che  si  trovava 
5ulla  destra,  era  passato  col  forte  dell'eser- 
cilo  sulla  sinistra  della  Senna,  tre  leghe 
sopra  a  Parigi,  per  arrivare  improvvisa- 
mente a  dosso  ad  Agramante,  mentre  O- 
doardo  ed  .\limano  dovevano  tenersi  sulla 
destra  per  soccorrer  Parigi  da  questa  parie. 

31.  1.  impedimenti  (lat.  iìripedimentà)\ 
bagagli,  salmerie. 

—  5.  argnmenti;  strumenti,  mezzi.  Dante, 
Puìff.  2,  31:  «Vedi  che  sdegna  gli  argo- 
menti umani». 

32.  .i.  la  riva;  V.  e.  xiil,  42,  n.  7. 


Disse  :  Signor,  ben  a  levar  le  mani 
Avete  a  Dio,  che  qui  v'abbia  condutti. 
Acciò,  dopo  un  brevissimo  sudore. 
Sopra  ogni  naziou  vi  doni  onore. 
33 

Per  voi  saran  dui  Principi  salvati, 
Se  levate  l'assedio  a  quelle  porte: 
Il  vostro  Re  che  voi  sete  ubligati 
Da  servitù  difendere  e  da  morte. 
Et  uno  Iraperator  de'  più  lodati 
Che  mai  tenuto  al  mondo  abbiano  corte, 
E  con  loro  altri  Re,  Duci  e  Marchesi, 
Signori  e  Cavallier  di  più  paesi. 
34 

Si  che  salvando  una  città,  non  soli 
Parigini  ubligati  vi  saranno, 
Che  molto  più  che  per  li  propri  duoli. 
Timidi,  afflitti  e  sbigottiti  stanno 
Per  le  lor  mogli  e  per  li  lor  figliuoli 
Ch'a  un  medesmo  pericolo  seco  hanno, 
E  per  le  sante  vergini  richiuse. 
Ch'oggi  non  sien  dei  voti  lor  deluse: 
35 

Dico,  salvando  voi  questa  cittade, 
Vubligate  non  solo  i  Parigini, 
Ma  d'ogn' intorno  tutte  le  contrade. 
Non  parlo  sol  dei  popoli  vicini; 
Ma  non  è  terra  per  Cristianitade, 
Che  non  abbia  qua  dentro  cittadini: 
Si  che,  vincendo,  avete  da  tenere 
Che  più  che  Francia  v'abbia  obligo  avere. 
36 

Se  donavan  gli  antiqui  una  corona 
A  chi  salvasse  a  un  cittadin  la  vita. 
Or  che  degna  mercede  a  voi  si  dona, 
Salvando  multitudine  infinita? 
Ma  se  da  invidia  o  da  viltà  si  buona 
E  si  santa  opra  rimarrà  impedita. 
Credetemi  che  prese  quelle  mura. 
Né  Italia,  né  Lamagua  anco  è  sicura; 


33.  3.  Il  vostro  Re;  Ottone  d'Inghilterra 
chiuso  anch' egli  in  Parigi. 

—  7.  Duci,  duchi.  V.  e.  HI,  45,  1. 

34.  2.  Parigini,  i  Parigini.  V.  e.  il,  15,  n.  8. 

—  7.  richiuse,  rinchiuse.  V.  e.  xiv,  79,  n.  3. 

35.  5.  per  Crist.;  per  ia  Crist.  V.  e.  II, 
15,  n.  8. 

—  8.  pili  che  Francia;  più  territorio,  che 
non  sia  la  sola  Fr.  —  v'abbia...  avere,  v'avrà. 
V.  e.  XV,  35,  11.  2, 

36.  1.  una  corona;  la  corona  detta  civica. 
V.  XIV,  4,  n.  7. 

3.  si  dona.  Avverti  questo  presente,  che 
mostra  la  cosa,  non  come  futura  e  possi- 
bile, ma  come  presente  e  in  atto;  e  per  ciò 
esprime  la  fiducia  di  Rinaldo  nei  suoi  sol- 
dati. 

—  8.  anco;  In  proposiz.  negativa  ha  colla 
negazione  il  signific.  di  neppure.  Cosi  al 
e.  XVIII,  146,  2;  XXIV,  381;  xxv,  41,  3  e  al- 


Arìosto  —  Papi»» 


13 


194 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  qualunque  altra  parte  ove  s'adori 
Quel  che  volse  per  noi  pender  sul  legno. 
Né  voi  crediate  aver  lontani  i  Mori, 
Né  che  pel  mar  sia  forte  il  vostro  regno: 
Che  s' altre  volte  quelli,  uscendo  fuori 
Di  Zibeltaro  e  de  l'Erculeo  segno,  ^ 
Riportar  prede  da  l'isole  vostre, 
Che  faranno  or,  s'avran  le  terre  nostre? 
3S 

Ma  quando  ancor  nessuno  onor,  nessuno 
Util  v'inanimasse  a  questa  impresa, 
Comniun  debito  è  ben  soccorrer  l'uno 
L'  altro,  che  militiàn  sotto  una  Chiesa. 
Ch"  io  non  vi  dia  rotti  i  nemici,  alcuno 
Non  sia  che  tema  e  con  poca  contesa; 
Che  gente  male  esperta  tutta  parrai, 
Senza  possanza,  senza  cor,  senz'armi. 
39 

Potè  con  queste  e  con  miglior  ragioni, 
Con  parlare  spedito  e  chiara  voce 
Eccitar  quei  magnanimi  Baroni 
Rinaldo,  e  quello  esercito  feroce: 
Efn,com'òinproverbio,  aggiunger  sproni 
Al  buon  corsier  che  già  ne  va  veloce. 
Finito  il  ragionar,  fece  le  schiere 
Muover  pian  pian  sotto  le  lor  bandiere. 
40 

Senza  strepito  alcun,  senza  rumore 
Fa  il  tripartito  esercito  venire. 
Lungo  il  fiume  a  Zerbin  dona  l'onore 
Di  dover  prima  i  Barbari  assalire; 
E  fa  quelli  d'Irlanda  con  maggiore 
Volger  di  via  più  tra  campagna  gire; 
E  i  cavallieri  e  i  fanti  d'Inghilterra 
Col  Duca  di  Lincastro  in  mezzo  serra. 
41 

Drizzati  che  gli  ha  tutti  al  lor  caiuino, 
Cavalca  il  Paladin  lungo  la  riva, 
E  passa  inanzi  al  buon  duca  Zerbino, 


Irove.   Malmantile,  e.  Q,  tì:   «  Error,  che 
noi  farebbe  anco  un  cavallo  ». 

37.  4.  pel  mar;  per  il  mare,  in  grazia  del 
mare,  che  lo  difende. 

—  5.  s' altre  volte.  I  Saracini  d'Affrica  in 
questo  tempo  erano  veramente  diventati 
padroni  del  bacino  occidentale  del  mediter- 
raneo e  cosi  scorrazzavano  nelle  più  lon- 
tane regioni.  Qui  1'  A.  non  sembra  accen- 
nare a  nessun  fatto  determinato. 

—  0.  Zibeltaro,  Gibilterra;  V.  e.  xxx,  10, 
3.  —  Erculeo  segno,  sono  le  colonne  d'Er- 
cole. V.  e.  IV,  61,  n.  S. 

38.  5.  Ti  dia  rotti;  vi  faccia  rompere.  È 
modo  non  citato  dai  vocab. 

39.  4.  feroce,  fiero.  V.  e.  i,  3;^,  2. 

—  0.  aggiunger  sproni.  É  il  proverbio  lat. 
«  addere  calcarla  sponte  currenti  ».     , 

40.  6.  tra  e.  per  la  camp,  allontanandosi 
di  più  dalla  .Senna.  \^  st.  15,  2. 


E  a  tutto  il  campo  che  con  lui  veniva; 
Tanto  ch'ai  Re  d'  Orano  e  al  Re  Sobrino 
E  agli  altri  lor  compagni  sopr'arriva,  [gna 
Che  mezzo  miglio  appresso  a  quei  di  Spa- 
Guardavan  da  quel  canto  la  campagna. 
42 

L'esercito  Cristian  che  con  si  fida 
E  si  sicura  scorta  era  venuto, 
Ch"ebbe  il  Silenzio  e  l'Angelo  per  guida. 
Non  potè  ormai  patir  più  di  star  muto: 
Sentiti  gli  'niniici,  alzò  le  grida, 
E  de  le  trombe  udir  fé'  il  suono  arguto; 
E  con  l'alto  rumor,  ch'arrivò  al  cielo. 
Mandò  ne  l'ossa  a'  Saracini  il  gelo. 

43  [gè, 

Rinaldo  inanzi  agli  altri  il  destrier  pnn- 
E  con  la  lancia  per  cacciarla  in  resta: 
Lascia  gli  Scotti  un  tratto  d'arco  lungo; 
Ch'ogni  indugio  a  ferir  si  lo  molesta. 
Come  groppo  di  vento  talor  giunge. 
Che  si  tra' dietro  un'orrida  tempesta; 
Tal  fuor  di  squadra  il  cavallier  gagliardo 
Venia  spronando  il  corridor  Baiardo. 
44 

Al  comparir  del  Paladin  di  Francia, 
Dan  segno  i  Mori  alle  future  angosce: 
Tremare  a  tutti  in  man  vedi  la  lancia, 
I  piedi  in  staffa,  e  ne  l'arcion  le  cosce. 
Re  Puliano  sol  non  muta  guancia, 
Che  questo  esser  Rinaldo  non  conosce; 
Né  pensando  trovar  si  durò  intoppo. 
Gli  muove  il  destrier  coutra  di  galoppo  : 
45 

E  su  la  lancia  nel  partir  si  stringe, 
E  tutta  in  sé  raccoglie  la  persona; 
Poi  conambogli  spronili  destrierspinge, 


41.  7.  appresso;  vicino.  V.    e.   xiv,  107-S. 

42.  1.  fida...  sicura;  che  non  poteva  ingan- 
nare... che  non  poteva  sbagliare. 

—  4.  potè.  V.  la  nota  al  e.  vm,  52,  4.  La 
Principe  ha  -puote. 

43.  2.  per  cacciarla;  colla  lancia  in  resta 
per  cacciarla,   spingerla,   contro  i  nemici. 

—  4.  SI  1.  DI.  «  È  questo  si  una  particella 
breve  acuta  penetrante,  piena  di  spirito,  che 
fa  brillante  e  animato  il  racconto,  usata 
per  ciò  con  somma  compiacenza,  né  senza 
ragione,  dai  nostri  antichi,  che  i  loro  rac- 
conti a  gran  dovizia  ne  seminavano  ».  Sal- 
viate V.  FoiiNA<  I Aiu,  Sitit.  p.  356,  4. 

—  5.  groppo  di  V.,  E  anche  solamente 
groppo  e  gruppo  dissero  spesso  gli  antichi 
per  turbine. 

—  C.  tra,  trae.  V.  e.  xi,  12,  n.  5. 

44.  2.  Dan  segno  alle  f.  a.  ;  danno  i  primi 
segni  delle  f.  a.  È  modo  nuovo  e  non  citato 
dai  vocab. 

45.  1.  si  stringe,  si  china,  stringendosi 
contro  la  lancia  per  sostener  meglio  l'urto. 


CANTO  XVI 


19.J 


E  le  redine  inanzì  gli  abandoiia. 
Da  l'altra  parte  il  suo  valor  non  finge, 
E  mostra  in  fatti  quel  ch'in  nome  suona, 
Quanto  abbia  nel  giostrare  e  grazia  et  arte, 
li  ligliuolo  d'Anione,  anzi  di  Marte, 
4G 

Furo  al  segnar  degli  aspri  colpi,  pari; 
Che  si  posero  i  ferri  ambi  alla  testa: 
Ma  furo  in  arme  et  in  virtù  dispari; 
Che  l'un  via  passa,  e  Taltro  morto  resta. 
Bisoguan  di  valor  segni  più  chiari. 
Che  por  con  leggiadria  la  lancia  in  resta: 
Ma  fortuna  anco  più  bisogna  assai; 
Che  senza,  vai  virtù  raro  o  non  mai. 
47 

La  buona  lancia  il  Paladin  racquista, 
E  verso  il  Re  d'Oran  ratto  si  spicca. 
Che  la  persona  avea  povera  e  trista 
Di  cor,  ma  d'ossa  e  di  gran  polpe  ricca. 
Questo  por  tra  bei  colpi  si  può  in  lista. 
Ben  eh'  in  fondo  allo  scudo  gli  l'appicca: 
E  chi  non  vuol  lodarlo,  abbialo  escuso. 
Perché  non  si  potea  giunger  più  insuso. 
48 

Non  lo  ritien  lo  scudo,  che  non  entre. 
Ben  clie  fuor  sia  d'acciar, dentro  di  palma; 
E  che  da  quel  gran  corpo  uscir  pel  ventre 
Non  faccia  l' ineguale  e  piccola  alma.    ' 
Il  destrier  che  portar  si  crcdea,  mentre 


—  1.  inanzi,  prima  4i  spronarlo. 

—  5.  non  finge,  Come  fosse  pura  spaval- 
deria. Cfr.,  a  commento  di  ciò,  e.  xlii,  18,  7. 
Gli  altri  commentatori  intendono  non  finge, 
non  dissimula,  non  cela:  ma  che  K.  non  lo 
dissimulava  o  celava  è  già  chiaro  dal  suo 
avanzarsi  ardito  e  terribile  dinanzi  agli  al- 
tri. Qui  invece  ÌW.  vuol  dire  che  quel  va- 
lore non  era  da  lui  liuto  perla  circostanza, 
come  appunto  nel  canto  xlii  sopra  citato, 
Eoa  era  l'usato  valore. 

46.  1.  segnar,  mirare.  Quanto  alla  mira 
dei  colpi,  furono  eguali.  LiEUNi,.i/in.  I,  64  : 
•«Giuuselo  appunto  ove  l'avea  segnato». 

—  a.  in  arme  et  in  v.  ;  nella  potenza  delle 
aruji  e  nelTubilitu  per  maneggiarle. 

—  4.  via  passa,  nello  scontro  uno  ferisce 
e  passa  oltre,  l'altro  resta  morto. 

47.  1.  racquista;  Spesso  l'A.  usa  anche  ri- 
era, ritira  a  sé  levandola  dal  corpo   del 

nemico  trafitto. 

—  5,  por...  m  lista,  annoverare. 

—  7.  escnso,  escusato,  scusalo.  V.  e.  I, 
48,  n.  4. 

—  8.  non  si  potea  ecc.;  Essendo  egli  quasi 
gigante,  non  poteva  ferirlo  più  in  alto. 

48.  2.  fuor  sia  d'a.  ecc.  Lo  scudo  antico 
avea  la  piastra  e  l'orlo  d'acciaio,  il  fondo 
di  legno.  La  palma  è  legno  durissimo. 

—  5,   mentre;    finché,  v,  e.  vi,   64,  n.  5. 

—  'j.  salma,  peso.  Y.  e.  x,  25,  n.  4. 


Durasse  il  lungo  di,  si  grave  salma, 
Rileri  in  mente  sua  grazie  a  Rinaldo, 
Ch'  a  quello  incontro  gli  schivò  un  gran 
49  [caldo. 

Rotta  l'asta,  Rinaldo  il  destrier  volta 
Tanto  leggici-,  che  fa  sembrar  ch'abbiaalc; 
E  dove  la  più  stretta  e  maggior  folta 
Stiparsi  vede,  impetuoso  assale. 
Mena  Fusberta  sanguinosa  in  volta. 
Che  fa  l'arme  parer  di  vetro  frale. 
Tempra  di  ferro  il  suo  tagliar  non  schiva, 
Che  non  vada  a  trovar  la  carne  viva. 
50 

Ritrovar  poche  tempre  e  pochi  ferri  ; 
Pnó  la  tagliente  spada,  ove  s'incappi; 
Ma  targhe,  altre  di  cuoio,  altre  di  cerri, 
Giuppe  trapun*^e,  e  attorcigliati  drappi. 
Giusto  è  ben  d mque  che  Rinaldo  atterri 
Qualunque  asi-  }le,  e  fori  e  squarci  e  af- 
Chenonpiùsid  t'ende  da  sua  spada,  [frappi 
Ch'erba  da  falce,  o  da  tempesta  biada. 
51 

La  prima  schiera  era  già  messa  in  rotta, 
Quando  Zerbin  con  l'antìguardia  arriva. 
Il  Cavallier  inanzi  alla  gran  frotta 
Con  la  lancia  arrestata  ne  veniva. 
La  gente  sotto  il  suo  penuon  condotta, 
Con  non  minor  fierezza  lo  seguiva: 
Tanti  lupi  parean,  tanti  leoni 
Ch'  andassero  assalir  capre  o  montoni. 

52  [vallo. 

Spinse  a  un  tempo  ciascuno  il  suo  ca- 
Poi  che  fur  presso:  e  spari  immantinente 
Quel  breve  spazio,  quel  poco  intervallo 
Che  si  vedea  fra  1'  una  o  l'altra  gente. 


—  7.  Riferì...  grazie;  ringraziò.  V.  e.  vi, 
SI,  n.  1. 

—  8,  a.  q.  i.;  con  quell'  ine.  Dante,  Par. 
11,  114:  «E  comandò  che  l'amassero  a 
fede  ».  —  gli  schivò.  V.  e.  xi,  57,  n.  6. 

49.  3.  folta,  folla. 

—  8.  Che,  in  modo  che.  Tempra  di  ferro 
non  impedisce  il  suo  taglio,  in  modo  che 
non  vada  a  trovar  ecc. 

50.  1.  tempre...  ferri.  Figura  d'endiadi: 
ferri  temperati,  armature  dei  cavalieri, 

—  3,  Ma  targhe  ecc.;  Intendi  che  pochi 
erano  i  cavalieri,  e  molti  i  pedoni  armati 
di  targa  (cfr.  e.  xii,  79,  n.  7),  di  imbottito 
(giuppe  tr.,  dall' arabo  gabbali;  col  p.  è 
forma  rara)  e  di  turbanti  (attorcigliati 
drappi).  V.  e,  xii,  80,  1. 

—  7.  Che;  pronome  relativo  di.  qualunque . 

51.  5.  pennon;  Piccola  bandiera  bislunga 
usata  dalle  milizie  del  M.  E.,  come  insegna 
secondaria  dopo  il  gonfalone.  Significa  an- 
che, come  qui,  seniplicem.  insegna  mili- 
tare. 

--  S.  and.  ass.  ;  and.  ad  ass.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 


196 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  fu  sentito  mai  più  strano  ballo; 
Che  t'erian  gli  Scozzesi  solamente: 
Solamente  i  Pagani  eran  distrutti, 
Come  sol  per  morir  fosser  condutti. 

53  [ciò  ; 

Parve  più  freddo  ogni  Pagan  che  ghiac- 
Parve  ogni  Scotto  più  che  fiamma  caldo. 
I  Mori  si  credeau  ch'avere  il  braccio 
Dovesse  ogni  Cristian,  eh'  ebbe  Rinaldo. 
Mosse  Sobrino  i  suoi  schierati  avaccio, 
Senza  aspettar  che  lo  'nvitasse  araldo. 
De  l'altra  squadra  questa  era  migliore 
Di  capitano,  d'arme  e  di  valore. 
54 

D'Africa  v'  era  la  men  trista  gente; 
Ben  che  né  questa  ancor  gran  prezzo  va- 
Dardinellasuamosse incontinente,  [glia, 
E  male  armata,  e  peggio  usa  in  battaglia; 
Ben  eh'  egli  in  capo  avea  1'  elmo  lucente, 
E  tutto  era  coperto  a  piastra  e  a  maglia. 
Io  credo  che  la  quarta  miglior  fia, 
Con  la  quale  Isolier  dietro  venia. 
55 

Trasone  in  tanto,  il  buon  Duca  di  Marra, 
Che  ritrovarsi  all'alta  impresa  gode, 
Ai  cavallieri  suoi  leva  la  sbarra, 
E  seco  invita  alle  famose  lode; 
Poi  eh' Isolier  con  quelli  di  Navarra 
Entrar  ne  la  battaglia  vede  et  ode. 
Poi  mosse  Arìodante  la  sua  schiera, 
Che  nuovo  Duca  d'Albania  fatt'  era. 
56 

L'alto  rumor  de  le  sonore  trombe, 
De'  timpani  e  de'  barbari  stromenti    (be, 
Giunti  al  continuo  suon  d'archi,  di  from- 


53.  5.  avaccio  (etimol.  ignota);  presto.  É 
parola  frequente  nel  trecento,  ancora  viva 
nel  cinquecento;  oggi  morta  affatto. 

—  6.  araldo;  Era  quello  che  nei  duelli 
dava  il  segnale  dell'  attacco.  Qui  è  detto  co- 
me in  tono  di  scherzo,  quasi  dicesse:  con 
simil  gente  non  si  trattava  come  con  ca- 
valieri. 

—  8.  Di  cap.;  per  cap.  V.  e.  va,  10,  n.  6. 

54.  2.  né...  ancor,  neppure.  V.  st.  36,  n.  8. 

—  4  peggio  nsa;  [)eggio  esercitata  nella 
battaglia,  v.  e.  xx,  l,  6. 

—  5.  Ben   clie...  avea.  V.  e.  xv,  91,  n.  3. 

—  6.  a  p.  e  maglia;  con  p.  e  m.  V.  st. 
48,  n.  8. 

55.  1.  Marra;  Marr.  Piccolo  paese  marit- 
timo della  Scozia. 

—  3.  leva  la  sb.;  li  fa  avanzare  a  com- 
battere. È  figura  tolta  dallo  steccato,  dove 
si  levava  la  sbarra  per  fare  entrare  i  com- 
battenti. 

—  4.  invita;  Sottint.  li.  —  lode,  imprese 
gloriose.  V.  e.  xv,  2,  n.  1. 

—  8.  Che  nnovo  ecc.  V.  e.  vi,  15. 

56.  2.  timpani;  Si  usò  per  tamburi  e  per 


Di  machine,  di  ruote  e  di  tormenti; 
E  quel,  di  che  più  par  che  '1  ciel  ribombe, 
Gridi,  tumulti,  gemiti,  lamenti; 
Rendeno  un  alto  suon  ch'aquel  s'accorda, 
Con  che  i  vicin,  cadendo,  il  Nilo  assorda. 

57  [volve, 
Grande  ombra  d'ogni  intorno  il  cielo  in- 

Nata  dal  saettar  de  li  duo  campi: 
L'alito,  il  fumo  del  sudor,  la  polve 
Par  che  ne  l'aria  oscura  nebbia  stampi. 
Or  qua  l'un  campo,  or  l'altro  là  si  volve: 
Vedresti,  or  come  un  segua,  or  come  scam- 
Et  ivi  alcuno,  o  non  troppo  diviso,      [pi; 
Rimaner  morto,  ove  ha  il  nimico  ucciso. 

58  [sa, 
Dove  una  squadra  per  stanchezza  è  mos- 

Un'altra  si  fa  tosto  andare  inanti. 
Di  qua,  di  là  la  gente  d'  arme  ingrossa: 
Là  cavallieri,  e  qua  si  metton  fanti. 
La  terra,  che  sostieu  l'assalto,  è  rossa, 


tiìnballi,  che  erano  casse  metalliche  con 
sopra  una  pelle  distesa  come  i  nostri  tim- 
pani. Erano  portati  specialmente  dai  Mori 
a  cavallo.  V.  e.  xxvii,  29. 

—  4.  machine...  tormenti.  In  generale  val- 
gono la  stessa -cosa;  ma  qui  machine  sou 
quelle  per  dare  assalti,  scalate  ecc;  tor- 
menti sono  le  macchine  per  lanciar  pietre 
o  altro  (lat.  tormei^ta). 

—  7.  s'accorda;  si  agguaglia. 

—  8.  Con  che  ecc.  Petr.  i,  son.  40:  «  Forse, 
siccome  '1  Nil  d'alto  caggendo  Col  gran 
suono  i  vicin  d'intorno  assorda».  L'imitò 
il  Poliziano,  st.  i,  28  :  «  Con  tal  tumulto 
onde  la  gente  assorda.  Dall'alte  cateratte 
il  Nil  rimbomba».  L'idea  fu  tolta  da  Cice- 
rone. Somn.  Scip.  11:  «ubi  Nilus  ad  illa, 
Catadupa  nominantur,  praecipitat  ex  altis- 
simis  montibus,  ea  g:ens  quae  illum  locum 
accolit  propter  magnitudinem  sonitussensu 
audiendi  caret  ». 

57.  1.  Grande  ombra.  Virgilio  Eneid.  11, 
610:  «Fundunt...  tela  crebra...  caelumque 
obtexitur  umbra»;  e  12,578:  «  obumbrant 
aethera  telis  ».  Cosi  pure  il  Tasso,  Gerus. 
18,  68. 

—  4.  stampi,  formi,  produca.  Non  è  ci- 
tato dai  vocabol.  e  forse  è  nuovo.  Un  uso 
simile  ed  egualmente  nuovo  vedilo  nel  Petr. 
I,  canz.  31  :  «  Simil  fortuna  stampa  (da  for- 
ma e  tenore)  Mia  vita  ». 

—  7.  diviso,  lontano.  Dante,  Purg.  IS, 
139:  «Poi  quando  fur  da  noi  tanto  divise 
(lontane)  ». 

58.  1.  è  mossa;  è  rimossa,  è  tolta  via  dal 
capitano. 

—  3.  la  gente  d'arme;  i  guerrieri  io  ge- 
nerale ;  da  non  confondere  cogli  uomini 
(trarrne,  che  era  la  cavalleria  pesante. 


à 


CANTO  XVI 


197 


Mutato  bft  il  verde  ne'  sanguigni  manti; 
E  dov'  erano  i  fiori  azzurri  e  gialli, 
Giaceno  uccisi  or  gli  uomini  e  i  cavalli, 

59 
Zerbin  Iacea  le  più  miraljil  pruove 
die  mai  facesse  di  sua  età  garzone: 
L' esercito  Pagau  che  'ntorno  piove, 
Taglia  et  uccide  e  mena  a  destruzione. 
Ariodante  alle  sue  genti  nuove 
Mostra  di  sua  virtù  gran  paragone; 
E  dà  di  sé  timore  e  meraviglia 
A  quelli  di  Navarra  e  di  Castiglia. 

GO 
Chelindo  e  Mosco,  i  duo  figli  bastardi 
Del  morto  Calabruu  Re  d'Aragona, 
Et  un  che  reputato  fra'  gagliardi 
Era,  Calamidor  da  Barcellona, 
S'avean  lasciato  a  dietro  gli  stendardi; 
E  credendo  acquistar  gloria  e  corona 
Per  uccider  Zerbin,  gli  furo  addosso; 
E  ne' fianchi  il  destrier  gli  hanno  percosso. 

61 
Passato  da  tre  lance  il  destrier  morto 
Cade;  mailbuon  Zerbinsubito  è  in  piede: 
Ch'a  quei  ch'ai  suo  cavallo  han  fatto  torto, 
Per  vendicarlo  va  dove  gli  vede: 
E  prima  a  Mosco,  al  giovene  inaccorto. 
Che  gli  sta  sopra,  e  di  pigliar  se  '1  crede. 
Mena  di  punta,  e  lo  passa  nel  fianco, 
E  fuor  di  sella  il  caccia  freddo  e  bianco. 

62 
Poi  che  si  vide  tCr,  come  di  furto, 
Chelindo  il  fratel  suo,  di  furor  pieno 
Venne  a  Zerbino,  e  pensò  dargli  d'urto; 
Ma  gli  prese  egli  il  corridor  pel  freno: 
Trasselo  in  terra,  onde  non  è  mai  surto, 
E  non  mangiò  mai  più  biada  né  fieno; 
Che  Zerbin  si  gran  forza  a  un  colpo  mise, 
Che  lui  col  suo  signor  d'un  taglio  uccise. 


—  6.  ne' sang.  manti  ;  in  sanguigno.  Si  è 
vestita  di  color  sanguigno. 

—  8.  Giaceno,- giaceano.  È  grafia  più  sem- 
plice della  più  comune  giacirno;  ed  è  for- 
ma assai  frequente  nei  poeti. 

59.  3.  pio¥e  ;  viene  alla  rinfusa. 

—  4.  mena  a  destr.,  distrugge.  Cosi  I,  72 
menare  a  fracasso,  fracassare;  xn,  50, 
menare  a  straccio,  stracciare. 

—  6.  paragone;   prova.    V.   e.   I,  61,  n.  4. 

61.  5.  inaccorte;  mal  accorto.  Machiav., 
Corani.  330:  «cieca,  sorda,  inaccorta». 

—  (3.  p.  se  '1  crede  ;  crede,  si  crede  pi- 
gliarlo. Abbiamo  lo  spostamento  del  prono- 
me, tante  volte  avvertito. 

62.  1.  come  di  furto,  senza  aspettarselo, 
come  quando  un  ladro  ci  ruba  un  oggetto. 

—  3.  dargli  d'nrto;  urtarlo.  Bonakr.  Fiera, 
1,  4:  «Nello  svoltar  d'un  canto  danno  di 
urto  ». 

—  7.  forza...  mise;  dette  si  gran  forza  a 
un  colpo. 


<  63 

Come  Calamidor  quel  colpo  mira, 
Volta  la  briglia  per  levarsi  in  fretta; 
Ma  Zerbin  dietro  un  gran  fendente  tira, 
Dicendo:  Traditore,  aspetta,  aspetta. 
Non  va  la  botta  ove  n'andò  la  mira, 
Non  che  però  lontana  vi  si  metta; 
Lui  non  potè  arrivar,  ma  il  destrier  prese 
Sopra  la  groppa,  e  in  terra  lo  distese. 
64 

Colui  lascia  il  cavallo,  e  via  carpone 
Va  per  campar,  ma  poco  gli  successe; 
Che  venne  caso  che  '1  duca  Trasone 
Gli  passò  sopra,  e  col  peso  l'oppresse. 
Ariodante  e  Lurcanio  si  pone 
Dove  Zerbino  è  fra  le  genti  spesse; 
E  seco  hanno  altri  e  cavallieri  e  conti. 
Che  fanno  ogn'opra  che  Zerbin  rimonti. 
65 

Menava  Ariodante  il  brando  in  giro: 
E  ben  lo  seppe  Artalico  e  Margano  : 
Ma  molto  più  Etearco  e  Casimiro 
La  possanza  sentir  di  quella  mano. 
I  primi  duo  feriti  se  ne  giro. 
Rimaser  gli  altri  duo  morti  sul  piano. 
Lurcanio  fa  veder  quanto  sia  forte; 
Che  fere,  urla,  riversa  e  mette  a  morte. 
66 

Non  crediate.  Signor,  che  fra  campagna 
Piigna  minor  che  presso  al  fiume  sia, 
Né  ch'a  dietro  l'esercito  rimagna. 
Che  di  Lincastro  il  buon  duca  seguia. 
Le  bandiere  assali  questo  di  Spagna, 
E  molto  ben  di  par  la  cosa  già; 
Che  fanti,  cavallieri  e  capitani 
Di  qua  e  di  là  sapean  menar  le  mani. 
67 

Dinanzi  vien  Oldrado  e  Fieramonte, 
Un  duca  di  Glocestra,  un  d' Eborace: 
Con  lor  Riccardo  di  Varvecia  conte, 
E  di  Chiarenza  il  Duca,  Enrigo  audace. 


63.  6.  lont.  vi  si  m.  ;  sia  messa  lont.  a 
quel  luogo.  Mettere  un  colpo,  una  botta, 
vale  colpire,  ed  è  espressione  del  linguag- 
gio tecnico  delle  armi.  —  vi  per  ivi  ;  che 
si  usò  non  di  rado  per  indi.  Boccaccio, 
nov.  41:  «corse  ad  una  villa    ivi  vicina». 

7.  potè;  V.  st.  42,  n.  4. 

64.  2.  p.  gli  successe;  per  poco  tempo  gli 
riusci.  Lasca,  Gel.  15  :  «  Awertisci  a  quel 
che  tu  fai  che  ti  succeda  »  :  poco  invece  di 
per  poco-tempo  è  vivo  e  comune  ancora 
neir  uso,  in  molte  locuzioni. 

—  3.  venne  e.  avvenne  il  e. 

—  S.  Che,  perché  Zerb.  rimonti  a  cavallo. 
V.  e.  I,  27,  8. 

66.  1.  fra  camp.  V.  st.  15,  n.  2;  nell'in- 
terno dove  era  Marsilio. 

67.  4.  Enrigo.  Questo  nome  prese  diverse 
forme  :  Arrigo,  Errico,  Errigo,  Enrigo. 


198 


ORLANDO  FURIOSO 


Hau  Mataliata  e  Follicone  a  froq^ie, 
E  Baricoudo  et  ogni  lov  seguace. 
Tiene  il  primo  Almeria,  tiene  il  secondo 
Granata,  tien  Maiorca  Baricoudo. 
68 
La  fiera  pugna  un  pezzo  andò  di  pare, 
Che  vi  si  discernea  poco  vantaggio. 
Vedeasi  or  l'uno  or  l'altro  ire  e  tornare. 
Come  le  biade  al  ventolin  di  Maggio, 
O  come  sopra  '1  lito  un  mobil  mare 
Or  viene  or  va,  né  mai  tiene  un  viaggio. 
Poi  che  Fortuna  ebbe  scherzato  un  pezzo, 
Dannosa  ai  Mori  ritornò  da  sezzo. 

69 

Tutto  in  un  tempo  il  Duca  di  Glocestra 
A  Matalista  fa  votar  I'  arcione: 
Ferito  a  un  tempo  ne  la  spalla  destra 
Fieramente  riversa  Follicoue; 
F  l'uu  Pagano  e  l'altro  si  sequestra, 
E  tra  gl'Inglesi  se  ne  va  irigione. 
E  Baricoudo  a  un  tempo  /iman  senza 
Vita  per  man  del  Duca  di  Chiarenza. 
70 

Indi  i  Pagani  tanto  a  spaventarsi, 
Indi  i  fedeli  a  pigliar  tanto  ardire; 
Che  quei  non  facean  altro  che  riratrsi, 
E  partirsi  da  l'ordine  e  fuggire; 
E  questi  andar  inanzi,  et  avanzarsi 
Sempre  terreno,  e  spingere  e  seguire: 
E  se  non  vi  giungea  chi  lor  die  aiuto, 
II  campo  da  quel  lato  era  perduto. 


5-8.  Per  questi  nomi  cff.  e.  xiv,  13,  15. 
Avverti  come  l'A.  dimentica  qui  d' aver 
detto  in  quel  luogo  che  l'Almeria  apparte- 
neva a  Follicone,  Matalista  regnava  in  To- 
ledo e  Caiatrava,  mentre  di  Granata  era  re 
Stordilano. 

68.  6.  un  viaggio;  un  solo  viaggio;  cioè 
non  sempre  avanza,  né  sempre  si  ritira. 

— ^8.  ritornò.  È  detto  per  rispetto  alla 
sconfitta  avuta  prima  dalle  altre  schiere.  — 
da  sezzo  ;  da  ultimo  (lat.  sectius  che  vieu 
dopo). 

69.  1.  Tutto  in  u.  t.  Nello  stesso  tempo 
che  Follicone  e  il  duca  di  Chiarenza  fauno 
il  resto.  Corrisponde  a  a  un  temilo  dei 
vv.  3  e  7.  Male  dunque  intendono  alcuni  im- 
'provvismnente. 

—  5.  si  seqnestra,  si  fa  prigioniero.  In 
questo  senso  non  è  citato  dai  vocabolari. 

70.  1.  a  spaventarsi;  Infinito  detto  dai 
grammatici  storico.  Si  suol  sottintendere 
cominciarono. 

—  4.  da  l'ordine  ;  dal  loro  posto.  Ma'hiav. 
Disc,  ir,  28:  «  Soldati  che  si  sappian  mettere 
agli  ordini  tosto  ». 

—  5.  avanzarsi  t.  ;  guadagnar  terr.  Si 
usò  ugualmente  avanzare  e  avanzarsi 
terr. 


71 

Ma  Ferrali  che  sin  qui  mai  non  s'era 
Dal  Re  Marsilio  suo  troppo  disgiunto, 
Quando  vide  fuggir  quella  bandiera, 
E  l'esercito  suo  mezzo  consunto, 
«prono  il  cavallo,  e  dove  ardea  piti  fiera 
La  battaglia,  lo  spinse;  e  arrivò  a  punto 
Che  vide  dal  destrier  cadere  in  terra. 
Col  capo  fesso.  Olimpio  da  la  Serra; 
72 

Un  giovinetto  che  col  dolce  cauto, 
Concorde  al  suon  de  la  cornuta  cetra. 
D'intenerire  un  cor  si  dava  vanto, 
Ancor  che  fosse  più  duro  che  pietra. 
Felice  lui,  se  contentar  di  tanto 
Ouor  sapeasi,  e  scudo,  arco  e  faretra 
Aver  in  odio  e  scimitarra  e  lancia, 
Che  lo  fecer  morir  giovine  in  Francia. 
73 

Quando  lo  vide  Ferraù  cadere, 
Che  solca  amarlo  e  avere  in  molta  estima, 
Si  sente  di  lui  sol  via  pili  dolere, 
Che  di  miir altri  che  periron  prima: 
E  sopra  chi  l'uccise  in  modo  fere, 
Che  gli  divide  l'elmo  da  la  cima 
Per  la  fronte,  per  gli  occhi  e  per  la  faccia, 
Per  mezzo  il  petto  e  morto  a  terra  il  caccia. 
74  [ruota, 

Né  qui  s'indugia;  e  il  brando  intorno 
Ch'ogni  elmo  rompe,  ogni  lorica  smaglia; 
A  chi  segna  la  fronte,  a  chi  la  gota, 
Ad  altri  il  capo,  ad  altri  il  braccio  taglia: 
Or  questo  or  quel  di  sangue  e  d'alma  vota; 
E  ferma  da  quel  cauto  la  battaglia, 
Onde  la  spaventata  ignobil  frotta 
Senza  ordine  fuggia  spezzata  e  rotta. 


72.  2  cornuta  cetra.  La  cetra  antica  po- 
teva avere  una  specie  di  manico  come  la 
chitarra,  ma  ailche  le  corna  come  la  lira, 
pure  avendo  una  cassa  arjiionica.  Vedi  la 
figura  riportata  dal  Baumeister  nei  Monu- 
menti di  antichità  classica. 

—  7.  Avere  in  o.  Dipende  da  un  sapeva, 
che  deve  rilevarsi  dal  sapeasi  del  verso  pre- 
cedente. 

73.  2.  avere;  averlo.  V.  e.  t,  21,  n.  7.  — 
estima,  stima.  Forma  antica,  ina  non  rara. 

—  7.  Per  la  f.  Costrutto  abbreviato,  che 
si  può  compiere  :  gli  divide  1'  elmo  dalla 
cima  e  passa  per  la  fronte  ecc. 

74.  2.  lorica.  Era  propriamente  un'  arma- 
tura dei  Romani,  la  quale  difendeva  il  pet- 
to; qui  significa  quella,  che  nel  M.  E.  si 
chiamava  comunemente  la  ma^/ia.  V.  e.  i, 
17,  3. 

—  6.  ferma  la  b.;  arresta  i  fuggenti  e 
quindi  ferma  la  battaglia,  che  si  faceva  fug- 
gendo e  inseguendo.  È  forse  un  bel  rifaci- 
mento del  latino  sistere  fugam. 


CANTO  XVI 


lyj 


Entrò  ne  la  battaglia  il  Re  Agramaute, 
D'uccider  Jjente  e  di  far  prove  vago; 
E  seco  ha  Baliverzo,  Farurante, 
Prus'ion,  Soridano  e  Bambirago. 
Poi  son  le  genti  senza  nome  tante, 
Che  del  lor  sangue  oggi  faranno  un  lago; 
Che  meglio  conterei  ciascuna  foglia, 
<5uando  l'autunno  gli  arbori  ne  spoglia. 
76 

Agramante  dal  muro  una  gran  banda 
Di  fanti  avendo  e  di  cavalli  tolta, 
Col  Ke  di  Feza  subito  li  manda. 
Che  dietro  ai  padiglion  piglin  la  volta, 
E  vadano  ad  opporsi  a  quei  d'Irlanda, 
Le  cui  squadre  vedea  con  fretta  molta, 
Dopo  gran  giri  e  larghi  avvolgimenti, 
Tenir  per  occupar  gli  alloggiamenti. 
77 

Fu  '1  Ee  di  Feza  ad  esequir  ben  presto  ; 
Ch'ogni  tardar  troppo  nociuto  avria.  [sto; 
Raguna  in  tempo  il  Re  Agramante  il  re- 
Parte  le  squadre,  e  alla  battaglia  invia. 
Egli  va  al  fiume;  che  gli  par  ch'in  questo 
Luogo  del  suo  venir  bisogno  sia: 
E  da  quel  canto  un  messo  era  venuto 
Del  Re  Sobrino  a  domandare  aiuto. 
78 

Menava  in  una  squadra  più  di  mezzo 
Il  campo  dietro;  e  sol  del  gran  rumore 
Tremar  gli  Scotti,  e  tanto  fu  il  ribrezzo, 
Ch'abbandonavan  l'ordine  e  l'onore. 
Zerbin,  Lurcanio  e  Ariodante  in  mezzo 
Vi  l'estàr  soli  incontra  a  quel  furore: 
E  Zerbin,  eh'  era  a  pie,  vi  peria  forse; 
Ma  '1  buon  Rinaldo  a  tempo  se  n'accorse. 
79 

Altrove  intanto  il  Paladin  s'avea 
Fatto  inanzi  fuggir  mille  bandiere. 
Or  che  l'orecchie  la  novella  rea 
Del  gran  periglio  di  Zerbin  gli  fere, 
C  a  piedi  fra  la  gente  Cirenea 
Lasciato  solo  aveano  le  sue  schiere. 
Volta  il  cavallo,  e  dove  il  campo  Scotto 
A'ede  fuggir,  prende  la  via  di  botto. 
80 

Dove  gli  Scotti  ritornar  fuggendo 


75.  5.  genti  senza  nome;  ignobili.  Cosi 
anche  il  Caro,  Kn.  9,  533:  «  molti  senza 
nome...  a  morte  trasse  «>. 

—  6.  Che  ;  le  quali.  Il  che  del  v.  seg.  è 
correlativo  di  tante. 

77.  4.  invia;  le  invia. 

78.  8.  se  n'accorse.  Si  accorse  che  vi  pe- 
rla, per  le  notirie  avute  della  fuga  degli 
Scozzesi. 

79.  5.  g.  Cirenea  ;  di  Cirene,  antica  città 
dell'  Affrica  :  qui  sta  per  T  Affrica  in  gene- 
rale. 


Vede,  s'appara;  e  grida:  Or  dove  andate? 
Perché  tanta  viltade  in  voi  comprendo, 
Che  a  si  vii  gente  il  campo  abbandonate? 
Ecco  le  spoglie  de  le  quali  intendo 
Ch'esser  dovean  le  vostre  chiese  ornate. 
Oh  che  laude,  oh  che  gloriache  '1  figliuolo 
Del  vostro  Re  si  lasci  a  piedi  e  solo! 

81  fra, 

D'un  suo  scudier  una  grossa  asta  aflfer- 
E  vede  Prusion  poco  lontano, 
Re  d'Al.varacchie,  e  adesso  se  gli  serra, 
E  de  l'arciou  lo  porta  morto  al  piano. 
Morto  Agricalte  e  Bambirago  atterra. 
Dopo  fere  aspramente  Soridano; 
E  come  gli  altri  l' avria  messo  a  morte. 
Se  nel  ferir  la  lancia  era  più  forte. 
82 

Stringe  Fusberta,poi  chel'asta  è  rotta, 
E  tocca  Serpentin,  quel  da  la  Stella. 
Fatate  l'arme  avea,  ma  quella  botta 
Pur  tramortito  il  manda  fuor  di  sella: 
E  cosi  al  Duca  de  la  gente  Scotta 
Fa  piazza  intorno  spaziosa  e  bella; 
Si  che  senza  contesa  un  destrier  puote 
Salir  di  quei  che  vanno  a  selle  vote. 
83 

E  ben  si  ritrovò  salito  a  tempo. 
Che  forse  noi  facea,  se  più  tardava; 
Perché  Agramante  eDardinello  a  un  tem- 
Sobrin  col  Re  Balastro  v'arrivava,     [pò. 
Ma  egli,  che  montato  era  per  tempo, 
Di  qua  e  di  là  col  brando  s'aggirava,  (no 
Mandando  or  questo  or  quel  giù  ne  l'infer- 
A  dar  notizia  del  viver  moderno. 
84 

Ilbuon  Rinaldo, il  qualeaporre  in  terra 
I  più  dannosi  avea  sempre  riguardo. 
La  spada  contra  il  Re  Agramante  afferra. 
Che  troppo  gli  parca  fiero  e  gagliardo 
(Facea  egli  sol  più  che  mille  altri  guerra); 
E  se  gli  spinse  addosso  con  Baiardo: 
Lo  fere  a  un  tempo  et  urta  di  traverso, 
Si  che  lui  col  destrier  manda  riverso. 
85 

Mentre  di  fuor  con  si  crudel  battaglia, 
Odio,  rabbia,  furor  l'uu  l'altro  offende, 


80.  2.  s'appara;  si  para.  Per  l'aggiunta 
dell'  a  cf.  st.  28,  3. 

—  5.  intendo;  sento  dire.  Con  questo  Ri- 
naldo accenna  ai  loro  vanti  e  ai  loro  pro- 
positi prima  della  battaglia  e  glieli  rinfaccia 
ora  che  fuggono. 

81.  1.  D'un  s.  ;  da  un  s.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

—  3.  d'Alvar;  delle  Alvar.  V.  e.  ii,  15,  n.8. 

82.  2.  tocca;  colpisce.  Cosi  anche  al  e. 
xviii,  U3,  5.  V.  anche  e,  m,  68,  n.  4.  —  da 
la  Stella.  Stella  è  antico  nome  di  una  città 
di  Spagna  :  Kstella. 

—  4.  Pur,  ciò  nonostante. 

85.  2.  Odio,  rabb.  far.  Si  ha  l'astratto    per 


200 


ORLANDO  FURIOSO 


Rodomonte  in  Parigi  il  popò!  taglia, 
Le  belle  case  e  i  sacri  templi  accende. 
Carlo,  eh'  in  altra  parte  si  travaglia, 
Questo  non  vede,  e  nulla  ancor  ne'nteude, 
Odoardo  raccoglie  et  Arimanno 
Ne  la  città,  col  lor  popol  Britanno. 

86 
A  lui  venne  un  scudier  pallido  in  volto 
Che  potea  a  pena  trar  del  petto  il  fiato: 
Ahimè!  Signor,  ahimè!  replica  molto, 
Prima  ch'abbia  a  dir  altro  incominciato: 
Oggi  il  Romano  imperio,  oggi  è  sepolto; 
Oggi  ha  il  suo  popol  Cristo  abbandonato: 
Il  Demonio  dal  cielo  è  piovuto  oggi, 
Perché  in  questa  città  più  non  s'alloggi. 

87 
Satanasso  (perch'altri  esser  non  puote) 
Strugge  e  ruiua  la  città  infelice. 
Volgiti  e  mira  le  fumose  ruote 
De  la  rovente  fiamma  predatrice; 
Ascolta  il  pianto  che  nel  ciel  percuote; 
E  faccian  fede  a  quel  che  '1  servo  dice. 
Un  solo  è  quel  ch'a  ferro  e  a  fuoco  strugge 
Xa  bella  terra,  e  inanzi  ognun  gli  fugge. 

88 
Quale  è  colui  che  prima  oda  il  tumulto, 
E  de  le  sacre  squille  il  batter  spesso. 
Che  vegga  il  fuoco  a  nessun  altro  occulto, 


Ch'a  sé,  che  più  gli  tocca,  e  gli  è  più  presso; 
Tal  è  il  Re  Carlo,  udendo  il  nuovo  insulto^ 
E  conoscendol  poi  con  l' occhio  istesso; 
Onde  lo  sforzo  di  sua  miglior  gente 
Al  grido  drizza  e  al  gran  rumor  che  sente, 
89 
Dei  Paladini  e  dei  guerrier  più  degni 
Carlo  si  chiama  dietro  una  gran  parte, 
E  ver  la  piazza  fa  drizzare  i  segni; 
Che  '1  Pagan  s' era  tratto  in  quella  parte. 
Ode  il  rumor,  vede  gli  orribil  segni 
Di  crudeltà,  l'umane  membra  sparte. 
Ora  non  più:  ritorni  un'altra  volta 
Chi  volentier  la  bella  istoria  ascolta. 


il  concreto  :  Pieni  di  odio,  rabbiosi,  furi- 
bondi si  offendono  r  un  1'  a. 

—  7.  raccoglie  ;  accoglie.  V.  e.  vii,  9,  n.  3. 

86.  7.  piovuto;  Perché  non  sapeva  come 
Rodomonte  fosse  trapassato  nella  città. 

E7.  7.  a  ferro  eco;  con  ferro.  V.  st.  48,  n.  8. 


88.  4.  che  pili  gli  t.  ;  a  cui  più  gli  t.,  ap- 
partiene, interessa.  In  questa  espressione, 
comunissima  ancora  nell'  uso  popolare,  è 
da  notare  il  che  nel  complem.  di  termine  ; 
(cfr.  e.  XIII,  37,  n.  5);  e  la  ripetizione  pleo- 
nastica del  pronome  (gli).  V.  Fornaciari, 
Sint.,  p.  117,  dove  troverai  diversi  esempi. 
Si  potrebbe  anche  intendere  il  che  relativo' 
di  fuoco,  considerando  che  spesso  l'A.  fa 
questi  slacchi  forzati.  V.  e.  iv,  51,  n.  4.  — 
Avverti  poi  come  il  che  del  v.  3  è  correla- 
tivo di  p}-ima  del  v.  1  ;  e  il  primo  che  del 
v.  4  è  correlativo  di  nessun  altro  del  v.  3. 
Xeir  insieme  è  una  stanza  non  chiara. 

—  5.  insulto  ;  assalto  all'  improvviso  di 
un  esercito  nei  suoi  trinceramenti.  Se  1'  e- 
sercito  non  è  trincerato  è  sorpresa.  (Gras- 
si, Diz.  Mitit.). 

89.  7.  ritorni.  Qui  l'A.  ha  serbato  le  for 
me  dei  cantastorie  popolari,  che  invitavano 
il  popolo  a  tornare  ad  udirli.  V.  e.  i,  n.  7. 


CANTO  XVII 


Il  giusto  Dio,  quando  i  peccati  nostri 
Hanno  di  remission  passato  il  segno. 
Acciò  che  la  giustizia  sua  dimostri 
Uguale  alla  pietà,  spesso  dà  regno 
A  tiranni  atrocissimi  et  a  mostri, 
E  dà  lor  forza  e  di  mal  fare  ingegno. 
Per  questo  Mario  e  Siila  pose  al  mondo, 
E  duo  Neroni  e  Caio  furibondo. 


I     Domiziano  e  l'ultimo  Antonino; 
E  tolse  da  la  immonda  e  bassa  plebe, 
Et  esaltò  all'Imperio  Massimino; 
E  nascer  prima  fé'  Creonte  a  Tebe; 
E  die  Mezenzio  al  popolo  Agilino, 


1.  2.  di  rem.  il  s.  ;  il  segno,  oltre  il  quale 
Don  e'  è  più  remissione,  perdono. 

—  6.  di  m.  fare  ing.  ;  virtù,  attitudine  a 
ma]  fare.  Piii  frequente  con  la  prep.  a. 

—  S.  duo  Ner.,  Tiberio  verani.  della  fa- 
miglia dei  Neroni,  e  Domizio  entratovi  per 
adozioue.  —  Caio:   Caligola. 


2.  1.  l'n.  Antonino;  Eliogabalo,  che  fu 
r  ultimo,-  il  quale  portasse  il  nome  di  Anto- 
nino (M.  Aurelio  Antonino,  m.  222  d.  C). 

—  3.  Massimino,  (e.  173-238  d.  C.)  figlio  di 
un  pastore  Trace,  fu  prode,  ma  crudele. 

—  4.  Creonte,  secondo  la  leggenda  re  di 
Tebe,  fece  seppellir  viva  Antigone,  perché 
aveva  dato  sepoltura  ai  cadaveri  dei  fra- 
telli p;teocle  e  Polinice. 

—  5.  Hezenzio,  re  di  Cere  (Cervetri),  che 
dai  Pelassi   fu  detta  Agvlla.   Era  ferocis- 


CANTO  XVII 


201 


Che  l'è  di  sangue  iiman  grasse  le  glebe  ; 
E  diede  Italia  a  tempi  men  rimoti 
In  preda  agli  Unni,  ai  Longobardi,  ai  Goti. 
3 

Che  d'Attila  dirò  ?  che  de  l'iniquo 
Ezzellin  da  Koman  ?  che  d'altri  cento  ? 
Che  dopo  un  lungo  andar  sempre  in  obli- 

[quo, 
Ne  manda  Dio  per  pena  e  per  tormento. 
Di  questo  abbiàn  non  pur  al  tempo  antiquo, 
Ma  ancora  al  nostro,  chiaro  esperimento, 
Quando  a  noi,  greggi  inutili  e  mal  nati, 
Ha  dato  per  guardian  lupi  arrabbiati  : 
4 

A  cui  non  par  ch'abbi'  a  bastar  lor  fame. 
Ch'abbi'  il  lor  ventre  a  capir  tanta  carne; 
E  chiaraan  lupi  di  più  ingorde  brame 
Da  boschi  oltramontani  a  divorarne. 
Di  Trasimeno  l'insepulto  ossame, 
E  di  Canne  e  di  Trebbia,  poco  parne 
Verso  quel  che  le  ripe  e  i  campi  ingrassa, 
Dov'Adda  e  Mella  e  Ronco  e  Tarro  passa. 

Simo  e  faceva  legare  i  vivi  coi  cadaveri, 
perché  morissero  nella  putredine. 

3.  1.  Attila.  Fu  per  la  sua  crudeltà  so- 
prannominato itagelluiii  dei.  V.  Dante, 
Jiif.  12,  133. 

—  2.  Ezzellin.  da  R.  V.  e.  ili,  33. 

—  3.  un  1.  andar,  dei  popoli.  Andare  in 
obliquo  è  uscir  dal  cammin  dritto,  cioè  ope- 
rare pravamente. 

4.  1.  A  cui  ecc.  In  questa  st.  si  allude  a 
Giulio  II,  che,  per  rifarsi  delia  rotta  di  Ra- 
venua,  fece  «  da'  monti  a  guisa  di  tempesta 
Scendere  in  fretta  una  tedesca  rabbia  » 
e.  xxxviii,  41. 

—  2.  abbi.  In  questo  e  nel  preced.  verso, 
come  al  e.  xviii,  192,  0,  abbiamcf  questa 
forma  apostrofata,  invece  di  abbia;  altrove 
è  senza  apostrofo  in,  17,  4.  Le  ediz.  del  1516 
e  1521  hanno  l'intero  abbia,  che  l'A.  scoi'ciò 
per  toglier  l'iato  abbia  a  bast.;  questo  dà 
la  ragione  deli'  apostrofo,  che  manca  altro- 
ve. V.  e.  XV,  86,  n.  5.  —  clic,  e  che.  Dipende 
da  par. 

—  5.  Di  Trasimeno  ecc.  Sul  Trasimeno,  a 
Canne,  sulla  Trebbia  avvennero  le  tre  gran- 
di battaglie,  in  cui  i  Romani  furou  vinti 
dai  Cartaginesi  d'Annibale.  Trasimeno  e 
Trebbia  dovrebbero  regolarmente  avere 
r  art.  V.  FORNAC.  S.  129,  1 1.  e  e.  ii,  15,  n.  8. 

—  S.  Dov'Adda  ecc.  SuU' Adda  avvenne 
la  battaglia  d'Agnadello  tra  Francia  e  Ve- 
nezia (1509);  sul  Mella  quella  di  Brescia 
(1512),  sul  Ronco  quella  di  Ravenna  tra 
Francia  e  i  collegati  (1512),  sul  Taro  quella 
di  Fornovo  tra  Francesi  e  Italiani  (U95). 
—  Tarro,  Taro;  secondo  la  pronunzia  dia- 
leliale.  Kell'ediz.  del  1516  si  aveva  Tarro 
anche  nel  e.  xiii,  60;  là  fu  coiTetto,  qui 
rimase  forse  per  svista. 


i      Or  Dio  consente  che  noi  siàn  puniti 
Da  popoli  di  noi  forse  peggiori, 

I  Per  li  multiplicati  et  infiniti 

!  Nostri  nefandi,  obbrobriosi  errori. 

I  Tempo  verrà,  eh' a  depredar  lor  liti 
Andremo  noi,  semai  sarèn  migliori, 

;  E  che  i  peccati  lor  giungano  al  segno, 
Che  l'eterna  ELoiità  muovano  a  sdegno. 
6 
Doveano  allora  aver  gli  eccessi  loro 
Di  Dio  turbata  la  serena  fronte,      [Moro 
Che  scorse  ogni  lor  luogo  il  Turco  è  '1 
Con  stupri, uccisiou.  rapine  et  onte: 
Ma  più  di  tutti  gli  altri  dauni,  foro 
Gravati  dal  furor  di  Rodomonte. 
Dissi  ch'ebbe  di  lui  la  nuova  Carlo, 
E  che  'n  piazza  venia  per  ritrovarlo. 
7 
Vede  tra  via  la  gente  sua  troncata, 

''  Arsi  i  palazzi,  e  minati  i  templi, 

j  Gran  parte  de  la  terra  desolata: 

1  Mai  non  si  vider  si  crudeli  esempli. 

j  Dove  fuggite,  turba  spaventata? 

I  Non  è  tra  voi  chi  '1  danno  suo  contempli? 

I  Che  città,  che  refugio  più  vi  resta, 
Quando  si  perda  si  vilmente  questa? 

•      ^ 

I      Dunqueunuomsoloin  vostra  terra  pre- 
Cinto  di  mura  onde  non  può  fuggire,  [so, 

'  Si  partirà  che  non  l'avrete  oflfeso. 
Quando  tutti  v'avrà  fatto  morire? 
Cosi  Carlo  dicea,  che  d'ira  acceso 
Tanta  vergogna  non  ^jotea  patire; 


5.  1.  siàn,  slam.  V.  e.  ix,  43,  n.  S. 

—  7.  E  che,  e  se.  Su  questo  che  cfr.  e.  iv, 
60.  n.  5  e  gli  altri  esempì  là  citati. 

6.  1.  loro;  di  quegli  oltramontani,  cioè 
dei  Francesi. 

—  3.  Che;  È  coi^elativo  di  allora:  allo- 
ra... quando. 

—  5.  Ma  pili  ecc.  Nota  1'  andamento  po- 
polare della  sintassi:  regolarm.  dovrebbe 
dirsi  :  ma  più  che  da  tutti  gli  altri  danni 
furou  gr.  dal  f.  ecc.  É  uno  scorcio  vivo 
anc'  oggi  nel  popolo. 

7.  1.  tra  Tia.  V.  e.  xvi,  15,  n.  2.  —  tron- 
cata, uccisa  (è  il  lat.  truncare).  È  di  uso 
poetico. 

—  5.  Dove  fuggite  ecc.  L' A.,  ha  avuto 
presente  in  questo  luogo  Virgilio,  En.  ix, 
781,  dove  Muesteo  cosi  dice  ai  Troiani  fug- 
genti dinanzi  a  Turno  :  «  Quo  deinde  fu- 
gam,  quo  tenditis?...  Quos  alios  muros,  quae 
iam  ultra  moenia  habetis  ?  Unus  homo,  et 
vestris,  o  cives,  undique  saeptus  Aggeribus, 
tautas  strages  impune  per  urbem  Edide- 
rit?» 

8.  1.  preso,  chiuso. 

—  3.  die;  in  modo  che.  V.  e.  i,  57,  7. 


202 


ORLANDO  FURIOSO 


E  giunse  dove  inanti  alla  gran  corte 
Vide  il  Pagan  por  la  sua  gente  a  morte. 
9 

Quivi  gran  parte  era  del  populazzo, 
Sperandovi  trovare  aiuto,  ascesa  ; 
Perché  forte  di  mura  era  il  palazzo, 
Con  muniziou  da  far  lunga  difesa. 
Rodomonte,  d'orgoglio  e  d'ira  pazzo. 
Solo  s'avea  tutta  la  piazza  presa: 
E  l'una  man,  che  prezza  il  mondo  poco, 
Ruota  la  spada,  e  l'altra  getta  il  fuoco. 
10 

E  de  la  regal  casa,  alta  e  sublime, 
Percuote  e  risonar  fa  le  gran  porte. 
Gettan  le  turbe  da  le  eccelse  cime 
E  merli  e  torri,  e  si  metton  per  morte. 
Guastare  i  tetti  non  è  alcun  che  stime; 
E  legne  e  pietre  vanno  ad  una  sorte, 
Lastre  e  colonne,  e  le  dorate  travi 
Che  furo  in  prezzo  agli  lor  padri  e  agli  avi. 
11 

Sta  su  la  porta  il  Re  d'Algier,  lucente 


—  7.  corte  ;  palazzo  reale. 

9.  1.  popniazzo.  Più  comune  è  la  forma 
ììopolazzo:  plebe. 

7.  che  prezza  il  mondo  p.;  che  stima  po- 
co tutta  la  gente.  L'A.  usò  più  volte  mondo 
in  questo  significato,  come  l'usarono  non  di 
rado  i  nostri  scrittori.  Cellim,  Vit.  i,  34: 
«  Era  di  già  tutto  il  mondo  in  arme  ». 

—  8.  getta  il  fuoco,  getta  i  fuochi  artifi- 
ziati  per  suscitare  incendi. 

10.  1.  alta  e  sublime  Alta  si  riferisce  alla 
misura,  sublime  al  senso  di  grandiosità  e 
di  ammirazione,  che  desta  guardandola. 

—  4.  si  metton  p.  morte;  si  dan  per  m.; 
si  tengono  morte.  Questa  locuzione  è  citata 
da  qualche  vocabolario,  coir  esempio  del 
solo  A. 

—  5.  stime;  curi,  tema:  cosi  al  e.  xv, 
46  —  tetti,  il  palazzo  (lat.  tecta). 

—  e.  legne  ;  Leyne  si  usa  per  il  legname 
da  ardere:  qui  più  propriam.  legni;  ma 
forse  il  poeta  ha  voluto  indicare  che  i  le- 
gni diversi  venivano  spaccati  e  guasti  come 
legna  da  ardere  —  vanno  ad  una  s.  K  va- 
riazione del  modo  hanno  la  .stessa  sorte, 
e  e'  è  di  più  V  idea  del  moto. 

—  7.  le  dorate  travi.  Qui  e  nelle  st.  se- 
guenti l'A.  ha  avuto  presente  1'  assalto  dato 
da  Pirro  alla  magione  di  Priamo.  Noteremo 
i  raffronti  più  spiccati.  En.  2,  418  :  «  Aura- 
tasque  trabes,  veterum  decora  alta  paren- 
tum,  Devolvunt  ». 

11.  1.  Sta  s.  p.  Viro.  En.  ir,  469:  «Ve- 
stibulum  ante  ipsum  primoque  in  limine 
Pyrrus  Exultat  telis  et  luce  coruscus  ahena. 
Qualis  ubi  in  lucem  coluber  mala  gramiaa 
pastus  Frigida  sub  terra  tumidum  quem 
bruma  tegebat,  Nunc  positis  novus  exuviis 


Di  chiaro  acciar  che  '1  capo  gli  arma  e  '1 
Come  uscito  di  tenebre  serpente,    (busto, 
Poi  ch'ha  lasciato  ogni  squalor  vetusto, 
Del  nuovo  scoglio  altiero,  e  che  si  sente 
Ringiovenito  e  più  che  mai  robusto: 
Tre  lingue  vibra,  et  ha  negli  occhi  foco; 
Dovunque  passa,  ogn'animal  dà  loco. 
12 

Non  sasso,  merlo,  trave,  arco  o  balestra, 
Né  ciò  che  sopra  il  Saracin  percuote, 
Ponno  allentar  la  sanguinosa  destra 
Che  la  gran  porta  taglia  spezza  e  scuote: 
E  dentro  fatto  v'ha  tanta  finestra. 
Che  ben  vedere  e  veduto  esser  puote 
Dai  visi  impressi  di  color  di  morte, 
Che  tutta  piena  quivi  hanno  la  corte. 
13 

Sonar  per  gli  alti  e  spaziosi  tetti 
S'odono  gridi  e  feminil  lamenti: 
L'afflitte  donne,  percotendo  i  petti, 
Corron  per  casa  pallide  e  dolenti, 
E  abbraccian  gli  usci  e  i  geniali  letti. 
Che  tosto  hanno  a  lasciarea  strane  genti. 
Tratta  la  cosa  era  in  periglio  tanto, 
Quando  il  Re  giunse,  e  suoi  Baroni  accau- 
14  [to. 

Carlo  si  volse  a  quelle  man  robuste 
Ch'ebbe  altre  volte  a  gran  bisogni  pronte. 


nitidusque  iuventa  Lubrica  convolvit,  subla- 
to pectore,  terga  Arduus  ad  solem  et  linguis 
micat  ore  trisulcis  ». 

—  2.  Di  eh.  acciar.  Al  c.  XIV,  118  dice  che 
Rod.  avea  per  usbergo  una  scagliosa  pelle 
di  drago;  ma  forse  portava  su  questa,  per 
ornamento,  piastre  d'acciaio  simili  a  quelle 
degli  altri  guerrieri. 

—  5.  scoglio.  Si  disse  già  dal  Poliziano, 
8t.  I,  15  e  da  altri,  per  la  pelle, ^  che  getta 
ogni  anno  il  serpente.  Qui  ha  il  senso  più 
generale  di  ■pelle. 

—  7.  Tre  lingue.  K  il  linguis  trisulcis  di 
Virgilio.  La  serpe  ha  una  sola  lingua,  ma 
bipartita  in  punta;  di  qui  1' antico  pregiu- 
dizio, che  avesse  tre  lingue. 

12.  7.  impressi,  che  hanno  in  viso  il  col. 
Veram.  si  dice  di  impronte,  figure  ecc.;  ma 
anche  il  Tas.'so,  <ie>:  i3,  57,  disse:  «  del  cal- 
do del  sol  (le  ombre)  paiono  impresse».  (Le 
ombre  della  notte  hanno  ancora  del  caldo 
del  giorno). 

13.  1.  Sonar  ecc.  A'inc.  En.  486;  «  At  do- 
mus  interior  gemitu  miseroque  tumultu 
Miscelar,  penitusque  cavae  plangoribus  ae- 
des  Femineis  ululant,  ferit  aurea  sidera 
clamor.  Tum  pavidae  tectis  matres  ingea- 
tibus  errant  Amplexaeque  tenent  postes  at- 
que  oscula  tìguut». 

—  5.  geniali  1.  V.  e.  V,  2,  n.  6. 

—  7.  Tratta...  in  per.;  condotta  in  per. 
La  locuz.  trarre  in  pericolo  non  è  registi-, 
dai  vocabolari. 


CANTO  XYII 


203 


Non  sete  quelli  voi,  che  meco  fuste 
Contia  Agolaiite  (disse)  in  Aspramonte? 
Sono  le  forze  vostre  ora  si  fruste, 
Che,  s'uccideste  lui,  Troiano  e  Alraonte 
■Con  cento  mila,  or  ne  temete  un  solo 
Pur  di  quel  sangue,  e  pur  di  quello  stuolo  ? 
15 
Perché  debbo  vedere  in  voi  fortezza 
Ora  minor  ch'io  la  vedessi  allora? 
Mostrate  a  questo  can  vostra  prodezza, 
A  questo  can  che  gli  uomini  devora. 
Un  magnanimo  cor  morte  non  prezza. 
Presta  o  tarda  che  sia,  purcheben  muora. 
Ma  dubitar  non  posso  ove  voi  sete, 
Che  fatto  sempre  vincitor  m'avete. 

Al  fin  de  le  parole  urta  il  destriero, 
Con  l'asta  bassa,  al  Saracino  adosso. 
Mossero  a  un  tratto  il  paladino  Uggiero, 
A  un  tempo  Namo  et  Olivier  si  è  mosso, 
Avinio,  Avolio,  Otone  e  Berlingiero, 
Ch'un  senza  l'altro  mai  veder  non  posso: 
E  ferir  tutti  sopra  a  Rodomonte 
E  nel  petto  e  nei  fianchi  e  ne  la  fronte. 
17 

Ma  lasciamo,  per  Dio,  Signore,  ormai 
Di  parlar  d'ira,  e  di  cantar  di  morte; 
E  sia  per  questa  volta  detto  assai 
Del  Saracin  non  men  crudel  che  forte: 
Che  tempo  è  ritornar  dov'io  lasciai 
Grifon,  giunto  a  Damasco  in  su  le  porte 
Con  Orrigille  perfida,  e  con  quello 
Ch'adulter  era,  e  non  di  lei  fratello. 
18 

De  le  più  ricche  terre  di  Levante, 
De  le  pili  populose  e  meglio  ornate 
Si  dice  esser  Damasco,  che  distante 
Siede  a  Gerusalem  sette  giornate. 
In  un  piano  fruttifero  e  abondante, 


14.  4.  Centra  Agol.  Questi  fatti  son  materia 
del  poema  Aspromonte.  È  notevole  che 
queste  imprese  furono  compiute  principalm. 
da  Orlando  (v.  e.  i,  28),  ora  assente^  ma 
Carlo  M.  vuol  lusingare  1'  amor  proprio  dei 
suoi  paladini. 

—  S.  Pur  di  q.  sangue  ecc.  ;  affricano  e 
nemico  di  Cristo  come  loro.  j 

16.  4.  Namo.  Nel  c.  I,  9  si  dice  che  Namo 
era  stato  fatto  prigioniero,  ora  comparisce  | 
qui  senza  che  si  sappia  come   ha  riacqui-  j 
stato  la  libertà. 

—  6.  non  posso,  non  riesco.  V.  e.  xv,  8,  I 
n.  8.  j 

—  7.  ferir...  sopra;  menar  colpi...  s.  Si  dice  | 
anche   ferir  contro,  in.   V.  uso  affine  nel 
e.  II,  76,  3.  j 

17.  5.  ritornar,  di  ritornar. 

18.  4.  giornate.  É  d'uso  comune  per  in- 
dicare il  cammino,  che  un  uomo  può  fare  | 
iu  un  giorno.  i 


Non  men  giocondo  il  verno,  che  l'estate. 
A  questa  terra  il  primo  raggio  folle 
De  la  nascente  aurora  un  vicin  colle. 
19 

Per  la  città  duo  fiumi  cristallini 
Vanno  inafiiando  per  diversi  rivi 
Un  numero  infinito  di  giardini. 
Non  mai  di  fior,  non  mai  di  fronde  privi. 
Dicesi  ancor,  che  macinar  molini 
Potrian  far  l'acque  lanfe  che  son  quivi; 
E  chi  va  per  le  vie  vi  sente  fuore 
Di  tutte  quelle  case  uscire  odore. 
20 

Tutta  coperta  è  la  strada  maestra 
Di  panni  di  diversi  color  lieti, 
E  d'odorifera  erba,  e  di  silvestra 
Fronda  la  terra  e  tutte  le  pareti. 
Adorna  era  ogni  porta,  ogni  finestra 
Di  finissimi  drappi  e  di  tapeti. 
Ma  pili  di  belle  e  ben  ornate  donne 
Di  ricche  gemme  e  di  superbe  gonne. 
21 

Vedeasi  celebrar  dentr'alle  porte, 
In  molti  lochi,  solazzevol  balli; 
Il  popol,  per  le  vie,  di  miglior  sorte 
Maneggiar  ben  guarniti  e  bei  cavalli, 
Facea  più  bel  veder  la  ricca  corte 
De'  Signor,  de'  Baroni  e  de'  vassalli 
Con  ciò  che  d'India  e  d'Eritree  maremme 
Di  perle  aver  si  può,  d'oro  e  di  gemme. 

22 
Venia  Grifone  e  la  sua  compagnia 
Mirando  e  quinci  e  quindi  il  tutto  adagio, 
Quando  fermolli  un  cavalliero  in  via 


19.  1.  duo  fiumi.  Veramente  il  solo  fiume 
che  passa  per  Damasco  è  il  Baradà,  sulle 
cui  rive  la  città  è  disposta;  ma  presso  vi 
scorre  anche  l'Avai, 

—  6.  acque  lanfe.  Lanfa  o  nanfa  (arab. 
nafha,  odore)  è  attributo  di  acqua  odorosa 
distillata  dall'  arancio. 

20.  8.  Di  ricche  g.  È  complemento  di  or- 
nate. 

21.  1.  celebrar...  balli.  È  imitaz.  dei  La- 
tini che  usarono  celebrare  per  peragere, 
fare;  conviviuni  celebrare,  liidos  ecc.  — 
Vedeaai.  Su  quest'  uso  impersonale,  invece 
del  plurale,  cfr.  Fornaciaiu,   Sint.  p.  ^0. 

—  3.  di  miglior  s.,  di  migliori  fortune. 
Riferiscilo  a  popolo.  Mentre  il  popolo  basso 
ballava,  il  popolo  di  miglior  fortuna  anda- 
va a  cavallo.  Alcuni,  malamente,  lo  riferi- 
scono a  vie. 

—  7.  d' Eritr.  maremme,  dalle  spiagge  del 
mar  Rosso  (maremma  dal  lat.  maritima, 
luoghi  vicini  al  mare).  Per  la  omissione 
dell' artic.  cfr.  e.  ii,  15,  n.  8. 

22.  2.  adagio;  con  agio,  comodamente. 
G.ViLLAM,25  :  «  E  capeavi  adagio  gran  mol- 
titudine ».  È  strano  che  la  N..  Crusca  non 


204 


ORLANDO  FURIOSO 


E  li  fece  smontare  a  uu  suo  palagio; 
E  per  l'usanza  e  per  sua  cortesia 
Di  nulla  lasciò  lor  patir  disagio: 
Li  fé'  nel  bagno  entrar,  poi  con  serena 
Fronte  gli  accolse  a  sontuosa  cena. 
23 

E  narrò  lor  come  il  Re  Norandino, 
Re  di  Damasco  e  di  tutta  Soria, 
Fatto  avea  il  paesano  e  '1  peregrino, 
Ch'ordine  avesse  di  cavalleria, 
Alla  giostra  invitar,  ch'ai  matutiuo 
Del  di  sequente  in  piazza  si  faria; 
E  che  s'avean  valor  pari  al  sembiante, 
Potriau  mostrarlo  senza  andar  più  inante. 
24 

Ancor  che  quivi  non  venne  Grifone 
A  questo  effetto,  pur  lo  'nvito  tenne; 
Che  qual  volta  se  n'abbia  occasione, 
Mostrar  virtude  mai  non  disconvenne. 
InterrogoUo  poi  de  la  cagione 
Di  quella  festa,  e  s'ella  era  solenne 


registri  questo  signific.  cosi  comune  negli 
antichi.  j 

—  4.  li  fece  smont.  Nota  il  Raina  che  ciò  ! 
è  secondo  il  costume  costantemente  esser-  | 
vato  dai  cavalieri  della  Tavola  rotonda. 

23.  1.  Norandino.  L' A.  riprende  e  compie  | 
un  episodio  dal  Boiardo  incominciato  e  in-  j 
terrotto.  Lucina  figlia  di  Tibiano  re  di  Cipri  i 
era  bellissima;  il  padre  bandisce  un  torneo  ; 
per  sceglierle  uu  marito  degno  di  lei.  Vi  cor- 
rono i  migliori  cavalieri,  specialmente  Co-  : 
stanzo,  imperatore  di  Costantinopoli,  e  No-  j 
randino  re  di  Damasco,  che  amava,  ria-  i 
jnato,  Lucina,  si  combatte  nel  torneo  un  1 
giorno  intero  tra  le  due  fazioni  guidate  da 
Costanzo  e  da  Norandino;  a  notte  s' inter- 
rompe il  torneo.  Il  B.,  per  tener  dietro  a 
Orlando,  interrompe  dicendo  :  «  Quel  che 
si  fosse  poi  di  Norandino  Né  di  Costanzo  non 
saprebb'io  dire»,  Inn.  II,  xix,  xx.  Ma  di 
Lucina  dice  (IH,  iii,  21  seg.)  che,  presa  e 
legata  dall'  Orco  (non  si  sa  come  né  perché) 
vien  liberata  da  Mandricardo  e  da  Gra- 
dasso. Si  ricovra  sulle  navi  del  padre,  che 
n'  era  venuto  in  cerca,  ma  da  una  tempesta 
è-  gettata  al  capo  della  Runa.  E  neppur  di 
Lucina  si  sa  più  nulla.  L' A.  raccoglie  que- 
sti frammenti  e  ne  ricostruisce  il  beli'  epi- 
sodio. 

24.  1.  Ancor  che...  non  venne.  V.  c.  v,  11, 
D.  8. 

—  3.  qual  volta.  V.  e.  v,  n.  8. 

—  6.  solenne  Usata;  solenne  usanza  an- 
nuale. Dante,  Purg.  22,  81  :  «  Ond'  io  a  visi- 
tarli presi  usata  ».  Si  potrebbe  anche  inten- 
dere :  se  essa  festa  era  usata,  si  usava,  ogni 
anno,  cosi  solenne.  Ma  impresa  nuova,  che 
vi  si  contrappone,  consiglia,  per  il  paral- 
lelismo, la  prima  interpretazione. 


Usata  ogn'anno,  o  pure  impresa  nuova 
Del  Re  eh'  i  suoi  veder  volesse  in  pruova. 
25 

Rispose  il  Cavallier:  La  bella  festa 
S'ha  da  far  sempre  ad  ogni  quarta  Luna: 
De  l'altre  che  verran,  la  prima  è  questa: 
Ancor  non  se  n'è  fatta  più  alcuna. 
Sarà  in  memoria  che  salvò  la  testa 
Il  Re  in  tal  giorno  da  una  gran  fortuna, 
Dopo  che  quattro  mesi  in  doglie  e 'n  pianti 
Sempre  era  stato,  e  con  la  morte  inanti. 
26 

Ma  per  dirvi  la  cosa  pienamente. 
Il  nostro  Re,  che  Norandln  s'appella, 
Molti  e  molt'anni  ha  avuto  il  core  ardente 
De  la  leggiadra  e  sopra  ogn'altra  bella 
Figlia  del  Re  di  Cipro:  e  finalmente 
Avutala  per  moglie,  iva  con  quella. 
Con  cavallieri  e  donne  in  compagnia; 
E  dritto  avea  il  cara  in  verso  Soria. 
27 

Ma  poi  che  fummo  tratti  a  piene  vele 
Lungi  dal  porto  nel  Carpazio  iniquo, 
La  tempesta  saltò  tanto  crudele, 
Che  sbigotti  sin  al  padrone  antiquo. 
Tre  di  e  tre  notti  andammo  errando  ne  le 
Minacciose  onde  per  camino  obliquo. 
Uscimo  al  fin  nel  lito  stanchi  e  molli, 
Tra  freschi  rivi,  ombrosi  e  verdi  colli. 
28 

Piantare  i  padiglioni,  e  le  cortine 
Fra  gli  arbori  tirar  facemo  lieti. 
S'apparecchiano  i  fuochi  e  le  cucine; 
Le  mense  d'altra  parte  in  su  tapeti. 
In  tanto  il  Re  cercando  alle  vicine 


25.  4.  pili  alcuna;  alcun'altra.  Cosi  spesso 
nella  nostra  lingua.  Boccaccio,  nov.  28: 
*  Non  c'è  egli  più  persona  che  noi  due?» 

—  6.  fortuna,  disgrazia.  È  comune  nella 
nostra  lingua. 

26.  S.  dritto,  indirizzato.  V.  e.  xiii,  83, 
n.  6. 

27.  2.  Carpazio  in.  Mare,  che  prese  nome 
da  Carpathus  (oggi  Scarpanto),  isola  fra 
Candia  e  Rodi.  Lo  dice  iniquo,  perché  suo- 
le essere  spesso  burrascoso. 

j       —  3.  saltò.  V.  e.  XIII,  15,  n.  5. 
I       —  4.  sin' al  padr.  a.;  il  vecchio  capitano 
j  della  nave.  Cosi  anche  al  e.  xviii,  145  e  cosi 
comunemente  gli  antichi  —  sino  al,  fino  il. 
I  Cfr.  e.  Il,  28,  n.  8. 

—  5.  Tre  di'  ecc.  Virgilio,  Eh.  ih,  203; 
■«  Tres  adeo  incertos  cacca  caligine  soles 
Krramus  pelago,  totidem  sine  sidere  noc- 
tes  ». 

—  7.  Uscimo,  usciamo.  Uscimo,  facemo, 
aspettamo,  vedemo,  son  forme  popolari 
del  pres.  indie,  antiquate  nella  letteratura, 
ma  vive  ancora  in   qualche  luogo  di  To- 

'  scana. 


fj 


CANTO  XVII 


205 


Valli  era  andato  e  a'  boschi  più  secreti, 
Se  ritrovasse  capre  o  daini  o  cervi; 
E  l'arco  gli  portar  dietro  duo  servi. 

29  [dendo, 

Mentre  aspettamo,  in  gran  piacer  se- 
Che  da  cacciar  ritorni  il  Signor  nostro, 
Vedemo  l'Orco  a  noi  venir  correndo 
Lungo  il  lito  del  mar,  terribil  mostro. 
Dio  vi  guardi,  Signor,  che  '1  viso  orrendo 
De  l'Orco  agli  occhi  mai  vi  sia  dimostro. 
Meglio  è  per  fama  aver  notizia  d'esso, 
Ch'andargli  si,  che  lo  reggiate,  appresso. 
30 

Non  gli  può  comparir  quanto  sia  lungo: 
Si  smisuratamente  è  tutto  grosso. 
In  luogo  d'occhi,  di  color  di  fungo 
Sotto  la  fronte  ha  duo  coccole  d'osso. 
Verso  noi  vien,  come  vi  dico,  lungo 
Il  lito,  e  par  eh' un  monticel  sia  mosso. 
Mostra  le  zanne  fuor,  come  fa  il  porco; 
Ha  lungo  il  naso,  il  sen  bavoso  e  sporco. 
31 

Correndo  viene,  e  '1  muso  a  guisa  porta. 
Che  '1  bracco  suol,  quando  entra  in  su  la 

[traccia. 
Tutti  che  lo  veggiam,  con  faccia  smorta 
In  fuga  andamo  ove  il  timor  ne  caccia. 
Poco  il  veder  lui  cieco  ne  conforta, 
Quando,  fiutando  sol,  par  che  più  faccia, 
Ch'altri  non  ta,  ch'abbia  odorato  e  lume: 
E  bisogno  al  tuggire  eran  le  piume. 
32 

Corron  chi  qua,  chi  là;  ma  poco  lece 
Da  lui  fuggir,  veloce  più  che  '1  Noto. 
Di  quaranta  persone,  a  pena  diece 


28.  7.  Se  ritr.,  per  vedere  se  r.  V.  e.  xii, 
S7,  n.  6. 

29.  3.  l'Orco.  Questa  figura  è  già  trat- 
teggiata dal  Boiardo,  Inn.  Ili,  ih,  che  la 
tolse  dalle  fiabe  popolari  e  l' arricchì  a 
spese  del  Polifemo  Omerico  e  Virgiliano. 
L' A.  prende  diversi  tratti  dal  Boiardo,  ma 
si  attiene  più  da  vicino  a  Omero,  Odiss. 
lib.  IX. 

30. 1.  Non  gli  può  e.  ecc.  Non  può  apparire 
in  lui.  Modo,  nota  il  Nisiely,  assai  strano. 
Si  può  anche  intendere  cotnparire  per  far 
comparsa^  far  buoita  mostra  :  la  lunghez- 
za non  gli  fa  comparsa.  Innam.  Ili,  hi  2S: 
■«  Grande  non  è,  ma  per  sei  altri  è  grosso  ». 

—  4.  Sotto  1.  fr.  Innam.  1.  e.  28,  5:  «In 
loco  d'  occhi  ha  due  coccole  d'  osso  ». 

—  7.  Mostra  ecc.  lanatn.  1.  e.  38,  5:  «I 
denti  ha  fuor  di  bocca  come  il  porco  ». 

31.  2.  quando  ent.  ecc.  ;  quando  trova  la 
traccia  delta  fiera  e  vi  si  mette  dietro,  spor- 
gendo il  muso  e  odorando. 

—  8.  E  bisogno  ecc.  ;  e  per  fuggire  eran 
bisogno,  eran  necessarie  le  ali. 

32.  2.  Noto.  V.  e.  VI,  42,  n.  3. 


Sopra  il  navilio  si  salvaro  a  nuoto. 
Sotto  il  braccio  uu  fastel d'alcuni  fece; 
Né  il  grembo  si  lasciò  né  il  seno  voto  : 
Un  suo  capace  zaino  empissene  anco, 
Che  gli  pendea,  come  a  pastor,  dal  fianco. 
33 

Portocci  alla  sua  tana  il  mostro  cieco. 
Cavata  in  lito  al  mar  dentr'uno  scoglio. 
Di  marmo  cosi  bianco  è  quello  speco. 
Come  esser  soglia  ancor  non  scritto  foglio. 
Quivi  abitava  una  matrona  seco, 
Di  dolor  piena  in  vista  e  di  cordoglio; 
Et  avea  in  compagnia  donne  e  donzelle 
D'ogni  età,  d'ogni  sorte,  e  brutte  e  belle. 
34 

Era  presso  alla  grotta  in  ch'egli  stava. 
Quasi  alla  cima  del  giogo  superno. 
Un'altra  non  minor  di  quella  cava, 
Dove  del  gregge  suo  facea  governo. 
Tanto  ii'avea,  che  non  si  numerava; 
E  n'era  egli  il  pastor  l'estate  e  '1  verno. 
Ai  tempi  suoi  gli  apriva,  e  tenea  chiuso 
Per  spasso  che  n'avea,  più  che  per  uso. 
35 

L'umana  carne  meglio  gli  sapeva; 
E  prima  il  fa  veder  ch'all'antro  arrivi; 
Che  tre  de'  nostri  giovini  ch'aveva. 
Tutti  li  mangia,  anzi  trangugia  vivi. 
Viene  alla  stalla,  e  un  gran  sasso  ne  leva: 
Ne  caccia  il  gregge,  e  noi  riserra  quivi. 
Con  quel  sen  va  dove  il  suol  far  satollo. 
Sonando  una  zampogna  ch'avea  in  collo. 


—  4.  navilio,  nave.  V.  e.  xx,  41,  n.  5. 

33.  2.  in  lito  a.  m.  Espressione  fatta  sulla 
più  comune:  in  riva  al  mare:  cosi  al  e. 
XX,  22. 

—  4.  Come...  soglia.  Regolami,  ci  vuole 
l'indie;  ma  qui  ha  influito  forse  sul  co- 
strutto T  altra  espressione  comune  :  come 
sia,  quasi  sia  un  foglio  ancora  non  scritto. 

—  5.  Quivi  ecc.  V  Orco  del  Boiardo  è 
solo,  solo  è  Polifemo.  L'a.,  osserva  il  Raina, 
deve  aver  tolto  questo  particolare  pietoso 
dai  racconti  popolari,  che  danno  spesso  di 
queste  infelici  e  buone  compagne  all'Orco. 

—  S.  d'  ogni  sorte,  d'  Ogni  condizione. 

34.  2.  giogo  sup.;  alto  scoglio. 

—  7.  Ai  tempi  s.;  a  SUO  tempo;  a  tempo 
opportuno,  si  disse  anche  ai  suoi  tempi. 
—  gli  apriva.  Più  comunem.  si  disse  e  si 
dice  aprire  il  gregge;  ma  -anche  al  gregge, 
souintendendo  la  stalla. 

—  8.  per  U30,  per  l'usanza  seguita  dai 
pastori. 

35.  1.  meglio  gli  sap.;  gli  sapeva  miglior.", 
avea  per  lui  miglior  sapore. 

—  8.  in  collo;  al  collo,  appesa  al  e.  Non 
è  frequente.  SiGOLi,  Viagg.  al  Monte  Sinai, 
42:  «  \  costui  fu  messo  un  asciugamano  in 
collo  ». 


20G 


ORLANDO  FURIOSO 


11  Signor  nostro  in  tanto  ritornato 
Alla  marina,  il  suo  danno  comprende; 
Che  trova  jrran  silenzio  in  ogni  lato, 
Voti  frascati,  padiglioni  e  tende. 
Né  sa  pensar  chi  si  Tahbia  rubato; 
E  pien  di  gran  timore  al  lito  scende. 
Onde  i  nocchieri  suoi  vede  in  disparte 
Sarpar  lor  ferri,  e  in  opra  por  le  sarte. 
37 

Tosto  ch'essi  lui  veggiono  sul  lito. 
Il  palischermo  mandano  a  levarlo  : 
Ma  non  si  tosto  ha  Norandino  udito 
1)6  l'Orco  che  venuto  era  a  rubarlo. 
Che,  senza  pili  pensar,  piglia  partito, 
Dovunque  andato  sia,  di  seguitarlo. 
Vedersi  tór  Lucina  si  gli  duole, 
Ciro  racqnistarla,  o  non  più  viver  vuole. 

y,s 

Dove  vede  apparir  lungo  la  sabbia 
La  fresca  orma,  ne  va  con  quella  fretta 
Con  che  lo  spinge  l'amorosa  rabbia, 
Fin  che  giunge  alla  tana  ch'io  v'ho  detta, 
Ove  con  tema  la  maggior  che  s'abbia 
A  pi'tir  mai,  l'orco  da  noi  s'aspetta. 
Ad  Jgni  suono  di  sentirlo  parci. 
Ch'affamato  ritorni  a  divorarci. 
39 

Quivi  Fortuna  il  Re  da  tempo  guida. 
Che  senza  l'Orco  in  casa  era  la  moglie. 
Come  ella  '1  vede:  Fuggine,  gli  grida: 
Misero  te,  se  l'Orco  ti  ci  coglie! 
Coglia  (disse)  o  non  coglia,  o  salvi  o  uccida, 
Che  miserrimo  i'  sia  non  mi  si  toglie. 
Disir  mi  mena,  e  non  error  di  via, 
C  ho  di  morir  presso  alla  moglie  mia. 


40 

Poi  segui,  dimandandole  novella 
Di  quei  che  prese  l'Orco  in  su  la  riva; 
Priina  degli  altri,  di  Lucina  bella. 
Se  l'avea  morta,  o  la  tenea  captiva. 
La  donna  umanamente  gli  favella, 
E  lo  conforta,  che  Lucina  è  viva, 
E  che  non  è  alcun  dubbio  eh'  ella  rauora; 
Che  mai  femina  l'Orco  non  divora. 
41 

Esser  di  ciò  argumento  ti  poss'io, 
E  tutte  queste  donne  che  son  meco: 
Né  a  me  né  a  lor  mai  l'Orco  è  stato  rio. 
Pur  che  non  ci  scostiàn  da  questo  speco. 
A  chi  cerca  fuggir,  pon  grave  fio  ; 
Né  pace  mai  puon  ritrovar  più  seco  : 
O  le  sotterra  vive,  o  l'incatena, 
O  fa  star  nude  al  sol  sopra  l'arena. 
42 

Quando  oggi  egli  portò  qui  la  tua  gente. 
Le  temine  dai  maschi  non  divise; 
Ma,  si  come  gli  avea,  confusamente 
Dentro  a  quella  spelonca  tutti  mise. 
Sentirà  a  naso  il  sesso  differente; 
Le  donne  non  temer  che  sieno  uccise  : 
Gli  uomini,  Siene  certo  ;  et  empieraune 
Di  quattro,  il  giorno,  o  sei  l'avide  canne. 
43 

Di  levar  lei  di  qui  non  ho  consiglio 
Che  dar  ti  possa;  e  contentar  ti  puoi, 
Che  ne  la  vita  sua  non  è  periglio: 
Starà  qui  al  ben  e  al  mal  eh' avremo  noi. 
Ma  vattene,  per  Dio,  vattene,  figlio. 
Che  l'Orco  non  ti  senta  e  non  t'ingoi. 
Tosto  che  giunge,  d'ognintorno  annasa, 
E  sente  sin  a  un  topo  che  sia  in  casa. 


36.  4.  frascati,  coperte  fatte  di  frasche, 
aperte  ai  lati  e  perciò  differenti  dalle  ca- 
panne. 

—  5.  rubato,  derubato  della  sua  donna. 
V.  e.  XV,  58,  n.  8. 

—  7.  in  disparte;  in  lontananza;  uso  ana- 
logo, ma  differente  da  quel  del  Petr.  Canz. 
Italia  mia  ;  «  e  'n  disparte  (fuori  d' Italia) 
Cercar  gente  »  ed  ugualmente  nuovo. 

—  8.  sarpar  1.  ferri;  Oggi  più  comunem. 
Salpare,  senz'  altro.  È  neutro  e  transitivo. 
BUONARROTI.  Fiera  3,  2,  13:  «  Sarpa  tu  'l 
ferro»,  cioè  le  ancore  —  sarte,  sartie.  Già 
Dante,  Inr.,  21,  14.  j 

38.  5.  8'  abbia  a.  p.  ;  si  possa  patir.  V.  e.  ' 
XVI,  18,  n.  6. 

39.  1.  da  tempo,  nel  tempo.  Ha  per  corre-  , 
lativo  il  seguente  che.  Cosi  anche  al  c.xvni. 
17.  I  vocab.  non  citano  questo  modo.  Forse 
è  da  raffrontare  colle  espressioni  di  tempo: 
da  priì, laverà  x\,  65,  2;  da  mezzo  giorno^ 
xi.vi.  79,  2.  Più  comunem.  si  usa  nel  tempo 
che.  V.  e.  XVII,  lls,  7.  I 


40.  6.  lo  conf.,  che;  lo  conf.  dicendogli  che. 

—  8.  Che  mai  ecc.  Nota  il  Barotti  :  «  Ame- 
rigo Vespucci  nella  lettera  a  Lorenzo  dei 
Medici  intorno  al  suo  secondo  viaggio  dice 
che  certi  popoli,  eh'  egli  chiama  camballi 
(cannibali)  o  tutti  o  la  maggior  parte  vi- 
vono di  carne  umana,  ma  non  mangiano 
femmina  nessuna  ».  Forse  la  voce  diffusa 
giunse  fino  all'  A. 

41.  1.  argumento,  (lat.  argumentum) 
prova. 

—  4.  scostiàn.  V.  e.  IX,  43,  n.  8. 

—  5.  fio;  tributo  penale.  È  significato  af- 
fine a  quello  dell'espressione  pagare  il  ft^o, 
ma  più  determinato.  Per  questa  locuzione 
si  cita  solamente  il  luogo  dell' A.  V.  e.  xxvii, 
119,  3. 

—  6.  puon.  V.  e.  X,  61,  n.  6. 

42.  5  a  naso,  col  naso.  Cfr.  i  modi  simili 
a  mano,  a  vela,  a  piedi  ecc. 

—  7.  Siene;  siine.  V.  e.  xiii,  52,  n.  2. 

43.  1.  Di  levar.  È  complem.  di  limitazione  : 
qitanto  a  levar  lei  di  qvA,  V.  e.  vii,  10,  n.  0. 

—  S.  sin  a  nn  t.  V.  e.  Il,  2S,  n.  S. 


CANTO  XVII 


207 


44 
Risponde  il  Re,  non  si  voler  partire, 
Se  non  vedea  la  sua  Lucina  prima; 
E  che  pili  tosto  appresso  a  lei  morire, 
Che  viverne  lontan,  taceva  stima. 
Quando  vede  ella  non  potergli  dire 
Cosa  che  '1  muova  da  la  voglia  prima, 
Per  aiutarlo  fa  nuovo  disegno,      [gegno. 
E  ponvi  ogni  sua  industria,  ogni  suo  in- 
45  [pese. 

Morte  avea  in  casa,  e  d'ogni  tempo  ap- 
Con  lor  mariti,  assai  eapre  et  agnelle. 
Onde  a  sé  et  alle  sue  facea  le  spese; 
E  dal  tetto  pendea  più  d'una  pelle. 
La  donna  fé'  che  '1  Re  del  grasso  prese, 
Ch'avea  un  gran  becco  intorno  alle  budella 
E  che  se  n'unse  dal  capo  alle  piante, 
Fin  che  l'odor  cacciò  ch'egli  ebbe  inante. 
46 
E  poi  che  '1  tristo  puzzo  aver  le  parve. 
Di  che  il  fetido  becco  ognora  sape, 
Piglia  l'irsuta  pelle,  e  tutto  entrarve 
Lo  fé'  ;  ch'ella  è  si  grande  che  lo  cape. 
Coperto  sotto  a  cosi  strane  larve, 
Facendol  gir  carpon,  seco  lo  rape  I 

Là  dove  chiuso  era  d'un  sasso  grave 
De  la  sua  donna  il  bel  viso  soave. 
47 
Norandino  ubidisce;  et  alla  buca 
De  la  spelonca  ad  aspettar  si  mette, 
Acciò  col  gregge  dentro  si  conduca; 
E  fin  a  sera  disiando  stette. 
Ode  la  sera  il  suou  de  la  sambuca. 
Con  che  'nvita  a  lassar  l'umide  erbette, 
E  ritornar  le  pecore  all'albergo 
Il  tìer  pastor  che  lor  venia  da  tergo. 
48 
Pensate  voi,  se  gli  tremava  il  core, 
Quando  l'Orco  senti  che  ritornava, 
E  che  '1  viso  crudel  pieno  d'orrore 
Vide  appressare  all'uscio  de  la  cava: 


44.  4.  faceva  stima,  faceva  disegno,  pen- 
sava. Casa,  Leu.  215:  «Avrei  caro  sapere 
se  V.  s.  fa  stima  d'  andare  a  Corte  ». 

45.  3.  alle  sue.;  Sottiut.  donne. 

46.  1.  aver  le  parve;  le  parve  che  avesse 
;V.  e.  I,  48,  n.  4. 

—  2.  di  che...  sape.  Sulle  locuz.  comun 
saper  odore,  saper  di  mille  odori  è  fog 
giata  questa  saper  di  puzzo,  mandar  puzzo 

—  5.  larve.  11  Buti,  commento  a  Dante 
Purg.  15,  129  :  «  Larva  significa  vesta  con 
traffatta  come  si  vestono  gli  uomini,  che 
non  vogliono  esser  conosciuti  ». 

—  6.  rape.  La  forma  rapere  è  poetica  an- 
che negli  antichi. 

—  7.  d'  nn,  con  un. 

.  47.  5.  sambuca  (gr.  sambvke)    strumento 
pastorale  da  fiato. 

48.  3.  E  che,  e  quando.  V.c.  iv,  60,  5. 


Ma  potè  la  pietà  più  che  'I  timore. 
S  ardea,  vedete,  o  se  fingendo  amava. 
Vien  l'Orco  inanzi,  e  leva  il  sasso,  et  apre: 
JNorandino  entra  fra  pecore  e  capre. 
4» 

Entratoilgregge,rOrcoanoi  descende  ; 
Ma  prima  sopra  sé  l'uscio  si  «hiude. 
Tutti  ne  va  fiutando:  al  fin  duo  prende; 
Che  vuol  cenar  de  le  lor  carni  crude. 
Al  rimembrar  di  quelle  zanne  orrende, 
Aon  posso  far  ch'ancor  non  trieine  e  sude 
Partito  l'Orco,  il  Re  getta  la  gonna 
Ch  avea  di  becco,  e  abbraccia  la  sua  donna. 
50 
Dove  averne  piacer  deve  e  conforto 
(  Vedendol  quivi),  ella  n'  ha  affanno  e  noia  • 
j  Lo  vede  giunto  ov'  ha  da  restar  morto  ; 
!  E  non  può  far  però  ch'essa  non  muoia. 
Con  tutto  '1  mal(diceagli)  ch'io  supporto, 
bignor,  sentia  non  mediocre  gioia. 
Che  ritrovato  non  t'eri  con  nui. 
Quando  da  l'Orco  oggi  qui  tratta  fui. 
51 
Che  se  ben  il  trovarmi  ora  in  procinto 
D  uscir  di  vita,  m'era  acerbo  e  forte; 
Pur  mi  sarei,  come  è  commune  instinto, 
Doghuta  sol  de  la  mia  trista  sorte: 
Ma  ora,  o  prima  o  poi  che  tu  sia  estinto, 
Più  mi  dorrà  la  tua,  che  la  mia  morte. 
E  seguitò,  mostrando  assai  più  affanno 
Di  quel  di  Norandin,  che  del  suo  danno. 
52 
La  speme  (disse  il  Re)  mi  fa  venire, 
C  ho  di  salvarti,  e  tutti  questi  teco  : 
E  s'io  noi  posso  far,  meglio  è  morire. 
Che  senza  te,  mio  Sol,  viver  poi  cieco. 
Come  io  ci  venni,  mi  potrò  partire; 
E  voi  tutt' altri  ne  verrete  meco, 
Se  non  avrete,  come  io  non  ho  avuto, 


—  5.  potè.  V.  e.  VII,  52,  4.  La  Principe 
ha  puote. 

49.  6.  trieme,  sude.  Questa  terminazione 
della  1'  e  3*  pers.  cong.  della  1*  coniug.  in 
antico  si  trova  anche  in  prosa;  ora  è  solo 
poetica. 

—  7.  gonna;  Per  veste  in  generale  l'usò 
già  il  Petr.  I,  canz.  4.  34;  e  Dante,  Par. 
32,  IJl  :  «  com'  egli  ha  del  panno  fa  la 
gonna  ». 

51.  2.  acerbo  e  forte;  aspro  e  duro.  Petr. 
I,  canz.  35,  73  :  «  oh  mia  forte  ventura,  a 
che  m'  adduce!  ». 

—  4.  Doglinta,  doluta.  Dall'  antico  doglie- 
re,  che  ora  si  usa  soltanto  in  poesia  e  in 
alcune  pers.  dell'indicativo  e  sogg. 

52.  4.  Senza  te  ecc.  Concettino  comune 
nella  poesia  petrarchesca. 

—  6.  voi  tutt'  altri;  Trasposizione  non  co- 
mune. Comunem.  tutti  voi  altri,  o  voi  al- 
tri tutti. 


208 


ORLANDO  FURIOSO 


Schivo  a  pigliar  odor  d'animai  bruto. 

53  [naso 

La  fraude  insegnò  a  noi,  che  contra  il 
De  rOrco  insegnò  a  lui  la  moglie  d'esso; 
Di  vestirci  le  pelli,  in  ogni  caso 
Ch'egli  ne  palpi  ne  T  uscir  del  fesso. 
Poi  che  di  questo  ognun  fu  persuaso; 
Quanti  de  l'un,  quanti  de  l'altro  sesso 
Ci  ritroviamo,  uccidiàn  tanti  becchi, 
Quelli  che  più  fetean,  ch'eran  più  vecchi. 
54 
Ci  ungemo  i  corpi  di  quel  grasso  opimo 
Che  ritroviamo  all'intestina  intorno, 
E  de  l'orride  pelli  ci  vestimo: 
In  tanto  usci  da  l'aureo  albergo  il  giorno. 
Alla  spelonca,  come  apparve  il  primo 
Raggio  del  sol,  fece  il  pastor  ritorno; 
E  dando  spirto  alle  sonore  canne. 
Chiamò  il  suo  gregge  fuor  de  le  capanne. 
55 
Tenea  la  mano  al  buco  de  la  tana, 
Acciò  col  gregge  non  uscissin  noi: 
Ci  prendea  al  varco;  e  quando  pelo  o  lana 
Sentia  sul  dosso,  ne  lasciava  poi. 
Uomini  e  donne  uscimmo  per  si  strana 
Strada,  coperti  dagl'irsuti  cuoi  : 
E  l'Orco  alcun  di  noi  mai  non  ritenne, 
Fin  che  con  gran  timor  Lucina  venne. 
56 
Lucina,  o  fosse  perch'ella  non  volle 
Ungersi  come  noi, che  schivo  n'ebbe; 
O  ch'avesse  l'andar  più  lento  e  molle, 
Che  l'imitata  bestia  non  avrebbe; 
O  quando  l'Orco  la  groppa toccolle, 
Gridasse  per  la  tema  che  le  accrebbe  ; 
O  che  se  le  sciogliessero  le  chiome; 
Sentita  fu,  né  ben  so  dirvi  come. 
^  57 

Tutti  eravam  si  intenti  al  caso  nostro. 
Che  non  avemmo  gli  occhi  agli  altrui  fatti. 
Io  mi  rivolsi  al  grido;  e  vidi  il  mostro 

—  8.  Schivo,  schifo.  V.  e.  vii,  71,  n.  8. 
53.  8.  fetean  ;  Da  fètere  usato  soltanto  nel 

pres.  è  imperfet.  indicai.;  e  oggi   soltanto 
in  poesia. 

54. 1.  ungemo  e  più  sotto  vesthno.  V.  st.  27, 

n.  6. 

—  2.  intestina  e  intestini  usarono  al  plu- 
rale gli  antichi. 

—  7.  dando  spirto  ecc.;  dando  fiato  alla 
sambuca. 

—  8.  capanne.  Qui  è  detto  con  estensione 
di  significato  per  il  luogo,  ove  stava  il  greg- 
ge. Era  propriamente  una  caverna. 

55.  2.  uscissin,  uscissim,  uscissimo.  V.  e. 
IX,  43,  n.  S. 

—  3.  pelo  0  lana,  pelo  delle  capre,  lana 
delle  pecore, 

56.  6.  1«  accrebbe,  le  crebbe.  V,  e.  xvi, 
28,  n.  3. 


Che  già  gl'irsuti  spogli  le  avea  tratti, 
E  fattola  tornar  nel  cavo  chiostro. 
Noi  altri  dentro  a  nostre  gonne  piatti 
Col  gregge  andamo  ove  '1  pastor  ci  mena, 
Tra  verdi  colli  in  una  piaggia  amena. 

58  [bra 

Quivi  attendiamo  infin  che  steso  all'om- 
D'un  bosco  opaco  il  nasuto  Orco  dorma. 
Chi  lunffo  il  mar,  chi  verso '1  monte  sgom- 

[bra: 
Sol  Norandin  non  vuol  seguir  nostr'orma. 
L'amor  de  la  sua  donna  si  lo  'ngombra, 
Ch'alia  grotta  tornar  vuol  fra  la  torma. 
Né  partirsene  mai  sin  alla  morte, 
Se  non  racquista  la  fedel  consorte: 
59 
Che  quando  dianzi  avea  all'uscir  del 
Vedutala  restar  captiva  sola,         [chiuso 
Fu  per  gittarsi,  dal  dolor  confuso, 
Spontaneamente  al  vorace  Orco  in  gola: 
E  si  mosse,  e  gli  corse  infino  al  muso, 
Né  fu  lontano  a  gir  sotto  la  mola: 
Ma  pur  lo  tenne  in  mandra  la  speranza, 
Ch'avea  di  trarla  ancor  di  quella  stanza. 
60 
La  sera,  quando  alla  spelonca  mena 
Il  gregge  l'Orco,  e  noi  fuggiti  sente, 
E  e' ha  da  rimaner  privo  di  cena. 
Chiama  Lucina  d'ogni  mal  nocente, 
E  la  condanna  a  star  sempre  in  catena 
Allo  scoperto  in  sul  sasso  eminente. 
Vedela  il  Re  per  sua  cagion  patire; 
E  si  distrugge,  e  sol  non  può  morire. 
61 
Matlna  e  sera  l'infelice  amante 
La  può  veder  come  s'affligga  e  piagna; 
Che  le  va  misto  fra  le  capre  avante, 


57.  4.  spogli.  Spoglio  per  spoglia  è  fre- 
quente negli  antichi,  ma  poetico. 

—  5.  fattola.  Per  questo  participio  asso- 
luto cfr.  e.  v,  58,  n.  5.  —  chiostro  {claustrum, 
luogo  chiuso)  la  tana  dell'Orco. 

—  6.  piatti;  nascosti;  cosi  anche  al  e. 
XIX,  27.  È  usato  spesso  dagli  antichi.  Dan- 
te, Inf.  19,  Tó  :  «  Per  la  fessura  della  pietra 
piatti». 

—  7.  andamo.   V.  st.  27,  6. 

58.  3.  sgombra  ;  va.  fugge.  Tra  i  molti  si- 
gnificati di  sgombrare,  questo  manca  o  è 
mal  dichiarato  nei  vocabolari. 

59.  1.  avea...  vedutala;  T  avea  veduta.  V. 
e.  I,  47,  n.  6. 

—  u.  mola,  macina  :  i  denti  dell'Orco. 

60.  4.  nocente;  colpevole.  V.  e.  v,  63,  n.  5. 

—  8.  sol  ;  da  solo,  lasciando  in  vita  Lue. 
Il  desiderio  di  salvarla  lo  tiene  in  vita  suo 
malgrado. 

61.  1.  Matina.  L'A.  usa  sempre  questa 
I  forma  più  vicina  al  latino  'matutina,  e 
!  molto  amata  dagli  antichi. 


CANTO  XVII 


209 


Torni  alla  stalla,  o  torni  alla  campagna. 
Ella  con  viso  mesto  e  supplicante 
Gli  accenna  che  per  Dio  non  vi  rimag:na, 
Perché  vi  sta  a  gran  rischio  de  la  vita, 
Né  però  a  lei  può  dare  alcuna  aita. 

Cosi  la  moglie  ancor  de  l'Orco  priega 
Il  Re,  che  se  ne  vada;  ma  non  giova; 
Che  d'andar  mai  senza  Lucina  niega, 
E  sempre  più  constante  si  riti'ova. 
In  questa  servitude,  in  che  lo  lega 
Pietate  e  Amor,  stette  con  lunga  prova 
Tanto,  eh' a  capitar  venne  a  quel  sasso 
Il  figlio  d'Agricane  e  '1  Re  Gradasso. 

6.3 
Dove  con  loro  audacia  tanto  fenno, 
Che  liberaron  la  bella  Lucina; 
Ben  che  vi  fu  avventura  più  che  senno  : 
E  la  portar  correndo  alla  marina; 
E  al  padre  suo,  che  quivi  era,  la  denno: 
E  questo  fu  ne  l'ora  raatutina, 
Che  Norandin  con  l'altro  gregge  stava 
A  ruminar  ne  la  montana  cava. 

64 
Ma  poi  che  '1  giorno  aperta  fu  la  sbarra, 
E  seppe  il  Re  la  Donna  esser  partita 
(Che  la  moglie  de  l'Orco  gli  lo  narra), 
E  come  a  punto  era  la  cosa  gita; 
Grazie  a  Dio  rende,  e  con  voto  n'  inarra, 
Ch'essendo  fuor  di  tal  miseria  uscita, 
Faccia  che  giunga  onde  per  arme  possa. 
Per  prieghi  o  per  tesoro  esser  riscossa. 


65 


Pien  di  letizia  va  con  l'altra  schiera 
Del  Simo  gregge,  e  vien  ai  verdi  paschi  ; 
E  quivi  aspetta  fin  ch'all'ombra  nera 
Il  mostro  per  dormir  ne  l'erba  caschi. 
Poi  ne  vien  tutto  il  giorno  e  tutta  sera- 
fi  al  fin  sicur  che  l'Orco  non  lo  'ntaschi' 
Sopra  un  navilio  monta  in  Satalia; 
E  sontre  mesi  ch'arrivò  in  Soria. 
66 

In  Rodi,  in  Cipro,  e  per  città  e  castella 
E  d  Africa  e  d'Egitto  e  di  Turchia, 
Il  Re  cercar  fé'  di  Lucina  bella; 
Né  fin  l'altrieri  aver  ne  potè  spia. 
L'altrier  n'ebbe  dal  suocero  novella, 
Che  seco  l'avea  salva  in  Nicosia, 
Dopo  che  molti  di  vento  crudele 
Era  stato  contrario  alle  sue  vele. 
67 

Per  allegrezza  de  la  buona  nuova 
Prepara  il  nostro  Re  la  ricca  festa; 
E  vuol  ch'ad  ogni  quarta  Luna  nuova. 
Una  se  n'abbia  a  far  simile  a  questa: 
Che  la  memoria  ri  trescar  gli  giova 
Dei  quattro  mesi  che  'n  irsuta  vesta 
Fu  tra  il  gregge  de  l'Orco;  e  un  giorno, 
Sara  dimane,  usci  di  tanto  male,     [quale 
68 

Questo  ch'io  v'ho  narrato,in  parte  vidi, 
In  parte  udì'  da  chi  trovossi  al  tutto; 
Dal  Re,  vi  dico,  che  caieude  et  idi 


62.  3.  niega.  Ha,  come  il  latino  negare, 
il  significato  di  dice  di  non;  cosi  al  e.  x, 
SS,  8,  e  cosi  spesso  nella  lingua  letteraria. 

—  8.  Il  f.  d'Ag.,  Mandricardo.  V.  Innam. 
IH,  III. 

63.  3.  vi  fu  avventura.  L'  Orco  cadde  per 
caso  in  un  burrone,  e  cosi  Maudricardo  se 
ne  liberò,  v.  inn.  IH,  in,  48. 

—  5.  denno  ;  diedero.  È  forma  popolare 
analoga  ad  a.monno  per  amarono  ;  par- 
Unno -^qv  partirono;  vive  ancora  nel  vol- 
go, in  qualche  luogo  di  Toscana.  Già  il 
Petr.  ir,  son.  31  :  «  che  al  corso  del  mio 
viver  lume  denno  ».  V.  e.  xx,  105,  n.  4. 

—  8.  a  ruminar.  Le  bestie  ruminano  l'erba, 
egli  ruminava  i  propri  pensieri.  —  montana 
cava,  caverna  montana.  V.  e.  ii,  71, 

64.  1.  la  sbarra;  Qui  sta  per  c/imswra  in 
genere.  V.  e.  xxiv,  no.  Dante,  Partj.  33, 
42,  ha  sbarra  per  impediìnento. 

—  5.  n' Inarra.  La  Crusca  e  il  Tommaseo 
intendono  :  col  voto  impegna  Dio  che  fac- 
cia ecc.  Il  Tommaseo  però  nota:  «  non  c'è 
chiara  ragione  del  ne  ».  Meglio  intendere 
col  Bolza  ne  implora;  sebbene  di  questo 
significato  non  si  citi  altro  esempio.  L'  A. 
l'usò  anche  nel  e.  xxiv,  no,  5;  dove  mal 
si  potrebbe  intendere  come  vuole  la  Crusca. 

AmosTo  —  Papini 


0.5.  I.  con  l'altra  schiera;  col  rimanente 
della  schiera.  V.  e.  vu,  51.  n.  s.  Si  rammenti 
che  Norandino  era  camufTato  da  becco. 

—  2.  Simo;  (lat.  simus)  si  disse  propr.  di 
pecore  e  capre,  e,  per  estensione,  anche  di 
uomini.  Vale:  che  ha  il  naso  schiacciato. 

—  3.  0.  nera;  o.  fitta  del  bosco. 

—  5.  ne  vien,  ne  va,  cammina. 

—  6.  lo  'ntaschi  ;  lo  ponga  nel  capace 
zaino,  di  cui  alla  st.  32. 

—  7.  Satalia;  Più  comunem.  Atalia;  città 
e  golfo  dell'AnJitolia  (Turchia  d'Asia). 

66.  4.  fin  l'altrieri.  Fino  più  Comunem 
si  costruisce  colla  prepos.  a  e  anche  in, 
presso;  raramente  senza  preposiz. 

—  5.  L'altrier  ecc.  Veramente  significa 
ierlaltro;  ma  qui  deve  intendersi  alcuni 
giorni  addietro,  perché  in  un  giorno  No- 
randino non  avrebbe  potuto  preparar  tante 
feste  e  invitare  alla  giostra  il  pagano  e  il 
pellegrino.  Cosi  1'  usò  Dante,  Purg.  xxm, 
119;  e  cosi  usa  comunem.  il  popolo  toscano 
l'altro  giorno. 

67.  7.  quale  ecc.  ;  T  ultimo  giorno  dei 
quattro  mesi,  come  è  appunto  domani. 

68.  3.  calende  et  idi;  mesi  interi.  Presso 
i  Romani  le  calende  cadevano  il  primo  del 
mese,  gli  idi  il  13  o  il  15  secondo  i  mesi. 
Queste  due  parole  latine  usarono  spesso  i 


210 


ORLANDO  FURIOSO 


Vi  stette,  fin  che  volse  in  riso  il  lutto: 
E  se  n'udite  mai  far  altri  gridi, 
Direte  a  chi  gli  fa,  che  mal  n"è  instrutto. 
11  gentiluomo  in  tal  modo  a  Grifone 
De  la  festa  narrò  l'alta  cagione. 

60 
.  Un  gran  pezzo  di  notte  si  dispensa 
Dai  cavallieri  in  tal  ragionamento; 
E  conchindon  ch'amore  e  pietà  immensa 
Mostrò  quel  re  con  grande  esperimento. 
Andaron,  poi  che  si  levar  da  mensa, 
Ove  ebbon  grato  e  buono  alloggiamento. 
Nel  seguente  matin  sereno  e  chiaro 
Ai  suon  de  l'allegrezze  si  destaro. 

70 
Vanno  scorrendo  timpani  e  trombette, 
E  ragunando  in  piazza  la  cittade. 
Or,  poi  che  di  cavalli  e  di  carrette 
E  rimbombar  di  gridi  odon  le  strade, 
Grifon  le  lucide  arme  si  rimette. 
Che  son  di  quelle  che  si  trovan  rade; 
Che  l'avea  impenetrabili  e  incantate 
La  Fata  bianca  di  sua  man  temprate. 

71 
Quel  d'Antiochia,  più  d'ognaltro  vile, 
Arraossi  seco,  e  compagnia  gli  tenne. 
Preparate  avea  lor  l'oste  gentile 
Nerbose  lance,  e  salde  e  grosse  antenne, 
E  del  suo  parentado  non  umile 


nostri  scrittori;  l'A.  T  ha.  combinate  in  una 
locuzione  nuova,  con  nuovo  significato. 

—  5.  gridi;  racconto,  narrazione.  Per 
questo  signific.  si  cita  solo  questo  luogo 
dell'  A. 

69.  8.  s.  d.  V  allegrezze,  suono  (di  stru- 
'menti.  campane  ecc.)  proprio  dei  giorni  di 
allegrezza,  di  pubbliche  feste.  V.  e.  xxi, 
9,  6. 

70.  1.  vanno  se.  Il  soggetto  è  timpani  e 
tr. 

—  1.  odon.  Grifone  e  i  suoi  compagni. 

—  7.  impenetr.  e  ine.  Cosi  impenetr.  e 
ine.  com'erano,  le  avea  temprate  la  Fata  b. 

71.  1.  Q.  d'Antiochia;  Martano. 

—  3.  oste;  ospite.  I  vocabol.  citano  solo 
esempi  del  significato  chi  alberga  ijer  da- 
nari; la  N.  Crusca  citerà  certo  a  suo  tem- 
po questo  luogo  dell'A.  e  1'  altro  del  Tasso, 
Ger.  9,  4:  «  oste  gli  fu  magnanimo  e  cor- 
tese». È  uso  latino:  Servio  in  Vino.  En. 
4,  424:  «  Nonnulli  iuxta  veteres  hostem  prò 
hospite  dictum  accipiunt  ». 

—  4.  lance...  antenne  ;  Le  lance  sono  più 
leggere  delle  antenne;  ma  indicano  lo  stesso 
oggetto.  Spesso  le  due  parole  si  scambiano. 
Cosi  il  Salvim,  11.  in,  561,  traduce  la  stessa 
parola  omerica  una  volta  lancia  una  volta 
antenna  nel  medesimo  periodo. 

—  5.  non  u.  comp.  Alle  giostre,  ai  duelli  i 
fcavalieri  solevano  andare  con  un  seguito 


Compagnia  tolta  ;  e  seco  in  piazza  venne  ; 
E  scudieri  a  cavallo,  e  alcuni  a  piede, 
A  tal  servigi  attissimi,  lor  diede. 

72  [sparte 

Giunsero  in  piazza,  e  trassonsi  in  di- 
Né  pel  campo  curar  far  di  sé  mostra. 
Per  veder  meglio  il  bel  popol  di  Marte, 
Ch'aduno,oa  dna,  o  a  tre  veniano  in  gio- 
chi con  colori  acconipairnati  ad  arte,  [stra. 
Letizia  o  doglia  alla  sua  Donna  mostra; 
Chi  nel  cimier,  chi  nel  dipinto  scudo 
Disegna  Amor,  se  l'ha  benigno  o  crudo. 
73 

Soriani  in  quel  tempo  aveano  usanza 
D'armarsi  a  questa  guisa  di  Ponente. 
Forse  ve  gli  indncea  la  vicinanza 
Che  de' Franceschi  avean  continuamente, 
Che  quivi  allor  reggean  la  sacra  stanza 
Dove  in  carne  abitò  Dio  omnipotente; 
Ch'ora  i  superbi  e  miseri  Cristiani, 
Con  biasrao  lor,  lasciano  in  man  de'  cani. 
74 

Dove  abbassar  dovrebbono  la  lancia 
In  augumento  de  la  santa  Fede, 
Tra  lor  si  dan  nel  petto  e  ne  la  pancia 
A  destruzion  del  poco  che  si  crede. 
Voi,  gente  Ispana,  e  voi,  gente  di  Francia, 
Volgete  altrove,  e  voi,  Svizzeri,  il  piede, 
E  voi,  Tedeschi,  afarpiudegno acquisto; 
Che  quanto  qui  cercate  è  già  di  Cristo. 


più  0  meno  nobile  e  numeroso,  secondo  il 
loro  grado.  Allo  straniero  forniva  1'  ospite 
questo  seguito. 

72.  3.  pop.  di  Marte;  i  guerrieri  combat- 
tenti. 

—  4.  ad  uno  ecc.;  Le  giostre  come  i  duelli 
si  potevan  fare  fra  due,  come  fra  più,  ma 
in  numero  eguale  da  ambe  le  parti. 

—  !S.  Disegna;  mostra,  con  colori,  con 
fregi  o  altro,  Bocc.  nov.  35  :  «  E  disegna- 
tole il  luogo  dove  sotterrato  l'aveano  ».  Av- 
verti pure  una  certa  anticipazione  del  com- 
pleni.  Dovrebbe  dire:  disegua  se  ha  beni- 
gno o  crudo  amore.  Ed  è  maniera  comune 
del  parlar  familiare. 

73.  1.  Soriani.  Per  l' omissione  dell' artic. 
cfr.  e.  II,  15,  n.  8. 

—  5.  reggean.  Era  credenza  comune  nel 
JL  E.  che  Carlo  M.  (Franceschi,  Franchi) 
avesse  liberato  il  Santo  Sepolcro,  il  che  non 
è  vero.  V.  e.  xiv,  71,  n.  6. 

—  7.  i  snperbi  ecc.  Petr.  Tr.  Fama,  2, 
142:  «Ite  superbi,  o  miseri  cristiani.  Con- 
sumando 1'  un  r  altro  e  non  vi  caglia  Che 
il  Sepolcro  di  Cristo  è  in  man  de'  cani  ». 

74.  1.  del  poco  che  s.  e.  ;  del  poco,  che  an- 
cora è  creduto;  ossia  della  poca  fede  che  ri- 
mane. È  qui  r  astratto  fede  per  il  concreto 
fedeli,  credenti. 


CANTO  XVII 


211 


Se  Cristianissimi  emer  voi  volete, 
E  voi  altri  Cattolici  nomati, 
Perché  di  Cristo  gli  uomini  uccidete? 
Perché  de'  beni  lor  son  dispogliati  ? 
Perché  Gernsalem  non  riavete, 
Che  tolto  è  stato  a  voi  da  rinegati? 
Perché  Coustantinopoli,  e  del  mondo  [do? 
Li  miglior  parte  occupa  il  Turco  immon- 
70 

Xon  hai  tu,  .Spagna,  l'Africa  vicina. 
Che  t'ha  via  più  di  questa  Italfa  offesa  ? 
E  pur,  per  dar  travaglio  alla  meschina. 
Lasci  la  prima  tua  si  beila  impresa. 
O  d'ogni  vizio  fetida  sentina, 
Dormi,  Italia  imbriaca,  e  non  ti  pesa 
Ch'ora  di  questa  gente,  ora  di  quella 
Che  già  serva  ti  fu,  sei  fatta  ancella? 
77 

Se  '1  dubbio  di  morir  ne  le  tue  tane, 
Svizzer,  di  fame,  in  Lombardia  ti  guida, 
E  tra  noi  cerchi  o  chi  ti  dia  del  pane, 
O,  per  nscir  d'inopia,  chi  t'uccida; 
Le  ricchezze  del  Turco  hai  non  lontane: 
Cacciai  d'Europa,  o  alraen  di  Grecia  snida  : 
Cosi  potrai  o  del  digiuno  trarti, 
0  cader  con  più  mertoin  quelle  parti. 
78 

Quel  ch'a  te  dico,  io  dico  al  tuo  vicino 
Tedesco  ancor:  là  le  ricchezze  sono, 
Che  vi  portò  da  Koma  Costantino: 
Portonne  il  meglio,  e  fé'  del  resto  dono. 
Fattolo  et  Ermo,  onde  si  tra  l'or  fino, 


75.  1.  Cristianissimi.  Fu  titolo  dei  re  di 
Francia  dal  H69;  cattolici  fu  titolo  dei  re 
di  Spagna  da  quando  scacciarono  i  Mori 
di  Granata. 

—  6.  rinegati;  L' Islamismo  è  considerato 
quasi  come  uno  scisma  :  anche  Dante  pone 
Maometto  fra  gli  scismatici.  —  stato  tolto. 
Gerusalemme  è  fatta  maschile. 

76.  2.  Che  t'ha  ecc.  Gli  arabi  conquista- 
rono la  Spagna  nel  711  e  vi  tennero  domi- 
nio fino  al  sec.  xni.  Nel  1492  i  Mori  ne  fu- 
rono completamente  cacciati.  L'A.  accenna 
a  questo  nel  v.  4. 

77.  0.  cacciai  d'Europa;  I  Turchi  nella  se- 
conda metà  del  sec.  xv  e  nella  prima  del 
XVI  fecero,  specialmente  con  Maometto  II, 
con  Baiazet  e  con  Solimano,  estese  conqui- 
ste in  Europa  ;  e  sulla  Grecia  gravarono  più 
direttamente  la  mano.  —  snida,  snidalo. 

78.  4.  fé'  del  r.  d.  L' A.  mostra  di  cre- 
dere, come  Dante,  (Inf.  ly,  115)  alla  famosa 
donazione  fatta  da  Costantino  a  papa  Sil- 
vestro (314-336);  quantunque  il  Valla  avesse 
dimostrato  da  più  di  mezzo  secolo  che  era 
una  favola. 

—  5.  Pattalo  ...  Ermo;  Due  fiumi  della  Li- 
dia neir.\sia  minore  (ora  Sarabath  e  Ghe- 


Migdonia  e  Lidia,  e  quel  paese  buono 
Per  tante  laudi  in  tante  istorie  noto, 
Non  è,  s'andar  vi  vuoi,  troppo  remoto. 
79 

Tu,  gran  Leone,  a  cui  premon  le  terga 
De  le  chiavi  del  ciel  le  gravi  some. 
Non  lasciar  che  nel  sonno  si  sommerga 
Italia,  se  la  man  l'hai  ne  le  chiome. 
Tu  sei  Pastore;  e  Dio  t'ha  quella  verga 
Data  a  portare,  e  scelto  il  fiero  nome. 
Perché  tu  ruggi,  e  che  le  braccia  stenda. 
Si  che  dai  lupi  il  gregge  tuo  difenda. 
80 

Ma  d'un  parlar  ne  l'altro,  ove  son  ito 
Si  lungi  dal  cimin  ch'io  faceva  ora? 
Non  lo  credo  .  ero  si  aver  smarrito. 
Ch'io  non  lo  i  ippia  ritrovare  ancora. 
Io  dicea  ch'in  Sona  si  tenea  il  rito 
D'armarsi, che i  Franceschi aveano allora: 
Si  che  bella  in  Damasco  era  la  piazza 
Di  gente  armata  d'elmo  e  di  corazza. 
81 

Le  vaghe  donne  gettano  dai  palchi 
Sopra  i  giostranti  tìor  vermigli  e  gialli. 
Mentre  essi  fanno  a  suon  degli  oricalchi 
Levare  assalti,  et  aggirar  cavalli. 
Ciascuno,  o  bene  o  mal  ch'egli  cavalchi, 
Vuol  far  quivi  vedersi,  e  sprona  e  dalli  : 


;  diz  Ciai)  creduti  auriferi  dagli  antichi.  — 
i  tra,  trae.  V.  e.  xi,  12,  n.  5. 

—  6.  Migdonia.  Tre  erano  le  Migdouie; 
I  una  in  Macedonia,  l'altra  in Mesopotamia,  la 

terza  nella  Frigia  maggiore,  prossima  alla 
Lidia,  e  celebrata  per  la  sua  ricchezza. 
L'  A.  parla  di  questa.  —  quel  p.  buono;  Forse 
la  Palestina  o  Terra  promessa. 

79.  1.  Leone;  Leone  X.  Questo  luogo  deve 
essere  stato  aggiunto  dallW.  mentre  dava 
r  ultima  mano  al  poema.  Leone  assunse  il 
pontificato  nel  1513. 

—  2.  De  le  chiavi  ecc.  È  l' espressione  di 
Isaia,  22,  22:  «  Dabo  clavera  domus  David 
super  humerum  eius  ». 

—  4.  se,  poiché.  Cosi  l'usò  il  Pulci,  5,  iS,: 
«  Colui  correva  come  leopardo,  .'i.nzi  più 
forse  s'  egli  avea  Baiardo  ».  Uso  assai  raro. 
—  la  man.  Peti;,  canz.  Spirto  gentil  :•«  Fon 
mano  in  quella  venerabil  chioma  ».  —  l'hai, 
le  hai.  V.  e.  vii,  33,  n.  ^. 

—  7.  ruggi;  rugga.  V.  e.  xv.  So,  n.  5. 
81.  3.    a  suon  d.  o.  I  momenti   principali 

della  giostra  e  del  duello  erano  regolati  da 
suoni  di  tromba  dati  dall'  araldo  o  trom- 
betta (oricalco,  dal  gr.  oreichalkos,  ottone). 

—  4.  Levare  assalti.  L'  ediz.  del  '16  e  del 
'21  hanno  a  salti.  Levare  assalti  è  espres- 
sione nuova  e  ardita,  ma  d:\  l' immagine 
del  cavallo,  che  si  alza,  nel  dare  1'  assalto. 

—  6.  dalli  ;  gli  dà,  si  affatica  a  mostrarsi 
in  tutto  cavaliere  valente.  Bai^e  col  pronome 


212 


ORLANDO  FUEIOSO 


Di  ch'altri  ne  riporta  pregio  e  lode  ; 
Muove  altri  a  riso,  e  gridar  dietro  s'ode. 
82 

De  la  giostra  era  il  prezzo  un'  armatura 
Che  fu  donata  al  Re  pochi  di  inante, 
Che  su  la  strada  ritrovò  a  ventura, 
Ritornando  d'Armenia,  un  mercatante. 
Il  Re  di  nobilissima  testura 
Le  sopraveste  all'arme  aggiunse,  e  tante 
Perle  vi  pose  intorno  e  gemme  et  oro, 
Che  la  fece  valer  molto  tesoro. 
83 

Se  conosciute  il  Re  quell'arme  avesse, 
Care  avute  l'avria  sopra  ogni  arnese  ; 
Né  in  premio  de  la  giostra  l'avria  messe. 
Come  che  liberal  fosse  e  cortese. 
Lungo  saria  chi  raccontar  volesse 
Chi  l'avea  si  sprezzate  e  vilipese. 
Che  'n  mezzo  de  la  strada  le  lasciasse. 
Preda  a  chiunque  o  inanzi  o  indietro  an- 
84  [dasse. 

Di  questo  ho  da  contarvi  più  di  sotto  : 
Or  dirò  di  Grifon,  ch'alia  sua  giunta 
Un  paio  e  più  di  lancie  trovò  rotto. 
Menato  più  d'un  taglio  e  d'una  punta. 
Dei  più  cari  e  più  fidi  al  Re  fur  otto 
Che  quivi  insieme  avean  liga  congiunta; 
Gioveni,  in  arme  pratichi  et  industri, 
Tutti  0  Signori  o  di  famiglie  illustri. 
85 

Quei  rispondean  ne  la  sbarrata  piazza 


gli,  per  lo  più  proclitico,  significa  fare  con 
insistenza  una  o  più  azioni  già  accen- 
nate. 

82.  1.  prezzo,  premio,  come  talvolta  il 
pretium  dei  Latini.  L' A.  usò  più  sotto  in 
questo  senso  pregio  ;  V.  st.  97  e  130.  — 
nn'  armatura.  Sono  le  armi  di  Marfisa.  Il 
BOIARDO,  ir,  V,  41,  avea  detto  che  Marfisa 
derubata  della  spada  da  Brunello,  mentre 
stava  riposandosi  da  un  duello,  si  mette  a 
correr  dietro  ai  ladro,  ma  per  correr  più 
spedita  lascia  nella  strada  le  armi  (II,  xvi, 
6);  queste  poi,  secondo  l' A.,  furon  trovate 
da  un  mercatante  Armeno. 

—  3.  a  ventura,  a  caso. 

—  8.  Che;  Può  riferirsi  soltanto  a  ore- 
ma.  meglio  se  lo  intendiamo  per  il  che,  la 
qual  cosa.  V.  e.  xxxiv,  26,  u.  5. 

84.  4.  taglio,  colpo  di  taglio  ;  punta  pun- 
tata, o  colpo  di  punta. 

—  8.  Signori,  che  avevano  dominio  e  si- 
gnoria. 

85. 1.  Nota  il  Casella:  «  Quelli  che  solevano 
cosi  accettare  la  battaglia  da  chiunque  si 
presentasse  nella  lizza  eran  detti  mante- 
nitori».  Avverti  poi  che  in  questa  stanza  la 
descrizione  in  passato  si  riferisce  al  mo- 
mento, in  cui  Grifone  e  Martano  arrivano 
nella  piazza.  In  quel  momento  vi  eran  già 


Per  un  di,  ad  uno  a  uno,  a  tatto  '1  mondo, 
Primacon  lancia,  e  poi  con  spada  o  mazza, 
Fin  ch'ai  Re  di  guardarli  era  giocondo; 
E  si  foravan  spesso  la  corazza: 
Per  gioco  in  somma  qui  facean,  secondo 
Fan  li  nimici  capitali,  eccetto 
Che  potea  il  Re  partirli  a  suo  diletto. 
86 

Quel d'Antiochia,unuom  senza  ragione, 
Che  Martano  il  codardo  nominosse, 
Come  se  de  la  forza  di  Grifone, 
Poi  ch'era  seco,  participe  fosse. 
Audace  entrò  nel  marziale  agone; 
E  poi  da  canto  ad  aspettar  fermosse. 
Sin  che  finisse  una  battaglia  fiera 
Che  tra  duo  cavallier  cominciata  era. 
87 

Il  Signor  di  Seleucia,  di  quell'uno, 
Ch'a  sostener  l'impresa  aveaiio  tolto, 
Combattendo  in  quel  tempo  con  Ombruno, 
Lo  feri  d'una  punta  in  mezzo  '1  volto, 
Si,  che  l'uccise;  e  pietà  n'ebbe  ognuno, 
Perché  buon  cavalier  lo  tenean  molto; 
Et  oltra  la  boutade,  il  più  cortese 
Non  era  stato  in  tutto  quel  paese. 
88 

Veduto  ciò,  Martano  ebbe  paura 
Che  parimente  a  sé  non  avenisse  ; 
E  ritornando  ne  la  sua  natura, 
A  pensar  cominciò  come  fuggisse,    [cura, 
Grifon  che  gli  era  appresso,  e  n'avea 
Lo  spinse  pur,  poi  ch'assai  fece  e  disse, 
Centra  un  gentil  guerrier  che  s'era  mosso, 
Come  si  spinge  il  cane  al  lupo  adesso, 
89 

Che  dieci  passi  gli  va  dietro  o  venti, 
E  poi  si  ferma,  et  abbaiando  guarda 
Come  digrigni  i  minacciosi  denti. 
Come  negli  occhi  orribil  fuoco  gli  arda. 
Quivi  ov' erano  e  Principi  presenti, 
E  tanta  gente  nobile  e  gagliarda, 


quei  cavalieri,  che  fin  dal  mattino  facevano 
quel  che  quivi  si  dice. 

—  2.  a  tutto  '1  m.  ;  a  tutta  la  gente,  a 
chiunque  si  presentasse.  V.  st.  9,  7. 

—  7.  nimici  capitali,  uimici  mortali  È  il 
latino  inimici  capitales,  che  si  trova  iu 
Plauto,  Poe».  3,  1. 

86.  2.  Martano  il  e.  V.  e.  Xiv,  30,  8,  e 
xvm,  99,  1. 

87. 1.  di  quell'uno;  uno  di  quelli.  I';lisioii'\ 
che  produce  oscurità.  Nella  edizione  P.  era  ; 
scritto   ijuelli.  È  questo  uno  degli/  esempì,  | 
che  mostrano  non  sempre  buone  le  corre- 
zioni fatte  dall'  A. 

—  4.  in  mezzo  '1  t.  V.  c.  vi,  23,  n.  8. 

—  7.  il  più  e.  ;  uno  più  cortese.  V.  e.  vr, 
20,  m.  1. 

88.  6.  pur;  finalmente,  dopoché  ebbe  detto 
e  fatto  assai.  Per  il  tempo  cfr.  xni,  74,  n.  1. 


CANTO  XVII 


213 


Fuggi  lo  'ncontro  il  timido  Martano, 
E  torse  '1  freno  e  '1  capo  a  destra  mano. 

90 
Pur  la  colpa  potea  dar  al  cavallo, 
Chi  di  scusarlo  avesse  tolto  il  peso; 
Ma  con  la  spada  poi  le'  si  gran  fallo, 
Che  non  l'avria  Demostene  difeso. 
Di  carta  armato  par,  non  di  metallo: 
Si  teme  da  ogni  colpo  esser  olìeso. 
Fuggesi  al  fine,  e  gli  ordini  disturba, 
Kidendo  intorno  a  lui  tutta  la  turba. 

91 
Il  batter  de  le  mani,  il  grido  intorno 
Se  gli  levò  del  populazzo  tutto., 
Come  lupo  cacciato,  iW  ritorno 
Martano  in  molta  fretta  al  suo  ridutto. 
Resta  Grifone;  e  gli  par  de  lo  scorno  [to. 
Del  suo  compagno  esser  macchiato  e  brut- 
Esser  vorrebbe  stato  in  mezzo  il  foco 
Pili  tosto  che  trovarsi  in  questo  loco. 

92 
Arde  nel  core,  e  fuor  nel  viso  avvampa, 
Come  sia  tutta  sua  quella  vergogna; 
Perché  l'opere  sue  di  quella  stampa 
Vedereaspetta  il  popolo  et  agogna: 
Si  che  rifulga  chiara  più  che  lampa 
Sua  virtù,  questa  volta  gli  bisogna; 
Ch'nn'oncia.  un  dito  sol  d'errorche  faccia. 
Per  la  mala  impressiou  parrà  sei  braccia. 

93 
Già  la  lancia  av«a  tolta  su  la  coscia 
Grifon,  ch'errare  in  arme  era  poco  uso: 
Spinse  il  cavallo  a  tutta  briglia,  e  poscia 
Ch'alquanto  andato  fu,  la  messe  suso, 
E  portò  nel  ferire  estrema  angoscia 
Al  Barou  di  Sidonia,  ch'andò  giuso. 
Ognun  maravigliando  in  pie  si  leva; 
Che  '1  contrario  di  ciò  tutto  attendeva. 


90.  7.  gli  ordini  ;  1"  ordine,  la  disposizione 
dei  combattenti  e  degli  spettatori. 

91.  4.  al  8.  ridutto.  Ila  detto  sopra,  st. 
72,  1,  eh'  egli  e  Grifone  si  erano  traiti  in 
disparte:  ora  M.  torna  a  quel  luogo. 

92.  5.  SI  che  rifulga  ecc.  ;  È  omesso  un  che  : 
si  che  gli  bisogna  che  rifulga  ecc.  Omis- 
sione frequente  anclie  iu  prosa. 

—  7.  oncia.  V.  e.  xiv,  72,  n.  2.  È  anche 
misura  di  lunghezza  e  vale  la  dodicesimu 
parte  del  piede.  —  dito,  misura  popolare 
ancora  in  uso. 

93.  4.  la  messe  suso;  sulla  resta.  Il  cava- 
ìiei'e,  prendendo  la  lancia  dallo  scudiero, 
nel  primo  tempo  V  appoggiava  col  calcio 
alla  coscia,  tenendola  dritta  colla  mano,  m 
un  secondo  tempo  la  metteva  sulla  resta.  V. 
e.  I,  61. 

—  6.  Sidonia;  oggi  Said,  città  della  Fe- 
nicia. 

—  8.  '1  contrario...  tutto;  tutto  il  contrario. 
Trasposiz.  non  comune. 


94 

Tornò  Grifon  con  la  medesma  antenna 
Che  'ntiera  e  ferma  ricovrata  avea; 
Et  in  tre  pezzi  la  roppe  alla  penna 
De  lo  scudo  al  Signor  di  Lodicea.       [na. 
Quel  per  cader  tre  volte  e  quattro  accen- 
Che  tutto  steso  alla  groppa  giacca: 
Pur  rilevato  al  fin  la  spada  strinse. 
Voltò  il  cavallo,  e  ver  Grifon  si  spinse. 

95  [basta 

Grifon,  che  '1  vede  in  sella,  e  che  non 
Si  fiero  incontro,  perché  a  terra  vada. 
Dice  fra  sé  :  Quel  che  non  potè  l'asta. 
In  cinque  colpi  o  'u  sei  farà  la  spada: 
E  su  la  tempia  subito  l'attasta 
D'un  dritto  tal,  che  par  che  dal  ciel  cada; 
E  un  altro  gli  accompagna  e  un  altro  ap- 

[presso, 
Tanto  che  l'ha  stordito  e  in  terra  messo. 
96 

Quivi  eran  d'Apamia  duo  germani. 
Soliti  in  giostra  rimaner  di  sopra, 
Tirse  e  Corimbo;  et  ambo  per  le  mani 
Del  figlio  d'Ulivier  cadder  sozzopra. 
L'uno  gli  arcion  lascia  allo  scontro  vani: 
Con  l'altro  messa  fu  la  spada  in  opra. 


94.  2.  ricovrata;  ricuperata,  ritirata  in- 
dietro dalla  ferita.  V.  e.  ii,  43,  n.  S,  e  e. 
XIV,  42. 

—  3.  penna  de  lo  scudo  ;  V.  e.  XII,  S3,  n.  1. 
—  Laodicea,  città  della  Siria,  ora  Latakiech. 

—  5.  per  e...  accenna;  Comunem.  accen- 
nare di  o  a  fare  qualcosa.  Di  tal  costrutto 
non  si  cita  altro  esempio. 

—  0.  alla  gr. ,  sulla  groppa  del  cavallo. 
I  Cosi  Dante.  Inf.  Il,  Vi.i:  «  Perchè  ci  ap- 
i  par  pure  a  (su)  questo  vivagno  ?  ». 

I  95.  1.  che...  e  che.  Avverti  che  il  primo 
;  Che  è  pron.  relat.,  il  secondo  congiunz.  Bi- 
I  sogna  dunque  compiere  la  struttura  cosi  : 
I  che  lo  vede  in  sella  e  vede  che  ecc. 
!  —  3.  potè.  V.  e.  vili,  52,  n.  4.  La  Pr.  ha 
I  puote. 

;  —  5.  l'attasta;  lo  tasta.  Per  la  forma 
cfr.  e.  XVI,  2S,  3.  Per  il  significato  si  accosta 
al  toccare  del  e.  in,  68;  xvi,  82. 

—  6.  dritto.  L'  A.  V  usa  per  il  comune 
termine  tecnico  di  scherma  -mandritto. 
Dorè.  Tratt.  òClier.  45:  «  I  nomi   de' colpi 

I  principali  son  questi:  punta,  mandritto,  ro- 
vescio, ecc.  ».  —  dal  e.  cada.  Un  colpo  quan- 
to più  cade  dall'  alto,  tanto  è  più  violento. 

—  7.  un  a.  gli  acc.  Può  intendersi  :  e  a 
quel  dritto  (gli)  accompagna  un  altro  dritto, 
ossia  dà  un  altro  dritto  eguale  al  primo. 
Oppure.:  e  uu  altro  dritto  accompagna  a 
lui;  aggiunge  al  signor  di  Lodicea  un  altro 
dritto.  .Meglio  la  prima  interpretazione. 

96.  1.  Apamia,  Apamea,  città  della  Siria, 
oggi  llamah. 


214 


ORLANDO  FURIOSO 


Già  per  commun  giudicio  si  tien  certo 
Che  di  costui  fia  de  la  giostra  il  merto. 

97 
Ne  la  lizza  era  entrato  Salinterno, 
Gran  IJiodarro  e  Maliscalco  regio, 
E  che  di  tutto  '1  regno  avea  il  governo, 
E  di  sua  mano  era  guerriero  egregio. 
Costui,  sdegnoso  ch'uri  guerriero  esterno 
Debba  portar  di  quella  giostra  il  pregio, 
Piglia  una  lancia,  e  verso  Grifon  grida, 
E  molto  minacciandolo  lo  sfida. 

98 
Ma  quel  con  un  laiicion  gli  fa  risposta, 
Ch'avea  per  lo  miglior  fra  dieci  eletto, 
E  per  non  far  error,  lo  scudo  apposta, 
E  ria  lo  passa  e  la  corazza  e  '1  petto: 
Passa  il  ferro  crudel  tra  costa  e  costa, 
E  fuor  pel  tergo  un  palmo  esce  di  netto. 
Il  colpo,  eccetto  al  Re,  fu  a  tutti  caro; 
Ch'ognuno  odiava  .Salinterno  avaro. 

99 
Grifone,  appresso  a  questi  in  terra  getta 
Duo  di  Damasco,  Ermofilo     Carmondo. 
La  milizia  del  Re  dal  prime  è  retta  : 
Del  margrandeAlmiraglio  è  quel  secondo. 
Lascia  allo  scontro  l' uu  la  sella  in  fretta  : 
Adosso  all'altro  si  riversa  il  pondo 
Del  rio  destrier,  che  sostener  non  puote 
L'alto  valor  con  che  Grifon  percuote. 

100 
Il  Signor  di  Seleucia  ancor  restava. 
Miglior  guerrier  di  tutti  gli  altri  sette; 
E  ben  la  sua  possanza  accompagnava 
Con  destrier  buono  e  con  arme  perfette. 


—  8.  di  costui,  di  Grifone.  —  metto,  pre- 
mio. V.  e.  n,  16,  n.  3. 

97.  2.  Diodarro  (dall'  arabo-persiano  der- 
vàdàr.  che  porta  il  calamaio).  Era  una  spe- 
cie di  prefetto  di  palazzo  nel  governo  dei 
Sultani.  —  Maliscalco  (arabo  wara/i  cavallo; 
scale,  servo;  servo  che  attende  ai  cavalli). 
Fu  poi  alta  carica  di  grande  scudiere  di 
corte. 

—  4.  di  sua  mano,  e  quanto  alla  sua  mano, 
al  suo  braccio.  Compleai.  di  limitazione. 
V.  e.  VII,  10,  n.  6.  Viene  a  dire  che,  se  era 
uomo  di  governo,  era  anche  uomo  d'armi. 

—  6.  pregio,  premio.  Non  comune.  Sax- 
NAZZARO,  Arcad.  pros.  11:  «Mi  diede  per 
pregio  un  bel  cavriuolo  ». 

98.  3.  apposta,  prende  di  mira. 

99.  4.  almiraglio  (arab.  al-amtr,  che  nel 
latino  medievale  divenne  admiralins).  Ara- 
'miraglio  si  diceva  anche  un  governatore 
di  città  e  Provincie  nei  paesi  musulmani 
(V.  Cinque  Canti  I,  106);  perciò  qui  s'ag- 
giunge del  tnar.  Ed  ha  il  significato  mo- 
derno. 

—  7.  rio,  a  lui  dannoso.  Significato  fre- 
quente negli  scrittori. 


Dove  de  l'elmo  la  vista  si  chiava, 
L'asta  allo  scontro  l'uno  e  l'altro  mette: 
Pur  Grifon  maggior  colpo  al  Pagan  diede, 
Che  lo  fé'  staffeggiar  dal  manco  piede. 
101 

Gittaro  i  tronchi,  e  si  tornaro  adosso 
Pieni  di  molto  ardir  coi  brandi  nudi. 
Fu  il  Pagan  prima  da  Grifon  percosso 
D'un  colpo  che  spezzato  avria  gl'incudi. 
Con  quel  fender  si  vide  e  ferro  et  osso 
D'un  ch'eletto  s'avea  tra  mille  scadi: 
E  se  non  era  doppio  e  fin  l'arnese. 
Feria  la  coscia  ove  cadendo  scese. 
102 

Feri  quel  di  Seleucia  alla  visera 
Grifone  a  un  tempo;  e  fu  quel  colpo  tanto, 
Che  l'avria  aperta  e  rotta,  se  non  era 
Fatta,  come  1  altr'arme,  per  incanto  ; 
Glièuuperdertempo,  che'l  Pagan  più  fe- 
Cosi  son  l'arme  dure  in  ogni  cauto:     [ra; 
E  'u  pili  parti  Grifon  già  fessa  e  rotta 
Ha  l'armatura  a  lui,  né  perde  botta. 
103 

Ognun  potea  veder  quanto  di  sotto 
Il  Signor  di  Seleucia  era  a  Grifone; 
E  se  partir  non  li  fa  il  Re  di  botto. 
Quel  che  sta  peggio,  la  vita  vi  pone. 
Fé'  Norandino  alla  sua  guardia  motto 
Ch'entrasse  a  distaccar  l'aspra  tenzone. 
Quindi  fu  l'uno,  e  quindi  l'altro  tratto; 
E  fu  lodato  il  Re  di  si  buon  atto. 

104  [presa, 

Gli  otto  che  dianzi  avean  col  mondo  ira- 
E  non  potuto  durar  poi  centra  uno. 
Avendo  mal  la  parte  lor  difesa, 
Usciti  eran  del  campo  ad  uno  ad  uno. 


100.  5.  Dove  ecc.;  dove  è  fermata  con 
chiodi  la  visiera  all'  elmo. 

—  8.  staffeggiar,  e  anche  staffar;  perder 
la  staffa. 

101.  4.  gì'  inondi.  V.  e.  I,  17,  4. 

—  5.  e  ferro  et  o.  V.  e.  XII,  83,  n.  1. 

—  7.  arnese.  V.  e.  xxvii,  78,  n.  5. 

102.  1.  visera.  Cosi  l'A.  ha  usato  le  foni. 
più  rare  schena,  invera. 

—  2.  tanto,  (lat.   tantus)  tanto  grande. 

103.  5.  alla  sua  g.;  alla  guardia  del  cam- 
po, che  erano  diversi  gentiluomini  iucar: 
cati  di  tenere  l'ordine,  e  di  far  rispettar. 
le  ingiunzioni  del  principe,  le  regole  '^ava  - 
leresche  ecc.  V.  e.  v,  81.  —  Pe...  motto  che 
disse  che.  Far  motto  con  proposiz.  dipen- 
dente è  costrutto  non  registrato  dai  voca- 
bolari. 

104.  1.  aveano...  impr.  Avere  impreca  nel 
linguaggio  cavalleresco  significa  aver  pre- 
so a  combattere.  —  col  mondo.  V.  st.  85. 
n.  2. 

—  2.  E  non  potuto.  Bisogna  sottintendere 
V  avean  del  v.  preced. 


CANTO  XVII 


215 


Gli  altri  ch'eran  venuti  a  lor  contesa, 
Quivi  restar  senza  contrasto  alcuno, 
Avendo  lor  Grit'on,  solo,  interrotto  [otto. 
Quel  che  tutti  essi  avean  da  far  centra 
105 

E  durò  quella  festa  cosi  poco, 
Ch'in  men  d' un'ora  il  tutto  fatto  s"era: 
Ma  Norandin  per  far  più  lungo  il  giuoco, 
E  per  continuarlo  iufìno  a  sera. 
Dal  palco  scese,  e  fé'  sgombrare  il  loco; 
E  poi  divise  in  due  la  grossa  schiera; 
ludi,  secondo  il  sangue  e  la  lor  prova, 
Gli  andò  accoppiando,  e  fé' una  giostra 
106  [nuova. 

Grifone  in  tanto  avea  fatto  ritorno 
Alla  sua  stanza,  pien  d'ira  e  di  rabbia: 
E  più  gli  preme  di  Martau  lo  scorno. 
Che  non  giova  l'onor  ch'esso  vinto  abbia. 
Quivi  per  tór  l'obbrobino  ch'avea  intorno, 
Martano  adoprale  mendaci  labbia: 
E  l'astuta  e  bugiarda  meretrice, 
Come  meglio  sapea,  gli  era  adiutrice. 
107 

O  si  0  no  che  '1  giovin  gli  credesse. 
Pur  la  scusa  accettò,  come  discreto; 
E  pel  suo  meglio  allora  allora  elesse 
Quindi  levarsi  tacito  e  secreto, 
Per  tema  che  se  '1  popolo  vedesse 
Martano  comparir,  non  stesse  cheto. 
Cosi  per  una  via  nascosa  e  corta 
Uscirò  al  camin  lor  fuor  de  la  porta. 
108 

Grifone,  o  ch'egli  o  che  '1  cavallo  fosse 
Stanco,  0  gravasse  il  sonno  pur  le  ciglia. 
Al  primo  albergo  che  trovar,  fermosse. 
Che  non  erano  andati  oltre  adua  miglia. 
Si  trasse  l'elmo,  e  tutto  disarmosse. 


—  5.  a  lor  contesa  ;  per  contender  con 
loro.  Significato  molto  notevole  dell'espres- 
sione venire  a  contesa,  e  notevole  anche 
l'uso  del  pron.  loro,  che  qui  vale  con  loro. 
Potrebbe  anche  intendersi  :  eran  venuti  per 
la  loro  propria  contesa;  cioè  a  giostrare 
ciascuno  per  conto  suo  con  gli  otto. 

105.  6.  la  gr.  schiera,  di  coloro  che  erano 
venuti  per  combattere  con  gli  otto. 

—  7.  prova;  fuma  di  prodezza.  Differente 
perciò  dal  plur.  prove,  atti  di  valore.  Cfr. 
e.  XX,  7:  XL,  54. 

106.  .3.  gli  preme;  gli  pesa,  l'opprime. 
L'A.  l'usò  generalm.  col  compi,  indiretto 
e.  XI,  14,  4:  ma  per  lo  più  ha  il  complem. 
diretto.  Cosi  trovasi  al  e.  xi,  72,  8. 

—  4.  ch'esso...  abbia,  d'aver.  V.  e.  i,  38, 
u.  6. 

107.  3.  suo,  di  Martano. 

108.  2.  0  ...  pur.  V.  e.  VI,  4,  n.  7.  —  gra- 
vasse; sottintendi  {/li. 

—  4.  Che;  quando.  È  comune  ancora 
neir  uso. 


E  trar  fece  a'  cavalli  e  sella  e  briglia  ; 
E  poi  serrossi  in  camera  soletto, 
E  nudo  per  dormire  entrò  nel  letto. 
109 

Non  ebbe  cosi  tosto  il  capo  basso, 
Chechiusegli  occhi, e  fu  dal  sonno  oppres- 
Cosi  profundamente,  che  mai  tasso       [so 
Né  ghiro  mai  s'addormentò  quanto  esso. 
Martano  intanto  et  Orrigiile  a  spasso 
Entraro  in  un  giardin  ch'era  li  appresso; 
Et  un  inganno  ordir,  che  fu  il  più  strano 
Che  mai  cadesse  in  sentimento  umano. 
110 

Martano  disegnò  tórre  il  destriero, 
I  panni  e  l'arme  che  Grifon  s'ha  tratte; 
E  andare  inanzi  al  Re  pel  cavali iero 
Che  tante  prove  avea  giostrando  fatte. 
L'efletto  ne  segui,  fatto  il  pensiero: 
ToUe  il  destrier  più  candido  che  latte, 
Scudo  e  cimiero  et  arme  e  sopraveste, 
E  tutte  di  Grifon  l'insegne  veste. 
Ili 

Con  gli  scudieri  e  con  la  donna,  dove 
Era  il  popolo  ancora,  in  piazza  venne; 
E  giunse  a  tempo  che  tìnian  le  prove 
Di  girar  spade,  e  d'arrestare  antenne. 
Comanda  il  Re  che  '1  cavallier  si  trove. 
Che  per  cimier  avea  le  bianche  penne. 
Bianche  le  vesti,  e  bianco  il  corridore; 
Che  '1  nome  non  sapea  del  vincitore. 
112 

Colui  ch'indosso  il  non  suo  cuoio  aveva, 
Come  l'asino  già  quel  del  leone, 

109. 1.  Non  ebbe...  il  e.  b.  ;  non  fu  sdraiato. 
È  modo  notevole,  non  registrato  dai  voca- 
bolari. 

—  3.  tasso.  È  un  mammifero  carnivoro, 
che  vive  nei  boschi,  entro  tane,  dove  dorme 
r  intera  giornata.  Di  qui  il  modo  di  dire 
comune  :  dormire  come  un  tasso. 

—  8.  cadesse  iu  sent.;  cadesse  in  mente. 
Spesso  è  usato,  specialmente  dagli  antichi, 
sentimento  per  animo,  ìjensiero;  e  forse 
la  maniera  e.  in  sentimento  è  foggiata  su 
le  altre  simili:  cadere  in  animo,  in  pen- 
siero. 

110.  2.  s'  ha  tratte,  di  dosso.  Sebbene  il 
motivo  di  questo  episodio  sia  preso  dal  Bo- 
iardo, come  si  è  detto,  pure  per  la  conti- 
nuazione r  A.  si  servi  specialmente  del  ro- 
manzo Meliadus.  Meliadus  è  tradito  dalla 
sua  donna  come  Grifone;  anch' egli  vince 
in  un  torneo,  e  il  vile  rivale,  rubategli  quasi 
nello  stesso  modo  le  armi,  se  ne  attribuisce 
la  gloria.  Meliadus  è  esposto  agli  insulti 
del  popolo,  ma  non  riesce  come  Grifone  a 
vendicarsi  del  tradimento.  Raina.  F.  p.  isi. 

IH.  4.  arrestare,  por  sulla  resta.  V.  e.  u, 
59,  5. 

112.  2.  Come  l'asino  ecc.  Racconta  Esopo 


216 


ORLANDO  FURIOSO 


Chiamato  se  n'andò,  come  attendeva, 
A  Norandiiio,  in  loco  di  Grifone. 
Quel  Re  cortese  incontro  se  gVi  leva, 
L'abbraccia  e  bacia, e  allato  se  lo  pone: 
Né  gli  basta  onorarlo  e  dargli  loda, 
Che  vuol  che  '1  suo  valor  per  tutto  s'oda. 

113 
E  fa  gridarlo  al  suon  degli  oricalchi 
Vincitor  de  la  giostra  di  quel  giorno. 
L'alta  voce  ne  va  per  tutti  i  palchi, 
Che  '1  nome  indegno  udir  fa  d'ognintorno. 
Seco  il  Re  vuol  ch'a  par  a  par  cavalchi. 
Quando  al  palazzo  suo  poi  fa  ritorno; 
E  di  sua  grazia  tanto  gli  coniparte. 
Che  basteria,  se  fosse  Ercole  o  Marte. 

114 
Bello  et  ornato  alloggiamento  dielll 
In  corte,  et  onorar  fece  con  lui 
Orrigille  anco;  e  nobili  donzelli 
Mandò  con  essa,  e  cavallieri  sui. 
Ma  tempo  è  ch'anco  di  Grifon  favelli, 
Il  qualné  dal  compagno  né  d'altrui. 
Temendo  inganno,  addormentato  s'era, 
Né  mai  si  risvegliò  fin  alla  sera. 

115 
Poi  che  fu  desto,  e  che  de  l'ora  tarda 
S'accorse,  usci  di  camera  con  fretta, 
Dove  il  falso  cognato  e  la  bugiarda 
Orrigille  lasciò  con  l'altra  setta; 
E  quando  non  li  trova,  e  che  riguarda 
Non  v'esser  l'arme  né  i  panni,  sospetta; 
Ma  il  veder  poi  più  sospettoso  il  fece 
L'insegne  del  compagno  in  quella  vece. 

116 
Sopravien  l'oste,  e  di  colui  l'informa 
Che  già  gran  pezzo  di  bianch'arme  adorno 
Con  la  donna  e  col  resto  de  la  torma 


fav.  113  che  un  asino  trovata  una  pelle  di 
leone  se  ne  vesti  spaventando  in  tal  modo 
le  fiere.  Ma  la  volpe,  sentitolo  ragliare,  lo 
derise.  Qui  dunque  cuoio  è  una  metafora 
per  armi. 

—  7.  loda,  lode.  Già  Dante,  Par.  30,  17. 

113.  1.  d.  oricalchi.  V.  st.  81,  3. 

—  4.  '1  nome  ind.  Martano  e  Grifone  a- 
vean  combattuto  coperti  e  perciò  scono- 
sciuti :  ora  Martano  viene  a  faccia  scoperta 
e  dice  il  nome. 

—  5.  a  par  a  p.  ;  non  restando  un  poco 
indietro,  come  sogliono  gli  inferiori. 

114.  6.  d'  altrui,  da  altrui.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

115.  2.  USCI  di  e.  dove;  usci  di  camera 
andando  dove  ecc.  Vedi  eguale  brachilogia 
al  e.  ni,  16,  2. 

—  4.  setta,  seguaci,  compagni.  Cosi  Dan- 
te, Par.  3,  105:  «  E  promisi  la  via  della  sua 
setta  ». 

—  5.  e  che.  V.  e.  Il,  60,  n.  5. 

116.  2.  già  gran  p.  ;  già  da  gran  p.  V.  e. 
I,  20,  n.  8. 


Avea  ne  la  città  fatto  ritorno. 
Trova  Grifone  a  poco  a  poco  l'orma 
Ch'ascosagli  aveaAmorfinaquel  giorno  : 
E  con  suo  gran  dolor  vede  esser  quello 
Adulter  d' Orrigille,  e  non  fratello. 
117 

Di  sua  sciocchezza  indarno  ora  si  duole, 
Ch'avendo  il  ver  dal  peregria  udito, 
Lasciato  mutar  s'abbia  alle  parole 
Di  chi  l'avca  più  volte  già  tradito. 
Vendicar  si  potea,  né  seppe:  or  vuole 
L'inimico  punir,  che  gli  è  fuggito; 
Et  è  constretto  con  troppo  gran  fallo 
A  tòr  di  quel  vii  uom  l'ai'me  e  '1  cavallo. 
118 

Eragli  meglio  andar  senz'arme  e  nudo 
Che  porsi  in  dosso  la  corazza  iudegna, 
0  ch'imbracciar  l'abominato  scudo, 

0  por  su  l'elmo  la  beffata  insegna: 
Ma  per  seguir  la  meretrice  e  'Idrudo, 
Ragione  in  lui  pari  al  disio  non  regna. 
A  tempo  venne  alla  città,  ch'ancora 

Il  giorno  avea  quasi  di  vivo  un'ora. 
119 
Presso  alla  porta  ove  Grifon  venia. 
Siede  a  sinistra  un  splendido  castello, 
Che,  più  che  forte  e  ch'a  guerra  atto  sia, 
Di  ricche  stanze  è  accomodato  e  bello. 

1  Re,  i  Signori,  i  primi  di  Seria 

Con  alte  donne  in  un  gentil  drappello 
Celebravano  quivi  in  loggia  amena 
La  real  sontuosa  e  lieta  cena. 
120 
La  bella  loggia  sopra  '1  muro  usciva 
Con  l'alta  rocca  fuor  de  la  cittade; 
E  lungo  tratto  di  lontan  scopriva 
I  larghi  campi  e  le  diverse  strade. 
Or  che  Grifon  verso  la  porta  arriva 
Con  quell'arme  d'obbrobrio  e  di  viltade, 


—  5.  orma.  Trovar  forma  è  espressione 
foggiata  dall'A.  sulla  più  comune  trovar 
la  via,  raccapezzarsi  in  una  cosa. 

117.  7.  con  tr.  g.  fallo  ;  commettendo  trop- 
po grave  errore. 

118.  7.  A  tempo...  che;  nel  tempo  che.  V. 
st.  39,  1. 

119.  2.  un  s.  castello.  Alle  principali  porte 
delle  città  erano  castelli  per  difesa. 

—  4.  accomodato;  fornito.  Non  si  cita  che 
questo  esempio  dell' A. 

— •  7.  Celebravano  ecc.  V.  st.  21,  n.  1. 

120.  1.  sopra  '1  muro  usciva;  si  sollevava, 
insieme  colla  rocca  (cfr.  e.  ii.  41,  n.  7),  al 
di   sopra  delle  mura  e  dominava  la  città.  , 
—  muro.  V.  e.  XIV,  101,  n.  8. 

—  3.  lungo  tratto  ;  per  lungo  tratto.  Com- 
plem.  di  limitazione.  V.  Fornaciari,  Sint. 
p.  349.  —  scopriva,  lasciava  vedere:  xxxii,  14- 

—  6.  arme  d'obb.;  arme  proprie  dell'obb. 


CANTO  XVII 


217 


Fn  con  non  troppa  avventurosa  sorte 
Dal  Re  veduto  e  da  tutta  la  corte; 
1-21 
E  riputato  quel  di  eh'avea  insegna, 
Mosse  le  donne  e  i  cavallieri  a  riso. 
Il  vii  Martano,  come  quel  che  regna 
In  gran  favor,  dopo  '1  Keè  1  primo  assiso, 
E  presso  a  lui  la  donna  di  sé  degna, 
Dai  quali  Norandin  con  lieto  viso 
Volse  saper  chi  fosse  quel  codardo, 
Che  cosi  avea  al  suo  onor  poco  riguardo- 
122 
Che  dopo  nna  si  trista  e  brutta  prova, 
Con  tanta  fronte  or  gli  tornava  inante. 
Dicea:  Questa  mi  par  cosa  assai  nova. 
Ch'essendo  voi  guerrier  degno  e  prestante, 
Costui  compagno  abbiate,  che  non  trova, 
Di  viltà,  pari  in  terra  di  Levante. 
Il  fate  forse  per  mostrar  maggiore, 
Per  tal  contrario,  il  vostro  alto  valore. 
123 
Ma  ben  vi  giuro  per  gli  eterni  Dei, 
Cho  se  non  fosse  ch'io  riguardo  a  vui, 
La  pubblica  ignominia  gli  farei, 
Ch'io  soglio  fare  agli  altri  pari  a  lui. 
Perpetua  ricordanza  gli  darei, 
Come  ognor  di  viltà  nimico  fui. 
Ma  sappia,  s' impunito  se  ne  parte, 
Grado  avoiche'l  menaste  inquestaparte. 
124 
Colui  che  fu  di  tutti  i  vizii  il  vaso. 
Rispose:  Alto  signor,  dir  non  sapria 
Chi  sia  costui:  ch'io  l' ho  trovato  a  caso. 
Venendo  d'Antiochia,  in  su  la  via. 
Il  suo  sembiante  m'avea  persuaso 
Che  fosse  degno  di  mia  compagnia; 
Ch'intesa  non  n'avea  prova,  né  vista, 
Se  non  quella  che  fece  oggi  assai  trista: 
125 
La  qual  mi  spiacque  si,  che  restò  poco, 


Che,  per  punir  l'estrema  sua  viltade. 
Non  gli  faee^isi  allora  allora  un  giocò, 
Che  non  toccasse  più  lance  né  spade.' 
Ma  ebbi,  piii  ch'a  lui,  rispetto  al  loco, 
j  E  nverenzia  a  vostra  Maestade. 
j  Né  per  me  voglio  che  gli  sia  guadagno 
L'essermi  stato  un  giorno  o  duacomp^a^no  • 
'  126  ■   " 

I     Di  che  contaminato  anco  esser  parme- 
I  E  sopra  il  cor  mi  sarà  eterno  peso, 
I  Se,  con  vergogna  del  mestier  de  Tarme 
I  Io  lo  vedrò  da  noi  partire  illeso: 
;  E  meglio  che  lasciarlo,  satisfarme 
i  Potrete,  se  sarà  d'un  merlo  irapeso: 
E  fia  lodevol  opra  e  signorile  (vile. 

Perch'el  sia  esempio  e  specchio  ad  cni 
127 
Al  detto  suo  Martano  Orrigille  have. 
Senza  accennar,  confermatrice  presta'. 
Non  son  (rispose  il  Re)  l'opre  si  prave, 
Ch'ai  mio  parer  v'abbia  d'andar  la  testa. 
Voglio  per  pena  del  peccato  grave. 
Che  sol  rinuovi  al  popolo  la  festa: 
E  tosto  a  un  suo  Baron,  che  fé'  venire, 
Impose  quanto  avesse  ad  esequire. 
128 
Quel  Baron  molti  armati  seco  tolse. 
Et  alla  porta  della  terra  scese; 
E  quivi  con  silenzio  li  raccolse, 
E  la  venuta  di  Grifone  attese: 
E  ne  l'entrar  si  d'improviso  il  colse, 
Che  fra  i  duo  ponti  a  salvamento  il  prese, 
E  Io  ritenne  con  beffe  e  con  scorno 
In  una  oscura  stanza  in  sin  al  giorno. 
129 
Il  Sole  a  pena  avea  il  dorato  crine 


e  della  viltate;  cioè  proprie  di  uomo  obbro- 
brioso e  vile. 

121.  1.  di  eh'.  Le  edizioni  del  1516  e  del  1521 
hanno  intero  di  chi:  e  cosi  dovremo  quindi 
intenderlo  in  questo  luogo;  chi  per  cui  nei 
compleni.  è  frequente  nella  letteratura  an- 
tica, e  non  raro,  ma  poetico,  nella  moderna. 

—  5.  di  sé,  di  lui.  V.  e.  XII,  66,  n.  7. 

122.  2.  Con  tanta  fronte,  con  tanta  sfron- 
tatezza. Dal  lat.  frons,  che  ebbe  pure  questo 
signitìc.  CicEK.  Pis.  1  :  «  Quae  sit  hominum 
querela  frontis  tuae  (per  la  tua  sfacciatag- 
gine) ».  Cosi  il  Boiardo,  Inn.  59,  36:  «  Dov'è 
l'ardir  ch'avevi,  ov'è  la  fronte?»  ma  qui 
vale  piuttosto  baldanza. 

123.  3.  La  p.  ignominia,  il  vituperio  fatto 
in  pubblico.  Far  la  pubblica  ign.  è  locu- 
zione non  registrata  nei  vocabolari. 

124.  7.  né  vista,  né  ne  aveva  vista  prova. 

125.  1.  restò  poco.  Restar  poco  o  di  poco 


Che  è  modo  elegante,   che  vale  mancar 
'  poco  che. 

!       —  3.  nn  gioco  che,  un  tal  gioco  che. 
;       —  7.  per  me;    quanto  a  me,  per  quanto 
I  dipende  da  me. 

I  126.  6.  d'un  merlo;  da  un  m.  V.  e.  v, 
I  10,  5.  —  impeso,  sospeso,  impiccato.  É  da 
:  impendere,  arcaico  e  poetico.  Più  spesso 
■  che  con  da  si  costruisce  con  a. 
j  —  8.  el;  egli.  V.  e.  II,  15,  4.  —  esempio 
1  da  seguire  ;  specchio  per  confrontarvi  le 

proprie  azioni. 

127.  2.  Senza  acc;  senza  bisogno  che  Mart. 
le  faccia  cenno. 

—  4.  v'  abbia;  ne  abbia.  Il  ne  si  riferisce 
a  Grifone.  V.  e.  vii,  2,  n.  1.  —  d'andar;  da 
and.  V.  e.  V,  10,  n.  5. 

128.  6.  fra  1  d.  ponti.  1  castelli  avevano 
spesso  più  d'  una  cinta  e  perciò  più  d'  una 
fossa;  ogni  fossa  aveva  il  suo  ponte  leva- 
toio. —  a  salvamento,  a  man  salva,  senza  ri- 
ceverne danno.  Pulci,  Morg.  9,  72.:  «E  si 
pensò  pigliarlo  a  salvamento  ».  ' 


218 


ORLANDO  FURIOSO 


Tolto  di  grembo  alla  nutrice  antica, 
E  cominciava  da  le  piagge  alpine 
A  cacciar  l'ombre,  e  far  la  cima  aprica: 
Quando  temendo  il  vii  Martan  ch'ai  line 
Grifone  ardito  la  sua  causa  dica, 
E  ritorni  la  colpa  ond'era  uscita, 
Tolse  licenzia,  e  fece  indi  partita. 
130 

Trovando  idonia  scusa  al  priego  regio, 
Che  non  stia  allo  spettacolo  ordinato. 
Altri  doni  gli  avea  fatto,  col  pregio 
De  la  non  sua  vittoria,  il  Signor  grato; 
E  sopra  tutto  un  ampio  privilegio, 
Dov'era  d'alti  onori  al  sommo  ornato. 
Lasciànlo  andar;  ch'io  vi  prometto  certo, 
Che  la  mercede  avrà  secondo  il  merto. 

131  [piazza. 

Fu  Grifou  tratto  a  gran  vergogna  in 
Quando  più  si  trovò  piena  di  gente. 
Gli  avean  levato  l'elmo  e  la  corazza, 
E  lasciato  in  farsetto  assai  vilmente; 
E  come  il  conducessero  alla  mazza,- 
Posto  l'avean  sopra  un  carro  eminente, 
Che  lento  lento  tiravan  due  vacche 
Da  lunga  fame  attenuate  e  fiacche. 


129.  2.  alla  nutrice  a.,  Teli,  dea  del  mare, 
qui  per  il  mare  stesso.  Cosi  al  e.  xxxi,  50 
e  più  chiaramente  al  e.  xxxii,  63.  Anche 
Virgilio,  Geor.  iv,  382,  dice  1'  oceano  jjo- 
trem  rerum,  secondo  T  antica  idea  di  Ta- 
lete,  rinnovata  in  certo  modo  dai  nettunisli, 
che  dall'  acqua  avessero  origine  e  nutri- 
mento tutte  le  cose. 

—  6.  la  sua  causa  d.  ;  la  s.  causa  difenda. 
È  il  latino  causam  dicere.  S.  Caterina, 
Leu.,  105;  «La  causa  sua  lascerò  dire  a 
lei  ». 

130.  1.  idonia;  idonea.  É  forma  popo- 
lare. Ant.  Pucci  nel  Gentil.  1'  usò  più  volte 
in  rima  e  fuori  di  rima. 

—  2.  Che,  perché. 

—  3.  pregio  ;  premio.  V.  st.  97,  6.  Le  armi 
di  Mar  lisa. 

—  5.  privilegio;  una  carta  dov' erano  re- 
gistrati i  privilegi  concessigli.  M.  Polo  115: 
«  Hanno  privilegi,  ov'è  scritto  tutto  ciò,  che 
debbono  fare  ». 

131.  4.  lasciato.  Rileva  dal  contesto:  l'a- 
vean lasciato. 

—  5.  alla  mazza;  al  macello.  Le  bestie 
vaccine  si  uccidono  per  lo  più  a  colpi  di 
mazza. 

—  8.  attenuate,    estenuate.  Dal  lat.  atte- 


132 
Venian  d'intorno  alla  ignobil  quadriga 
Vecchie  sfacciate  e  disoneste  putte. 
Di  che  n'era  una  et  or  un'altra  auriga, 
E  con  gran  biasmo  lo  mordeano  tutte. 
Lo  poneano  i  fanciulli  in  maggior  briga, 
Che  oltre  le  parole  infami  e  brutte, 
L'avrian  coi  sassi  insino  a  morte  offeso. 
Se  dai  più  saggi  non  era  difeso. 

133 
L'arme  che  del  suo  male  erano  state 
Cagion,  che  di  lui  fèr  non  vero  indicio, 
Da  la  coda  del  carro  strascinate 
Patian  nel  fango  debito  supplicio. 
Le  ruote  inanzi  a  un  tribunal  fermate 
Gli  fero  udir  de  l'altrui  maleficio 
La  sua  ignominia,  che  'n  sugli  occhi  detta 
Gli  fu,  gridando  un  pubblico  trombetta. 

134 
Lo  levar  quindi  e  lo  mostrar  per  tutto 
Dinanzi  a  templi,  ad  officine  e  a  case, 
Dove  alcun  nome  scelerato  e  brutto. 
Che  non  gli  fosse  detto,  non  rimase. 
Fuor  de  la  terra  all'ultimo  condutto 
Fu  da  la  turba,  che  si  persuaso 
Bandirlo  e  cacciare  indi  a  suon  di  busse, 
Non  conoscendo  ben  ch'egli  si  fusse. 

135 
Si  tosto  a  pena  gli  sferrar©  i  piedi, 
E  liberargli  l'uua  e  l'altra  mano. 
Che  tór  lo  scudo,  et  impugnar  gli  vedi 
La  spada  che  rigò  gran  pezzo  il  piano. 
Non  ebbe  contra  se  lance  né  spiedi; 
Che  senz'arme  venia  il  popolo  insano. 
Ne  l'altro  Canto  differisco  il  resto, 
Che  tempo  è  omai.  Signor,  di  finir  questo. 


nuatus.  Vite  SS.  PP.  1,  83:  «Li  quali  ve- 
dendo magri  e  attenuati  di  fame  ». 

133.  5.  un  tribunal  (lat.  tribunal)  un  luogo 
elevato,  donde  il  trombetta  parlò  al  popolo. 
Per  luogo  elevato  V  usarono  anche  altri 
scrittori.  Guicciardini,  S,  I.,  7,  343. 

—  8.  gridando  u.  p.  tr.,  da  un  pubbhco 
tromb.  che  gridò.  È  modo  corrispondente 
all'ablativo  assoluto  dei  Latini.  Cfr.  e.  xii, 
76,  3-4. 

134.  6.  si  persuase  ;  si  risolvette.  È  signi- 
ficato non  registrato  dai  vocabolari. 

—  7.  cacciart  ;  Sottint.    lo.    V.  e.  I,  21,  7. 

—  8.  eh'  egli;  chi  egli.  Elisione  insolita  e 
oscura.  Cosi  al  e.  xix,  47,  6. 

135.  1.  Si  tosto  a  pena.  Ridondanza  di 
congiunzioni,  che  però  fa  spiccare  mag- 
giormente la  celerità  di  Grifone. 


CANTO  XVIII 


219 


CANTO  XVIII 


Magnanimo  Signore,  ogni  vostro  atto 
Ho  sempre  con  ragion  landato  e  laudo; 
Ben  che  col  rozzo  stil  duro  e  mai  atto 
Gran  parte  de  la  gloria  vi  defraudo. 
Ma  più  de  l'altre  una  virtii  m'ha  tratto, 
A  cui  col  core  e  con  la  lingua  applaudo; 
Che  s'ognuu  trova  in  voi  ben  grata  udien- 
Non  vi  trova  però  facil  credenza.       [za 
2 

Spesso  in  difesa  del  biasmato  absente 
Indur  vi  sento  una  et  un'altra  scusa, 
O  riserbargli  almen,fìn  che  presente 
Sua  causa  dica,  l'altra  orecchia  chiusa; 
E  sempre,  prima  che  dannar  la  gente, 
Vederla  iu  faccia,  e  udir  la  ragion  ch'usa, 
Ditìerlr  anco  e  giorni  e  mesi  et  anni, 
Prima  che  giudicar  negli  altrui  danni. 
3 

Se  Norandino  il  simil  fatto  avesse, 
Fatto  a  Grifon  non  avria  quel  che  fece. 
A  voi  utile  e  onor  sempre  successe: 


1.  1  Magnanimo  S.  Parla  al  cardinale  Ip- 
polito. 

—  5.  tratto;  attratto,  allettato.  Esempio 
notevole,  perché  il  verbo  è  assoluto  senza 
alcun  complem.,  mentre  tutti  quelli,  clie  si 
citano,  lo  hanno. 

—  7.  grata,  benevola.  V.  e.  xiv,  59,  n.  8. 

2.  2.  Indur,  addur.  Fior.  It.  122:  «  A 
provar  questo  induce  Galieno  Socrate  in 
esempio  ».  È  latinismo.  Cic.  Fat.  10:  «  liane 
rationem  Epiciirus  inducit». 

—  3.  0  riserbargli  ecc.  Per  questo  e  per 
gli  altri  infiniti  vederla,  udir,  difTerir  bi- 
sogna rilevar  dal  contesto  altri  verbi,  che 
li  reggano,  come:  si  vede,  so  che  volete  e 
simili. 

—  4.  S.  causa  dica,  s.  c.  difenda.  V.  e. 
XVII,  129,  n.  fi.  —  l'altra  or.  chiusa.  Nota  il 
FORXARi  «  Solevano  i  scultori  le  statue 
de'  giustissimi  principi  cosi  alle  volte  for- 
mare che  una  mano  tenevano  a  una  orec- 
chia supposta  a  dinotare  che  si  riservava- 
no, per  più  diritta  sentenza  darne,  d'ascol- 
tare anche  la  contraria  parte  ».  E  il  l.vve- 
zuola:  «Accenna  all'usanza  d'Alessandro 
Magno  nel  tener  sempre  chiusa  un'orecchia 
per  quelli,  che  venivano  accusati». 

—  6.  ch'usa,   che  adduce.  È  latinismo. 

3.  3.  successe,  derivò.  Dante,  Par.  6,  114: 
«  Perché  onore  e  fama  gli  succeda  ».  E  si 
usa  anche  in  prosa. 


Denigro  sua  fama  egli  più  che  pece. 
Per  lui  sue  genti  a  morte  furon  messe; 
Ghe  fé  Grifone  in  dieci  tagli,  e  iu  diece 
Punte  che  trasse  pien  d'ira  e  bizzarro, 
t^he  trenta  ne  cascaro  appresso  al  carro. 

Van  gli  altri  in  rotta  ove  il  timor  li  cac- 
Ghi  qua,  chi  la  pei  campi  e  per  le  strade- 
^  chi  d  entrar  ne  la  città  procaccia, 
E  1  un  su  l'altro  ne  la  porta  cade. 
Grifon  non  fa  parole,  e  non  minaccia- 
Ala  lasciando  lontana  ogni  pietade 
Mena  tra  il  vulgo  inerte  il  ferro  intorno 
Hi  gran  vendetta  fa  d'ogni  suo  scorno    ' 

5 
Di  quei  che  primi  giunsero  alla  porta, 
Ghe  le  piante  a  levarsi  ebbeno  pronte 
Parte,  al  bisogno  suo  molto  piii  accorta 
Ghe  degli  amici,  alzò  subito  il  ponte- 
1  langendo  parte,  o  con  la  faccia  smorta 
1  uggendo  andò  senza  mai  volger  fronte- 
E  ne  la  terra  per  tutte  le  bande 
Levò  grido  e  tumulto  e  rumor  grande 

6 
Grifon  gagliardo  duo  ne  piglia  in  quella 
Ghe  1  ponte  si  levò  per  lor  sciagura, 
bparge  de  l'uno  al  campo  le  cervella 
Ghe  lo  percuote  ad  una  cote  dura: 


—  4.  Denigrò:  fece  nera.  Qui  è  riunito  il 
significato  figurato  e  il  proprio;  ma  nel 
senso  proprio  non  si  usa. 

—  6.  che,  perché. 

—  7.  bizzarro;  (etimolog.  incerta.  Non  da 
bizza,  che  anzi  ne  pare  un  derivato,  per- 
ché arra  non  è  suffisso  italiano);  antica- 
mente significò,  o\iv&Q,\\é  stravagante  come 
oggi,  anche  iracondo.  Dantk,  Inf.  8,  62; 
«Il  Fiorentino  spirito  bizzarro». 

—  S.  Che;  É  correlativo  di  fé  :  Fece  si  che. 

4.  4.  ne  la  p.  ;  su  la  p.  Petr.  Tr.  Mort. 
Il,  17:  «  s'assise  e  seder  femmi  in  una  riva  ». 

5.  3.  accorta;  attenta,  o  forse  pronta 
al  suo  bisogno.  Dante,  Inf.  IS,  20:  «  Si  non 
furo  accorte  Le  gambe  tue  alla  giostra  del 
Toppo  ». 

—  4.  il  ponte;  il  p.  levatoio,  che  passava 
sul  fosso  di  cinta  nelfe  città  fortificate. 

6.  1.  in  quella  che  ;  mentre  che.  Si  è  detto 
anche  in  questa,  ia  questo,  in  quello.  I 
grammatici  avvertono  di  sottintendere  ora, 
punto,  tempo  ecc. 

—  4.  Che,  poiché. 


220 


OIM.ANDO  FURIOSO 


Prende  l'altro  nel  petto  e  l'arrandeila 
In  mezzo  alla  città  sopra  le  mura. 
.Scórse  per  l'ossa  ai  terrazzani  il  gelo, 
Quando  vider  colui  venir  dal  cielo. 

7 
Fnr  molti  die  temer  che  '1  fier  Grifone 
Sopra  le  mura  avesse  preso  un  salto. 
Non  vi  sarebbe  più  confusione, 
8' a  Damasco  il  Soklan  desse  l'assalto. 
Un  muover  d'arme,  un  correr  di  persone, 
E  di  Talacimanni  un  gridar  d'alto; 
E  di  tamburi  un  suon  misto  e  di  trombe 
Il  moudo  assorda,  e  '1  ciel  par  ne  ri  mbombe. 

8 
Ma  voglio  a  un'altra  volta  differire 
A  ricontar  ciò  che  di  questo  avvenne. 
Del  buon  Re  Carlo  mi  convien  seguire, 
Che  centra  Kodomonte  in  fretta  venne, 
Il  qual  le  genti  gli  facea  morire. 

10  vi  dissi  ch'ai  Re  compagnia  tenne 

11  gran  Danese  e  Namo  et  Oliviero 

E  Avino  e  Avolio  e  Otone  e  Berlingiero, 
9 
Otto  scontri  di  lance,  che  da  forza 
Di  tali  otto  guerrier  cacciati  foro, 


—  5.  1'  arrand.  ;  lo  scaglia  come  un  ran- 
dello. 

—  7.  terrazzani;  abitatori  di  terra  mu- 
rata o  castello  ;  cosi  detti  dalle  terrazze,  che 
erano  sulle  mura  e  sulle  torri. 

7.  2.  av.  preso  nn  s.  ;  av.  spiccato  un  sal- 
to. È  modo  ancor  vivo. 

—  6.  Talacimanni  (arab.  Tellal,  araldo; 
Iman,  sacerdote)  Coloro,  che,  in  paesi  .Mao- 
mettani, chiamano  dai  Minareti  il  popolo 
alla  preghiera  con  alte  grida,  o  avvertono 
di  falli  gravi,  che  avvengano  intorno  alla 
città. 

8.  2.  A  ricontar.  V.  c.  XI,  83,  n.  7,  e  avverti 
la  varietà  dei  due  costrutti:  là  difTer.  a  dire 
un'altra  v.;  qui  a  un'altra:  certo  per 
l'azione  che  il  verbo  differire  ha  avuto  sul 
compi,  di  tempo:  (differisco  a  un' al.  v.  il 
dire).  _  ricontar,  raccontar.  V.  e.  ix,  85, 
n.  6.  Cosi  r  A.  usa  ricogliere  per  racco- 
filiere,  rifrescare  per  raffrescare.  —  di  que- 
sto, quanto  a  questo  argomento.  Complem. 
di  limitazione. 

—  3.  seguire;  continuare;  sottint.  a  par- 
lare. Cosi  nel  e.   XXII,  5.  V.  e,  ii,  76,  n.  8. 

9.  1.  da  forza;  dalla  forza.  Per  l'omis- 
sione dell'  artic.  cosi  frequente  neh'  A.  cfr. 
e.  Il,  15,  n.  8.  —  scontri.  Qui  ha  il  signili- 
cato  di  colpi  scambievoli  cacciati  nello 
scontro. 

—  2.  cacciati;  fatti.  L'A.  nel  e.  xxxvi, 
57,  7,  dice  cacciare  una  punta  (una  pun- 
tata) dar  con  forza  una  puntata.  Ma  qui 
l'espressione  cacciare  uno  scontro  è  an- 
che più  ardita. 


Sostenne  a  un  tempo  la  scogliosa  scorza 
Di  ch'avea  armato  il  petto  il  crudo  Moro. 
Come  legno  si  drizza,  poi  che  l'orza 
Lentail  nocchier  che  crescer  sente  il  Coro  ; 
Cosi  presto  rizzossi  Rodomonte 
Dai  colpi  che  gittar  doveano  un  monto. 
10 

Guido,  Banier,  Ricardo,  Salamene, 
Ganelon  tradito:',  T^u-pin  fedele, 
Angioliero,  Angioliuo,  Ughetto,  Ivone, 
Marco  e  Matteo  dal  pian  di  san  Michele, 
Ya  gli  otto,  di  che  dianzi  fei  menzione, 
Son  tutti  intorno  al  Saracin  crudele, 
Arimanno  e  Odoardo  d'Inghilterra, 
Ch'  entrati  eran  pur  dianzi  ne  la  terra. 
11 

Non  cosi  freme  in  su  lo  scoglio  alpino 
Di  ben  fondata  rocca  alta  parete, 
Quando  il  furor  di  Borea  o  di  Garbino 
Svelle  dai  monti  il  frassino  e  l'abete; 
Come  freme  d'orgoglio  il  Saracino, 
Di  sdegno  acceso  e  di  sanguigna  sete: 
E  com'a  un  tempo  è  il  tuono  e  la  saetta, 
Cosi  l'ira  de  l'empio  e  la  vendetta. 


—  5.  l'orza  lenta  ecc.  Orza  è  quella  corda 
che  si  lega  al  carro  dell'antenna  e  serve  a 
girare  il  carro  e  con  esso  la  vela  dal  lato 
di  sopravvento.  Quando  il  vento  soffia  forte 
i  marinai  allentando  l' orza  abbassano  la 
vela;  cosi  la  nave,  non  più  piegata  dal  vento, 
si  raddrizza. 

—  6.  Coro  (Corus);  Cosi  detto  dai  Greci 
e  Latini  il  vento  di  Ovest-nord-ovest. 

—  8.  gittar;  gittare  a  terra.  Bembo,  St. 
5.  55:  «  I  nemici  a  gittar  il  muro  della  città... 
si  diedero  v. 

10.  1.  Gnido  di  Borgogna;  Riccardo  duca 
di  Normandia,  (che  sembra  personaggio  sto- 
rico e  che  alcune  fonti  mettono  fra  i  do- 
dici paladini  di  Carlo  M.)  ;  Salomone  re  di 
Bretagna;  Ganelone  di  Maganza  e  gli  altri, 
che  seguono,  figurano  tutti  negli  amichi 
poemi  cavallereschi.  Quanto  alla  forma  Ga- 
nelone avverti  che  essa  deriva  dal  caso 
dell'  oggetto,  che  il  francese  antico  distin- 
gueva dal  soggetto;  cosi  Gaines,  soggetto, 
dette  Gano:  Guenelon,  oggetto,  dette  Ga- 
nelone. E  cosi  pure  da  Marsilies,  Marsilio; 
da.  Marsilion  Mdivsilione;  da  Charles,  Car- 
lo; da  Charlon,  Carlone.  E  non  devesi  ve- 
dere in  queste  forme  nessuna  intenzione 
dispregiativa. 

—  7.  Arim.  e  Odoardo    V.  e.  X,  81,  82. 

11.  3.  Garbino;  vento  di  sud-ovest,  cosi 
detto  dal  Garbo,  regioned'Africa.V.  e.  xi  v,  66. 

—  6.  8.  sanguigna;  s.  di' sangue.  Uso  ed 
esempio  non  registrato  dai  vocab.  Il  Da- 
VANZATi,  St.  3, 321  disse  sanguigno  per  as- 
setato di  sangue. 


CANTO   XVIII 


221 


12  [so, 

Mena  alla  testa  a  quel  che  gli  èpiupres- 
Che  gli  è  il  misero  Ùghetto  di  Dordona: 
Lo  pone  in  terra  insino  ai  denti  fesso, 
Come  che  1'  elmo  era  di  tempra  buona. 
Percosso  fu  tutto  in  un  tempo  anch'esso 
Da  molti  colpi  in  tutta  la  persona; 
Ma  non  gli  fan  più  che  all'incude  l'ago: 
8i  duro  intorno  ha  lo  scaglioso  drago. 
13 

Furo  tutti  i  ripar,  fu  la  cittade 
D'intorno  intorno  abandonata  tutta; 
Che  la  gente  alla  piazza  dove  accade 
Maggior  bisogno,  Carlo  avea  ridutta. 
Corre  alla  piazza  da  tutte  le  strade 
La  turba,  a  chi  il  fuggir  si  poco  fratta. 
La  persona  del  re  si  i  cori  accende, 
Ch' ognun  prend'arme,  ognuno  animo 

14  [prende. 

Come  se  dentro  a  ben  rinchiusa  gabbia 
D'antiqua  leonessa  usata  in  guerra, 
Perch'averne  piacere  il  popol  abbia, 
Talvolta  il  tauro  indomito  si  serra; 
I  leoncin  che  veggon  per  la  sabbia 
Come  altiero  e  mugliando  animoso  erra, 
E  veder  si  gran  corna  non  sou  usi, 
fc- tanno  da  parte  timidi  e  confusi: 
15 

Ma  se  la  fiera  madre  a  quel  si  lancia, 
E  ne  r  orecchio  attacca  il  crudel  dente, 
Vogliono  anch'essi  insanguinar  la  guan- 
E  vengono  in  soccorso  arditamente;  [eia. 
Chi  morde  al  tauro  il  dosso,  e  chi  la  pancia: 
Cosi  contra  il  Pagan  fa  quella  gente; 
Da  tetti  e  da  finestre  e  più  d'appresso 
Sopra  gli  piove  un  nembo  d'arme  e  spesso. 


12.  2.  gli  è;  egli  è.  Egli  è  riempitivo,  co- 
munissimo nei  nostri  scrittori,  specialm. 
Toscani,  e  vivo  ancora  nell'  uso.  Fornacia- 
Ri,  Sitit.  p.  55,  13. 

—  4.  Come  che...  era.  Più  comunem.  si 
usa  col  cong.  Bocc.  nov.  18:  «la  quale  il 
giovane  focosamente  ama,  come  che  ella 
non  se  n'  accorge  ». 

—  8.  scaglioso  dr.  pelle  scagliosa  del  dra- 
go. V.  e.  XIV,  118. 

13.  2.  D'int.  int.  Più  comunem.  si  ripete 
senza  preposiz.  La  N.  Cr.  non  cita  questo 
modo;  e  quei  che  lo  citano  dan  l'esempio 
di  un  testo  a  penna  e  dimenticano  V  A. 

—  3.  accade  ;  si  presenta.  V.  e.  ii,  67,  n.  7. 

—  6.  a  chi;  a  cui.  V.  e.  II,  20,  u.  8. 

14.  3.  averne...  abbia;  abbia  ad  averne; 
possa  averne.  Cosi  nel  e.  xvi,  18,  6;  xviii, 
38,  5,  ecc. 

15.  8.  nn  n.  d'ar.  e  sp.  L'  e  parrebbe  su- 
perfluo; ma  nembo  è  da  intendere  in  senso 
di  quantità  grande  :  una  quantità  gran- 
de e  spessa  di  armi:  un  nembo,  e  anche 
un  nembo  fitto,  di  armi. 


16 

Dei  cavallieri  e  de  la  fanteria 
Tanta  è  la  calca,  ch'a  pena  vi  cape. 
La  turba  che  vi  vien  per  ogni  via. 
V'abbonda  ad  or  ad  or  spessa  come  ape 
Che  quando,  disarmata  e  nuda,  sia 
Più  facile  a  tagliar,  che  torsi  o  rape. 
Non  la  potria,  legata  a  monte  a  monte, 
In  venti  giorni  spenger  Rodomonte. 
17 

Al  Pagan,  che  non  sa  come  ne  possa 
Venir  a  capo,  ornai  quel  giuoco  iucresce. 
Poco,  per  far  di  mille,  o  di  più,  rossa 
La  terra  intorno,  il  popol  discresce. 
Il  fiato  tuttavia  più  se  gl'ingressa, 
Si  che  comprende  al  fin  che,  se  non  esce 
Or  e' ha  vigore  e  in  tutto  il  corpo  è  sano. 
Vorrà  da  tempo  uscir,  che  sarà  in  vano. 
18 

Rivolge  gli  occhi  orribili,  e  pon  mente 
Che  d'ognintorno  sta  chiusa  1'  uscita; 
Ma  con  mina  d' infinita  gente 
L'aprirà  tosto,  e  la  farà  espedita. 
Ecco  vibrando  la  spada  tagliente, 
Chevien  quell'empio,  oveitfurorlo'nvita, 
Ad  assalire  il  nuovo  stuol  Britanno, 
Che  vi  trasse  Odoardo  et  Arimanno. 
19 

Chi  ha  visto  in  piazza  rompere  steccato 
A  cui  la  folta  turba  ondeggi  intorno, 
Immansueto  tauro  accaneggiato, 
Stimuiato  e  percosso  tutto  '1  giorno; 
Che  '1  popol  se  ne  fugge  ispaventato. 
Et  egli  or  questo  or  quel  leva  sul  corno; 
Pensi  che  tale  o  più  terribil  fosse 
Il  crudel  African,  quando  si  mosse. 
20 

Quindici  0  venti  ne  tagliò  a  traverso, 
Altri  tanti  lasciò  del  capo  tronchi, 


16.  4.  ape.  Forse  è  sing.  come  al  e.  xx, 
82,  7  :  ma  potrebbe  anche  essere  plur.  V. 
e.  IX,  84,  n.  1.  L'  A.  ha  tanti  di  questi  plur. 
della  quarta  deci.,  che  è  strano  ricorrere, 
come  fanno  alcuni,  all'  antiquato  apa. 

—  5.  quando...  sia;  quantunque...  sia.  V. 
e.  IV,  31,  n.  7. 

17.  3.  per  far;  per  quanto  faccia.  Dante, 
Inr.  4,  11  :  «  per  ficcar  lo  viso  al  fondo  Io 
non  vi  discernea  alcuna  cosa  ».  E  cosi 
spesso. 

—  4.  discresce:  decresce.  Cosi  era  nella 
ediz.  del  '16:  l' A.  lo  cambiò,  forse  credendo 
l'altra  forma  più  comune  nella  letteratura. 
Infatti  è  usata  spesso  dagli  antichi. 

—  8.  da  tempo...  che;  in  tempo  che.  V, 
e  XVII,  39,  n.  1. 

19.  5.  Che;  cosi  che. 

20.  2.  Altri  tanti;  Più  comunem.,  anche 
presso  gli  antichi,  altrettanti. 


222 


ORLANDO  FURIOSO 


Ciascun  d'un  colpo  sol  dritto  o  riverso; 
Che  viti  0  salci  par  che  poti  e  tronchi: 
Tutto  di  sangue  il  fier  pagano  asperso, 
Lasciando  capi  fessi  e  bracci  monchi, 
E  spalle  e  gambe  et  altre  membra  sparte, 
Ovunque  il  passo  volga,  al  fin  si  parte. 
21 
De  la  piazza  si  vede  in  guisa  torre. 
Che  non  si  può  notar  ch'abbia  paura; 
Ma  tutta  volta  col  peusier  discorre. 
Dove  sia  per  uscir  via  pili  sicura. 
Capita  al  fin  dove  la  Senna  corre 
Sotto  l'isola  e  va  fuor  de  le  mura. 
La  gente  d'  arme  e  il  popol  fatto  audace 
Lo  stringe  e  incalza,  e  gir  noi  lascia  in 

^     ,  ^"^  [pace. 

Qual  per  le  selve  Nomade  o  Massile 
Cacciata  va  la  generosa  belva, 
Ch'ancor  fuggendo  mostra  il  cor  gentile, 
E  minacciosa  e  lenta  si  rinselva; 
Tal  Rodomonte,  in  nessun  atto  vile, 
Da  strana  circondato  e  fiera  selva 
D'aste  e  di  spade  e  di  volanti  dardi. 
Si  tira  al  fiume  a  passi  lunghi  e  tardi. 


—  3.  Ciascun  ecc.;  e  ciascuno  egli  tagliò 
o  lasciò  tronco  del  capo  con  un  solo  colpo 
dritto  o  rovescio. 

—  4.  che;  cosi  che.  V.  e.  i,  57,  n.  7. 

21.  1.  torre;  togliersi.  L'omissione  della 
particella  prouom.,  che  dovrebb'  esserci,  è 
stata  causata  forse  dalla  vicinanza  dell'al- 
tro si. 

~  6.  l' isola  ;  L'ile  eie  palaìs  o  de  cité, 
che  era  la  sola  isola  anticam.  famosa.  Oggi 
C  è  anche  l' isola  St.  Louis,  che  fu  fabbrica- 
ta solamente  sotto  Luigi  XIIL  V.  e.  xiv,  101. 
2<}.  1.  Nomade  o  Mass.  ;  della  Numidia  (oggi 
Algeria)  o  della  Massilia  (i  Massili  abitavan 
parte  della  Numidia).  Nomadi  è  la  forma 
greca  Nomades,  che  latinamente,  divenne 
jS'umidae.  Nomades  disse  i  Numidi  Silio 
Italico  I,  215.  La  comparaz.  è  imitata  da  Vjrt- 
GiL.,  En.9,m:  «Ceu  saevum  turba  leo- 
nem  Cum  telis  premit  infensis,  at  territus 
ille,  Asper,  acerba  tueus  retro  redit  et  ne- 
que  terga  Ira  dare  aut  virtus  patitur  nec 
tendere  contra  Ille  quidem,  hoc  cupiens, 
polis  est  per  tela  virosque  ».  L' imitò  già  il 
BOIARDO,  Inn.  I,  XI,  44.  —  Qui  selve  va  in- 
teso nel  significato  complesso  di  luoghi 
(love  si  trovano  numerose  selve;  infatti 
r  A.,  seguendo  Plinio,  st..  N.  8,  16,  ritiene  j 
che  il  leone  mostri  questa  generosità  nei 
luoghi  aperti,  mentre,  quando  è  nel  folto,  | 
fugge  precipitosamente.  Ciò  apparisce  chia-  i 
ro  dal  quarto  verso:  se  si  rinselva,  ciò  1 
che  è  detto  prima  accade  fuori  della  selva.  | 

—  3.  gentile,  generoso.  Dante,  Inf.  20, 
60  :  *  de'  Romani  il  gentil  seme  ».  Petr.  iv, 
canz.  4:  «Latin  sangue  gentile». 


1  .  23 

I     E  si  tre  volte  e  piii  l'ira  il  sospinse, 
!  Ch  essendone  già  fuor,  vi  tornò  in  mezzo, 
Ove  di  sangue  la  spada  ritinse,  ^'-  '""''' 

E  pili  di  cento  ne  levò  di  mezzo.  .-• ,  d  a^-v.-***' 
Ma  la  ragione  al  fin  la  rabbia  vinse 
I  Di  non  far  si,  ch'a  Dio  n'  andasse  il  lezzo: 
L  da  la  ripa,  per  miglior  consiglio, 
Si  gittò  all'acqua,  e  usci  di  gran  periglio 
24 
Con  tutte  l'arme  andò  per  mezzo  l'ac- 
Come  s'interno  avesse  tante  galle,  [que. 
Africa,  in  te  pare  a  costui  non  nacque 
Ben  che  d'Anteo  ti  vanti  o  d'Anniballe. 
Poi  che  fu  giunto  a  proda  gli  dispiacque 
Che  si  vide  restar  dopo  le  spalle  .. 
Quella  città  ch'avea  trascorsa  tutta, 
E  non  l'avea  tutt'arsa  né  distrutta. 

25 
_E  si  lo  rode  la  superbia  e  l' ira. 
Che  per  tornarvi  un'altra  volta,  guarda, 
E  di  profondo  cor  geme  e  sospira. 
Ne  vuoine  uscir,  che  non  la  spiani  et  arda. 
Ma  lungo  il  fiume,  in  questa  furia,  mira 


23.  4.  ne  levò  di  m.,  ne  uccise.  È  il  latino 
de  medio  tollere,  entrato  nella  lingua  co- 
mune. 

—  6.  Di  non  f.  si'  ecc.  Mi  par  da  inten- 
dere: La  ragione  alfine  vinse  la  rabbia  in 
modo  da  non  far  *si  (che  Ij.  non  fece  sf, 
non  si  spinse  a  tale  eccesso)  che  a  Dio  ecc! 
Ed  abbiamo  un  uso  del  di  per  da  come  al 
e.  I,  51,  6;  VITI,  16,-2;  e  più  chiaram.  Cinq. 
Canti,  II,  74,  6.  Uso  analogo  del  di  è  nei 
modi  :  fai  di  ritornar  presto  ;  farò  in  modo 
di  contentarti  e  simili.  Per  l'immagine  ri- 
corda Petr.  IV,  14:  «Or  vivi  si  che  a  Dio 
ne  venga  il  lezzo  >•. 

24.  1.  p.  mezzo  1'  a.  V.  e.  vi,  23,  n.  8. 

—  2.  galle.  Sono  piccole  concrezioni  ro- 
tonde formatesi  sulle  foglie  delle  querci  per 

:  effetto  delle  punture  di  alcuni  insetti.  «  Le 
galle  si  legano,  come  feggei-issime  che  sono, 
all'  estremità  delle  reti  per  farle  star  so- 
spese al  sommo  dell'acqua  ».  Fornari. 

—  4.  Anteo,  gigante  mitologico  di  Libia. 

—  tì.  Che  si  vide;  Può  essere  la  propos. 
soggettiva  o  anche  perché  si  vide. 

25.  3.  di  pr.  e.  Abbiamo  forse  la  fusione 
di  due  maniere  comuni  gemere  di  cuore, 
gemere  dal  profondo  del  cuore.  Cosi  nel 
e.  XXIII,  7,  1. 

—  4.  che;  senza  che.  V.  e.  xv,  54,  n.  6. 
Questa  ritirata  di  Rodomonte  è  imitazione 
della  ritirata  di  Turno,  En.  9,  789  segg.,  e 
in  parte  anche  della  ritirata  di  Agricane, 
Ina.  I,  XI,  44-45.  Tutti  poi  han  preso  da 
Omero  11.  xi.  Monti,  731,  segg.;  anche  la 
comparazione  della  belva  che  si  ritira  lenta 
e  dignitosa. 


CANTO  XVIII 


223 


Venir  chi  l'odio  estingue,  e  l'ira  tarda. 
.  Chi  tosse  io  vi  farò  ben  tosto  udire; 
Ma  prima  un'altra  cosa  v'ho  da  dire. 
'JG 

Io  v'  ho  da  dir  de  la  Discordia  altiera, 
A  cui  l'Angel  Michele  avea  commesso, 
Ch'a  battaglia  accendesse  e  a  lite  fiera 
Quei  che  più  torti  avea  Agramante  ap- 
Usci  de'  frati  la  medesma  sera,     [presso 
Avendo  altrui  l'ufficio  suo  commesso: 
Lasciò  la  Fraude  a  guerreggiare  il  loco. 
Fin  che  tornasse,  e  a  mantenervi  il  foco, 
27 

E  le  parve  ch'andria  con  più  possanza. 
Se  la  Superbia  ancor  seco  menasse: 
E  perché  stavan  tutte  in  una  stanza. 
Non  fu  bisogno  eh'  a  cercar  l'andasse. 
La  Superbia  v'andò,  ma  non  che  sanza 
La  sua  vicaria  il  monaster  lasciasse: 
Per  pochi  di  che  credea  starne  absente. 
Lasciò  l'Ipocrisia  locotenente. 

L'implacabil  Discordia  in  compagnia 
De  la  Superbia  si  messe  in  camino, 
E  ritrovò  che  la  medesma  via, 
Facea  per  gire  al  campo  Saracino, 
L^afflitta  e  sconsolata  Gelosia; 
E  venia  seco  un  Nano  Piccolino, 
Il  qual  mandava  Doralice  bella 
Al  Re  di  Sarza  a  dar  di  sé  novella. 

29  [mano 

Quando  ella  venne  a  Mandricardo  in 
(Ch'io  v'ho  già  raccontato  e  come  e  dove), 
Tacitamente  avea  commesso  al  Nano, 
Che  ne  portasse  a  questo  Ke  le  nuove. 
Ella  sperò  che  noi  saprebbe  in  vano, 
Ma  che  far  si  vedria  mirabil  prove, 
Per  riaverla  con  crudel  vendetta 
Da  quel  ladron  che  gli  l'avea  intercetta, 
ao 

La  Gelosia  quel  Nano  avea  trovato; 


—  6.  tarda;  trattiene;  cf.  .st.  62,  3.  È  si- 
gnificato notevole  non  registrato  dai  voca- 
bolari. 

26.  5.  V.  de'  frati;  u.  di  convento.  Andar 
ne'  frati,  andar  ne'  soldati  e  simili,  sono 
espressioni  comuni  ancora  per  entrare  in 
convento,  neW  esercito  ecc. 

—  6.  commesso.  Differisce  dal  commesso 
del  secondo  verso  solo  per  una  sfumatura 
di  significato:  qui  significa  a/Ac/afo,  là  or- 
dinato. 

27.  5.  sanza,  più  volentieri  che  sema  dis- 
pero gli  antichi  ;  T  a.  generalm.  senza. 

28.  6.  nn  Nano.  Osserva  il  Casella  che  i 
Nani  e  le  donzelle  negli  antichi  romanzi  di 
cavalleria  son  quelli,  che  fanno  spesso  da 
messaggi. 

29.  2.  Il  racconto  è  nel  e.  xiv,  64. 

—  8.  gli  l'aT.  V.  e,  v,  89,  n.  4. 


E  la  cagion  del  suo  venir  compresa, 
A  caminar  se  gli  era  messa  allato. 
Parendo  d'aver  luogo  a  questa  impresa. 
Alla  Discordia  ritrovar  fu  grato  ^ 

La  Gelosia,  ma  più  quando  ebbe  intesa 
La  cagion  del  venir,  che  le  potea 
Molto  valere  in  quel  che  far  volea. 
31 
D'inimicar  con  Rodomonte  il  figlio 
Del  Re  Agrican  le  pare  aver  suggetto; 
Troverà  a  sdegnar  gli  altri  altro  consiglio  ; 
A  sdegnar  questi  duo  questo  è  perfetto. 
Col  Nano  se  ne  vien  dove  l'artiglio 
Del  fier  Pagano  avea  Parigi  astretto; 
E  capitaro  a  punto  in  su  la  riva, 
Quando  il  crudel  del  fiume  anuoto  usciva. 
32 
Tosto  che  riconobbe  Rodomonte, 
Costui  de  la  sua  Donna  esser  messaggio, 
Estinse  ogn'ira,  e  serenò  la  fronte, 
E  si  senti  brillar  dentro  il  coraggio. 
Ogn'altra  cosa  aspetta  che  gli  conte 
Prima  ch'alcuno  abbia  alci  fatto  oltraggio. 
Va  contra  il  Nano,  e  lieto  gli  domanda: 
Ch'è  de  la  Donna  nostra?  ove  ti  manda? 
.     33 
Rispose  il  Nano:  Né  più  tua  né  mia 
Donna  dirò  quella  eh'  è  serva  altrui. 
Ieri  scontrammo  un  cavallier  per  via. 
Che  ne  la  tolse,  e  la  menò  con  lui. 
A  quello  annunzio  entrò  la  Gelosia, 
Fredda  come  aspe,  et  abbracciò  costui. 
Seguita  il  Nano,  e  narragli  in  che  guisa 
Un  sol  l'ha  presa,  e  la  sua  gente  uccisa. 


30.  4.  Parendo;   Sott.  le.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 

—  7.  che;  perché. 

31.  4,  perfetto  ;  (lat.  perfectus)  fatto:  que- 
sto consiglio  è  fatto,  questa  deliberazione  è 
presa  per  sdegnar  gli  altri  d.  —  sdegnar, 
muovere  a  sdegno.  É  significato  frequen- 
tissimo. 

—  6.  astretto;  stretto.  V.  e.  r,  62,  2. 

82.  4.  il  coraggio  ;  il  core.  Cosi  st.-  94  e 
XXXVIII,  19.  Fu  usato  spesso  dagli  ant.  spe- 
cialm.  nel  trecento.  É  il  provenzale  corale, 
Petr.  I,  sou.  152:  «sforzati  al  cielo,  o  mio 
stanco  coraggio  ».  Novelle  ant. 99,  11:  «Ma- 
donna Isotta  v'ama  di  buon  coraggio  ». 

—  6.  Prima  ch'a.;  fuorché  a.  6i  citano 
esempì  di  i^rima  che  per  iJtù  tosto  che  ; 
ma  questo  significato  più  esclusivo  non  pare 
che  sia  registrato  dai  vocabol.  Eppure  è 
d' uso  comune.  «  Tutto  m'  aspettavo  prima 
che  questo»  si  dice  comunemente.  Nota  poi 
la  fusione  dei  due  che,  uno  della  congiun- 
zione e  uno  della  proposiz.  oggettiva. 

33.  4.  con  lui  ;  con  sé.  V.  e.  IV,  6,  3. 

—  6.  aspe,  aspide.  Forma  esclusivam.  poe- 
tica, che  usò  già  il  Petr.  I,  son.  156:  «Che 
sol  trovò  pietà  sorda  com'  aspe  ». 


224 


ORLANDO  FURIOSO 


34 

L'acciaio  allora  la  Discordia  prese, 
E  la  pietra  focaia,  e  picchiò  un  poco, 
E  l'esca  sotto  la  Superbia  stese, 
E  fu  attaccato  in  un  momento  il  foco: 
E  si  rti  questo  l' anima  s'accese 
Del  Saracin,  che  non  trovava  loco: 
Sospira  e  freme  cou  si  orrihil  faccia, 
Che  gli  elementi  e  tutto  il  eiel  minaccia. 
85 

Come  la  tigre,  poi  ch'invan  discende 
Nel  voto  albergo,  e  per  tutto  s'aggira, 
E  i  cari  figli  all' ultimo  comprende 
Essergli  tolti,  avvampa  di  tant'ira, 
A  tanta  rabbia,  a  tal  furor  s'estende. 
Che  né  a  monte,  né  a  rio,  né  a  notte  mira; 
Né  lunga  via,  né  grandine  raffrena 
L'odio  che  dietro  al  predator  la  mena; 
36 

Cosi  fureudo  il  Saracin  bizarro. 
Si  volge  al  Nano,  e  dice:  Or  là  t'invia; 
E  non  aspetta  né  destrier  né  carro, 
E  non  fa  motto  alla  sua  compagnia. 
Va  con  più  fretta,  che  non  va  il  ramarro, 
Quando  il  ciel  arde,  a  traversar  la  via. 
Destrier  non  ha,  ma  il  primo  tòr  disegna 
(Sia  di  chi  vuol)  ch'ad  incontrar  lo  vegna. 
37 

La  Discordia  ch'udi  questo  pensiero, 
Guardò,  ridendo,  la  Superbia,  e  disse 
Che  volea  gire  a  trovare  un  destriero. 
Che  gli  apportasse  altre  contese  e  risse; 
E  far  volea  sgombrar  tutto  il  sentiero, 


34.  1.  L'acciaio,  racciarino,  il  focile.  Bocc. 
nov.  3,  57  :  «  Fatto  colla  pietra  e  coU'  ac- 
ciaio un  poco  di  fuoco  ». 

—  8.  gli  elementi;  la  terra. 

35.  1.  Come  ecc.  Questa  comparazione  fu 
molto  usata  dai  poeti:  Omi.ro,  11.  (Monti)  18, 
432;  Stazio,  Teb.  iv,  315;  Pouz.  st.  i,  39: 
«  Qual  tigre  a  cui  dalla  petrosa  tana  Ha 
tolto  il  cacciator  suoi  cari  figli,  Rabbiosa  il 
segue  per  la  selva  Ircana,  Che  tosto  crede 
insanguinar  gli  artigli  ».  Ma  questa  dell'A. 
è  più  piena  e  completa  di  tutte. 

—  5.  8'  estende;  arriva.  La  N.  Crusca  cita 
il  solo  esempio  dell'A.;  ma  spiega  male  il 
vocabolo  con  lasciarsi  vincere  dall'ira. 

36.  1.  furendo;  Dall' inusit.  fUrere  (lat. 
furere)  usato  solo  nel  gerundio  (poetico)  e 
nel  partic.  pres. 

—  5.  il  ramarro.  È  immagine  dantesca. 
Inf.  25,  79:  «  Come  il  ramarro  sotto  la  gran 
ferza  Dei  di  canicular  cangiando  siepe  Fol- 
gore pare  se  la  via  traversa  ». 

—  6.  a  traversar  ;  traversando.  V.  e.  iv, 
n.  1. 

—  8.  di  chi  vnol.  Espressione  vivissima 
e  efficacissima  nella  nostra  lingua:  è  ellit- 
tica e  vale  sia  di  chiunque   vuole  essere. 


Ch'altro  che  quello  in  man  non  gli  venis- 
E  già  pensato  avea  dove  trovarlo,      [se: 
Ma  costei  lascio,  e  torno  a  dir  di  Carlo. 
38 

Poi  ch'ai  partir  del  Saracin  s'estinae 
Carlo  d'intorno  il  periglioso  fuoco. 
Tutte  le  genti  all'ordine  restrinse. 
Lascionne  parte  in  qualche  debol  loco: 
Adosso  il  resto  ai  Saracini  spinse, 
Per  dar  lor  scacco,  e  guadagnarsi  il  giuo- 
E  li  mandò  per  ogni  porta  fuore,         [co; 
Da  san  Germano  in  fin  a  san  Vittore. 
39 

E  comandò  ch'a  porta  san  Marcello, 
Dov'  era  gran  spianata  di  campagna. 
Aspettasse  l'  un  l'altro;  e  in  un  drappello 
Si  ragunasse  tutta  la  compagna: 
Quindi  animando  ognuno  a  far  macello 
Tal,  che  sempre  ricordo  ne  rimagna, 
Ai  lor  ordini  andar  fé'  le  bandiere, 
E  di  battaglia  dar  segno  alle  schiere. 

40  [sella. 

Il  Re  Agraraante  in  questo  mezzo  in 
Malgrado  dei  Cristian,  rimesso  s'era; 


37.  6.  Cli' altro;  cosi  che  al. 

38.  1.  s' estinse;  est.  intorno  a  sé.  Infatti 
fu  Carlo,  che,  per  la  sua  prudenza  e  pel 
suo  coraggio  aveva  fatto  partire  Rodo- 
monte e  cosi  avea  estinto  il  combattimento. 
Ma  sarebbe  più  semplice  intendere  si  estin- 
se d' intorno  a  Carlo.  In  tal  caso  vi  è  da 
notare  1'  omissione  della  prepos.  Si  direbbe 
comunemente  a  Carlo  d'intorno;  e  non 
Carlo  d'intorno;  ma  questa  omissione  non 
sarebbe  dei  maggiori  ardimenti  dell'A. 

—  3.  all'  ordine  r.  ;  raccolse,  riunì  in  schie- 
ra. V.  e.  XVI,  70,  4. 

—  6.  P.  d.  1.  scacco  ;  p,  d.  1.  sconfìtta.  E- 
spressione  tolta  dal  giuoco  degli  scacchi  e 
ancora  comune. 

—  8.  Da  s.  Germ.  ecc.;  da  tutte  le  porte, 
a  cominciare  da  quella  di  S.  Germano  a 
quella  di  8.  Vitt.  Oggi  questi  nomi  delle  an- 
tiche porte  son  rimasti  ad  alcune  borgate. 
S.  derni,  era  a  ovest,  S.  Vittore  a  sud-est; 
S.  Marcello  a  sud;  tutte  al  di  qua  della 
Senna,  secondo  ciò  che  l'A.  ha  detto  nel  e. 
XIV,  105.  Da  ciò  può  valutarsi  l' importanza 
di  questi  ordini  dati  da  C.  Magno. 

39.  4.  compagna;  compagnia.  V.  e.  iv, 
39,  4. 

— -  5.  Quindi  ;  dopo  che  si  furon  tutti  rac- 
colti a  porta  S.  Marcello. 

—  7.  Ai  1.  ordini  ecc.  ;  fece  andare  cia- 
scuna bandiera  alla  sua  schiera;  cioè  or- 
dinò le  schiere  sotto  diverse  bandiere.  Nella 
confusione,  dispersi  gli  ordini,  si  erau  di- 
spersi anche  i  vessilli. 

40.  2.  Malgr.  dei  Cr.;  in  danno  dei  Cri- 
stiani.  Cosi    anche    nel   e.   xxvii,  17,  7.  In- 


CANTO  XVIII 


225 


E  con  l'inamorato  d'Isabella 
Facea  battaglia  perigliosa  e  fiera: 
Col  Re  Sobrin  Lurcanio  si  martella  : 
Einaldo  incontra  avea  tutta  una  schiera, 
E  con  virtude  e  con  fortuna  molta 
L'urta,  l'apre,  ruina  e  mette  in  volta. 
41 

Essendo  la  battaglia  in  questo  stato, 
L'imperatore  assalse  il  retroguardo 
Dal  canto  ove  Marsilio  avea  fermato 
Il  fior  di  Spagna  intorno  al  suo  stendardo. 
Con  fanti  in  mezzo  e  cavalieri  allato, 
Ee  Carlo  spinse  il  suo  popol  gagliardo 
Con  tal  rumor  di  timpani  e  di  trombe, 
Che  tutto  '1  mondo  par  che  ne  rimbomba. 
42 

Cominciavan  le  schiere  a  ritirarse 
De'  Saracini,  e  si  sarebbon  volte 
Tutte  a  fuggir,  spezzate,  rotte  e  sparse, 
Per  mai  più  non  potere  esser  raccolte; 
Ma  '1  Re  Grandonio  e  Falsirou  comparse, 
Che  stati  in  maggior  briga  eran  più  volte, 
E  Balugante  e  Serpentin  feroce, 
E  Ferraù  che  lor  dicea  a  gran  voce: 
43 

Ah  (dicea)  valentuomini,  ah  compagni. 
Ah  fratelli,  tenete  il  luogo  vostro. 
I  nimici  faranno  opra  di  ragni, 
Se  non  manchiamo  noi  del  dover  nostro. 


vece  nel  e.  xxxiv,  35,  5,  1'  abbiamo  senza 
pi'epos.  :  malgrailo  lor  tutti. 

—  3.  l'in.  d'l3ab.;  Zerbino. 

41.  2.  retroguardo  ;  Fu  usato  dagli  antichi 
al  pari  di  retroguardia.  Carlo  M.  dunque 
condusse  i  suoi  dalla  parte  dov'  era  Mar- 
silio, lo  prese  alle  spalle  e  ne  assali  la  re- 
troguardia. 

—  5.  Con  f.  in  m.  «  Secondo  l'ordine  della 
militar  disciplina  il  Poeta  fa  che  Carlo  dalle 
bande  chiuda  in  mezzo  i  pedoni  coi  caval- 
li »  Forìiari. 

—  7.  timpani;  V.  e.  XVI,  56,  2. 

42.  3.  spezzate;  in  grandi  parti;  rotte  in 
piccoli  frammenti;  e  anche  questi,  sparsi, 
dispersi. 

—  4.  Per  m.  pili.  Il  senso  richiederebbe 
che  si  intendesse  il  per  come  in  modo  da. 
Infatti  nelle  altre  due  ediz.  del  '16  e  del  '21 
si  aveva:  «  SI  che  mai  più  non  si  sarian 
raccolte  ».  Ma  con  quale  autorità  possiamo 
interpretare  cosi?  Secondo  l'uso  comune  di 
per  intendi:  si  sparpagliavano,  affinché  nes- 
suno potesse  più  raccoglierli  e  ricondurli 
al  pencolo. 

—  5.  comparse;  È  forma  molto  frequente 
negli  antichi,  specialmente  in  poesia;  ma 
meno  di  compaì've. 

43.  4.  del  d.  n.;  Più  comunem.  ai  dover 
nostro.  GELLt,  Err.  3,  3:  «che  io  abbia 
mancato  dell'  ufficio  del  vero  amico  ». 


^  Gualcate  1  alto  onor,  gli  ampli  guadagni 

\  Che  Fortuna,  vincendo,  oggi  ci  ha  mostro: 

Guardate  la  vergogna  e  il  danno  estremo, 

Ch  essendo  vinti  a  patir  sempre  avremo. 

rp  ,,     .  '^'^  [avea, 

iolto  in  quel  tempo  una  gran  lancia 
E  contro  Berlingier  venne  di  botto, 
Che  sopra  l'Argaliffa  combattea, 
E  l'elmo  ne  la  fronte  gli  avea  rotto: 
Gittollo  in  terra,  e  con  la  spada  rea 
Appresso  a  lui  ne  fé'  cader  forse  otto. 
Per  ogni  botta  almanco,  che  disserra. 
Cader  fa  sempre  un  cavalliero  in  terra. 
45 

In  altra  parte  ucciso  avea  Rinaldo 
Tanti  Pagan,  ch'io  non  potrei  contarli. 
Dinanzi  a  lui  non  stava  ordine  saldo  : 
Vedreste  piazza  in  tutto  '1  campo  darli. 
NonmeiiZerbin,  non  menLurcanio  è  caldo  : 
Per  modo  fan,  ch'ognun  sempre  ne  parli: 
Questo  di  punta  avea  Balastro  ucciso, 
E  quello  a  Finadur  l'elmo  diviso. 
46 

L'  esercito  d'Alzerbe  avea  il  primiero, 
Che  poco  inanzi  aver  solca  Tardocco: 
L'altro  tenea  sopra  le  squadre  impero 
Di  Zamor  e  di  Sarti  e  di  Marocco. 
Non  è  tra  gli  Africani  un  cavalliero 
Che  di  lancia  ferir  sappia  o  di  stocco? 
Mi  si  potrebbe  dir:  ma  passo  passo 
Nessun  di  gloria  degno  a  dietro  lasso, 
47 

Del  Re  de  la  Zumara  non  si  scorda 
Il  nobil  Dardinel  figlio  d'Almonte, 
Che  con  la  lancia  Uberto  da  Mirforda, 
Claudio  dal  Bosco,  Elio  e  Dulfin  dal  Monte, 


44.  3.  l'Arg.  V.  e,  XI v,  16,  3. 

—  5.  rea,  dannosa;  come  al  e.  xvii,  99, 
destriero  rio. 

—  7.  disserra,  vibra.  V.  e.  iv,  20,  n.  5. 

46.  1.  Alzerbe;  Isoletta  dell'Affrica,  posta 
fra  le  due  Sirti,  detta  Gerba  dagli  antichi, 
ora  Gerbe. 

—  4.  Zamora.  Non  è  Zam.  di  Spagna,  per- 
ché qui  si  parla  dell'  esercito  Affricano  ;  ma 
un'  antica  città  sulle  coste  di  Barberia.  — 
Saffi;  Alcuni  intendono  Sarfand  nella  Siria, 
altri,  meglio,  Sapia,  città  della  Barberia. 

47.  I.  non  si  scorda.  È  usato  impers.  per 
non  mi  scordo  ;  come  nel  e.  vii,  68,  3;  ma 
i-egolarmente  avrebbe  dovuto  dire  ìion  mi 
scorda.  É  chiara  la  fusione  di  due  costrutti  : 
Il  re  della  Z.  non  si  scorda  (non  viene  da 
me  dimenticato);  e  Del  re  della  Z.  non  mi 
scordo.  O  anche:  il  nobii  Dardin.  figlio 
d'Alm.  non  si  scorda  della  dignità  di  ra 
della  Zumara,  che  egli  irapersona. 

—  3.  Mirforda;  Mitford,  città  d'Inghil- 
terra. 


Abiosto  —  Papini 


15 


22G. 


ORLANDO  FUEIOSO 


E  con  la  spada  Anselmo  da  Stanforda, 
E  da  Londra  Raimondo  e  Pinamonte 
Getta  per  terra  (et  erano  pur  forti), 
Dui  storditi,  un  piagato,  e  quattro  morti. 

48 
Ma  con  tutto  '1  valor  che  di  sé  mostra, 
Non  può  tener  si  ferma  la  sua  gente. 
Si  ferma,  ch'aspettar  voglia  la  nostra 
Di  numero  miuor,  ma  pili  valente. 
Ha  pili  ragion  di  spada  e  pili  di  giostra 
E  d'ogni  cosa  a  guerra  appertinente. 
Fugge  la  gente  Maura,  di  Zumara, 
Di  Setta,  di  Marocco  e  di  Canara. 

49 
Ma  più  degli  altri  fuggon  quei  d'Alzerbe, 
A  cui  s'oppose  il  nobil  giovinetto; 
Et  or  con  prieghi,  or  con  parole  acerbe 
Ripor  lor  cerca  l'animo  nel  petto. 
S'Almonte  meritò  eh'  in  voi  si  serbe 
Di  lui  memoria,  or  ne  vedrò  l'effetto: 
Io  vedrò  (dicea  lor)  se  me,  suo  figlio, 
Lasciar  vorrete  in  cosi  gran  periglio. 

50 
State,  vi  priego  per  mia  verde  etade, 
In  cui  solete  aver  si  larga  speme: 
Deh  non  vogliate  andar  per  fil  di  spade. 
Ch'in  Africa  non  torni  di  noi  seme. 
Per  tutto  ne  saran  chiuse  le  strade. 
Se  non  andiam  raccolti  e  stretti  insieme  : 
Troppo  alto  muro,  e  troppo  larga  fossa 
È  il  monte  e  il  mar,  pria  che  tornar  si  pos- 

51  [sa. 

Molto  è  meglio  morir  qui,  ch'ai  supplici 


—  5.  Stanforda;  Stafiford;  contea  e  città 
dell'  Inghilterra  occid. 

48.  3.  Si  ferma.  V.  e.  I,  47,  n.  1. 

—  .5.  ragion;  perizia.  Cosi  pure  nel  e. 
XLV,  81,  5.  È  il  ratio  dei  Latini,  Lucrezio, 
v,  104,  dice  naviga  ratio,  l'arte  di  navi- 
gare. 

—  6.  appertinente.  Dall' inusit.  apperte- 
nere.  Il  Bocc.  nov.  59  ha  pertinente;  forma 
che  è  ancora  nell'uso.  V.  e.  xlvi,  103,  4. 

—  8.  Canara,  Canaria.  Cosi  il  Boiardo 
Jnn.  II,  XXIX,  12. 

49.  3.  Et  or.  ecc.  In  questo  luogo  Dardi- 
nello  è  imitazione  del  Fallante  virgiliano 
(En.  X,  362-375),  del  quale  son  tradotti  pen- 
sieri ed  espressioni.  «  Nunc  prece  nunc 
dictis  virtutem  accendit  amaris  ». 

—  'o.  S'Almonte  ecc.  Eneid.  1.  e.  «Per  du- 
ci.? Evandri  nomen  devictaque  bella  Spem- 
que  meam  ». 

—  6.  l'effetto;  la  prova.  V.  e.  v,  17,  n.  5. 
50.3.    andar   p.  f.  d.  s.;   Nella   st.  162,  6, 

mettere  p.  f.  <l.  s.  Più  comunem.  andare, 
mettere  a  f.  d.  sp. 

—  4.  Ch'in  A.;  cosi  che  A. 

—  s.  il  monte  e  il  m.  ;  i  Pirenei  per  tor- 
nare in  Spagna,  e  lo  stretto  di  Gibilterra 


Darsi  e  alla  discrezion  di  questi  cani. 
State  saldi,  per  Dio,  fedeli  amici. 
Che  tutti  son  gli  altri  rimedi  vani. 
Non  han  di  noi  pili  vita  gl'inimici: 
Più  d'un' alma  non  han,  più  di  due  mani. 
Cosi  dicendo,  il  giovinetto  forte 
Al  Conte  d'Otonlei  diede  la  morte. 
52 

Il  rimembrare  Almonte  cosi  accese 
L'esercito  African  che  fuggia  prima. 
Che  le  braccia  e  le  mani  in  sue  difese 
Meglio,  che  rivoltar  le  spalle,  estima. 
Guglielmo  da  Burnich'era  uno  Inglese 
Maggior  di  tutti,  e  Dardinello  il  cima, 
E  lo  pareggia  agli  altri;  e  appresso  taglia 
Il  capo  ad  Aramon  di  Cornovaglia. 
53 

Morto  cadea  questo  Aramone  a  valle; 
E  v'accorse  il  fratel  per  dargli  aiuto: 
Ma  Dardinel  l'aperse  per  le  spalle 
Fin  giù  dove  lo  stomaco  è  forcuto. 
Poi  forò  il  ventre  a  Bogio  da  Vergalle, 
E  lo  mandò  del  debito  assoluto: 
Avea  promesso  alla  moglier  fra  sei 
Mesi,  vivendo,  di  tornare  a  lei. 
54 

Vide  non  lungi  Dardinel  gagliardo 
Venir  Lurcanio,  eh' avea  in  terra  messo 
Dorchin,  passato  ne  la  gola,  e  Gardo 
Per  mezzo  il  capo  e  in  sin  ai  denti  fesso  ; 
E  ch'Alteo  fuggir  volse,  ma  fu  tardo, 
Alteo  ch'amò  quanto  il  suo  core  istesso; 
Che  dietro  alla  collottola  gli  mise 
Il  fier  Lurcanio  un  colpo  che  l' uccise. 


per  passare  quindi  in  Affrica.  Eneid.  1.  e. 
377  :  «  Ecce  maris  magna  claudit  nos  obice 
pontus  ». 

51.  6.  Pili  d'  un'  al.  ecc.  Eneid.  1.  e.  376  : 
«  totidem  nobis  animaeque  manusque  ». 

52.  3.  Che  le  braccia;  Che  rivoltar  le  brac- 
cia ecc. 

—  5.  Burnich.  Non  sappiamo  che  paese 
intendere  sotto  questo  nome. 

—  6.  il  cima;  gli  taglia  la  testa.  Cimare, 
vivo  ancora,  è  vocabolo  tecnico   dell'agri-- 
coltura  e  significa  spuntar  la  cima  deUe 
piante. 

53.  1.  a  valle;  al  basso.  Dante,  Inf.  20, 
35  :  «  Ma  non  restò  di  ruinare  a  valle  ». 

—  4.  dove  lo  st.  ecc.;  Sino  alla  forcella 
dello  stomaco. 

—  6.  lo  mandò  ecc.  ;  lo  liberò  dal  debito 
contratto  con  sua  moglie,  di  tornare. 

—  7.  moglier,  mogliere.  Lo  abbiamo  in- 
tero nel  e.  xxxvii,  20,  5,  ed  è  già  nel  Boc- 
caccio e  nel  Petr.  È  il  lat.  rnulierem. 

54.  5.  E  che.  Dipende  dal  vide  del  v.  1. 

—  7.  Che  ;  poiché.  Spiega  il  fu  tardo  del 
verso  5.  Sarebbe  più  chiaro  mettendo  fra 
parentesi  il  v.  6.  —  gli  mise  :    mettere  un 


CANTO  xvm 


227 


Piglia  una  lancia,  e  va  per  far  vendetta, 
Dicendo  al  suo  Macon  (s'udir  lo  puote) 
Che  se  morto  Lurcanio  in  terra  getta, 
Ne  la  Moschea  ne  porrà  l'arme  vote. 
Poi  traversando  la  campagna  in  fretta, 
Con  tanta  forza  il  fianco  gli  percuote. 
Che  tutto  il  passa  sin  all'altra  banda; 
Et  ai  suoi,  che  lo  spoglino,  comanda. 
.06 
Non  è  da  domandarmi,  se  dolere 
Se  ne  dovesse  Ariodante  il  frate; 
Se  desiasse  di  sua  man  potere 
Por  Dardinel  fra  l'anime  dannate; 
Ma  noi  lasciau  le  genti  adito  avere, 
Non  men  de  le  'nfedel  le  battezzate. 
Vorria  pur  vendicarsi  e  con  la  spada 
Di  qua  di  là  spianando  va  la  strada. 

57  [de 

Urta,  apre,  caccia,  atterra,  taglia  e  fen- 
Qualungue  lo  'rapedisce  o  gli  contrasta. 
E  Dardinel  che  quel  disire  intende, 
A  volerlo  saziar  già  non  sovrasta: 
Ma  la  gran  moltitudine  contende 
Con  questo  ancora  e  i  suoi  disegni  guasta. 
Se  Mori  uccide  l'un,  l'altro  non  manco 
Gli  Scotti  uccide  e  il  campo  Inglese  e '1 
58  I  Franco. 

Fortuna  sempre  mai  la  vialor  tolse, 
Che  per  tutto  quel  di  non  s' accozzare. 
A  pili  famosa  man  serbar  l'un  volse; 
Che  r  uomo  il  suo  destin  fugge  di  raro. 
Ecco  Rinaldo  a  questa  strada  volse, 
Perch'  alla  vita  d' un  non  sia  riparo: 
Ecco  Rinaldo  vien:  Fortuna  il  guida 
Per  dargli  onor,  che  Dardinello  uccida. 

colpo,  una  botta  (e.  ix,  30)  è  modo  nuovo 
non  registrato  dai  vocabolari. 

55.4.  vote;  vuote.  È  epiteto  puramente 
descrittivo.  Qualcuno  intende  vote  per  vo- 
tate (lat.  votila,  offerto  in  voto);  ma  a  to- 
gliere ogni  dubbio  vengono  le  edizioni  del 
'16  e  del  '21,  che  leggono  vuote.  L'idea  del 
vóto  è  già  neh'  espressione  2}or  nella  •mo- 
schea. 

—  S.  che  lo  spoglino;  Per  offrir  le  armi 
vuote. 

56,  5.  adito  avere,  entrare  fra  loro  per 
andare  a  Dardinello. 

57.4.  non  sovrasta;  non  indugia,  Di  que- 
st'uso sono  esempi  anche  in  prosa:  Bocc. 
Dee.  giorn.  6,  prol.  «  Delle  sette  volte  le  sei 
soprastanno  tre  o  quattro  anni  più  che  non 
debbano  a  maritarle  ». 

58.  2.  Che  ;  o  è  relativo  a  lor,  o  è  per 
cos'i  che.  —  s'accozzare;  si  cozzarono  (V.  e.  i, 
G2,  2),  si  urtarono. 

—  3.  l'un;  Dardinello;  come  si  rileva  da 
ciò  che  segue. 

—  5.  volse;  o  dipende  da  Fortuna  o  da  j 
Rinaldo,  e  in  questo  caso  significa  si  volse.  \ 


59 
Ma  sia  per  questa  volta  detto  assai 
Dei  gloriosi  fatti  di  Ponente. 
Tempo  è  eh'  io  torni  ove  Grifon  lasciai, 
Che  tutto  d'ira  e  di  disdegno  ardente  ' 
Facea,  con  piii  timor  ch'avesse  mai, 
Tumultuar  la  sbigottita  gente. 
Re  Norandino  a  quel  rumor  corso  era 
Con  più  di  mille  armati  in  una  schiera 
60 
Re  Norandin  con  la  sua  corte  armata. 
Vedendo  tutto  '1  popolo  fuggire. 
Venne  alla  porta  in  battaglia  ordinata, 
E  quella  fece  alla  sua  giunta  aprire. 
Grifone  intanto  avendo  già  cacciata 
Da  sé  la  turba  sciocca  e  senza  ardire, 
La  sprezzata  armatura  in  sua  difesa 
(Qual  la  si  fosse)  avea  di  nuovo  presa- 

I  ^^ 
E  presso  a  un  tempio  ben  murato  e  forte 

Che  circondato  era  d'un' alta  fossa, 

In  capo  un  ponticel  si  fece  forte. 

Perché  chiuderlo  in  mezzo  alcun  non  pos- 

Ecco,  gridando  e  minacciando  forte,  [sa. 

Fuor  de  la  porta  esce  una  squadra  grossa. 

L'animoso  Grifon  non  muta  loco, 

E  fa  sembiante  che  ne  tema  poco. 

62 

E  poi  ch'avvicinar  questo  drappello 
Si  vide,  andò  a  trovarlo  in  su  la  strada; 
E  molta  strage  fattane  e  macello 
(Che  menava  a  due  man  sempre  la  spada), 
Ricorso  avea  allo  stretto  ponticello, 
E  quindi  li  tenea  non  troppo  a  bada  : 
Di  nuovo  usciva,  e  di  nuovo  tornava; 
E  sempre  orribil  segno  vi  lasciava. 
6.3 

Quando  di  dritto  e  quando  di  riverso 
Getta  or  pedoni  or  cavallieri  in  terra. 

II  popol  centra  lui  tutto  converso 
Più  e  più  sempre  inaspera  la  guerra. 
Teme  Grifone  al  fin  restar  sommerso  : 
>Si  cresce  il  mar  che  d'ognintorno  il  serra; 
E  ne  la  spalla  e  ne  la  coscia  manca 


60.  3.  in  battaglia  ord.;  in  perfetto  ordine 
di  battaglia.  In  battaglia  significa  in  or- 
dine di  battaglia;  battaglia  ordinata  è 
quella  che  si  fa  mantenendo  ordine  e  disci- 
plina. Di  qui  il  modo  in  b.  ord. 

—  4.  ginnta;  arrivo.  Dante,  Inf.  24,  45: 
«  Anzi  mi  assisi  nella  prima  giunta  ». 

—  8.  Qnal;  qualunque.  Peth..  iv,  canz.  4  : 
«  Ivi  fa'  eh'  il  tuo  vero  (Qual  io  mi  sia)  per 
la  mia  lingua  s'  oda  ». 

61.3.  In  capo  un;  in  capo  •  un.  V.  e.  vi, 
23,  n.  8. 

62.5.  Ricorse  avea;  faceva  ricorso  ;  si  ri- 
fugiava. 

63.  4.  inaspera;  inaspra,  rende  aspra  e 
crudele. 


228 


ORLANDO  FURIOSO 


È  già  ferito,  e  pur  la  lena  manca. 
64 

Ma  la  Virtù,  ch'ai  suoi  spesso  soccorre, 
Gli  fa  appo  Norandin  trovar  perdono. 
Il  Re,  mentre  al  tumulto  in  dubbio  corre, 
Vede  che  morti  già  tanti  uè  sono; 
Vede  le  piaghe  che  di  man  d'Ettorre 
Pareano  uscite:  un  testimonio  buono, 
Che  dianzi  esso  avea  tatto  indegnamente 
Vergogna  a  un  cavallier  molto  eccellente. 
65  [fronte 

Poi,  come  gli  è  più  presso  e  vede  in 
Quel  che  la  gente  a  morte  gli  hacondutta, 
E  fattosene  avanti  orribil  monte, 
E  di  quel  sangue  il  fosso  e  l'acqua  brutta; 
Gli  è  avviso  di  veder  proprio  sul  ponte 
Orazio  sol  contra  Toscana,tutta: 
E  per  suo  onore,  e  perché  gli  ne  'ncrebbe, 
Ritrasse  i  suoi,  né  gran  fatica  v'  ebbe; 
66 

Et  alzando  la  man  nuda  e  senz'arme, 
Antico  seguo  di  tregua  o  di  pace, 
Disse  a  Grifon:Non  so,  se  non  chiamarme 
D'avere  il  torto  e  dir  che  mi  dispiace: 
Ma  il  poco  mio  giudicio,  e  lo  instigarme 
Altrui  cadere  in  tanto  error  mi  face. 
Quel  che  di  fare  io  mi  credea  al  più  vile 


—  8.  pur,  anche. 

64.  1.  a' suoi;  ai  suoi  protetti;  ai  virtuosi. 

—  3.  in  dnl)l)io,  che  fosse  vero  ciò  che 
avea  udito  di  Grifone. 

—  6.  un  test.  b.  Apposizione  di  piaghe. 

65.  6.  Orazio  ecc.  Verso  .famoso,  che  è 
bel  rifacimento  di  un  luogo  del  Petr.  Tr. 
F.  I,  81  :  «  quel  che  solo  Contro  Toscana 
tutta  tenne  il  ponte  ». 

—  7.  per  suo  onore;  Si  può  intendere  in 
più  modi:  Per  non  esporre  il  suo  onore  a 
ima  sconfìtta.  —  Per  provvedere  al  suo 
onore  riparando  V  ingiuria  fatta  a  Gr.  — 
Per  onore  di  Grif.  ;  cioè  per  onorare  il  suo 
merito.  —  gli  ne  'ncr.  ;  gli  increbbe  di  Gri- 
fone, che  era  stalo  ingiustamente  offeso. 

66.  1.  Et  alzando  ecc.  Petr,  iv,  canz.  4: 
«  Alzando  il  dito  (come  segno  di  i-esa)  con 
la  morte  scherza  ».  "V.  la  dotta  nota  del 
Carducci  nelle  iìOne  pubblicate  dal  Sansoni. 
E  lo  stesso  Petr.  n,  canz.  5:  «Or,  lasso, 
alzo  la  mano  e  1'  arnie  rendo  ».  È  forse  uso 
tolto  dai  gladiatori,  che,  vinti,  con  alzare 
il  dito  (tollerc  digitum)  domandavano  gra- 
zia al  popolo. 

—  3.  chiamarme;  dichiarare.  Uso  molto 
notevole,  che  trovasi  anche  nel  e.  xliv,  21, 
3;  e  Cinque  Canti  iv,  3;  dove  il  Polidori  av- 
verte :  significazione  non  nuova  (chiamarsi 
in  colpa  ecc.),  ma  nuovo  il  costrutto. 

—  6.  mi  face.  Questo  pres.  invece  del 
pass,  indica  che  l' effetto  dell'  errore  dura 
ancora.  V.  Fornaciari,  Sint.  p.  406,  20. 


Guerrier  del  mondo,  ho  fatto  al  più  gentile. 
67 

E  se  bene  alla  ingiuria  et  a  quell'  onta 
Ch'oggi  fatta  ti  fu  per  ignoranza, 
L'onor  che  ti  fai  qui,  s'adegua  e  sconta, 
O  (per  più  vero  dir)  supera  e  avanza; 
La  satisfazi'on  ci  sarà  pronta 
A  tutto  mio  sapere  e  mia  possanza, 
Quando  io  conosca  di  poter  far  quella 
Per  oro  o  per  cittadi  o  per  castella. 
68 

Chiedimi  la  metà  di  questo  regno, 
Ch'io  son  per  fartene  oggi  possessore; 
Che  l'alta  tua  virtù  non  ti  fa  degno 
Di  questo  sol,  ma  ch'io  ti  doni  il  core: 
E  la  tua  mano,  in  questo  mezzo,  pegno 
Di  fé'  mi  dona  e  di  perpetuo  amore. 
Cosi  dicendo  da  cavallo  scese, 
E  ver  Grifon  la  destra  mano  stese. 
69 

Grifon,  vedendo  il  Re  fatto  benigno 
Venirgli  per  gittar  le  braccia  al  collo. 
Lasciò  la  spada  e  l'animo  maligno, 
E  sotto  l'anche  et  umile  abbraeciollo. 
Lo  vide  il  Re  di  due  piaghe  sanguigno, 
E  tosto  fé'  venir  chi  medicoUo, 
Indi  portar  nella  cittade  adagio, 
E  riposar  nel  suo  real  palagio. 
70 

Dove,  ferito,  alquanti  giorni,  inante 
Che  si  potesse  armar,  fece  soggiorno. 
Ma  lascio  lui,  ch'ai  suo  frate  Aquilante 
Et  ad  Astolfo  in  Palestina  torno, 
Che  di  Grifon,  poi  che  lasciò  le  sante 
Mura,  cercare  han  fatto  più  d'un  giorno 
In  tutti  i  lochi  in  Solima  devoti, 
E  in  molti  ancor  da  la  città  remoti. 


—  8.  gentile.  V.  st.  22,  3. 

67.  1.  se  bene...  s'adegua.  V.  C.  xvi,  2,  4, 

—  3.  s'adegua  e  sconta;  si  pareggia  in 
grandezza  e  la  sconta,  la  estingue  nei  suoi 
effetti,  cioè  nel  disonore  che  essa  produce. 

—  4.  supera...  avanza:  supera  in  gran- 
dezza, e  si  riferisce  al  precedente  s'ade^Twa; 
avanza  in  valore,  e  si  riferisce  a  sconta  ; 
cioè  la  sconta,  e  avanza  pur  qualche  cosa. 

—  5.  ci  sarà,  ne  sarà.  V.  e.  vii,  2,  n.  1. 

—  6.  &  tutto  ecc.  ;  secondo  tutto  il  mio  ecc. 

—  8.  Per  oro  ecc.  È  un  verso  del  Pe- 
trarca I,  canz.  IT),  47. 

68.  5.  In  questo  m.  intanto.  Bocc.  nov.  24  : 
«  Ti  converrebbe  in  questo  mezzo  dire  certe 
orazioni  ». 

69.  2.  Venirgli  p.  g.;  venire  p.  gittargli. 
V*.  e.  r,  47,  1. 

—  4.  Sotto  l'anche;  É  immagine  Dante- 
sca; Purg,  7,  15:  «Ed  abbraeciollo  ove  il 
minor  s'  appiglia  ». 

—  7.  portar;  portarlo. 

70.7.  devoti;  onorati  devotamente.  Pltr.. 


CANTO  XVIII 


229 


71 
Or  né  l'uno  né  l'altro  è  si  indovino, 
Che  di  Grifon  possa  saper  che  sia: 
Ma  venne  lor  quel  Greco  peregrino, 
Nel  ragionare,  a  caso  a  darne  spia, 
Dicendo  ch'Orrigille  avea  il  camino 
Verso  Antiochia  preso  di  Soria, 
D'un  nuovo  drudo,  ch'era  di  quel  loco, 
Di  subito  arsa  e  d'iniproviso  foco. 

72 
Dimandògli  Aquilante,  se  di  questo 
Cosi  notizia  avea  data  a  Grifone; 
E  come  l'affermò  s'avvisò  il  resto, 
Perché  fosse  partito,  e  la  cagione. 
Ch'Orrigille  ha  seguito  è  manifesto 
In  Antiochia,  con  intenzione 
Di  levarla  di  man  del  suo  rivale 
Con  gran  vendetta,  e  raeraorabil  male. 

73 
Non  telerò  Aquilante  che  '1  fratello 
Solo  e  senz'esso  a  quell'impresa  andasse  ; 
E  prese  l'arme,  e  venne  dietro  a  quello: 
Ma  prima  pregò  il  Duca  che  tardasse 
L'andata  in  Francia  et  al  paterno  ostello, 
Finch' esso  d'Antiochia  ritornasse. 
Scende  al  Zaffo,  e  s'imbarca;  che  gli  pare 
E  più  breve  e  miglior  la  via  del  mare. 

74 
Ebbe  un  Ostro  silocco  allor  possente 
Tanto  nel  mare,  e  si  per  lui  disposto. 
Che  la  terra  del  Surro  il  di  seguente 
Vide,  e  Saffetto,  un  dopo  l'altro  tosto. 
Passa  Barutti  e  il  Zibeletto,  e  sente 
Che  da  man  manca  gli  è  Cipro  discosto. 
A  Tortosa  da  Tripoli,  e  alla  Lizza, 
E  al  golfo  di  Laiazzo  il  camin  drizza. 


IV,  canz.  2:  «  a'  lor  tetti  (le  chiese)  Che  fur 
già  si  devoti  ». 

71.3.  quel  Gr.  p.;  V.  e,  XV,  100. 

—  4.  spia;  indizio.  V.  e.  vii,  34,  n.  8. 
72.3.  8' avvisò;  s'immaginò. 

73.5.  al  paterno  o.;  al  padre  Ottone,  che 
combatteva  iu  Francia. 

—  7.  Zaffo;  Oggi  Giaffa.  V.  e.  xv,  98. 

74.  1.  Ostro  sii.;  vento  di  sud-sud-est,  in- 
termedio fra  l'austro  (mezzogiorno)  e  lo 
scirocco.  —  scilocco.  (arabo  shoruq)  o  si- 
rocco,  scirocco. 

—  3.  Snrro;  Sur,  o  Tsur:  l'antica  Tiro, 
città  potentissima  della  Fenicia. 

—  4.  Saffetto;  oggi  Sarafend,  fra  Tiro  e 
Sidone. 

—  5.  Baratti,  Berutti,  la  Berythus  degli 
antichi.  —  Zibeletto  ;  Forse  l'odierno  Diebail. 
Alcuno  crede  che  sia  l'antico  Byblos  nella 
Fenicia,  oggi  Gebail.  —  sente,  conosce. 
Dajnte,  Purg.  27,  68:  «il  sol  corcar...  Sen- 
timmo dietro  ». 

—  7.  Tortosa,  antica  città  di  Siria,  che 
«ra  famosa  come  piazza  forte.  —  Tripoli, 


75 
Quindi  a  Levante  fé' il  nocchier  la  fron- 
Del  navilio  voltar  snello  e  veloce;        [te 
Et  a  sorger  n'andò  sopra  l'Oronte, 
E  colse  il  tempo,  e  ne  pigliò  la  foce. 
Gittar  fece  Aquilante  in  terra  il  ponte, 
E  n'usci  armato  sul  destrier  feroce;     . 
E  contra  il  fiume  il  camin  dritto  tenne 
Tanto  ch'in  Antiochia  se  ne  venne. 

76 
Di  quel  Martano  ivi  ebbeadinformarse; 
Et  udi  ch'a  Damasco  se  n'era  ito 
Con  Orrigille,  ove  una  giostra  farse 
Dovea  solenne  per  reale  invito. 
Tanto  d'andargli  dietro  il  desir  l'arse. 
Certo  che  '1  suo  german  l'abbia  seguito. 
Che  d'Antiochia  anco  quel  di  si  tolle; 
Ma  già  per  mar  più  ritornar  non  volle. 

77 
Verso  Lidia  e  Larissa  il  camin  piega: 
Resta  più  sopra  Aleppe  ricca  e  piena. 
Dioper  mostrar  ch'ancordiquanonniega 
Mercede  al  bene,  et  al  contrario  pena, 
Martano  appresso  a  Mamuga  una  lega 
Ad  incontrarsi  in  Aquilante  mena. 
^Martano  si  facea  con  bella  mostra 
Portare  inanzi  il  pregio  de  la  giostra. 

78 
Pensò  Aquilante  al  primo  comparire, 
Che  '1  vii  Martano  il  suo  fratello  fosse; 
Che  l'ingannaron  l'arme  e  quel  vestire 
Candido  più  che  nievi  ancor  non  mosse: 
E  con  queir  oh,  che  d'allegrezza  dire 
Si  suole,  incominciò;  ma  poi  cangiosse 
Tosto  di  faccia  e  di  parlar,  ch'appresso 
S'avvide  meglio,  che  non  era  desso. 

79 
Dubitò  che  per  fraude  di  colei 


città  di  Siria  a  N.  O.  di  Damasco  oggi  Ta- 
ràbulus.  —  Iiizza,  T  antica  Laodicea,  oggi 
Latakia;  detta  cosi  dal  fiume  Lycus,  su  cui 
è  posta. 

—  8.  di  Laiazzo,  di  Alessandretta.  V.  e. 
XIX,  54,  n.  1. 

75.  3.  sorger.  V.  e.  iv,  51.  n.  5  —  Oronte, 
fiume  della  Siria;  oggi  Nahr-el-Asi. 

—  6.  feroce.  V.  e.  i,  32,  n.  2. 

76.1.  ebbe  ad  inf.;  potè  inf.  Cosi  anche 
al  e.  XVI,  18,  6. 

—  7.  anco  quel  di',  quello  stesso  giorno. 
Così  l'A.  usò  anco  o  anche  nel  e.  xiv,  115, 
8;  XXII,  7,  8;  xxv,  40,  4. 

77.  1  Lìdia,  Larissa,  Mamnga;  Tre  città  an- 
tiche suir  Oronte  tra  Antiochia  e  Damasco, 
rammentate  da  Tolomeo. 

—  2.  Aleppe,  Aleppo,  ricca  e  piena,  per- 
ché «  è  famoso  mercato,  dice  ii  Pomari, 
de'  Persi  et  Azamj,  et  ivi  è  il  passo,  chi 
vuol  ire  ai  Turchi  e  Soriani  ». 

—  8.  pregio.  V.  e.  XVII,  97,  n.  G. 


230 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'era  con  lui,  Grifon  gli  avesse  iicciso; 
E:  Dimmi  (gli  gridò)  tu  ch'esser  dei 
Un  ladro  e  un  traditor,  come  n'hai  viso, 
Onde  hai  quest'arme  avute?  onde  ti  sei 
Sul  buon  rtestrier  del  mio  fratello  assiso? 
Dimmi  se  '1  mio  fratello  è  morto  o  vivo-. 
Come  de  l' arme  e  del  destrier  l'hai  privo. 

80 
Quando  Orrigille  udi  l' irata  voce, 
A  dietro  il  palafren  per  fuggir  volse; 
Ma  di  lei  fu  Aquilante  più  veloce, 
E  fecela  fermar,  volse  o  non  volse. 
Martano  al  minacciar  tanto  feroce 
Del  cavallier  che  si  improviso  il  colse, 
Pallido  triema,  come  al  vento  fronda, 
Né  sa  quel  che  si  faccia,  o  che  risponda. 

81 
Grida  Aquilante,  e  fulminar  non  resta, 
E  la  spada  gli  pon  dritto  alla  strozza; 
E  giurando  minaccia  che  la  testa 
Ad  Orrigille  e  a  lui  rimarrà  mozza, 
Se  tutto  il  fatto  non  gli  manifesta. 
Il  mal  giunto  Martano  alquanto  ingozza, 
E  tra  sé  volve,  se  può  sminuire 
Sua  grave  colpa,  e  poi  comincia  a  dire: 

82 
Sappi,  Signor,  che  mia  sorella  è  questa. 
Nata  di  buona  e  virtuosa  gente, 
Ben  che  tenuta  in  vita  disonestà 
L'abbia  Grifone  obbrobriosamente: 
E  tale  infamia  essendomi  molesta. 
Neper  forza  sentendomi  possente 
Di  tòrla  a  si  grande  uom,  feci  disegno 
D'averla  per  astuzia  e  per  ingegno. 

83 
Tenni  modo  con  lei,  ch'avea  desire 
Di  ritornare  a  più  lodata  vita. 
Ch'essendosi  Grifon  messo  a  dormire, 
Chetamente  da  lui  fesse  partita. 
Cosi  fece  ella;  e  perché  egli  a  seguire 


79.  5.  onde  ti  sei;  in  che  modo  t.  s.  Anche 
il  primo  onde  forse  ha  questo  senso.  I  vo- 
cabolari o  non  citaao  questo  significato  o 
lo  citano  con  esempi  sbagliati. 

80.2.  palafren.  V.  e.  I,  13,  1. 

—  4.  volse  0  non  volse  ;  Modo  analogo  al 
comune  voglia  o  non  voglia.  Anche  nei 
Cinque  Canti  ii,  63.  È  notevole  l'indicativo 
invece  del  cong.  I  vocabol.  non  citano  que- 
sto modo. 

81.  1.  falmin.  non  resta;  non  resta  di  ful- 
minar, di  operar  con  gran  furia:  cfr.  xii, 
9,  1.  Dante,  Par.  6,  70:  «  Da  onde  d'aquila 
romana)  venne  folgorando  a  oiuba  ». 

—  6.  Ingozza.  Dicesi  di  chi  preso  da  con- 
fusione o  paura  stenta  a  parlare  e  sembra 
che  ingozzi  saliva  o  altro. 

83.  1.  Tenni  modo;  feci  in  modo,  procu- 
rai. Il  solo  Glierarditii  cita  questo  modo 
con  due  esempi  del  Chiabrera. 


Non  n'abbia  et  a  turbar  la  tela  ordita, 
Noi  Io  lasciammo  disarmato  e  a  piedi; 
E  qua  venuti  siàn,  come  tu  vedi. 

84 
Roteasi  dar  di  somma  astuzia  vanto. 
Che  colui  facilmente  gli  credea; 
E,fuor  che  'n  torgli  arme  e  destrier  e  quan- 
Tenesse  di  Grifon,  non  gli  nocca;         [to 
Se  non  volea  pulir  sua  scusa  tanto, 
Che  la  facesse  di  menzogna  rea. 
Buona  era  ogni  altra  parte,  se  non  quella 
Che  la  femina  a  lui  fosse  sorella. 

85 
Avea  Aquilante  in  Antiochia  inteso 
Essergli  concubina  da  più  genti; 
Onde  gridando,  di  furore  acceso: 
Falsissimo  ladron,  tu  te  ne  menti: 
Un  pugno  gli  tirò  di  tanto  peso. 
Che  ne  la  gola  gli  cacciò  duo  denti; 
E  senza  più  contesa,  ambe  le  braccia 
Gli  volge  dietro,  e  d'una  fune  allaccia. 

86 
E  parimente  fece  ad  Orrigille, 
Ben  che  in  sua  scusa  ella  dicesse  assai. 
Quindi  li  trasse  per  casali  e  ville, 
Né  li  lasciò  fin  a  Damasco  mai; 
E  de  le  miglia  mille  volte  mille 
Tratti  gli  avrebbe  con  pene  e  con  guai, 
Fin  ch'avesse  trovato  il  suo  fratello. 
Per  farne  poi  come  piacesse  a  quello. 

87 
Fece  Aquilante  lor  scudieri  e  some 
Seco  tornare,  et  in  Damasco  venne, 
E  trovò  di  Grifon  celebre  il  nome 
Per  tutta  la  città  batter  le  penne. 
Piccoli  e  grandi  ognun  sapea  già,  come 
Egli  era,  che  si  ben  corse  l'antenne, 


—  S.  siàn;  siamo.  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 
84. 1.  Poteasi  ecc.  Intendi:  Se  non  avesse 

voluto  affinar  troppo  la  sua  scusa  con  molti 
particolari,  si  sarebbe  potuto  dar  vanto  di 
somma  astuzia,  perché  Aquil.  facilm.  gli 
Jwrrebbe  creduto;  e  non  gli  avrebbe  nociuto 
in  nulla,  fuorché  in  togliergli  a.  e  d.  ecc. 
Per  l'indie,  invece  del  cong.  e  del  condiz. 
cfr.  FoKXACiARi,  Sint.  p.  412,  30. 

—  7.  se  non,  fuorché.  Cosi  nel  e.  xlhi, 
13,  6.  Bocc.  Nov.  25:  «D'ogni  cosa  fornito 
s' era  se  non  d' un  palafreno  ». 

85.  4.  tn  te  ne  m.  V.  e.  II,  4,  n.  1. 

86.5.  E  de  la  miglia  ecc.  Regolarmente 
senza  prep.  e  senza  articolo.  Innam.  I,  x, 
40:  «  Questo  ha  quaranta  mila  di  persone  »; 
e  Innam.  1,  v,  26:  «  E  delle  volte  lo  baciò 
da  cento  ». 

—  8.  farne...  come;  trattarli...  come.  Più 
comunem.  ;  farne  Quel  che  a  uno  piace. 

87.5.  come;  che.  Sapevamo  tutti  che  era 
stato  lui,  il  quale  si  bene  ecc. 

—  6.  corse  l' a.  Modo  analogo  ai  più  co- 


CANTO  XVIII 


231 


Et  a  cui  tolto  fu  con  falsa  mostra 
Dal  compagno  la  gloria  de  la  giostra. 
88 

Il  popol  tutto  al  vii  Martano  infesto, 
L'uno  all'altro  additandolo,  lo  scuopre. 
Non  è  (dicean)  non  è  il  ribaldo  qnesto, 
Che  si  fa  laude  con  l'altrui  buone  opre? 
E  la  virtù  di  chi  non  è  ben  desto, 
Con  la  sua  infamia  e  col  suo  obbrobrio  co- 
Non  è  l'ingrata  femina  costei,  [pre  '? 

La  qual  tradisce  i  buoni  e  aiuta  i  rei  ? 
89 

Altri  dicean:  Come  stan  bene  insieme 
Segnati  ambi  d'un  marchio  e  d'una  razza! 
Chi  li  bestemmia, chi  lor dietro  freme, 
Chi  grida:  Impicca, abrucia,  squarta,  am- 
La  turba  per  veder  s'urta,  si  preme  [mazza. 
E  corre  inanzi  alle  strade,  alla  piazza. 
Venne  la  nuova  al  Re,  che  mostrò  segno 
D'averla  cara  più  ch'uu  altro  regno. 
90 

Senza  molti  scudier  dietro  o  davante, 
Come  si  ritrovò,  si  mosse  in  fretta, 
E  venne  ad  incontrarsi  in  Aquilante, 
Ch'avea  del  suo  Grifon  fatto  vendetta; 
E  quello  onora  con  gentil  sembiante. 
Seco  lo  'nvita  e  seco  lo  ricetta; 
Di  suo  consenso  avendo  fatto  porre 
I  duo  prigioni  in  fondo  d'una  torre. 
91 

Audaro  insieme  ove  del  letto  mosso 
Grifon  non  s'era,  poi  che  fu  ferito. 
Che  vedendo  il  fratel,  divenne  rosso; 
Che  ben  stimò  ch'avea  il  suo  caso  udito. 
E  poiché  motteggiando  un  poco  adosao 
Gli  andò  Aquilante,  messero  a  partito 


ranni  correr  Vasta,  correr  la  lancia.  V. 
e.  IV,  22,  4;  17,  5. 

—  7.  tolto  fu...  la  gloria.  V.  e.  v,  58,  n.  5. 

88.  5.  di  chi  n.  è  b.  d.  V.  e.  xvii,  108. 

89.  2.  d'nna  razza.  Se  non  vogliamo  dare 
a  ra;za  un  significato  speciale,  che  manca 
nei  vocab.,  possiamo  intendere  :  ambi  se- 
gnati d'un  m.  e  ambi  di  una  razza;  cioè 
appartenenti  ad  una  stessa  razza.  Il  mar- 
chio è  l' impronta  che  si  segna  nel  collo  o 
nella  coscia  dei  cavalli  per  indicare  la 
razza. 

—  7.  mostrò  segno,  mostrò,  dette  segno. 
È  locuzione  non  registrata  nei  vocabol. 

90.  7.  Di  suo  e:  col  s.  cons.  Ricorda  i 
modi  risponder  di  sua  bocca,  lavorar  di 
voglia,  tirar  di  petto  e  simili. 

91.  5.  poi  che...  gli  andò;  p.  che  gli  fu  an- 
dato. V.  e.  XIII,  74,  1.  —  andare  adesso;  as- 
salir con  parole,  è  locuzione  non  registrata 
dai  vocabol. 

—  6.  mossero  a  p.  Alcuni  intendono  de- 
liberarono ;  ma  in  questo  senso  non  si  cita 
che  l'esem.  dell'A.  Inoltre  la  deliberazione 


Di  dare  a  quelli  duo  giusto  martòro. 
Venuti  in  man  degli  avversari  loro. 
92 

Vuole  Aquilante,  vuole  il  Re  che  mille 
Strazii  ne  sieno  fatti;  ma  Grifone 
(Perché  non  osa  dir  sol  d'Orrigille) 
All'uno  e  all'altro  vuol  che  si  perdone. 
Disse  assai  cose,  e  molto  bene  ordille: 
Fugli  risposto:  Or  per  conclusione 
Martano  è  disegnato  in  mano  al  boia. 
Ch'abbia  a  scoparlo  e  non  però  che  moia. 
93 

Legar  lo  fanno,  e  non  tra' fiori  e  l'erba, 
E  per  tutto  scopar  l' altra  matina. 
Orrigille  captiva  si  riserba 
Fin  che  ritorni  la  bella  Lucina, 
Al  cui  saggio  parere,  o  lieve  o  acerba, 
Riraetton  quei  Signor  la  disciplina. 
Quivi  stette  Aquilante  a  ricrearsi 
Fin  che  '1  fratel  fu  sano,  e  potè  armarsi. 
94 

Re  Norandin,  che  temperato  e  saggio 
Divenuto  era  dopo  un  tanto  errore. 
Non  potea  non  aver  sempre  il  coraggio 
Di  penitenzia  pieno  e  di  dolore, 
D'aver  fatto  a  colui  danno  ed  oltraggio. 
Che  degno  di  mercede  era  e  d'onore: 
Si  che  di  e  notte  avea  il  pensiero  intento 
Per  farlo  rimaner  di  sé  contento. 
95 

E  statui  nel  publico  conspetto 
De  la  città,  di  tanta  ingiuria  rea. 
Con  quella  maggior  gloria  ch'a  perfetto 
Cavallier  per  un  Re  dar  si  potca. 
Di  rendergli  quel  premio  eh'  intercetto 
Con  tanto  inganno  il  traditor  gli  avea: 
E  perciò  fé'  bandir  per  quel  paese, 
Che  faria  un'altra  giostra  indi  ad  un  mese. 


viene  nella  st.  seg.  È  meglio  intendere  la 
espressione  nel  suo  significato  comune:  mi- 
sero in  discussione,  si  consigliarono  di  da- 
re ecc. 

—  8.  Venuti  ecc.  Dante,  Inf.  22,  45:  *  Ve- 
nuto a  man  degli  avversari  suoi  ». 

92.7.  disegnato;  designato.  Cosi  nel  e. 
XXXIX,  2,  e  cosi  altri  scrittori. 

—  8.  scoparlo;  percuoterlo  con  scopa. 
Era  una  specie  di  gastigo  infame;  quasi  lo 
stesso  che  frustare.  —  e,  ma.  V.  e.  xv,  104, 
n.  8. 

93.  1.  e  non  tra' ecc.  Parodia  d'un  v.  del 
Petr.  Tr.  Am.  i,  90  :  «  Cleopatra  legò  tra  i 
fiori  e  r  erba  ». 

—  6.  disciplina;  punizione.  V.  e.  vi,  49,  4. 

94.  3.  coraggio  ;  core.  V.  st.  32,  4. 

— •  7.  intento  ;  attento  ;  Sottintendi  a  far 
di  tutto.  Il  senso  non  concede  di  intendere 
il  V.  8  come  complem.  di  intento;  come  se 
dicesse:  intento  a  farlo  rimaner  ecc.  Inol- 
tre il  costrutto  intento  per  sarebbe  nuovo. 


232 


ORLANDO  FURIOSO 


96 

Di  ch'apparecchio  fa  tanto  solenne, 
Quanto  a  pompa  real  possibil  sia: 
Onde  la  Fama  con  veloci  penne 
Portò  la  nuova  per  tutta  Soria; 
Et  in  Fenicia  e  in  Palestina  venne, 
E  tanto,  ch'ad  Astolfo  ne  die  spia. 
Il  qual  col  Viceré  deliberosse 
Che  quella  giostra  senza  lor  non  fosse. 
97 

Per  guerrier  valoroso  e  di  gran  nome 
La  vera  istoria  Sansonetto  vanta. 
Gli  die  battesmo  Orlando,  e  Carlo  (come 
V  ho  detto)  a  governar  la  Terra  santa. 
Astolfo  con  costui  levò  le  some. 
Per  ritrovarsi  ove  la  fama  canta, 
Si  che  d'intorno  n'ha  piena  ogni  orecchia, 
Ch'  in  Damasco  la  giostra  s'apparecchia. 
98 

Or  cavalcando  per  quelle  contrade 
Con  non  lunghi  viaggi  agiati  e  lenti. 
Per  ritrovarsi  freschi  alla  cittade 
Poi  di  Damasco  il  di  de'  torniamenti, 
Scontrar©  in  una  croce  di  due  strade 
Persona  eh'  al  vestire  e  a'  movimenti 
Avea  sembianza  d'uomo,  e  femin'  era, 
Ne  le  battaglie  a  maraviglia  fiera. 
99 

La  vergine  Marfisa  si  nomava. 
Di  tal  valor  che  con  la  spada  in  mano 


96.  1.  DI  che;  della  quale. 

—  3.  Onde;  della  qual  cosa. 

—  6.  spia,  notizia.  V.  e.  vii,  34,  8, 

—  7.  deliberosse,  deliberossi.  V.  e.  iv, 
49,  a.  1. 

97.  5.  levò  le  s.;  fece  partenza.  Pulci, 
Morg.  I,  82  ha  drizzò  le  some,  s'avviò, 
andò. 

—  6.  ove  ecc.  ;  là  dove  la  fama  canta,  dice 
che  s'apparecchia  la  g.,  cioè  in  Damasco. 
Avverti  che  la  dichiarazione  in  Damasco 
risulta,  nella  sintassi  del  periodo,  pleona- 
stica. 

99. 1.  La  T.  Mar.  8.  n.  ;  si  chiamava  la  v. 
Marf.  V.  e.  XIV,  30,  n.  8;  xvir,  86,  2.  Marfisa 
è  bella  creazione  del  Boiardo,  il  quale  ne 
fa  un  tipo  rude,  fiero,  che  di  donna  ha  so- 
lamente il  nome  e  la  bellezza.  Era  una  re- 
gina dell'India,  che  conduceva  la  seconda 
schiera  dell'esercito  di  Galafrone  contro 
Agricane  e  contro  i  difensori  d' Angelica 
rinchiusa  in  Albracca.  Combatte  valorosa- 
mente contro  i  più  prodi,  ma  Brunello  gli 
ruba  le  armi,  essa  lo  insegue  lungamente; 
quando  «  Trovò  dei  eh'  enno  armati  a  scudo 
e  lanza  Sopra  due  gran  ronzoni  alla  pia- 
nura. Costor  fur  quei  che  la  raenarno  in 
Pranza  >,  Jnn.  II,  xix,  15.  E  il  B.  non  ne 
dice  altro.  L'A.  prende  motivo  da  questo 
cenno  per  introdurre  sulla  scena  questa 


Fece  più  volte  al  gran  Signor  di  Brava 
Sudar  la  fronte,  e  a  quel  di  Montalbano  ; 
E  '1  di  e  la  notte  armata  sempre  andava 
Di  qua  di  là  cercando  in  monte  e  in  piano 
Con  cavalieri  erranti  riscontrarsi, 
Et  immortale  e  gloriosa  farsi. 
100 

Com'ella  vide  Astolfo  e  Sansonetto, 
Ch'appresso  le  veniancon  l'arme  indosso, 
Prodi  guerrier  le  parvero  all'aspetto; 
Ch'erano  ambedue  grandi  e  di  buono  osso  : 
E  perché  di  provarsi  avria  diletto. 
Per  isfidarli  avea  il  destrier  già  mosso; 
Quando,  affissando  l'occhio  più  vicino. 
Conosciuto  ebbe  il  Duca  paladino. 
101 

De  la  piacevolezza  le  sovvenne 
Del  cavallier,  quando  al  Catai  seco  era: 
E  lo  chiamò  per  nome,  e  non  si  tenne 
La  man  nel  guanto,  e  alzossi  la  visiera; 
E  con  gran  festa  ad  abbracciarlo  venne. 
Come  che  sopra  ogn'altra  fosse  altiera. 
Non  men  da  l'altra  parte  riverente 
Fu  il  Paladino  alla  Donna  eccellente. 
102 

Tra  lor  si  doraandaron  di  lor  via: 
E  poi  ch'Astolfo,  che  prima  rispose, 
Narrò  come  a  Damasco  se  ne  già, 
Dove  le  genti  in  arme  valorose 
Avea  invitato  il  Re  de  la  Soria 
A  dimostrar  lor  opre  virtuose; 
Marfisa,  sempre  a  far  gran  prove  accesa. 
Voglio  esser  con  voi,  disse,  a  questa  im- 
103  [presa. 

Sommamente  ebbe  Astolfo  grata  questa 
Compagna  d'arme,  e  cosi  Sansonetto. 
Furo  a  Damasco  il  di  innanzi  la  festa, 
E  di  fuora  nel  borgo  ebbon  ricetto  : 
E  sin  all'ora  che  dal  sonno  desta 
L'Aurora  il  vecchiarel  già  suo  diletto. 
Quivi  si  riposar  con  maggior  agio. 
Che  se  smontati  fossero  al  palagio. 


guerriera,  che  egli  ingentilisce  e  raffina  mi- 
rabilmente. 

—  3.  S.  di  Brava;  Orlando.  V.  e.  vi,  34,  5. 

—  5.  E  '1  di'  ecc.  Aveva  fatto  il  voto  di 
non  spogliar  mai  le  armi  né  giorno  né 
notte,  finché  non  avesse  preso  in  battaglia 
Gradasso,  Agricane  e  Carlo  Magno.  Innam. 
I,  XVI,  29;  XX,  50. 

100.4.  d.  b.  osso;  robusti.  Si  cita  questo 
solo  esempio  dell'A. 

—  8.  paladino;  V.  e.  vii,  33,  n.  1. 

101.  2.  quando  al  C.  ecc.  V.  Inn.  I,  X,  21  ; 
XXVI,  23  seg. 

— .  4.  La  man  nel  g.  ecc.  La  mano  senza 
guanto  e  la  visiera  alzata,  in  un  cavaliere 
armato,  erano  segni  di  confidenza  intima. 

103.  6.  il  vecchiarel,  Titone  (V.  e.  xi  32), 
che  sveglia  l'Aurora.  —  già  s.  d.;  prima  cha 
diventasse  decrepito. 


CANTO  XVIII 


233 


104 

E  poi  che  "1  nuovo  sol  lucido  e  chiaro 
Per  tutto  sparsi  ebbe  i  fulgenti  raggi. 
La  bella  donna  e  i  duo  guerrier  s'armaro, 
Mandato  avendo  alla  città  messaggi 
Che,  come  tempo  fu,  lor  rapportaro 
Che,  per  veder  spezzar  frassini  e  faggi, 
Re  Norandino  era  venuto  al  loco 
Ch'avea  constituito  al  fiero  gioco. 
105 

Senza  più  indugio  alla  città  ne  vanno, 
E  per  la  via  maestra  alla  gran  piazza. 
Dove  aspettando  il  real  segno  stanno 
Quinci  e  quindi  i  guerrier  di  buona  razza. 
I  premii  che  quel  giorno  si  daranno 
A  chi  vince,  è  uno  stocco  et  una  mazza 
Guerniti  riccamente,  e  un  destrier,  quale 
Sia  convenevol  dono  a  un  Signor  tale. 
106 

Avendo  Norandin  fermo  nel  core 
Che,  come  il  primo  pregio,  il  secondo  anco, 
E  d'ambedue  le  giostre  il  sommo  onore 
Si  debba  guadagnar  Grifone  il  bianco; 
Per  dargli  tutto  quel  ch'uom  di  valore 
Dovrebbe  aver,  né  debbe  far  con  manco, 
Posto  con  l'arme  in  questo  ultimo  pregio 
Ha  stocco  e  mazza  e  destrier  molto  egre- 
107  [gio. 

L'arme  che  ne  la  giostra  fatta  dianzi, 
Si  doveano  a  Grifon  che  '1  tutto  vinse, 
E  che  usurpate  avea  con  tristi  avanzi 
Martano  che  Grifone  esser  si  finse, 
Quivi  si  fece  il  Re  pendere  inanzi, 
E  il  ben  guernito  stocco  a  quelle  cinse, 
E  la  mazza  all' arcion  del  destrier  messe, 
Perché  Grifon  l'un  pregio  e  l'altro  avesse. 
108 

Ma  che  sua  intenzìon  avesse  effetto 
Vietò  quella  magnanima  guerriera, 


104.  6.  frassini  e  f.;  lance,  che  per  lo  più 
erano  fatte  di  questi  legni. 

105.  2.  per  la  v.  m.;  per  la  via  principale 
della  città  vanno  alla  gran  piazza  del  com- 
battimento. 

—  5.  I  premi!...  è  ecc.  Regolarmente  do- 
vrebbe dirsi  L  prema  sono  o  il  premio  è. 
È  una  bizzarria  simile  a  quella  notata  nel 
e.  IX.  82,  n.  8. 

106.  2.  pregio.  V.  e.  xvii,  07,  n.  6. 

—  4.  il  bianco.  V.  e.  xv,  67. 

—  7.  con  l'arme;  con  le  armi  che  si  era 
usurpato  Martano. 

107.  3.  e.  tr.  avanzi  ;  con  tristi  guadagni. 
Di  questa  usurpazione  aveva  avanzato  sol- 
tanto lo  scorno.  È  immagine  tolta  dal  com- 
mercio e  dalla  economia  domestica. 

—  6.  cinse.  L'armatura,  composta  di  u- 
sbergo,  schinieri,  bracciali  ecc.  ha  la  figura 
d'  un  uomo  armato;  per  ciò  l'A.  dice  ;  cinse 
all'armatura  lo  stocco. 


Che  con  Astolfo  e  col  buon  Sansonetto 
In  piazza  nuovamente  venuta  era. 
Costei,  vedendo  l'arme  ch'io  v'ho  detto, 
Subito  n'ebbe  conoscenza  vera: 
Però  che  già  sue  furo  e  l'ebbe  care 
Quanto  si  suol  le  cose  ottime  e  rare; 
109 

Ben  che  l'avea  lasciate  in  su  la  strada 
A  quella  volta  che  le  tur  d'impaccio, 
Quando  per  riaver  sua  buona  spada 
Correa  dietro  a  Brunel  degno  di  laccio. 
Questa  istoria  non  credo  che  m'accada 
Altrimenti  narrar;  però  la  taccio. 
Da  me  vi  basti  intendere  a  che  guisa 
Quivi  trovasse  l'arme  sue  Marfisa. 
110 

Intenderete  ancor  che,  come  l'ebbe 
Riconosciute  a  manifeste  note. 
Per  altro  che  sia  al  mondo,  non  l'avrebbe 
Lasciate  un  di  di  sua  persona  vote. 
Se  più  tenere  un  modo  o  un  altro  debbe 
Per  racquistarle,  ella  pensar  non  puote; 
Ma  se  gli  accostaa  un  tratto,  e  la  man  sten» 
E  soiz'altro  rispetto  se  le  prende:      [de, 
111 

E  per  la  fretta  ch'ella  n'ebbe,  avvenne 
Ch'altre  ne  prese,  altre  mandonne  in  terra. 
Il  Re,  che  troppo  offeso  se  ne  tenne, 
Con  uno  sguardo  sol  le  mosse  guerra; 
Che  '1  popol  che  l' ingiuria  non  sostenne, 
Per  vendicarlo  e  lance  e  spada  afferra. 
Non  rammentando  ciò  eh'  i  giorni  inanti 
Nocque  il  dar  noia  ai  cavallieri  erranti. 
112 

Né  fra  vermigli  fiori,  azzurri  e  gialli 
Vago  fanciullo  alla  stagion  novella, 
Né  mai  si  ritrovò  fra  suoni  e  balli 
Più  volentieri  ornata  donna  e  bella; 
Che  fra  strepito  d'arme  e  di  cavalli, 
E  fra  punte  di  lance  e  di  quadrella. 
Dove  si  sparga  sangue,  e  si  dia  morte. 
Costei  si  trovi,  oltre  ogni  creder  forte. 


109.  1.  Ben  che  ecc.  V.  e.  xvil,  82. 

—  2.  A  q.  volta,  quella  volta.  Fu  maniera 
molto  amata  dagli  antichi;  p.  es.  dal  Pulci, 
Morg.  10,  61:  «  A  questa  volta  fa'  che  sia 
contento  ». 

—  5.  m'accada;  mi  occorra.  È  comune 
ancora  ueir  uso. 

110.  7.  gli;  ad  esse.  V.  Fornaciari,  Sint. 
pag.  53. 

111.  2.  mandonne  in  t.  ;  gettonne  in  t.  Que- 
sta locuzione  si  cita  solo  nel  senso  di  at- 
terrare, abbattere  (città,  castelli  ecc.). 

—  4.  con  uno  s.  s.  ecc. ,  con  uno  sguardo 
minaccioso  suscitò  il  suo  popolo  a  guerra 
contro  di  lei. 

—  5.  Che,  cosi  che. 

—  7.  ciò  che...  nocqne;  ciò  in  cui...  uoc- 
que.  V.  e.  xiii,  37,  n.  5. 


234 


ORLANDO  FURIOSO 


113 

Spinge  il  cavallo,  e  ne  la  turba  sciocca 
Con  l'asta  bassa  impetuosa  fere; 
E  chi  nel  collo  e  chi  nel  petto  imbrocca, 
E  fa  con  l'urto  or  questo  or  quel  cadere: 
Poi  con  la  spada  uno  et  un  altro  tocca, 
E  fa  qual  senza  capo  rimanere, 
E  qual  con  rotto,  e  qual  passato  al  fianco, 
E  qaal  del  braccio  privo  o  destro  o  manco. 
114 

L'ardito  Astolfo  e  il  forte  Sansonetto, 
Ch'avean  con  lei  vestita  e  piastrae  maglia, 
Ben  che  non  venner  già  per  tale  effetto, 
Pur,  vedendo  attaccata  la  battaglia, 
Abbassan  la  visiera  de  l'elmetto. 
E  poi  la  lancia  i)er  quella  canaglia; 
Et  indi  van  con  la  tagliente  spada 
Di  qua  di  là  facendosi  far  strada. 
115 

I  cavallieri  di  nazion  diverse, 
I  Ch'erano  per  giostrar  quivi  ridutti, 
Vedendo  l'arme  in  tal  furor  converse, 
E  gli  aspettati  giuochi  in  gravi  lutti 
(Che  la  cagion  ch'avesse  di  dolerse 
La  plebe  irata,  non  sapeano  tutti. 
Né  ch'ai  Re  tanta  ingiuria  fosse  fatta), 
Stavaa  con  dubbia  mente  e  stupefatta. 
116 

Di  ch'altri  a  favorir  la  turba  venne, 
Che  tardi  poi  non  se  ne  fu  a  pentire; 
Altri  a  cui  la  città  più  non  attenne 


113.  5.  tocca;  colpisce.  V.  e.  xvi,  82,  2. 

—  7.  q.  ctn  rotto;  Sott.  il  capo. 

114.  2.  ch'avean  e.  1.  ecc.  ;  che  erano  ve- 
nuti qui  suoi  compagni  d'ai-me. 

—  5.  Abbassan  ecc.  Era  obbligo  che  i  ca- 
valieri entrassero  nella  sbarra  a  visièra 
calata. 

—  6.  per  q.  e;  per  mezzo  a  quella  can. 

—  7.  Et  indi  ;  dopo  rotta  la  lancia. 

115.  3.  in  t.  f.  converse,  le  armi,  che  do- 
vevan  servire  alla  giostra,  mutate  in  stru- 
tnenti  di  tal  furore. 

—  4.  in  gr.  1.;  Rileva  un  conversi  dal  v. 
preced. 

—  7.  Né  che;  Dipende  da  sapeano. 

116.  1.  Di  che;  per  la  qual  cosa.  È  ma- 
niera frequente  ed  elegante  in  prosa  e  in 
verso. 

—  2.  Che  tardi  ecc.  ;  Che  (riferiscilo  a  al- 
tri) poi  non  fu  tardo  a  pentirsene.  Nota  il 
solito  spostamento  dei  pron.  (e.  i,  47,  n.  0). 
Tardi  è  l'avverbio  invece  dell'aggettivo 
tardo.  Favol.  Esop.34:  «La  tua  contrizio- 
ne è  tardi  ». 

—  3.  attenne  ;  stette  a  cuore.  Frequentis- 
simo nel  Cinquecento.  Deputati  al  Dee.  an- 
not.  15:  «  Tra'  molti  significati  che  ha  que- 
sto verbo  tenere...  questo  per  avventura  è 
uno;   per  E-isere  a   cuore   vna  cosa...   il 


Che  gli  stranieri,  accorse  a  dipartire; 
Altri  più  saggio,  in  man  la  briglia  tenue, 
Mirando  dove  questo  avesse  a  uscire. 
Di  quelli  fu  Grifone  et  Aquilante, 
Che  per  vendicar  l'arme  andaro  inaute. 
117 

Essi,  vedendo  il  Re  che  di  veneno 
Avea  le  luci  inebriate  e  rosse. 
Et  essendo  da  molti  instrutti  a  pieno 
De  la  cagion  che  la  discordia  mosse, 
E  parendo  a  Grifon  che  sua,  non  meno 
Che  del  Re  Norandin,  l'ingiuria  fossje; 
.S'avean  le  lance  fatte  dar  con  fretta, 
E  venian  fulminando  alla  vendetta. 
118 

Astolfo  d'altra  parte  Rabicano 
Venia  spronando  a  tutti  gli  altri  inante. 
Con  l'incantata  lancia  d'oro  in  mano, 
Ch'ai  fiero  scontro  abbatte  ogni  giostrante. 
Feri  con  essa  e  lasciò  steso  al  piano 
Prima  Grifone,  e  poi  trovò  Aquilante; 
E  de  lo  scudo  toccò  l'orlo  a  pena. 
Che  lo  gittò  riverso  in  su  l'arena. 
119 

I  cavallier  di  pregio  e  di  gran  prova 
Votan  le  selle  inanzi  a  Sansonetto. 
L'uscita  de  la  piazza  il  popol  trova: 
Il  re  n'arrabbia  d'ira  e  di  dispetto. 
Con  la  prima  corazza  e  con  la  nuova 
Marfisa  intanto,  e  l'uno  e  l'altro  elmetto^ 
Poi  che  si  vide  a  tutti  dare  il  tergo, 
Vincitrice  venia  verso  l'albergo. 
120 

Astolfo  e  Sansonetto  non  fur  lenti 
A  seguitarla,  e  seco  a  ritornarsi 
Verso  la  porta  (che  tutte  le  genti 
Gli  davan  loco),  et  al  rastrel  fermarsi. 
Aquilante  e  Grifon,  troppo  dolenti 
Di  vedersi  a  uno  incontro  riversarsi, 
Tenean  per  gran  vergogna  il  capo  chino. 
Né  ardian  venire  inanzi  a  Norandino. 


che  pienamente  si  dice  oggi  attenere  ».  Cfr. 
il  lat.  ad  me  aWnet. 

—  5.  in  m.  1.  br.  t,;  pronto  per  fuggire. 

—  7.  Di  qnelli;  di  quelli  indicati  nel  pri- 
mo verso  ;  come  si  rileva  da  ciò  che  segue. 
Ma  non  è  chiaro. 

—  8.  vendicar  1'  a.  ;  vendicar  1'  onta  fatta 
air  arme.  O  anche,  forse  meglio,  riconqui- 
stare l'arme  nel  senso  del  vindicare  la- 
tino. Cosi  l'A.  nel  Frammento  1,  82:  «vedi 
alquanti  Vendicarsi  le  terre  che  già  foro 
Da  Cesar  date  alla  custodia  loro  ». 

117.  2.  inebriate,  accese  come  ha  chi  è 
ebbro.  Veleno  per  ira  è  ancora  comune  e 
popolare. 

118.  3.  lancia  d'oro;  la  lancia  incantata 
dell'Argalia.  V.  e.  viii,  17. 

120.  4.  Gli  ;  loro.  V.  st.  Ili,  7.  —  rastrel; 
V.  e  vili,  3,  n.  6. 

—  6.  a  uno:  a  un  solo. 


CANTO  XVIII 


235 


121 
Presi  e  montati  c'hanno  i  lor  cavalli, 
Spronano  dietro  a  gl'inimici  in  fretta. 
Li  segue  il  Re  con  molti  suoi  vassalli, 
Tutti  pronti  o  alla  morte  o  alla  vendetta. 
La  sciocca  turba  grida;  Dalli,  dalli; 
E  sta  lontana,  e  le  novelle  aspetta. 
Grifone  arriva  ove  volgean  la  fronte 
I  tre  compagni,  et  avean  preso  il  ponte. 

122 
A  prima  giunta  Astolfo  raffigura, 
Ch'avea  quelle  medesime  divise, 
Avea  il  cavallo,  avea  quella  armatura 
Ch'ebbe  dal  di  ch'Orril  fatale  uccise. 
Né  miratol,  né  posto  gli  avea  cura. 
Quando  in  piazza  a  giostrar  seco  si  mise  : 
Quivi  il  conobbe,  e  salutollo;  e  poi 
Gli  domandò  de  li  compagni  suoi, 

123  [ra, 

E  perché  tratto  avean  quell'arme  a  ter- 
Portando  al  Re  si  poca  riverenza. 
Di  suoi  compagni  il  Duca  d'Inghilterra 
Diede  a  Grifon  non  falsa  conoscenza: 
De  l'arme  ch'attaccate  avean  la  guerra, 
Disse  che  non  n'avea  troppa  scienza; 
Ma  perché  con  Marfisa  era  venuto. 
Par  le  volea  con  Sansonetto  aiuto. 

121 
Quivi  con  Grifon  stando  il  Paladino, 
Viene  Aquilante,  e  lo  conosce  tosto 
Che  parlar  col  fratel  l'ode  vicino, 
E  il  voler  cangia,  ch'era  mal  disposto. 
Giungean  molti  di  quei  di  Norandino, 
Ma  troppo  non  ardian  venire  accosto; 
E  tanto  più  vedendo  i  parlamenti, 
Stavano  cheti,  e  per  udire  intenti. 

125 
Alcun  ch'intende  quivi  esser  Marfisa, 
Che  tiene  al  mondo  il  vanto  in  esser  forte, 
Volta  il  cavallo  e  Norandino  avvisa 
Che  s'oggi  non  vuol  perder  la  sua  corte, 
Proveggia,  prima  che  sia  tutta  uccisa, 


121.  7.  volgean  la  fronte;  si  rivoltavano 
verso  coloro,  che  li  inseguivano  e  già  dal 
rastrello  erano  tornati  sul  ponte,  e  quello  oc- 
cupavano, pronti  a  resistere  alle  violenze. 

122.  2.  divise;  insegna. 

—  4.  dal  di;  fin  da  quel  di  ecc.  Grifone 
anche  allora  lo  riconobbe  all'  insegne.  V.  e. 
XV,  75,  2.  —  fatale.  V.  e.  xv,  79. 

—  5.  cura;  attenzione.  Dante,  Piirg.  10, 
135  :  «  Vid'  io  color  quando  posi  ben  cura  ». 

123.  2.  Portando...  river. ,  Generalmente 
significa  riverire,  rendere  onore;  qui  in- 
vece vale  portar  rispetto. 

—  3.  di  suoi  ;  dei  s.  V.  e.  il,  15,  n.  8. 

—  5.  attaccate,  attaccato.  V.  e.  vr,  34, 
n.  5. 

124.  8.  per  n.  intenti;  V.  st.  94,  7. 

125.  5.  Proveggia...  di  m.  tr.  È  omessa  la 
prep.   di   che  dovrebbe  i-eggere  l'infinito 


Di  man  trarla  a  Tesifone  e  alla  Morte; 
Perché  Marfisa  veramente  è  stata, 
Che  l'armatura  in  piazza  gli  ha  levata. 
126 

Come  Re  Norandino  ode  quel  nome. 
Cosi  temuto  per  tutto  Levante,  [me, 

Che  facea  a  molti  anco  arricciar  le  chio- 
Ben  che  spesso  da  lor  fosse  distante, 
E  certo  che  ne  debbia  venir  come 
Dice  quel  suo,  se  non  provede  inaute; 
Però  gli  suoi,  che  già  mutata  l'ira 
Hanno  in  timore,  a  sé  richiama  e  tira. 
127 

Da  l'altra  parte  i  tìgli  d'Oliviero 
Con  Sansonetto  e  col  figliuol  d'Otone, 
Supplicando  a  Marfisa,  tanto  fero. 
Che  si  die  fine  alla  crudel  tenzone. 
Marfisa  giunta  al  Re,  con  viso  altiero 
Disse:  Io  non  so,  Signor,  con  che  ragione 
Vogli  quest'anne  dar,  che  tue  non  sono. 
Al  vincitor  delle  tue  giostre  in  dono. 
128 

Mie  sono  l'arme,  e  'n  mezzo  de  la  via 
Che  vien  d'Armenia,  un  giorno  le  lasciai, 
Perché  seguire  a  pie  mi  couvenia 
Un  rubator  che  m'avea  offesa  assai: 
E  la  mia  insegna  testimon  ne  fia. 
Che  qui  si  vede,  se  notizia  n'hai; 
E  la  mostrò  ne  la  corazza  impressa. 
Ch'era  in  tre  parti  una  corona  fessa. 
129 

Gli  è  ver  (rispose  il  Re)  che  mi  fur  date, 
Son  pochi  di,  da  un  mercatante  Armeno; 
E  se  voi  me  l'avesse  domandate, 
L'avreste  avute,  o  vostre  o  no  che  sieno; 
Ch'avvenga  ch'a  Grifon  già  l'ho  donate. 
Ho  tanta  fede  in  lui,  che,  non  di  meno, 
Acciò  a  voi  darle  avessi  anche  potuto, 
Volentieri  il  mio  don  m'avria  renduto. 
130 

Non  bisogna  allegar,  per  farmi  fede 
Che  vostre  sien,  che  tengan  vostra  inse- 
Basti  il  dirmelo  voi;  che  vi  si  crede  [gna: 


trarla:  V.  e.  a,  72,  n.  3.  O  forse  abbiamo 
l'uso  notato  nel  e.  i,  4.  u.  1.  —  Tesifone; 
una  delle  tre  furie  (Megera,  Aletto).  Qui  per 
le  Furie  in  generale. 

126.  5.  debbia.  È  forma  frequente  nei  tre- 
centisti, anche  in  prosa.  In  verso  si  trova 
specialmente  per  la  rima.  —  venir,  avvenir. 

127.  3.  Snpplic.  a  M.  È  costrutto  cosi  co- 
mune come  supplicare  loio. 

—  7.  Vegli.  Questa  forma,  nota  il  Mastro- 
fini,  era,  più  che  voglia,  cara  agli  antichi  ; 
e  l'Alfieri,  che  l'antichità  rinnovava,  tieu 
cara  e  familiare  tal  voce. 

129.  3.  avesse;  aveste.  V.  e    xil,  42,  n.  3. 

—  5.  avvenga  che  l'ho.  Questa  cong.  si 
usa  e  si  usò  comunem.  col  congiuntivo. 
Dante,  Riìn.  28  :  «  a vvegna  che  men  dole  ». 


236 


ORLANDO  FURIOSO 


Più  ch'a  qual  altro  testimonio  vegna. 
Che  vostre  sian  vostr'arme  si  concede 
Alla  virtù  di  maggior  premio  degna. 
Or  ve  l'abbiate,  e  più  non  si  contenda; 
E  Grifon  maggior  premio  da  me  prenda. 
131 

Grifon  che  poco  a  core  avea  quell'arme, 
Ma  gran  disio  che  '1  Re  si  satisfaccia. 
Gli  disse:  Assai  potete  corapensarnie, 
Se  mi  fate  saper  ch'io  vi  compiaccia. 
Tra  sé  disse  Marfisa:  Esser  qui  parme 
L'onor  mio  in  tutto  :  e  con  benigna  faccia 
Volle  a  Grifon  de  l'arme  esser  cortese; 
E  finalmente  in  don  da  lui  le  prese. 
132 

Ne  la  città  con  pace  e  con  amore 
Tornaro,  ove  le  feste  raddoppiarsi. 
Poi  la  giostra  si  fé',  di  che  l'onore 
E  'I  pregio  Sausonetto  fece  darsi; 
Ch'Astolfo  e  i  duo  fratelli  e  la  migliore 
Di  lor  Marfisa  non  volson  provarsi, 
Cercando,  come  amici  e  buon  compagni, 
Che  Sansonetto  il  pregio  ne  guadagni. 
133 

Stati  che  sono  in  gran  piacere  e  in  festa 
Con  Norandino  otto  giornate  o  diece, 
Perché  l'amor  di  Francia  gli  molesta, 
Che  lasciar  senza  lor  tanto  non  lece, 
Tolgou  licenzia:  e  Marfisa,  che  questa 
Via  disiava,  compagnia  lor  fece. 
Marfisa  avuto  avea  lungo  disire 
Al  paragon  dei  Paladin  venire, 
134 

E  far  esperienza  se  l' effetto 
Si  pareggiava  a  tanta  nominanza. 
Lascia  un  altro  in  suo  loco  Sansonetto, 
Che  di  Gerusalem  regga  la  stanza. 
Or  questi  cinque  in  un  drappello  eletto. 
Che  pochi  pari  al  mondo  han  di  possanza. 
Licenziati  dal  Re  Norandino, 
Vanno  a  Tripoli  e  al  mar  che  v'  è  vicino. 
135 

E  quivi  una  caracca  ritrovaro. 
Che  per  Ponente  mercanzie  raguna. 
Per  loro  e  pei  cavalli  s'accordaro 


130.  4.  qual  al.  ;  qualunque  al.  V.  e.  v,  9, 
n.  8. 

131.  5.  Esser  q.  p.  ecc.;  parmi  che  qui  il 
mio  onore  sia  tutto  salvo.  Diciamo  ancoi-a: 
Qui  c'è  o  non  c'è  il  mio  onore. 

132.  8.  pregio;  premio.  V.  e.  xvii,  97,  n.  6. 

133.  S.  venire;  di  venire.  V.  e.  i,  4.  n.  1. 

134.  4.  stanza;  il  regno.  È  significato  as- 
cai  notevole  e  non  registrato  dai  vocabol. 

—  8.  Tripoli,  di  Siria. 

135.  1.  caracca  (forse  dall'arab.  Ilarraka, 
nave  incendiaria);  una  nave  per  lo  più  da 
carico,  talvolta  da  guerra,  usata  da  tutte  le 
nazioni,  ma  più  dai  Genovesi  e  dai  Porto- 
ghesi. 


Con  un  vecchio  patron  ch'era  da  Luna. 
Mostrava  d'ognintorno  il  tempo  chiaro, 
Ch'avrian  per  molti  di  buona  fortuna. 
Sciolser  dal  lito,  avendo  aria  serena, 
E  di  buon  vento  ogni  lor  vela  piena. 
136 

L'isola  sacra  all'amorosa  Dea 
Diede  lor  sotto  un'aria  il  primo  porto. 
Che  non  ch'a  offender  gli  uomini  sia  rea. 
Ma  stempra  il  ferro,  e  quivi  è  '1  viver  corto. 
Cagion  n'è  un  stagno:  e  certo  non  dovea 
Natura  a  Famagosta  far  quel  torto 
D'appressarvi  Costanza  acre  e  maligna, 
Quando  al  resto  di  Cipro  è  si  benigna. 
137 

Il  grave  odor  che  la  palude  esala 
Non  lascia  al  legno  far  troppo  soggiorno. 
Quindi  a  un  Greco  Levante  spiegò  ogni 

[ala, 
Volando  da  man  destra  a  Cipro  intorno, 
E  surse  a  Pafo,  e  pose  in  terra  scala; 
E  i  naviganti  uscir  nel  lito  adorno, 
Chi  per  merce  levar,  chi  per  vedere 
La  terra  d'amor  piena  e  di  piacere. 
138 

Dal  mar  sei  miglia  o  sette,  a  poco  a  poco 
Si  va  salendo  in  verso  il  colle  ameno. 


—  4.  patron,  padrone;  qui  sta  per  noc- 
chiero. È  forma  veneta.  Alcuna  volta  i  pa- 
droni imbarcavano  e  prendevano  essi  il  co- 
mando della  nave.  —  luna.  Luni;  città  sulla 
sinistra  della  Magra,  oggi  completamente 
distrutta. 

136.  1.  L'isola  ecc.;  Cipro  sacra  a  Ve- 
nere. 

—  2.  Diede  ecc.;  offerse  loro  il  primo 
porto  (il  porto  di  Famagosta)  sotto  un'aria 
cosi  cattiva  che  ecc.  Il  Corazzini  {Rivista 
maritt.  giugno  1899)  intende  in  senso  ma- 
rinaresco aria  di  vento  ;  ma  è  evidente- 
mente interpretazione  errata. 

—  4.  stempra  il  f.  Modo  iperbolico  per 
dire  che  nessuna  fibra  le  resiste. 

—  7.  Costanza,  Città  di  Cipro  sulle  ruine 
dell'antica  Salamis,  oggi  Eski-Famagosta. 
È  suir  imboccatura  del  Pedio  (oggi  Pedias), 
che  povero  di  acque  s' impaluda.  Non  vi 
sono  che  le  rovine. 

137.  3.  Greco  Lev.  ;  vento  di  est-nord-est. 

—  5.  snrse.  V.  e.  iv,  51,  n.  5.  —  Pafo  (oggi 
Baff'o  o  Bafa).  Vi  erano  due  città  di  questo 
nome  :  la  Pafo  antica  posta  sopra  un  monte 
a  distanza  dal  mare,  e  famosa  per  le  sue 
bellezze  e  per  il  tempio  di  |Fenere  ;  la  Pafo 
nuova,  distante  dall'  altra  circa  sette  miglia 
e  mezzo  posta  sul  mare  con  un  bel  porto. 
I  guerrieri  approdarono  a  Pafo  nuova,  e 
quindi  salirono  a  Pafo  antica.  —  pose...  sca- 
la, prese  porto.  La  locuz.  più  comune  è  fare 
scala.  V.  e.  IX,  93.  Poì^re  scala  non  è  citato 
dai  vocabol. 


CANTO  XVIII 


237 


Mirti  e  cedri  e  naranci  e  lauri  il  loco, 
E  mille  altri  soavi  arbori  lian  pieno. 
Serpillo  e  persa  e  rose  e  gigli  e  croco 
Spargon  da  T  odorifero  terreno 
Tanta  suavità,  cb'in  mar  sentire 
La  fa  ogni  vento  che  da  terra  spire. 
139 

Da  limpida  fontana  tutta  quella 
Piaggia  rigando  va  un  ruscel  fecondo. 
Ben  si  può  dir  che  sia  di  Vener  bella 
Il  luogo  dilettevole  e  giocondo; 
Che  v'è  ogni  donna  affatto,  ogni  donzella 
Piacevol  pili  ch'altrove  sia  nel  mondo: 
E  fa  la  Dea  che  tutte  ardon  d'amore, 
Giovani  e  vecchie,  infino  all'ultime  ore. 
140 

Quivi  odono  il  medesimo  ch'udito 
Di  Lucina  e  de  l'Orco  hanno  in  Soria, 
E  come  di  tornare  ella  a  marito 
Facea  nuovo  apparecchio  in  Nicosia. 
Quindi  il  padrone  (essendosi  espedito, 
E  spirando  l)uon  vento  alla  sua  via) 
L'ancore  sarpa,  e  fa  girar  la  proda 
Verso  Ponente,  et  ogni  vela  snoda. 
141 

Al  vento  di  Maestro  alzò  la  nave 
Le  vele  all'orza,  et  allargossi  in  alto. 
Un  Ponente  Libecchio,  che  soave 


138.  3.  naranci  ;  È  la  forma  forse  più  usata 
dagli  antichi  e  più  vicina  al  persiano  na- 
ram  donde  deriva. 

—  5.  Serpillo  (timus  serpillus)  il  timo; 
persa  0  iiersia,  maggiorana  ;  croco  ;  zaffe- 
i*ano. 

—  7.  Tanta  s.  È  noto  che,  per  T  abbon- 
danza dei  suoi  fiori,  Cipro  fu  detta  dai  Greci 
evòdis,  odorosa. 

139.  1.  Da  1.  f.  Sott.  nascendo:  un  ru- 
scello, nascendo  da  1.  f.,  ecc. 

—  2.  fecondo  ;  fecondatore.  Cosi  nel  e. 
XLii,  96,  e  cosi  altri  scrittori  spesso. 

—  5.  affatto;  senza  bisogno  di  scelta. 

—  8.  all'nitim'  o.  della  loro  vita. 

140.  3.  a  marito;  al  mar.  V.  e.  li,  15,  n.  S. 
Per  il  fatto  cfr.  e.  xvii,  66. 

—  4.  Facea  ecc.  ;  faceva  un  apparecchio 
recente,  si  apparecchiava  da  poco  tempo 
per  tornare.  Il  di  invece  del  più  comune 
■per  si  deve  all'azione  del  sostantivo  appa- 
recchio. 

—  6.  alla  sua  ria;  Oggi  si  direbbe  alla  sua 
rotta.  Fors'anche  è  via  per  viaggio. 

—  7.  V  ano.  sarpa.  V.  e.  xvii,  6.  n.  8. 

141.  1.  alzò  le  T.  all'orza;  alzò  le  vele  or- 
zando, andando  a  orza;  cioè  piegando  la 
prua  verso  la  parte  donde  veniva  il  vento, 
come  gli  bisognava  per  venire  da  Cipro  in 
Francia  col  Maestrale. 

—  2.  in  alto.  V.  e.  vili,  36,  n.  4. 

—  3.  Ponente  L.  Vento  di  ovest-sud-ovest. 


Parve  a  principio  e  finche'}  sol  stette  alto, 
E  poi  si  fé'  verso  la  sera  grave, 
Le  leva  incontra  il  mar  con  fiero  assalto, 
Con  tanti  tuoni  e  tanto  ardor  di  lampi. 
Che  par  che  '1  ciel  si  spezzi  e  tutto  avvam- 
142  [pi. 

Stendon  le  nubi  un  tenebroso  velo, 
Che  né  sole  apparir  lascia  né  stella. 
Di  sotto  il  mar,  di  sopra  mugge  il  cielo. 
Il  vento  d'ognintorno,  e  la  procella 
Che  di  pioggia  oscurissima  e  di  gelo 
I  naviganti  miseri  flagella: 
E  la  notte  più  sempre  si  diffonde 
Sopra  l'irate  e  formidabil'onde. 
143 

I  naviganti  a  dimostrare  effetto 
Vanno  de  l'arte  in  che  lodati  sono: 
Chi  discorre  fischiando  col  fraschetto, 
E  quanto  bah  gli  altri  a  far,  mostra  col  suo- 
Chi  l'ancore  apparecchia  da  rispetto,  [no  ; 
E  chi  al  mainare  echi  allascottaèbuono; 
Chi  '1  timone,  chi  l'arbore  assicura. 
Chi  la  coperta  di  sgombrare  ha  cura. 
144 

Crebbe  il  tempo  crudel  tutta  la  notte, 
Caliginosa  e  piti  scura  ch'inferno. 
Tien  per  l'alto  il  padrone,  ove  men  rotte 
Crede  l'onde  trovar,  dritto  il  governo; 
E  volta  ad  or  ad  or  contra  le  botte 
Del  mar  la  proda,  e  de  l'orribil  verno, 


—  7.  ardor,  fulgore  (lat.  ardor  ignis,  stel- 
larum  ecc.).  I  vocab.  citano  questo  senso 
per  il  verbo  ardere,  non  per  il  sostantivo. 

142.  5.  oscurissima;  Cosi  p'areva  nel  gran 
buio.  —  gelo;  grandine.  Cosi  spesso. 

143. 1.  dimostr.  effetto  ;  mostrar  prova,  far 
prova.  V.  e.  V,  17,  n.  5. 

—  3.  discorre;  corre  qua  e  là.  —  fra- 
schette; Più  comuneni.  fischietto;  fischio, 
col  quale  il  comandante  della  ciurma  dava 
sulle  navi  i  principali  ordini.  Il  nostromo 
l'usa  anche  oggi,  specialm.  nelle  barche  a 
vela.  Non  è  registrato  dalla  Crusca. 

—  5.  ancore  da  rispetto  o  di  rispetto  o  di 
riserva  o  di  ricambio  sono  quelle  tenute  in 
serbo  per  esser  messe  \n  luogo  o  rinforzo 
delle  altre. 

—  6.  mainare  (forse  da  menare,  tirare 
a  sé).  È  meno  comune  di  ammainare.  — 
Scotta  (ant.  alto  ted.  scòz,  lembo);  quel  cavo, 
che  serve  a  tirare  gli  angoli  inferiori  delle 
vele  per  distenderli  al  vento. 

—  7.  assicura,  con  funi  perché  il  vento 
non  lo  fiacchi. 

144.  4.  il  governo  ;  il  timone.  Petr.  r , 
son.  125;  «Quasi  senea  governo  e  senza 
antenna  Legno  in  mar  ». 

—  6.  la  proda;  la  prua:  e  ciò  fa  per  non 
offrire  il  fianco  alle  onde,  che  avrebbero 
potuto  rovesciar  la  nave.  Per  la  forma  prò- 


238 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  senza  speme  mai  che,  come  aggiorni, 
Cessi  Fortuna,  o  più  placabil  torni. 
145 

Non  cessa  e  non  si  placa,'  e  più  furore 
Mostra  nel  giorno,  se  pur  giorno  è  questo, 
Che  si  conosce  al  numerar  de  l'ore. 
Non  che  per  lume  già  sia  manifesto. 
Or  con  minor  speranza  e  più  timore 
.Si  dà  in  poter  del  vento  il  padron  mesto: 
Volta  la  poppa  all'onde,  e  il  mar  crudele 
.Scorrendo  se  ne  va  con  umil  vele. 
146 

MentreFortuna  in  mar  questi  travaglia, 
Nonlasciaanco  posar  quegli  altri  in  terra. 
Che  sono  in  Francia,  ove  s'uccide  e  taglia 
Coi  Saracini  il  popol  d'Inghilterra. 
Quivi  Rinaldo  assale,  apre  e  sbaraglia 
Le  schiere  avverse,  e  le  bandiere  atterra! 
Dissi  di  lui,  che  il  suo  destrier  Baiardo 
Mosso  avea  contra  a  Dardinel  gagliardo. 
147 

Vide  Rinaldo  il  segno  del  quartiero. 
Di  che  superbo  era  il  figliuol  d'Alraonte; 
E  lo  stimò  gagliardo  e  buon  guerriero. 
Che  concorrer  d'insegna  ardia  col  Conte. 
Venne  più  appresso,  e  gli  parca  più  vero; 
Ch'avea  d'intorno  uomini  uccisi  a  monte. 
Meglio  è  (gridò)  che  prima  avella  e  spenga 


da,  nota  il  Buxi,  Inf.  31,  2.  «  Proda  è  la 
parte  dinanzi  del  legno  e  poppa  quella  di 
i-etro  ».  —  verno;  tempesta,  come  il  latino 
hyems.  Cosi  nel  e.  xix,  44  e  xli,  15;  e  cosi 
altri  scrittori.  Petr.  i  son.  179:  «  Ch'è  nel 
mio  mar  orribil'  notte  e  verno  ». 

145.  8.  umil  V.  vele  basse,  ammainate. 
Nel  e.  XXII,  8,  disse  vele  alte  per  vele  spie- 
gate. V.  e.  II,  30,  3.  Ma  forse  qui  e  nel  e.  ii 
è  meglio  intendere  :  Con  una  velatura  ri- 
dotta per  numero  e  dimensioni  al  minimo 
possibile,  e  appena  sufficiente  a  governare 
la  nave. 

.146.  2.  Non...  anco;  neppure.  V.  e.  xvi, 
36,  n.  8. 

147.  4.  concorrer  d'in.  ecc.  ;  ardiva  di  ac- 
cordarsi, nell'insegna,  con  Orlando,  d'avere 
cioè  la  stessa  insegna  d'Orlando.  Cosi  credo 
che  debbasi  intendere  concorrer,  come  l'usò 
anche  il  Borghini  :  Arm.  Fam.  44  :  «  Altre 
famiglie  se  ne  troverà  concorrere  con  altri 
(cioè  portare  le  medesime  arme)  ».  Orlando 
tolse  quest'  arme  ad  Almonte  :  V.  e.  vni,  85. 
Si  ricordi  che  i  valorosi  cavalieri  non  per- 
mettevano ad  altri  di  portare  le  loro  stesse 
insegne,  se  non  erano  della  stessa  gesta  (di- 
scendenza) o  se  non  eraa  vinti  in  duello 
dal  competitore.  V.  Jnnam.  Ili,  vi,  40, 41.  La 
morte  di  Dard.  per  ragion  dello  scudo  è 
predetta  già  neh'  Inn.  II,  xxix,  14.  :  «  Ma 
ad  un  di  lor  portarla  (quesf  insegna)  costò 
cara».  Su  questo  cenno  lavora  l'A. 


Questo  mal  germe,  che  maggior  divenga. 
148 

Dovunque  il  viso  drizza  il  Paladino, 
Levasi  ognuno,  e  gli  dà  larga  strada; 
Némen  sgombra  il  Fedel,  che '1  Saracino: 
Si  reverita  è  la  famosa  spada. 
Rinaldo,  fuor  che  Dardinel  meschino. 
Non  vede  alcuno,  e  lui  seguir  non  bada; 
Grida:  Fanciullo,  gran  briga  ti  diede 
Chi  ti  lasciò  di  questo  scudo  erede. 
149 

Vengo  a  te  per  provar,  se  tu  m'attendi, 
Come  ben  guardi  il  quartier  rosso  e  bian- 
che s'ora  contra  me  non  lo  difendi,    [co; 
Difender  contra  Orlando  potrai  manco. 
Rispose  Dardinello:  Or  chiaro  apprendi 
Che  s'io  lo  porto,  il  so  difender  anco; 
E  guadagnar  più  onor,  Che  briga,  posso 
Del  paterno  quartier  candido  e  rosso. 
150 

Perché  fanciullo  io  sia,noncrederfarme 
Però  fuggire,  o  che  '1  quartier  ti  dia: 
La  vita  mi  terrai,  se  mi  toi  l'arme; 
Ma  spero  in  Dio  ch'anzi  il  contrario  fia. 
Sia  quel  che  vuol,  non  potrà  alcun  bia- 

[smarme 
Che  mai  traligni  alla  progenie  mia. 
Cosi  dicendo  con  la  spada  in  mano 
Assalse  il  cavallier  da  Montalbano. 

151  [se, 

Un  timor  freddo  tutto  '1  sangue  oppres- 
Che  gli  Africani  aveano  intorno  al  core, 
Come  vider  Rinaldo  che  si  messe 
Con  tanta  rabbia  incontra  a  quel  Signore, 
Con  quanta  andria  un  leon  ch'ai  prato 

[avesse 
Visto  un  torel  ch'ancor  non  senta  amore. 
Il  primo  che  feri,  fu  '1  Saracino; 
Ma  picchiò  in  van  su  l'elmo  di  Mambrino. 


148.  6.  e  1.  seg.  non  bada,  e  non  indugia 
di  seguirlo.  V.  e.  xii,  37,  n.  5. 

149.  8.  Del  p.  q.;  dal  p.  q. 

150.  1.  Perché;  benché.  Petr.  i,  ball.  4  : 
«  Perché  quel  che  mi  trasse  ad  amar  prima 
Altrui  colpa  mi  toglia.  Del  mio  fermo  voler 
già  non  mi  svoglia  »  dove  il  cinquecentista  j 
G.  B.  da  Castiglione  dichiara  «  appresso  i  .  j 
Toschi  oggi  nel  loro  parlare  ancor  riceve 
tal  senso». 

150.  3.  toi.  togli.  Gli  antichi  l' usarono 
anche  in  prosa;  Bocc.  nov.  72:  «Dunque 
toi  tu  ricordanza  al  Sere  ». 

—  6.  traligni  alla,  É  costrutto  citato  con 
questo  solo  es.  Comunem.   tralignare  da. 

151.  1.  oppresse  Strinse,  gelò;  significato 
tolto  dal  latino  opprimere,  premere;  ma 
non  citato  dai  vocab.  Virgilio,  En.  3,  29  ; 
«  coit  formidine  sanguis  ». 

—  6.  non  senta  a.  ;  Cioè  giovinetto. 

—  S.  di  Mambr.  V.  c.  I,  28,  n.  5. 


CANTO  xvm 


239 


152 
Rise  Rinaldo,  e  disse:  Io  vo'tu  senta, 
S"io  so  meglio  di  te  trovar  la  vena. 
Sprona,  e  a  un  tempo  al  destrier  la  briglia 

[allenta, 
E  d'una  punta  con  tal  forza  mena, 
D'una  punta  ch'ai  petto  gli  appresenta. 
Che  gli  la  fa  apparir  dietro  alla  schena. 
Quella  trasse,  al  tornar,  l'alma  col  sangue  : 
Di  sella  il  corpo  usci  freddo  et  esangue. 

153 
Come  purpureo  fior  languendo  muore, 
Che  '1  vomere  al  passar  tagliato  lassa; 
O  come  carco  di  superchio  umore 
II  papaver  ne  l'orto  il  capo  abbassa: 
Cosi,  giù  de  la  faccia  ogni  colore 
Cadendo,  Dardinel  di  vita  passa; 
Passa  di  vita,  e  fa  passar  con  lui 
L'ardire  e  la  virtù  di  tutti  i  sui. 

154 
Qual  soglion  l'acque  per  umano  ingegno 
Stare  ingorgate  alcuna  volta  e  chiuse. 
Che  quando  lor  vien  poi  rotto  il  sostegno. 
Cascano,  e  van  con  gran  rumor  difuse; 
•Tal  gli  African  ch'avean  qualche  ritegno. 
Mentre  virtù  lor  Dardinello  infuse,  [quella. 
Ne  vanno  or  sparti  in  questa  parte  e  in 
Che  l'han  veduto  uscir  morto  di  sella. 

155 
Chi  vuol  fuggir,  Rinaldo  fuggir  lassa. 
Et  attende  a  cacciar  chi  vuol  star  saldo. 
Si  cade  ovunque  Ariodante  passa. 
Che  molto  va  quel  di  presso  a  Rinaldo. 
Altri  Lionetto,  altri  Zerbin  fracassa, 
A  gara  ognuno  a  far  gran  prove  caldo. 
Carlo  fa  il  suo  dover,  lo  fa  Oliviero, 
Turpino  e  Guido  e  Salamone  e  Uggiero. 

156 
I  Mori  fur  quel  giorno  in  gran  periglio 


152.  2.  trov.  la  vena  ;  ferire  in  modo  da 
fare  uscir  sangue.  È  modo  assai  notevole. 

—  4.  punta;  puntato.  V.  e.  IX,  70,  3. 

—  7.  Quella;  la  spada,  o  la  punta  della 
sp.  È  una  specie  di  sillessi  ;  perché  nel  v. 
4,  punta  vale  colpo  di  punta. 

153.  1.  Come  ecc.  La  similitudine  è  d'O- 
mero, ampliata  da  Virgilio,  donde  l'ha  imi- 
tata l'A.  Iliade  8,  306:  «Come  carco  ta- 
lor  del  proprio  frutto  E  di  troppa  rugiada 
a  primavera  II  papaver  nell'  orto  il  capo 
abbassa  Cosi  la  testa  dell'  elmo  gravata 
Sulla  spalla  chinò  queir  infelice  ».  En.  ix, 
434  :  «  in  humeros  cervix  collapsa  recumbit, 
Purpureus  veluti  cura  flos  succisus  aratro 
Languescit  moriens  lassove  papavera  collo 
Demisere  caput  pluvia  cum  forte  gravan- 
tur  ». 

—  7.  con  lui  ;  con  sé.  V.  e.  iv,  6,  n.  3. 
155.  4.  Tft...  presso;  si  avvicina  per  va- 
lore. 


Che  'n  Pagania  non  ne  tornasse  testa; 
Ma  '1  saggio  Re  di  Spagna  dà  di  piglio, 
E  se  ne  va  con  quel  che  in  man  gli  resta. 
Restar  in  danno  tien  miglior  consiglio, 
Che  tutti  i  denar  perdere  e  la  vesta  : 
Meglio  è  ritrarsi  e  salvar  qualche  schiera, 
Che,  stando,  esser  cagion  che'l  tutto  pera. 
157 

Verso  gli  alloggiamenti  i  segni  invia, 
Ch'eron  serrati  d'argine  e  di  fossa, 
Con  Stordilan,  col  re  d'Andologia, 
Col  Portughese  in  una  squadra  grossa. 
Manda  a  pregar  il  Re  di  Barbarla, 
Che  si  cerchi  ritrar  meglio  che  possa; 
E  se  quel  giorno  la  persona  e  '1  loco 
Potrà  salvar,  non  avrà  fatto  poco. 
158 

CJuel  Re  che  si  tenea  spacciato  al  tutto, 
Né  mai  credea  più  riveder  Biserta, 
Che  oon  viso  si  orribile  e  si  brutto 
Unquanco  non  avea  fortuna  esperta, 
S'allegrò  che  Marsilio  avea  ridutto 


156.  2.  Pagania;  Cosi  comunemente  son 
chiamate  dagli  antichi  tutte  le  regioni  abi- 
tate dai  Maomettani,  detti  spesso  pagani, 
perché  si  confusero  con  gli  idolatri. 

—  3.  da  di  p.  Si  dice  comunem.  piglia 
su  e  se  ne  va,  oppure  piglia  le  sue  cara- 
battole e  se  ne  va.  In  questo  senso  l'A.  ha 
usato  dar  di  piglio,  che  generalmente  vuol 
dire  aff'errare. 

—  4.  gli  resta;  d'uomini  e  d'armi. 

—  5.  Restar  in  danno;  partir  con  perdita. 
È  espressione  tolta  dal  giuoco,  come  le  im- 
magini del  verso  seguente. 

157.  1.  i  segni;  le  insegne.  V.  e. xv,  23,  n.  1. 

—  2.  eron.  Se  non  fallisce  la  memoria  è 
questo  l'unico  esempio  di  tal  forma  nella 
edizione  del  1532.  Ma  gli  antichi,  special- 
mente i  Fiorentini,  usarono  qualche  volta 
questa  terminazione  della  terza  persona  pi. 
imperf.  ind.  pur  nei  verbi  di  prima  coniu- 
gazione. Vedine  gli  esempì  nel  Nannucci, 
Anal.  cr.  p.  150. 

—  3.  Andologia  o  Andalogia  o  Andalosia 
chiamarono  gli  antichi  l'Andalusia.  Re  di 
And.  è  Madarasso.  V.  e.  xiv,  12. 

—  4.  Portughese,  Tesira.  V.  e.  xiv,  13. 

—  5.  Barbarla,  Barberia  ;  la  costa  setten- 
trionale dell'Affrica;  ma  qui  sta  per  tutta 
l'Affrica.  Re  di  B.  è  Agramante. 

—  7.  e  '1  loco  ;  il  territorio  occupato. 

158.  4.  Unquanco;  mai  fin  ora.  Si  scrisse 
anche,  separato,  unq'  anco.  V  usarono  più 
volte  Dante  il  Petrarca  e  il  Boccaccio;  ma 
nel  cinquecento  sembrava  parola  affettata. 
Berni,  Gap.  a  Fr.  Basi.  «  Tacete  unquanco, 
pallide  viole  e  liquidi  cristalli  e  fere  snel- 
le ».  —  esperta;  sperimentata.  V.  e.  viii,  11, 
n.  3.  .       ; 


240 


ORLANDO  FURIOSO 


Parte  del  campo  in  sicurezza  certa: 
Et  a  ritrarsi  cominciò,  e  a  dar  volta 
Alle  bandiere,  e  te'  sonar  raccolta. 
lo9 

Ma  la  più  parte  de  la  gente  rotta 
Né  tromba  né  tambur  né  segno  ascolta: 
Tanta  tu  la  viltà,  tanta  la  dotta, 
Ch'in  Senna  se  ne  vide  affogar  molta. 
Il  Re  Agramante  vuol  ridur  la  frotta: 
Seco  ha  Sobrino,evanscoireudo  involta; 
E  con  lor  s'affatica  ogni  buon  duca, 
Che  nei  ripari  il  campo  si  riduca. 
160 

Ma  né  il  Re,  né  Sobrin,  né  duca  alcuno 
Con  prieghi,  con  minacce,  con  affanno 
Ritrar  può  il  terzo,  non  ch'io  dica  ognuno, 
Dove  l'insegne  mal  seguite  vanno. 
Morti  0  fuggiti  ne  son  dna,  per  uno 
Che  ne  rimane,  e  quel  non  senza  danno: 
Ferito  è  chi  di  dietro  e  chi  davanti; 
Ma  travagliati  e  lassi  tutti  quanti. 
161 

E  con  gran  tema  fin  dentro  alle  porte 
Dei  forti  alloggiamenti  ebbon  la  caccia: 
Et  era  lor  quel  luogo  anco  mal  forte, 
Con  ogni  prò  veder  che  vi  si  faccia 
(Che  ben  pigliar  nel  crin  !a  buona  sorte 
Carlo  sapea,  quando  volgea  la  faccia), 
Se  non  venia  la  notte  tenebrosa, 
Che  staccò  il  fatto,  et  acquetò  ogni  cosa, 
162 

Dal  Creator  accelerata  forse, 
Che  de  la  sua  fattura  ebbe  pietade. 
Ondeggiò  il  sangue  per  campagna,  e  corse 
Come  un  gran  fiume,  e  dilagò  le  strade. 
Ottanta  mila  corpi  nuraerorse, 


—  8.  sonar  raccolta  ;  lo  stesso  che  sonare 
a  o  la  race. 

159.  3.  dotta,  dall'  ant.  dottare  (lat.  dubi- 
tare); paura.  Dante,  Inf.  31,  109:  «  E  non 
v'  era  mestier  più  che  la  dotta  ». 

—  5.  ridur,  dentro  i  ripari. 

161.  4.  Con  0.  p.  ;  nonostante  o.  p.  É  di 
uso  comune. 

—  5.  pigliar  nel  crin.  L'A..  avea  forse  pre- 
sente il  detto  famoso  di  Catone,  Distich.  2, 
62:  «Fronte  capillata  post  est  occasio  cal- 
va ».  Il  Boiardo  figura  ciò  in  Morgana. 

—  8.  staccò  il  fatto;  interruppe  il  fatto 
d'armi.  Machiavelli,  Lett.  128,  ha  staccare 
le  pratiche,  interromperle. 

162.  3.  per  e;  per  la  camp.  V.  e.  ii,  15, 
n.  8. 

—  5.  nomerorse  ;  si  numererò.  Come  da 
numerarono  si  fece  poeticam.  numeraro, 
cosi  da  numerarono  numeroro.  Dante  ha, 
Inf.  26,  36,  levarsi,  il  Pulci  e  altri  Toscani 
spessissimo  la  forma  in  orno,  che  è  abbre- 
viazione più  comune  e  non  ancora  morta 
di  orono. 


Che  fur  quel  di  messi  per  fil  di  spade, 
villani  e  lupi  uscir  poi  de  le  grotte 
A  dispogliarli  e  a  devorar  la  notte. 
163 

Carlo  non  torna  più  dentro  alla  terra, 
Ma  coiitra  gli  nimici  fuor  s'accampa, 
Et  in  assedio  le  lor  tende  serra. 
Et  alti  e  spessi  fiioclii  intorno  avvampa. 
Il  Pagan  si  provede,  e  cava  terra. 
Fossi  e  ripari  e  bastioni  stampa: 
Va  rivedendo,  e  tien  le  guardie  deste, 
Né  tutta  notte  mai  l'arme  si  sveste. 
164 

Tutta  la  notte  per  gli  alloggiamenti 
Dei  mal  sicuri  Saracini  oppressi 
Si  versan  pianti,  gemiti  e  lamenti. 
Ma  quanto  più  si  può,  cheti  e  soppressi. 
Altri,  perché  gli  amici  hanno  e  i  parenti 
Lasciati  morti,  et  altri  per  sé  stessi, 
Che  son  feriti,  e  con  disagio  stanno: 
Ma  più  è  la  tema  del  futuro  danno. 
165 

Due  Mori  ivi  fra  gli  altri  si  trovato. 
D'oscura  stirpe  nati  in  Tolomitta; 
De'  quai  l'istoria,  per  esempio  raro 
Di  vero  amore,  è  degna  esser  descritta. 


—  6.  messi  per  f.  d.  s.  V.  st.  50,  n.  3. 

—  8.  devorar;  devorarli.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 
163.  4.  avvampa,  accende.  In  questo  senso 

citasi  questo  solo  esempio  dell'A. 

—  6.  stampa;  fa  in  un  momento.  È  po- 
polare anche  oggi. 

—  7.  Va  rivedendo.  Rivedere  è  termine 
militare,  che  vale  esaminare  e  riscontrare 
il  numero  dei  soldati,  il  loro  ordina- 
mento ecc.  ;  e  anche  assicurarsi  della  di- 
ligenza  dei  corpi  di  guardia,  delle  poste, 
delle  guarnigioni  ecc.;  e  anche  esaminar 
le  fortificazioni  d'una  piazza. 

164.  4.  soppressi,  sommessi.   Si  cita  solo 
questo  luogo  dell'A. 

—  8.  Ma  più  ecc.  Petr.  Tr.  morte,  2,  48  : 
«  Ma  più  la  tema  dell'  eterno  danno  ». 

165.  2.  Tolomitta;  Oggi  Tolmita  o  Tol- 
meita.  L'antica  Tolemaide,  di  cui  non  re- 
stano che  ruine. 

—  4.  è  degna  esser;  è  d.  di  esser.  V.  e. 
I,  4,  n.  1.  Questo  episodio  in  parte  è  imitato 
da  Virgilio,  in  parte  da  Stazio  ;  in  parte  ha 
elementi  originali.  Nell'^u.  ix,  176,  segg. 
si  dice  che  Niso,  fortissimo  in  armi,  per 
desiderio  di  illustrarsi,  domanda  di  andare 
attraverso  al  campo  nemico,  a  portar  mes- 
saggi a  Enea  lontano.  Eurialo,  suo  compa- 
gno ed  amico,  sebbene  da  lui  sconsigliato, 
vuol  seguirlo.  Vanno,  la  notte,  e  fanno 
strage  dei  nemici.  Sorpresi  dalla  schiera 
di  Volscente  si  danno  alla  fuga  e  si  trovano 
disgiunti.  Niso,  addolorato,  va  cercando  il 
compagno  e  lo  vede  accerchiato  dai  nemici. 


CANTO  XVIII 


241 


Cloridano  e  Medor  si  iiominaro, 
Ch'alia  fortuna  prospera  e  alla  afflitta 
Aveano  sempre  amato  Dardiuello, 
EtorpassatoinFrauciailmarcon  quello, 
166 
Cloridan,  cacciator  tutta  sua  vita, 
Di  robusta  persona  era  et  isnella-. 
Medoro  avea  la  guancia  colorita 
E  bianca  e  grata  ne  la  età  novella; 
E  fra  la  gente  a  quella  impresa  uscita, 
Non  era  faccia  più  gioconda  e  bella: 
Occhi  avea  neri,  e  chioma  crespa  d'oro: 
Angel  parea  di  quei  del  sommo  coro. 
167 
Erano  questi  duo  sopra  i  ripari 
Con  molti  altri  a  guardargli  alloggiamen- 
Quando  la  notte  fra  distanze  pari         [ti, 
Mirava  il  ciel  con  gli  occhi  sonnolenti. 
Medoro  quivi  in  tutti  i  suoi  parlari  [menti. 
Non  può  far  che  '1  Signor  suo  non  ram- 
Dardinello  d'Almonte,  e  che  non  piagna 
Che  resti  senza  onor  ne  la  campagna. 
168 
Volto  al  compagno,  disse:  0  Cloridano, 
Io  non  ti  posso  dir  quanto  m'incresca 

Invoca  allora  la  luce  lunare  e  comincia,  non 
visto,  a  scagliar  dardi  contro  di  loro.  Vol- 
scente,  maravigliato  e  irritato,  si  vendica 
su  Eurialo  e  V  uccide.  Niso,  che  per  sal- 
varlo era  accorso  a  confessarsi  colpevole, 
si  volge  allora  contro  Volscente  e  lo  ferisce 
a  morte,  ma,  sopraflfatto  dai  nemici,  soc 
combe  egli  stesso.  Nella  Tebaide  di  stazio, 
lib.  X,  Opleo  e  Dimante  trovandosi  di  notte 
sul  campo  di  battaglia,  han  desiderio  di 
dar  sepoltura  ai  cadaveri  dei  loro  re.  Di- 
mante prega  la  luna  di  mostrargli  dov'essi 
giacciano.  Ritrovatili,  se  li  caricano  sulle 
spalle,  ma  sorpresi  da  Anfione,  Opleo  è  uc- 
ciso. Dimante,  ferito,  è  invitato  a  rivelare  j 
i  piani  di  guerra  degli  Argivi  ;  ma,  inorri-  ' 
dito  della  proposta,  si  uccide.  Da  questo 
breve  riassunto  puoi  vedere  le  principali 
somiglianze  e  differenze  tra  le  fonti  e  l'A. 

166.  1.  Cloridano  corrisponde  al  Niso  di 
V'irgilio,  acerrimus  armis,  ix,  176. 

—  3.  Medoro  somiglia  a  Eurialo  quo  pul- 
chrior  alter  Son  fuit  Aeneadum.  Ora 
puer  prima  signans  intonsa  inventa.  En. 
IX,  179. 

—  8.  del  sommo  e,  dei  Serafini,  che  se- 
condo il  concetto  teologico,  seguito  anche 
da  Dante,  erano  l'ordine  più  alto  degli  spi- 
riti celesti. 

167.  3.  fra  dist.  pari.  La  notte  è  personi- 
ficata e  descritta  mentre  traversa  il  cielo. 
Era  dunque  a  mezzo  il  suo  corso,  a  distanze 
eguali  da  Oriente  ad  Occidente. 

168.  I.  Volto  ecc.  In  Virgilio  è  il  forte 
Niso  che  fa  la  proposta,  qui  è  il  giovinetto 
Medoro.  Avverti  con  quanto  vantaggio. 

Ariosto  —  P.\pini 


'  Del  mio  Signor  che  sia  rimaso  al  piano, 
Per  lupi  e  corbi,  oiraè  I  troppo  degna  esca. 

I  Pensando  come  sempre  mi  fu  umano 

j  Mi  par  che  quando  ancor  questa  anima 
In  onor  di  sua  fama,  io  non  compensi  [esca 
Ne  sciolga  verso  lui  gli  oblighi  immensi. 

I  169 

I  lovoglio  andar  perché  non  sia  insepulto 
In  mezzo  alla  campagna,  a  ritcovarlo- 

E  torse  Dio  vorrà  ch'io  vada  occulto 
Là  dove  tace  il  campo  del  Re  Carlo. 
Tu  rimarrai  ;  che  quando  in  ciel  sia  acuito 
Ch  io  vi  debba  morir,  potrai  narrarlo  • 
Che  se  Fortuna  vieta  si  bell'opra, 
Per  fama  almeno  il  mio  buon  cuor'si  scuo- 
170  [pra 

Stupisce  Cloridan.  che  tanto  core 
Tanto  amor,  tanta  fede  abbia  un  fanciullo  • 
E  cerca  assai  perché  gli  porta  amore. 
Di  fargli  quel  pensiero  irrito  e  nullo; 
Ma  non  gli  vai,  perch'un  si  gran  dolore 
Non  riceve  conforto  né  trastullo. 
Medoro  era  disposto  o  di  morire, 
0  ne  la  tomba  il  suo  Signor  coprire. 
171 
Veduto  che  noi  piega  e  che  noi  muove 
Cloridan  gli  risponde:  E  verrò  anch'io, 
Anch'io  vo'  pormi  a  si  lodevoi  pruove,' 
Anch'io  famosa  morte  amo  e  disio. 
Qual  cosa  sarà  mai  che  piti  mi  giove. 
S'io  resto  senza  te,  Medoro  mio? 
Morir  teco  con  l'arme  è  meglio  molto. 
Che  poi  di  duol,  s'avvien  che  mi  sii  tolto 
172 
Cosi  disposti,  messere  in  quel  loco 
Le  successive  guardie,  e  se  ne  vanno. 
Lascian  fosse  e  steccati,  e  dopo  poco 
Tra  nostri  son,  che  senza  cura  stanno. 

II  campo  dorme,  e  tutto  è  spento  il  fuoco. 
Perché  dei  Saracin  poca  tema  hanno. 
Tra  l'arme  e  carriaggi  stan  roversi. 

Nel  vin,  nel  sonno  insino  agli  occhi  im- 
_,  .  173  [mersi. 

kermessi  alquanto  Cloridano,  e  disse: 

Non  son  mai  da  lasciar  l'occasioni. 

Di  questo  stuol  che  '1  mio  Signor  trafisse. 

Non  debbo  far,  Medoro,  occisioni  ? 

Tu,  perché  sopra  alcun  non  ci  venisse. 


—  7.  In  onor  di  s.  f.  ;  per  rendere  onore 
alla  sua  fama  di  bravo  e  di  buono. 

169.  7.  Che;  cosi  che.  V.  e.  i,  57,  n.  7. 
172.  4.  Tran.;  tra  i  n.;  tra  i  Cristiani*. 

—  7.  carriaggi.  Vi  è  la  solita  omissione 
dell'  articolo.  —  roversi,  riversi. 

—  8.  inaino  a.  o.  imm.  Immergersi  fino 
agli  occhi  in  una  cosa  è  espressione  co- 
mune per  mettet^visi  tutto;  ma  qui  detto 
del  sonno  è  immagine  uà  po'  strana.  Viro. 
En.  IX,  189:  «  Somno  vinoque  soluti  (Ru- 
tuli) .. 


16 


242 


ORLANDO  FURIOSO 


Gli  occhi  e  l'orecchi  in  ogni  parte  poni; 
Ch'io  m'offerisco  farti  con  la  spada 
Tra  gl'inimici  spaziosa  strada. 
174 

Cosi  disse  egli,  e  tosto  il  parlar  tenne, 
Et  entrò  dove  il  dotto  Alfeo  dormia. 
Che  l'anno  inauzi  in  corte  a  Carlo  venne, 
Medico  e  Mago  e  pien  d'Astrologia: 
Ma  poco  a  questa  volta  gli  sovvenne; 
Anzi  gli  disse  in  tutto  la  bugia. 
Predetto  egli  s'avea  che  d'anni  pieno 
Dovea  morire  alla  sua  moglie  in  seno: 
175 

Et  or  gli  ha  messo  il  cauto  Saracino 
La  punta  de  la  spada  ne  la  gola. 
Quattro  altri  uccide  appresso  all'indo  vi  no 
Che  non  hau  tempo  a  dire  una  parola: 
Menzion  dei  nomi  lor  non  fa  Turpino, 
E  '1  lungo  andar  le  lor  notizie  invola  : 
Dopo  essi  Palidon  da  Moncalieri, 
Che  sicuro  dormia  fra  duo  destrieri. 
176 

Poi  se  ne  vien  dove  col  capo  giace 
Appoggiato  al  barile  il  miser  Grillo  ; 
Avealo  voto,  e  avea  creduto  in  pace 
Godersi  un  sonno  placido  e  tranquillo. 
Troncògli  il  capo  il  Saracino  audace  : 
Esce  col  sangue  il  vin  per  uno  spillo, 
Di  che  n'ha  in  corpo  più  d'una  bigoncia  ; 
E  di  ber  sogna,  e  Cloridan  lo  sconcia. 

177  [sco 

E  presso  a  Grillo  un  Greco  et  un  Tede- 
Spenge  in  dui  colpi,  Andropono  e  Conra- 
Che  de  la  notte  avean  goduto  al  fresco  [do, 


174.  1.  il  parlar  tenne,  il  p.  trattenne.  En. 
IX,  324:  «Sic  memorai  vocemque  premit 
(Xisus)  ». 

—  2.  Notano  alcuni  che  Ta.  voglia  ac- 
cennare a  quel  Pietro  da  Pisa  (detta  dai 
Latini  Alphea.  V.  En.  10,  179),  che  per  la 
sua  dottrina  Carlo  M.  chiamò  in  Francia 
alla  sua  corte. 

—  5.  Ma  poco  ecc.  Cosi  neìVEn.  9,  237,  è 
ucciso,  da  Xiso,  Ramnete  «  Turno  gratissi- 
mus  augur;  Sed  non  augurio  potuit  depel- 
lere  pestem  ».  —  a  questa  yolta  ;  Più  comune 
^enza  preposiz.  a.  L'  usa  molto  spesso  il 
Pulci  nel  Morgante. 

176.  2  appoggiato  al  b.  Cosi  Reto.  En.  9, 
316:  «se  post  cratera  tegebat». 

—  3.  voto,  votato.  V.  e.  I,  48,  n.  4. 

—  6.  per  nno  spillo;  per  uno  stesso  spillo. 
spillo  è  veramente  un  foro  piccolo,  donde 
esce  il  vino  della  botte  ;  qui  si  giuoca  sulla 
parola.  Cosi  Reto,  En.  9,  349  :  «  Purpuream 
vomit . . .  animam  et  cum  sanguine  mixta 
Vina  l'efert  moriens  ». 

—  8.  lo  sconcia;  lo  uccide  malamente. 
Manca  affatto,  nei  vocabolari,  questo  signi- 
ficato. 


Gran  parte,  or  con  la  tazza,  ora  col  dado . 
Felici,  se,  vegghiar  sapeatto  a  deS(ì(J    '   '  ' 
Fin  che  de  l'Indo  il  sol  passassi  il  guado. 
Ma  non  potria  negli  uomini  il  destino. 
Se  del  futuro  ognun  fosse  indovino. 
178 

Come  impasto  leone  in  stalla  piena,  [to,  ( 
Che  lunga  fame  abbia  smacrato  e  ascitit-'-'^^ 
Uccide,  scanna,  mangia,  a  strazio  mena 
L'infermo  gregge  in  sua  balia  condutto;"!* 
Cosi  il  crudel  Pagan  nel  sonno  svena     -"^' 
La  nostra  gente,  e  fa  macel  per  tutto. 
La  spada  di  Medoro  anco  non  ebe; 
Ma  si  sdegna  ferir  l'ignobil  plebe. 
179 

Venuto  era  ove  il  Duca  di  Labretto 
Con  una  dama  sua  dormia  abbracciato; 
E  l'un  con  l'altro  si  tenea  si  stretto. 
Che  non  saria  tra  lor  l'aere  entrato. 
Medoro  ad  ambi  taglia  il  capo  netto. 
Oh  felice  morire!  o  dolce  fato! 
Che  come  erano  i  corpi,  ho  cosi  fede. 
Ch'andar  l'alme  abbracciate  alla  lor  sede. 
180 

Malindo  uccise  e  Ardalico  il  fratello, 
Che  del  Conte  di  Fiandra  erano  figli; 
E  l'uno  e  l'altro  cavallier  novello    [gigli. 
Fatto  avea  Carlo,  e  aggiunto  all'arme  i 


177.  5.  Felici  ecc.  En.  9,  335;  «  (Serranus) 
plurima  nocte  Luserat...  Felix  si  protenus 
illum  Aequasset  noeti  ludum  in  lucemque 
tulisset». 

—  6.  passassi  il  g.  Per  la  forma  verbale 
cfr.  e.  II,  40,  n.  8.  Per  T  immagine  avverti 
che  l'A.  piglia  spesso  il  fiume  ludo  per 
significare  l'estremo  Oriente  (iii,  17;  iv,  61, 
perciò  passare  il  guado  de  l'I.  vale  appa- 
rire in  Oriente.  I  vocabolari  non  citano 
l' espressione  ìjassare  il  g.  ;  che  pure  è  co- 
munissima.  Avverti  che  qui  significa  sem- 
plicemente passare. 

178.  1.  Come  impasto  ecc.  Viro.  En.  9, 
339  :  «  Impastus  ceu  piena  leo  per  ovilia 
turbans,  Suadet  euim  vesana  fames,  mandit- 
que  trabitque  Molle  pecus  mutumque  metu, 
fremii  ore  cruento  ».  In  Stazio,  Teb.  lib.  io, 
è  una  tigre:  «  Caspia  non  aliter  magnorum 
in  strage  iuvencum  Tigris  ». 

—  3.  a  strazio  mena;  strazia.  Nel  e.  i,  72, 
7,  si  ha  menare  a  fracasso  ;  fracassare. 

—  4.  infermo;  debole.  Latinismo  (infir- 
mus)  già  usato  da  Dante,  Purg.  10,  122,  dal 
Petrarca  e  da  altri. 

—  7.  anco  non  ebe;  neppure  (V.  e,  xvi, 
30,  n.  8)  la  spada  di  M.  è  ottusa  (lat.  hebe- 
re);  e  inetaforicam.  è  inoperosa.  Petk.  Tr. 
F.  i,  92:  «  E  se  non  che  '1  suo  lume  all' 
estremo. ebe  (si  indebolisce)».  .Non  è  usata 
che  questa  terza  persona. 


CANTO  XVIII 


243. 


Perché  il  giorno  amendui  d'ostil  macello 
Con  gli  stocchi  tornar  vide  vermigli:   . 
E  terre  in  Frisa  avea  promesso  loro, 
E  date  avria;  ma  lo  vietò  Medoro. 
181 
Gl'insidiosi  ferri  eran  vicini 
Ai  padiglioni  che  tiraro  in  volta 
Al  padiglion  di  Carlo  i  Paladini, 
Facendo  ognun  la  guardia  la  sua  volta; 
Quando  da  Tempia  strage  i  Saracini 
Trasson  le  spade,  e  diero  a  tempo  volta- 
Ch  impossibil  lor  par,  tra  si  gran  torma', 
Che  non  s'abbia  a  trovar  un  che  non  dor- 
182  [ma 

E  ben  che  possan  gir  di  preda  carchi, 
Salvin  pur  sé,  che  fanno  assai  guadagno. 
Ove  pili  crede  aver  sicuri  i  varchi 
Va  Cloridano  e  dietro  ha  il  suo  compagno 
V  engon  nel  campo  ove  fra  spade  et  archi 
E  scudi  e  lance,  in  un  vermiglio  stagno 
Giaccion  poveri  e  ricchi,  e  Re  e  vassalli, 
E  sozzopra  con  gli  uomini  i  cavalli. 
183 
Quivi  dei  corpi  l'orrida  mistura. 
Che  piena  avea  la  gran  campagna  intor- 
«*^  Potea'  far  vaneggiar  la  fedel  cura       [no, 
^    Dei  duo  compagni  insino  al  far  del  giorno, 
Se  non  traea  fuor  d'una  nube  oscura 
A  prieghi  di  Medor,  la  Luna  il  corno. 
Medoro  in  ciel  divotamente  fìsse 
Verso  la  Luna  gli  occhi,  e  cosi  disse: 
184 
0  santa  Dea,  che  dagli  antiqui  nostri     ' 
Debitamente  sei  detta  triforme; 
Ch'in  cielo,  in  terra  e  ne  l'inferno  mostri 
L'alta  bellezza  tua  sotto  più  forme, 
E  ne  le  selve,  di  fere  e  di  mostri 
A  ai  caceiatrice  seguitando  l'orme; 


180.  5.  d'ostil;  per  ostil.  V.  e.  xm,  33, 
lì.  3. 

181.  2.  in  volta;  in  giro,  intorno.  Behni, 
Jan.  3,  37  :  «  Quantunque  andasse  in  volta 
alla  ventura  ». 

183.  8.  sozzopra.  V.  e.  xiv,  128,  n.  8. 

183.  3.  vaneggiar,  riuscir  vana.  Si  cita 
questo  solo  esempio  dell'A.  È  estensione  di 
signifìc.  simile  a  quella  di  spirtale,  IH,  67; 
celeste.  II,  55,  vocale  VII,  38. 

184.  1.  0  santa  D.  Anche  in  Stazio,  Teb.  x, 
364-77,  Dimante  prega  la  luna  triforme  che 
gli  mostri  il  cadavere  di  Tideo,  il  quale  fu, 
vivente,  amante  della  caccia  e  dei  boschi, 
alunno  di  Diana.  Avverti  la  libertà  con  cui 
l'A,  imbevuto  di  classicismo,  mette  un  ri- 
cordo classico  in  bocca  d'  un  pastore  Affri- 
cano.  Cosi  nel  e.  vi,  29,  8. 

—  2.  triforme.  La'stessa  divinità  era  detta 
luna  in  cielo,  Diana  (dea  dei  boschi  e  della 
caccia)  in  terra,  Ecate  nell'  inferno. 

—  8.  imitò  ecc.  coltivò  la  caccia. 


Mostrami  ove  '1  mio  Re  giaccia  fra  tanti» 
Che  vivendo  imitò  tuoi  studi  santi. 
185 
La  Luna  a  quel  pregar,  la  nube  aperse, 
O  fosse  caso  o  pur  la  tanta  fede; 
Bella  come  fu  allor  ch'ella  s'offerse, 
E  nuda  in  braccio  a  Endimion  si  diede. 
Con  Parigi  a  quel  lume  si  scoperse 
L'un  campo  e  l'altro;  e  '1  monte  e  '1  pian 
Si  videro  i  duo  colli  di  lontano,  [si  vede: 
Martire  a  destra,  e  Leri  all'altra  mano 

I      Rifulse  lo  splendor  molto  più  chiaro, 

:  Ove  d'Almonte  giacca  morto  il  tìglio. 

t  :\ledoro  andò,  piangendo,  al  Signor  caro; 
•Jhe  conobbe  il  quartier  bianco  e  verrai- 
E  tutto  '1  viso  gli  bagnò  d'amaro     (gì io  : 

i  Pianto  (cne  n'avea  un  rio  sotto  ogni  ciglio), 
In  si  dolci  atti,  in  si  dolci  lamenti, 

I  Che  potea  ad  ascoltar  fermare  i  venti; 
■-    187 

I     Ma  con  sommessa  voce  e  a  pena  udita  ; 
Non  che  riguardi  a  non  si  far  sentire, 
Perch'abbia  alcun  pensier  de  la  sua  vita 
(Più  tosto  l'odia,  e  ne  vorrebbe  uscire); 
Ma  per  timor  che  non  gli  sia  impedita 
L'opera  pia  che  quivi  il  fé'  venire. 
Fu  il  morto  Re  sugli  omeri  sospeso 
Di  tramendui,  tra  lor  partendo  il  peso. 
188 
Vanno  affrettando  i  passi  quanto  ponno. 
Sotto  l'amata  soma  che  gl'ingombra. 
E  già  venia  chi  de  la  luce  è  donno 
Le  stelle  a  tor  del  ciel  di  terra  l'ombra; 
Quando  Zerbino,  a  cui  del  petto  il  sonn  i 

L'alta  virtude,  ove  è  bisogno,  sgombra, 
Cacciato  avendo  tutta  notte  i  Mori, 

Al  campo  si  traea  nei  primi  albóri. 
189 
E  seco  alquanti  cavallicri  avea, 

Che  videro  da  Innge  i  dui  compagni. 

Ciascuno  a  quella  parte  si  traea. 

Sperandovi  trovar  prede  e  guadagni. 

Frate,  bisogna  (Cloridan  dicea) 

Gittar  la  soma,  e  dare  opra  ai  calcagni; 

Che  sarebbe?»pensier  non  troppo  accorto, 

Perder  duo  vivi  per  salvar  un  morto. 


186.  8.  ad  ascoltar  ;  potea  fermare  i  venti 
ad  ascoltarlo. 

187.  1.    con   somm.  v.  Stazio,    Teb.  x,  384. 

—  8.  tramendui;  ambedue.  Usò  questa 
forma  anche  il  Firenzuola,  Disc.  An.  62: 
«  tramendui  d'  accordo  andarono  alla  volta 
sua». 

188.  3.  E  già  venia  ecc;  sorgeva  il  sole. 
È  particolare  tolto  da  Stazio.    Teb.  x,  436. 

—  6.  ove;  quando. 

189.  3.  Ciascuno.  Riferiscilo  a  Zerbino  e 
a'  suoi. 


244 


ORLANDO  FURIOSO 


190 

E  gittò  il  carco,  perché  si  pensava 
Che  '1  suo  Medoro  il  simil  far  dovesse: 
Ma  quel  meschin  che  '1  suo  Signor  più  ama  - 
Sopra  le  spalle  sue  tutto  lo  resse.       [va, 
L'altro  con  molta  fretta  se  n'andava, 
Come  l'amico  a  paro  o  dietro  avesse: 
Se  sapea  di  lasciarlo  a  quella  sorte, 
Mille  aspettate  avria,  non  ch'una  morte. 
191 

Quei  cavallier,  con  animo  disposto 
Che  questi  a  render  s'abbino  o  a  morire, 
Chi  qua  chi  là  si  spargono,  et  han  tosto 
Preso  ogni  passo  onde  si  possa  uscire. 
Da  loro  il  capitan  poco  discosto, 
Più  degli  altri  è  sollecito  a  seguire; 


191.  6.  seguire  ;  inseguire,  inseguirli.  Ma- 
CHIAV.  Arte  della  guerra,  2,  39  :  «  (I  cavalli) 


Ch'in  tal  guisa  vedendoli  temere, 
Certo  è  che  sian  de  le  nimiche  schiere. 
192 
Era  a  quel  tempo  ivi  una  selva  antica, 
D'ombrose  piante  spessa  e  di  virgulti,  * 
Che,  come  labirinto,  entro  s'intrica 
Di  stretti  calli  e  sol  da  bestie  culti. 
Speran  d'averla  i  duo  Pagan  si  amica, 
Ch'abbi'atenerlientro  a'suoi  rami  occulti. 
Ma  chi  del  canto  mio  piglia  diletto, 
Un'altra  volta  ad  ascoltarlo  aspetto. 


son  più  utili  a  seguire  il  nemico,  rotto  che 
egli  è  ». 

192.  4.  culti;  abitati  (dal  lat.  colere,  che 
vale  anche  abitare).  È  citato  col  solo  esera- 
pio  dell' A. 

—  6.  abbi'.  V.  e.  xvn,  4.  n.  2. 


CANTO  XIX 


Alcun  non  può  saper  da  chi  sia  amato. 
Quando  felice  in  su  la  ruota  siede; 
Però  ch'ha  i  veri  e  i  tìnti  amici  a  lato, 
Che  mostrau  tutti  una  medesma  fede. 
Se  poi  si  cangia  in  tristo  il  lieto  stato, 
Volta  la  turba  adulatrice  il  piede; 
E  quel  che  di  cor  ama,  riman  forte, 
Et  ama  il  suo  Signor  dopo  la  morte. 
2 

Se,  come  il  viso,  si  mostrasse  il  core, 
Tal  ne  la  corte  è  grande  e  gli  altri  preme, 
E  tal  è  in  poca  grazia  al  suo  Signore, 
Che  la  lor  sorte  muteriano  insieme. 
Questo  umil  diverria  tosto  il  maggiore: 
Starla  quel  grande  in  fra  le  turbe  estreme. 


1.  2.  in  sn  la  r.  s.;  sulla  ruota  della  For- 
tuna. Per  indicare  la  instabilità  delle  cose 
umane  la  Fortuna  fu  dagli  antichi  rappre- 
sentata sopra  una  ruota,  o  su  di  un  globo. 
Gli  uomini  si  figurano  ora  al  colmo  di  que- 
sta ruota  presso  la  fortuna,  ora  sotto  e  in 
basso.  Quindi  le  espressioni  esser  nel  colmo 
della  ruota,  cader  sotto  la  ruota,  andare 
a  fondo  ecc.  Sacchetti,  nov.  193:  «  Io  veg- 
gio troppo  bene  che  tu  se'  nel  colmo  della 
rota,  e  non  ti  puoi  movere  che  tu  non  scenda 
o  capolevi  ». 

—  8.  dopo  la  m.;  Più  completo  sarebbe: 
anche  dopo  la  morte. 

2.  2.  Tal...  tal;  O  significa  alcuno,  come 
in  questo  luogo  del  Boccaccio,  Ftloc.  7: 
«  Tal  rise  degli  altrui  danni,  che  de'  suoi 


Ma  torniamo  a  Medor  fedele  e  grato, 
Che  'n  vita  e  in  morte  ha  il  suo  Signore 
3  [amato. 

Cercando  già  nel  più  intricato  calle 
Il  giovine  infelice  di  salvarsi; 
Ma  il  grave  peso  ch'avea  su  le  spalle, 
Gli  facea  uscir  tutti  i  partiti  scarsi. 
Non  conosce  il  paese,  e  la  via  falle; 
E  torna  fra  le  spine  a  invilupparsi. 
Lungi  da  lui  tratto  al  sicuro  s'era 
L'altro  ch'avea  la  spalla  più  leggiera. 
4 

Cloridan  s'è  ridutto  ove  non  sente 
Di  chi  segue  lo  strepito  e  il  rumore; 
Ma  quando  da  Medor  si  vede  absente. 
Gli  pare  aver  lasciato  a  dietro  il  core. 
Deh,  come  fui  (dicea)  si  negligente. 
Deh,  come  fui  si  di  me  stesso  fuore. 
Che  senza  te,  Medor,  qui  mi  ritrassi. 
Né  sappia  quando  o  dove  io  ti  lasciassi! 


dopo  picciol  tempo  pianse  »  ;  o  è  relativo 
di  qualità:  uomo  di  tal  fatta.  É  preferibile 
la  prima  interpret. 

3.  4.  uscir;  riuscire.  —  scarsi,  manche- 
voli all'intento. 

—  5.  falle;  fallisce,  da  fallire  v&go\?irm . 
come  tugge  da  fuggire.  Pktr.  i,  son.  28: 
«  Amor,  io  fallo,  e  veggio  il  mio  fallire  ». 
Cfr.  anche  il  e.  XLii,  27. 

4.  3.  absente.  Forma  più  vicina  al  latino 
absentem,. 

—  7.  mi  ritrassi...  né  sappia.  Dopo  una 
propos.  interrogai.,  l' indicativo  accenna  a 


CANTO  XIX 


245 


Cosi  dicendo  ne  la  torta  via 
De  l'intricata  selva  si  ricaccia; 
Et  onde  era  venuto  si  ravvia, 
E  torna  di  sua  morte  in  su  la  traccia. 
Ode  i  cavalli  e  i  gridi  tuttavia, 
E  la  nimica  voce  che  minaccia: 
All'ultimo  ode  il  suo  Medoro,  e  vede 
•  Che  tra  molti  a  cavallo  è  solo  a  piede. 
6 

Cento  a  cavallo,  e  gli  sou  tutti  intorno  : 
Zerbin  comanda  e  grida  che  sia  preso. 
L'infelice  s'aggira  com'un  torno, 
E  quanto  può  si  tien  da  lor  difeso, 
Or  dietro  quercia,  or  olmo,  or  faggio,  or 
^Né  si  discosta  mai  dal  caro  peso:    |orno; 
L'ha  riposato  altìn  su  l'erba,  quando 
Regger  noi  puote,  e  gli  va  intorno  errando, 
7 

Come  orsa,  che  l'alpestre  cacciatore     ■ 
Ne  la  pietrosa  tana  assalita  abbia, 
Sta  sopra  i  figli  con  incerto  core, 
E  freme  in  suono  di  pietà  e  di  rabbia: 
Ira  la  'nvita  e  naturai  furore 
Aspiegar  l'ugneeainsanguinar  le  labbia; 
Amor  la  'ntenerisce,  e  la  ritira 
A  riguardare  ai  figli  in  mezzo  l'ira. 
8 

Cloridau,  che  non  sa  come  l'aiuti, 
E  ch'esser  vuole  a  morir  seco  ancora. 
Ma  non  ch'in  morte  prima  il  viver  muti. 
Che  via  non  trovi  ove  più  d'un  ne  mora; 
Mette  su  l'arco  un  de'suoi  strali  acuti, 
E  nascoso  con  quel  si  ben  lavora, 


un  fatto  reale  indipendente  dalla  prepos. 
che  lo  regge,  il  cong.  accenna  a  stretta  di- 
pendenza fra  la  prop.  reggente  e  la  dipen- 
dente. Il  non  sapere  è  strettamente  con- 
nesso coir  essere  stato  fuori  di  sé;  l'esser 
re  liuto  qui,  no.  Fornaciahi,   Sint.  p.  404. 

6.  .'<.  torno,  tornio. 

7.  1.  Come  orsa  ecc.  Questa  comparazione 
è  imitata  da  Stazio,  Tei.  vii,  414-19:  «  Ut 
lea,  quam  saevo  foetam  pressere  cubili  Ve- 
jiantes  Numidae  natos  erecta  superstat 
Mente  sub  incerta  torvum  ac  miserabile 
frendens.  Illa  quidem  turbare  globos  et 
frangere  morsu  Tela  queat,  sed  prolis  amor 
crudelia  vincit  Pectora  et  in  me  Ha  catu- 
los  circunispicit  ira  ».  Hanno  la  stessa  com- 
paraz.  il  Berni,  Ori.  Inn.  xv,  2ì;  il  Grossi,' 
Lomb.  X,  16.  L'A.  supera  tutti. 

8.  3.  Ma  non  ecc.;  ma  non  vuol  mutare 
il  vivere  in  morte  prima  che  trovi  (prima 
d'aver  trovato)  via,  nella  quale  (come)  più 
d'uno  ne  muoia.  Osserva  che  il  ìion  del 
V.  4  è  superfluo;  ma  l'A.  lia  seguito,  per  la 
cong.  prima  che,  l'analogia  di  finché,  che 
ri   userebbe   col    non.    Y.   Fornaciari    5. 

r<.    371. 


Che  fora  ad  uno  Scotto  le  cervella, 
E  senza  vita  il  fa  cader  di  sella. 
9 
Volgonsi  tutti  gli  altri  a  quella  banda, 
Ond'era  uscito  il  calamo  omicida. 
Intanto  un  altro  il  Saracin  ne  manda. 
Perché  '1  secondo  a  lato  al  primo  uccida; 
Che  mentre  iu  fretta  a  questo  e  a  quel  do- 
-manda 
Chi  tirato  abbia  l'arco,  e  forte  grida, 
Lo  strale  arriva,  e  gli  passa  la  gola, 
E  gli  taglia  pel  mezzo  la  parola. 
10 
Or  Zerbin,  ch'era  il  capitano  loro. 
Non  potè  a  questo  aver  più  pazienza. 
Con  ira  e  con  furor  venne  a  Medoro, 
Dicendo:  Ne  farai  tu  penitenza. 
Stese  la  mano  in  quella  chioma  d'oro, 
E  trascinollo  a  sé  con  violenza: 
Ma  come  gli  occhi  a  quel  bel  volto  mise, 
Gli  ne  venne  pietade,  e  non  l'uccise. 
11 
Il  giovinetto  si  rivolse  a'prieghi, 
E  disse:  Cavallier,  per  lo  tuo  Dio, 
Non  esser  si  crudel  che  tu  mi  nieghi 
Ch'io  sepelisca  il  corpo  del  Ke  mio. 
Non  vo'  ch'altra  pietà  per  me  ti  pieghi, 
Né  pensi  che  di  vita  abbi  disio: 
Ho  tanta  di  mia  vita,  e  non  più,  cura. 
Quanta  ch'ai  mio  Signor  dia  sepoltura. 
12 
E  se  pur  pascer  vuoi  fiere  et  augelli. 
Che  'n  te  il  furor  sia  del  teban  Creonte, 
Fa  lor  convito  di  miei  membri,  e  quelli 
Sepelir  lascia  del  tìgliuol  d'Almonte. 
Cosi  dicea  Medor  con  modi  belli, 
E  con  parole  atte  a  voltare  un  monte; 
!  E  si  commosso  già  Zerbino  avea, 
I  Che  d'amor  tutto  e  di  pietade  ardea. 
!  13 

I     In  questo  mezzo  un  cavallier  villano, 
i  Avendo  al  suo  Signor  poco  rispetto, 
!  Feri  con  una  lancia  sopra  mano 
Al  supplicante  il  delicato  petto. 


9.  2.  calamo,  strale.  L' asticella  delle  saet- 
te spesso  era  fatta  di  canna  (lat.  calamus). 

—  5.  Che;  Pronome  che  si  riferisce  a  se- 
condo, e  che,  con  un  costrutto  popolare,  è 
soggetto  della  proposizione  temporale  che 
segue.  V.  e.  XII,  5,  n.  6. 

10.  2.  potè.  Questo  presente  è  confermato 
dalla  Principe,  che  ha  puote.  Del  resto  v. 
e.  I,  81,  n.  i. 

H.  6.  abbi;  cosi  le  tre  ediz.  curate  dal- 
l'A.  Perché  il  Morali  corresse  abbia? 

—  8.  (Quanta  eh.  ;  q.  occorre  perché. 

12.  2.  Che.^  sia,  perché  in  te  sia  il  fu- 
rore ecc. 

13.  3.  sopra  mano;  Colpo  dato  alzandola 
mano  più  su  della  spalla. 


246 


ORLANDO  FURIOSO 


Spiacque  a  Zerbin  l'atto  crudele  e  strauo; 
Tanto  pili,  che  del  colpo  il  giovinetto 
Vide  cader  si  sbigottito  e  smorto, 
Che  'n  tutto  giudicò  che  fosse  morto. 
14 

E  se  ne  sdegnò  in  guisa  e  se  ne  dolse, 
Che  disse:  Invendicato  già  non  fia; 
E  pien  di  mal  talento  si  rivolse 
Al  cavallier  che  te'  l'impresa  ria: 
Ma  quel  prese  vantaggio,  e  se  gli  tolse 
Dinanzi  in  un  momento,  e  fuggi  via. 
Cloridau,  che  Medor  vede  per  terra. 
Salta  del  bosco  a  discoperta  guerra: 
15 

E  getta  l'arco  e  tutto  pien  di  rabbia 
Tra  gli  inimici  il  ferro  intorno  gira, 
Più  per  morir,  che  per  peusier  ch'egli  abbia 
Di  far  vendetta  che  pareggi  l'ira. 
Del  proprio  sangue  rosseggiar  la  sabbia 
Fra  tante  spade,  e  al  fin  venir  si  mira: 
E  tolto  che  si  sente  ogni  potere. 
Si  lascia  a  canto  al  suo  Medor  cadere. 
16 

Seguon  gli  Scotti  ove  la  guida  loro 
Per  l'alta  selva  alto  disdegno  mena, 
Poi  che  lasciato  ha  l'uno  e  l'altro  Moro, 
L'un  morto  in  tutto,  e  l'altro  vivo  a  pena. 
Giacque  gran  pezzo  il  giovine  Medoro, 
Spicciando  il  sangue  da  si  larga  vena. 
Che  di  sua  vita  al  fin  saria  venuto. 
Se  non  sopravenia  chi  gli  die  aiuto. 
17 

Gii  sopravvenne  a  caso  una  donzella, 
Avvolta  in  pastorale  ed  umil  veste, 
Ma  di  real  presenza  e  in  viso  bella. 
D'alte  maniere  e  accortamente  oneste. 
Tanto  è  ch'io  non  ne  dissi  pili  novella, 
Ch'a  pena  riconoscer  la  dovreste: 
Questa,  se  non  sapete.  Angelica  era. 
Del  gran  Can  del  Catai  la  figlia  altiera. 
18 

Poi  che  '1  suo  annello  Angelica  riebbe, 
Di  che  Brunel  l'avea  tenuta  priva. 
In  tanto  fasto,  in  tanto  orgoglio  crebbe, 
Ch'  èsser  parca  di  tutto  '1  mondo  schiva. 
Se  ne  va  sola,  e  non  si  degnerebbe 
Compagno  aver  guai  più  famoso  viva: 


15.  6.  mira.  Figura  di  zeugma,  per  cui 
intra  regge  rosseggiare  e  venire  al  fine 
(della  vita)  ;  per  questa  seconda  espressione 
si  richiederebbe  un  .si  sente. 

16.  6.  Spicciando  ecc.  ;  mentre  il  sangue 
spicciava.  Somiglia  all'ablat,  assol.  dei  La- 
tini. Cfr.  e.  XII,  76,  n.  4.  Avverti  che  nei 
modelli  sopra  citati  muoiono  ambedue:  far 
sopravvivere  Med.  è  bella  variante  dell'  A. 

17.  4.  accortamente  o.;  che  mostravano 
una  modestia  voluta,  più  tosto  che  natu- 
i-ale.  Si  riprende  il  racconto  interrotto  al 
e.  XI,  1?. 


Si  sdegna  a  rimembrar  che  già  suo  amante 
Abbia  Orlando  nomato,  o  Sacripante. 

19 
E  sopra  ogfTaltro  error  via  più  pentita 
Era  del  ben  che  già  a  Rinaldo  volse. 
Troppo  parendole  essersi  avvilita, 
Ch'a  riguardar  si  basso  gli  occhi  volse. 
Tant'arroganzia  avendo  Amor  sentita. 
Più  lungamente  comportar  non  volse. 
Dove  giacca  Medor,  si  pose  al  varco, 
E  l'aspettò,  posto  lo  strale  all'arco. 

20 
Quando  Angelica  vide  il  giovinetto 
Languir  ferito,  assai  vicino  a  morte, 
Che  del  suo  Re  che  giacca  senza  tetto, 
Più  che  del  proprio  mal  si  dolca  forte; 
Insolita  pietade  in  mezzo  al  petto 
Si  senti  entrar  per  disusate  porte, 
Che  le  fé'  il  duro  cor  tenero  e  molle, 
E  più,  quando  il  suo  caso  egli  narrolle. 

21 
E  rivocando  alla  memoria  l'arte 
Ch'in  India  imparò  già  di  chirurgia, 
(Che  par  che  questo  studio  in  quella  parte 
Nobile  e  degno  e  di  gran  laude  sia; 
E  senza  molto  rivoltar  di  carte, 
Che  '1  patre  ai  figli  ereditario  il  dia). 
Si  dispose  operar  con  succo  d'erbe, 
Ch'a  più  matura  vita  lo  riserbe. 

22 
E  ricordossi  che  passando  avea 
Veduta  un'erba  in  una  piaggia  amena; 
Fosse  dittamo,  o  fosse  panacea, 
O  non  so  qual  di  tal  effetto  piena, 
Che  stagna  il  sangue,  e  de  la  piaga  rea 
Leva  ogni  spasmo  e  perigliosa  pena. 
La  trovò  non  lontana,  e  quella  colta. 
Dove  lasciato  avea  Medor,  die  volta. 

23 
Nel  ritornar  s'incontra  in  un  pastore. 
Ch'a  cavallo  pel  bosco  ne  veniva 


21.  '3.  Che  par  ecc.  Tutti  i  romanzi  di  ca- 
valleria rammentano  figlie  di  re  e  gentili 
donne  istrutte  nell'arte  di  medicare.  Era 
una  parte  dell'  educazione  solita  darsi  alle 
nobili  donzelle.  Tasso,  Ger.  vi,  67:  «Arte, 
che  per  usanza  in  quel  paese  Nelle  figlie 
dei  re  par  che  si  serbe  ». 

—  8.  Che  ;  Può  esser  pronome  relativo  a 
succo  e  anche  congiunz.  Si  dispose  a  ope- 
rare (far  si)  che  ecc. 

22.  3.  dittamo.  Il  dittamo,  dice  Plinio,  S. 
S.  26,  14,  «  sagittas  pellit  et  alia  tela  extra- 
hit...  suppurationes  discutit  ».  —  panacea 
(gr.  panakeia,  che  tutto  guarisce).  In  ita- 
liano si  chiamò  cosi  una  certa  erba,  delibi 
famiglia  delle  araliacee,  la  cui  radice  gli 
antichi  credevano  rimedio  di  tutti  i  mali; 
donde  il  nome.  V.  Plinio,  5.  N.  25,  11. 

—  4.  effetto,  efficacia. 


CANTO  XIX 


247 


Cercando  una  giovenca,  che  già  fuore 
Duo  di  di  mandra  e  senza  guardia  giva. 
Seco  lo  trasse  ove  perdea  il  vigore 
Medor  col  sangue  che  del  petto  usciva: 
E  già  n'avea  di  tanto  il  terren  tinto, 
Ch'era  ornai  presso  a  rimanere  estinto. 
24 
Del  palafreno  Angelica  giti  scese, 
E  scendere  il  pastor  seco  fece  anche. 
<i-Pestò  con  sassi  l'erba,  indi  la  prese, 
E  succo  ne  cavò  fra  le  man  bianche: 
Ne  la  piaga  n'infuse,  e  ne  distese 
E  péT  petto  e  pel  ventre  e  fin  a  l'anche; 
E  fu  di  tal  virtù  questo  liquore, 
Che  stagnò  il  sangue,  e  gli  tornò  il  vigore: 
25 
E  gli  die  forza,  che  potè  salire 
Sopra  il  cavallo  che  'l  pastor  condusse. 
Non  però  volse  indi  Medor  partire 
Prima  ch'in  terra  il  suo  Signor  non  fusse. 
E  Cloridan  col  Re  fé'  sepelire;      , 
E  poi  dove  a  lei  piacque  si  ridusse: 
Et  ella  per  pietà  ne  l'umil  case 
Del  cortese  pastor  seco  rimase. 
26 
Né  fin  che  noi  tornasse  in  sanitade, 
Volea  partir:  cosi  di  lui  fé'  stima: 
Tanto  si  inteneri  de  la  pietade 
Che  n'ebbe,  come  in  terra  il  vide  prima. 
Poi  vistone  i  costumi  e  la  beltade. 
Roder  si  senti  il  cor  d'ascosa  lima; 
Roder  si  senti  il  core,  e  a  poco  a  poco 
Tutto  infiammato  d'amoroso  fuoco. 
27 
Stava  il  pastore  in  assai  buona  e  bella 
Stanza,  nel  bosco  infra  duo  monti  piatta. 
Con  la  moglie  e  coi  tìgli;  et  avea  quella 
Tutta  di  nuovo  e  poco  inanzi  fatta. 
Quivi  a  Medoro  fu  per  la  Donzella 
La  piaga  in  breve  a  sanità  ritratta: 
Ma  in  minor  tempo  si  senti  maggiore 
Piaga  di  questa  avere  ella  nel  core. 
28 
Assai  pili  larga  piaga  e  più  profonda 
Nel  cor  senti  da  non  veduto  strale, 
Che  da'  begli  Sechi  e  da  la  testa  bionda 
Di  Medoro  avventò  1  Arcier  c"ha  l'ale. 
Arder  si  sente,  e  sempre  il  fuoco  abonda, 


26.  3.  si  inten.  Nelle  ediz.  preced.  del  '16  e 
del  '21  si  aveva  molte  volte  il  sé  proclit.  in- 
vece di  si  ;  uso  non  raro  negli  antichi  (Dante, 
Par.  28,  7);  nell'ed.  del  '32  ne  rimase  appena 
qualcuno;  il  Morali  li  corresse  tutti  fuorché 
tre  (XL,  61,  4  ;  xli,  8,  2),  certam.  per  svista. 

27.  2.  piatta;  nascosta.  V.  e.  xi,  36,  n.  6. 
—  6.  a  ganità  ritr.;  Locuzione  poetica,  che 

vale  sanala. 

28.  4.  l'Arcier  e' ha  l'a.;  Amore,  cosi  flg"u- 
rato  dal  mito. 


E  più  cura  l'altrui  che  '1  proprio  male. 
Di  sé  non  cura;  e  non  è  ad  altro  intenta, 
Ch'a  risanar  chi  lei  fere  e  tormenta. 
29 

La  sua  piaga  più  s'apre  e  più  incrudisce, 
Quanto  più  l'altra  si  ristringe  e  salda. 
Il  giovine  si  sana:  ella  languisce 
Di  nuova  febbre,  or  agghiacciata  or  calda. 
Di  giorno  in  giorno  in  lui  beltà  fiorisce: 
La  misera  si  strugge,  come  falda 
Strugger  di  nieve  intempestiva  suole. 
Ch'in  loco  aprico  abbia  scoperta  il  sole. 
30 

Se  di  disio  non  vuol  morir,  bisogna 
Che  senza  indugio  ella  sé  stessa  aiti: 
E  ben  le  par  che  di  quel  ch'essa  agogna. 
Non  sia  tempo  aspettar  ch'altri  la  'nviti. 
Dunque,  rotto  ogni  freno  di  vergogna. 
La  lingua  ebbe  non  men  che  gli  occhi  ar- 
E  di  quel  colpo  domandò  mercede,  [diti  ; 
Che,  forse  non  sapendo,  esso  le  diede. 
31 

0  conte  Orlando,  o  re  di  Circassia, 
Vostra  inclita  virtù,  dite,  che  giova? 
Vostro  alto  onor,  dite,  in  che  prezzo  sia? 
0  che  mercé  vostro  servir  ritruova? 
Mostratemi  una  sola  cortesia. 
Che  mai  costei  v'usasse,  o  vecchia  o  nuova. 
Per  ricompensa  e  guidardone  e  merto 
Di  quanto  avete  già  per  lei  sofferto. 
32 

Oh  se  potessi  ritornar  mai  vivo, 
Quanto  ti  parria  duro,  o  Re  Agricane! 
Che  già  mostrò  costei  si  averti  a  schivo 
Con  repulse  crudeli  ed  inumane. 
0  Ferraù,  o  mille  altri  ch'io  non  scrivo. 
Ch'avete  fatto  mille  pruove  vane 
Per  questa  ingrata,  quanto  asjìro  vi  fora 
S'a  costa'  in  braccio  voi  la  vedesse  ora! 


29.  7.  intempestiva;  rimasta  per  caso, 
quando  non  e  più  il  suo  tempo,  in  luogo 
dove  batte  sole. 

—  8.  scoperta:  indica  che  prima  quella 
neve  era  riparata  dal  sole,  come  Angelica, 
per  la  sua  alterezza  era  stata  finora  ripa- 
rata dall'amore. 

30.  3.  di  quel;  quanto  a  quel.  È  compi, 
di  limitazione. 

31.  3.  siaì  Gli  indicativi  giova,  ritruova 
accennano  ai  fatti,  il  cong.  sia  accenna  al 
pensiero  d'Orlando  e  di  Sacr. ;  quasi  di- 
cesse: in  qual  prezzo  credete  voi  che  sia? 

—  7.  ricompensa  è  correspettivo  di  spese 
0  fatiche  ;  guiderdone  è  premio  di  buone 
azioni  in  quanto  è  dato  ;  inerito  è  premio 
di  buone  azioni  in  quanto  è  meritato. 

32.  S.  vedesse;  vedeste.  L'A.  ha  amato 
queste  forme  antiquate  che  usa  più  volte; 
cfr.  e.  XII,  12,  n.  3.  E  avverti  che  nelle  ediz. 


248 


ORLANDO  FURIOSO 


33 
Angelica  a  Medor  la  prima  rosa 
Coglier  lasciò,  non  ancor  tocca  inante: 
Né  persona  fu  mai  si  avventurosa, 
Ch'in  quel  giardin  potesse  por  le  piante. 
Per  adombrar,  per  onestar  la  cosa, 
8i  celebrò  con  cerimonie  sante 
Il  matrimonio,  ch'auspice  ebbe  Amore, 
E  pronuba  la  moglie  del  pastore. 

34 
Fèrsi  le  nozze  sotto  all'urail  tetto 
Le  più  solenni  che  vi  potean  farsi; 
E  più  d'un  mese  poi  stero  a  diletto 

I  duo  tranquilli  amanti  a  ricrearsi. 
Più  lunge  non  vedea  del  giovinetto 
La  donna,  né  di  lui  potea  saziarsi: 

Né,  per  mai  sempre  pendergli  dal  collo, 

II  suo  disir  sentia  di  lui  satollo. 

35 

Se  stava  all'ombra  o  se  del  tetto  usciva, 
Avea  di  e  notte  il  bel  giovine  a  lato: 
Matino  e  sera  or  questa  or  quella  riva 
Cercando  andava,  o  qualche  verde  prato: 
Nel  mezzo  giorno  un  antro  li  copriva. 
Forse  non  men  di  quel  commodo  e  grato, 
Ch'ebber,  fuggendo  l'acque,  Enea  e  Dido, 
De'  lor  secreti  testimonio  fido. 
36 

Fra  piacer  tanti,  ovunque  un  arbor  drit- 
Vedesse  ombrare  o  fonte  o  rivo  puro,  [to 
V'avea  spillo  o  coltel  subito  fitto; 
Cosi,  se  v'era  alcun  sasso  men  duro. 
Et  era  fuori  in  mille  luoghi  scritto, 
E  cosi  in  casa  in  altri  tanti  il  muro, 
Angelica  e  Medoro,  in  vari  modi 
Legati  insieme  di  diversi  nodi. 


del  '16  e  del  ':ìì1  si  leggevano  le  forme  più 
regolari  vedeste,  [uste. 

33.  5.  adombrare  ;  abbuiare.  Tasso,  Ger. 
r>,  24:  «adombrando  con  mararti  il  vero». 

—  7.  auspice,  era  presso  i  Latini  colui,  che 
conciliava  il  matrimonio  e  assisteva  l'uomo 
nella  celebrazione  di  esso;  per  la  donna  fa- 
ceva lo  stesso  ufficio  la  pronuba. 

34.  2.  Le  più  sol.  Sebbene  nel  sup.  relativo, 
regolarmente,  non  si  ripeta  l'articolo,  pui'e 
si  hanno  buoni  esempì  del  contrario  in 
ogni  secolo.  Pulci,  Morg.2,i,  150:  «Veggo 
tutte  le  ninfe  le  più  belle  ».  —  vi  potean 
farsi,  vi  si  pot.  fare.  V  è  il  solito  sposta- 
mento di  pronomi. 

35.  7.  Enea  e  Dido.  V.  En.  4,  165  segg. 
36..").  fuori;  Solt.  il  muro;  cioè:  il  muro 

dalla  parte  di  fuori  era  scritto,  coperto  di 
scrittura. 

—  7.  Angelica  e  M.  Dipende,  un  po' libe- 
ramente, dalla  proposiz.  precedente.  In- 
tendi: le  mura  di  fuori  e  di  dentro  erau 
coperte  di  scrittura,   la   quale   consisteva 


37 

Poi  che  le  parve  aver  fatto  soggiorno 
Quivi  più  ch'a  bastanza,  fé'  disegno 
Di  fare  in  India  del  Catai  ritorno, 
E  Medor  coronar  del  suo  bel  regno.        ,  _«. 
Portava  al  braccio  un  cerchio  d'oro,adorno  ) 
Di  ricche  gemme,  in  testimonio  e  segno 
Del  ben  che  '1  conte  Orlando  le  volea; 
E  portato  gran  tempo  ve  l'avea. 
38 

Quel  donò  già  Morgana  a  Zilìante, 
Nel  tempo  che  nel  lago  ascoso  il  tenne; 
Et  esso,  poi,  ch'ai  padre  Monodante 
Per  opra  e  per  virtù  d'Orlando  venne,  [te. 
Lo  diede  a  Orlando:  Orlando  ch'era  aman- 
Di  porsi  al  braccio  il  cerchio  d'or  sostenne. 
Avendo  disegnato  di  donarlo 
Alla  Regina  sua  di  ch'io  vi  parlo. 
39 

Non  per  amor  del  Paladino,  quanto 
Perch'era  ricco  e  d'artificio  egregio, 
Caro  avuto  l'avea  la  donna  tanto,  ^  , 
Che  più  non  si  può  aver  cosa  di  pregio. 
Se  lo  serbò  ne  l'isola  del  pianto. 
Non  so  già  dirvi  con  che  privilegio. 
Là  dove  esposta  al  marin  mostro  nuda 
Fu  da  la  gente  inospitale  e  cruda. 
40 

Quivi  non  si  trovando  altra  mercede, 
Ch'ai  buon  pastore  et  alla  moglie  dessi 
Che  serviti  gli  avea  con  si  gran  fede 
Dal  di  che  nel  suo  albergo  si  fur  messi; 
Levò  dal  braccio  il  cerchio,  e  gli  lo  diede, 
E  volse  per  suo  amor  che  lo  tenessi: 
Indi  saliron  verso  la  montagna 
Che  divide  la  Francia  da  la  Spagna. 
41 

Dentro  a  Valenza  o  dentro  a  Barcellona 
Per  qualche  giorno  avean  pensato  porsi. 


tutta  in  queste  parole  Angelica  e  Medoro 
legate  insieme  ecc. 

37.  3.  in  India  del  C.  in  quella  parte  del- 
l'India  che  formava  il  Catai. 

—  4.  coronar  d.  s.  b.  r.  ;  dar  la  corona 
del  suo  regno.  IJocc.  nov.  13:  «Conquistò 
la  Scozia  e  funne  coronato  ». 

38.  1.  Morgana  ecc.  V.  Inn.  II,  xiii  ;  dove 
si  racconta  la  storia  del  giovanetto  Ziliante, 
che  Orlando  liberò  dai  lacci  amorosi  della 
fata  Morgana,  la  quale  lo  teneva  nascosto  in 
un- luogo  incantato,  al  disotto  di  un  lago. 
11  giovinetto  fu  restituito  da  Orlando  al 
padre  Monodante;  ma  il  dono  di  questa 
gemma  è  un'  invenzione  dell'Ariosto. 

39.  G.  con  che  privil.  ;  per  qual  privilegio 
glielo  lasciarono  al  braccio,  quando  fu  espo- 
sta all'orca  nell'isola  d' Ebuda. 

40.  5.  gli  lo  d.  ;  lo  diede  a  lei.  V.  Fokn. 
Sint.  p.  53;  e  e.  v,  S9,  n.  4. 

—  7,  ìa  montagna  ecc.  ;  i  Pirenei. 


CANTO  XIX 


249 


Fin  che  accadesse  alcuna  nave  buona, 
Che  per  Levante  apparecchiasse  a  sciorsi. 
Videro  il  mar  scoprir  sotto  a  Girona 
Ne  lo  smontar  giù  dei  montani  dorsi; 
E  costeggiando  a  man  sinistra  il  lito, 
A  Barcellona  andar  pel  camin  trito. 

42 
Ma  non  vi  giunser  prima  ch'unuom  paz- 
Giacer  trovaro  in  su  l'estreme  arene,  [zo 
Che,  come  porco  di  loto  e  di  guazzo 
Tatto  era  brutto,  e  volto  e  petto  e  schene. 
Costui  si  scagliò  lor,  come  cagnazzo 
Ch'assalir  forestier  subito  viene; 
E  die  lor  noia,  e  tu  per  far  lor  scorno. 
Ma  di  Marfisa  a  ricontarvi  torno. 

43  ♦ 

Di  Marfisa,  d'Astolfo,  d'Aquilante, 
Di  Grifone  e  degli  altri  io  vi  vo'  dire, 
Che  travagliati,  e  con  la  morte  inante. 
Mal  si  poteano  incontra  il  mar  schermire  : 
Che  sempre  più  superba  e  più  arrogante 
Crescea  Fortuna  le  minacce  e  l'ire; 
E  già  durato  era  tre  di  lo  sdegno. 
Né  di  placarsi  ancor  mostrava  segno. 

44 

Castello  e  baliador  spezza  e  fracassa 

Londa  nimica  e  '1  vento  ognor  più  fiero: 


Se  parte  ritta  il  verno  più  ne  lassa. 
La  taglia,  e  dona  al  mar  tutta  il  nocchiero. 
Chi  sta  col  capo  chino  in  una  cassa 
Su  la  carta  appuntando  il  suo  sentiero 
A  lume  di  lanterna  piccolina, 
E  chi  col  torchio  giù  ne  la  sentina. 
45 

Un  sotto  poppe,  un  altro  sotto  prora 
Si  tiene  innanzi  l'oriuol  da  polve; 
E  torna  a  rivedere  ogni  mezz'ora. 
Quanto  è  già  corso,  et  a  che  via  si  volve. 
Indi  ciascun  con  la  sua  carta  fuora 
A  mezza  nave  il  suo  parer  risolve, 
Là  dove  a  un  tempo  i  marinari  tutti 
Sono  a  consiglio  dal  padron  ridutti. 
46 

Chi  dice:  Sopra  Limissò  venuti 


41.3.  accadesse;  si  presentasse.  V.  e.  il, 
67,  n.  7.  —  buona;  pi'opizia.  Si  dice  per  lo 
più  di  fortuna,  di  vento  ecc.  Qui  è  forse 
predicato:  accadesse  buona,  venisse  pro- 
pizia, opportuna.  Cfr.  e.  ii,  67,  7. 

—  4.  apparecchiasse  a  sciorsi  ;  si  appa- 
recchiasse a  sciogliere.  Di  spostamento  del 
pronome  abbiamo  notato  esempì  arditis- 
simi. V.  e.  XI,  49,  5.  Non  ammettendo  questo 
spostamento  dobbiamo  avvertire  che  di  ap- 
parecchiare per  apparecchiarsi  e  di  scio- 
gliersi per  sciogliere  (v.  e.  x,  44,  n.  1)  non 
ti  citano  esempi, 

—  5.  scoprir;  scoprirsi,  apparire.  Si  ha 
uu  altro  esempio  al  e.  x,  48,  1.  —  Girona; 
città  della  Spagna  non  lungi  da  Barcellona. 

—  8.  trito,  battuto.  V.  e.  xii,  56,  n.  4. 
42.  1.  prima  che...  trovare.  V.  e.  v,  26,  n.  7. 

—  3.  guazzo,  l'acque  onde  uno  è  molle. 
Bembo.  Asol.  57  :  «  L'altra  (colomba)...  schia- 
mazzatasi nella  fonte...  alla  line  malagevol- 
mente uscita  fuori,  sbigottita  e  debole  e 
tutta  del  guazzo  grave  », 

—  4.  volto  ecc.;  Son  complem.  di  limi- 
tazione. V.  Fornaci  A  RI  Sint.  p.  349. 

—  5.  cagnazzo;  Forma  dialettale  per  ca- 
gnaccio; maentrata  assai  presto  nella  lingua. 

—  6.  assalir  v.;  viene  ad  assai.  V.  e.  i, 
4,  n.  1. 

—  8.  ricontarvi;  raccontarvi.  V.  e.  ix, 
85,  6.  Per  il  racconto  vedi  e.  xviii,  145. 

44.  1.  Cast,  e  baliador.  Per  castello  cfr.  i 
c.  xiii,  16,  n.  2.  —  baliador,  più  coraunem.  I 


ballatoio  (forse  da  bellatorium,  come  si 
trova  nel  Liinig,  Contract.  Regis  Galliae 
cura  Venetis,  1268:  naves  habeant  bellato- 
rium de  retro  puppim).  È  un  terrazzino 
sporgente  intorno  alla  poppa,  per  indi  com- 
battere. K  notevole  l' uso  abbondante  di 
voci  tecniche  nella  descrizione  delle  bur- 
rasche; la  qual  cosa  mostra  o  che  1' A.  ne 
fece  uno  studio  speciale  o  che  ricorse  a 
persone  del  mestiere.  Lo  stesso  troviamo 
nel  Pulci,  non  già  nel  Boiardo. 

—  3.  il  verno,  la  tempesta.  V.  e.  xviu, 
144,  n.  6. 

—  5.  chino  in  n.  e.  Chino  in,  invece  di 
chino  su  o  a  non  è  citato  dai  vocab.  Solo 
il  Tommaseo  cita  la  Regola  di  S.  Ben.  2, 
2:  «  chinandoci  nel  male  ».  —  cassa.  Dentro 
o  sopra  una  cassa  stava  la  carta  geografica 
per  esser  consultata  dai  marinari.  Si  po- 
trebbe anche  intendere  la  cassa  dov'  è  la 
bussola,  sulle  indicazioni  della  quale  stu- 
diano il  loro  viaggio,  e  prendono  note. 

—  6.  appuntando;  Riferito  a  carte  geo- 
grafiche, topografiche  ecc.  vale  notare  su 
di  esse  i  punti  del  viaggio.  Galil.  Galilei, 
Sist.  Ili  :  «  Si  fecero  osservazioni...  appun- 
tando sopra  la  carta  i  luoghi  di  giorno  in 
giorno,  ueir  ora  che  il  sole  si  trovava  nel 
meridiano»;  e  cosi  la  Crusca  intende  il 
verso  dell'A.;  ma  qui  forse  vuol  dire  pren- 
dere appunti,  oome  appare  dal  v.  5  della 
st.  seguente. 

—  8.  E  chi  e.  torchio  ecc.;  chi  va  a  ve- 
dere quant' acqua  si  è  raccolta  nella  sen- 
tina, che  è  la  parte  più  bassa  e  buia  della 
nave. 

45.  1.  poppe;   poppa.  V.  e.  ix,  n.  6. 

—  6.  A  mezza  nave;  Quelli,  che  sotto  poppa 
e  sotto  prora  banno  indugiato  qualche  tem- 
po, escono  e  si  riuniscono  nel  mezzo  della 
nave  in  coperta  e  fanno,  con  gli  appunti 
presi,  le  loro  osservazioni. 

46.  1.  Limissò  ;  Limisso,  città  di  Cipro. 


250 


ORLANDO  FURIOSO 


Siamo,  per  quel  ch'io  trovo,  alle  seccagne; 
Chi:  Di  Tripoli  appresso  1  sassi  acuti, 
Dove  il  mar  le  più  volte  1  legni  fragne. 
Chi  dice:  Siamo  in  Satalia  perduti. 
Per  cui  piud'unnocchiersospiraepiagne. 
Ciascun  secondo  il  parer  suo  argomenta, 
Ma  tutti  ugual  timor  preme  e  sgomenta. 
47 

Il  terzo  giorno  con  maggior  dispetto 
Gli  assale  il  vento,  e  il  mar  più  irato  freme 
E  l'un  ne  spezza  e  portane  il  trinchetto, 
E  '1  timon  l'altro,  e  chi  lo  volge  insieme, 
Ben  è  di  forte  e  di  marmoreo  petto, 
E  più  duro  ch'acciar,  ch'ora  non  teme. 
Marfisa,  che  già  fu  tanto  sicura, 
Non  negò  che  quel  giorno  ebbe  paura. 
48 

Al  monte  Sinai  fu  peregrino, 
A  Gallizia  promesso,  a  Cipro,  a  Roma, 
Al  Sepolcro,  alla  Vergine  d'Ettino, 


—  5.  Satalia;  città  della  Turchia  asia- 
lica,  ora  Satalieh.  Sta  sopra  un  golfo  molto 
pericoloso.  V.  e.  xvii,  65. 

47.  3.  il  trinchetto,  (forse  dal  lat.  trique- 
trus,  triangolare);  Albero  verticale  delle 
navi,  che  sorge  vicino  a  prua;  e  anche  la 
vela  di  quest'albero  (che  in  origine  era 
triangolare). 

—  6.  ch'ora;  chi  ora.  Elisione  insolita, 
che  si  trova  in  altri  tre  luoghi  del  F.,  pur 
nelle  edizioni  del  1516  e  del  1521. 

48.  1.  fu  peregrino...  promesso;  furon  fatti 
voti  di  pellegrinaggi.  Nota  il  Barotti  che 
Amerigo  Vespucci  nel  suo  viaggio  ITI  dice  : 
«  vi  ricrebbe  tanta  tormenta,  che  dubitam- 
mo perderci  e  avemmo  di  fare  iieregrini 
e  altre  ceremonie,  come  è  usanza  de'  ma- 
rinai per  tali  tempi».  L'abate  Ang.  Maria 
Bandini  nelle  sue  note  al  Vespucci  spiegò 
far  2je7^egrini  dicendo:  «In  occasione  di 
gran  tempesta  e  rischio  di  navigare  soglio- 
no i  marinai  e  i  passeggieri  ancora  tirare 
a  sorte  i  nomi  di  quelli,  che  per  pubblico 
voto  si  obbligano  a  dover  fare  i  tali  e  tali 
altri  pellegrinaggi  devoti  a'  Santuari  più  ce- 
lebri... Questo  dicesi  fare  i  ■pellegrini*.  I 
vocabolari  non  citano  questa  espressione. 
Il  monte  Sinai  fu  celebre  per  il  mona- 
stero e  per  la  chiesa  di  Santa  Caterina, 
presso  il  quale  vi  sono  molti  luoghi  famosi 
per  sacre  tradizioni  e  perciò  visitati  dai 
peUegrini.  —  Oallizia,  il  famoso  santuario 
di  s.  Iacopo. 

—  3.  alla  V.  d'Ettino;  Alcuni  intendono 
Tines  in  Candia,  altri  la  fortezza  di  Utino 
(Utinea)  nel  FriuU,  altri  finalmente  Udine 
(Utinum).  Tutti  questi  luoghi  avevano  san- 
tuari; ma  lo  stesso  Porcacchi,  che  visse 
poco  dopo  l'A.  (1530-82),  non  sa  qual  luogo 
intenda  il  Poeta.  Il  che  mostra  che  la  indi- 
cazione non  è  chiara. 


E  se  celebre  luogo  altro  si  noma. 
Sul  mare  in  tanto,  e  spesso  al  ciel  vicino 
L'afflitto  e  conquassato  legno  toma, 
Di  cui  per  men  travaglio  avea  il  padrone 
Fatto  Tarbor  tagliar  de  l'artimone. 
49 

E  colli  e  casse  e  ciò  che  v'è  di  grave 
Gitta  da  prora  e  da  poppe  e  da  sponde; 
E  fa  tutte  sgombrar  camere  e  giave, 
E  dar  le  ricche  merci  all'avide  onde. 
Altri  attende  alle  trombe,  e  a  tor  di  nave 
L'acque  importune,  e  il  mar  nel  mar  ri- 

[fonde: 
Soccorre  altri  in  sentina,  ovunque  appare 
Legno  da  legno  aver  sdrucito  il  mare. 
50 

Stero  in  questo  travaglio,  in  questa  pena 
Benquattro giorni, enon  avean  più  scher- 
E  n'avria  avuto  il  mar  vittoria  piena,  [mo  ; 
Poco  più  che  '1  furor  tenesse  fermo; 
Ma  diede  speme  lor  d'aria  serena 
La  disiata  luce  di  santo  Ermo, 
Ch'in  prua  s'una  cocchina  a  por  si  venne; 
Che  più  non  v'erano  arbori  né  antenne. 


—  6.  toma;  Forse  è  significato  affine  a 
quel  di  Dante,  Inf.  32, 102:  «  Se  mille  fiate 
in  sul  capo  mi  tomi  »;  cioè:  mi  picchi  (col 
piede)  con  violenza,  abbandonandoti  con 
tutto  il  peso  del  corpo.  Cosi  il  legno  con 
tutto  il  suo  peso  piccina  sul  mare,  pur  tro- 
vandosi spesso,  per  causa  dei  flutti,  vicino 
al  cielo. 

—  S.  artimone  (g.  artémon)  ;  la  vela  del- 
l'albero  maggiore  della  nave. 

49.  1.  colli  (ingl.  coil,  gomitolo  di  corda), 
faldelli  di  mercanzia,  nel  senso    moderno. 

—  2,  poppe;  V.  e.  XI,  29,  n.  4,  e  e.  ix,  9, 
n.  6.  —  sponde,  il  parapetto  della  nave. 

—  3.  giave  (forse  dal  lat.  cavea,  attra- 
verso il  dial.  veneto)  ;  stanze  buie  nella  nave, 
al  disotto  del  secondo  ponte,  per  depositi 
speciali.  Nel  sec.  xvii  passò  a  significare 
la  stanza  del  capitano. 

—  7.  altri;  Sono  i  calafati. 

50.  6.  Santo  Ermo  e  Sant'  Elmo  (il  Gu- 
glielmotti lo  fa  derivare  da  S.  Telmo,  che 
anticamente  fu  venerato  dai  marinai).  K 
una  meteora  elettrica,  che  apparisce  tal- 
volta, nelle  burrasche,  in  cima  agli  alberi 
o  in  basso  vicino  alla  nave.  Il  pregiudizio 
gli  attribuiva,  già  nell'antichità  classica, 
origine  soprannaturale;  e  si  credeva  che 
annunziasse  il  finire  della  tempesta,  se  ap- 
pariva in  cima  agli  alberi,  o  con  una  fiam- 
mella sola;  il  principio,  se  appariva  vicino 
alla  nave  o  con  due  fiammelle. 

—  7.  cocchina;  Una  specie  di  vela  piccola 
e  forte,  simile  a  quelle  che  si  mettevano 
alle  cocche  (navi  di  grande  scafo)  e  che  si 
alzava  in  qualche  modo   nell'  estrema  ne- 


CANTO  XIX 


251 


51 

Veduto  fiammeggiar  la  bella  face, 
S'inginocchiaro  tutti  i  naviganti; 
E  domandaro  il  mar  tranquillo  e  pace 
Con  umidi  occhi  e  con  voci  tremanti. 
La  tempesta  criidel,  che  pertinace 
Fu  sin  allora,  noo  andò  più  inanti: 
Maestro  e  Traversia  pili  non  molesta, 
E  sol  del  mar  tirau  Libecchio  resta. 
52 

Questo  resta  sul  mar  tanto  possente, 
E  da  la  negra  bocca  in  modo  esala, 
Et  è  con  lui  si  il  rapido  torrente 
De  l'agitato  mar  ch'in  fretta  cala, 
Ohe  porta  il  legno  più  velocemente, 
Che  pellegrin  falcou  mai  facesse  ala. 
Con  timor  del  nocchier  ch'ai  fin  del  mondo 
Non  lo  trasporti,  o  rompa,  o  cacci  al  fondo. 
53  [trova 

Eiraedio  a  questo  il  buon  nocchier  ri- 
Che  comanda  gittar  per  poppa  spere. 


cessila  in  caso  di  tempesta,  quando  si  erau 
tolte  le  vele  grandi,  per  dirigere  alla  meglio 
la  nave;  e  anche  il  pennone  di  detta  vela, 
come  pare  si  debba  intendere  in  questo 
luogo,  e  coni' è  nel  Morgante,  20,  34  ;  «  Ed 
albera  un'antenna  di  rispetto  Ed  a  mez- 
z'asta una  cocchina  pone  ». 

51.  7.  Traversia;  Quel  vento  che  soffiaper- 
pendicolare  al  lido  d'  un  luogo  destinato  e 
che  quindi  spinge  nell'  opposta  parte. 

—  S.  tiran;  Gli  antichi  rimproverarono 
al  poeta  questo  e  altri  troncamenti  insoliti 
(V.  Nisiely,  Pvog.  V.).  —  Libecchio,  libeccio; 
vento  di  ovest-sud-ovest;  detto  cosi  perchè, 

f  per  noi,  spira  di  verso  la  Libia. 

52.  2.  da  la  n.  bocca.  I  venti  eran  figurati 
dalle  arti  del  diseguo  colla  bocca  semi- 
aperta 0  solììanti  in  una  tromba.  Euro  era 
figurato  nero,  perché  spira  dalla  Etiopia. 
Per  questo  o  per  i  nuvoloni  neri  1'  A.  ha 
detto  negra  b. 

—  6.  pellegrin  f.  Il  falcon  pellegrino  (si 
chiamava  cosi  perché  era  uccello  di  passo),  t 
tra  le  molte  specie  di  falconi  usati  nelle  cacce  ì 
del  medio  evo,  era  il  più  comune  e  il  più 
adoperato.  Intendi  :  più  velocemente  di  quan-  ' 
to  mai  ala  portasse  p.  f.  Alcuni,  come  il  Ca- 
sella, franteudoiio  questo  verso,  ingannati  , 
dal  verbo  facesse   (per   cui   cfr.  e.  xv,  52,  1 
n.  7)  e  spiegano  fare  ala  per  volare.  \ 

53.  2.  spere  ;    (il   Guglielmotti  lo  fa  deri- 
vare da  sperare).  Fasci  di  tavole,  di  legna,  ' 
di  materassi  e  simili,  che,  legati  con  una 
fune  si  gettavano  in  mare  da  poppa,  e  che,  ; 
rimorchiati,  servivano  a  trattener  la  corsa  ' 
della  nave;  ma  soprattutto   servivano  ad  ■ 
impedire  che  la  nave  si  traversasse  (vedi 
il  fenomeno  descritto  nel  e.  xli,  13)  ;  cioè 
presentasse  la  sua  sponda  normalmente  al- 


E  caluma  la  goraona,  e  fa  pruova 
Di  duo  terzi  del  corso  ritenere. 
Questo  consiglio,  e  più  l'augurio  giuova 
Di  chi  avea  acceso  in  proda  le  lumiere: 
Questo  il  legno  salvò,  che  peria  forse, 
E  fé'  ch'in  alto  mar  sicuro  corse. 
54 

Nel  golfo  di  Laiazzo  in  ver  Scria 
Sopra  una  gran  città  si  trovò  sorto, 
E  si  vicino  al  lito,  che  scopria 
L'uno  e  l'altro  Castel  che  serra  il  porto. 
Come  il  padron  s'accorse,de  la  via 
Che  fatto  avea,  ritornò  in  viso  smorto; 
Che  né  porto  pigliar  quivi  volea, 
Xè  stare  in  alto,  né  fuggir  potea. 
55 

Né  potea  stare  in  alto,  né  fuggire; 
Che  gli  arbori  e  1'  antenne  avea  perdute. 
Eran  tavole  e  travi  pel  ferire 
Del  mar  sdrucite,  macere  e  sbattute. 
E  '1  pigliar  porto  era  un  voler  morire, 
0  perpetuo  legarsi  in  servitnte; 
Che  riman  serva  ogni  persona,  o  morta, 
Che  quivi  errore  o  ria  fortuna  porta. 
56 

E  '1  stare  in  dubbio  era  con  gran  periglio 
Che  non  salisser  genti  de  la  terra 
Con  legni  armati,  e  al  suo  desson  di  piglio, 


l'impeto  dell'onde.  Cfr.  Rivista  marittima, 
giugno  1899,  p.  567. 

—  3.  caluma  la  gomena;  cala  a  poco  a 
poco  la  goraena,  a  cui  sono  attaccate  le  an- 
core di  rispetto.  E  parol.  tecn.  da  calare  u<l 
hu/uwm,  e.  a  terra:  cfr.  adimare  (adimurii). 

—  4.  di  d.  t.  del  corso  r.  ;  di  ritenere  due 
terzi  del  corso. 

—  6.  le  lumiere;  i  lumi  di  S.  Ermo.  Lu- 
miera  per  lume  usò  anche  Dante,  Inr' 
4,  103. 

54.  1.  golfo  di  Laiazzo;  l'antico  Simis  Isst- 
cus  ;  oggi  golfo  di  Alessandretta.  Laiazzo  o 
Aiazzo  (oggi  Aias)  è  piccola  città  sulla  riva 
settentrionale  del  golfo  d'Alessandretta. 

—  2.  sorto.  Fermato  dalle  ancore,  che 
trovarono  fondo.  V.  e.  iv,  51,  5. 

—  6.  ritornò;  come  era  stato  durante  la 
tempesta. 

55.4.  sdrucite  accenna  all'insieme  delle 
tavole,  che  stavano  mal  connesse;  macere 
alla  fibra  logora  del  legno,  che  per  ciò  mal 
poteva  raccomodarsi  ;  sbattute  alle  singole 
tavole,  che  non  stavan  più  ferme  al  loro 
posto,  ed  erano  scoìiquassate. 

56.2.  salisser;  saltassero  SU,  si  sollevas- 
sero. Ma  in  questo  senso  non  si  citano  e- 
sempi.  Può  anche  intendersi;  salissero  nelf^' 
loro  navi  e  dessero  con  esse,  di  piglio  alla 
sua.  Cosi  avremmo  un  leggero  spostamento 
del  con  legni  armati.  È  preferibile  questa 
seconda  interpretazione. 


252 


ORLANDO  FURIOSO 


Mal  atto  a  star  sul  mar,  non  ch'a  far  guerra. 
Mentre  il  padron  non  sa  pigliar  consiglio, 
Fu  domandato  da  quel  d'Inghilterra, 
Chi  gli  tenea  si  l'animo  suspeso, 
E  perché  già  non  avea  il  porto  preso. 
57 

Il  padron  narrò  lui  che  quella  riva 
Tutta  tenean  le  temine  omicide, 
Di  quai  l'antiqua  legge  ognun  ch'arriva. 
In  perpetuo  tien  servo,  o  che  l'uccide: 
E  questa  sorte  solamente  schiva 
Chi  nel  campo  dieci  uomini  conquide, 
E  poi  la  notte  può  assaggiar  nel  letto 
Diece  donzelle  con  carnai  diletto. 
58 

E  se  la  prima  pruova  gli  vien  fatta, 
E  non  fornisca  la  seconda  poi, 
Egli  vien  morto,  e  chi  è  con  lui  si  tratta 
Da  zappatore  o  da  guardiau  di  buoi. 
Se  di  far  l' uno  e  l'altro  è  persona  atta. 
Impetra  libertade  a  tutti  i  suoi; 
A  sé  non  già,  e'  ha  da  restar  marito 
Di  diece  donne,  elette  a  suo  appetito. 
59 

Non  potè  udire  Astolfo  senza  risa 
De  la  vicina  terra  il  rito  strano. 
Sopravien  Sansonetto,  e  poi  Marfisa, 
Indi  Aquilante,  e  seco  il  suo  germano. 
Il  padron  parimente  lor  divisa 


—  6.  q.  d' Ingh.  Astolfo. 

—  7.  Chi  ;  che  cosa.  Riferito  a  cosa  an- 
che nel  e.  xxviii,  32,  8.  Alamanni,  Coltiv. 
Ili,  71  :  «  E  vau  tessendo  chi  le  scaldi  e 
copra  ». 

57.  3.  Di  qnai,  delle  quali.  V.  e.  il,  15.  n.  8. 

—  4.  0  che;  V.  e.  iv,  35,  n.  5.  —  l' ucci- 
de; lo  fa  uccidere,  lo  condanna  a  morte. 
Per  le  fonti  di  questo  racconto  cfr.  e.  xx, 
13  e  27  n. 

—  C.  nel  campo;  nella  piazza  d'armi,  in 
battaglia  singolare. 

58.  3.  si  tratta  ecc.  Veramente  trattare 
uno  da  vuol  dire  tenerlo  come  se  fosse;  ma 
qui,  con  estensione  di  significato  non  citata 
dai  vocab.,  vuol  dire  adoprare  per  (zap- 
pare la  terra  o  guardare  i  buoi) .  Ciò  s' in- 
tende di  chi  non  vuol  cimentarsi  al  doppio 
combattimento. 

—  5.  di  far...  atta.  Di  questo  costrutto 
non  si  citano  esempi.  Comunemente  atto  a  ; 
e  raramente  atto  per. 

—  8.  a  suo  appetito  ;  a  sua  voglia,  a  suo 
talento. 

59.  2.  rito.  Comunemente  si  riferisce  a 
ceremonie  religiose  ;  ma  per  usanza  è  già 
nel  Boccaccio.  Fianim.  13:  «i  quali  (Vir- 
gilio e  Omero)  tanti  riti  di  Greci  di  Troiani 
d' Italici  ne'  loro  versi  descrissero  ». 

—  5.  divisa;  espojie.  E  frequentissimo 
nella  letteratura. 


La  causa  che  dal  porto  il  tien  lontano: 
Voglio  (dicea)  che  inanzi  il  mar  m'affoghi, 
Ch'io  senta  mai  di  servitude  i  gioghi. 
60 

Del  parer  del  padrone  i  marinari 
E  tutti  gli  altri  naviganti  furo: 
Ma  Marfisa  e  compagni  eran  contrari. 
Che,  più  che  l'acque  il  lito  avean  sicuro. 
Via  più  il  vedersi  intorno  irati  i  mari. 
Che  cento  mila  spade,  era  lor  duro. 
Parca  lor  questo  e  ciascun  altro  loco 
Dov'arme  usar  potean,  da  temer  poco. 
61 

Bramavano  i  guerrier  venire  a  proda, 
Macon  maggior  baldanza  il  ducainglese; 
Che  sa,  come  del  corno  il  rumor  s'oda, 
Sgombrar  d'intorno  si  farà  il  paese. 
Pigliare  il  porto  l'una  parte  loda, 
E  l'altra  il  biasma,  e  sono  alle  contese; 
Ma  la  più  forte  in  guisa  il  padron  stringe, 
Ch'ai porto,suomalgrado,illegao  spinge. 
62 

Già,  quando  prima  s'erano  alla  vista 
De  la  città  crudel  sul  mar  scoperti, 
Veduto  aveano  una  galea  provista 
Di  molta  ciurma  e  di  nocchieri  esperti 
Venire  al  dritto  a  ritrovar  la  trista 
Nave,  confusa  di  consigli  incerti; 
Che,  l'alta  prora  alle  sue  poppe  basse 
Legando,  fuor  de  l'empio  mar  la  trasse. 
63 

Entrar  nelportoremorchiando,  e  a  forza 
Di  remi  più  che  per  favor  di  vele: 
Però  che  l'alternar  di  poggia  e  d'orza 


60.  4.  avean  s.  ritenevano  sicuro.  Berm, 
Jan.  34,  66:  «  Quella  gente  villana  Che  ci  ha 
si  vili  ».  È  il  lat.  habere,  che  ha  pure  questo 
significato. 

62.1.  quando  pr.  ;  subito  che.  È  il  cum 
primum  dei  Latini.  Sallustio,  Cateti.  44: 
«  Quando  prima  vide  gli  ambasciatori  ». 

—  2.  sul  mar  scoperti;  erano  apparsi  sul 
mare  in  vista  della  città. 

—  1.  ciurma  (etimolog.  oscura)  ;  indicò 
dapprima  tutto  1'  equipaggio;  nel  sec.  xvn 
fu  limitata  a  significare  i  forzati  rematori. 

—  7.  Che;  Riferiscilo  &\\2l galea.  Si  con- 
trappone Yalta  prora  della  nave  forestiera 
alle  poppe  basse  della  galea,  perché  la  prua 
suole  essere  più  elevata  della  poppa;  o  for- 
s'  anche  perché  la  caracca,  come  nave  da 
carico,  era  più  alta  della  galea.  Per  il  plur. 
poppe  cfr.  e.  XI,  29,  n.  4. 

63.3.  l'alternar  ecc.  Petr.  I,  son,  128: 
«  Senz'  alternar  poggia  con  orza  Dritto  per 
r  aure  al  suo  desir  seconde  »;  e  il  Carducci, 
seguendo  il  Castelvetro,  annota:  «  senza 
piegar  dall'  una  parte  all'  altra  e  dall'altra 
all'  una.  Poggia  ed  orza  son  voci  dell'arte 
marinarésca  significanti  i  lati  della  nave, 


CANTO  XIX 


253 


Avea  levato  il  vento  lor  crudele. 
Intanto  ripigliar  la  dura  scorza 
I  cavallieri,  e  il  brando  lor  fedele; 
Et  al  padrone  et  a  ciascun  che  teme, 
Non  cessan  dar  con  lor  conforti  speme. 
64 

Fatto  è  '1  porto  a  sembianza  d'una  luna 
E  gira  più  di  quattro  miglia  intorno  : 
Seicento  passi  è  in  bocca,  et  in  ciascuna 
Parte  una  rocca  ha  nel  finir  del  corno. 
Non  teme  alcun  assalto  di  fortuna. 
Se  non  quando  gli  vien  dal  Mezzogiorno. 
A  guisa 'di  teatro  se  gli  stende 
La  città  a  cerco,  e  verso  il  poggio  ascende. 
65 

Non  fu  quivi  si  tosto  il  legno  sorto 
(Già  ravviso  era  per  tutta  la  terra), 
Che  fur  sei  mila  temine  sul  porto, 
Con  gli  archi  in  mano,  in  abito  da  guerra; 
E  per  tòr  de  la  fuga  ogni  conforto. 
Tra  runa  rocca  e  l'altra  il  mar  si  serra: 
Da  navi  e  da  catene  fu  rinchiuso, 
Che  tenean  sempre  instrutte  a  cotal  uso. 
66 

Una  che  d'anni  alla  Cumea  d'Apollo 
Potè  uguagliarsi  e  alla  madre  d'Ettorre, 
Fé'  chiamare  il  padrone  e  domandoUo 
Se  si  volean  lasciar  la  vita  tórre, 
O  se  voleano  pur  al  giogo  il  collo, 
Secondo  la  costuma,  sottoporre. 
Degli  dua  l'uno  aveano  a  torre:  o  quivi 
Tutti  morire,  o  rimaner  captivi. 
67 

Gli  è  ver  (dicea)  che  s'uom  si  ritrovasse 
Tra  voi  cosi  animoso  e  cosi  forte, 
Che  contra  dieci  nostri  uomini  osasse 
Prender  battaglia,  e  desse  lor  la  morte, 
E  far  con  diece  temine  bastasse 
Per  una  notte  ufficio  di  consorte; 
Egli  si  rimarria  principe  nostro, 
E  gir  voi  ne  potreste  al  camin  vostro, 
68 

E  sarà  in  vostro  arbitrio  il  restar  anco. 


che  non  ha  il  vento  diritto».  Dunque  l'A. 
vuol  dire  che  il  vento  spirava  cosi  contra- 
rio, che  impediva  di  bordeggiare. 

—  5.  1.  d.  scorza;  l'armatura. 

64.  1.  Fatto  ecc.  Questo  porto  d'Alessan- 
dretta,  descritto  stupendamente  dall'A.  era, 
prima  della  scoperta  del  Capo  di  Buona 
Speranza,  importantissimo  emporio  delle 
Indie;  oggi  ha  pochissima  importanza. 

—  5.  fortuna,  tempesta. 

65.  8.  instrutte  ;  apparecchiate  (lat.  in- 
structus).  Cosi  Cic.  4.  Verr.  34:  «domum 
exornatam  et  instructam  ». 

66.  1.  Carnea  ecc.  V.  e.  vii,  TA. 

.  —  6.  costuma,  costume.  Già  Dante,  Inf. 
29,  127:  «E  Niccolò,  che  la  costuma  ric- 
ca ecc.  ». 


Vogliate  0  tutti  o  parte;  ma  con  patto 
Che  chi  vorrà  restare,  e  restar  franco, 
Marito  sia  per  diece  temine  atto. 
Ma  quando  il  guerrier  vostro  possa  manco 
Dei  dieci  che  gli  fian  nimici  a  un  tratto, 
O  la  seconda  prova  non  fornisca; 
Vogliàn  voi  siate  schiavi,  egli  perisca. 
69 

Dove  la  vecchia  ritrovar  timore 
Credea  nei  gavallier,  trovò  baldanza; 
Che  ciascun  si  tenea  tal  feritore. 
Che  fornir  l'uno  e  l'altro  avea  speranza: 
Et  a  Marfisa  non  mancava  il  core. 
Ben  che  mal  atta  alla  seconda  danza; 
Ma  dove  non  l'aitasse  la  natura. 
Con  la  spada  supplir  stava  sicura. 
70 

Al  padron  fu  commessa  la  risposta. 
Prima  conchiusa  per  commun  consiglio: 
Ch'  avean  chi  lor  potria  di  sé  a  lor  posta 
Ne  la  piazza  e  nel  letto  far  periglio. 
Levan  l'otfese,  et  il  nocchier  s'accosta, 
Getta  la  fune  e  le  fa  dar  di  piglio; 
E  fa  acconciare  il  ponte  onde  i  guerrieri 
Escono  armati,  e  tranno  i  lor  destrieri. 
71 

E  quindi  van  per  mezzo  la  cittade, 
E  vi  ritrovan  le  donzelle  altiere. 
Succinte  cavalcar  per  le  contrade. 
Et  in  piazza  armeggiar  come  guerriere. 
Né  calciar  quivi  spron,  né  cinger  spade. 
Né  cosa  d'arme  pon  gli  uomini  avere. 
Se  non  diece  alla  volta,  per  rispetto 
De  l'antiqua  costuma  ch'io  v'ho  detto. 
72 

Tutti  gli  altri  alla  spola,  all'aco,  al  fuso, 
Al  pettine  et  all'aspo  sono  intenti, 
Con  vesti  femraiuil  che  vanno  giuso 
Insin  al  pie,  che  gli  fa  molli  e  lenti. 
Si  tengono  in  catena  alcuni  ad  uso 


68.  6.  a  un  tratto;  in  un  medesimo  tempo. 

70.3.  lor...  di  sé...  far  p.;  far  con  loro 
prova  di  sé.  È  il  latino  pertculum  facere. 
Fu  modo  amato  molto  dal  Monti,  Mascher. 
I,  85;  Bardo  v,  74;  II.  v,  288. 

—  5.  Levan  le  off.  ;  quei  della  città  tol- 
gono l'offensiva.  Meno  bene,  sembra,  la  Cru- 
sca :  convengono  di  non  s'  offendere.  Non 
cita  altri  esempì. 

—  8.  tranno  ;  traggono.  È  il  plur.  di  tra 
da  trare:  V.  e.  xi,  12,  n.  5;  come  danno, 
da  dare,  fanno  da  fare. 

71. 5.  calciar,  calzar;  secondo  il  latino 
calceare.  Si  cita  questo  solo  es.  dell' A. 

—  6.  pon;  ponno. 

72.  4.  che  gli  fa;  il  che  gli  fa.  Per  quest'uso 
del  che  cfr.  e.  xx,  129,  n.  6.  Può  essere  an- 
che relativo  di  vesti;  e  in  tal  caso,  per  il 
verbo  al  sing.,  cfr.  e.  xi,  82,  n.  8. 

—  5.  si  t.  in  catena  ;  si  t.  colla  catena  ai 
piede. 


254 


ORLANDO  FURIOSO 


D'arar  la  terra,  o  di  guardar  gli  armenti. 

Son  pochi  i  maschi,  e  non  son  ben,  per 

Femine,  cento,  fra  cittadi  e  ville,    [mille 

73 

Volendo  tórre  i  cavallìeri  a  sorte 
Chi  di  lor  debba  per  commune  scampo 
L'ima  decina  iu  piazza  porre  a  morte, 
E  poi  l'altra  ferir  ne  l'altro  campo; 
Non  disegnavan  di  Marfisa  forte, 
.Stimando  che  trovar  dovesse  inciampo 
Ne  la  seconda  giostra  de  la  sera; 
Ch'ad  averne  vittoria  abil  non  era: 
74 

Ma  con  gli  altri  esser  volse  ella  sortita. 
Or  sopra  lei  la  sorte  in  somma  cade. 
Ella  dicea:  Prima  v'ho  a  por  la  vita, 
Che  v'abbiate  a  por  voi  la  libertade. 
Ma  questa  spada  (e  lor  la  spada  addita, 
Che  cinta  avea)  vi  do  per  securtade 
Ch'io  vi  sciorrò  tutti  gl'intrichi  al  modo 
Che  fé'  Alessandro  il  Gordiano  nodo. 
75 

Non  vo'  mai  pili  che  forestier  si  lagni 
Di  questa  terra,  fin  che  '1  mondo  dura. 
Cosi  disse;  e  non  poterò  i  compagni 
Tórle  quel  che  le  dava  sua  avventura. 
Dunque  0  ch'in  tutto  perda,  o  lor  guadagni 
La  libertà,  le  lasciano  la  cura.    . 
Ella  di  piastre  già  guernita  e  maglia 
iS'appresentò  nel  campo  alla  battaglia. 
76 

Gira  una  piazza  al  sommo  de  la  terra, 
Di  gradi  a  seder  atti  intorno  chiusa; 
Che  solamente  a  giostre,  a  simil  guerra, 
A  caccie,  a  lotte  e  non  ad  altro  s'usa: 
Quattro  porte  ha  di  bronzo,  onde  si  serra. 


73.5.  Non  disegnavan  ecc.;  non  facevano 
assegnamento  sulla  forte  Marfisa.  In  questo 
.senso  il  Machiavelli  Leg.  3,  401,  usò  dise- 
gnare su\  il  Caro,  iett.  1,  254,  disegnare 
in.  Il  costrutto  disegnare  di  non  è  citato 
dai  vocabol. 

74.  1.  sortita,  sorteggiata  ;  cosi  nel  e.  xxx, 
21,  3,  Caro,  Eìi.  5,  190:  «  Indi,  sortiti  i  lochi, 
al  suo  ciascuno  Si  pose  in  fila  ». 

—  2.  in  somma;  in  conclusione,  per  dir 
tireve. 

—  8.  Che  fé'  Aless.  Aless.  non  riuscendo 
a  sciogliere  il  nodo  del  re  di  Frisia,  Gordio, 
(scioghmento  dal  quale  dipendeva,  secondo 
un  oracolo,  l'impero  dell'Asia),  lo  recise 
colla  spada. 

75.  3.  potere;  È  forma  rarissima  negli 
antichi,  che  lo  scrissero  comunemente  pòt' 
zero.  V.  N  ANN  UCCI,  An.  Cr.  p.  648. 

76.  1.  al  sommo  d.  1. 1.  ;  nella  parte  più  alta 
della  città.  V.  st.  61,  8. 

—  3.  a  simil  g.  ;  a  questa  guerra,  che  si 
fa  ogni  volta  che  qualcuno  arriva  di  fuori. 

—  5.  onde  ;  colle  quali.  È  d'  uso  fre- 
quente. 


Quivi  la  moltitudine  confusa 
De  l'armigere  femine  si  trasse; 
E  poi  fa  detto  a  Marfisa  ch'entrasse. 
77 

Entrò  Marfisa  s'un  destrier  leardo. 
Tutto  sparso  di  macchie  e  di  rotelle, 
Di  piccol  capo  e  d'animoso  sguardo, 
D'andar  superbo  e  di  fattezze  belle. 
Pel  maggiore  e  più  vago  e  più  gagliardo, 
Di  mille  che  n'avea  con  briglie  e  selle, 
Scelse  in  Damasco,  e  realmente  ornollo, 
Et  a  Marfisa  Norandin  donollo. 
78 

Da  Mezzogiorno  e  da  la  porta  d'Austro 
Entrò  Marfisa;  e  non  vi  stette  guari. 
Ch'appropinquare  e  risonar  pel  claustro 
Udi  di  trombe  acuti  suoni  e  chiari: 
E  vide  poi  di  verso  il  freddo  plaustro 
Entrar  nel  campo  i  dieci  suoi  contrari. 
Il  primo  cavali ier  ch'apparve  inante. 
Di  valer  tutto  il  resto  avea  sembiante. 

79  [striero 

Quel  venne  in  piazza  sopra  un  gran  de- 
che, fuor  ch'in  fronte  e  nel  pie  dietro  man- 
Era,  più  che  mai  corbo,  oscuro  e  nero  :  [co. 
Nel  pie  e  nel  capo  avea  alcun  pelo  bianco. 
Del  color  del  cavallo  il  cavalliero 
Vestito,  volea  dir  che,  come  manco 


77.  1.  leardo;  (ant.  frane,  liart,  d'etimol. 
ignota),  grigio  pomellato. 

—  2.  rotelle;  macchie  tonde.  Dante,  Inf. 
17,  15. 

—  6.  Di  mille  ;  fra  m.  Bocc,  Filoc,  6  : 
«  Cortesissimo  giovane  è  costui,  di  quanti 
mai  io  vedessi  ».  É  il  costrutto  del  superi, 
latino. 

—  7.  Scelse;  Sottint.  lo.  —  realmente,  re- 
galmente. 

78.  1.  Da  mezzogiorno;  a  mezzogiorno,  nel- 
l' ora  di  mezzogiorno.  V.  e.  viii,  86,  1  ;  2. 
—  da  la  p.  d'A.  Le  porte  o  entrature  delle 
piazze  d'  armi  guardavano  i  quattro  punti 
cardinali.  Gli  avversari  entravano  per  le 
due  opposte.  Cosi  Marfisa  entra  dalla  porta 
di  mezzogiorno  (Austro),  i  nemici  da  quella 
di  settentrione. 

—  3.  clanstro  (lat.  claustrum,  luogo  chiu- 
so); campo  chiuso,  piazza  d'arme.  È  un 
uso  poetico  e  notevole. 

—  1.  di  trombe  ecc.  Erano  gli  araldi,  che 
precedevano  i  combattenti. 

—  5.  freddo  plaustro  (latino  ìHaustrum, 
carro),  il  carro  dell'  Orsa,  settentrione. 

79.6.  come  manco  ecc.  L'ediz.  del  '16  e 
del  '21  leggono  :  «  come  manco  Era  il  chiaro 
che  '1  scuro  ».  Credono  alcuni  commenta- 
tori che  l'A.,  per  toglier  la  durezza,  non 
avvertisse  l'errore  di  senso.  Ma  perché  non 
potremmo  intendere  manco  per  manche- 
vole, come  nel  e.  xxvi,  43,  6?  e  interpre- 


CANTO  XIX 


255 


Del  chiaro  era  l' oscuro  era  altretauto 
Il  riso  in  lui  verso  l'oscuro  pianto. 

80 
Dato  che  fu  de  la  battaglia  il  segno, 
Nove  guerrier  l'aste  chinare  a  un  tratto: 
Ma  quel  dal  nero  ebbe  il  vantaggio  a  sde- 
Si  ritirò,  né  di  giostrar  fece  atto,     [gno  ; 
Vuol  ch'alle  leggi  inanzi  di  quel  regno, 
Ch'alia  sua  cortesia  sia  contrafatto. 
Si  tra'  da  parte,  e  sta  a  veder  le  prove 
Ch'una  sola  asta  farà  centra  a  nove. 

81 
11  destrier,  ch'avea  andar  trito  e  soave, 
Portò  all'incontro  la  Donzella  in  fretta, 
Che  nel  corso  arrestò  lancia  si  grave. 
Che  quattro  uomini  avriano  a  pena  retta. 
L'avea  pur  dianzi  al  dismontar  di  nave 
Per  la  più  salda  in  molte  antenne  eletta. 
Il  tìer  sembiante  con  ch'ella  si  mosse. 
Mille  faccio  imbiancò,  mille  cor  scosse. 

S2 
Aperse  al  primo  che  trovò,  si  il  petto, 
Che  fora  assai  che  fosse  stato  nudo: 


tare:  come  manchevole  di  chiaro  era  roscu- 
ro,  cosi  il  riso  era  poco,  manchevole,  nel 
pianto  di  lui. 

—  S.  oscuro  p.  ;  malinconico  p.  Petr.  ii, 
16:  «oscuro  e  grave  cuore».  E  Lor.  Med. 
Rime,  2:  «Onde  ch'ogni  mio  gaudio  è  con- 
vertito In  pianto  oscuro  ». 

80. 1.  il  segno.  Gli  araldi  davano  tre  se- 
guali di  tromba,  al  terzo  i  combattenti  si 
azzuffavano. 

—  3.  q.  dal  nero;  q.  dal  vestimento  nero. 
Espressione  ardita,  che  lùcorre  in  altro 
luogo;  e.  XIV,  38. 

—  6.  alla  sua  cortes.  I  buoni  cavalieri  non 
combattevano  mai  contro  avversari  infe- 
riori per  numero  e  per  altre  circostanze 
indipendenti  dal  valor  personale.  V.  st.  8S. 
—  s.  contraffatto,  sia  disubbidito;  o  anche: 
sia  fatto  contro.  È  usato  in  ambedue  i  sensi. 

—  7.  tra'  ;  V.  e.  XI,  12,  n.  5. 

81.  1.  trito.  Detto  di  passo  o  simili,  signi- 
fica piccolo  e  frequente .  —  soave,  pari,  senza 
scosse.  V.  e.  xxxi,  88.  Queste  circostanze  fa- 
voriscono l'aggiustatezza  del  colpo. 

—  2.  all'  incontro,  allo  scontro.  Cosi  nel 
e.  XVII,  89;  XXX,  48  e  altrove. 

—  :j.  arrestò  ;  mise  in  resta.  V.  e.  ii,  50, 
u.  :.. 

—  4.  avriano;  Sottin.  la. 

—  6.  in  m.  a;  fra  m.  a.  Questo  signifi- 
cato dell'  in  passò  dal  latino  nella  nostra 
bugna.  Dante,  Purg.  29,  85:  «benedetta 
tue  Nelle  figlie  d'.\damo  ». 

82.  2.  fora  assai  che;  f.  ass.  se  fosse  st.  u. 
Questo  che  ipotetico  è  assai  notevole.  Se  ne 
cita  qualche  esempio  antico  ;  Volgarizzam. 
delle  Pistole  d'Ovidio,  199:  «  Avvegnaché  io 
sia  in  dubbio  eh'  io  ti  pigli  ». 


Gli  passò  la  corazza  e  il  soprapetto. 
Ma  prima  un  ben  ferrato  e  grosso  scudo. 
Dietro  le  spalle  un  braccio  il  ferro  netto 
Si  vide  uscir:  tanto  fu  il  colpo  crudo. 
Quel  fitto  ne  la  lancia  a  dietro  lassa, 
E  sopra  gli  altri  a  tutta  briglia  passa: 
83 

E  diede  d'urto  a  chi  venia  secondo, 
Et  a  chi  terzo  si  terribil  botta, 
Che  rotto  nella  schena  uscir  dei  mondo 
te  l'uno  e  l'altro,  e  de  la  sella  a  un'otta: 
Si  duro  tu  l'incontro  e  di  tal  pondo. 
Si  stretta  insieme  ne  venia  la  frotta. 
Ho  veduto  bombarde  a  quella  guisa 
Le  squadre  aprir,  che  fé'  lo  stuol  Marfisa. 
84 

Sopra  di  lei  più  lance  rotte  furo; 
Ma  tanto  a  quelli  colpi  ella  si  mosse. 
Quanto  nel  giuoco  de  le  caccie  un  muro 
Si  muova  a  colpi  de  le  palle  grosse. 
L  usbergo  suo  di  tempra  era  si  duro, 
Che  non  gli  potean  centra  le  percosse; 
E  per  incanto  al  foce  de  l'inferno 
Cotto,  e  temprato  all'acque  fu  d'Averne. 
85 

Al  fin  del  campo  il  destrier  tenne,  e  volse, 
E  termo  alquante:  e  in  fretta  poi  le  spinse 
Incontragli  aItri,esbarragliolli  e  sciolse, 
E  di  lor  sangue  insin  all'elsa  tinse. 
All'une  il  capo,  all'altro  il  braccio  tolse  ; 
E  un  altro  in  guisa  con  la  spada  cinse. 


—  3.  soprapetto;  Veste  imbottita  di  lana, 
che  si  portava  sotto  la  corazza  per  non  a- 
verne  ammaccato  il  petto. 

83.  1.  diede  d'urto;  urtò  con  una  nuova 
lancia.  È  noto  che  gli  scudieri  fornivano  al 
cavaliere  nuove  lance,  quando  ne  aveva  bi- 
sogno. Più  spesso  però,  rotta  la  lancia,  ve- 
nivau  tosto  alla  spada.  Qui  1'  urto,  il  rom- 
lìerli  nella  schena,  e  il  gettarli  di  sella, 
accennano  all'azione  della  lancia  piuttosto 
che  della  spada  :  e  sembra  che  una  stessa 
lancia  infilasse  il  secondo  ed  il  terzo. 

—  5.  di  t.  pondo;  di  tal  gravità. 

-—  8.  che  fé;  che  apri,  come  apri.  V.  e. 
XV,  52,  n.  7. 

84.  3.  n.  giuoco  d.  caccie;  Antico  giuoco 
fiorentino,  che  si  faceva  scagliando  un  pal- 
lone a  vento  colla  mano  o  col  piede  :  e  cac- 
cia era  il  cacciare  una  volta  la  palla  fuori 
dello  'steccato.  V.  Giov.  de'  Bardi.  Giuoco 
del  Calcio. 

—  4.  a  colpi;  ai  e.  V.  e.  ii,  15,  n.  8. 

—  7.  per  incanto  ecc.  Cosi  pure  neWlnn. 

I,   XVIII,  5. 

85.  3.  sciolse,  disunì. 

—  4.  insin  all'elsa;  fino  l'elsa.  V.  e.  i, 
28,  n.  8. 

—  6.  cinse,  colpi  in  pieno.  Cosi  anche  al 
e.  XXV,  11.  È  vivo  ancora  in  certe  locu- 
zioni: cingere  uìia  bastonata,  un  pugno; 


*256 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  '1  petto  in  terraandò  col  capo  et  ambe 
Le  braccia,  e  in  sella  il  ventre  era  e  le  gam- 

86  Lbe. 

Lo  parti,  dico,  per  dritta  misura, 
De  le  coste  e  de  1  anche  alle  confine, 
E  lo  fé'  rimaner  mezza  figura, 
Qual  dinanzi  all'imagini  divine. 
Poste  d'argento,  e  più  di  cera  pura 
Son  da  genti  lontane  e  da  vicine, 
Ch'a  ringraziarle,  e  sciorre  il  voto  vanno 
De  le  domande  pie  ch'ottenute  hanno. 

87 
Ad  uno  che  fuggia  dietro  si  mise, 
Né  fu  a  mezzo  la  piazza,  che  lo  giunse, 
E  '1  capo  e  '1  collo  in  modo  gli  divise. 
Che  medico  mai  più  non  lo  raggiunse. 
In  somma  tutti,  un  dopo  l'altro,  uccise, 
O  feri  si  ch'ogni  vigor  n'emunse; 
E  fu  sicura  che  levar  di  terra 
Mai  più  non  si  potrian  per  farle  guerra. 

88  [to, 

Stato  era  il  cavallier  sempre  in  un  can- 
Che  la  decina  in  piazza  avea  condutta; 
Però  che  centra  un  solo  andar  con  tanto 
Vantaggio  opra  gli  parve  iniqua  e  brutta. 
Or  che  per  una  man  tórsi  da  canto 
Vide  si  tosto  la  compagna  tutta, 
Per  dimostrar  che  la  tardanza  fosse 
Cortesia  stata  e  non  timor,  si  mosse. 

89 
Con  man  fé'  cenno  di  volere,  inanti 
Che  facesse  altro,  alcuna  cosa  dire; 
E  non  pensando  in  si  viril  sembianti 
Che  s'avesse  una  vergine  a  coprire. 
Le  disse:  Cavalliero,  omai  di  tanti 
Esser  dèi  stanco,  ch'hai  fatto  morire; 
E  s'io  volessi,  più  di  quel  che  sei. 
Stancarti  ancor,  discortesia  farei. 

90 
Che  ti  riposi  insino  al  giorno  nuovo, 
E  doman  torni  in  campo  ti  concedo. 


Non  mi  fia  onor  se  teco  oggi  mi  prnovo, 
Cile  travagliato  e  lasso  esser  ti  credo. 
Il  travagliare  in  arme  non  m'è  nuovo, 
Né  per  si  poco  alla  fatica  cedo 
(Disse  Marfisa);  e  spero  ch'a  tuo  costo 
Io  ti  farò  di  questo  avveder  tosto. 
91 

De  la  cortese  offerta  ti  ringrazio; 
Ma  riposare  ancor  non  mi  bisogna; 
E  ci  avanza  del  giorno  tanto  spazio, 
Ch'a  porlo  tutto  in  ozio  è  pur  vergogna. 
Rispose  il  cavallier:  Fuss'io  si  sazio 
D'ognaltra  cosa  che  'l  mio  core  agogna, 
Come  t'ho  in  questo  da  saziar;  ma  vedi 
Che  non  ti  manchi  il  di  più  che  non  credi. 
92 

Cosi  disse  egli,  e  fé'  portare  in  fretta 
Due  grosse  lance,  anzi  due  gravi  antenne; 
Et  a  Marfisa  dar  ne  fé'  l'eletta: 
Tolse  l'altra  per  sé,  ch'indietro  venne. 
Già  sono  in  punto,  et  altro  non  s'aspetta 
Ch'unalto  suonchelorlagiostra  accenne. 
Ecco  la  terra  e  l'aria  e  il  mar  rimbomba 
Nel  mover  loro  al  primo  suon  di  tromba. 
93 

Trar  fiato,  bocca  aprir,  o  battere  occhi 
Non  si  vedea  de'  riguardanti  alcuno: 
Tanto  a  mirare  a  chi  la  palma  tocchi 
Dei  duo  campioni,  intento  era  ciascuno. 
Marfisa,  acciò  che  de  l'arcion  trabocchi 
Si,  che  mai  non  si  levi  il  guerrier  bruno. 
Drizza  la  lancia;  e  il  guerrier  bruno  forte 
Studia  non  men  di  por  Marfisa  a  morte. 
94 

Le  lancieambe  di  secco  e  suttil  salce, 
Non  di  Cerro  sembrar  grosso  et  acerbo; 


€  anche  cingere  uno  con  una  bastonata, 
un  pugno  ecc. 

86.  1.  dritta  m.  ;  giusta  m.  Dante,  Inf.  18, 
4:  «  Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno  ». 

—  2.  alle  confine  (dal  plur.  latino  confi- 
nia).  È  forma  usala  non  di  rado  dagli  an- 
tichi. 

—  4.  Qnal  ;  quali,  d'  argento  o  di  cera, 
son  poste  dinanzi  ecc.  Accenna  alle  statuette 
votive,  che  figurano  il  santo,  a  cui  si  ren- 
dono grazie.  Su  quest'  uso  cfr.  Sacchetti, 
Nov.  109. 

—  8.  De  le  d.  pie.  Dipende  da  ringra- 
ziarle e  per  figura  di  zeugma  da  sciorre 
il  voto. 

87.  4.  ragginnae,  ricongiunse. 

—  6.  n'emunse.  V.  e.  Ili,  27,  n.  6. 

88.  6.  compagna,  compagnia.  V.  e.  IV,  39, 
n.  4. 


90.  7.  a  tuo  costo  ;  a  tue  spese.  È  anche 
della  prosa.  Cecchi,  Comm.  ined.  434:  «  Gli 
imparerà  a  suo  costo  ». 

91.  4.  porlo,  consumarlo.  Bocc,  Lett.  Pin. 
Rossi  :  «  Non  solo  1'  avere,  ma  anche  le  per- 
sone avete  poste  ». 

—  7.  t'ho...  da  8.  ;  ho  da  saziarti,  posso 
saziarti.  Vi  è  il  solito  spostamento  del  pro- 
nome. 

92.  3.  l'eletta,  la  scelta.  Dar  l'eletta  del- 
l'arnie era  espressione  tecnica  del  duello. 
Allo  sfidato  toccava,  di  regola,  1'  eletta. 

—  6.  accenne,  dia  il  segno.  In  questo 
senso  non  è  registrato  dai  vocab, 

—  8.  al  primo  suon  d.  t.  Al  primo  dei  tre 
squilli  di  tromba  dati  dall'  araldo  (cfr.  e.  v, 
88,  3  )  i  combattenti  andavano  a  prendere 
il  posto,  donde  avevano  a  partire;  al  se- 
condo prendevan  le  lance,  al  terzo  si  slan- 
ciavano nello  steccato,  e  si  azzulTavano. 

93. 7.  forte,  non  men  forte,  non  meno 
ardentemente. 

94.  2.  acerbo,  verde.  Il  cerro  verde  è  più 
pieghevole,  quantunque  più  fragil  del  secco. 
Potrebbe  anche  intendersi  per  giovane  e 


CANTO  XIX 


257 


Cosi  n'andaro  in  tronchi  fin  al  calce; 
E  rincontro  ai  destrier  fu  si  superbo, 
Che  parimente  parve  da  una  l'alce 
De  le  gambe  esser  lor  tronco  ogni  nerbo. 
Cadero  arabi  ugualmente;  ma  i  campioni 
Fur  presti  a  disbrigarsi  dagli  arcioni. 
95 
A  mille  cavallieri,  alla  sua  vita, 
Al  primo  incontro  avea  la  sella  tolta 
Marfisa,  et  ella  mai  non  n'era  uscita; 
E  n'usci,  come  udite,  a  questa  volta. 
Del  caso  strano  non  pur  sbigottita, 
Ma  quasi  fu  per  rimanerne  stolta. 
Parve  anco  strano  al  cavallier  dal  nero, 
Che  non  solea  cader  già  di  leggiero. 
96 
Tocca  avean  nel  cader  la  terra  a  pena. 
Che  furo  in  piedi,  e  rinovàr  l'assalto. 
Tagli  e  punte  a  furor  quivi  si  mena: 
Quivi  ripara,  or  scudo,  or  lama,  or  salto. 
Vada  la  botta  vota,  o  vada  piena, 
L'aria  ne  stride,  e  ne  risuona  in  alto. 
(Quelli  elmi,  quelli  usberghi,  quelli  scudi 
Mostrar  ch'erano  saldi  più  ch'incudi. 
97 
Se  de  l'aspra  donzella  il  braccio  è  grave. 
Né  quel  del  cavallier  nimico  è  lieve. 
Ben  la  misura  ugual  l'un  da  l'altro  bave: 
Quanto  appunto  l'un  dà,  l'altro  riceve. 
Chi  vuol  due  fiere  audaci  anime  brave, 
Cercar  i)iù  là  di  queste  due  non  deve, 
Né  cercar  più  destrezza  né  più  possa; 
Che  n'han  tra  lor  quanto  più  aver  si  possa 


perciò  più  sano  e  forte  ;  ma  la  prima  inter- 
pretazione è  confermata  dalla  Principe.  «  K 
non  di  verde  fi'assino  superbo  ». 

—  3.  calce;  Forma  frequente  negli  an- 
tichi per  calcio  (della  lancia,  dell'arcbibuso). 

—  4.  superbo  ;  aspro.  Cosi  al  e.  xxvi,  82. 
Si  citano  questi  soli  luoghi  dell'A. 

—  7.  Cadere,  caderono,  caddero.  È  il  per- 
fetto regolare  cadei,  (Tasso,  Ger.  8,  25), 
che  ora  non  si  usa  più.  Cosi  anche  nel 
canto  XXXII,  79. 

95.  1.  alla  sua  vita;  in  vita  sua.  È  modo 
molto  usato  dagli  antichi,  specialmente  dal 
Pulci  Morg.  7,  7  ;  1 1,  45.  L'A.  l' usò  anche  nel 
e.  xxvii,  88;  XXVIII,  9. 

—  4.  a  questa  volta.  Cosi  anche  nel  e. 
XXXIII,  118.  È  frequentissimo  nel  Pulci, 
Morg.  10,  64;  26,  1. 

—  6.  stolta;  stordita.  Questo  senso  non  è 
registrato  dai  vocab. 

—  7.  e.  dal  nero.  V.  e.  xiv,  38,  2;  ma  là 
si  riferisce  a  Orlando,  qui  a  Guidon  Sel- 
vaggio. 

96.  3.  si  mena  ;  si  menano  tagli  e  puntate. 
Sul  verbo  al  sing.  cfr.  e.  ix,  82,  n.  8. 

—  4.  ripara;  serve  di  riparo  ai  colpi. 
97.2.  He;  neppure.  V.  e.  ii,  41.  n.  4. 

Ariosto  —  Papini 


98 
Le  donne  che  gran  pezzo  mirato  hanno 
Continuar  tante  percosse  orrende 
E  che  nei  cavallier  segno  d'alìfanno 
E  di  stanchezza  ancor  non  si  comprende 
Dei  duo  miglior  guerrier  lode  lor  danno' 
Che  sien  tra  quanto  il  mar  sua  braccia 

D     1       i_  [estende. 

Par  lor  che,  se  non  fosser  più  che  forti 
Esser  dovriau  sol  del  travaglio  morti   ' 

99 
Ragionando  tra  sé,  dicea  Marfisa: 
Buon  fu  per  me,  che  costui  non  si  mosse- 
Ch  andava  a  risco  di  restarne  uccisa, 
Se  dianzi  stato  coi  compagni  fosse, 
Quando  io  mi  trovo  a  pena  a  questa'guisa 
Di  potergli  star  contra  alle  percosse 
Cosi  dice  Marfisa;  e  tutta  volta 
Non  resta  di  menar  la  spada  in  volta 
100 
Buon  fu  per  me  (dicea  quell'altro  anco- 
Che  riposar  costui  non  ho  lasciato,    fra) 
Difender  me  ne  posso  a  fatica  ora 
Che  de  la  prima  pugna  è  travagliato. 
Se  fin  al  nuovo  di  facea  dimora 
A  ripigliar  vigor,  che  saria  stato? 
Ventura  ebbi  io,  quanto  più  possa  aversi 
Che  non  volesse  tòr  quel  ch'io  gli  oflfersi' 
101 
La  battaglia  durò  fin  alla  sera: 
Né  chi  avesse  anco  il  meglio  era  palese: 
Né  l'un  né  l'altro  più  senza  lumiera 
Saputo  avria  come  schivar  l'oft'ese. 
Giunta  la  notte,  all'inclita  guerriera 
P'u  primo  a  dir  il  cavallier  cortese: 
Che  farèn,  poi  che  con  ugual  fortuna 
N  ha  sopragiunti  la  notte  importuna? 
102 
Meglio  mi  par  che '1  viver  tuo  prolunghi 
Almeno  insino  a  tanto  che  s'aggiorni. 
Io  non  posso  concederti  che  aggiunghi 
Fuor  ch'una  notte  piccìola  ai  tua  giorni  ; 


98.3.  che;  Dipende  da  mirato  hanno, 
ma  dal  contesto  bisogna  rilevare  un  pre- 
sente mirano. 

—  6.  sua;  sue.  Sua,  tua,  mia  per  il 
plur.  suoi,  sue,  ecc.,  usarono  spesso  gli  an- 
tichi Toscani  ed  è  vivo  ancora  nella  plebe. 
—  sien  tra  quanto;  sieno  per  tanta  terra  fra 
quanta  ecc.  Qui  dunque  il  tra  ha,  oltre  il 
significato  comune,  anche  1'  altro  notato  al 
e.  XVI,  15,  n.  2. 

99.5.  Quando;  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  6.  Di  potergli.  II  costrutto  trovarsi  di 
fare  una  cosa  non  é  citato  dai  vocab.  che 
citano  solo  trovarsi  a,  o  il  solo  infinito  di- 
pendente senza  prep. 

101.  7.  farèn;  V.  e,  ix,  43,  n.  8. 

102.  3.  aggiunghi;  aggiunga.  V.  e.  xv, 
86,  n.  5 


17 


258 


ORLANDO  FURIOSO 


E  di  ciò  che  non  gli  abbi  aver  più  lunghi, 
La  colpa  sopra  me  non  vo'  che  torni: 
Torni  pur  sopra  alla  spietata  legge 
Del  sesso  l'eminil  che  '1  loco  regge. 
103 

Se  di  te  duolmi  e  di  quest'altri  tuoi, 
Lo  sa  colui  che  nulla  cosa  ha  oscura. 
Con  tuoi  compagni  star  meco  tu  puoi: 
Con  altri  non  avrai  stanza  sicura; 
Perché  la  turba  a  cu'  i  mariti  suoi 
Oggi  uccisi  hai,  già  contra  te  congiura. 
Ciascun  di  questi  a  cui  dato  hai  la  morte, 
Era  di  diece  femine  consorte. 
104 

Del  danno  ch'han  da  te  ricevut'oggi, 
Disian  novanta  femine  vendetta: 
yi  che,  se  meco  ad  albergar  non  poggi. 
Questa  notte  assalito  esser  t'aspetta. 
Disse  Marfisa:  Accetto  che  m'alloggi, 
Con  sicurtà  che  non  sia  meu  perfetta 
In  te  la  fede  e  la  bontà  del  core, 
Che  sia  l'ardire  e  il  corporal  valore. 

105  [dere. 

Ma  che  t'incresca  che  m'abbi  ad  ucci- 
Ben  ti  può  increscere  anco  del  contrario. 
Fin  qui  non  credo  che  l'abbi  da  ridere. 
Perch'io  sia  men  di  te  duro  avversario. 
O  la  pugna  seguir  vogli  o  dividere, 


—  5.  abbi  aver;  abbia  ad  aver.  Y.  e.  i,  4, 
n.  1. 

105.  1.  Ma  che  fin.  È  detto  assolutamente 
e  vale:  ma  quanto  a  ciò  che  dici,  che,  cioè, 
t' incresca  ecc. 

—  2.  Ben  ti  p.  ecc.  ;  Può  essere  ancora 
che  ti  incresca  del  contrario,  cioè  di  do- 
vere essere  ucciso  da  me,  e  che  le  tue  pa- 
role non  sieno  se  non  mentita  iattanza.  Può 
anche  intendersi  detto  ironicamente  :  Ti 
lascio  libero  di  sentir  rincrescimento  pur 
del  contrario. 

—  3.  l'abbi  d.  r.  ;  tu  l'abbia  da  giuoco, 
per  cosa  di  nessun  conto. 

^  5.  dividere  la  pugna;  interromperla. 
Si  cita  dalla  Crusca  questo  solo  es.  dell'A. 


0  farla  all'uno  o  all'altro  lurainario; 
Ad  ogni  cenno  pronta  tu  m'avrai, 
E  come  et  ogni  volta  che  vorrai. 
106 
Cosi  fu  differita  la  tenzone. 
Fin  che  di  Gange  uscisse  il  nuovo  albore; 
E  si  restò  senza  conclusione 
Chi  d'essi  duo  guerrier  fosse  il  migliore. 
Ad  Aquilaute  venne  et  a  Grifone, 
E  cosi  agli  altri  il  liberal  Signore: 
E  li  pregò  che  fin  al  nuovo  giorno 
Piacesse  lor  di  far  seco  soggiorno. 
107 
Tenner  lo  'nvito  senza  alcun  sospetto  : 
Indi,  a  splendor  di  bianchi  torchi  ardenti, 
Tutti  salirò  ov'era  un  real  tetto 
Distinto  in  molti  adorni  alloggiamenti. 
I  Stupefatti  al  levarsi  dell'elmetto, 
1  Mirandosi  restaro  i  combattenti; 
I  Che 'ICavallier,  per  quanto  appareafuora, 
I  Non  eccedeva  i  diciotto  anni  ancora. 
j  108 

Si  maraviglia  la  Donzella,  come 
In  arme  tanto  un  giovinetto  vaglia; 
Si  maraviglia  l'altro,  ch'alle  chiome 
S'avvede  con  chi  avea  fatto  battaglia: 
E  si  domandan  l'un  con  l'altro  il  nome; 
E  tal  debito  tosto  si  ragguaglia. 
Ma  come  si  nomasse  il  giovinetto 
I  Ne  l'altro  canto  ad  ascoltar  v'aspetto. 

j       —   6.  luminarie;  il  sole  e  la  luna.  In  que- 
sto senso  si  cita  questo  solo  esempio. 

--  7.  pronta.  Al  poeta  sfugge  questo  fem- 
minile, come  sarebbe  certo  sfuggito  a  Gui- 
don  Selvaggio  se  lo  avesse  udito. 

106.  2.  di  Gange.  Il  Gange,  fiume  dell'In- 
dia, essendo  a  oriente,   si  può  dire  che  il 
'  sole  esca  da  esso.  Cosi  Dante,  Par.  11,  51: 
«  nacque  al  mondo  un  sole,  Come  fa  questo 
talvolta  di  Gange  ». 

108.  0.  tal  debito  ecc.  ;  Quando  i  cavalieri 
si  domandavano  il  nome  era  debito  di  cor- 
tesia dirlo;  quindi  si  pareggia  fra  loro  que- 
L  sto  debito  reciproco. 


CANTO  XX 


269 


CANTO  XX 


1 

Le  donne  antique  hanno  mirabil  cose 
Fatto  ne  l'arme,  e  ne  le  saere  Muse; 
E  di  lor  opre  belle  e  gloriose 
Gran  lume  in  tutto  il  mondo  si  diffuse. 
Arpalice  e  Camilla  son  famose, 
Perché  in  battaglia  erano  esperte  et  use  : 
Saffo  e  Corinna,  perché  furon  dotte, 
Splendono  illustri  e  mai  non  veggon  notte. 
2 

Le  donne  son  venute  in  eccellenza 
Di  ciascun'arte,  ove  hanno  posto  cura; 
E  qualunque  all'istoria  abbia  avvertenza, 
Ne  sente  ancor  la  fama  non  oscura. 
Se  '1  mondo  n'  è  gran  tempo  stato  senza, 
Non  però  sempre  il  mal'iuflusso  dura; 
E  forse  ascosi  han  lor  debiti  onori 
L'invidia,  o  il  non  saper  degli  scrittori. 

;{ 

Ben  mi  par  di  veder  eh'  al  secol  nostro 
Tanta  virtii  fra  beile  donne  emerga, 
Che  può  dare  opra  a  carte  et  ad  inchiostro, 


1.  2.  ne  le  s.  muse;  nella  poesia.  Musa 
e  Muse  si  usò  in  poesia  per  composizione 
poetica,  ed  è  derivazione  dal  latino.  Vir.g. 
egl.  i:  «  SiLvestrem  tenui  Musam  meditaris 
avena  ». 

—  5.  Arpalice,  figlia  di  ArpaUco  re  di 
Tracia,  difese  il  regno  del  padre  contro 
Neottolemo,  figlio  di  Achille.  —  Camilla  è 
la  famosa  guerriera  dell' jBneicZe. 

—  6.  use,  esercitate.  V.  e.  xvr,  54,  n.  -ì. 

—  7.  Saffo  ;  celebre  poetessa  di  Lesbo 
(628-568  a  C).  —  Corinna,  di  Tanagra  (Beo- 
zia) poetessa,  che  si  dice  vincesse  Pindaro. 

—  8.  notte,  la  notte  dell'oblio.  Orazio 
disse  nello  stesso  senso,  Od.  ix,  9,  28:  «igno- 
tique  longa  uocte  », 

2.  1.  in  eccellenza,  alla  eccellenza,  alla 
perfezione.  È  modo  analogo  agli  altri  ve- 
nire in  conoscimento,  in  notizia,  in  dub- 
bio di  una  cosa. 

—  5.  n'è...  st.  senza;  senza  donne  cele- 
bri. L'aggettivo  deve  rilevarsi  dal  contesto. 

—  7.  han.  Regolarmente  ha  perché  i 
soggetti  sono  separati  dalla  disgiuntiva  o. 
V.  FORNACiARi,  Sint.  p.  302. 

—  8.  il  non  sap.  Accenna  all'  ignoranza 
degli  scrittori  medioevali,  che  non  han  sa- 
puto rilevare  e  apprezzare  r  ingegno  delle 
donne  in  quel  lungo  periodo. 

3.  3.  dare  opra,  dar  materia  agli  scritti. 


Perché  nei  futuri  anni  si  disperga, 
E  perché,  odiose  lingue,  il  mal  dir  vostro 
Con  vostra  eterna  infamia  si  sommerga: 
E  le  lor  lode  appariranno  in  guisa. 
Che  di  gran  lunga  avanzeran  Marfiaa. 
4 

Or  pur  tornando  a  lei,  questa  donzella 
Al  cavallier  che  l'usò  cortesia. 
De  l'esser  suo  non  niega  dar  novella, 
Quando  esso  a  lei  voglia  contar  chi  sia. 
.sbrigossi  tosto  del  suo  debito  ella: 
Tanto  il  nome  di  lui  saper  disia. 
Io  son  (disse)  Marfìsa:  e  fu  assai  questo; 
Che  si  sapea  per  tutto  '1  mondo  il  resto. 
5 

L'altro  comincia,  poi  che  tocca  a  lui, 
Con  pili  proemio  a  darle  di  sé  conto. 
Dicendo:  Io  credo  che  ciascun  di  vui 
Abbia  de  la  mia  stirpe  il  nome  in  pronto  ; 
Che  non  pur  Francia  e  Spagna  e  ivicin  sui, 
Ma  l'India,  l'Etiopia  e  il  freddo  Ponto 
Han  chiara  cognizion  di  Chiaramonte, 
Onde  usci  il  cavallier  ch'uccise  Almonte, 
0 

E  quel  ch'a  Chiari'ello  e  al  re  Mambrino 
Diede  là  morte,  e  il  regno  lor  disfece. 
Di  questo  sangue,  dove  ne  l'Eusino 


È  significato   affine  a  quello  del  e.  xviii, 
189,  «  dare  opra  ai  calcagni  ». 

—  4.  si  disperga,  si  divulghi.  Si  cita  solo 
quest'es.  dell'A.  È  un  uso  affine  al  latino: 
«  Dispergere  rumorem  »  divulgar  la  voce. 

—  6.  si  sommerga,  cada  nel  disprezzo  e 
neiroblio.  Tra  i  significati  metaforici  citati 
dai  vocabolari  manca  questo. 

4.  2.  l'usò,  le  usò.  V.  e.  VII,  35,  n.  8. 

5.  4.  Abbia...  in  pr.;  abb.  presente.  È  il 
modo  latino  habere  in  promptu,  che  si- 
gnifica anche  aver  chiaro,  facile  a  cono- 
scere. 

—  5.  i  vicin  sui,  i  loro  vicini,  cioè  le  al- 
tre parti  di  Europa. 

—  6.  Ponto  ;  Antico  regno  sufi'  Bussino 
(mar  Nero).  .Nel  M.  E.  vi  fu  fondato  l' im- 
pero di  Trebisonda  ;  e  finsero  i  romanzi  che 
Rinaldo  e  altri  Paladini  vi  facessero  gran 
prove  di  valore. 

—  7.  Chiaramente.  V.  e.  Il,  67,  ii.  1. 

—  8.  il  cavallier  ecc.  Orlando,  V.  e.  xil, 
31,  n.  2. 

6.  1.  E  quel  ecc.  Rinaldo. 


260 


ORLANDO  FURIOSO 


L'Istro  ne  vien  con  otto  corna  o  diece,     I 
Al  duca  Amone,  il  qual  già  peregrino 
Vi  capitò,  la  madre  mia  mi  fece: 
E  l'anno  è  ormai,  ch'io  la  lasciai  dolente, 
Per  gire  in  Francia  a  ritrovar  mia  gente. 

7 
Ma  non  potei  finire  il  mio  viaggio; 
Che  qua  mi  spinse  un  tempestoso  Noto. 
Son  dieci  mesi  o  più,  che  stanza  v'aggio; 
Che  tutti  i  giorni  e  tutte  l'ore  noto. 
Nominato  son  io  Guidon  Selvaggio, 
Di  poca  prova  ancora  e  poco  noto. 
Uccisi  qui  Argilon  da  Meli  bea. 
Con  dieci  cavallier  che  seco  avea. 

8 
Feci  la  prova  ancor  de  le  donzelle: 
Cosi  n'ho  diece  a'  miei  piaceri  allato; 
Et  alla  scelta  mia  son  le  più  belle, 
E  son  le  più  gentil  di  questo  stato. 
E  queste  reggo  e  tutte  l'altre;  ch'elle 
Di  sé  m'hanno  governo  e  scettro  dato: 
Cosi  daranno  a  qualunque  altro  arrida 
Fortuna  si,  che  la  decina  ancida. 

9 
I  caTallier  domandano  a  Guidone 
Com'ha  si  pochi  maschi  il  tenitoro, 
E  s'alle  moglie  hanno  suggezione. 
Come  esse  l'han  negli  altri  lochi  a  loro. 
Disse  Guidon:  Più  volte  la  cagione 
Udita  n'ho  da  poi  che  qui  dimoro; 
E  vi  sarà,  secondo  ch'io  l'ho  udita, 
Da  me,  poi  che  v'aggrada,  riferita. 


—  4.  latro  (lat.  Ister),  Danubio.  —  corna, 
è  il  latino  cornua^  che  pur  vale  bocche 
d'un  fiume,  anche  in  prosa.  —  otto  e.  Gli 
antichi  danno  al  Danubio  sette  bocche  al 
più;  oggi  pure  sono  otto  gli  sbocchi  prin- 
cipali. 

—  5.  Al  duca  A.  11  solo  Ariosto  fa  Guidon 
Selvaggio  bastardo  di  Amone;  altrove  è 
sempre  detto  figlio  di  Rinaldo  e  di  una  re- 
gina Costanza.  Il  Raina  crede  che  ciò  sia 
per  non  dare  a  Rinaldo,  che  nel  poema  fa 
le  parti  di  pi-irao  amoroso,  un  figlio  già 
adulto. 

7.  2.  Noto.  V.  e.  VI,  42,  n.  3. 

—  5.  Guidon  S.  È  personaggio  molto  noto 
agli  autori  dei  poemi  cavallereschi  popo- 
lari. L'A.  per  ciò  scelse  lui  per  addossargli 
tante  avventure. 

—  6.  Di  p.  prova.  V.  e.  xvii,  105,  n.  7, 

—  7.  Melibea  ;  antica  città  situata  sulla 
costa  del  mare  tra  le  falde  dell'Ossa  e  del 
Pelio. 

8.  3.  alla  scelta  m.,  secondo  il  mio  gusto. 
Boccaccio,  nov.  77  :  «  Essendosi  ella  d'  un 
giovinetto  bello  e  leggiadro  a  sua  scelta, 
innamorata».  Nell'espressione  dell'A.  c'è 
di  più  l'articolo  come  nell'espressione  al 
mio  parer  e  simili. 

9.  2.  tenitoro.  V.  e.  iv,  56,  n.  6. 


10 

Al  tempo  che  tornar  dopo  anni  venti 
Da  Troia  i  Greci  (che  durò  l'assedio 
Dieci,  e  dieci  altri  da  contrari  venti 
Furo  agitati  in  mar  con  troppo  tedio), 
Trovar  che  le  lor  donne  agli  tormenti 
Di  tanta  absenzia  avean  preso  rimedio: 
Tutte  s'avean  gioveni  amanti  eletti, 
Per  non  si  raffreddar  sole  nei  letti. 
11 

Le  case  lor  trovaro  i  Greci  piene 
De  l'altrui  figli:  e  per  parer  comraune 
Perdonano  alle  mogli  ;  che  san  bene 
Che  tanto  non  potean  viver  digiune. 
Ma  ai  figli  degli  adulteri  conviene 
Altrove  procacciarsi  altre  fortune; 
Che  tolerar  non  vogliono  i  mariti 
Che  più  alle  spese  lor  sieno  notriti. 
12 

Sono  altri  esposti,  altri  tenuti  occulti 
Da  le  lor  madri,  e  sostenuti  in  vita. 
In  varie  squadre  quei  ch'erano  adulti, 
Feron,  chi  qua,  chi  là,  tutti  partita. 
Per  altri  l'arme  son,  per  altri  culti 
Gli  studi  e  l'arti;  altri  la  terra  trita; 
Serve  altri  in  corte;  altri  è  guardian  di 

[gregge. 
Come  piace  a  colei  che  qua  giù  regge. 
13 

Parti  fra  gli  altri  un  giovinetto,  figlio 
Di  Clitemnestra,  la  crndel  Regina, 
Di  diciotto  anni,  fresco  come  un  giglio, 
0  rosa  colta  allor  di  su  la  spina. 
Questi,  armato  un  suo  legno,  a  dar  di  piglio 
Si  pose  e  a  depredar  per  la  marina 
In  compagnia  di  cento  giovinetti 
Del  tempo  suo,  per  tutta  Grecia  eletti. 
14 

I  Cretesi,  in  quel  tempo  che  cacciato 
Il  crudo  Idomeneo  del  regno  aveano, 
E  per  assicurarsi  il  nuovo  stato, 


12.  6.  trita,  lavora.  Significato  non  regi- 
strato dai  vocab. 

—  8.  colei  ecc.  la  fortuna. 

13.  1.  un  giovinetto.  Qui  l'A.  rifa  la  leg- 
genda di  Falanto  (Giustino  I.  Ili,  6),  varian- 
dola e  introducendovi  casi  di  sua  inven- 
zione. Falanto,  secondo  la  leggenda,  fu  capo 
dei  partenii  (bastardi)  nati  a  Sparta  durante 
la  prima  guerra  messenica  (743-724  a.  C.) 
dalle  donne  Spartane  e  dagli  schiavi  iloti. 
Falanto  condusse  i  partenii  in  Italia  e  fondò 
Taranto  (lat.  Tarentum).  Non  nacque  dun- 
que da  Clitemnestra. 

—  5.  dar  di  p.  ;  predare.  Di  quest'uso  sen- 
za complemento  si  cita  solo  l'es.  dell'A. 

14.  2.  Idomeneo,  nipote  di  Minosse  e  re  di 
Creta,  tornato  da  Troia  sacrificò  a  Nettuno 
il  proprio  figlio  per  voto  fatto  d'immolare 
il  primo,  che  incontrasse  tornando  in  pa- 


CANTO  XX 


261 


D'uomini  e  d'arme  adunazion  faceano; 
Fero  con  buon  stipendio  lor  soldato 
Falanto  (cosi  al  giovine  diceano), 
E  lui  con  tutti  quei  che  seco  avea, 
Poser  per  guardia  alla  città  Dictea. 

Fra  cento  alme  città  ch'erano  in  Creta, 
Dictea  più  ricca  e  pili  piacevol'era, 
Di  belle  donne  et  amorose  lieta, 
Lieta  di  giochi  da  matino  a  sera: 
E  com'era  ogni  tempo  consueta 
D'accarezzar  la  gente  forestiera, 
Fé'  a  costor  si,  che  molto  non  rimase 
A  farli  ancor  signor  de  le  lor  case. 
16 

Eran  gioveni  tutti  e  belli  affatto; 
Che  '1  fior  di  Grecia  avea  Falanto  eletto  : 
Si  ch'alle  belle  donne,  al  primo  tratto 
Che  v'apparir,  trassero  i  cor  del  petto. 
Poi  che  non  mea  che  belli,  ancora  in  fatto 
Si  dimostrar  buoni  e  gagliardi  al  letto; 
Si  fero  ad  esse  in  pochi  di  si  grati. 
Che  sopra  ogn'altro  ben  n'erano  amati. 
17 

Finita  che  d'accordo  è  poi  la  guerra 
Per  cui  stato  Falanto  era  condutto, 
E  lo  stipendio  militar  si  serra. 


tria,  per  lo  che,  scoppiata  la  peste,  fu  dai 
Cretesi  cacciato. 

—  4.  adunazione.  Guicciardini  St.  3,  270: 
«al  rumore  della  quale  adunazione»;  ma 
è  raro. 

—  6.  al  g.  diceano;  lo  chiamavano.  Boc- 
caccio, nov.  60:  «E  chi  gli  dicea  Guccio 
porco  ».  É  modo  ancor  vivo  in  Toscana. 
Neil'  uso  letterario  è  più  frequente  col  com- 
plem.  diretto. 

—  8.  Dictea,  città  di  Creta  a  pie  del  monte 
Ditte  nominata  appena  da  qualche  antico 
scrittore  e  chiamata  piuttosto  Dieta. 

15.  1.  Fra  cento  ecc.  Per  questo  ebbe  an- 
che il  nome  di  Ecatompolis.  Plinio  iv,  12; 
Omero  n.  2,  649. 

—  5.  ogni  tempo;  in  ogni  t.  ;  espressione 
foggiata  sulle  altre  ogni  giorno,  ogni  an- 
no ecc.,  e  per  l'azione  del  latino  oìnni 
tempore.  V.  e.  43,  161:  ogni  modo. 

—  7.  non  rimase;  non  tardò.  Significato 
non  registralo  dai  vocab. 

—  8.  d.  1.  lor  case.  Sillessi  o  costruzione  a 
senso.  Il  soggetto  è  Dictea,  ma  l'A.  ha  in 
mente  gli  abitanti,  a  cui  riferisce  il  lor. 

17.2.  stato...  era  e.  era  stato  assoldato.  È 
il  latino  conciucere  militem. 

—  3.  si  serra;  finisce.  Forse  questo  signi- 
ficato si  connette  coli'  idea  dello  scrigno. 
Quanto  al  costrutto  è  da  sottintendere  poi- 
ché (e  poiché  si  serra;  e  poiché,  per  que- 
sto, lasciar  vogliono  ecc.)  come  abbiamo 
detto  al  e.  xii,  38,  n.  3. 


Si  che  non  v'hanno  i  gioveni  più  frutto, 
E  per  questo  lasciar  voglion  la  terra; 
Fan  le  donne  di  Creta  maggior  lutto, 
E  perciò  versan  più  dirotti  pianti, 
Che  se  i  lor  padri  avesson  morti  avanti. 

18 
Da  le  lor  donne  i  gioveni  assai  foro, 
Ciascun  per  sé,  di  rimaner  pregati: 
Né  volendo  restare,  esse  con  loro 
N'andar,  lasciando  e  padri  e  figli  e  frati. 
Di  ricche  gemme  e  di  gran  somma  d'  oro 
Avendo  i  lor  dimestici  spogliati; 
t  Che  la  pratica  fu  tanto  secreta. 
Che  non  senti  la  fuga  uomo  di  Creta. 

19 
Si  fu  propizio  il  vento,  si  fu  l'ora 
Commoda,  che  Falanto  a  fuggir  colse. 
Che  molte  miglia  erano  usciti  fuora, 
Quando  del  danno  suo  Creta  si  dolse. 
Poi  questa  spiaggia,  inabitata  allora. 
Trascorsi  per  fortuna  li  raccolse. 
Qui  si  posaro,  e  qui  sicuri  tutti 
Meglio  del  furto  lor  videro  i  frutti. 

20 
Questa  lor  fu  per  dieci  giorni  stanza 
Di  piaceri  amorosi  tutta  piena. 
Ma  come  spesso  avvien  che  l'abondanza 
Seco  in  cor  giovenil  fastidio  mena. 
Tutti  d'accordo  fur  di  restar  san  za 
Femine,  e  liberarsi  di  tal  pena; 
Che  non  è  soma  da  portar  si  grave, 
Come  aver  donna,  quando  a  noia  s'have. 

21 
Essi  che  di  guadagno  e  di  rapine 
Eran  bramosi,  e  di  dispendio  parchi, 
Vider  ch'a  pascer  tante  concubine, 


—  8.  avesson  m.  a.  ;  avessero  avanti  agli 
occhi  i  cadaveri  dei  loro  padri. 

18.  6.  dimestici  ;  parenti.  Esempio  note- 
vole. I  vocabol.  citano  un  esempio  di  Al- 
bertano,  che  è  poco  sicuro. 

—  8.  senti;  s' accorse,  ebbe  sentore.  È  un 
latinismo  già  usato  nel  Trecento;  Compa- 
gni, I,  16. 

19.6.  Trascorsi  p.  f.  ;  traviati  per  causa 
di  una  tempesta.  Il  solo  Gherardini  cita  un 
esempio  del  Giacomini,  Pros.  Fior,  p.  I, 
v.  1.  p.  117:  «Procurò  correggere  i  tror- 
scorsi  costumi  »;  ma  qui  è  nietafor. 

—  8.  1  frutti  ;  colsero  con  più  agio  il 
frutto  del  loro  furto;  cioè  goderono  con  più 
agio  r  amore  delle  loro  donne. 

21.  2.  di  disp.  parchi;  parchi  nello  spen- 
dere, avari.  Tutti  intendono  scarsi  di  da- 
naro da  spendere;  ma  se  ciò  può  esser 
conforme  agli  usi  della  lingua,  non  par  che 
risponda  al  contesto,  perché  sopra  è  detto 
che  portarono  da  Creta  gemme  e  ricca  so- 
ma d'oro;  qui  si  dice  che  se  n'andarono 
carichi  di  quelle  ricchezze.  Inoltre  essi  era- 


262 


ORLANDO  FURIOSO 


D'altro  che  d'aste  avean  bisogno  e  d'archi: 
Si  che  sole  lasciar  qui  le  meschine, 
E  se  n'andar  di  lor  ricchezze  carchi 
Là,  dove  in  Pugliainripaalmar  poi  sento 
Ch'edificar  la  terra  di  Tarento. 
22 

Le  donne  che  si  videro  tradite 
Dai  loro  amanti  in  che  più  fede  aveano, 
Restar  per  alcun  di  si  sbigottite, 
Che  statue  immote  in  lito  al  mar  pareano. 
Visto  poi,  che  da  gridi  e  da  infinite 
Lacrime  alcun  profitto  non  traeano, 
A  pensar  cominciaro  e  ad  aver  cura 
Come  aiutarsi  ia  tanta  lor  sciagura. 
23 

E  proponendo  in  mezzo  i  lor  pareri, 
Altre  diceano  -.  In  Creta  è  da  tornarsi, 
E  più  tosto  all'arbitrio  de'  severi 
Padri  e  d'offesi  lor  mariti  darsi, 
Che  nei  deserti  liti  e  boschi  fieri, 
Di  disagio  e  di  fame  consumarsi; 
Altre  dicean  che  lor  saria  più  onesto 
Affogarsi  nel  mar,  che  mai  far  questo; 
24 

E  che  manco  mal  era  meretrici 
Andar  pel  mondo,  andar  mendiche  oschia- 
Che  sé  stesse  offerire  a  gli  supplici    [ve, 
Di  ch'eran  degne  l'opere  lor  prave. 
Questi  e  simil  partiti  le  infelici 
Si  proponean,  ciascun  più  duro  e  grave. 
Tra  loro  al  fine  una  Orontea  levosse. 
Ch'origine  traea  dal  Re  Minosse; 
25 

La  più  gioven  de  l'altre  e  la  più  bella 
E  la  più  accorta,  e  ch'avea  meno  errato. 
Amato  avea  Falanto,  e  a  lui  pulzella 
Datasi,  e  per  lui  il  padre  avea  lasciato. 
Costei  mostrando  in  viso  et  in  favella 
Il  magnanimo  cor  d'ira  infiammato. 


no  bramosi  di  guadaguo  e  di  rapine;  per 
ciò  è  meglio  intendere  nel  primo  modo. 

—  7.  in  ripa  al  m.  V.  e.  XIII,  42,  7. 

28.  2.  più  fede  :  Sottint.  che  in  altri.  Cosi 
alla  st.  24,  6. 

—  4.  in  lito  al  m.  V.  e.  xvii,  33,  n.  2. 

23.  2.  In  Creta  ecc.  Comincia  col  discorso 
diretto  e  quindi  passa  all'  indiretto,  come 
mostra  il  lor  del  verso  4. 

—  4.  d'offesi  ecc.  La  mancanza  dell'arti- 
colo dice  che  non  tutte  avevan  marito. 

—  7.  onesto,  convenevole,  dignitoso. 

24.  6.  ciascun  pili  d.  ecc.;  ciascun  partito 
proposto  più  duro  e  grave  degli  altri  pro- 
posti innanzi. 

—  7.  una  Orontea  ;  una  certa  Or.  V.  FOR- 
NACIARI,  Sint.  p.  128. 

25.  2.  e  che  area  m.  err.  Foi'se  perché  non 
avea  lasciato  il  marito  e  aveva  amato  solo 
Falanto. 


Redarguendo  di  tutte  altre  il  detto. 
Suo  parer  disse,  e  fé'  seguirne  effetto. 
26 

Di  questa  terra  a  lei  non  parve  tòrsi. 
Che  conobbe  feconda  e  d'aria  sana, 
E  di  limpidi  fiumi  aver  discorsi. 
Di  selve  opaca,  e  la  più  parte  piana; 
Con  porti  e  foci,  ove  dal  mar  ricorsi 
Per  ria  fortuua  avea  la  gente  estrana, 
Ch'or  d'Africa  portava,  ora  d'Egitto, 
Cose  diverse  e  necessarie  al  vitto. 
27 

Qui  parve  a  lei  fermarsi  e  far  vendetta 
Del  viril  sesso  che  le  avea  si  offese: 
Vuol  ch'ogni  nave,  che  da  venti  astretta 
A  pigliar  venga  porto  in  suo  paese, 
A  sacco,  a  sangue,  a  fuoco  al  fin  si  metta; 
Né  de  la  vita  a  un  sol  si  sia  cortese. 
Cosi  fu  detto,  e  cosi  fu  concluso, 
E  fu  fatta  la  legge  e  messa  in  uso. 
28 

Come  turbar  l'aria  sentiano,  armate 
Le  femine  correan  su  la  marina. 
Da  l'implacabil  Orontea  guidate. 
Che  die  lor  legge,  e  si  fé  lor  Regina: 
E  de  le  navi  ai  liti  lor  cacciate, 
Faceano  incendi  orribili  e  rapina, 
Uom  non  lasciando  vivo,  che  novella 
Dar  ne  potesse  in  questa  parte  o  in  quel- 
29  [la. 

Cosi  solinghe  vissero  qualch'auno 
Aspre  nimiche  del  sesso  virile. 
Ma  conobbero  poi,  che  '1  proprio  danno 
Procaccierian,  se  non  mutavan  stile: 
Che,  se  di  lor  propagine  non  fanno. 
Sarà  lor  legge  in  breve  irrita  e  vile, 
E  mancherà  con  l'infecondo  regno. 
Dove  di  farla  eterna  era  il  disegno. 

m 

Si  che,  temprando  il  suo  rigore  un  poco. 


—  7.  di  tutte  altre.  V.  e.  X,  54,  n.  7. 

—  S.  fé  seg.  effetto  ;  e  colle  sue  parole 
ottenne  l'effetto,  che  desiderava. 

26.  3.  discorsi  ;  corsi.  Guid.  Giudice  A.  1. 
31 .  « O v'  erano  molti  rivi  e  discorsi  d'acqua  ». 

—  5.  ricorsi.  Più  comunemente  il  singo- 
lare. 

27.4.  suo;  lor.  V.  e.  XIII,  40,  n.  3. 

—  6.  cortese;  cortesi.  V.  e.  IX,  84,  n.  1. 
Questa  ferocia  è  imitazione  di  quella  delle 
donne  di  Lemno,  che,  trascurate  da'  loro 
mariti  per  attendere  alle  guerre,  li  ucci- 
sero tutti,  meno  il  re  Toante  salvato  per  in- 
ganno dalla  figlia  Isifile  ;  e  governarono  ess'i 
l'isola.  Ma  un  regno  di  donne  era  ti-adizio- 
nale  nei  poemi  cavallereschi:  cosi  da  donne 
è  retta  la  città  di  Saliscaglia  nel  Morgantr 
21,  158. 

28.  1.  turbar  l'a.;  cambiarsi  il  tempo  e 
minacciare  tempesta. 


CANTO  XX 


263 


Scelsero,  in  spazio  di  quattro  anni  interi, 
Di  quanti  capitaro  in  questo  loco 
Dieci  belli  e  gagliardi  cavallieri, 
Che  per  durar  ne  l'amoroso  gioco 
Contr'esse  cento  fosser  buon  guerrieri. 
Esse  in  tutto  eran  cento;  e  statuito 
Ad  ogni  lor  decina  fu  un  marito. 
31 

Prima  ne  fur  decapitati  molti 
Che  riuscirò  al  paragon  mal  forti. 
Or  questi  dieci  a  buona  prova  tolti, 
Del  letto  e  del  governo  ebbon  consorti; 
Facendo  lor  giurar  che,  se  più  colti 
Altri  uomini  vernano  in  questi  porti, 
Essi  sarian  che,  spenta  ogni  pietade, 
Li  porriano  ugualmente  a  fil  di  spade. 
32 

Ad  ingrossare,  et  a  figliar  appresso 
Le  donne,  indi  a  temere  incominciaro 
Che  tanti  nasceriau  del  viril  sesso, 
Che  coutra  lor  non  avrian  poi  riparo; 
E  al  fine  in  man  degli  uomini  rimesso 
Saria  il  governo  ch'elle  avean  si  caro: 
Si  ch'ordinar,  mentre  eran  gli  anni  im- 

[belli. 
Far  si,  che  mai  non  fosson  lor  ribelli. 
33 

Acciò  il  sesso  viril  non  le  soggioghi, 
Uno  ogni  madre  vuol  la  legge  orrenda, 
Che  tenga  seco;  gli  altri  o  li  suffoghi, 
O  fuor  del  regno  li  permuti  o  venda. 
Ne  mandano  per  questo  in  vari  luoghi: 
E  a  chi  gli  porta  dicono  che  prenda 
Femine,  se  a  baratto  aver  ne  puote; 
Se  non,  non  torni  almen  con  le  man  vote. 
34 

Né  uno  ancora  alleverian,  se  senza 
Potesson  fare,  e  mantenere  il  gregge. 
Questa  è  quanta  pietà,  quanta  clemenza 
Più  ai  suoi  ch'agli  altri  usa  l'iniqua  legge: 


31.5.  se...  verriano;  Nota  il  condizionale 
invece  del  congiuntivo.  Cosi  al  e.  xv,  101, 
8,  abbiamo  il  cong.  per  il  condizionale.  Usi 
molto  notevoli  e  rari.  —  più,  altre  volte. 

32.7.  ordinar...  far;  stabiliron  di  far. 

33.  3.  li  saffoghi.  Qui  si  ha  un  ricordo 
delle  Amazzoni,  che  convivean  con  gli  uo- 
mini una  sola  volta  all'  anno  e  facevan  mo- 
rire i  figli  maschi. 

34.  1.  Nò  uno  anc.  ;  né  anche  uno.  È  il 
costrutto  latino  ne  unum  quidem.  Varchi, 
Senec.  De'  benefizi,  1,  9,  26:  «in  modo  che 
non  lo  sappia  né  quegli  ancora  a  cui  (i  be- 
nefizi) si  danno  ». 

—  2.  il  gregge  ;  il  branco.  È  espressione 
tolta  dai  pastori. 

—  4.  Pili  ai  suoi  ecc.;  più  a  quelli  della 
città  che  agli  altri,  i  quali  vi  capitan  di 
fuori.  Che  anzi  questi  condannano  tutti  con 
ugual  sentenza,  senza  eccettuarne  alcuno. 


Gli  altri  condannan  con  ugual  sentenza; 
E  solamente  in  questo  si  corregge, 
Che  non  vuol  che,  secondo  il  primiero  uso, 
Le  femine  gli  uccidano  in  confuso. 

35 
Se  dieci  o  venti  o  più  persone  a  un  tratto 
Vi  fosser  giunte,  in  carcere  eran  messe; 
E  d'una  al  giorno,  e  non  di  più  era  tratto 
Il  capo  a  sorte,  che  perir  dovesse 
Nel  tempio  orrendo  ch'Oronteaavea fatto, 
Dove  un  altare  alla  vendetta  eresse: 
E  dato  all'un  de'  dieci  il  crudo  ufficio 
Per  sorte  era  di  farne  sacrificio. 

36 
Dopo  molt'anni  alle  ripe  omicide 
A  dar  venne  di  capo  un  giovinetto, 
La  cui  stirpe  scendea  dal  buono  Alcide, 
Di  gran  valor  ne  l'arme,  Elbanio  detto. 
Qui  preso  fu,  ch'a  pena  se  n'avvide 
Come  quel  che  venia  senza  sospetto; 
E  con  gran  guardia  in  stretta  parte  chiuso. 
Con  gli  altri  era  serbato  al  crudel  uso. 

37 
Di  viso  era  costui  bello  e  giocondo 
E  di  maniere  e  di  costumi  ornato, 
E  di  parlar  si  dolce  e  si  facondo, 
Ch'un  aspe  volentier  l'avria  ascoltato: 
Si  che,  come  di  cosa  rara  al  mondo, 
De  l'esser  suo  fu  tosto  rapportato 
Ad  Alessandra  figlia  d'Orontea, 
Che  di  molt'anni  grave  anco  vivea. 

38 
Orontea  vivea  ancora;  e  già  mancate 
Tutt'eran  l'altre  ch'abitar  qui  prima: 
E  diece  tante  e  più  n'erano  nate, 
E  in  forza  eran  cresciute  e  in  maggior 
Né  tra  diece  fucine  che  serrate     [stima; 
Stavan  pur  spesso,  avean  più  d'una  lima; 
E  dieci  cavallieri  anco  avean  cura 
Di  dare  a  chi  venia  fiera  avventura. 

39 
Alessandra,  bramosa  di  vedere 
Il  giovinetto  ch'avea  tante  lode. 
Da  la  sua  matre  in  singular  piacere 
Impetra  si,  ch'Elbanio  vede  et  ode; 


Avverti  lo  scambio  di  soggetti  :  prima  legge, 
ora  donne,  poi  di  nuovo  legge;  il  che  rende 
men  chiaro  il  senso. 

35.  4.  Il  capo  ;  la  vita.  —  che.  Riferiscilo 
a  una  del  v.  3. 

—  7.  all'un;  ad  alcun.  Dante,  Inf.  21, 
74:  «Traggasi  avanti  l'uudi  voiche  m'oda». 

36.3.  buono;  valoroso,  È  latinismo  (bo- 
nus) già  antico  nella  nostra  letteratura. 

37.2.  maniere...  costumi;  belle  maniere  e 
bei  costumi.  Costumi  usò  assolutamente  iu 
buon  senso  anche  nel  e.  xxxiv,  19,  7.  Ma- 
niere, in  questo  senso  non  è  citato  dai  vo- 
cabol. 

—  4.  aspe.  V.  e.  xviii,  33,  n.  6. 


264 


ORLANDO  FURIOSO 


E  quando  vuol  partirne,  rimanere 
Si  sente  il  core  ove  è  chi  '1  punge  e  rode: 
Legar  si  sente,  e  non  sa  far  contesa, 
E  al  fin  dal  suo  prigion  si  trova  presa. 

40 
Elbanio  disse  a  lei:  Se  di  pietade 
S'avesse,  Donna,  qui  notizia  ancora, 
Come  se  n'ha  per  tutt'altre  contrade, 
Dovunque  il  vago  sol  luce  e  colora; 
Io  vi  osarci,  per  vostr'alnia  beltade 
Ch'ogu'animo  gentil  di  sé  inamora. 
Chiedervi  in  don  la  vita  mia,  che  poi 
Saria  ognor  presto  a  spenderla  per  voi. 

41 
Or  quando  fuor  d'ogni  ragion  qui  sono 
Privi  d'umanitade  i  cori  umani. 
Non  vi  domanderò  la  vita  in  dono: 
Che  i  prieghi  miei  so  ben  che  sarian  vani: 
Ma  che  da  cavalliero,  o  tristo  o  buono 
Ch'io  sia,  possi  morir  con  l'arme  in  mani, 
E  non  come  dannato  per  giudicio, 
0  come  animai  bruto  in  sacrificio. 

42 
Alessandra  gentil,  ch'umidi  avea. 
Per  la  pietà  del  giovinetto,  i  rai, 
Rispose:  Ancor  che  più  crudele  e  rea 
Sia  questa  terra,  ch'altra  fosse  mai; 
Non  concedo  però  che  qui  Medea 
Ogni  femina  sia,  come  tu  fai, 
E  quando  ogn'altra  cosi  fosse  ancora. 
Me  sola  di  tant'altre  io  vo'  trar  fuora. 

43 
E  se  ben  per  a  dietro  io  fossi  stata 
Empia  e  crudel,  come  qui  sono  tante. 
Dir  posso  che  suggetto  ove  mostrata 
Per  me  fosse  pietà,  non  ebbi  avante. 
Ma  ben  sarei  di  tigre  più  arrabbiata. 


40.  3.  tutt'altre;  tutte  le  altre.  V.  e.  x,  54, 7. 

—  5.  vi  osare!.. .  chiederTi,  Un  vi  è  pleo- 
nastico. 

41.  1.  quando,  poiché.  V.  e.  i,  IS,  3.  — 
fuor  d'ogni  r.;  al  di  sopra  di  quanto  possa 
comprendere  ogni  ragione  di  uomo. 

—  6.  possi,  possa.  Pulci,  Morgante  5,  1 . 
«  eh'  io  possi  seguitare  il  canto  mio  ».  E 
cosi  6,  1.  —  in  mani.  Forse  più  che  un  modo 
nuovo  è  da  vedervi  la  solita  omissione  del- 
l' articolo  (nelle  mani).  V.  e.  ii,  15,  n.  8  ; 
probabilmente  per  il  ricordo  del  latino  in 
lìianibus.  É  espressione  non  registrata  dai 
vocabol. 

42.  2.  Ricorda  il  verso  del  Petr.  i,  son. 
3:  «Per  la  pietà  del  suo  Fattore  i  rai». 

—  5.  Medea.  V.  e.  in,  52. 

—  6.  come  tu  fai;  come  tu  dici.  Dante, 
Inf.  I,  135:  «E  color  che  tu  fai  cotanto 
mesti  ». 

43.  1.  per  a  dietro.  Oggi  più  comune- 
mente ^aer  Vad'lietro.  Intendi:  E  se  anche 
fossi  stata  per  l'add.  empia  e  crudel  ecc. 


E  più  duro  avre'il  cor  che  di  diamante, 
Se  non  m'avesse  tolto  ogni  durezza 
Tua  beltà,  tuo  valor,  tua  gentilezza. 
44 

Cosi  non  fosse  la  legge  più  forte, 
Che  contra  i  peregrini  è  statuita. 
Come  io  non  schiverei  con  la  mia  morte. 
Di  ricomprar  la  tua  più  degna  vita. 
Ma  non  è  grado  qui  di  si  gran  sorte, 
Che  ti  potesse  dar  libera  aita; 
E  quel  che  chiedi  ancor  ben  che  sia  poco. 
Difficile  ottener  fia  in  questo  loco. 
45 

Pur  io  vedrò  di  far  che  tu  l'ottenga. 
Ch'abbi  inanzi  al  morir  questo  contento; 
Ma  mi  dubito  ben  che  te  ne  avvenga. 
Tenendo  il  morir  lungo,  più  tormento. 
Suggiunse  Elbanio:  Quando  incontra  io 

(venga 
A  dieci  armato,  di  tal  cor  mi  sento. 
Che  la  vita  ho  speranza  di  salvarme, 
E  uccider  lor,  se  tutti  fosser  arme. 
46 

Alessandra  a  quel  detto  non  rispose 
Se  non  un  gran  sospiro,  e  dipartisse, 
E  portò  nel  partir  mille  amorose 
Punte  nel  cor,  mai  non  sanabil,  fisse: 
Venne  alla  madre,  e  voluntà  le  pose 
Di  non  lasciar  che  il  cavalier  morisse. 
Quando  si  dimostrasse  cosi  forte. 
Che,  solo,  avesse  posto  i  dieci  a  morte. 
47 

La  regina  Orontea  fece  raccórre 
Il  suo  consiglio,  e  disse:  A  noi  conviene 
Sempre  il  miglior  che  ritroviamo,  porre 
A  guardar  nostri  porti  e  nostre  arene; 
E  per  saper  chi  ben  lasciar,  chi  tòrre,[ne; 
Prova  è  sempre  da  far,  quando  gli  avvie- 
Per  non  patir  con  nostro  danno  a  torto. 
Che  regni  il  vile,  e  chi  ha  valor  sia  morto. 


44.  1.  pili  forte;  di  me  e  della  mia  buona 
volontà. 

—  5.  sorte,  qualità.  V.  e.  V,  17,  n.  6. 

—  8.  Difficile  otten.  ;  diflf.  a  ottener.  V. 
e.  I,  4,  n.  1. 

45.  2.  Ch'  abbi  ;  sicché  tu  abbia. 

—  3.  te  neaTvenga;  te  ne  venga,  v.  e.  iv, 
61,  n.  5. 

—  4.  Tenendo  il  m.  lungo.  Nel  e.  XXXI  18, 
si  ha  nello  stesso  signific.  tenere  in  lunga; 
cioè  trarre  in  litngo.  Son  locuzioni  non 
citate  dai  vocabol.  Il  Sacchetti  nov.  203  ha 
tener  per  lungo. 

—  8.  se  tutti  ecc.;  se  t.  fossero  armati 
dal  capo  ai  piedi.  Cfr.  espress,  simili:  è 
tutto  orecchi,  tutt'occhi,  ecc. 

46.  5.  Toluntà  le  p.;  le  mise  voglia.  Modo 
non  registrato  dai  vocabol. 

47.  6.  q.  gli  avviene;  quand'egli  avviene 
di  poterla  fare. 


CANTO  XX 


265 


48 
A  me  par,  so  a  voi  par,  che  statuito 
Sia  ch'ojjni  cavallier  per  lo  avvenire, 
Che  P'ortuna  abbia  tratto  al  nostro  lito, 
Prima  cli'al  tempio  si  taccia  morire, 
Possa  egli  sol,  se  gli  piace  il  partito, 
Incontra  i  dieci  alla  battaglia  uscire: 
E  se  di  tutti  vincerli  è  possente, 
Guardi  egli  il  porto,  e  seco  abbia  altra 

49  [gente. 

Parlo  cosi,  perché  abbiàn  qui  un  prigio- 
Che  par  che  vincer  dieci  s'offerisca,    [ne 
Quando  sol  vaglia  tante  altre  persone, 
Dignissimo  è,  per  Dio,  che  s'esaudisca. 
Cosi  in  contrario  avrà  punizione, 
Quando  vaneggi,  e  temerario  ardisca. 
Orontea  fine  al  suo  parlar  qui  pose, 
A  cui  de  le  piii  antique  una  rispose: 

50 
Jja  principal  cagìon  ch'a  far  disegno 
Sul  commercio  degli  uomini  ci  mosse. 
Non  fu  perch'a  difender  questo  regno 
Del  loro  aiuto  alcun  bisogno  fosse; 
Che  per  far  questo  abbiamo  ardirp  e  in- 

[gegno 
Da  noi  medesme,  e  a  sufficienzia  posse: 
Cosi  senza  sapessimo  far  anco. 
Che  non  venisse  il  propagarci  a  manco. 

51 
Ma  poi  che  senza  lor  questo  non  lece. 
Tolti  abbiàn,  ma  non  tanti,  in  compagnia, 
Che  mai  ne  sia  più  d'uno  incontra  diece, 
Si  ch'aver  di  noi  possa  signoria. 
Per  conciper  di  lor  questo  si  fece, 
Non  che  di  lor  difesa  uopo  ci  sia. 
La  lor  prodezza  sol  ne  vaglia  in  questo, 
E  sieno  ignavi  e  inutili  nel  resto. 

52 
Tra  noi  tenere  un  uom  che  sia  si  forte, 
Contrario  è  in  tutto  al  principal  disegno. 


48.  8.  e  seco  ecc.  E  seco  possa  aver  salva 
parte  della  gente  eh'  è  arrivata  insieme  con 
lui. 

49.  6.  ardisca;  sia  ardito,  audace. 

—  8.  de  le  più  antique.  E  alla  st.  55  si  di- 
cono le  vecchie.  Sembra  da  intendere:  d.  1. 
p.  mature.  Infatti  alla  st.  3S  ha  detto  «già 
mancate  Tutte  eran  l'altre  ch'abitar  qui 
prima  >  fuorché  Orontea.  Quelle  perciò 
della  stessa  generazione  d'Alessandra  non 
potevano  essere  a  tal  distanza  d'età  da 
potersi  dire  antique  e  vecchie. 

50.2.  commercio;  compagnia. 

—  8.  venisse...  a  manco;  venisse  manco, 
meno.  II  cfie  vale  cosi  che. 

51.  3.  Ch-e;  É  correlativo  di  non  tanti;  e 
avverti  la  dura  inversione. 

—  4.  possa;  più  chiaramente  possano; 
ma  questo  singolare  ha  sentito  r  azione  di 
uno  del  verso  3. 


Se  può  un  solo  a  dieci  uomini  dar  morte. 
QuacJe  donne  farà  stare  egli  al  segno  ? 
Se  i  dieci  nostri  fosser  di  tal  sorte, 
Il  primo  di  n'avrebbon  tolto  il  regno. 
Non  è  la  via  di  dominar,  se  vuoi 
Por  l'arme  in  mano  a  chi  può  più  di  noi. 
53 

Pon  mente  ancor,  che  quando  cosi  aiti 
Fortuna  questo  tuo  che  dieci  uccida. 
Di  cento  donne  che  de'  lor  mariti 
Kimarran  prive,  sentirai  le  grida. 
Se:  vuol  campar  proponga  altri  partiti, 
Ch'esser  di  dieci  gioveni  omicida. 
Pur,  se  per  far  con  cento  donne  è  buono 
Quel  che  dieci  fariano,  abbi  perdono. 
54 

Fu  d'Artemia  crudel  questo  il  parere 
(Cosi  avea  nome);  e  non  mancò  per  lei 
Di  far  nel  tempio  Elbanio  rimanere 
Scannato  innanzi  agli  spietati  Dei. 
Ma  la  madre  Orontea  che  compiacere 
Volse  alla  figlia,  replicò  a  colei 
Altre  et  altre  ragioni,  e  modo  tenne 
Che  nel  senato  il  suo  parer  s'ottenne. 
55 

L'aver  Elbanio  di  bellezza  il  vanto 
Sopra  ogni  cavallier  che  fosse  al  mondo. 
Fu  nei  cor  de  le  giovani  di  tanto, 
Ch'erano  in  quel  consiglio,  e  di  tal  pondo, 
Che  '1  parer  de  le  vecchie  andò  da  canto, 
Che  con  Artemia  volean  far  secondo 
L'ordine  antiquo;  né  lontan  fu  molto 
Ad  esser  per  favore  Elbanio  assolto. 
56 

Di  perdonargli  in  somma  fu  concluso. 
Ma  poi  che  la  decina  avesse  spento, 
E  che  ne  l'altro  assalto  fosse  ad  uso 


53.8.  abbi;  abbia,  Pulci,  Morg.  6,  45: 
«  Acciò  che  niun  di  lor  non  abbi  errato  »  e 
cosi  7,  11;  8,  53  ecc. 

54.  2.  non  mance  ecc.  Qui  abbiamo  la  fu- 
sione di  due  costrutti:  ella  non  mancò  di 
far  rimanere  E.  scannato  n.  t.  ~  per  lei 
non  mancò  che  Elbanio  rimanesse  scann. 
n.  t.  Dopo  7ion  mancò  per  lei,  che  vorrebbe 
il  secondo  costrutto,  continua  con  di  far 
rimanere,  che  supporrebbe  il  primo.  Forse 
potrebbe  anche  intendersi  per  lei  come  pei^ 
sé,  quanto  a  sé,  per  parte  sua;  V.  e.  iv,  6, 
n.  3;  ella  non  mancò  per  parte  sua. 

—  7.  tenne  modo;  fece  in  modo.  V.  e.  xvm, 
83,  n.  1. 

—  8.  s'  ottenne.  Ottenersi  un  partito,  un 
parere  e  simili  signiiìc3i  prevale7'e.  Anguil- 
LARA,  En.  97:  «  Il  parer  di  Timete  non  s' ot- 
tenne ».  V.  anche  e.  xxxviii,  65. 

55.  8.  assolto;  messo  in  libertà.  Nel  ver- 
so seguente  abbiamo  perdonargli,  rispar- 
miarlo. L'uno  e  l'altro  non  includono  qui 
alcuna  idea  di  colpa. 


266 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  diece  donne  buono,  e  non  di  cento. 
Di  career  l'altro  giorno  fu  dischiuso; 
E  avuto  arme  e  cavallo  a  suo  talento, 
Contra  dieci  guerrier  solo  si  mise, 
E  l'uno  appresso  all'altro  inpiazza  uccise. 
57 

Fu  la  notte  seguente  a  prova  messo 
Contra  diece  donzelle  ignudo  e  solo, 
Dove  ebbe  all'ardir  suo  si  buon  successo. 
Che  fece  il  saggio  di  tutto  lo  stuolo. 
E  questo  gli  acquistò  tal  grazia  appresso 
Ad  Orontea,  che  l'ebbe  per  figliuolo, 
E  gli  diede  Alessandra  e  l'altre  nove 
Con  ch'avea  fatte  le  notturne  prove. 
58 

E  lo  lasciò  con  Alessandra  bella, 
Che  poi  die  nome  a  questa  terra,  erede, 
Con  patto  ch'a  servare  egli  abbia  quella 
Legge,  et  ogni  altro  che  da  lui  succede: 
Che  ciascun  che  già  mai  sua  fiera  stella 
Farà  qui  por  lo  sventurato  piede. 
Elegger  possa  o  in  sacrificio  darsi, 
O  con  dieci  guerrier  solo  provarsi. 
59 

E  se  gli  avvien  che  '1  di  gli  uomini  ucci- 
La  notte  con  le  femine  si  provi;  [da, 

E  quando  in  questo  ancor  tanto  gli  arrida 
La  sorte  sua,  che  vincitor  si  trovi, 
Sia  del  femiueo  stuol  principe  e  guida, 
E  la  decina  a  scelta  sua  rinovi. 
Con  la  qual  regni,  fin  ch'un  altro  arrivi, 
Che  sia  più  forte,  e  lui  di  vita  privi. 

60  [pio 

Appresso  a  dna  mila  anni  il  costume  em- 
Si  è  mantenuto  e  si  mantiene  ancora; 
E  sono  pochi  giorni  che  nel  tempio 
Uno  infelice  peregrin  non  mora. 
Se  contra  dieci  alcun  chiede,  ad  esempio 
D'Elbanio,  armarsi  (che  ve  n'è  talora), 
Spesso  la  vita  al  primo  assalto  lassa; 
Né  di  mille  uno  all'altra  prova  passa. 


58.  2.  die  nome.  La  città  è  .\lessandretta. 

—  4.  da  lui  succede  :  da  1.  deriva,  deri- 
verà. Uso  affine  a  quello  del  e.  xiv,  50,  e 
non  registrato  dai  vocabol. 

—  5.  Che;  a  cui.  Uso  popolare  del  che. 
V.  e.  xiii,  37,  u.  5.  —  già  mai.  È  lo  stesso, 
ma  più  efficace  del  semplice  mai,  alcuna 
volta.  Buonarroti,  Rime,  19:  «  Quando, 
donna,  già  mai  potrò  morire  ?»  e  cosi  il 
Petr.  I,  son.  67. 

59.6.  la  decina;  dei  cavalieri  che  han  da 
combattere  con  chi  per  avventura  appro- 
dasse. Il  vincitore  dunque  poteva  a  suo  ta- 
lento scegliere  chi  sostituisse  i  dieci  cava- 
lieri uccisi. 

60.  1.  Appresso;  circa. 

—  3.  pochi  giorni;  pochi  i  giorni.  Solita 
omissione  dell'ariic. 


61 
Pur  ci  passano  alcuni;  ma  si  rari, 
Che  su  le  dita  annoverar  si  ponno. 
Uno  di  questi  fu  Argilon;  ma  guari 
Con  la  decina  sua  non  fu  qui  donno; 
Che  cacciandomi  qui  venti  contrari. 
Gli  occhi  gli  chiusi  in  sempiterno  sonno. 
Cosi  fossi  io  con  lui  morto  quel  giorno, 
Prima  che  viver  servo  in  tanto  scorno. 
62 
Che  piaceri  amorosi  e  riso  e  gioco. 
Che  suole  amar  ciascun  de  la  mia  etade. 
Le  purpure  e  le  gemme,  e  l'aver  loco 
Inanzi  agli  altri  ne  la  sua  cittade. 
Potuto  hanno,  per  Dio,  mai  giovar  poco 
AU'uom  che  privo  sia  di  libertade: 
E  '1  non  poter  mai  più  di  qui  levarmi. 
Servitù  grave  e  intolerabil  parrai. 
63 
Il  vedermi  lograr  dei  miglior  anni 
Il  più  bel  fiore  in  si  vile  opra  e  molle, 
Tiemmi  il  cor  sempre  in  stimulo  e  in  af- 
Et  ogni  gusto  di  piacer  mi  toUe.    [fauni. 
La  fama  del  mio  sangue  spiega  i  vanni  - 
Per  tutto  '1  mondo,  e  fin  al  ciel  s'estolle  : 
Che  forse  buona  parte  anch'io  n'avrei, 
S'esser  potessi  coi  fratelli  miei. 
64 
Parrai  ch'ingiuriali  mio  destin  mi  faccia 
Avendomi  a  si  vii  servigio  eletto, 
Corae  chi  ne  l'arraento  il  destrier  caccia, 
Il  qual  d'occhio  di  piedi  abbia  difetto, 
0  per  altro  accidente  che  dispiaccia, 
Sia  fatto  all'arme  e  a  miglior  uso  inetto: 
Né  sperando  io,  se  non  per  morte,  uscire 
Di  si  vii  servitù  bramo  morire. 
65 
Guidon  qui  fine  alle  parole  pose, 
E  maledi  quel  giorno  per  isdegno, 
I  II  qual  dei  cavallieri  e  de  le  spose 
Gli  die  vittoria  in  acquistar  quel  regno. 
Astolfo  stette  a  udire,  e  si  nascose 
Tanto,  che  si  fé'  certo  a  più  d'un  segno, 
Che,  come  detto  avea,  questo  Guidone 
Era  figliuol  del  suo  parente  Amone. 
66 
Poi  gli  rispose:  Io  sono  il  duca  Inglese, 
Il  tuo  cugino  Astolfo;  et  abbracciollo, 
E  con  atto  araorevole  e  cortese, 
Non  senza  sparger  lagrirae,  baciollo. 
Caro  parente  raio,  non  più  palese 
Tua  madre  ti  potea  por  segno  al  collo  ; 
Ch'a  farne  fede  che  tu  sei  de'  nostri. 
Basta  il  valor  che  con  la  spada  mostri. 


62.  5.  mai;  sempre,  sempre  mai.  I  voca- 
bolari non  citano  di  quest'  uso  esempi  bea 
chiari.   Questo  è  spiccatissimo  e  notevole. 

63.  7.  Che  ;  V.  e.  i,  65,  n.  5  e  xxiv,  75,  n.  1. 
65.  6.  Tanto  che;  fintanto  che. 


CANTO  XX 


207 


67 

Guidon,  ch'altrove  avria  fatto  gran  festa 
D'aver  trovato  uu  si  stretto  parente, 
Quivi  l'accolse  con  la  faccia  mesta, 
Perché  fu  di  vedervilo  dolente. 
Se  vive,  sa  ch'Astolfo  schiavo  resta, 
Né  il  termine  è  più  là  che  il  di  seguente; 
!Se  fia  libero  Astolfo,  ne  more  esso: 
Si  che  '1  ben  d'uno  è  il  mal  de  l'altro  e- 
68  [spresso. 

Gli  duol  che  gli  altri  cavallieri  ancora 
Abbia,  vincendo,  a  far  sempre  captivi. 
Né  più,  quando  esso,  in  quel  contrasto  mo- 
Potrà  giovar  che  servitù  lor  schivi:    [ra, 
Che  se  d'un  fango  ben  li  porta  fuora, 
E  poi  s'inciampi  come  all'altro  arrivi, 
Avrà  lui  senza  prò  vinto  Marfisa; 
Ch'essi  pur  ne  fìen  schiavi,  et  ella  uccisa. 
69 

Da  l'altro  canto  avea  l'acerba  etade, 
La  cortesia  e  il  valor  del  giovinetto 
D'amore  intenerito  e  di  pietade 
Tanto  a  Marfisa  et  ai  compagni  il  petto, 
Che,  con  morte  di  lui  lor  libertade 
Esser  dovendo,  avean  quasi  a  dispetto: 
E  se  Marfisa  non  può  far  con  manco 
Ch'uccider  lui,  vuol  essa  morir  anco. 
70 

Ella  disse  a  Guidon:  Vientene  insieme 
Con  noi,  ch'a  viva  forza  uscirèn  quinci. 
Deh  (rispose  Guidon)  lascia  ogni  speme 
Di  mai  più  uscirne,  o  perdi  meco  o  vinci. 
Ella  suggiunse:  Il  mio  cor  mai  non  teme 
Di  non  dar  fine  a  cosa  che  cominci; 
Né  trovar  so  la  più  sicura  strada 
Di  quella  ove  mi  sia  guida  la  spada. 
71 

Tal  ne  la  piazza  ho  il  tuo  valor  provato. 
Che,  s'io  son  teco,  ardisco  ad  ogn'impre- 
Quando  la  turba  intorno  allo  steccato  [sa. 


67  8.  espresso,  evidente,  chiaro.  V.  e.  xi, 
81,  n.  7. 

68.  3.  Né  pili  ecc.  Né,  morendo,  potrà  gio- 
vare più  che  vincendo,  cosicché  schivi  loro 
la  servitù. 

—  4.  8.  1.  schivi.  V.  e.  XI,  56,  n.  6. 

—  5.  porta.  TI  sogg.  è  il  seguente  Mar- 
fisa.  Portar  fuori  d'  un  fango,  d'  uu  im- 
piccio, è  immagine  presa  dal  cammino  in 
luoghi  paludosi. 

70.  4.  0  perdi  m.  o  v.  Forse  son  congiunti- 
vi, poiché  queste  flessioni  usò  altre  volte 
l'A.  V.  e.  XV,  86,  n.  5;  ma  possono  essere 
anche  indicativi ,  cfr.  volse  o  non  volse  nel 
canto  xviii,  S,  4,  e  la  nota  annessa. 

71.  2.  ardisco  ad  o.  im.  È  costrutto  non  co- 
mune ;  ma  bello,  e  rende  il  latino  audere 
in  aliquid.  Virgil.,  En.  2,  347:  «  Quos  ubi 
confertos  audere  in  proelia  vidi  ». 


Sarà  domani  in  sul  teatro  ascesa. 
Io  vo'che  l'uccidiàn  per  ogni  lato, 
0  vada  in  fuga  o  cerchi  far  difesa, 
E  ch'agli  lupi  e  agli  avoltoi  del  luogo 
Lasciamo  i  corpi,  e  la  cittade  ai  fuoco. 
72 

Suggiunse  a  lei  Guidon:  Tu  m'avrai 
A  seguitarti,  et  a  morirti  a  canto,  [pronto 
Ma  vivi  rimaner  non  facciàu  conto; 
Bastar  ne  può  di  vendicarci  alquanto: 
Che  spesso  dieci  mila  in  piazza  conto 
Del  popol  feminile,  et  altretanto 
Resta  a  guardare  e  porto  e  ròcca  e  mura, 
Né  alcuna  via  d'uscir  trovo  sicura. 

78 
Disse  Marfisa:  E  molto  più  sieno  elle 
Degli  uomini  che  Serse  ebbe  già  intorno, 
E  sieno  più  de  l'anime  ribelle 
Ch'uscir  del  ciel  con  lor  perpetuo  scorno: 
Se  tu  sei  meco,  oalmeunon  sie  con  quelle. 
Tutte  le  voglio  uccidere  in  un  giorno. 
Guidon  suggiunse:  Io  non  ci  so  via  alcuna 
Ch'a  valer  n'abbia,  se  non  vai  quest'una. 
74 

Ne  può  sola  salvar,  se  ne  succede, 
Quest'una  ch'io  dirò,  ch'or  mi  sovviene. 
Fuor  ch'alle  donne,  uscir  non  si  concede. 
Né  metter  piede  in  su  le  salse  arene: 
E  per  questo  commettermi  alla  fede 
D'una  de  le  mie  donne  mi  conviene. 
Del  cui  perfetto  amor  fatta  ho  sovente 
Più  prova  ancor,  ch'io  non  farò  al  presente. 
75 

Non  men  di  me  tormi  costei  disia 
Dì  servitù,  pur  che  ne  venga  meco; 
Che  cosi  spera,  senza  compagnia 
De  le  rivali  sue,  ch'io  viva  seco. 
Ella  nel  porto  o  fuste  o  saettia 
Farà  ordinar,  mentre  è  ancor  l'aer  cieco, 
Che  i  marinari  vostri  troveranno 
Acconcia  a  navigar,  come  vi  vanno. 
76 

Dietro  a  me  tutti  in  un  drappel  ristretti, 
Cavallieri,  mercanti  e  galeotti, 


—  4.  teatro;  le  gradinate  costruite  in  le- 
gno intorno  alla  lizza. 

73.  5.  sei...  sie...  Il  primo  iiidicat.  mostra 
la  convinzione  di  Marfisa  che  G.  sia  con 
lei;  il  secondo  cong.  mostra  la  lontana  sup- 
posizione che  potesse  esser  con  quelle. 

—  7.  ci;  in  questa  cosa.  Comune  anche 
oggi  nel  linguaggio  parlato. 

74.  1.  ne  succede;  ci  riesce  a  buon  fine. 
V.  e.  II,  22,  u.  6. 

75.  5.  fnste.  K  singol.  (lat.  fustis)  V.  e. 
vin,  60,  2.  —  saettia,  cosi  detta  per  la  sua 
velocità  fu,  prima,  nave  da  pirati,  poi  an- 
che da  guerra. 

76.  2.  mercanti.  Si  rammenti  che  la  nave 


268 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'ad  albergarvi  sotto  a  questi  tetti 
Meco,  vostra  mercé,  sete  ridotti. 
Avrete  a  farvi  ampio  sentier  coi  petti, 
Se  del  nostro  camin  siamo  interrotti: 
Cosi  spero,  aiutandoci  le  spade. 
Ch'io  vi  trarrò  de  la  crudel  cittade. 
77 

Tu  fa  come  ti  par  (disse  Marfisa), 
Ch'io  son  per  me  d'uscir  di  qui  sicura. 
Più  facil  tìa  che  di  mia  mano  uccisa 
La  gente  sia,  che  è  dentro  a  queste  mura, 
Che  mi  veggi  fuggire,  o  in  altra  guisa 
Alcun  possa  notar  ch'abbi  paura. 
Vo'  uscir  di  giorno  e  sol  per  forza  d'arme; 
Che  per  ogn'altro  modo  obbrobrio parme. 
78 

S'io  ci  fossi  per  donna  conosciuta, 
So  ch'avrei  da  le  donne  onore  e  pregio; 
E  volentieri  io  ci  sarei  tenuta, 
E  tra  le  prime  forse  del  collegio: 
Ma  con  costoro  essendoci  venuta, 
Non  ci  vo'  d'essi  aver  più  privilegio. 
Troppo  error  fora  ch'io  mi  stessi  o  andassi 
Libera,  e  gli  altri  in  servitù  lasciassi. 
79 

Queste  parole  et  altre  seguitando. 
Mostrò  Marfisa  che  '1  rispetto  solo 
Ch'avea  al  periglio  de'  compagni  (quando 
Potria  loro  il  suo  ardir  tornare  in  duolo), 
La  tenea  che  con  alto  e  memorando 
Segno  d'ardir  non  assalia  lo  stuolo: 
E  per  questo  a  Guidon  lascia  la  cura 
D'ubar  la  via  che  più  gli  par  sicura. 
80 

Guidon  la  notte  con  Aleria  parla 
(Cosi  avea  nome  la  più  fida  moglie)  : 
Né  bisogno  gli  fu  molto  pregarla. 
Che  la  trovò  disposta  alle  sue  voglie. 
Ella  tolse  una  nave  e  fece  armarla, 
E  v'arrecò  le  sue  più  ricche  spoglie. 
Fingendo  di  volere  al  nuovo  albóre 
Con  le  compagne  uscire  in  corso  fuore. 
81 

Ella  avea  fatto  nel  palazzo  inanti 
Spade  e  lance  arrecar,  corazze  e  scudi, 
Onde  armar  si  potessero  i  mercanti 
E  i  galeotti  ch'eran  mezzo  nudi. 


prigioniera   era   una  nave  da  mercanzie. 
V.  e.  XIX,  135. 

—  4.  vostra  mercé.  È  formula  di  puro 
complimento. 

—  t..  del  n.  cammin.  È  complem.  di  limi- 
tazione. 

77.  5.  veggi;  Può  essere  seconda  o  terza 
pers.  del  cong.  V,  e.  xv,  ti6,  n.  5.  La  stessa 
nota  valga  per  il  seguente  abbi. 

79.5.  La  tenea...  chen.  ass.  ;  la  tratteneva 
che  non  assalisse.  Di  quest'  uso  dell'  indie, 
col  verbo  tenere  si  cita  questo  solo  esempio 
deirA. 


Altri  dormirò,  et  altri  stèr  veggianti, 
Compartendo  tra  lor  gli  ozi  e  gii  studi  ; 
Spesso  guardando,  e  pur  con  l'arme  in- 
Se  l'Oriente  ancor  si  facea  rosso,  [dosso. 
82 

Dal  duro  volto  de  la  terra  il  sole 
Non  tollea  ancora  il  velo  oscuro  et  atro; 
A  pena  avea  la  Licaonia  prole 
Per  li  solchi  del  ciel  volto  l'aratro; 
Quando  il  femineo  stuol,  che  veder  vuole 
11  fin  de  la  battaglia,  empi  il  teatro. 
Come  ape  del  suo  claustro  empie  la  soglia, 
Che  mutar  regno  al  nuovo  tempo  voglia. 
83 

Di  trombe,  di  tambur,  di  suon  di  corni 
Il  popol  risonar  fa  cielo  e  terra, 
Cosi  citando  il  suo  Signor,  che  torni 
A  terminar  la  cominciata  gaerra. 
Aquilante  e  Grifon  stavano  adorni 
De  le  lor  arme,  e  il  Duca  d'Inghilterra, 
Guidon,  Marfisa,  Sansonetto  e  tutti 
Gli  altri,  chi  a  piedi  e  chi  a  cavallo  instrutti. 
84 

Per  scender  dal  palazzo  al  mare  e  al 
La  piazza  traversar  si  con  venia;  [porto, 
Né  v'era  altro  camin  lungo  né  corto: 
Cosi  Guidon  disse  alla  compagnia. 
E  poi  che  di  ben  far  molto  conforto 
Lor  diede,  entrò  senza  rumore  in  via; 
E  ne  la  piazza  dove  il  popol  era, 
S'appresentò  con  più  di  cento  in  schiera. 
85 

Molto  affrettando  i  suoi  compagni,  an- 
Guidone  all'altra  porta  per  uscire:  [dava 
Ma  la  gran  moltitudine  che  stava 
Intorno  armata,  e  sempre  atta  a  ferire, 
Pensò,  come  lo  vide  che  menava 

81.  G.  studi;  occupazioni.  È  poetico. 

82.3.  1.  Licaonia  p.;  appena  Callisto  avea 
compito  in  cielo  il  suo  giro.  Callisto  figlia 
di  Licaone,  resa  madre  da  Giove,  fu  da 
Giunone  mutata  in  Orsa,  e  da  Giove  stesso 
messa  fra  le  costellazioni.  L' Orsa  maggiore 
non  si  dilegua  dagli  occhi  nostri  se  non 
quando  s'  appressa  l' aurora. 

—  6.  il  f.  de  la,b.  V.  e.  XIX,  106. 

—  7.  come  ape  ecc.  Le  api  si  aggruppano 
dinanzi  all'alveare,  quando,  a  primavera, 
vogliono  sciamare. 

83.  3.  citando,  (lat.  Citare),  chiamando. 
Si  cita  solo,  ma  non  dalla  Crusca,  questo 
luogo  dell'  A. 

—  8.  instrnttì;  apparecchiati.  Latinismo 
assai  amato  dall' A.  (xix,  65;  xxxviii,  77; 
XLVi,  'j6)  e  da  altri  scrittori. 

85.  2.  all'a.  porta.  Qui  si  tratta  delle  porte 
della  lizza,  la  quale  occupava  tutta  questa 
piazza.  Lo  steccato  aveva  quattro  porte  op- 
poste fra  loro,  donde  entravano  i  combat- 
tenti e  il  loro  seguito. 


CANTO  XX 


269 


Seco  quegli  altri,  che  volea  fuggire; 
E  tutta  a  un  tratto  agli  arch  i  suoi  ricorse, 
E  parte,  onde  s'uscia,  venne  ad  opporse. 
86 

Guidone  e  gli  altri  cavallier  gagliardi, 
E  sopra  tutti  lor  Marfisa  forte, 
Al  menar  de  le  man  non  furon  tardi, 
E  molto  fèr  per  isforzar  le  porte: 
Ma  tanta  e  tanta  copia  era  dei  dardi 
Che,  con  ferite  dei  compagni  e  morte, 
Pioveano  ior  di  sopra  e  d'ogn'intorno, 
Ch'alfìn  temean  d'averne  danno  e  scorno. 
87 

D'ogni  guerrier  l'usbergo  era  perfetto; 
Che  se  non  era,  avean  pili  da  temere. 
Fu  morto  il  destrier  sotto  a  Sansonetto: 
Quel  di  Marfisa  v'ebbe  a  rimanere. 
Astolfo  tra  sé  disse:  Ora,  ch'aspetto 
Che  mai  mi  possa  il  corno  più  valere? 

10  vo'  veder,  poi  che  non  giova  spada, 
S'io  80  col  corno  assicurar  la  strada. 

88 

Come  aiutar  ne  le  fortune  estreme 
Sempre  si  suol,  si  pone  il  corno  a  bocca. 
Par  che  la  terra  e  tutto  '1  mondo  trieme, 
Quando  l'orribii  suon  ne  l'aria  scocca. 
Si  nel  cor  de  la  gente  il  timor  preme. 
Che  per  disio  di  fuga  si  trabocca 
Giù  del  teatro  sbigottita  e  smorta, 
Non  che  lasci  la  guardia  de  la  porta. 
89 

Come  talor  si  getta  e  si  periglia 
E  da  finestra  e  da  sublime  loco 
L'esterrefatta  subito  famiglia. 
Che  vede  appresso  o  d'ogu'iutorno  il  fuoco. 
Che,  mentre  le  tenea  gravi  le  ciglia 

11  pigro  sonno,  crebbe  a  poco  a  poco; 
Cosi,  messa  la  vita  in  abandono. 
Ognun  fuggia  lo  spaventoso  suono. 

90 
Di  qua  di  là,  di  su  di  giù  smarrita 
Surge  la  turba,  e  di  fuggir  procaccia. 
Sonpiùdi  mille  aun  tempo  ad  ogni  uscita: 
Cascano  a  monti,  e  Tuna  l'altra  impaccia. 
In  tanta  calca  perde  altra  la  vita; 
Da  palchi  e  da  finestre  altra  si  schiaccia  : 


87.  4.  v'ebbe  a  rimanere  ;  corse  pericolo 
di  rimanervi.  Infatti  non  vediamo  che  M. 
in  seguito  sia  senza  cavallo. 

88.  8.  Non  che  1.  ;  V.  e.  vii,  62,  n.  1. 

89.  1.  si  periglia,  si  pone  a  pericolo.  Per 
quest'  uso  riflessivo  si  cita  dai  vocabolari 
solamente  l'Ariosto.  Il  Parini  lo  usò  neutro 
assoluto  «  perigliando  gisse  »,  Matt.  315. 

—  3.  subito.  O  puoi  intendere  esterre- 
fatta improvvisamente,  o  puoi  unire  il 
subito  al  seguente  che;  subito  che,  appena 
che.  Nel  primo  caso  il  che  è  relativo  di  ra- 
miglia. 

90.6.  Da  palchi  e.  d.  f.;  Sottintendi  co- 
diando. 


Più  d'un  braccio  si  rompe  e  d'una  testa. 

Di  ch'altra  morta,  altra  storpiata  resta. 

91 

Il  pianto  e  '1  grido  insino  al  ciel  saliva, 
D'alta  mina  misto  e  di  fracasso. 
Affretta,  ovunque  il  suon  del  corno  arriva, 
La  turba  spaventata  in  fuga  il  passo. 
Se  udite  dir  che  d'ardimento  priva 
La  vii  plebe  si  mostri  e  di  cor  basso. 
Non  vi  meravigliate,  che  natura 
E  de  la  lepre  aver  sempre  paura. 
92 

Ma  che  direte  del  già  tanto  fiero 
Cor  di  Marfisa  e  di  Guidon  Selvaggio? 
Dei  dna  giovini  figli  d'Oliviero, 
Che  già  tanto  onoraro  il  lor  lignaggio? 
Già  cento  mila  avean  stimato  un  zero; 
E  in  fuga  or  se  ne  van  senza  coraggio, 
Come  conigli  o  timidi  colombi, 
A  cui  vicino  alto  rumor  rimbombi. 
93 

Cosi  noceva  ai  suoi,  come  agli  strani 
La  forza  che  nel  corno  era  incantata. 
Sansonetto,  Guidone  e  i  duo  germani 
Fiiggon  dietro  a  Marfisa  spaventata; 
Né  fuggendo  ponno  ir  tanto  lontani, 
Che  lor  non  sia  l'orecchia  anco  intronata. 
Scorre  Astolfo  la  terra  in  ogni  lato. 
Dando  via  sempre  al  corno  maggior  fiato. 
94  [monte. 

Chi  scese  al  mare,  e  chi  poggiò  su  al 
E  chi  tra  i  boschi  ad  occultar  si  venne: 
Alcuna  senza  mai  volger  la  fronte. 
Fuggir  per  dieci  di  non  si  ritenne: 
Usci  in  tal  punto  alcuna  fuor  del  ponte. 
Ch'in  vita  sua  mai  più  non  vi  rivenne: 
Sgombrar©  in  modo  e  piazze  e  templi  e 
Che  quasi  vota  la  città  rimase.         [case, 
95 

Marfisa  e  '1  buon  Guidone  e  i  duo  fratelli 
E  Sansonetto,  pallidi  e  tremanti, 
Fuggiano  inverso  il  mare,  e  dietro  a  quelli 
Fuggiano  i  marinari  e  i  mercatanti; 
Ove  Aleria  trovar,  che  fra  i  castelli 
Loro  avea  un  legno  apparecchiato  i^anti. 
Quindi,  poi  ch'in  gran  fretta  gli  raccolse, 
Dio  i  remi  all'acqua,  et  ogni  vela  sciolse. 
96 

Dentro  e  d'intorno  il  Duca  la  cittade 
Avea  scorsa  dai  colli  insino  all'onde; 
Fatto  avea  vote  rimaner  le  strade: 
Ognun  lo  fugge,  ognun  se  gli  nasconde. 
Molte  trovate  fur,  che  per  viltate 

—  8.  È  verso  quasi  interamente  ripetuto. 
V,  e.  xirr,  38,  3. 

94.  6.  Ch'in  vita  s.  ecc.  Alcuna  fuggi  tanto 
e  con  tanto  spavento  che,  passato  il  ponte 
sul  fosso  di  cinta,  non  ardi  di  tornar  più 
mai  in  città. 

95.  5.  i  castelli.  V.  e.  XIX,  54,  n.  4. 


270 


ORLANDO  FURIOSO 


S'eran  gittate  in  parti  oscure  e  immonde: 
E  molte,  non  sappiendo  ove  s'andare, 
Messesi  a  nuoto  et  aftogate  in  mare. 
97 

Per  trovare  i  compagni  il  Duca  viene, 
Che  si  credea  di  riveder  sul  molo. 
Si  volge  intorno,  e  le  deserte  arene 
Guarda  per  tutto,  e  non  v'appare  un  solo. 
Leva  più  gli  occhi,  e  in  alto  a  vele  piene 
Da  sé  lontani  andar  lì  vede  a  volo: 
Si  che  gli  convien  fare  altro  disegno 
Al  suo  carain,  poi  che  partito  è  il  legno. 
98 

Lasciamolo  andar  pur;  né  vi  rincresca 
Che  tanta  strada  far  debba  soletto 
Per  terra  d'infedeli  e  barbaresca, 
Dove  mai  non  si  va  senza  sospetto: 
Non  è  periglio  alcuno  onde  non  esca 
Con  quel  suo  corno,  e  n'ha  mostrato  effet- 
E  dei  compagni  suoi  pigliamo  cura,    [to: 
Ch'ai  mar  fuggian  tremando  di  paura. 
99 

A  piena  vela  si  cacciaron  lunge 
Da  la  crudele  e  sanguinosa  spiaggia: 
E  poi  che  di  gran  lunga  non  li  giunge 
L'orribil  suon  ch'a  spaventar  più  gli  ag- 
Insolita  vergogna  si  gli  punge,  [già, 

Che,  com'un  fuoco,  a  tutti  il  viso  raggia. 
L'un  non  ardisce  a  mirar  l'altro,  e  stassi 
Tristo,  senza  parlar,  con  gli  occhi  bassi. 
100 

Passa  il  nocchiero  al  suo  viaggio  inten- 
E  Cipro  e  Rodi,  e  giù  per  l'onda  Egea  [to. 
Da  sé  vede  fuggire  isole  cento 
Col  periglioso  capo  di  Malea: 
E  con  propizio  et  immutabil  vento 
Asconder  vede  la  Greca  Morea; 
Volta  Sicilia  e  per  lo  mar  Tirreno 
Costeggia  de  l'Italia  il  lito  ameno: 
101 

E  sopra  Luna  ultimamente  sorse. 
Dove  lasciato  avea  la  sua  famiglia. 
Dio  ringraziando  che  '1  pelago  corse 


98.  8.  al  mar  f.;  essendo  in  mare  fuggi- 
vano, a  per  in  è  vivo  ancora  in  molte  lo- 
cuzioni: È  sepolto  al  cimitero;  le  bestie 
sono  al  bosco  ecc. 

99.  6.  raggia,  è  acceso.  È  significato  no- 
tevole non  registrato  dai  vocabolari. 

—  7.  ardisce  a  m.  Uso  affine  a  quello  della 
st.  71,  2.  Novelle  ant.  65,  6  :  «  Non  l' avranno 
ardito  a  manicare  ». 

100.  4.  Malea;  Ora  Malia,  promontorio  del 
Peloponneso,  alla  spiaggia  australe  della 
Laconia,  pericoloso  per  venti  e  scogli. 

—  7.  Volta;  Voce  marinaresca,  che  signi- 
fica gira. 

101.  1.  Luna.  V.  e.  XVIII,  135.  —  sorse; 
V.  C.  IV,  51,  n.  5. 


Senza  più  danno,  il  noto  lito  piglia. 
Quindi  un  nocchier  trovar  per  Francia 
Il  qual  di  venir  seco  li  consiglia:  [sciorse, 
E  nel  suo  legno  ancor  quel  di  montaro. 
Et  a  Marsilia  in  breve  si  trovare. 
102 

Quivi  non  era  Bradamante  allora, 
Ch'aver  solca  governo  del  paese; 
Che  se  vi  fosse,  a  far  seco  dimora 
Gli  avria  sforzati  con  parlar  cortese. 
Sceser  nel  lito,  e  la  medesima  ora 
Dai  quattro  cavallier  congedo  prese 
Marfisa,  e  da  la  donna  del  Selvaggio; 
E  pigliò  alla  ventura  il  suo  viaggio, 
103 

Dicendo  che  lodevole  non  era 
Ch'andasser  tanti  cavallieri  insieme  : 
Chegli  stornici  colombi  vanno  in  schiera, 
I  daini  e  i  cervi  e  ogn'animal  che  teme; 
Ma  l'audace  falcou,  l'aquila  altiera, 
Che  ne  l'aiuto  altrui  non  mettou  speme. 
Orsi,  tigri,  leon,  soli  ne  vanno; 
Che  di  più  forza  alcun  timor  non  hanno. 
104 

Nessun  degli  altri  fu  di  quel  pensiero; 
Si  ch'a  lei  sola  toccò  a  far  partita. 
Per  mezzo  i  boschi,  e  per  strano  sentiero 
Dunque  ella  se  n'andò  sola  e  romita. 
Grifone  il  bianco  et  Aquilante  il  nero 
Pigliar  con  gli  altri  duo  la  via  più  trita, 
E  giunsero  a  un  castello  il  di  seguente. 
Dove  albergati  fur  cortesemente. 
105 

Cortesemente  dico  in  apparenza. 
Ma  tosto  vi  sentir  contrario  effetto; 
Che  '1  Signor  del  castel,  benivolenza 
Fingendo  e  cortesia,  lor  de  ricetto; 
E  poi  la  notte,  ehe  sicuri  senza 
Timor  dormian,  li  fé' pigliar  nel  letto; 
Né  prima  li  lasciò,  che  d'osservare 
Una  costuma  ria  li  fé' giurare. 
106 

Ma  vo'  seguir  la  bellicosa  donna, 
Prima,  Signor,  che  di  costor  più  dica. 


—  5.  sciorse;  partire:  V.  e.  x,  44,  1. 

—  7.  ancor  q.  di'  V.  e.  XXV,  40,  n.  4. 
102.  3.  vi  fosse;  vi  fosse  stata.  V.  e  I,  81, 

n.  3. 

—  5.  la  medesima  o.  ;  nello  stesso  tempo. 
10.5.  4.  de;  die,  diede.  Da  una  forma  deve 

si  ebbe  un  perfetto  dei,  desti,  de,  demmo, 
deste,  devono.  Alcune  persone  sono  rimaste, 
altre  sono  perite  lasciando  solo  traccia  ne- 
gli antichi.  Boccaccio,  Teseide,  xi,  56  ha 
déo;  Berni,  Imi.  n,  21,  23  ha  derno,  che 
per  assimilazione  dette  poi  denno,  come 
amorno,  partirno  dettero  amonno,  par- 
tinno.  Altri  es.  vedi  in  Nannucci  An,  crit. 
dei  V.  It.  p.  556. 

—  8.  costuma;  V.  e.  xix,  66,  0. 


CANTO  XX 


271 


Passò  Druenza.  il  Rodano  e  la  Sonna, 
E  venne  a  pie  d'una  montagna  aprica. 
Quivi  lungo  un  torrente  in  negra  gonna 
Vide  venire  una  femina  antica. 
Che  stanca  e  lassa  era  di  lunga  via, 
Ma  via  più  afflitta  di  malenconia. 
107 

Questa  è  la  vecchia  che  solca  servire 
Ai  nialandrin  nel  cavernoso  monte, 
Là  dove  alta  giustizia  fé'  venire, 
E  dar  lor  morte  il  paladino  Conte. 
La  vecchia,  che  timore  ha  di  morire, 
Per  le  ragion  che  poi  vi  saran  conte, 
Già  molti  di  va  per  via  oscura  e  fosca. 
Fuggendo  ritrovar  chi  la  conosca. 
108 

Quivi  d'estrano  cavallier  sembianza 
L'ebbe  Marfisa  all'abito  e  all'arnese; 
E  perciò  non  fuggi,  com'avea  usanza 
Fuggir  dagli  altri  ch'eran  del  paese; 
Anzi  con  sicurezza  e  con  baldanza 
Si  fermò  al  guado,  e  di  lontan  l'attese: 
Al  guado  del  torrente,  ove  trovolla, 
La  vecchia  le  usci  incontra  e  salutoUa. 
109 

Poi  la  pregò  che  seco  oltr'a  quell'acque 
Ne  l'altra  ripa  in  groppa  la  portasse. 
Marfisa  che  gentil  fu  da  che  nacque, 
Di  là  dal  fiumicel  seco  la  trasse; 
E  portarla  anch'un  pezzo  non  le  spiacque. 
Fin  ch'a  miglior  camìn  la  ritornasse, 
Fuor  d'un  gran  fango;eal  tìn  di  quel  sen- 
si videro  all'incontro  un  cavalliero.  [tiero 
Ilo 

n  cavallier  su  ben  guernita  sella, 
Di  lucide  arme  e  di  bei  panni  ornato, 
Verso  il  fiume  venia,  da  una  donzella 
E  da  un  solo  scudiero  accompagnato. 
La  donna  ch'avea  seco,  era  assai  bella, 
Ma  d'altiero  sembiante  e  poco  grato. 
Tutta  d'orgoglio  e  di  fastidio  piena, 
Del  cavallier  ben  degna  che  la  mena. 
IH 
Pinabello,  un  de'  Conti  Maganzesi, 


106.  3.  Druenza,  Durance,  Sonna,  Saòne, 
aflluenti  del  Rodano.  Come  si  vede,  Marfisa, 
passata  la  Duranza,  piegò  verso  il  Nord  della 
Francia  e  giùnse  ai  monti  del  Lionese.  Per 
questa  avventura  di  Gabrina  ricorda  canto 
XIII,  42. 

107.  3.  alta  giustizia;  È  soggetto. 

—  7.  già  molti  di;  g.  da  m.  dJ.  V.  e.  i, 
26,  n.  8. 

108.  2.  L'  ebbe  ;  le  ebbe,  ebbe  per  lei.  V. 
e.  VII,  35,  n.  8. 

—  7.  trovolla.  Il  soggetto  è  Marfisa. 
110.7.   fastidio;   La  Crusca   intende    di- 
sprezzo; (da  fastidire,  avere  a  noia). 

111.  1.  Pinabeìlo  eCc.  I  fatti  accennati  in 
questa  st.  sono  svolti  nel  e.  ii  e  m. 


Era  quel  cavallier  ch'ella  avea  seco; 
Quel  medesmo  che  dianzi  a  pochi  mesi 
Bradamante  gittò  nel  cavo  speco. 
Quei  sospir,  quei  singulti  cosi  accesi, 
Quel  pianto  che  lo  fé' già  quasi  cieco. 
Tutto  fu  per  costei  ch'or  seco  avea. 
Che  '1  Negromante  allor  gli  ritenea. 

112 
Ma  poi  che  fu  levato  di  sul  colle 
L'incantato  caste!  del  vecchio  Atlante, 
E  che  potè  ciascuno  ire  ove  volle. 
Per  opra  e  per  virtii  di  Bradamante; 
Costei  ch'alli  disii  facile  e  molle 
Di  Pinabel  sempre  era  stata  inante, 
Si  tornò  a  lui,  et  in  sua  compagnia 
Da  un  castello  ad  un  altro  or  se  ne  già. 

113 
E  si  come  vezzosa  era  e  mal  usa. 
Quando  vide  la  vecchia  di  Marfisa, 
Non  si  potè  tenere  a  bocca  chiusa 
Di  non  la  motteggiar  con  beft"e  e  risa. 
Marfisa  altiera,  appresso  a  cui  non  s"usa 
Sentirsi  oltraggio  in  qual  si  voglia  guisa, 
Rispose  d'ira  accesa  alla  Donzella, 
Che  di  lei  quella  vecchia  era  più  bella; 

114 
E  ch'ai  suo  cavallier  volea  provallo, 
Con  patto  di  poi  tórre  a  lei  la  gonna 
E  il  palafren  ch'avea,  se  da  cavallo 
Gittava  il  cavallier  di  ch'era  donna. 
Pinabel  che  faria,  tacendo,  fallo. 
Di  risponder  con  l'arme  non  assonna: 
Piglia  lo  scudo  e  ì'asta,  e  il  destrier  gira. 
Poi  vien  Marfisa  a  ritrovar  con  ira. 

115 
Marfisa  incontra  una  gran  lancia  affer- 
E  ne  la  vista  a  Pinabel  l'arresta,         [ra. 


—  3.  dianzi  a  p.  m.  Comunemente  inten- 
dono dianzi  come  prep.:  avanti  pochi  mesi: 
ma  sarebbe  esempio  forse  unico.  Non  po- 
tremmo intendere  dianzi  come  avverbio, 
poco  tempo  prima  ;  e  a  pochi  m.  come 
una  determinazione  più  precisa  di  tempo? 
In  questo  caso  a  pochi  mesi,  alla  distanza 
di  pochi  mesi,  sarebbe  espressione  analoga 
air  altra  a  poche  miglia. 

113.  I.  vezzosa;  leziosa.  Si  cita  questo  solo 
esempio  dell'A. 

—  4.  di  non  1.  m.;  O  dipende  da  tenere 
(V,  e.  XXXII,  35,  A)  o  è  di  per  da,  in  modo 
da  come  al  e.  i,  51,  6;  viii,  16. 

—  6.  Sentirsi  ecc.  Intendi:  non  si  usa  che 
chi  è  appresso  a  lei  si  senta  fare  oltraggio. 

114.  6.  non  assonna;  non  indugia.  "V.  e. 
Ili,  75,  n.  6. 

—  7.  Piglia  lo  s.  ecc.;  di  mano  allo  scu- 
diero ;  che,  secondo  P  uso,  lo  portava. 

115.  2.  n.  1.  vista...  l'arr.  ;  la  pone  in  resta 
dirigendola  alla  vista  dell'  elmo,  cioè  a  quel- 
r  apertura,  per  cui  il  cavaliere  vede. 


272 


ORLANDO  FURIOSO 


E  si  stordito  lo  riversa  in  terra, 
Che  tarda  un'ora  a  rilevar  la  testa. 
Marfisa,  vincitrice  de  la  guerra, 
Fé'  trarre  a  quella  giovane  la  vesta, 
Et  ogn'altro  ornamento  le  fé'  porre, 
E  ne  fé'  il  tutto  alia  sua  vecchia  tórre: 
116 

E  di  quel  glovenile  abito  volse 
Che  si  vestisse  e  se  n'ornasse  tutta; 
E  fé'  che  '1  palafreno  anco  si  tolse, 
Che  la  giovine  avea  quivi  condutta. 
Indi  al  preso  cammiu  con  lei  si  volse, 
Che  quant'erapiù  ornata,  era  più  brutta. 
Tre  giorni  se  n'andar  per  lunga  strada, 
Senza  far  cosa  onde  a  parlar  m'accada. 
117 

Il  quarto  giorno  un  cavallier  trovaro, 
Ohe  venia  in  fretta  galoppando  solo. 
Se  di  saper  chi  sia  forse  v'è  caro. 
Dicovi  ch'è  Zerbin  di  Re  figliuolo, 
Di  virtii  esempio  e  di  bellezza  raro, 
Che  sé  stesso  rodea  d'ira  e  di  duolo. 
Di  non  aver  potuto  far  vendetta 
D'un  che  gli  aveagran  cortesia  interdetta. 
118 

Zerbino  indarno  per  la  selva  corse 
Dietro  a  quel  suo  che  gli  avea  fatto  oltrag- 
Ma  si  a  tempo  colui  seppe  via  tòrse,  [gio; 
Si  seppe  nel  fuggir  prender  vantaggio. 
Si  il  bosco  e  si  una  nebbia  lo  soccorse, 
Ch'avea  offuscato  il  matutiuo  raggio. 
Che  di  man  di  Zerbin  si  levò  netto. 
Fin  che  l'ira  e  il  furor  gli  usci  del  petto. 
119 

Non  potè,  ancor  che  Zerbin  fosse  irato. 
Tener,  vedendo  quella  vecchia,  il  riso; 
Che  gli  parca  dal  giovenile  ornato 
Troppo  diverso  il  brutto  antiquo  viso; 
Et  a  Marfisa  che  le  venia  a  lato. 
Disse  :  Guerrier,  tu  sei  pien  d'ogni  avviso. 
Che  damigella  di  tal  sorte  guidi, 
Che  non  temi  trovar  chi  te  la  invidi. 
120 

Avea  la  donna  (se  la  crespa  buccia 
Può  darne  indicio)  più  de  la  Sibilla, 
E  parca,  cosi  ornata,  una  bertuccia. 


—  7.  porre;  deporre.  È  significato  tolto 
dal  latino  ponere.  Si  cita  solo  l'Ariosto. 
Cosi  pure  nel  e.  x.ki,  5. 

H6.  6  quanto...  era;  Sottint.  tanto  ;  cosi 
spesso  nella  nostra  lingua. 

—  8.  a  parlar  m'  a.  ;  mi  occorra  di  p.  Il 
costrutto  accadere  o  occorrere  a  non  è 
citato  dai  vocabolari. 

117.  3.  se...  forse;  V.  e.  ili,  68,  n.  1. 

—  8.  interdetta,   impedita.  V.  e.  xix,  13. 

119.  6.  aTTiso  ;  avvedutezza.  V.  e.  xi,  53, 
n.  4. 

120.  2.  p.  d.  1.  Sibilla;  V.  e.  vii,  73,  5. 


Quando  per  muover  riso  alcun  vestilla; 
Et  or  più  brutta  par,  che  si  coruccia, 
E  che  dagli  occhi  l'ira  le  sfavilla; 
Ch'a  donna  non  si  fa  maggior  dispetto. 
Che  quando©  vecchia  o  brutta  le  viendet- 
121  [to. 

Mostrò  turbarse  l'inclita  donzella. 
Per  prenderne  piacer,  come  si  prese; 
E  rispose  a  Zerbin:  Mia  donna  è  bella. 
Per  Dio,  via  più  che  tu  non  sei  cortese; 
Come  ch'io  creda,  che  la  tua  favella 
Da  quel  che  sente  l'animo  non  scese. 
Tu  fingi  non  conoscer  sua  beltade, 
Per  escusar  la  tua  somma  viltade. 
122 

E  chi  saria  quel  cavallier  che  questa 
Si  giovane  e  si  bella  ritrovasse 
Senza  più  compagnia  ne  la  foresta, 
E  che  di  farla  sua  non  si  provasse? 
Si  ben  (disse  Zerbin)  teco  s'assesta. 
Che  saria  mal  ch'alcun  te  la  levasse  : 
Et  io  per  me  non  son  cosi  indiscreto, 
Che  te  ne  privi  mai:  stanne  pur  lieto. 
123 

S'in  altro  conto  aver  vuoi  a  far  meco. 
Di  quel  ch'io  vaglio,  son  per  farti  mostra; 
Ma  per  costei  non  mi  tener  si  cieco, 
Che  solamente  far  voglia  una  giostra. 
O  brutta  o  bella  sia,  restisi  teco: 
Non  vo'  partir  tanta  amicizia  vostra. 
Ben  vi  siete  accoppiati:  io  giurerei 
Com'ella  è  bella,  tu  gagliardo  sei. 
124 

Suggiunse  a  lui  Marfisa  :  Al  tuo  dispetto. 
Di  levarmi  costei  provar  convienti. 
Non  vo'  patir  ch'un  si  leggiadro  aspetto 
Abbi  veduto,  e  guadagnar  noi  tenti. 
Rispose  a  lei  Zerbin:  Non  so  a  ch'effetto 
L'uom  si  metta  a  periglio  e  si  tormenti. 
Per  riportarne  una  vittoria  poi. 
Che  giovi  al  vinto  e  al  vincitore  annoi. 
125 

Se  non  ti  par  qaesto  partito  buono, 
Te  ne  do  un  altro,  e  ricusar  noi  dei 
(Disse  a  Zerbin  Marfisa):  che,  s'io  sono 
Vinto  da  te, m'abbia  a  restar  costei; 
Ma  s'io  te  vinco,  a  forza  te  la  dono. 
Dunque  proviàn  chi  de'  star  senza  lei. 

122.  3.  Senza  pili  comp.  II  Bolza  intende: 
senz'alcuna  compagnia;  ma  è  spiegazione, 
che  non  si  adatta  né  al  contesto  né  all'  uso 
della  lingua.  Intendi  dunque:  senz' altra 
compagnia  che  di  un  sol  cavaliere.  V.  uso 
simile  nel  e.  xxiv,  113. 

—  5.  teco  a'aas.  si  confà  a  te.  Nota  il  co- 
strutto assestarsi  con  invece  del  più  co- 
mune assestarsi  a;  per  quello  si  cita  so- 
lamente Vk. 

124.  8.  al  T.  anEoi.  Per  questo  costrutto  si 
cita  solo  l'A. 


CANTO  XX 


273 


Se  perdi,  converrà  che  tu  le  faccia 
Compagnia  sempre,  ovunque  andar  le 
12C  [piaccia. 

E  cosi  sia,  Zerbin  rispose;  e  volse 
A  pigliar  campo  subito  il  cavallo. 
Si  levò  su  le  staffe,  e  si  raccolse 
Fermo  in  arcione;  e  per  non  dare  in  fallo, 
Lo  scudo  in  mezzo  alla  Donzella  colse; 
Ma  parve  urtasse  un  monte  di  metallo: 
Et  ella  in  guisa  a  lui  toccò  l'elmetto, 
Che  stordito  il  mandò  di  sella  netto. 
127 
Troppo  spiacque  a  Zerbin  l'esser  caduto, 
Ch'in  altro  scontro  mai  più  non  gli  avven- 
E  n'avea  mille  e  mille  egli  abbattuto;  [ne, 
Et  a  perpetuo  scorno  se  lo  tenne. 
Stette  per  lungo  spazio  in  terra  muto; 
E  più  gli  dolse  poi  che  gli  sovvenne, 
Ch'avea  promesso  e  che  gli  convenia 
Aver  la  brutta  vecchia  in  compagnia. 
128 
Tornando  a  lui  la  vincitrice  in  sella, 
Disse  ridendo:  Questa  t'appresento; 
E  quanto  più  la  veggio  e  grata  e  bella. 
Tanto,  ch'ella  sia  tua,  più  mi  contento. 
Or  tu  in  mio  loco  sei  campion  di  quella;  I 
Ma  la  tua  te  non  se  ne  porti  il  vento,         l 
Che  per  sua  guida  e  scorta  tu  non  vada 
(Come  hai  promesso)  ovunque  andar  l'ag- 
129  [grada,  i 

Senza  aspettar  risposta  urta  il  destriero 
Per  la  foresta,  e  subito  s'imbosca. 
Zerbin  che  la  stimava  un  cavalliero. 
Dice  alla  vecchia:  Fa  ch'io  lo  conosca. 
Et  ella  non  gli  tiene  ascoso  il  vero. 
Onde  sa  che  lo  'ncende  e  che  l'attosca: 
Il  colpo  fu  di  man  d'una  donzella, 
Che  t'ha  fatto  votar  (disse)  la  sella. 
130 
Pel  suo  valor  costei  debitamente 
Usurpa  a'cavallieri  e  scudo  e  lancia; 
E  venuta  è  pur  dianzi  d'Oriente 


126.  2.  pigliar  campo;  pigliar  la  distanzaop- 
portuna  per  muovere  allo  scontro. 

—  8.  il  mandò  d.  s.  ;  il  buttò  giù  di  s.  È 
significato  non  registrato  dai  vocab. 

128.  7.  Che;  cosicché. 

—  «.  l\a-gr.  le  aggr.   V.  e.  vii,  35,  n.  8. 

129.  6.  che  lo'nc;  cosa  che  l'ine.  IlMachia- 
velli  in  una  lettera  a  Luigi  Alamanni,  la- 
riientandosi  perché  l'Ariosto  non  lo  avea 
rammentato  fra  i  poeti  nel  canto  xlvi,  dice: 
«  Egli  ha  fatto  a  me  in  detto  suo  Orlando 
che  io  non  farò  a  lui  nel  mio  Asino  ».  V  e 
vai,  t<y,  11.  s  ;  xtvi,  93,  3. 

130.  1.  debitamente  usurpa,  Usurpare  è 
qui  nel  suo  proprio  significato  di  prendere 
ad  aitici  ingiustamente,  ma  il  senso  è  mo- 
dificato dal  debitamente.  Intendi  dunque: 
Essa  si  prende  quello  che  di  diritto  appar- 

ArIOSTO    —    l'APISI 


Per  assaggiare  1  Paladin  di  Francia. 
Zerbin  di  questo  tal  vergogna  sente. 
Che  non  pur  tinge  di  rossor  la  guancia, 
Ma  restò  poco  di  non  farsi  rosso 
Seco  ogni  pezzo  d'arme  ch'avea  in  dosso, 
1.31 
Monta  a  cavallo,  e  sé  stesso  rampogna 
Che  non  seppe  tener  strette  le  cosce. 
Tra  sé  la  vecchia  ne  sorride,  e  agogna 
Di  stimularlo  e  di  più  dargli  angosce. 
Gli  ricorda  ch'andar  seco  bisogna: 
E  Zerbin  ch'ubligato  si  conosce, 
L'orecchie  abbassa,  come  vinto  e  stanco 
Destrierc'ha  in  bocca  il  fren,  gli  sproni  al 
_,  132  [fianco. 

E  sospirando:  Oimè,  Fortuna  fella, 
(Dicea)  che  cambio  è  questo  che  tu  fai'^ 
Colei  che  fu  sopra  le  belle  bella. 
Ch'esser  meco  dovea,  levata  m'hai. 
Ti  par  ch'in  luogo  et  in  ristor  di  quella 
Si  debba  por  costei  ch'ora  mi  dai? 
Stare  in  danno  del  tutto  era  men  male. 
Che  fare  un  cambio  tanto  diseguale. 
133 
Colei  che  di  bellezze  e  di  virtuti 
Unqua  non  ebbe  e  non  avrà  mai  pare, 
Sommersa  e  rotta  tra  gli  scogli  acuti 
Hai  data  ai  pesci  et  agii  augei  del  mare; 
E  costei  che  dovria  già  aver  pasciuti 
Sotterra  i  vermi,  hai  tolta  a  preservare 
Dieci  0  venti  anni  più  che  non  dovevi, 
Per  dar  più  peso  agli  mie' affanni  grevi. 
134 
Zerbin  cosi  parlava;  né  men  tristo 
In  parole  e  in  sembianti  esser  parea 
Di  questo  nuovo  suo  si  odioso  acquisto, 
Che  de  la  donna  che  perduta  avea. 
La  vecchia,  ancor  che  non  avesse  visto 
Mai  più  Zerbin,  per  quel  ch'ora  dicea. 
S'avvide  esser  colui  di  che  notizia 
Le  diede  già  Issabella  di  Galizia. 
135 
Se  '1  vi  ricorda  quel  ch'avete  udito. 
Costei  da  la  spelonca  ne  veniva, 


tiene   agli   uomini;  ma  ha  ben  ragione  di 
farlo,  perché  vale  quanto  un  uomo. 

—  7.  restò  poco  di;  poco  mancò  che.  Più 
spesso:  restar  di  poco  che.  Segneri,  Man. 
Apr.  1-1,  3:  «Di  poco  è  restato  che  ancor 
tu  ecc.  ». 

132.7.  stare  in  danno;  V.  e.  xviii  156 
n.  5.  '        ' 

133.  3.  Sommersa  e  rotta;  Cosi  credeva 
Zerbino  d'Isabella. 

134.  6.  mai  più  ;  mai  altra  volta.  Cosi  spes- 
so gli  antichi.  Bocc.  Nov.  15:  «  non  essendo 
mai  più  fuor  di  casa  stato  ».  Ma  oggi  use- 
remmo il  semplice  inai. 

135.  1.  Se  '1  vi  r.;  s'egli  vi  r.  El  per  egli 
abbiamo  anche  al  e.  xiii,  3;  xvii,  126;  ma 


274 


ORLANDO  FURIOSO 


Dove  Issabella,  che  d'amor  ferito 
Zerbino  avea,  fu  molti  di  captiva. 
Più  volte  ella  le  avea  già  riferito 
Come  lasciasse  la  paterna  viva; 
E  come  rotta  in  mar  da  la  procella 
m  salvasse  alla  spiaggia  di  Rocella. 
136 

E  si  spesso  dipinto  di  Zerbino 
Le  avea  il  bel  viso  e  le  fattezze  conte, 
Ch'ora  udendol  parlare,  e  più  vicino 
Gli  occhi  alzandogli  meglio  ne  la  fronte. 
Vide  esser  quel  per  cui  sempre  meseliino 
Fu  d'Issabella  il  cor  nel  cavo  monte; 
Che  di  non  veder  lui  più  si  lagnava, 
Che  d'esser  fatta  ai  malandrini  schiava. 
137 

La  vecchia,  dando  alle  parole  udienza. 
Che  con  sdegno  e  con  duol  Zerbino  versa, 
S'avvede  ben  ch'egli  ha  falsa  credenza 
Che  sia  Issabella  in  mar  rotta  e  sommer- 
E  ben  ch'ella  del  certo  abbia  scienza,  [sa: 
Per  non  lo  rallegrar,  pur  la  perversa 
Quel  che  far  lieto  lo  potria,  gli  tace, 
E  sol  gli  dice  quel  che  gli  dispiace. 
138 

Odi  tu  (gli  disse  ella),  tu  che  sei 
Cotanto  altier,  che  si  mi  scherni  e  sprezzi  : 
Se  sapessi  che  nuova  ho  di  costei 
Che  morta  piangi,  mi  faresti  vezzi: 
Ma  piuttosto  che  dirtelo,  tèrrei 
Che  mi  strozzassi,  o  fessi  in  mille  pezzi; 
Dove,  s'eri  ver  me  più  mansueto. 
Forse  aperto  t'avrei  questo  secreto. 
139 

Come  il  mastin  che  con  furor  s'avventa 
Adesso  al  ladro,  ad  acchetarsi  è  presto, 
Che  quello  o  pane  o  cacio  gli  appresenta, 
O  che  fa  incanto  appropriato  a  questo; 
Cosi  tosto  Zerbino  umil  diventa, 
E  vien  bramoso  di  sapere  il  resto, 
Che  la  vecchia  gli  accenna  che  di  quella, 
Che  morta  piange,  gli  sa  dir  novella. 
140 

E  volto  a  lei  con  più  piacevol  faccia, 


qui  è  notevole  il  senso  neutro.  Per  il  rac- 
conto cfr.  e.  XII,  XIII. 

136.  2.  conte.  Puoi  intender  conosciute; 
o  anche  (lat.  comptae)  belle,  come  al  canto 
xxxii,  83,  3. 

137.  2.  versa.  È  il  latino  fundere  verba. 

138.  2.  scherni.  È  forma  regolare  di  sc/ie/- 
nire,  ma  oggi  si  usa  piuttosto  la  forma 
rafforzata  sc/ter>ìjsc<.  Tasso,  Am.  ni,  1,  34: 
«  Or  perché,  iniqua,  Scherni  ed  aborri  il 
dono  ». 

139.  3.  Che  ;  subito  che.  Ma  è  un  uso 
molto  notevole  e  forse  senza  esempi  nella 
letteratura.  Abbiamo  il  medesimo  uso  nel 
canto  XXII,  83,  4;  dove  troverai  opportuna 
nota,  che  dà  ragione  del  costrutto. 


La  supplica,  la  p"rega,  la  scongiura 
Per  gli  uomini,  per  Dio,  che  non  gli  taccia 
Quanto  ne  sappia,  o  buona  o  ria  ventura. 
Cosa  non  udirai  che  prò  ti  faccia. 
Disse  la  vecchia  pertinace  e  dura: 
Non  è  Issabella,  come  credi,  morta; 
Ma  viva  si,  ch'a  morti  invidia  porta. 

141 
È  capitata  in  questi  pochi  giorni 
Che  non  n'udisti,  in  man  di  più  di  venti: 
Si  che,  qualora  anco  in  man  tua  ritorni, 
'V^e'  se  sperar  di  córre  il  iìor  convienti. 
Ah  vecchia  maladetta,  come  adorni 
La  tua  menzogna!  e  tu  sai  pur  se  menti. 
Se  ben  in  man  di  venti  ell'era  stata, 
Non  l'avea  alcun  però  mai  violata. 

142  ! 

Dove  l'avea  veduta  domandone 
Zerbino,  e  quando;  ma  nulla  n'invola; 
Che  la  vecchia  ostinata  più  non  volle 
A  quel  c'ha  detto,  aggiungere  parola. 
Prima  Zerbin  le  fece  un  parlar  molle; 
Poi  minacciolle  di  tagliar  la  gola: 
Matuttoèinvanciòcheminaccia  e  prega; 
Che  non  può  far  parlar  la  brutta  strega. 

143 
Lasciò  la  lingua  all'ultimo  in  riposo 
Zerbin,  poi  che  '1  parlar  gli  giovò  poco; 
Per  quel  ch'udito  avea,  tanto  geloso. 
Che  non  trovava  il  cor  nel  petto  loco; 
D'Issabella  trovar  si  disioso. 
Che  saria  per  vederla  ito  nel  foco: 
Ma  non  poteva  andar  più  che  volesse 
Colei,  poi  ch'a  Marfisa  lo  promesse. 

144 
E  quindi  per  solingo  e  strano  calle. 
Dove  a  lei  piacque,  fu  Zerbin  condotto  : 
Né  per  o  poggiar  monte,  o  scender  valle. 
Mai  si  guardaro  in  faccia,  o  si  fèr  motto. 


140.  8.  a  morti.  Solita  omissione  dell'  ar- 
ticolo V.  e.  II,  15,  n.  8.  Avverti  che  nell'edi- 
zione del  1516  si  ha  a'  morti. 

141.  5.  Ah  vecchia  ec.  Questa  è  riflessione 
del  Poeta. 

142.2.  n'invola;  ne  ricava;  ma  accenna 
air  astuzia  per  carpirle  qualche  notizia. 

—  6.  tagliar,   tagliarle.  V.  e.  i,   21,  n.  7. 

144.  3.  Né  per  o  p.  monte.  Né  salendo  monte 
né  scendendo  in  valle:  ma  il  per  coli' infi- 
nito, che  vale  per  quanto  camminino  a 
lunyo  per  monti  o  per  valli,  è  più  espres- 
sivo del  gerundio.  E  l' idea  di  caìnminare 
a  lungo  è  resa  anche  dalla  lentezza  che  ac- 
quista il  verso  colla  congiunzione  disgiun- 
tiva posta  in  mezzo  alla  proposizione.  — 
poggiare  si  costruisce  con  a,  per,  in,  e  an- 
che col  complemento  diretto.  Sannaz.  Ar- 
cad.  pr.  5:  «Cominciammo  a  poggiare  il 
non  aspro  monte  ».  E  il  Tasso  disse  «  Pog- 


CANTO  XX 


•J75 


Ma  poi  ch'ai  Mezzodì  volse  le  spalle         '  Da  nn  pavaliiAr  r.>.o  «»i  «ov„- 
■'"«"'"•f  "  1"  «ile-i»  r»«o  I  QXhrs?";,l:„tfa°u;o  c"'„°„'?"S„": 

'  •'''  ^°'  ^^".  A  6  ecc.  E  il  lat.  vagus. 


CANTO  XXI 


Né  fune  intorto  crederò  che  stringa 
Soma  cosi,  né  cosi  legno  chiodo, 
Come  la  fé  ch'una  bella  alma  cinga 
Del  suo  tenace  indissolubil  nodo. 
Né  dagli  antiqiii  par  che  si  dipinga 
La  santa  Fé  vestita  in  altro  modo. 
Che  d'un  vel  bianco  che  la  copra  tutta, 
Ch'un  sol  punto,  un  sol  neo  la  può  farbrut- 
2  (ta. 

La  fede  unquanondebbe  esser  corrotta, 
O  data  a  un  solo,  o  data  insieme  a  mille; 
E  cosi  in  una  selva,  in  una  grotta, 
Lontan  da  le  cittadi  e  da  le  ville, 
Come  dinanzi  a  tribunali,  in  frotta 
Di  testimon,  di  scritti  e  di  postille, 
Senza  giurare,  o  segno  altro  più  espresso, 
Basti  una  volta  che  s'abbia  promesso. 
3 

Quella  servò,  come  servar  si  debbe 
In  ogni  impresa,  il  cavallier  Zerbino: 
E  quivi  dimostrò  che  conto  n'ebbe. 


1.  I.  fune.  Maschile  l'usò  pui-e  il  Petr. 
I,  son.  129:  «  e  '1  fune  avvolto  »;  ma  è  poe- 
tico e  solo  usato  al  sing.  —  intorto  ;  latini- 
smo non  frequente. 

—  2.  legno...  chiodo.  Per  il  senso  1' uno  e 
l'altro  possono  essere  soggetti  o  comple- 
menti. 

—  5.  Né  dagli  ant.  ecc.  Che  non  si  dipinga 
in  altro  modo  non  è  esatto,  perché  gli  an- 
tichi la  dipinsero  pur  col  viso  scoperto  (V. 
Baumeistkr:  Monum.  di  Antichità  clas- 
sica fig.  112tì,  1565,  19t2)  ;  ma  è  vero  che 
per  lo  più  la  figurarono  tutta  coperta  d'un 
velo  bianco.  Orazio,  Od.  i,  35:  «albo  rara 
Fides  velata  panno  ». 

2.   1.  La  fede  ecc.  Cosi  nell'iB^e^.  ix,  43: 
«  La  fede  mai  non  debbe  esser  corrotta,  o 
data  a  un  solo  o  data  ancora  a  cento.  Data  I 
in  palese  o  data  in  una  grotta.  Per  la  vii  1 
plebe  è  fatto  il  giuramento  ». 

—  5.  in  frotta;  in  mezzo  a  gran  quantità. 

—  8.  B.  una  volta  che;  basti  che  una  sola 
Tolta  si  sia  promesso. 

8.  3.  e.  conto  n'  ebhe;  e.  conto  ne  fece. 
Aver  conto  di  una  cosa  è  locuz.  non  citata 


tonando  si  tolse  dal  proprio  camino 
Per  andar  con  costei,  la  qual  gl'increbbe 
Come  s'avesse  il  morbo  si  vicino, 
O  pur  la  morte  istessa;  ma  potea. 
Fui  che  '1  disio,  quel  che  promesso  avea 
4 
Dissi  di  lui,  che  di  vederla  sotto 
La  sua  condotta  tanto  al  cor  gli  preme 
Che  n'arrabbia  di  duol  né  le  in  motto-  ' 
L  vanno  muti  e  taciturni  insieme  : 
Dissi  che  poi  fu  quel  silenzio  rotto.    Ime 
Ch  al  mondo  il  sol  mostrò  le  mote  estre- 
Da  un  cavalhero  avventuroso  errante, 
Ohe  m  mezzo  del  camin  lor  si  fé'  inante. 
_  5 

La  vecchia  che  conobbe  il  cavalliero 
Oh  era  nomato  Ermonide  d'Olanda, 
Che  per  insegna  ha  ne  lo  scudo  nero 
Attraversata  una  vermiglia  banda. 
Posto  l'orgoglio  e  quel  sembiante  altiero. 
Umilmente  a  Zerbin  si  raccomanda 
L  gli  ricorda  quel  ch'esso  promise 
Alla  guerriera  ch'in  sua  man  la  mise: 
G 
Perché  di  lei  nimico  e  di  sua  gente 
Lra  il  guerrier  che  contra  lor  venia- 
;  UCCISO  ad  essa  avea  il  padre  innocente, 
[  L  un  fratello  che  solo  al  mondo  avia- 
L  tutta  volta  far  del  rimanente. 
Come  degli  altri  il  traditor  disia. 
Fin  ch'alia  guardia  tua,  donna,  mi  senti 
j  (Dicea  Zerbin),  non  ve'  che  tu  paventi. 

dai  vocab.  ;  e  forse  è  fusione  delle  due  co- 
,  muni  far  conto  di  ima  cosa;  avere  in 
conto  una  e. 

—  6.  morbo;   peste.  Uso  assai  frequente. 
4.    2.  al  e.  gli  preme.  V.  e.  xi,  14,  n.  4. 

—  4.  muti  e  tac.  imiti  che  non  parlavano 
affatto;  taciturni,  che  non  mostravano  nes- 
suna voglia  di  parlare. 

—  6.  mote  estr.;  l'estremità  delle  ruote 
del  carro;  V.  e.  i,  21,  n.  6. 

6.  4.  avia;  Terminaz.  poetica,  antiquata 
e  rara  per  il  verbo  avere,  ma  frequente  per 
altri:  solia,  cria,  ecc. 

—  5.  tutta  volta;  più  spesso  tuttavia, 
ancora,  inoltre. 


276 


ORLANDO  FURIOSO 


Come  pili  presso  il  cavallier  si  specchia 
In  quella  faccia  che  si  in  odio  gli  era, 
0  di  combatter  meco  t'apparecchia, 
Gridò  con  voce  minacciosa  e  fiera,  | 

O  lascia  la  difesa  de  la  vecchia,  j 

Che  di  mia  man  secondo  il  merto  pera,     j 
Se  combatti  per  lei  rimarrai  morto  : 
Che  cosi  avviene  a  chi  s'appiglia  al  torto. 
8 
Zerbin  cortesemente  a  Ini  risponde,       ! 
Che  gli  è  desir  di  bassa  e  mala  sorte, 
Et  a  cavalleria  non  corrisponde. 
Che  cerchi  dare  ad  una  donna  morte: 
Se  pur  combatter  vuol,  non  si  nasconde; 
Ma  che  prima  consideri  eh' importe 
Ch'un  cavallier,  com'era  egli,  gentile. 
Voglia  por  man  nel  sangue  feminile. 
9 
Queste  gli  disse  e  più  parole  in  vano; 
E  fu  bisogno  alfin  venire  a  fatti. 
Poi  che  preso  a  bastanza  ebbon  del  piano, 
Tornarsi  incontra  a  tutta  briglia  ratti. 
Non  van  si  presti  i  razzi  fuor  di  mano, 
Ch'ai  tempo  son  de  le  allegrezze  tratti. 
Come  andaron  veloci  i  duo  destrieri 
Ad  incontrare  insieme  i  cavallieri. 
10 
Ermonide  d'Olanda  segnò  basso, 
Che  per  passare  il  .destro  fianco  attese: 
Ma  la  sua  debol  lancia  andò  in  fracasso, 
E  poco  il  cavallier  di  iScozia  offese. 
'  Non  fu  già  l'altro  colpo  vano  e  casso; 
Eoppe  lo  scudo,  e  si  la  spalla  prese, 
Che  la  forò  da  l'uno  all'altro  lato, 
E  riversar  fé' Ermonide  sul  prato. 


7.  1.  si  specchia,  guarda.  Dante,  Inf.  32, 
50  :  «  perché  cotanto  in  noi  ti  specchi  ?  » 

8.  'i.  gli  è;  egli  è.  V.  e.  x,  106,  n.  5. 

9.  3.  preso...  del  piano;  È  lo  stesso  che 
pigliar  campo,  e.  xx,  126,  S,  e  lAgliar^dcl 
campo,  XXXI,  13. 

—  5.  fuor  di  mano,  fuori  della  mano,  che 
li  regge  sospesi,  mentre  si  da  fuoco  alla 
miccia.  Non  sarebbe  strano  neppure  inten- 
derlo come  espressione  avverbiale,  che  si- 
gnifica lontano  ila  noi,  come  nei  modi: 
casa  fuor  di  ni.  ;  -strada  f.  d.  m.  ecc. 

—  6.  allegrezze.  V.  e.  xvii,  69,  n.  8. 

—  8.  incontrare,  fare  incouU'Hre.  Anguil- 
lm; A,  Met.,  1,  152;  «Incontrando  le  mani 
intorno  al  legno  >. 

10.  1.  segnò  basso;  mirò  basso.  V.  e.  xxiv, 

104. 

—  2.  per  p...  attese;  attese  a  passare. 
Costrutto  non  citato  dai  vocabolari. 

—  5.  casso;  senz'effetto.  Uberti,  Dittam. 
I,  l:  «Quando  m'accorsi  ch'ogni  vita  è  cas- 
sa (inutile)  ». 


U 
Zerbin  che  si  pensò  d'averlo  ucciso, 
Di  pietà  vinto,  scese  in  terra  presto, 
E  levò  l'elmo  da  lo  smorto  viso; 
E  quel  guerrier,  come  dal  sonno  desto. 
Senza  parlar  guardò  Zerbino  fiso; 
E  poi  gli  disse:  Non  m'è  già  molesto 
Ch'io  sia  da  te  abbattuto,  ch'ai  sembianti 
Mostri  esser  fior  de'  cavallieri  erranti; 
12 
Ma  ben  mi  duol  che  questo  per  cagione 
D'una  femina  perfida  m'avviene, 
A  cui  non  so  come  tu  sia  campione, 
Che  troppo  al  tuo  valor  si  disconviene. 
E  quando  tu  sapessi  la  cagione 
Ch'a  vendicarmi  di  costei  mi  mene. 
Avresti,  ogn'or  che  rimembrassi,  affanno 
D'aver,  per  campar  lei,  fatto  a  me  danno. 
13 
E  se-spirto  a  bastanza  avrò  nel  petto, 
Ch'io  il  possa  dir  (ma  del  contrario  temo), 
Io  ti  farò  veder  ch'in  ogni  effetto 
Scelerata  è  costei  più  ch'in  estremo. 
Io  ebbi  già  un  fratel  che  giovinetto 
D'Olanda  si  parti  d'onde  noi  semo; 
E  si  fece  d'Eraclio  cavalliero,  i 

Ch'allor  tenea  de'Greci  il  sommo  impero. 
14 
Quivi  divenne  intrinseco  e  fratello 
D'un  cortese  Baron  di  quella  corte, 
Che  nel  confin  di  Servia  avea  un  castello 
Di  sito  ameno,  e  di  muraglia  forte. 
Nomossi  Argeo  colui  di  ch'io  favello, 
Di  questa  iniqua  femina  consorte. 
La  quale  egli  amò  si,  che  passò  il  segno 
Ch'a  un  uom  si  convenia,  come  lui,  degno. 
15 
Ma  costei,  più  volubile  che  foglia 
Quando  l'autunno  è  più  priva  d'umore, 
Che  '1  freddo  vento  gli  albori  ne  spoglia, 
E  le  soffia  dinanzi  al  suo  furore  ; 
'Verso  il  marito  cangiò  tosto  voglia, 


12.  6.  mi  mene;  regolarmente  dovrebbe 
essere  indicai.  ;  ma  forse  abbiamo  qui  la 
fusione  di  due  costrutti  (V.  e.  ii,  6,  n.  3); 
se  tu  sapessi  qual  cagione  mi  meni;  se  tu 
sapessi  la  cagione,  che  mi  mena. 

IS.  1.  più  ch'in  estr.  più  che  sommamente. 
Segneri,  M.  Die.  30,  1:  «È  da  lodarsi  in 
estremo  ». 

—  7.  Eraclio,  imperatore  di  Costantino- 
poli (575-041),  ma  circa  un  secolo  prima  di 
Carlo  M.,  come  appare  dalle  date. 

14.  I.  fratello,  come  fratello. 
-  3.  Servia,  Serbia. 

15.  2.  Quando  ecc.  Ovidio,  Er.  5,  109:  «  Tu 
levior  foliis  tunc  cum  sme  pendere  succi 
Mobilibus  ventis  arida  facta  cadunt». 

—  4.  le  soffia;  Costrutto  a  senso:  dovreb- 
be dirsi  la  (fogba). 


CANTO  XXI 


277 


Che  fisso  qualche  tempo  ebbe  nel  core; 
E  volse  ogni  pensiero,  ogni  disio 
D'acquistar  per  amante  il  fratel  mio. 
]G 

Ma  né  si  saldo  all'impeto  marino 
L'Acrocerauno  d'infamato  nome, 
Né  sta  si  duro  incontra  Borea  il  pino 
Che  rinovato  ha  più  di  cento  chiome, 
Che  quanto  appar  fuor  de  lo  scoglio  alpi- 
Tanto  sotterra  ha  le  radici  ;  come       [no, 
Il  mio  fratello  a'prieghi  di  costei, 
Nido  di  tutti  i  vizi  infaudi  e  rei. 
17 

Or,  come  avviene  a  un  cavallier  ardito, 
Che  cerca  briga  e  la  ritrova  spesso, 
Fu  in  una  impresa  il  mio  fratel  ferito, 
Molto  al  Castel  del  suo  compagno  appresso, 
Dove  venir  senza  aspettare  invito 
.Solca,  fosse  o  non  fosse  Argeo  con  esso: 
E  dentro  a  quel  per  riposar  fermosse 
Tanto,  che  del  suo  mal  libero  fosse. 
18 

Mentre  egli  quivi  si  giacea,  convenne 
Ch'in  certa  sua  bisogna  andasse  Argeo. 
Tosto  questa  sfacciata  a  tentar  venne 
Il  mio  fratello,  et  a  sua  usanza  feo: 
^la  quel  fedel  non  oltre  più  sostenne 
Avere  ai  fianchi  un  stimulo  si  reo: 
Elesse  per  servar  sua  fede  a  pieno. 
Di  molti  mal  quel  che  gli  parve  meno. 
19 

Tra  molti  mal  gli  parve  elegger  questo: 
Lasciar  d'Argeo  l'intrinsichezza  antiqua; 
Lungi  andar  si,  che  non  sia  manifesto 
Mai  più  il  suo  nome  alla  femina  iniqua. 
Ben  che  duro  gli  fosse,  era  più  onesto, 
Che  satisfare  a  quella  voglia  obliqua. 


—  7.  Tolse  0.  p...  d'acq.  ;  volse  ogni  pen- 
siero ad  acq.  Su  questo  costrutto  ha  forse 
agito  il  sostantivo  disto,  che  ha  tratto  l'in- 
finito alla  sua  dipendenza.  V.  e.  vm,  \(\,  2; 
X,  61,  2. 

16.2.  Acrocoranno (gr.  a/jro?z,  cima;  ke- 
raunos  fulmine;  detti  cosi  perché  colpiti 
spesso  dal  fulmine);  Monti  dell'Epiro,  ora 
Cica  o  Chimarra.  Formano  colle  falde  un 
promontorio  pericoloso  nel  mare  Ionio. 
Orazio,  Odi,  1,  3:  «infames  scopulos  Acro- 
ceraunia  ». 

—  5.  Che  quanto  ecc.  VIRGILIO,  En.  4, 
440,  dice  d'una  quercia:  «  quantum  vertice 
ad  auras  Aetlierias,  tantum  radice  in  Tar- 
tara tendit  ». 

—  8.  infandl;.da  non  potersi  dire.  Lati- 
nismo usato  anche  dal  Berni,  Inn.  14,  25: 
•  Peccato  inaudito,  infando,  immenso». 

18.  2.  in  certa  b.  b.  andasse  ;  per  certa  sua 
b.  andasse.  È  uso  molto  notevole  della  prepo- 
sizione in  che  trovasi  più  volte  nell'A. 


0  ch'accusar  la  moglie  al  suo  signore, 
Da  cui  fu  amata  al  par  del  proprio  core. 
20 
E  de  le  sue  ferite  ancora  infermo 
L'arme  si  veste,  e  del  caste!  si  parta; 
E  con  animo  va  costante  e  fermo 
Di  non  mai  più  tornare  in  quella  parte. 
Ma  che  gli  vai?  ch'ogni  difesa  e  schermo 
Gli  dissipa  Fortuna  con  nuova  arte: 
Ecco  il  marito  che  ritorna  in  tanto, 
E  trova  la  moglier  che  fa  gran  pianto, 
21 
E  scapigliata  e  con  la  faccia  rossa; 
E  le  domanda  di  che  sia  turbata. 
Prima  ch'ella  a  rispondere  sia  mossa, 
Pregar  si  lascia  più  d'una  fiata, 
Pensando  tuttavia  come  si  possa 
Vendicar  di  colui  che  l'ha  lasciata: 
E  ben  convenne  al  suo  mobile  ingegno 
Cangiar  l'amore  in  subitane  sdegno. 
22 
Deh  (disse  al  fine)  a  che  l'error  nascondo 
Che  commesso,Signor,ne  la  tua  absenzia? 
Che  quando  ancora  io  '1  celi  a  tutto  '1  mon- 
Celar  noi  posso  alla  mia  conscienzia.  [do, 
L'alma  che  sente  il  suo  peccato  immondo, 
Paté  dentro  da  sé  tal  penitenzia. 
Ch'avanza  ogni  altro  corporal  martire 
Che  dar  mi  possa  alcun  del  mio  fallire; 

23 
I     Quando  fallir  sia  quel  che  si  fa  a  forza. 
;  Ma  sia  quel  che  si  vuol,  tu  sappil'anco; 
;  Poi  con  la  spada  da  la  immonda  scorza 
j  Scioglie  lo  spirito  immaculato  e  bianco, 
I  E  le  mie  luci  eternamente  ammorza; 
j  Che,  dojio  tanto  vituperio,  al  manco 
I  Tenerle  basse  ogn'or  non  mi  bisogni, 
E  di  ciascun  ch'io  vegga,  mi  vergogni. 
I  24 

j      II  tuo  compagno  ha  l'onor  mio  distrutto: 
!  Questo  corpo  per  forza  ha  violato; 
j  E  perché  teme  ch'io  ti  narri  il  tutto. 


'lì.  1.  Questa  storia  che  si  riferisce  alla 
passione  e  al  tradimento  di  Gabrina  è  tolta 
quasi  di  peso  dal  Guiron,  mentre  l'accordo 
col  medico  è  tolto  dall'Asilo  d'Oro  di  Apu- 
leio. Le  differenze  sostanziali  sono  che  la 
donna  del  Guiron  uoii  tradisce  il  marito,  ma 
un  amante;  e  il  cavaliere,  che  corrisponde  a 
Filandro,  sebbene  non  voglia  tradire  l'ami- 
co, pure  ama  la  donna,  yuauto  all'  Asino 
d'oro  è  da  notare  che  ivi  il  medico  riesce 
ad  arrivare  a  casa,  dove  narra  tutto  alla 
moglie  (V.  lib.  x);  ed  essa  va  a  ripetere  il 
prezzo  del  delitto. 

—  6.  dentro  da  sé.  Dentro  si  usa  colle 
preposizioni  di  a  da  e  anche  senza  prepo- 
sizione. 

•23.  4.  Scioslìe;  sciogli.  V.  c.  ili,  n.  4. 


278 


ORLANDO  FURIOSO 


Or  si  parte  il  villan  senza  commiato. 
In  odio  con  quel  dir  gli  ebbe  ridiitto 
Colui,  che  più  d'ogui  altro  gli  fu  grato. 
Argeo  lo  crede,  et  altro  non  aspetta; 
Ma  piglia  l'arme  e  corre  a  far  vendetta. 
25 

E  come  quel  ch'avea  il  paese  noto, 
Lo  giunse  che  non  fu  troppo  lontano; 
Che  '1  mio  fratello,  debole  et  egroto. 
Senza  sospetto  se  ne  già  pian  piano: 
E  brevemente,  in  un  loco  remoto 
Pose,  per  vendicarsene,  in  lui  mano. 
Non  trova  il  fratel  mio  scusa  che  vaglia 
Ch'in  somma  Argeo  con  lui  vuol  la  batta- 
26  [glia. 

Era  l'un  sano  e  pien  di  nuovo  sdegno, 
Infermo  l'altro,  et  all'usanza  amico: 
Si  ch'ebbe  il  fratel  mio  poco  ritegno 
Contra  il  compagno  fattogli  nimico. 
Dunque  Filandro  di  tal  sorte  indegno 
(De  l'infelice  giovane  ti  dico  : 
Cosi  avea  nome),  non  soffrendo  il  peso 
Di  si  fiera  battaglia,  restò  preso. 
27 

Non  piaccia  a  Dio  che  mi  conduca  a  tale 
11  mio  giusto  furore  e  il  tuo  deraerto 
(Gli  disse  Argeo),  che  mai  sia  omicidiale 
Di  te  cii'amava:  e  me  tu  amavi  certo. 
Ben  che  nel  fin  me  l'h^i  mostrato  male: 
Pur  voglio  a  tutto  il  mondo  fare  apèrto 
Che,  come  fui  nel  tempo  de  l'amore, 
Cosi  ne  l'odio  son  di  te  migliore. 
28 

Per  altro  modo  punirò  il  tuo  fallo. 
Che  le  mie  man  più  nel  tuo  sangue  porre. 
Cosi  dicendo,  fece  sul  cavallo 
Di  verdi  rami  una  bara  comporre, 
E  quasi  morto  in  quella  riportallo 
Dentro  al  castello  in  una  chiusa  torre. 
Dove  in  perpetuo  per  punizione 


24.  5.  In  odio...  ebbe  r.  ;  Ridurre  in  odio 
per  nieltere  iti  odio  è  modo  non  citato  dai 
vocabol. 

25.  3.  egroto;  (lat.  eyrotus),  malato. 

—  5.  brevemente;  per  dirla  in  breve.  Bocc. 
Fiioc.  4,  21:  «  K  brevemente,  voi  e  il  diavolo 
credo  che  siate  una  cosa  ». 

26.  2.  all'usanza,  secondo  il  solito.  Fa  ri- 
scontro al  ijien  di  nuovo  sdegno  del  verso 
precedente.  Canto  xlii,  25,  3:  a  sua  usan- 
za, secondo  il  suo  solito. 

—  3.  ritegno,  difesa,  riparo. 

27.  3.  omicidiale  ;  micidiale.  Fu  già  usato 
dal  Petrarca,  poi  dal  Berni,  Innam.  n,  7,  55. 

—  7.  nel  t.  de  l'amore  ;  quando  ci  ama- 
vamo io  fui  migliore  di  te,  perché  tu  mi 
tradisti. 

28.  1-2.  Per  altro  m...  che...  porre;  Regolar- 
mente :  che  col  porre,  ponendo.  È  costrutto 
popolare.  —  piri,  davvantaggio. 


Condannò  l' innocente  a  star  prigione. 
29 

Non  però  ch'altra  cosa  avesse  manco, 
Che  la  libertà  prima  del  partire; 
Perché  nel  resto,  come  sciolto  e  franco 
Vi  comandava,  e  si  facea  ubbidire. 
Ma  non  essendo  ancor  l'animo  stanco 
Di  questa  ria  del  suo  pensier  fornire. 
Quasi  ogni  giorno  alla  prigion  veniva; 
Ch'avea  le  chiavi,  e  a  suo  piacer  l'apriva  : 
30 

E  movea  sempre  al  mio  fratello  assalti, 
E  con  maggiore  audacia  che  di  prima  : 
Questa  tua  fedeltii  (dicea)  che  vaiti? 
Poi  che  perfidia  per  tutto  si  stima. 
Oh  che  trionfi  gloriosi  et  alti! 
Oh  che  superbe  spoglie  e  preda  opima! 
Oh  che  merito  al  fin  te  ne  risulta, 
Se,  come  a  traditore,  ognun  t'insulta! 
31 

Quanto  utilmente,  quanto  con  tuo  onore 
M'avresti  dato  quel  che  da  te  volli! 
Di  questo  si  ostinato  tuo  rigore 
La  gran  mercé  che  tu  guadagni,  or  folli. 
In  prigion  sei,  né  crederne  uscir  fuore. 
Se  la  durezza  tua  prima  non  molli. 
Ma  quando  mi  compiacci,  io  farò  trama 
Di  l'acquistarti  e  libertade  e  fama. 
32 

No,  no  (disse  Filandro)  aver  mai  speue 

29.  2.  la  1.  prima  del  p.;  la  primiera  li- 
bertà di  partirsene  a  sua  voglia. 

—  5.  stanco...  del  s.  p.  fornire;  st.  di  for- 
nire il  suo  pensiero.  Bocc.  Ninf.  st.  335: 
«  Né  son  più  degno  del  dardo  portare  »  e 
st.  35:  «  saziare  Non  si  potea  della  ninfa  mi- 
rare ».  Nota  poi  la  brachilogia  stanco  di 
fornire  per  stanco  di  operare  ììer  fornire. 

30.  2.  di  prima.  Si  usò  spesso  dagli  anti- 
chi per  il  semplice  prima:  Dante.  Inf.  15, 
11.  «assai  più  che  di  prima  >. 

—  6.  p.  opima;  v.  e.  i,  41,  (i. 

—  8.  t'insulta,  insulta  a  te,  come  a  tr.  É 
il  costrutto  latino  insultare  alioui;  co- 
strutto non  raro  anche  in  altri  scrittori. 

.31.  1.  Quanto  et.  onore;  È  modo  popolare, 
nel  quale  è  preso  con  tuo  onore  come  modo 
avverbiale,  l'iù  comun.  con  quanto  t.  on. 

—  5.  n.  cred.  uscir  fuore;  uè  credere,  u- 
scirne  f.  Solito  spostamento  del  pronome.; 
V.  e.  I,  47,  n.  6. 

—  fi.  molli,  ammollisci.  Dal  verbo  mollire, 
che  è  poetico  e;  per  lo  più,  prende  nel  pres. 
la  forma  mollisco.  Tas«o,  Am.  prol.  «  Aspet- 
terò che  la  pietà  moUisca  ». 

—  7.  compiacci,  compiaccia.  V.  e.  xv,  86, 
n.  5.  —  farò  trama;  farò  pratiche.  .Non  si 
citano  altri  esempi  di  questa  locuz. 

32. 1.  No,  no;  Il  secondo  no  vale  noìi;  ma 
è  modo  e  distacco  assai  forzato. 


CANTO  XXI 


279 


Che  non  sia,  come  suol,  mia  vera  fede, 
Se  ben  contra  ogni  debito  mi  avviene 
Ch'io  ne  riporti  si  dura  mercede; 
E  di  me  creda  il  mondo  men  che  bene: 
Basta  che  inanti  a  quel  che  '1  tutto  vede, 
E  mi  può  ristorar  di  grazia  eterna. 
Chiara  la  mia  innocenza  si  discerna. 
33 

Se  non  basta  ch'Arseo  mi  tenga  preso, 
Tolgami  ancor  questa  noiosa  vita. 
Forse  non  mi  fia  il  premio  in  ciel  conteso 
De  la  buona  opra  qui  poco  gradita. 
Forse  egli  che  da  me  si  chiama  offeso, 
Quando  sarà  quest'anima  partita, 
S'avvedrà  poi  d'avermi  fatto  torto, 
E  piangerà  il  fedel  compagno  morto. 
34 

Cosi  più  volte  la  sfacciata  donna 
Tenta  Filandro  e  torna  senza  frutto. 
Ma  il  cieco  suo  desir,  che  non  assonna 
Del  scelerato  amor  traer  construtto. 
Cercando  va  più  dentro  ch'alia  gonna, 
Suoi  vizi  antiqui,  e  ne  discorre  il  tutto. 
Mille  pensier  fa  d'uno  in  altro  modo. 
Prima  che  fermi  in  alcun  d'essi  il  chiodo. 
35 

Stette  sei  mesi  che  non  messe  piede. 
Come  prima  facea,  ne  la  prigione; 
Di  che  il  miser  Filandro  e  spera  e  crede 
Che  costei  più  non  gli  abbia  aifezione. 


—  2.  Che  non  sia,  ecc.  ;  che  la  mia  fede 
non  sia  vera  come  suole  essere.  Avverti 
l'anticipazione  dell'aggett.  vera. 

—  3.  debito,  dovere,  legge  del  dovere. 
34.  3.  non  assonna;    non   è  lenta.  V.  e.  i, 

49,  n.  3;  ni,  75,  6. 

—  4.  traer,  trarre.  Si  sottintende  la  prep. 
a  o  per  o  in  secondo  i  costrutti  dei  due 
luoghi  sopra  citati.  V.  e.  i,  -1,  n.  1. 

—  5.  più  d.  ch'alia  g.  Forse  vuol  dire: 
Non  è  solo  ispirata  dalla  libidine  del  corpo, 
ma  ancora  dalla  inveterata  malizia  dell'a- 
nima. Cerca  dunque  e  sveglia  quei  vizi, 
che  sono  più  addentro  che  sotto  la  gonna, 
cioè  la  malizia  dell'anima,  e  ne  esamina  le 
varie  suggestioni  (ne  discorre  il  tutto). 

—  7.  Mille  pensier;  Fa  mille  progetti  pas- 
sando  da  un  modo  a  un  altro  di  pensare, 
prima  di  fermarsi  in  alcuno  di  essi.  La  lo- 
cuzione fermare  il  chiodo  è  tratta,  secondo 
il  Fornari,dai  legnaiuoli,  che  prima  di  pian- 
tare il  chiodo  guardano  bene  il  legno  vol- 
tandolo e  rivoltandolo. 

3.5.  1.  che  non  m.  ;  senza  che  mettesse. 
Vite  dei  SS.  PP.  1,  163:  «Stette  tutto  quel 
di  e  la  notte  che  non  tornò  a  lui  ». 

—  3.  Di  che;  per  la  qual  cosa.  Bocc.  In- 
trod  Dee.  «  Ciascun...  avea,  si  come  sé,  le 
sue  cose  messe  in  abbandono  :  di  che  le 
più  delle  cose  erano  divenute  comuni  ». 


Ecco  Fortuna,  al  mal  propizia,  diede 
A  questa  scelerata  occasione 
Di  metter  tìn  con  memorabil  male 
A  suo  cieco  appetito  irrazionale. 

3G 
Antiqua  nimicizia  avea  il  marito 
Con  un  Baron,  detto  Morando  il  bello,  [to 
Che,non  v'essendo  Argeo,  spesso  eraardi- 
Di  correr  solo,  e  sin  dentro  al  castello; 
Ma  s'Argeo  v'era,  non  tenea  lo  'nvito, 
Né  s'accostava  a  dieci  miglia  a  quello. 
Or,  per  poterlo  indur  che  ci  venisse, 
D'ire  in  Gerusalera  per  voto  disse. 

37 
Disse  d'andare;  e  partesi  ch'ognuno 
Lo  vede,  e  fa  di  ciò  sparger  le  grida: 
Né  il  suo  pensier,  fuor  che  la  moglie,  alcuno 
Puote  saper;  che  sol  di  lei  si  iìda. 
Torna  poi  nel  castello  all'aer  bruno; 
Né  mai,  se  non  la  notte,  ivi  s'annida: 
E  con  mutate  insegne  al  nuovo  albore. 
Senza  vederlo  alcun,  sempre  esce  fuore. 

38  frando, 

Se  ne  va  in  questa  e  in  quella  parte  er- 
E  volteggiando  al  suo  castello  intorno, 
Pur  per  veder  se  credulo  Morando 
V'olesse  far,  come  solca,  ritorno. 
Stava  il  di  tutto  alla  foresta;  e  quando 
Ne  la  marina  vedea  ascoso  il  giorno. 
Venia  al  castello,  e  per  nascose  porte 
Lo  togliea  dentro  l'infedel  consorte. 

39 
Crede  ciascun,  fuor  che  l'iniqua  moglie, 
Che  molte  miglia  Argeo  lontan  si  trove. 
Dunque  il  tempo  opportuno  ella  si  toglie: 
Al  fratel  mio  va  con  malizie  nuove. 
Ha  di  lagrime,  a  tutte  le  sue  voglie, 


36.  4.  correr;  fare  scorrerie.  Generalmente 
si  usò  col  complemento  di  luogo  come  nel 
e.  Ili,  45,  4;  ma  qui.  più  che  vedervi  un  uso 
speciale  deve  sottintendersi  il  complemento 
primo  (in  ogni  luogo)  rilevandolo  dal  se- 
condo (e  fin  dentro  al  castello). 

—  5.  non  tenea  lo  'nv.;  non  accettava  nep- 
pure le  provocazioni,  che  da  lui  gli  veni- 
vano come  un  invito  a  correre  il  suo  do- 
minio. 

—  7.  indnr  che.  È  costrutto  notevole,  in- 
vece del  più  comune  indurre  a  o  di.  Cosi 
pure  nel  e.  xl,  41. 

37. 1.  che,  quando,  mentre.  È  d'  uso  co- 
mune. 

—  7.  con  mutate  ins.  L'insegna  era  il  solo 
modo  di  riconoscere  i  cavalieri  erranti,  che, 
per  lo  pili,  andavano   colla  visiera  calata, 

—  8.  Senza  v.  alcun.  V.  e.  X,  19,  n.  7. 
38.  2.  volteggiando,  girando.  Si  usò  anche 

col  complemento  diretto.  Caro,  En.,  755  : 
«  Ma  fa  mestier  di  volteggiarla  ancora 
(l'Italia),  Con  lungo  giro». 


280 


ORLANDO  FURIOSO 


Un  nembo  che  dagli  occhi  al  sen  le  piove. 
Dove  potrò  (dicea)  trovare  aiuto, 
Che  in  tutto  Touor  mio  non  sia  perduto? 
40 

E  col  mio  quel  del  mio  marito  insieme? 
11  qual  se  fosse  qui,  non  temerei. 
Tu  conosci  Morando,  e  sai  se  teme, 
Quando  Argeo  non  ci  sente,  uomini  e  Dei. 
Questi  or  pregando,  or  minacciando  estre- 
Prove  fa  tuttavia,  né  alcun  de'  miei    (me 
Lascia  che  non  contamini,  per  trarrai 
Ai  suoi  disii,  né  so  s'io  potrò  aitarmi. 
41 

Or  c'hainteso  il  partir  del  mio  consorte, 
E  ch'ai  ritorno  non  sarà  si  presto. 
Ha  avuto  ardir  d'entrar  ne  la  mia  corte 
Senza  altra  scusa  e  senz'altro  pretesto. 
Che  se  ci  fosse  il  mio  signor  per  sorte, 
Non  sol  non  avria  audacia  di  far  questo, 
Ma  non  si  terria  ancor,  per  Dio,  sicuro 
D'appressarsi  a  tre  miglia  a  questo  muro. 
42 

E  quel  che  già  per  messi  ha  ricercato, 
Oggi  me  l'ha  richiesto  a  fronte  a  fronte; 
E  con  tai  modi,  che  gran  dubbio  è  stato 
De  lo  avvenirmi  disonore  et  onte: 
E  se  non  che  parlar  dolce  gli  ho  usato, 
E  finto  le  mie  voglie  alle  sue  pronte, 
Saria,  a  forza,  di  quel  suto  rapace. 
Che  spera  aver  per  mie  parole  in  pace. 
43 

Promesso  gli  ho,  non  già  per  osservargli 
(Che  fatto  per  timor,  nullo  è  il  contratto); 
Ma  la  mia  intenzion  fu  per  vietargli 
Quel  che  per  forza  avrebbe  allora  fatto. 


40.  4.  ci  sente  ;  sente  qui,  in  queste  parti. 

—  7.  contamini;  corrompa,  suborni.  Si 
cita  uu  esempio  di  Donato  dal  Casentino, 
Volgarizzam.  del  Boccaccio,  223:  «S'era 
sforzata  di  contaminare  quello  famiglio  ». 
La  Crusca  non  ha  questo  significato. 

41.  3.  corte,  cortile  del  castello. 

—  4.  altra,  alcuna.  Cosi  trovasi  usato 
assai  spesso. 

42.  3.  gran  dubbio  ecc.  ;  v'  è  stato  gran 
dubbio,  gran  pericolo  che  me  ne  avvenisse 
disonore  ed  onta. 

5.  se  non  che  ;  se  non  fosse  stato  che. 

È  modo  comunissimo  nella  nostra  lingua. 
Petr.  I,  son.  56:  «E  se  non  ch'ai  desio 
cresce  la  speme  ».  E  si  usò  anche  1'  espres- 
sione ìuconiugaihììe  se  non  fosse  che:  Dan- 
te, Jnf.  24,  34. 

—  7.  snto  rapace;  stato  rapace;  avrebbe 
rapito,  preso  per  forza. 

43.  1.  osservargli;  SoUint.  la  promessa. 
Ma  cosi  assolutamente  1'  usò  anche  il  Derni, 
Inn:  20,  51  :  «  Cosi  ho  giurato...  e  conviem- 
mi  osservare  ». 


Il  caso  è  qui:  tu  sol  puoi  rimediargli; 
Del  mio  onor  altrimenti  sarà  tratto, 
Edi  queldelmioArgeochegiàm'hai  detto 
Aver  0  tanto,  o  pia  che  '1  proprio,  a  petto. 

44 
E  se  questo  mi  nieghi,  io  dirò  dunque 
Ch'in  te  non  sia  la  fé  di  che  ti  vanti; 
Ma  che  fu  sol  per  crudeltà,  qualunque 
Volta  hai  sprezzati  i  miei  supplici  pianti; 
Non  per  rispetto  alcun  d'Argeo  quantun- 

[que 
M'hai  questo  scudo  ogn'ora  opposto  inan- 
Saria  stato  tra  noi  la  cosa  occulta;  [ti. 
Ma  di  qui  aperta  infamia  mi  risulta. 

45 
Non  si  convien  (disse  Filandro)  tale 
Prologo  a  me,  per  Argeo  mio  disposto. 
Narrami  pur  quel  che  tu  vuoi,  che  quale 
Sempre  fui,  di  sempreessere  ho  proposto; 
E  ben  ch'a  torto  io  ne  riporti  male, 
A  lui  non  ho  questo  peccato  imposto. 
Per  lui  son  pronto  andare  anco  alla  morte, 
E  siami  centra  il  mondo  e  la  mia  sorte. 

46 
Rispose  l'empia:  Io  voglio  che  tu  spenga 
Colui  che  '1  nostro  disonor  procura. 
Non  temer  ch'alcun  mal  di  ciò  t'avvenga; 
Ch'io  te  ne  mostrerò  la  via  sicura. 
Debbe  egli  a  me  tornar  come  rivenga 
Su  l'ora  terza  la  notte  più  scura; 
E  fatto  un  segno  di  ch'io  l'ho  avvertito. 
Io  l'ho  a  tòr  dentro,  che  non  sia  sentito. 
47 
A  te  non  graverà  prima  aspettarme 
Ne  la  camera  mia  dove  non  luca, 
Tanto  che  dispogliar  gli  faccia  l'arme, 
E  quasi  nudo  in  man  te  lo  conduca. 
Cosi  la  moglie  conducesse  parme 


—  5.  è  qui;  il  caso  è  questo,  é  in  questi 
termini  che  ti  ho  detto.  Cfr.  il  modo  vivo  e 
popolare,  tutto  simile:  la  questione  è  qui. 

—  6.  sarà  tratto;  sarà  tolto.  Forse  meglio 
sarà  cosa  finita,  con  espressione  tolta  dai 
giuoco  dei  dadi.  I  Latini  dicevano  aleaiacta 
est,  il  dado  è  tratto,  la  cosa  è  fatta. 

44.  7.  Saria  stato;  saria  stata.  V.  e.  v,  58, 
n.  5. 

45.  6.  imposto;  apposto,  attribuito.  Si  disse 
non  solo  di  cattive  cose,  ma  anche  di  buone. 
Vite  dei  SS.  PP.:  «  Perché  imponi  tu  questa 
virtù  a  me  ?  » 

46.  C.  Su  r  ora  t.  ecc.  ;  quando  la  notte  si  ri- 
faccia più  scura,  suU'  ora  terza.  Per  que- 
st'  ora  cfr.  e.  vii,  47,  n.  7.  Alcuni,  pare  a 
torto,  intendono  che  il  poeta,  dividendo  la 
notte  come  il  giorno,  indichi  dalla  mezza- 
notte alle  tre. 

47.  5.  Cosi  ecc.  Questo  è  detto  da  Ermo- 
nide  come  sua  riflessione.  E  dice  parme 
ironicamente. 


CANTO  XXI 


281 


Il  suo  marito  alla  tremenda  buca; 
Se  per  dritto  costei  moglie  s'appella, 
Pili  che  furia  internai  crudele  e  fella. 

48 
Poi  che  la  notte  scelerata  venne, 
Fuor  trasse  il  mio  fratel  con  l'arme  in 
E  ne  l'oscura  camera  lo  tenne,       jmano 
Fin  che  tornasse  il  miser  Castellano. 
Come  ordine  era  dato,  il  tutto  avvenne: 
Che  '1  consiglio  del  mal  va  raro  in  vano; 
Cosi  Filandro  il  buono  Argeo  percosse. 
Che  si  pensò  che  quel  Morando  fosse. 

49 
Con  essoun  colpoilcapo  fessee  il  collo; 
Ch'elmo  non  v'era,  e  non  vi  fu  riparo. 
Pervenne  Argeo,  senza  pur  dare  un  crollo, 
De  la  mìsera  vita  al  fine  amaro; 
E  tal  l'uccise,  che  mai  non  pensollo. 
Né  mai  Tavria  creduto:  oh  caso  raro! 
Che  cercando  giovar  fece  all'amico 
Quel,  di  che  peggio  non  si  fa  al  nimico. 

50  [que, 

Poscia  ch'Argeo  non  conosciuto  giac- 
Rende  a  Gabriua  il  mio  fratel  la  spada. 
Gabrina  è  il  nome  di  costei,  che  nacque 
Sol  per  tradire  ognun  che  in  man  le  cada. 
Ella,  che  '1  ver  fin  a  quell'ora  tacque, 
Vuol  che  Filandro  a  riveder  ne  vada 
Col  lume  in  mano  il  morto,  ond'egli  è  reo; 
E  gli  dimostra  il  suo  compagno  Argeo. 

51 
E  gli  minaccia  poi,  se  non  consente 
All'amoroso  suo  lungo  desire, 
Di  palesare  a  tutta  quella  gente 
Quel  ch'egli  ha  fatto,  e  non  può  contradire; 
E  lo  farà  vituperosamente. 
Come  assassino  e  traditor,  morire; 
E  gli  ricorda  che  sprezzar  la  fama 
Non  de',  se  ben  la  vita  si  poco  ama. 

52 
Pien  di  paura  e  di  dolor  rimase 

—  6.  alla  tr.  buca,  alla  fossa,  alla  sepol- 
tura. 

48.  1.  notte  scelerata,  notte  di  delitto,  pie- 
na di  delitto. 

49.  1.  Con  esso  ecc.  Con,  sovra,  sotto, 
lungo  ed  altre  simili  preposizioni  si  raffor- 
zano talvolta  con  esso,  che  da  principio 
dovette  essere  accordato  col  sostantivo  se- 
guente, poi,  attaccandosi  alla  preposizione, 
diventò  parte  di  quella  (sovresso,  sottesso, 
lunghesso).  Alcuna  volta  esso  è  puramente 
pleonastico,  alcun' altra,  come  qui,  ha  il  si- 
gnificato dell' ijjse  latino;  proprio  con  un 
colpo,  con  un  sol  colpo.  —  fesse,  fendè.  È 
forma  irregolare  comunissima  in  prosa  e 
m  verso,  negli  antichi. 

51.  3.  a  tutta  q.  g.,  che  abitava  il  castello. 

52.  1.  Pien  di  paura;  paura  della  morte 
infame. 


Filandro,  poi  che  del  suo  error  s'accorse. 
Quasi  il  primo  furor  gli  persuase 
D'uccider  questa,  e  stette  un  pezzo  in  for- 
E  se  non  che  ne  le  nimiche  case  (se  : 

Si  ritrovò  (che  la  ragion  soccorse). 
Non  si  trovando  avere  altr'arme  in  mano. 
Coi  denti  la  stracciava  a  brano  a  brano  ' 

53 
Come  ne  l'alto  mar  legno  talora. 
Che  da  duo  venti  sia  percosso  o  vinto, 
Ch'ora  uno  inanzi  l'ha  mandato,  et  ora 
Un  altro  al  primo  termine  respinto, 
E  l'han  girato  da  poppa  e  da  prora. 
Dal  più  possente  al  fin  resta  sospinto, 
Cosi  Filandro,  tra  molte  contese 
De'  duo  pensieri,  al  manco  rio  s'apprese. 

54 
Ragion  gli  dimostrò  il  pericol  grande, 
Oltre  il  morir,  del  fine  infame  e  sozzo, 
Se  l'omicidio  nel  caste!  si  spande; 
E  del  pensare  il  termine  gli  è  mozzo. 
Voglia  0  non  voglia,  al  fin  convien  che 
L'amarissimo  calice  nel  gozzo,     [maude 
Pur  finalmente  ne  l'aftlitto  core 
Pili  de  l'ostinazion  potè  il  timore. 

55 
Il  timor  del  supplicio  infame  e  brutto 
Prometter  fece  con  mille  scongiuri, 
Che  farla  di  Gabrina  il  voler  tutto, 
Se  di  quel  luogo  si  partian  sicuri. 
Cosi  per  forza  colse  l'empia  il  frutto 
Del  suo  desire,  e  poi  lasciar  quei  muri. 
Cosi  Filandro  a  noi  fece  ritorno, 
Di  sélasciando  in  Grecia  infamia  e  scorjio 

56 
E  portò  nel  cor  fisso  il  suo  compagno 
Che  cosi  scioccamente  ucciso  avea. 
Per  far  con  sua  gran  noia  empio  guadagno 
D'una  Progne  crudel,  d'una  Medea. 
E  se  la  fede  e  il  giuramento,  magno 
E  duro  freno,  non  lo  riteuea. 
Come  al  sicuro  fu,  morta  l'avrebbe; 
Ma,  quanto  più  si  puote,  in  odio  l'ebbe. 

57 
Non  fu  da  indi  in  qua  rider  mai  visto: 


—  5.  se  non  che.  V.  st.  42,  n.  5. 

54.  4.  il  termine,  il  tempo.  V.  e.  xiil,  47. 
n.  2. 

—  7.  Pur  fin.  Il  pur  dà  maggiore  evidenza 
all'avv.  finalmente:  finalmente  invero.  È 
esempio  notevole. 

55.  2.  scongiuri,  giuramenti.  V.  e.  v,  32. 
n.  5. 

—  7.  a  noi,  in  Olanda,  donde  era  Ermo- 
nide. 

—  8.  in  Grecia,  nell'  impero  greco  :  cfr. 
st.  13,  14. 

56.  2.  scioccamente;  Perché  non  aveva  a- 
vuto  abbastanza  accortezza. 

—  4.  Progne...  Medea;  V.  c.  Ili,  52. 


282 


ORLANDO  FURIOSO 


Tutte  le  sue  parole  erano  meste: 
Sempre  sospir  gli  uscian  dal  petto  tristo; 
Et  era  divenuto  un  nuovo  Oreste, 
Poi  che  la  madre  uccise  e  il  sacro  Egisto, 
E  che  l'ultrice  Furie  ebbe  moleste; 
E  senza  mai  cessar,  tanto  l'afflisse 
Questo  dolor,  ch'infermo  al  letto  il  fisse. 
58 

Or  questa  meretrice  che  si  pensa 
Quanto  a  quest'  altro  suo  poco  sia  grata, 
Muta  la  fiamma  già  d'amore  intensa 
In  odio,  in  ira  ardente  et  arrabbiata: 
Né  meno  è  contra  al  mio  fratello  accensa, 
Che  fosse  contra  Argeo  la  scelerata; 
E  dispone  tra  sé  levar  dal  mondo, 
Come  il  primo  marito,  anco  il  secondo. 
59 

Un  medico  trovò  d'inganni  pieno, 
Sufficiente  et  atto  a  simil  uopo, 
Che  sapea  meglio  uccider  di  veneno, 
Che  risanar  gì'  infermi  di  silopo; 
E  gli  pi-omesse  inanzi  pili,  che  mpuo 
Di  quel  che  domandò,  donargli,  dopo 
Ch'avesse  con  mortifero  liquore 
Levatole  dagli  occhi  il  suo  Signore. 
60 

Giàin  mia  presenza  e  d'altrepiù  persone 
Venia  col  tosco  in  mano  il  vecchio  ingiusto, 
Dicendo  ch'era  buona  pozione 
Da  ritornare  il  mio  fratel  robusto. 
Ma  Gabrina  con  nuova  intenzione. 
Pria  che  l'infermo  ne  turbasse  il  gusto, 
Per  tórsi  il  consapevole  d'appresso, 
0  per  non  dargli  quel  ch'avea  promesso, 
61 

La  man  gli  prese,  quando  a  punto  dava 
La  tazza  dove  il  tosco  era  celato. 
Dicendo:  Ingiustamente  è  se  '1  ti  grava 

57.  4.  Oreste,  figlio  di  Agamennone  e  di 
Clitennestra  uccise  la  madre  ed  Egisto,  per 
vendicare  il  padre  già  ucciso  da  loro.  Per 
fiuesto  delitto  fu  assalito  dalle  Furie.  — 
sacro,  nel  senso  di  esecrabile,  come  talvolta 
il  sacer  dei  Latini. 

—  6.  nitrica.  Su  questa  terminazione  cfr. 
e.  IX,  8J,  1. 

.59.  4.  silopo;  e  scilojio  sono  forme  arcai- 
che per  sciroiJpo.  E  per  medicina  in  gene- 
rale r  usarono  il  Sacchetti,  il  Burchiello  e 
altri. 

—  5.  inanzi.  ;  piuttosto.  È  frequente  nella 
nostra  letteratura. 

—  7.  avesse...  levatole.  Solito  spostamento 
del  pron.  V.  e.  r,  47,  n.  6. 

60.  6.  Pria  ecc.,  prima  che  il  gusto  di 
questa  bibita  turbasse  l' infermo.  Cosi,  e 
non  altrimenti  come  alcuni  fanno,  deve  in- 
tendersi questo  luogo  da  chi  conosca  le 
strane  inversioni  usate  talvolta  dall'A. 

61.  3.  Inginstam.  è;  ingiustam.  avviene  se 
egli  ti  grava  che  io  ecc. 


Ch'io  tema  per  costui  c'ho  tanto  amato. 
Voglio  esser  certa  che  bevanda  prava 
Tu  non  gli  dia,  né  succo  avvelenato; 
E  per  questo  mi  par  che  '1  beveraggio 
Non  gli  abbi  a  dar,  se  non  ne  fai  tu  il  sag- 
62  [gio. 

Come  pensi.  Signor,  che  rimanesse 
Il  miser  vecchio  conturbato  allora? 
La  brevità  del  tempo  si  l'oppresse. 
Che  pensar  non  potè  che  meglio  fora: 
Pur,  per  non  dar  maggior  sospetto,  elesse 
Il  calice  gustar  senza  dimora; 
E  r  infermo,  seguendo  una  tal  fede. 
Tutto  il  resto  pigliò,  che  si  gli  diede. 
63 

Come  sparvier  che  nel  piede  grifagno 
Tenga  la  starna  e  sia  per  trarne  pasto, 
Dal  can  che  si  tenea  fido  compagno. 
Ingordamente  è  sopragiunto  e  guasto: 
Cosi  il  medico  intento  al  rio  guadagno, 
Donde  sperava  aiuto  ebbe  contrasto. 
Odi  di  somma  audacia  esempio  raro: 
E  cosi  avvenga  a  ciascun  altro  avaro. 
64 

Fornito  questo,  il  vecchio  s'era  messo. 
Per  ritornare  alla  sua  stanza,  in  via, 
Et  usar  qualche  medicina  appresso. 
Che  lo  salvasse  da  la  peste  ria; 
31a  da  Gabrina  non  gli  fu  concesso, 
Dicendo  non  voler  ch'andasse  pria 
Che  '1  succo  ne  le  stomaco  digesto 
Il  suo  valor  facesse  manifesto. 
65 

Pregar  non  vai,  né  far  di  premio  offerta, 
Che  lo  voglia  lasciar  quindi  partire. 
Il  disperato  poi  che  vede  certa 
La  morte  sua,  né  la  poter  fuggire. 
Ai  circonstanti  fa  la  cosa  aperta; 
Né  la  seppe  costei  troppo  coprire. 
E  cosi  quel  che  fece  agli  altri  spesso. 
Quel  buon  medico  al  fin  fece  a  sé  stesso-. 
66 

E  sequitò  con  l'alma  quella  ch'era 
Già  del  mio  frate  caminata  inanzi. 
Noi  circostanti  che  la  cosa  vera 


62.  4.  che  meglio  f.;  ciòchem.  f.  Bocc.,nov. 

23:  «Il  dirò  a'  fratei  miei  e  avvegnane  che 
i  può».  —  fora,  sarebbe,  sarebbe  stato. 
i  —  8.  si  gli  d.  ;  gli  si  diede. 
I  e:ì.  7.  Odi  d.  8.  a.  L'audacia  della  donna, 
I  che  produsse  la  rovina  dell'avaro  medico. 
I  6.J.  1.  di  premio  of.;  offerta  del  premio 
I  pattuito. 

1       —  2.  Che  ;  perché.  V.  e.  i,  27,  8  e  altrove. 
I       60.  1.  sequitò;  Forma  più  vicina  al  latino 

sequi. 

—  2.  era...  caminata;  Più  comunemente 
I  aveva  camminato.  Con  essere  V  usò  il 
I  Bocc.  nov.  89.  V.  Fornaciari,  Sint,  p.  157. 
I       —  3.  la  e.  vera  del  v.  ;  le  vere  confidenze 


CANTO  XXI 


28[ 


Del  vecchio  udimmo,  che  fé'  pochi  avanzi, 
Pigliammo  questa  abominevol  fera. 
Più  crudel  di  qualunque  in  selva  stanzi; 
E  la  serrammo  in  tenebroso  loco, 
Per  condannarla  al  meritato  fuoco, 
67 

Questo  Ermonide  disse,  e  pili  voleva 
Seguir,  com'ella  di  prigiou  levossi; 
Ma  il  dolor  de  la  piaga  si  l'aggreva, 
Che  pallido  ne  l'erba  riversossi. 
In  tanto  duo  scudier,  che  seco  aveva, 
Fatto  una  bara  avean  di  rami  grossi:^ 
Ermonide  si*fece  in  quella  porre; 
Ch'indi  altrimente  non  si  potea  tórre. 
68 

Zerbin  col  cavallier  fece  sua  scusa, 
Che  gl'increscea  d'avergli  fatto  offesa; 
Ma,  come  pur  tra  cavallieri  s'usa, 
Colei  che  venia  seco,  avea  difesa: 
Ch'altrimente  sua  fé  saria' confusa; 
Perché  quando  in  sua  guardia  l'avea  presa 
Promesse  a  sua  possanza  di  salvarla 
Contra  ognun  che  venisse  a  disturbarla. 
69 

E  s'in  altro  potea  gratificargli. 
Prontissimo  offeriase  alla  sua  voglia. 
Eispose  il  cavallier,  che  ricordargli 
Sol  vuol  che  da  Gabrina  si  discioglia 
Prima  ch'ella  abbia  cosa  a  machinargli, 

del  vecchio.  Forse  è  anche  di  per  da  come 
al  e.  I,  51,  6;  vii,  65,  6;  se  pure  non  è  ei-- 
rore  di  stampa;  il  che  non  appare  impro- 
babile vedendo  che  nell'  ediz.  del  '16  e  del 
'21  si  legge  dal  vecchio.  —  té  pochi  av.  ; 
fece  pochi  guadagni  del  suo  male  operare. 

68.  5.  confusa,  offuscata.  Significato  si- 
mile a  quello  dell'  espressione  vista  con- 
fusa, non  chiara.  I  vocabolari  non  lo  ci- 
tano. 

69.  2.  offeriase,  offeriasi.  V.  e.  ii,  49,  n.  1. 
—  5.  machinargli  ;  macchinare  contro  di 

lui.  Il  costrutto  macchinare  a  uno  è  più 
raro  dell'  altro  macch.  contro  uno,  ma  non 
ne  mancano  esempì. 


Di  ch'esso  indarno  poi  si  penta  e  doglia. 
Gabrina  tenne  sempre  gli  occhi  bassi; 
Perché  non  ben  risposta  al  vero  dassi.' 
70 

Con  la  vecchia  Zerbin  quindi  partisse 
Al  già  promesso  dehito  viaggio; 
E  tra  sé  tutto  il  di  la  maledisse,' 
Che  far  gli  fece  a  quel  Barone  oltraggio. 
Et  or  che  pel  gran  mal  che  gli  ne  disse 
Chi  lo  sapea,  di  lei  fu  instrutto  e  saggio. 
Se  prima  l'avea  a  noia  e  a  dispiacere, 
Or  l'odia  si  che  non  la  può  vedere. 
71 

Ella  che  di  Zerbin  sa  l'odio  a  pieno, 
Né  in  mala  voluutà  vuol  esser  vinta. 
Un'oncia  a'iui  non  ne  riporta  meno: 
La  tien  di  quarta,  e  la  rifa  di  quinta. 
Nel  cor  era  gonfiata  di  veneno, 
E  nel  viso  altrimente  era  dipinta. 
Dunque  ne  la  concordia  ch'io  vi  dico, 
Tenean  lor  via  per  mezzo  il  bosco  antico. 
72 

Ecco,  volgendo  il  sol  verso  la  sera, 
Udiron  gridi  e  strepiti  e  percosse. 
Che  facean  segno  di  battaglia  fiera 
Che,  quanto  era  il  rumor,  vicina  fosse. 
Zerbino,  per  veder  la  cosa  ch'era, 
Verso  il  rumor  in  gran  fretta  si  mosse: 
Né  fu  Gabrina  lenta  a  seguitarlo. 
Di  quel  ch'avvenne  all'altro  Canto  io  parlo. 


70.  6.  saggio,  dotto,  consapevole.  Dante, 
Purg.  5,  30  :  «  Di  vostra  condizion  fatene 
saggi  ». 

71.4.  La  tien  ecc.;  la  riceve  di  q.  e  la 
rifa  di  quinta;  cioè  rende  la  pariglia.  La  lo- 
cuzione sembra  al  Barotti  tolta  dalla  scher- 
ma, al  Fornari  dai  giuocatori  :  «  che  alle 
volte  quando  l'un  provoca  l'altro  che  in  un 
tratto  vadano  quattro  giuochi,  quel  rispon- 
de cinque  a  maggior  contesa  e  voglia  ». 
La  prima  iuterpretazioue  è  preferibile. 

7"2. 4.  quanto  eia  il  r.;  per  quanto  poteva 
giudicarsi  dal  rumore.  V.  e.  xii,  91,  n.  4. 


CANTO  XXII 


Cortesi  donne,  e  grate  al  vostro  amante, 
Voi  che  d'un  solo  amor  sete  contente, 
Comeché  certo  sia,  fra  tante  e  tante. 
Che  rarissime  siate  in  questa  mente; 


1.  1.  grate:  riconoscenti  per  l'amor,  che 
vi  porta. 

—  4.  siate.  Nella  '16  era  sete.  Nota  la  fi- 
nezza del  cambiamento.  Coli'  indie,  avrebbe 


Non  vi  dispiaccia  quel  ch'io  dissi  inante, 
Quando  contra  Gabrina  fui  si  ardente, 
E  s'ancor  son  per  spendervi  alcun  verso. 
Di  lei  biasmaudo  l'animo  perverso. 


indicato  solamente  la  realtà  del  fatto;  col 
cong.  indica  la  certezza  che  ne  ha  lo  scrit- 
tore, quasi  dica:  comecché  certo  sia  ciò  che 
io  mi  penso,  cioè  che  siate  rarissime  a  con- 
tentarvi d'un  solo.  —  mente;  disposizione 
d' animo,  intenzione. 


284 


ORLANDO  FURIOSO 


Ella  era  tale;  e  come  imposto  fammi 
Da  chi  può  in  me,  non  preterisco  il  vero. 
Per  questo  io  non  oscuro  ffli  onor  summi 
D'una  e  d'un'altra  ch'abbia  il  cor  sincero. 
Quel  che  '1  Maestro  suo  per  trenta  nummi 
Diede  a' Giudei,  non  nocque  a  Gianni  o  a 

[Piero; 
Né  d'Ipermestra  è  la  fnma  men  bella, 
Se  ben  di  tante  inique  era  sorella. 
3 

Per  una  che  liiasmar  cantando  ardisco 
(Che  l'ordinata  istoria  cosi  vuole), 
Lodarne  cento  incontra  m'offerisco, 
E  far  lor  virtù  chiara  più  che  '1  sole. 
Ma  tornando  al  lavor  che  vario  ordisco, 
Ch'a  molti,  lor  mercé,  grato  esser  suole, 
Del  cafallier  di  Scozia  io  vi  dicea, 
Ch'un  alto  grido  appresso  udito  avea. 

4  [calle 

Fra  due  montagne  entrò  in  un  stretto 
Ondeuscia  il  grido,  e  non  tu  molto  inante. 
Che  giunse  dove  in  una  chiusa  valle 
Si  vide  un  cavallier  morto  davante. 


2.  1.  imposto  f.  Degli  amichi  commen- 
tatori alcuni  credono  che  l'A.  introducesse 
quesl'  episodio  per  desiderio  della  Marchesa 
di  Mantova  adombrando  qualche  fatto  ac- 
caduto allora.  Il  Foruari  dice  che  Gabrina 
fu  una  rea  femmina  ai  tempi  dell'A.;  e 
Argeo  e  filandro  due  gentiluomi  napole- 
tani amicissimi  fra  loro.  Il  Romizi  intende 
che  gli  fu  imposto  dalle  ragioni  dell'  arte; 
ma  1*11  un  poema  romanzesco  di  questo  ge- 
nere la  verità  storica  coni'  entra  nelle  ra- 
gioni dell'arte  •'.  E  in  ogni  modo  se  Gabrnia  è 
invenzione  dell'A.  ;  queste  parole  sarebbero 
di  un' oscurità  sorprendente.  Avverti  anche 
il  fummi:  secondo  l' interpretaz.  del  Ko- 
mizi  dovremmo  avere  il  presente  <'. 

—  5.  quel  ;  Giuda,  che  per  30  denari  vendè 
Cristo,  non  nocque  alla  fama  di  Giovanni  e  di 
Pietro.  —  nommi.  Gli  Evangelisti  usano  de- 
narius,  che  era  una  piccola  moneta;  ma 
poiché  i  Latini  usarono  nummus,  oltre  che 
per  moneta  in  generale,  anche  per  dena- 
rius,  cosll'A.,  secondo  r  uso  latino,  adopra 
nummi  nel  senso  specifico  di  denari. 

—  7.  Ipermestra:  Ipermnestra;  una  delle 
50  Danaidi.  Queste,  liglie  di  Danao,  sposa- 
rono i  loro  cugini,  e  nella  prima  notte,  per 
compiacere  al  padre,  li  uccisero.  Sola  Iper- 
mnestra risparmiò  nascostamente  il  marito 
Linceo. 

3.    2.  ordinata;  comandatami.  V.  st.  2,  1. 

—  6.  Ch'  a  molti  ecc.  L'A.  andava  leggen- 
do il  suo  poema,  di  mano  in  mano  che  lo 
scriveva,  agli  amici  e  ai  suoi  protettori; 
come  fecero  già  il  Boiardo,  il  Pulci,  e  poi 
il  Tasso. 


Chi  sia  dirò;  ma  prima  dar  le  spalle 
A  Francia  voglio,  e  girmene  in  Levante, 
Tanto  ch'io  trovi  Astolfo  paladino. 
Che  per  Ponente  avea  preso  il  camino. 
.") 
Io  lo  lasciai  ne  la  città  crudele, 
Onde  col  suon  del  formidabil  corno 
Avea  cacciato  il  popolo  infedele, 
E  gran  periglio  toltosi  d' intorno. 
Et  a'  compagni  fatto  alzar  le  vele, 
!  E  dal  lito  fuggir  con  grave  scorno. 
I  Or  seguendo  di  lui,  dico  che  prese 
La  via  d'Armenia,  e  usci  di 'quel  paese. 

e, 
I     E  dopo  alquanti  giorni  in  Natalia 
1  Trovossi,  e  inverso  Bursiailcamin  tenne; 
j  Onde,  continuando  la  sua  via 
I  Di  qua  dal  mare,  in  Tracia  se  ne  venne. 
!  Lungo  il  Danubio  andò  per  l'Ungaria; 
E  come  avesse  il  suo  destrier  le  penne, 
i  I  Moravi  e  i  Boemi  passò  in  meno 
Di  venti  giorni,  e  la  Franconia  e  il  Reno. 
7 
Per  la  selva  d'  Ardenna  in  Aquisgrana 
Giunse  e  in  Brabante,  e  in  Fiandra  al  fin 
(s'imbarca. 
L'aura  che  soffia  verso  Tramontana, 
La  vela  in  guisa  in  su  la  prora  carca, 
Ch'a  mezzo  giorno  Astolfo  non  lontana 
Vede  Inghilterra,  ove  nel  lito  varca. 
Salta  a  cavallo,  e  in  tal  modo  lo  punge, 
Ch'a  Londra  quella  sera  ancora  giunge. 
8 
Quivi  sentendo  poi  che  '1  vecchio  Otone 
Già  molti  mesi  inanzi  era  a  Parigi, 


5.  1.  Io  lo  lasciai;  Cauto  xx,  66. 

—  3.  infedele;  Forse:  che  non  aveva  la 
fede  cristiana,  che  addolcisce  la  morale. 

6.  1.  Natalia;  Anatolia;  propriam.  è  detta 
cosi  la  metà  occid.  dell'Asia  minore;  ma 
s'intende  anche  tutta  l'Asia  minore. 

—  2.  Bnrsia;  Brussa:  città  dell'Asia  mi- 
nore. 

—  \.  Di  qua  dal  mare:  da  Brussa  passò 
il  mare  e  venne  in  Tracia. 

—  ^.  Franconia:  fu  detta  già  un  paese 
della  Germania,  che  ora  fa  parte  del  Baden 
e  del  Wiirtemberg. 

7.  1.  Ardenna  (lat.  Ardenna  Silva):  l'estre- 
mità nord-ovest  dello  Schiefergebirge  Re- 
nano: un  complesso  di  fitti  rialti  di  Ardesia 
coperti  di  fitte  foreste,  fra  il  Reno  e  la 
Mosa.  —  Aquisgrana;  oggi  Aix-la-Chapelle. 

_  •>.  carca:  carica  la  vela,  che  è  a  prora; 
1'  empie  di  sé,  la  gonfia. 

_  8.  ancora;  giunge  a  Londra  quella 
stessa  sera.  V.  e.  xxv,  46,  4. 

8.  2.  Già  molti  mesi  inanzi  ;  già  da  moli» 
mesi  avanti.  V.  i,  26,  8. 


CANTO  XXII 


285 


E  che  di  nuovo  quasi  ogni  Barone 
Avea  imitato  i  suoi  degni  vestigi; 
D'andar  subito  in  Francia  si  dispone: 
E  cosi  torna  al  porto  di  Tamigi, 
Onde  con  le  vele  alte  uscendo  fuora, 
Verso  Calessi©  fé'  drizzar  la  prora. 
9 

Un  ventolin  che  leggermente  all'orza 
Ferendo,  avea  adescato  il  legno  all'onda, 
A  poco  a  poco  cresce  o  si  rinforza; 
Poi  vien  si,  ch'ai  nocchier  ne  soprabonda. 
Che  gli  volti  la  poppa  al  fine  è  forza; 
Se  non,  gli  caccierà  sotto  la  sponda. 
Per  la  schena  del  mar  tien  dritto  il  legno, 
E  fa  camin  diverso  al  suo  diseguo. 
10 

Or  corre  a  destra,  or  a  sinistra  mano, 
Di  qua  di  là,  dove  Fortuna  spinge, 
E  piglia  terra  al  fin  presso  a  Roano; 
E  come  prima  il  dolce  lito  attinge. 
Fa  rimetter  la  sella  a  Rabicano, 
E  tutto  s'arma  e  la  spada  si  cinge; 
Prende  il  camino,  et  ha  seco  quel  corno 
Che  gli  vai  più  che  mille  uomini  intorno. 
11 

E  giunse,  traversando  una  foresta, 
A  pie  d'un  colle  ad  una  chiara  fonte. 
Ne  l'ora  che  '1  nionton  di  pascer  resta. 
Chiuso  in  capanna,  o  sotto  un  cavo  monte  ; 
E  dal  gran  caldo  e  da  la  sete  infesta 
Vinto,  si  trasse  l'elmo  da  la  fronte: 
Legò  il  destrier  tra  le  pili  spesse  fronde, 
E  poi  venne  per  bere  alle  fresche  onde. 


—  3.  di  nuoyo:  ultimamente,  poco  fa. 

—  8.  Calessio,  Calais. 

9.  1.  all'  orza  ferendo  ecc.  Intendi  che 
spirava  un  leggero  vento  di  levante,  sicché 
la  nave,  che  dal  Tamigi  andava  a  Calais, 
orzava;  cioè  prendeva  il  vento,  che  spirava 
di  fronte  e  che,  essendo  leggero,  avea  invi- 
tato il  nocchiero  a  salpare.  —  Perendo,  pro- 
priamente: percotendo  nella  vela;  cfr.  e.  ii, 
76,  3  :  ma  qui  in  generale  spirando. 

—  6.  Se  non;  V.  e.  X,  19,  n.  8.  —  gli  cac- 
cierà 8.  gli  (al  nocchiero)  sommergerà  la 
sponda  della  nave  rovesciandola. 

—  7.  Per  la  schena  del  mar  :  trattandosi 
della  Manica,  che  ha  molta  lunghezza  e 
poca  larghezza,  chiama  schiena  la  linea 
della  sua  lunghezza.  Vuol  dire  dunque  che 
il  nocchiero  segue  il  canale  nel  senso  della 
sua  lunghezza,  invece  di  attraversarlo,  e 
cosi  seconda  il  vento. 

10.3.  Roano:  Rouen,  in  Normandia. 

—  4.  attinge  (lat.  attingit)  tocca. 

U.  3.  il  monton  ;  qui  per  l' intero  gregge  : 
l'ora  del  mezzogiorno  quando  le  pecore 
meriggiano. 


12 

Non  avea  messo  ancor  le  labra  in  molle 
Ch'un  villanel  che  v'era  ascoso  appresso. 
Sbuca  fuor  d'una  macchia,  e  il  destrier 
Sopra  vi  sale,  e  se  ne  va  con  esso,  [folle, 
Astolfo  il  rumor  sente,  e  '1  capo  estolle; 
E  poi  che  '1  danno  suo  vede  si  espresso, 
Lascia  la  fonte,  e  sazio  senza  bere. 
Gli  va  dietro  correndo  a  più  potere. 
13 

Quel  ladro  non  si  stende  a  tutto  corso; 
Che  dileguato  si  saria  di  botto: 
Ma  or  lentando  or  raccogliendo  il  morso, 
Se  ne  va  di  galoppo  e  di  buon  trotto. 
Escon  del  bosco  dopo  un  gran  discorso; 
E  l'uno  e  l'altro  al  fin  si  fu  ridotto 
Là,  dove  tanti  nobili  Baroni 
Eran  senza  prigion  più  che  prigioni. 
14 

Dentro  il  palagio  il  villanel  si  caccia 
Con  quel  destrier  che  i  venti  al  corso 

[adegua. 
Forza  è  ch'Astolfo,  il  qual  lo  scudo  impac- 

[cia 
L'elmo  e  l'altre  arme,  di  lontan  lo  segua. 
Pur  giunge  anch'agli,  e  tutta  quella  traccia 
Che  fin  qui  avea  seguita,  si  dilegua; 
Che  più  né  Rabican  né  '1  ladro  vede, 
E  giragliocchi,eindarnoaffretta  il  piede; 
15 

Affretta  il  piede,  e  va  cercando  in  vano 
E  le  logge  e  le  camere  e  le  sale; 
Ma  per  trovare  il  perfido  villano. 
Di  sua  fatica  nulla  si  prevale. 
Non  sa  dove  abbia  ascoso  Rabicano, 
Quel  suo  veloce  sopra  ogni  animale; 
E  senza  frutto  alcun  tutto  quel  giorno 
Cercò  di  su  di  giù,  dentro  e  d'inforno. 
16 

Confuso  e  lasso  d'aggirarsi  tanto, 


12.  1.  messo...  in  molle;  bagnato.  È  vivo  an- 
cora il  modo  metter  la  bocca  o  il  becco  in 
molle. 

—  5.  estolle;  (lat.  extollit)  alza. 

—  (5.  espresso:  chiaro.  V.  e.  xi,  81. 

—  7.  sazio  senza  bere:  non  sentendo  pili 
la  sete.  V  è  dello  scherzo. 

13.  5.  discorso;  scorrere  qua  e  là. 

14.  1.  il  palagio.  È  il  palazzo  d'Atlante; 
il  villanello  è  Atlante  stesso  cho  voleva  ri- 
durre anche  Astolfo  in  suo  potere. 

—  3.  il  qnal  ;  è  complemento. 

—  5.  traccia;  l'insieme  di  indizi,  che'sono 
guida  di  chi  cammina  ;  significato  comples- 
so e  forse  nuovo. 

15. 4.  si  prevale  ;  si  avvantaggia,  trae 
profìtto.  Il  Tommaseo  annota:  Non  bello, 
né  proprio,  né  popolare.  Il  Machiavelli, 
Ar.  G.  1.  12.  l'usò  assolutamente  senza 
complemento. 


286 


ORLANDO  FURIOSO 


S'avvide  che  quel  loco  era  incantato; 
E  del  libretto  cli'avea  sempre  a  canto, 
Che  Logistilla  in  India  gli  avea  dato, 
Acciò  che,  ricadendo  in  nuovo  incanto, 
Potessi  aitarsi,  si  fu  ricordato: 
All'indice  ricorse,  e  vide  tosto 
A  quante  carte  era  il  rimedio  posto. 
17 

Del  palazzo  incantato  era  difuso 
Scritto  nel  libro;  e  v'eran  scritti  1  modi 
Di  fare  il  mago  rimaner  confuso, 
E  a  tutti  quei  prigion  di  sciòrre  i  nodi. 
Sotto  la  soglia  era  uno  spirto  chiuso. 
Che  facea  questi  inganni  e  queste  frodi 
E  levata  la  pietra  ov'  è  sepolto, 
Per  lui  sarà  il  palazzo  in  fumo  sciolto. 
18 

Desideroso  di  condurre  a  fine 
Il  Paladin  si  gloriosa  impresa, 
Non  tarda  più  che  '1  braccio  non  inchine 
A  provar  quanto  il  grave  marmo  pesa. 
Come  Atlante  le  man  vede  vicine 
Per  far  che  l'arte  sua  sia  vilipesa, 
Sospettoso  di  quel  che  può  avvenire. 
Lo  va  con  nuovi  incanti  ad  assalire. 
19 

Lo  fa  con  diaboliche  sue  larve 
Parer  da  quel  diverso,  che  solca. 
Gigante  ad  altri,  ad  altri  un  villan  parve, 
Ad  altri  un  cavallier  di  faccia  rea.  [parve 
Ogn'uno  in  quella  forma,  in  che  gli  ap- 
Nel  bosco  il  Mago,  il  Paladin  vedea: 
Si  che  per  riaver  quel  che  gli  tolse 
Il  Mago,  ogn'uno  al  Paladin  si  volse. 
20 

Ruggier,Grada8So,  Iroldo,  Bradamante, 
Brandimarte,  Prasildo,  altri  guerrieri 
In  questo  nuovo  error  si  fero  inante. 
Per  distruggere  il  Duca  accesi  e  fieri. 
Ma  ricordossi  il  corno  in  quell'istante, 
Che  fé'  loro  abbassar  gli  animi  altieri. 
Se  non  si  soccorrea  col  grave  suono. 
Morto  era  il  Paladin  senza  perdono. 


16. 6.  Potessi;  potesse.  —  si  fu  rie;  si 
ricordò.  V.  e.  iii,  14,  n.  2. 

17.  1.  difnso  ;  diffusamente. 

18.  3.  che,  cosi  che,  in  modo  che.  Intendi 
dunque:  non  indugia  più  oltre,  cosicché  non 
inchini;  non  indugia  ad  inchinare.  Cosi  sot- 
to nella  st.  28,  8. 

—  0.  Vilipesa;  vana.  In  questo  senso  non 
è  citato  dai  vocabol. 

20.  5.  ricordossi  il  corno.  Generalmente  ri- 
cordarsi si  costruisce  colla  prep.  di,  ma 
è  vivo  anch'  oggi  nel  popolo  il  costrutto 
transitivo.  Degli  scrittori  si  cita  un  solo 
esempio  della  Vita.  gì.  V.  M.  p.  170,  1  ;  non 
questo  dell'A. 

—  7.  si  soccorrea,  si  aiutava,  dava  aiuto 
a  sé  stesso.  —  grave,  noioso,  importuno. 


21 

Ma  tosto  che  si  pon  quel  corno  a  bocca, 
E  fa  sentire  intorno  il  suono  orrendo, 
A  guisa  di  colombi,  quando  scocca 
Lo  scoppio,  vanno  i  cavallier  fuggendo. 
Non  meno  al  Negromante  fuggir  tocca. 
Non  men  fuor  de  la  tana  esce  temendo 
Pallido  e  sbigottito,  e  se  ne  slunga 
Tanto,  che  '1  suono  orribil  non  lo  giunga. 
22  [dopo 

Fuggi  il  guardian  co  i  suoi  prigioni;  e 
De  le  stalle  fuggir  molti  cavalli. 
Ch'altro  che  fune  a  ritenerli  era  uopo, 
E  seguirò  i  patron  per  vari  calli. 
In  casa  non  restò  gatta  né  topo 
Al  suon  che  par  che  dica:  Dalli,  dalli. 
Sarebbe  ito  con  gli  altri  Rabicano 
Se  non  ch'all'uscir  venne  al  Duca  in  mano. 
2.S 

Astolfo  poi  ch'ebbe  cacciato  il  Mago, 
Levò  di  su  la  soglia  il  grave  sasso, 
E  vi  ritrovò  sotto  alcuna  imago, 
Et  altre  cose  che  di  scriver  lasso  : 
E  di  distrugger  quello  incanto  vago, 
Di  ciò  che  vi  trovò,  fece  fraccasso. 
Come  gli  mostra  il  libro  che  far  debbia; 
E  si  sciolse  il  palazzo  in  fumo  e  in  nebbia. 
24 

Quivi  trovò  che  di  catena  d'oro 
Di  Ruggiero  il  cavallo  era  legato. 
Parlo  di  quel  che  '1  Negromante  Moro 
Per  mandarlo  ad  Alcina  gli  avea  dato; 
A  cui  poi  Logistilla  fé'  il  lavoro 
Del  freno,  ond'era  in  Francia  ritornato 
E  girato  da  l'India  all'  Inghilterra 
Tutto  avea  il  lato  destro  de  la  terra. 
25 

Non  so,  se  vi  ricorda  che  la  briglia 
Lasciò  attaccata  all'arbore  quel  giorno 
Che  nuda  da  Ruggier  spari  la  figlia 
Di  Galafrone,  e  gli  fé'  l'alto  scorno. 
Fé'  il  volante  destrier,  con  maraviglia 
Di  chi  lo  vide,  al  mastro  suo  ritorno; 


21.  1.  a  liocca.  V.  e.  Il,  18,  n.  5. 

—  4.  scoppio,  schioppo.  V.  e.  XI,  24,  7. 

—  7.  se  ne  slnnga;  se  ne  allontana;  cosi 
spesso  l'A.  e  altri  scrittori. 

23.  3.  imago.  V.  e.  vili,  14. 

—  5.  vago  ;  desideroso. 

—  6.  fece  fraccasso;  fracassò.  Nel  e.  I,  72, 
si  ha  menare  a  fracasso.  Son  maniere 
nuove  e  ardite. 

24.  2.  L'ippogrifo  non  potè  forse  fuggire 
perché  era  legato  con  catena.  Ma  del  resto 
non  possiamo  né  dobbiamo  domandare  ai 
poeti  romanzeschi  minuta  ragione  di  tutto. 

—  8.  il  lato  destro.  Forse  dice  lato  de- 
stro per  rispetto  a  chi,  di  Francia,  guardi 
al  polo  artico. 

25.  1.  la  briglia,  ecc.  V.  C  XI,  13. 


CANTO  XXII 


287 


E  con  lui  stette  in  fin  al  giorno  sempre, 
Che  de  l'incanto  tur  rotte  le  tempre. 

26 
Non  potrebbe  esser  stato  più  giocondo 
D'altra  avventura  Astolfo,  che  di  questa; 
Che  per  cercar  la  terra  e  il  mar,  secondo 
Ch'avea  desir,  quel  ch'a  cercar  gli  resta, 
E  girar  tutto  in  pochi  giorni  il  mondo. 
Troppo  venia  questo  Ippogrifo  a  sesta. 
Sapeaegli  ben,  quanto  aportarlo  era  atto; 
Che  l'avea  altrove  assai  provato  in  fatto. 

27 
Quel  giorno  in  India  lo  provò,  che  tolto 
Da  la  savia  Melissa  fu  di  mano 
A  quella  scelerata  che  travolto 
Gli  avea  in  mirto  silvestre  il  viso  umano: 
E  ben  vide  e  notò  come  raccolto 
Gli  fu  sotto  la  briglia  il  capo  vano 
Da  Logistilla,  e  vide  come  instrutto 
Fosse  Kuggier  di  farlo  andar  per  tutto. 

28 
Fatto  disegno  l' Ippogrifo  tòrsi, 
La  sella  sua,  ch'appresso  avea,  gli  messe; 
E  gli  fece  levando  da  più  morsi 
Una  cosa  et  un'altra,  un  che  lo  resse; 
Che  dei  destrier  ch'in  fuga  erano  corsi, 
Quivi  attaccate  eran  le  briglie  spesse. 
Ora  un  pensier  di  Rabicano  solo 
Lo  fa  tardar  che  non  si  leva  a  volo. 

29 
D'amar  quel  Rabicano  avea  ragione; 
Che  non  v'era  un  miglior  per  correr  lan- 
E  l'avea  da  l'estrema  regione  [eia, 

De  l'India  cavalcato  insin  in  Francia. 
Pensa  egli  molto;  e  in  somma  si  dispone 
Darne  più  tosto  ad  un  suo  amico  mancia, 


—  8.  le  tempre  ;  il  congegno,  la  struttura. 
Dante,  Pa7\  24,  Vi:  «  E  come  cerchi  in  tem- 
pra di  oriuoli  ». 

26.  4.  quel  che  a  cercar  g.  r.  È  limitazione 
e  spiegazione  del  verso  3:  quello,  s'intende, 
che  gli  resta  da  visitare  ;  ma  è  disposizione 
assai  contorta. 

—  6.  veniva...  a  sesta,  v.  in  acconcio,  op- 
portunatamente.  È  modo,  ohe  l'A.  ha  tratto 
dall'espressione  a  sesta,  che  vale  per  l'ap- 
punto, precisamente. 

27.  1.  Quel  giorno  ecc.  V.  e.  vili,  S. 

—  0.  vano:  sfrenato,  sboccato.  Carti- 
(ìlione,  Lett.  fam.  1  :  «  Il  cavallo  è...  un 
poco  vano  della  bocca  ». 

28.  1.  Fatto  dis...  tòrsi:  f.  d.  di  torsi.  So- 
lita omissione  della  preposizione.    ' 

—  4.  un;  sottint.  morso. 

—  8.  che  non  si  leva;  si  che  non  si  leva, 
nel  levarsi. 

29.  2.  Che,  poiché.  V.  e.  ili,  6,  n.  6.—  cor- 
rer lancia.  V.  e.  IV,  17. 

—  6.  Darne...  mancia,  regalarlo.  Mancia 
>   per   regalo   Dante,  Inf.  31,   6;  ma  è 


Che  lasciandolo  quivi  in  su  la  strada, 
Se  l'abbia  il  primo  ch'a  passarvi  accada. 
30 

Stava  mirando  se  vedea  venire 
Pel  bosco  0  cacciatore  o  alcun  villano, 
Da  cui  far  si  potesse  indi  seguire 
A  qualche  terra,  e  trarvi  Rabicano. 
Tutto  quel  giorno  e  sin  all'apparire 
De  l'altro,  stette  riguardando  in  vano. 
L'altro  matin,  ch'era  ancor  l'aer  fosco. 
Veder  gli  parve  un  cavallier  pel  bosco. 
.31 

Ma  mi  bisogna,  s'io  vo'  dirvi  il  resto,  ■ 
Ch'io  trovi  Ruggier  prima  e  Bradamante. 
Poi  che  si  tacque  il  corno,  e  che  da  questo 
Loco  la  bella  coppia  fu  distante. 
Guardò  Ruggiero,  e  fu  a  conoscer  presto 
Quel  che  fin  qui  gli  avea  nascoso  Atlante: 
Fatto  avea  Atlante  che  fin  a  queir  ora 
Tra  lor  non  s'eran  conosciuti  ancora. 
32 

Ruggier  riguarda  Bradamante,  et  ella 
Riguarda  lui  con  alta  maraviglia, 
Che  tanti  di  l'abbia  offuscato  quella 
lUusion  si  l'animo  e  le  ciglia. 
Ruggiero  abbraccia  la  sua  donna  bella. 
Che  più  che  rosa  ne  divien  vermiglia; 
E  poi  di  su  la  bocca  i  primi  fiori 
Cogliendo  vien  de  i  suoi  beati  amori. 
33 

Tornaro  ad  iterar  gli  abbracciamenti 
Mille  fiate,  ed  a  tenersi  stretti 
I  duo  felici  amanti,  e  si  contenti, 
Ch'a  pena  i  gaudi  lor  capiano  i  petti. 
Molto  lor  duol  che  per  incantamenti, 
Mentre  che  fur  negli  errabondi  tetti, 
Tra  lor  non  s'erano  mai  riconosciuti, 
E  tanti  lieti  giorni  eran  perduti. 
34 

Bradamante,  disposta  di  far  tutti 
I  piaceri  che  far  vergine  saggia 
Debbia  ad  un  suo  ainator,  si  che  di  lutti, 
Senza  il  suo  onore  oftendere,  il  sottraggia; 
Dice  a  Ruggier,  se  a  dar  gli  ultimi  frutti 
Lei  non  vuol  sempre  aver  dura  e  selvag- 
[già, 

nuovo  e  ardito  il  modo  dar  mancia  d'una 
cosa. 

—  8.  accada;  si  trovi  per  caso,  venga  per 
caso.  È  un  uso  molto  notevole,  non  registra- 
to dai  vocabolari. 

30.  4.  terra,  paese.  V.  e.  x,  75,  n.  2. 

—  7.  che;  quando.  Bocc,  Nov.  77;  «Lo 
scolare  fu  poco  nella  corte  dimorato,  che 
egli  cominciò  a  sentir  più  freddo  ». 

34.  3.  di  lotti;  lo  tolga  dai  dolori  amo- 
rosi. Lutti  per  dolori  usò  Dante,  Inf.  13, 
69:  •«  I  lieti  onor  tornaro  in  tristi  lutti  ». 

—  6.  selvaggia.  Parlando  di  cuore  di  sen- 
timento è  specialmente  poetico  e  significa 
crudele. 


288 


ORLANDO  FURIOSO 


La  faccia  domandar  per  buoni  mezzi 
AI  padre  Amen;  ma  prima  si  battezzi. 
35 

Rug:gier,  che  tolto  avria  non  solamente 
Viver  Cristiano  per  amor  di  questa, 
Com'era  stato  il  padre,  e  antiquaraente 
L'avolo  e  tutta  la  sua  stirpe  onesta; 
Ma  per  farle  piacere  immantinente 
Data  le  avria  la  vita  che  gli  resta  : 
Non  che  ne  l'acqua  (disse),  ma  nel  fuoco 
Per  tuo  amor  porre  il  capo  mi  fia  poco. 
36 

Per  battezzarsi  dunque,  indi  per  sposa 
La  donna  aver,  Ruggier  si  messe  in  via, 
Guidando  Bradamaute  a  Vali' ombrosa 
(Cosi  fu  nominata  una  Badia 
Ricca  e  bella,  né  men  religiosa, 
E  cortese  a  chiunque  vi  venia)  ; 
E  trovaro  all'  uscir  de  la  foresta 
Donna,  che  molto  era  nel  viso  mesta. 

37  [tese 

Ruggier,  che  sempre  uman, sempre  cor- 
Era  a  ciascun,  ma  più  alle  donne  molto, 
Come  le  belle  lacrime  comprese 
Cader  rigando  il  delicato  volto. 
•N'ebbe  pietade,  e  di  disir  s'accese 
Di  saper  il  suo  affanno;  et  a  lei  volto, 
Dopo  onesto  saluto,  domandone 
Perch'avea  si  di  pianto  il  viso  molle. 
38 

Et  ella,  alzando  i  begli  umidi  rai. 
Umanissimamente  gli  rispose, 
E  la  cagion  de'  suoi  penosi  guai. 
Poi  che  le  domandò,  tutta  gli  espose. 
Gentil  .Signor  (disse  ella),  intenderai 
Che  queste  guance  son  si  lacrimose 
Per  la  pietà  ch'a  un  giovinetto  porto, 
Ch'in  un  Castel  qui  presso  oggi  fia  morto. 
39 

Amando  una  gentil  giovane  e  bella, 


—  7.  per  buoni  mazzi;  mezzani.  Machia- 
velli, Disc,  '.i,  18:  «  Si  venne  alla  creazione 
de'  tribuni,  mezzi  fra  la  plebe  e  il  Senato  ». 

35.  3.  Com'era  stato  ecc.  Questa  è  una  no- 
tizia che  l'A.  compie  poi  al  e.  xxxvi,  70  e 
segg.:  ma  intanto  l'anticipa  per  legittimare 
quel  desiderio  che  ha  Ruggero  di  lasciare 
la  sua  religione. 

36.  3.  Vali'  ombrosa.  Questo  è  certamente 
un  monastero  immaginario,  a  cui  il  poeta 
volle  dare  il  bel  nome  del  bellissimo  mona- 
stero Toscano,  senza  intender  per  niente 
che  R.  volesse  venire  in  Toscana.  Nella 
prima  edizione   avea  messo  Val  spinosa. 

—  Guidando;  sottintendi  lo.  Naturalmente 
era  Bradamante  che  lo  guidava,  perché 
pratica  di  quei  luoghi. 

37.3.  comprese:  vide;  avverti;  Dante, 
Purg.  31,  77:  «  Posarsi  quelle  prime  crea- 
ture Da  loro  aspersion  V  occhio  comprese  ». 


I  Che  di  Marsilio  Re  di  Spajna  è  figlia, 
j  Sotto  un  vel  bianco  e  in  feminil  gonuella, 
!  Finta  la  voce  e  il  volger  de  le  ciglia, 
i  Egli  ogni  notte  si  giacca  con  quella, 
i  Senza  darne  sospetto  alla  famiglia: 
j  Ma  si  secreto  alcuno  esser  non  puote, 
:  Ch'ai  lungo  andar  non  sia  chi  '1  vegga  e 
I  40  [note. 

\     Se  n'accorse  uno,  e  ne  parlò  con  dui  ; 
Li  dui  con  altri,  insin  ch'ai  Re  fu  detto. 
j  Venne  un  fedel  del  Re  l'altr'ieri  a  nui, 
;  Che  questi  amanti  fé'  pigliar  nel  letto; 
E  ne  la  rocca  gli  ha  fatto  ambedui 
I  Divisamente  chiudere  in  distretto: 
Né  credo  per  tutto  oggi,  ch'abbia  spazio 
Il  gioveu,  che  non  mora  in  pena  e  in  stra- 
41  [zio. 

Fuggita  me  ne  son  per  non  vedere 
Tal  crudeltà;  che  vivo  l'arderanno: 
Né  cosa  mi  potrebbe  più  dolere, 
Clie  faccia  di  si  bel  giovine  il  danno. 
Né  potrò  aver  giamai  tanto  piacere. 
Che  non  si  volga  subito  in  aftanno. 
Che  de  la  crudel  fiamma  mi  rimembri, 
Ch'abbia  arsi  i  belli  e  delicati  membri. 
42 
Bradamante  ode,  e  par  ch'assai  le  prema 
Questa  novella,  e  molto  il  cor  l'annoi; 
Né  par  che  men  per  quel  dannato  tema, 
Che  se  fosse  uno  dei  fratelli  suoi. 
Né  certo  la  paura  in  tutto  scema 
Era  di  causa,  come  io  dirò  poi. 
Si  volse  ella  a  Ruggiero  e  disse:  Parme 
Ch'in  favor  di  costui  sien  le  uostr'arme. 
43 
E  disse  a  quella  mesta  :  Io  ti  conforto 
Che  tu  vegga  di  porci  entro  alle  mura  : 
Che  se  '1  giovine  ancor  non  avran  morto, 


40.  5.  gli  ha  fatto;  Poiché  l'oggetto,  che 
precede  il  participio,  è  uno  dei  pronomi  lo, 
la,  li,  le,  la  regola  costante  vorrebbe  ac- 
cordato il  participio  col  pronome  (fatti)  ; 
questo  dunque  dell'A.  è  un  esempio  cosi 
solitario,  che  il  Gherardini  potè  dire  di  non 
averne  mai  trovato  alcuno  nelle  sue  ricer- 
che grammaticali  {Appendice,  p.  146). 

—  6.  in  distretto;  in  prigione.  V.  e.  li, 
59,  5. 

—  7.  abbia  spazio  ecc.;  non  credo  che  il 
giovane  abbia  tempo  tutt'oggi  a  non  mo- 
rire ecc. 

41.7.  (Che;  Uniscilo  a  subito. 
42.  1.  le  prema;  le  dia  dolore.  V.  e.  xvii, 
106;  n.  ■■'.. 

—  5.  scema  ecc.  Né  certo  la  paura  era 
priva  di  causa;  infatti  si  trattava  proprio 
di  un  suo  fratello,  Ricciardetto. 

—  7.  Parme;  parmi  bene,  parmi  oppor- 
tuno. V.  e.  XXVII,  75  n.  i. 


CANTO  XXII 


289 


Più  non  l'uccideran;  stanne  sicura. 
Ruggiero,  avendo  il  cor  benigno  scorto 
De  la  sua  donna  e  la  pietosa  cura, 
Senti  tutto  infiammarsi  di  desire 
Di  non  lasciare  il  giovine  morire. 

44 
Et  alla  Donna,  a  cui  dagli  occhi  cade 
Un  rio  di  pianto,  dice:  Or  che  s'aspetta? 
Soccorrer  (jui,  non  lacrimare  accade: 
Fa  ch'ove  è  questo  tuo,  pur  tu  ci  metta. 
Di  mille  lance  trar,  di  mille  spade 
Telpromettiàii,purche  ci  meni  in  fretta: 
Ma  studia  il  passo  più  che  puoi,  che  tarda 
Non  sia  l'aita,  e  in  tanto  il  foco  l'arda. 

45 
L'alto  parlare  e  la  fiera  sembianza 
Di  quella  coppia  a  maraviglia  ardita, 
Ebbon  di  tornar  forza  la  speranza 
Colà  dond'  era  già  tutta  fuggita. 
Ma  perch'ancor,  più  che  la  lontananza. 
Temeva  il  ritrovar  la  via  impedita, 
E  che  saria  per  questo  indarno  presa; 
Stava  la  donna  in  sé  tutta  sospesa. 

46 
Poi  disse  lor:  Facendo  noi  la  via 
Che  dritta  e  piana  va  fin  a  quel  loco, 
Credo  ch'a  tempo  vi  si  giungerla. 
Che  non  sarebbe  ancora  acceso  il  fuoco  : 
Ma  gir  convien  per  cosi  torta  e  ria, 
Che  '1  termine  d'un  giorno  saria  poco 
A  riuscirne;  e  quando  vi  saremo, 
Che  troviam  morto  il  giovine  mi  temo. 

47 
E  perché  non  andiàn  (disse  Ruggiero) 
Per  la  più  corta?  E  la  donna  rispose: 
Perché  un  castel  de'  Conti  da  Pontiero 


44.  3.  accade;  è  a  proposito,  occorre.  V. 
Ili,  62. 

—  4.  pur,  solo:  cioè:  basta  questo. 

—  5.  Di;  di  mezzo  a.  È  uso  molto  note- 
vole, che  non  è  citato  dai  vocabolari. 

—  6.  Tel  pr.  ti  promettiamo  trarlo.  V. 
e.  I,  47,  n.  6. 

45.  3.  Costruisci  :  ebbon  forza  di  tornar 
la  speranza:  È  verso  contorto  e  non  bello. 
Nella  '16  :  «  Ebbono  forza  di  tornar  speranza» 
non  bello  neppur  questo,  ma  chiaro.  A  torto 
il  Galilei  taccia  di  errore  l' uso  transitivo 
del  verso  tornare.  Cfr.  Dante,  Purg.  28,  148. 

—  6.  Temeva  il  r.;  Più  comuu.  temeva  di 
ritrov. 

46.  7.  riuscirne:  riuscirvi;  in  quel  luogo. 
Villani,  12.  31.  «Fu  ristretta  la  Terra  per 
mare  e  per  terra  che  nullo  ne  potea  en- 
trare ». 

—  8.  mi  temo.  V.  e.  Il,  71. 

47.  3.  Pontiero  Ponthieu;  città  di  Pie- 
cardia,  che  dava  il  titolo  feudale  ai  Ma- 
ganzesi. 

Ariosto  —  Papxni 


fra  via  si  trova,  ove  un  costume  pose. 
Non  son  tre  giorni  ancora,  iniquo  e  fiero 
A  cavallieri  e  a  donne  avventurose, 
Pinabello,  il  peggior  uomo  che  viva, 
Fighuol  del  conte  Anselmo  d'Altariva 

48 
Quindi  né  cavallier  né  donna  passa. 
Che  se  ne  vada  senza  ingiuria  e  danni. 
L'uno  e  l'altro  a  pie  resta;  ma  vi  lassa 
Il  guerrier  l'arme,  e  la  donzella  i  panni 
Miglior  cavallier  lancia  non  abbassa, 
E  non  abbassò  in  Francia  già  molt'anni, 
Di  quattro  che  giurato  hanno  al  castello 
La  legge  mantener  di  Pinabello. 

49 
Come  l'usanza,  che  non  è  più  antiqua 
Di  tre  di,  cominciò,  vi  vo'  narrare; 
E  sentirete  se  fu  dritta  o  obliqua 
Cagion  che  i  cavallier  fece  giurare. 
Pinabello  ha  una  donna  cosi  iniqua, 
Cosi  bestiai,  ch'ai  mondo  è  senza  pare; 
Che  con  lui,  non  so  dove,  andando  un  gio'r- 
Ritrovò  un  cavallier  che  le  fe'scorno.  [no, 

50 
^  Il  cavallier,  perché  da  lei  beffato 
P'u  d'una  vecchia  che  portava  in  groppa. 
Giostrò  con  Pinabel  ch'era  dotato 
Di  poca  fo/za  e  di  superbia  troppa: 
Et  abbatello,  e  lei  smontar  nel  prato 
Fece,  e  provò  s'andava  dritta  o  zoppa  : 
Lasciolla  a  piede,  e  fé'  de  la  gonnella 
Di  lei  vestir  l'antiqua  damigella. 

51 
Quella  ch'a  pie  rimase,  dispettosa, 
E  di  vendetta  ingorda  e  sitibonda, 
Congiunta  a  Pinabel  che  d'ogni  cosa, 
Dove  sia  da  mal  far,  ben  la  seconda, 


—   4.  Tra  via.  V.  e.  xvi,  15,  n.  2. 

48.  6.  già  molti  anni;  già  da  molti  anni, 
e.  I,  26,  n.  8. 

49.  3.  obliqua,  storta,  ingiusta. 

50.  Vedi  per  questa  storia  e.  xx,  110  e 


—  2.  d' una  v.  ;  per  una  vecchia.  È  il  di 
causale,  di  cui  al  e.  xiii,  33,  n.  3. 

—  6.  provò  ecc.  È  detto  in  scherzo  per 
indicare  che  le  tolse  il  cavallo  e  la  lasciò 
a  piedi. 

—  8.  damigella.  Damigella  è  propria- 
mente una  fanciulla;  qui  l'A.  scherza  su 
Gabrina.  Ma  si  trova  anche  usato  per  donna 
maritata.  Tav.  Hot.  1,  138:  «  Dame  e  ancor 
damigelle  maritate  ». 

5Ì.  1,  dispettosa;  piena  di  dispetto. 

—  3.  d' ogni  e.  ;  in  ogni  cosa.  «  La  prepo- 
sizione di  si  usa  spesso  a  significare  quella 
parte  o  quantità  cui  si  estende  l'azione  del 
verbo;  e  si  rende  su  per  giù  con  in*  For- 
NACiARi,  Novelle  scelte  del  Bocc.  p.  79,  n.  6. 


290 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  giorno  mai,  né  notte  mai  riposa, 
E  dice  che  non  fia  mai  più  gioconda, 
8e  mille  cavallieri  e  mille  donne 
Non  mette  a  piede,  e  lor  tolle  arme  e  gonne. 
52 

Ginnsero  il  di  medesrao,  come  accade. 
Quattro  gran  cavallieri  ad  un  suo  loco. 
Li  quai  di  rimotissinie  contrade 
Venuti  a  queste  parti  eran  di  poco; 
Di  tal  valor,  che  non  ha  nostra  etade 
Tant'altri  buoni  al  bellicoso  gioco, 
Aquilante,  Grifone  e  Sansonetto, 
Et  un  Guidon  Selvaggio  giovinetto. 
53 

Pinabel  con  sembiante  assai  cortese 
Al  Castel  ch'io  v'ho  detto  li  raccolse. 
La  notte  poi  tutti  nel  letto  prese. 
E  presi  tenne,  e  prima  non  li  sciolse 
Che  li  fece  giurar  ch'un  anno  e  un  mese 
(Questo  fu  a  punto  il  termine  che  tolse) 
Stariano  quivi,  e  spogliarebbon  quanti 
Vi  capitasson  cavallieri  erranti; 
54 

E  le  donzelle  ch'avesson  con  loro, 
Porriano  a  piedi,  e  torrian  lor  le  vesti. 
Cosi  giurar,  cosi  constretti  foro 
Ad  osservar,  ben  che  turbati  e  mesti. 
Non  par  che  fin  a  qui  contra  costoro 
Alcun  possa  giostrar,  eh' a  pie  non  resti: 
E  capitati  vi  sono  infiniti, 
Ch'a  pie  e  senz'arme  se  ne  son  partiti. 
55 

È  ordine  tra  lor,  che  chi  per  sorte 
Esce  fuor  prima,  vada  a  correr  solo: 
Ma  se  trova  il  nemico  cosi  forte, 
Che  resti  in  sella,  e  getti  lui  nel  suolo; 
Sono  ubligati  gli  altri  infin  a  morte 


52.  2.  loco;  qui  per  castello.  Segni,  St.  4, 
103:  «  Avea  mandate  nella  Lastra  tre  compa- 
gnie, le  quali  dovessono  tener  quel  luogo  ». 

—  6.  Taat'  altri  b.  ;  altritanti,  altrettanti 
cosi  buoni,  adatti  al  b.  g.  Cosi  abbiamo  altri- 
tanti nel  e.  xxiv,  8,  7.  Puoi  intendere  an- 
che, ma  meno  bene,  tanto  altri  buoni,  al- 
tri tanto  buoni.  Tali  inversioni  non  sono 
certo  delle  più  ardite  nel  Nostro.  Tanti  altri 
nel  comune  significato  non  darebbe  qui  al- 
cun senso. 

53.  2.  raccolse  ;  accolse.  V.  e.  vii,  9. 

—  4.  prima...  che  li  fece.  V.  e.  v,  26,  n.  7. 
54.4.   osservar;   È  notevole  l'avverbio, 

cosi^  invece  del  complem.   diretto,  che  si 
usa  regolarmente. 

—  7.  infiniti.  «  Come  infiniti,  se  questo 
costume  durava  solo  da  tre  giorni?»  TPa- 
iiizzi).  Forse  è  una  esagerazione  condona- 
bile alla  fantasia  di  questa  donna  che  parla. 

65.  1.  È  ordine  tra  lor;  È  stabilito  fra  loro 
che  chi  esce  ecc.  V.  e.  v,  42,  n.  4. 

—  5.  sono  nbiigati  ecc.  :  la  prima  delibera- 


Pigliar  r  impresa  tutti  in  uno  stuolo. 
Vedi  or  se  ciascun  d'essi  è  cosi  buono. 
Quel  ch'esser  de',  se  tutti  insieme  sono. 
56 
Poi  non  conviene  all'importanzia  nostra 
Che  ne  vieta  ogni  indugio,  ogni  dimora. 
Che  punto  vi  fermiate  a  quella  giostra: 
E  presuppongo  che  vinciate  ancora; 
Che  vostra  alta  presenzia  lo  dimostra; 
Ma  non  è  cosa  da  fare  in  un'ora: 
Et  è  gran  dubbio  che  '1  giovine  s'arda, 
Se  tutto  oggi  a  soccorrerlo  si  tarda. 

57  [sto; 

5   DisseRuggier:  Non  riguardiamo  aque- 
racciàn  nui  quel  che  si  può  far  per  nui; 
Abbia  chi  regge  il  ciel  cura  del  resto, 
0  la  fortuna,  se  non  tocca  a  lui. 
Ti  fia  per  questa  giostra  manifesto. 
Se  buoni  siamo  d'aiutar  colui 
Che  per  cagion  si  debole  e  si  lieve, 
Come  n'hai  detto,  oggi  bruciar  si  deve. 
58 
Senza  risponder  altro,  la  Donzella 
Si  messe  per  la  via  ch'era  più  corta. 
Più  di  tre  miglia  non  andar  per  quella, 
Che  si  trovaro  al  ponte  et  alla  porta 
Dove  si  perdon  l'arme  e  la  gonnella, 
E  de  la  vita  gran  dubbio  si  porta. 
Al  primo  apparir  lor,  di  su  la  rocca 
È  chi  duo  botti  la  campana  tocca. 
59 
Et  ecco  de  la  porta  con  gran  fretta. 
Trottando  s'un  ronzin  un  vecchio  uscio; 


zione  l'han  presa  fra  loro,  quest'  obbligo  po- 
co onorevole  è  stato  imposto  dal  Castellano. 

56.  1.  importanzia;  ciò  che  importa.  Da- 
VANZATI,  Ann.,  15.  218:  «  Femio  Rufo,  pre- 
fetto (che  fu  l'importanza)  di  buona  vita  e 
fama  ». 

—  3.  punto,  alcun  poco.  Cosi  Dante,  Inf. 
15,  34  :  «  qual  di  questa  greggia  S'  arresta 
punto  ». 

57.  4.  0  la  fortuna  ecc.  Questa  idea  è  tutta 
propria  del  Rinascimento,  quando  si  riprese 
e  si  spiegò  il  concetto  e  l' influenza  della 
fortuna  negli  avvenimenti  umani.  Fors'an- 
che  Va.  ebbe  presente  la  Fortuna  Dantesca 
(Inf.  7,  66,  seg.),  che  è  una  intelligenza  ce- 
leste. 

58.  6.  gran  dubbio  si  porta;  si  corre  gran 
pei-icolo.  Dubbio  per  pericolo  nel  e.  xxi, 
42;  XXX,  86;  e  come  nel  e.  vii,  46,  usò^^or- 
tar  pericolo,  cosi  qui  portar  dubbio. 

—  7.  di  sa  1.  r.  È  complemento  di  tocca 
la  campana  :  tocca  la  campana  dalla  cima 
della  rocca,  stando  suU'  alto  della  r. 

—  8.  duo  bòtti  1.  e.  t.;  con  due  colpi  1.  e.  t. 
L'omissione  del  con  è  notevole,  ma  è  modo 
analogo  al  vivente  sonar  la  camp,  due 
tocchi. 


CANTO  XXII 


291 


E  quel  venia  gridando:  Aspetta,  aspetta  : 
Restate  olà,  che  qui  si  paga  il  fio: 
E  se  l'usanza  non  v'ù  stata  detta, 
Che  qui  si  tiene,  or  ve  la  vo'  dir  io: 
E  contar  lor  incominciò  di  quello 
Costume,  che  servar  fa  Pinabello. 
60 
Poi  seguitò,  volendo  dar  consigli, 
Com'  era  usato  agli  altri  cavallieri. 
Fate  spogliar  la  donna  (dicea),  tìgli, 
E  voi  l'arme  lasciateci  e  i  destrieri; 
E  non  vogliate  mettervi  a  perigli 
D'andare  incontra  a  tai  quattro  guerrieri. 
Per  tutto  vesti,  arme  e  cavalli  s'hanno: 
La  vita  sol  mai  non  ripara  il  danno. 

61  [sono 
Non  più  (disse  Ruggier)  non  più;  ch'io 

Del  tutto  informatissimo,  e  qui  venni 
Per  far  prova  di  me,  se  cosi  buono 
In  fatti  son,  come  nel  cor  mi  tenni. 
Arme,  vesti  e  cavallo  altrui  non  dono. 
S'altro  non  sento  che  minacele  e  cenni; 
E  son  ben  certo  ancor  che  per  parole 
Il  mio  compagno  le  sue  dar  non  vuole. 

62  [te 
Ma,  per  Dio,  fa  ch'io  vegga  tosto  infron- 

Quei  che  ne  voglion  tórre  arme  e  cavallo; 
Ch'abbiamo  da  passar  anco  quel  monte; 
E  qui  non  si  può  far  troppo  intervallo. 


59.  :j.  Aspetta  aspetta.  È  detto  impersonal- 
mente, come  esclamazione. 

—  4.  fio.  Ha  un  senso  molto  affine  a 
quello  di  tributo  penale,  come  al  e.  xvu, 
41.  È  d'uso  raro. 

—  8.  servar,  osservare,  mantenere. 

60.  0.  D'andare  ine,  d'andare  armati  per 
combatt.  contro.  Ma  potrebbe  anche  inten- 
dersi di  andare  nel  senso  di  con  andare, 
andando:  in  tal  caso  vuol  dire  non  vo- 
gliate mettervi  a  pericoli  di  rimanere  morti, 
disonorati,  ecc.;  ami  andò  incontro  ecc.  Di 
per  con  vedilo  al  e.  iii,  65,  6;  xxv,  53,  5.  E 
potrebbe  anche  essere  un'estensione  dei 
modi  comuni  :  ai  pericoli  di  uno  scontro, 
di  uìi  viaggio  e  simili;  e  in  tal  modo  l'e- 
spressione intera  sarebbe:  non  vogliate 
mettervi  ai  pericoli  dell'andare  incontro 
ecc.  ;  con  la  omiss.  degli  articoli. 

—  8.  La  -vita  sol  ecc.  È  concetto  ed 
espressione  Oraziana,  Odi  4,  7,  13-15  : 
«  Damna  tamen  celeres  reparant  caelestia 
lunae  ;  Nos  ubi  decidimus...  Pulvis  et  um- 
bra sumus  ». 

61.  6.  min.  e  cenni;  m.  e  parole,  in  quanto 
si  contrappongono  a  fatti.  È  fig.  di  endiadi. 
Cosi  cenni  nel  e.  xxvi,  104;  che  la  Crusca 
dichiara,  a  torto,  indizio,  segno. 

68.  4.  interTallo,  indugio.  È  un  latinismo. 
Si  cita  questo  solo  esempio  dell'A.  Opportu- 
namente il  Romizi  cita  l'espressione  di  Livio 


Rispose  il  vecchio:  Eccoti  fuor  del  ponte 
Chi  vien  per  farlo:  e  non  lo  disse  in  fallo; 
Ch'un  cavallier  n'usci,  che  sopraveste 
Vermiglie  avea,  di  bianchi  fior  conteste. 
63 

Bradamante  pregò  molto  Ruggiero 
Che  le  lasciasse  in  cortesia  l'assunto 
Di  gittar  de  la  sella  il  cavalliero, 
Ch'avea  di  fiori  il  bel  vestir  trapunto; 
Ma  non  potè  impetrarlo,  e  fu  mestiero 
A  lei  far  ciò  che  Ruggier  volse  a  punto. 
Egli  volse  l'impresa  tutta  avere: 
E  Bradamante  si  stesse  a  vedere. 
64 

Ruggiero  al  vecchio  domandò,  chi  fosse 
Questo  primo  ch'uscia  fuor  de  la  porta. 
È  Sansonetto  (disse);  che  le  rosse 
Veste  conosco  e  i  bianchi  fior  che  porta. 
L'uno  di  qua,  l'altro  di  là  si  mosse 
Senza  parlarsi  e  fu  l'indugia  corta; 
Che  s'andaro  a  trovar  co  i  ferri  bassi. 
Molto  affrettando  i  lor  destrieri  i  passi. 
65 

In  questo  mezzo  de  la  rocca  usciti 
Eran  con  Pinabel  molti  pedoni. 
Presti  per  levar  l'arme  et  espediti 
Ai  cavallier  ch'uscian  fuor  degli  arcioni. 
Veniausi  incontra  i  cavallieri  arditi. 
Fermando  in  su  le  reste  i  gran  lancioni. 
Grossi  duo  palmi,  di  nativo  cerro, 
Che  quasi  erano  uguali  insino  al  ferro. 
66 

Di  tali  n'avea  più  d'una  decina 
Fatto  tagliar  di  su  lor  ceppi  vivi 
Sansonetto  a  una  selva  indi  vicina, 
E  portatone  duo  per  giostrar  quivi. 
Aver  scudo  e  corazza  adamantina 
Bisogna  ben,  che  le  percosse  schivi. 
Aveane  fatto  dar,  tosto  che  venne, 


(il,  2)  «  ne  intervallo  quidem  facto  »  senza 
nemmeno  frapporre  tempo. 

—  5.  fuor  del  ponte;  il  ponte  levatoio,  che 
metteva  al  castello. 

—  6.  farlo;  far  si  che  tu  veda  in  fronte 
quei  ecc.  ;  come  si  chiede  nel  primo  verso. 

63.5.  potè;  È  presente;  infatti  nella  ed. 
del  '16  leggesi  puote.  V.  e.  viii,  52,  n.  4. 

64.  6.  indugia.  V.  e.  XII,  40  n.  4. 

65.7.  nativo,  naturale,  senza  che  l'arte 
l'avesse  levigato,  assottigliato  ecc.  11  Bolza 
intende  senza  difetti,  ma  non  si  citano  altri 
esempi  di  tal  significato. 

—  8.  erano  ugnali  ;  cioè  non  si  assotti- 
gliavano troppo  verso  la  punta. 

66.  2.  Patto;  V.  st.  40,  n.  5.  —  vivi,  rife- 
riscilo a  Cerri;  cioè  li  avea  fatti  tagliar 
verdi  e  sani,  non  già  quando  avessero  sof- 
ferto sulla  pianta.  Sul  cerro  verde  cfr.  e. 
XIX,  94,  n.  2. 

—  6.  schivi,   resista  alla  pere,  o  meglio: 


292 


ORLANDO  FURIOSO 


L'uno  a  Ruggier,  l'altro  per  sé  ritenne. 
67 

Con  questi,  che  passar  dovean  gl'incudi 
(Si  ben  ferrate  avean  le  punte  estreme), 
Di  qua  e  di  là  fermandoli  agli  scudi, 
A  mezzo  il  corso  si  scontrar©  insieme. 
Quel  di  Ruggiero,  che  i  demòni  ignudi 
Fece  sudar,  poco  del  colpo  teme: 
De  lo  scudo  vo'  dir  che  fece  Atlante, 
De  le  cui  forze  io  v'ho  già  detto  inante. 
68 

Io  v'ho  già  detto  che  con  tanta  forza 
L'incantato  splendor  negli  occhi  fere. 
Ch'ai  discoprirsi  ogni  veduta  ammorza, 
E  tramortito  l'uom  fa  rimanere: 
Per  ciò,  s'un  gran  bisogno  non  lo  sforza. 
D'un  vel  coperto  lo  solca  tenere. 
Si  crede  ch'anco  impenetrabil  fosse; 
Poi  ch'a  questo  incontrar  nulla  si  mosse. 
69 

L'altro,  ch'ebbe  l'artefice  men  dotto, 
Il  gravissimo  colpo  non  sofferse. 
Come  tocco  da  fulmine,  di  botto 
Die  loco  al  ferro,  e  pel  mezzo  s'aperse; 
Die  loco  al  ferro,  e  quel  trovò  di  sotto 
Il  braccio  ch'assai  mal  si  ricoperse, 
Si  che  ne  fu  ferito  Sansonetto, 
E  de  la  sella  tratto  al  suo  dispetto. 
70 

E  questo  il  primo  fu  di  quei  compagni 
Che  quivi  mantenean  l'usanza  fella, 
Che  de  le  spoglie  altrui  non  fé'  guadagni, 
E  ch'alia  giostra  usci  fuor  de  la  sella. 


Schivi  le  percosse  a  clii  li  porta,  e  vi  sta  al 
riparo. 

—  8.  t'nno  a  Euggier  ;  I  romanzieri  sup- 
pongono, ogni  volta  che  fa  loro  comodo, 
che  i  cavalieri  abbiano  o  non  abbiano  seco 
scudieri  e  armi.  Qui  l'A.  voleva  fare  spiccare 
la  gentilezza  cavalleresca  di  Sansonetto. 

67.  1.  gì' inondi.  V.  e.  I,  17,  n.  4. 

—  3.  fermandoli  ;  mirando.  La  Crusca  re- 
gistra il  significato  senza  esempio  alcuno. 

—  4.  A  mezzo  il  corso;  alla  metà  dello 
spazio,  che  li  separava;  cioè  si  vennero  in- 
contro con  egual  prontezza  e  velocità. 

—  5.  i  demòni  ignadi.  Essendo  opera  d'in- 
canto, l'A.  dice  che  ebbe  per  fabbri  i  de- 
moni, che  vi  sudarono  intorno  col  busto 
ignudo  ;  come  stanno  talvolta  i  fabbri  pel 
caldo. 

68.  3.  veduta  ;  vista.  Questa  forma  è  co- 
munissima  negli  antichi,  perciò  risparmio 
gli  esempi. 

—  8.  incontrar;  scontro.  L'infinito  è  usato 
sostantivamente. 

69.  5.  e  qnel  ecc.;  e  questo  ferro  trovò, 
sotto,  il  braccio,  che  si  era  coperto  assai 
male  con  questo  scudo  poco  resistente. 


Convien  chi  ride,  anco  talor  si  lagni, 
E  Fortuna  talor  trovi  ribella. 
Quel  da  la  rocca,  replicando  il  botto. 
Ne  fece  agli  altri  cavallieri  motto. 

71 
S'era  accostato  Pinabello  intanto 
A  Bradaraante  per  saper  chi  fusse 
Colui  che  con  prodezza  e  valor  tanto 
Il  cavallier  del  suo  Castel  percusse. 
La  giustizia  di  Dio  per  dargli  quanto 
Era  il  merito  suo,  vi  lo  condusse 
Su  quel  destrier  medesimo  ch'inante 
Tolto  avea  per  inganno  a  Bradamante. 

72 
Fornito  a  punto  era  T  ottavo  mese 
Che,  con  lei  ritrovandosi  a  camino, 
(Se  '1  vi  raccorda)  questo  Maganzese 
La  gittò  ne  la  tomba  di  Merlino, 
Quando  da  morte  un  ramo  la  difese 
Che  seco  cadde,  anzi  il  suo  buon  destino  ; 
E  trassene,  credendo  ne  lo  speco 
Ch'ella  fosse  sepolta,  il  destrier  seco. 

73 
Bradamante  conosce  il  suo  cavallo, 
E  conosce  per  lui  l'iniquo  Conte; 
E  poi  ch'ode  la  voce,  e  vicino  hallo 
Con  maggiore  attenzion  mirato  in  fronte: 
Questo  è  il  traditor  (disse)  senza  fallo, 
Che  procacciò  di  farmi  oltraggio  et  onte  : 
Ecco  il  peccato  suo,  che  l'ha  condutto 
Ove  avrà  de'  suoi  merti  il  premio  tutto. 

74 
Il  minacciare  e  il  por  mano  alia  spada 
Fu  tutto  a  un  tempo  e  lo  avventarsi  a  quel- 
Ma  inanzi  tratto  gli  levò  la  strada,     [lo: 
Che  non  potè  fuggir  ver.so  il  castello. 
Tolta  è  la  speme  ch'a  salvar  si  vada, 
Come  volpe  alla  tana,  Pinabello. 
Egli  gridando  e  senza  mai  far  testa, 
Fuggendo  si  cacciò  ne  la  foresta. 

75 
Pallido  e  sbigottito  il  miser  sprona, 
Che  posto  ha  nel  fuggir  l'ultima  speme. 
L'animosa  donzella  di  Dordona 


70.  5.  L'A.  riflette  che  non  sempre  si  può 
avere  buon  successo.  La  fortuna  talora  dà 
da  ridere,  tal  altra  da  lagnarsi. 

—  8.  Ne  fece...  motto,  ne  dette  cenno  con 
un  altro  botto  di  campana.  Far  'motto  nel 
senso  di /"ar  cenno  vedilo  pure  nel  e.  xvii, 
103;  ma  i  vocabolari  non  lo  citano. 

71.  8.  V.  e.  Ili,  5;  e  per  il  racconto,  che 
segue,  V.  e.  II,  34-76. 

72.3.  S'el  vi  raccorda;  e.  XX,  135,  s' el 
vi  ricorda.  V'edi  quivi  la  n.  1. 

74.  3.  gli  levò;  gli  tagliò,  gli  intercettò  la 
st.;  e  cosi  glie  ne  tolse  l'uso. 

—  4.  Che;  cosicché.  —  potè;  puote.  Cosi 
ha  la  Principe. 


CANTO  XXII 


29b 


Gli  ha  il  ferro  ai  fianchi,  e  lo  percuote  e 

[preme  : 
Vien  con  lui  sempre,  e  mai  non  l'abban- 

[dona. 

Grande  è  il  rumore,e  il  bosco  intorno  geme. 

Nulla  al  Castel  di  questo  ancor  s'intende, 

Però  ch'ognuno  a  Ruggier  solo  attende. 

76 

Gli  altri  tre  cavallier  de  la  fortezza 
In  tanto  erano  usciti  in  su  la  via; 
Et  avean  seco  quella  male  avvezza 
Che  v'avea  posta  la  costuma  ria. 
A  ciascun  di  lor  tre,  che  '1  morir  prezza 
Più  ch'aver  vita  che  con  biasmo  sia. 
Di  vergogna  arde  il  viso,  e  il  cor  di  duolo, 
Che  tanti  ad  assalir  vadano  un  solo. 
77 

La  crudel  meretrice  ch'avea  fatto 
Por  quella  iniqua  usanza  et  osservarla, 
Il  giuramento  lor  ricorda  e  il  patto 
Ch'essi  fatti  l'avean,  di  vendicarla. 
Se  sol  con  questa  lancia  te  gli  abbatto. 
Per  che  mi  vuoi  con  altre  accompagnarla  ? 
(Dicea  Guidon  Selvaggio)  :  e  s'io  ne  men- 
Levami  il  capo  poi,  ch'io  son  contento,  to. 
78 

Cosi  dicea  Grifon,  cosi  Aquilante: 
Giostrar  da  sol  a  sol  volea  ciascuno, 
E  preso  e  morto  rimanere  inante 
Ch'incontra  un  sol  volereandarpiùd'uno. 
La  Donna  dicea  loro:  A  che  far  tante 
Parole  qui  senza  profitto  alcuno? 
Per  tórre  a  colui  l'arme  io  v'ho  qui  tratti. 
Non  per  far  nuove  leggi  e  nuovi  patti. 

79  Ime 

Quando  io  v'avea  in  prigione  era  da  far- 
Queste  escuse,  e  non  ora,  che  son  tarde. 
Voi  dovete  il  preso  ordine  servarme, 
Non  vostre  lingue  far  vane  e  bugiarde. 
Ruggier  gridava  lor:  Eccovi  l'arme, 
Ecco  il  destriercha  nuovo  e  sella  e  barde; 
I  panni  de  la  dopua  eccovi  ancora: 
Se  li  volete,  a  che  più  far  dimora? 


76.  4.  la  costuma.  V.  e.  XIX,  66. 
79.  1.  era  da  farme;  erano  da  addur  que- 
ste ragioni  a  me.  Suir  uso  impersonale  di 

'Va.   V.   FORNACIARI,    Siìlt.   p.   239. 

—  ci.  il  preso  ordine;  il  patto  accettato, 
stabilito.  Confronta,  per  il  significato  di 
ordine,  il  e.  v,  42;  xiii,  11,  3. 

—  6.  ha  nuovo;  Qui  piuttosto  che  un  ag- 
gettivo concordante  con  sella  e  barde  è  un 
predicato  in  senso  neutro.  Ha  di  nuovo,  di 
cose  nuove,  sella  e  barde.  Ed  è  uso  comune 
nella  nostra  lingua. 

—  barde,  quei  pezzi  d'armatura  di  cuoio 
0  di  altro,  che  difendevano  la  groppa,  il 
collo  e  il  petto  ai  cavalli.  E  anche  certi  or- 
namenti, che  si  attaccavano  sulla  fronte  o 
sotto  le  orecchie. 


80 
La  Donna  del  Castel  da  un  lato  preme, 
Ruggier  da  l'altro  li  chiama  e  rampogna 
Tanto  ch'a  forza  si  spiccaro  insieme, 
Ma  nel  viso  infiammati  di  vergogna. 
Dinanzi  apparve  l'uno  e  l'altro  seme 
Del  marchese  onorato  di  Borgogna; 
Ma  Guidon  che  più  grave  ebbe  il  cavallo, 
Venia  lor  dietro  con  poco  intervallo. 

81 
Con  la  medesima  asta  con  che  avea 
Sansonetto  abbattuto,  Ruggier  viene, 
Coperto  da  lo  scudo  che  solca 
Atlante  aver  sui  monti  di  Pirene: 
Dico  quello  incantato  che  splendea 
Tanto,  ch'umana  vista  noi  sostiene; 
A  cui  Ruggier  per  l'ultimo  soccorso 
Nei  più  gravi  perigli  avea  ricorso. 

82 
Ben  che  sol  tre  fiate  bisognolli, 
E  certo  in  gran  perigli,  usarne  il  lume: 
Le  prime  due,  quando  dai  regni  molli 
Si  trasse  a  più  lodevole  costume; 
La  terza,  quando  i  denti  mal  satolli 
Lasciò  de  l'Orca  alle  marine  spume, 
Che  dovean  devorar  la  bella  nuda 
Che  fu  a  chi  la  campò  poi  cosi  cruda. 

83 
Fuor  che  queste  tre  volte,  tutto  '1  resto 
Lo  tenea  sotto  un  velo  in  modo  ascoso, 
Ch'a  discoprirlo  esser  potea  ben  presto. 
Che  del  suo  aiuto  fosse  bisognoso. 
Quivi  alla  giostra  ne  venia  con  questo. 
Come  io  v'ho  detto  ancora,  si  animoso, 
Che  quei  tre  cavallier  che  vedea  inanti, 
Manco  temea  che  pargoletti  infanti. 

84 
Ruggier  scontra  Grifone,  ove  la  penna 
De  lo  scudo  alla  vista  si  congiunge. 
Quel  di  cader  da  ciascun  lato  accenna, 


80. 5.  seme  del  Marchese  ecc.  Grifone  e 
Aquilante  ligh  di  Oliviero,  marchese  di 
Vienne,  città  un  tempo  appartenente  alla 
Borgogna. 

82.3.  regni  molli;  regni  della  mollezza; 
della  molle  Alcina.v.  e.  vii,  11;  x,  50,  liuseg, 

83. 1.  tutto  '1  resto,  del  tempo. 
'  —  4.  Che;  subito  che.  Cosi  nel  e.  xx,  139,  3. 
Si  vede  come  su  questi  che  ha  agito  l' ag- 
gettivo presto,   donde   il   loro   significato 
complesso  di  tosto  che. 

84. 1.  ove  la  penna  ecc.  lo  colpisce  proprio 
in  punta  alla  penna  dello  scudo  (e.  xii.  83), 
che  era  tenuta  vicinissima  alla  vista  del- 
l'elmo  per  coprire  tutto  il  viso  e  lasciare 
scoperti  solo  gli  occhi  ;  sicché  colpi  in  parte 
lo  scudo  in  parte  l'elmo. 

—  3.  Quel;  si  dovrebbe  riferire  a  Rug- 
giero; invece  si  riferisce  a  Grifone. 


294 


ORLANDO  FURIOSO 


Et  al  fin  cade,  e  resta  al  destrier  lunga. 
Mette  allo  scudo  a  lui  Grifon  l'antenna; 
Ma  pel  traverso  e  non  pel  dritto  giunge: 
E  perché  lo  trovò  forbito  e  netto, 
L'andò  strisciando,  e  fé' contrario  effetto. 
85 

Eoppe  il  velo  e  squarciò,  che  gli  copria 
Lo  spaventoso  et  incantato  lampo, 
Al  cui  splendor  cader  si  convenia 
Con  gli  occhi  ciechi,  e  non  vi  s'ha  alcun 
Aquilante,  ch'a  par  seco  venia,  [scampo. 
Stracciò  l'avanzo,  e  fé'  lo  scudo  vampo. 
Lo  splendor  feri  gli  occhi  ai  duo  fratelli 
Et  a  Guidon,  che  correa  dopo  quelli. 
86 

Chi  di  qua,  chi  di  là  cade  per  terra: 
Lo  scudo  non  pur  lor  gli  occhi  abbarbaglia. 
Ma  fa  che  ogn'altro  senso  attonito  erra. 
Ruggier,  che  non  sa  il  fin  de  la  battaglia. 
Volta  il  cavallo;  e  nel  voltare  afferra 
La  spada  sua  che  si  ben  punge  e  taglia: 
E  nessun  vede  che  gli  sia  all'incontro; 
Che  tutti  eran  caduti  a  quello  scontro. 
87 

I  cavallieri  e  insieme  quei  ch'a  piede 
Erano  usciti,  e  cosi  le  donne  anco, 
E  non  meno  i  destrieri  in  guisa  vede, 
Che  par  che  per  morir  battano  il  fianco. 
Prima  si  maraviglia,  e  poi  s'avvede 
Che  '1  velo  ne  pendea  dal  lato  manco: 
Dico  il  velo  di  seta  in  che  solca 
Chiuder  la  luce  di  quel  caso  rea. 
88 

Presto  si  volge,  e  nel  voltar,  cercando 
Con  gli  occhi  va  l'amata  sua  guerriera; 
E  vien  là  dove  era  rimasa,  quando 
La  prima  giostra  cominciata  s'era. 
Pensa  ch'andata  sia  (non  la  trovando) 
A  vietar  che  quel  giovine  non  pera, 


—  S.  fé' contrario  effetto;  invece  di  col- 
pire Ruggiero  fu  colpito  lui  dallo  splendore. 

85.  1.  Roppe.  È  forma  più  vicina  alla  ra- 
dice del  presente  e  non  è  rara  negli  an- 
tichi. 

—  6.  fé'  1.  s.  vampo  ;  lo  scudo  mandò  vam- 
po, mandò  splendore  di  vampa. 

86.  4.  Ruggero,  che  non  si  è  accorto  del  i 
velo  stracciato  e  che,  appena  dato  il  colpo,  I 
si  volta  indietro  per  riprendere   campo  e 
tornare  a  colpire,  non  ha  visto  che  la  bat- 
taglia è  finita,  avendo   abbarbagliato  tutti 

i  guerrieri. 

87.  4.  battano  il  fianco  ;  ansino.  Si  cita 
questo  solo  luogo  dell'A.  Virgilio  (En.  ix, 
415,)  disse,  ma  di  un  uomo  che  ha  l'affanno 
della  morte  «  ilia  pulsant  ». 

—  8.  di  quel  e.  rea;  colpevole  di  quel- 
l'accaduto. 

88.  6.  vietar  che  non.  V.  c.  V,  53.  n.  1. 


Per  dubbio  ch'ella  ha  forse  che  non  s'arda 
In  questo  mezzo  ch'a  giostrar  si  tarda. 

89 
Fra  gli  altri  che  giacean  vede  la  Donna, 
La  Donna  che  l'avea  quivi  guidato. 
Dinanzi  se  la  pon,  si  come  assonna, 
E  via  cavalca  tutto  conturbato: 
D'un  manto  ch'essa  avea  sopra  la  gonna. 
Poi  ricoperse  lo  scudo  incantato; 
E  i  sensi  riaver  le  fece  tosto 
Che  '1  nocivo  splendore  ebbe  nascosto. 

90 
Via  se  ne  va  Ruggier  con  faccia  rossa 
Che,  per  vergogna,  di  levar  non  osa. 
Gli  par  ch'ognuno  improverar  gli  possa 
Quella  vittoria  poco  gloriosa. 
Ch'emenda  poss'  io  fare,  onde  rimossa 
Mi  sia  una  colpa  tanto  obbrobriosa? 
Che  ciò  ch'io  vinsi  mai,  fu  per  favore, 
Diran,  d'incanti  e  non  per  mio  valore. 

91 
Mentre  cosi  pensando  seco  giva, 
Venne  in  quel  che  cercava  a  dar  di  cozzo; 
Che  'n  mezzo  de  la  strada  sopr'arriva 
Dove  profondo  era  cavato  un  pozzo. 
Quivi  l'armento  alla  calda  ora  estiva 
Si  ritraea,  poi  ch'avea  pieno  il  gozzo. 
Disse  Ruggiero:  Or  proveder  bisogna, 
Che  non  mi  facci,  o  scudo,  più  vergogna. 

92 
Più  non  starai  tu  meco;  e  questo  sia 
L'ultimo  biasmo  ch'ho  d'averne  al  mondo. 
Cosi  dicendo  smonta  ne  la  via: 
Piglia  una  grossa  pietra  e  di  gran  pondo, 
E  la  lega  allo  scudo,  et  ambi  invia 
Per  l'alto  pozzo  a  ritrovarne  il  fondo; 
E  dice:  Costà  giù  statti  sepulto, 
E  teco  stia  sempre  il  mio  obbrobrio  oc- 

93  [culto. 

Il  pozzo  è  cavo,  e  pieno  al  sommo  d'ac- 

[que: 
Grieve  è  lo  scudo,  e  quella  pietra  grieve. 
Non  si  fermò  fin  che  nel  fondo  giacque: 


89.  3.  assonna  ;  è  assopita,  dorme  ;  cosi  as- 
sopita, com'è.  Signilicato  non  registrato  dai 
vocabolari. 

90.  3.  improverar.  V.  e.  I,  29,  n.  7. 

—  7.  ciò  ch'io  Tinsi  m.  ;  tutte  le  mie  vit- 
torie. 

92.  2.  d'averne,  da  averne.  V.  e.  v.  10.  Ciò 
che  fa  Ruggiero  è  simile  a  ciò,  che  fece 
Orlando  dell'archibuso,  ix,  88,  e  a  ciò,  che 
nella  Tav.  Rotonda  fa  Tristano,  il  quale,  per 
non  vincere  con  armi  fatate,  le  getta  in 
una  fornace. 

93. 1.  cavo;  profondo.  Citano  un  luogo  di 
Fra  Giord.  124:  *  quando  (il  pozzo)  non  è 
cavo,  si  è  detto  basso».  —  al  sommo;  fino 
alla  sommità,  fino  alla  cima. 


CANTO  XXII 


2\.>. 


Sopra  si  chiuse  il  liquor  molle  e  lieve. 
Il  nobil  atto  e  di  splendor  non  tacque 
La  vaga  Fama,  e  diviilgoUo  iu  breve; 
E  di  rumor  n'empi  sonando  il  corno, 
E  Francia  e  Spagna  eie  Provincie  intorno. 

94 
Poi  che  di  voce  in  voce  si  fé'  questa 
Strana  avventura  in  tutta  il  mondo  nota, 
Molti  guerrier  si  misero  all'inchiesta 
E  di  parte  vicina  e  di  remota: 
Ma  non  sapean  qual  fosse  la  foresta, 
Dove  nel  pozzo  il  sacro  scudo  nuota; 
Che  la  Donna  che  fé'  l'atto  palese, 
Dir  mai  non  volse  il  pozzo  né  il  paese. 

95 
Al  partir  che  Ruggier  fé'  dal  castello, 
Dove  avea  vinto  con  poca  battaglia; 
Che  i  quattro  gran  campion  di  Pinabello 
Fece  restar  come  uomini  di  paglia; 
Tolto  lo  scudo,  avea  levato  quello 
Lume  che  gli  occhi  e  gli  animi  abbarba- 
E  quei  che  giaciuti  eran  come  morti,  [glia: 
Pieni  di  meraviglia  eran  risorti. 


—  5.  di  splendor;  locuzione  affine  ad  altre 
più  comuni:  atto  di  grande  importanza,  di 
molto  merito  :  qui  dunque  atto  splendido. 
L'  unione  però  dell'aggettivo  e  del  comple- 
mento (atto  nobile  e  di  splendor)  è  dura 
assai. 

—  6.  vaga;  vagante,  che  corre  qua  e  là. 
V.  e.  VII,  45,  3. 

94.  3.  inchiesta.  V.  e.  IX,  7. 

—  6.  sacro.  V.  e.  xii,  57.  —  nuota,  è  af- 
fondato. È  una  estensione  di  signiflcato  no- 
tevole e  non  registrata  dai  vocabolari. 


96 

Né  per  tutto  quel  giorno  si  favella 
Altro  fra  lor,  che  de  lo  strano  caso  ; 
E  come  fu  che  ciascun  d'essi  a  quella 
Orribil  luce  vinto  era  rimaso. 
Mentre  parlan  di  questo,  la  novella 
Vien  lor  di  Plnabel  giunto  all'occaso  : 
Che  Pinabello  è  morto  hanno  l'avviso; 
Ma  non  sanno  però  chi  l'abbia  ucciso. 
97 

L'ardita  Bradamante  in  questo  mezzo 
Giunto  avea  Pinabello  a  un  passo  stretto; 
E  cento  volte  gli  avea  fin  a  mezzo 
Messo  il  brando  pei  fianchi  e  per  lo  petto. 
Tolto  ch'ebbe  dal  mondo  il  puzzo  e  '1  lezzo 
Che  tutto  intorno  avea  il  paese  infetto, 
Le  spalle  al  bosco  testimonio  volse 
Con  quel  destrier  che  già  il  fellon  le  tolse. 
98 

Volse  tornar  dove  lasciato  avea 
Ruggier;  né  seppe  mai  trovar  la  strada. 
Or  per  valle  or  per  monte  s'avvolgea; 
Tutta  quasi  cercò  quella  contrada. 
Non  volse  mai  la  sua  fortuna  rea. 
Che  via  trovasse,  onde  a  Roggier  si  vada. 
Questo  altro  Canto  ad  ascoltare  aspetto 
Chi  de  r  istoria  mia  prende  diletto, 


96.  2.  Altro...  che.  Altro  piiò  essere  com- 
plemento diretto  di  favellare,  o  può  essere 

i  usato  anche  avverbialmente  come  nel  Petk. 
j  I,  sest.   3:    «  parola,  Ch'  altro  che   da   me 
stesso  fosse  intesa  »,  da  altri  che  da  me,  ecc. 
—  6.  giunto  all'o.  V.  e.  ix,  31. 

97.  7.  testimonio;  di  questa  uccisione. 


CANTO  XXIII 


studisi  ognun  giovare  altrui;  che  rade 
Volte  il  ben  far  senza  il  suo  premio  fia: 
E  se  pur  senza,  almen  non  te  ne  accade 
Morte  né  danno  né  ignominia  ria. 
Chi  nuoce  altrui,  tardi  o  per  tempo  cade 
Il  debito  a  scontar,  che  non  s'oblia. 


1.  3.  accade,  avviene  :  ma  si  dice  propria- 
mente di  cose  non  prevedute  ;  mentre  av- 
venire si  dice  delle  prevedute. 

—  5.  cade;  viene  per  avventura.  In  que- 
sto senso  e  costrutto  non  è  registrato  dai 
vocabolari,  ma  è  uso  notevole  da  aggiun- 
gere ai  molti  del  verbo  cadere.  —  tardi  o 
per  tempo.  É  una  variazione  del  modo  po- 
polare presto  o  tardi. 


Dice  il  proverbio,  ch'a  trovar  si  vanno 
Gli  uomini  spesso,  e  i  monti  fermi  stanno. 
2 
Or  Tedi  quel  ch'a  Pinabello  avviene 
Per  essersi  portato  iniquamente: 
i  E  giunto  in  somma  alle  dovute  pene, 
!  Dovute  e  giuste  alla  sua  ingiusta  mente. 
I  E  Dio,  che  le  più  volte  non  sostiene 
i  Veder  patire  a  torto  uno  innocente, 
'■  Salvò  la  donna;  e  salverà  ciascuno 
!  Che  d'ogni  fellonia  viva  digiuno. 


—  7.  a  trovar  si  vanno  ;  vanno  a  incon- 
trarsi. Volgarmente  il  proverbio  suona  cosi: 
i  monti  stan  fermi  e  gli  uomini  camminano. 

2.  4.  mente,  indole,  animo. 


:d6 


ORLANDO  FURIOSO 


Credette  Pinabel  questa  donzella 
Già  d'aver  morta,  e  colà  giù  sepolta; 
Né  la  pensava  mai  veder,  non  ch'ella 
Gli  avesse  a  tòr  degli  error  suoi  la  multa. 
Né  il  ritrovarsi  in  mezzo  le  castella 
Del  padre,  in  alcun  util  gli  risulta. 
Quivi  Altaripa  era  tra  monti  fieri 
Vicina  al  tenitorio  di  Pontieri. 
4 

Tenea  quell'Altaripa  il  vecchio  conte 
Anselmo,  di  ch'usci  questo  malvagio 
Che,  per  fuggir  la  man  di  Chiararaonte, 
D'amici  e  di  soccorso  ebbe  disagio. 
La  donna  al  traditore  a  pie  d'un  monte 
Tolse  l'indegna  vita  a  suo  grande  agio; 
Che  d'altro  aiuto  quel  non  si  provede, 
Che  d'alti  gridi  e  di  chiamar  mercede. 
5 

Morto  ch'ella  ebbe  il  falso  cavalliero 
Che  lei  voluto  avea  già  porre  a  morte, 
Volse  tornare  ove  lasciò  Ruggiero; 
Ma  non  lo  consenti  sua  dura  sorte, 
Che  la  fé'  traviar  per  un  sentiero 
Che  la  portò  dov'era  spesso  e  forte, 
Dove  più  strano  e  più  solingo  il  bosco, 
Lasciando  il  sol  già  il  mondo all'aer  fosco. 
6 

Né  sappiendo  ella  ove  potersi  altrove 
La  notte  riparar,  si  fermò  quivi 
Sotto  le  frasche  in  su  l'erbette  nuove. 
Parte  dormendo,  fin  che  il  giorno  arrivi, 
Parte  mirando  ora  Saturno  or  Giove, 
Venere  e  Marte  e  gli  altri  erranti  Divi; 


Ma  sempre,  o  vegli  o  dorma, conia  mente 
Contemplando  Ruggier  come  presente. 

7 
Spesso  di  cor  profondo  ella  sospira, 
Di  pentimento  e  di  dolor  compunta. 
Ch'abbia  in  lei,  più  ch'Amor,  potuto  l'ira. 
L'ira  (dicea)  m'ha  dal  mio  amor  disgiunta  : 
Almen  ci  avessi  io  posta  alcuna  mira. 
Poi  ch'avea  pur  la  mala  impresa  assunta. 
Di  saper  ritornar  donde  io  veniva; 
Che  ben  fui  d'occhi  e  di  memoria  priva. 

8 
Queste  et  altre  parole  ella  non  tacque 
E  molto  più  ne  ragionò  col  core. 
Il  vento  in  tanto  di  sospiri,  e  l'acque 
Di  pianto  fecean  pioggia  di  dolore. 
Dopo  una  lunga  aspettazion  pur  nacque 
In  Oriente  il  disiato  albóre: 
Et  ella  prese  il  suo  destrier  ch'intorno 
Giva  pascendo,  et  andò  contra  il  giorno. 

9 
Né  molto  andò,  che  si  trovò  all'uscita 
Del  bosco,  ove  pur  dianzi  era  il  palagio. 
Là  dove  molti  di  l'avea  schernita 
Con  tanto  error  Tincantator  malvagio. 


3.  3.  la  pensava...  ved.  ;  né  pensava  mai 
vederla.  V.  e.  i,  47,  n.  6. 

—  4.  tor  la  multa.  Multa  è  voce  latina  : 
e  latino  è  il  costrutto  tor  la  multa  (susci- 
pere  poenam)  e  forse  nuovo  nella  lettera- 
tura. 

—  8.  tenitorio  di  P.  ;  dov'  era  il  castello 
di  Pinabello. 

4.  3.  la  man  di  Chiaram.:  la  mano  di  Bra- 
damante,  che  era  della  casa  di  Chiaram. 
V.  e.  n,  67. 

—  4.  ebbe  disagio  ;  penuria.  Dante,  Inf. 
34,  99  :  «  eh'  avea  mal  suolo  e  di  lume  di- 
sagio ». 

—  8.  chiamar  mercede  ;  chiedere  grazia. 
Dante,  Purg.  29,  39  :  «  Cagion  mi  sprona 
eh'  io  mercé  ne  chiami  ». 

5.  1.  falso  ;  bugiardo  ;  perché  l' aveva  in- 
dotta con  una  menzogna  a  calarsi  nella  spe- 
lonca. V.  e.  II,  75. 

—  8.  Lasciando  il  sol  ;  quando  il  sole  la^ 
sciava.  Questa  maniera  di  gerundio  asso- 
luto è  frequente  nell'A.  Vedi  gli  esempi  ci- 
tati al  e.  XII,  76,  n.  4. 

6.  6.  erranti  Divi  ;  erranti  dei,  i  pianeti, 
che  prendono  il  nome  dagli  dei  della  mito- 
logia. 


7.  1.  di  cor  profondo  ;  dal  profondo  del 
cuore.  È  modo  pur  della  prosa.  Tratt.  virt. 
«  egli  dee  gemire  di  profondo  cuore  ». 

—  5.  ci  avessi  p.  a.  m...  di  s.  ;  avessi  posto 
attenzione  in  questa  cosa  (ci),  per  saper  ri- 
tornare ecc.  La  prep.  di  invece  di  per  è  fre- 
quente nel  senso  causale  (morir  di  freddo; 
di  che  egli  mori,  ecc.)  ;  ma  è  raro  nel  senso 
finale,  come  sarebbe  qui.  Si  potrebbe  però 
anche  ritenere  il  vi  come  anticipazione  del 
complem.  e  intendere  :  avessi  posta  atten- 
zione in  questa  cosa,  cioè  nel  saper.  Di  in 
questo  senso  è  frequente.  V.  Fornaciari, 
Decamer.  p.  19,  n.  6.  —  Porre  mira  •pev  por- 
re attenzioìie  non  è  citato  dai  vocabolari. 

8.  2.  molto  più.  Non  riferirlo  a  parole  ; 
ma  intendi  :  e  molto  più,  che  colla  bocca, 
ragionò  di  questo  argomento  (ne)  col  core. 

—  3.  Metafore  barocche,  che  è  da  crede- 
re siano  uno  di  quegli  scherzi,  che  il  poeta 
introduce  tante  volte,  come  il  sorriso  del 
novellatore,  che  vede  i  suoi  uditori  attenti  e 
commossi  alle  sue  fantasie.  Vuol  dire  che, 
come  il  vento  e  l'acqua  delle  nuvole  pro- 
ducono la  pioggia,  cosi  i  sospiri  e  il  pianto 
producevano  una  pioggia  di  lacrime  dolo- 
rose. Nelle  altre  sue  opere,  specialmente 
nella  lirica,  l'A.  non  si  lascia  mai  andare 
a  questo  barocchismo,  il  che  conferma  la 
nostra  opinione.  Forse  l'A.  volle  fare  la 
parodia  della  maniera  barocca  dei  poeti 
cortigiani  di  quel  tempo,  specialmente  del 
Tibaldeo,  del  Cariteo  e  di  Serafino  Aquilano. 

—  8.  contra  il  giorno  ;  verso  levante. 


CANTO  XXIII 


Ritrovò  quivi  Astolfo  che  fornita     [agio, 
La  briglia  all'Ippogrifo  avea  a  grande 
E  stava  in  gran  peusier  di  Rabicano, 
Per  non  sapere  a  chi  lasciarlo  in  mano. 
10 

A  caso  si  trovò  che  fuor  di  testa 
L'elmo  allor  s'avea  tratto  il  Paladino; 
Si  che  tosto  ch'usci  de  la  foresta, 
Bradamante  conobbe  il  suo  cugino. 
Di  lontan  salutollo,  e  con  gran  festa 
Gli  corse,  e  l'abbracciò  poi  più  vicino; 
E  nominossi,  et  alzò  la  visiera, 
E  chiaramente  fé'  vedere  ch'elì'era. 
11 

Non  potea  Astolfo  ritrovar  persona 
A  chi  il  suo  Rabican  meglio  lasciasse, 
Perché  dovesse  averne  guardia  buona 
E  renderglielo  poi  come  tornasse, 
De  la  figlia  del  Duca  di  Dordona; 
E  parvegli  che  Dio  gli  la  mandasse. 
Vederla  volentier  sempre  solea. 
Ma  pel  bisogno  or  più  ch'egli  n'avea. 
12 

Dappoi  che  due  e  tre  volte  ritornati 
Fraternamente  ad  abbracciar  si  foro, 
E  si  for  l'uno  e  l'altro  domandati 
Con  molta  affezion  de  l'esser  loro; 
Astolfo  disse  :  Ormai,  se  dei  pennati 
Vo'  '1  paese  cercar,  troppo  dimoro: 
Et  aprendo  alla  donna  il  suo  pensiero, 
Veder  le  fece  il  volator  destriero. 
13 

A  lei  non  fu  di  molta  maraviglia 
Veder  spiegare  a  quel  destrier  le  penne: 
Ch'altra  volta,  reggendogli  la  briglia 
Atlante  incantator,  centrale  venne; 


10.  I.-  si  trovò.  Il  soggetto  è  «7  Paladino. 
Di  tali  inversioni  vedi  gli  esempi  citati  nel 
e.  XVII,  20,  n.  8  :  un  altro  è  nel  v.  6  di  que- 
sta stanza. 

—  6.  Gli  corse,  ecc.;  Gli  corse  poi  più  vi- 
cino e  l'abbracciò.  Altra  ardita  inversione. 

—  8.  eh'  «ir  era.  Si  può  intendere  :  che 
era  lei  ;  proprio  lei  ;  e  anche  chi  ella  era. 
Nella  Principe  «  Chiaramente  veder  gli  fece 
chi  era  ».  Del  resto  elisioni  cosi  ardite  tro- 
viamo anche  altrove;  xix,  47,  6;  xxxvii, 
10,  3;  e  sotto  nella  st.  53,  2. 

11.  3.  averne  guardia  ;  averne  cura.  Giov. 
Villani,  7,  il:  «Il  mandò  dicendo...  che 
avesse  guardia  di  sue  terre  ». 

—  4.  come  tornasse,  in  Francia  dopo  il 
viaggio  per  il  mondo. 

—  8.  Ma  pel  b.  ecc.  ;  ma  ora  anche  di 
più,  per  il  b.  che  ne  avea. 

18.  5.  pennati,  uccelli  ;  il  paese  dei  pen- 
nati è  detta  scherzosamente  l'aria.  Bocc, 
y'ov.  80,  Frate  Cipolla  dice  :  «  Io  vidi  volare 
i  pennati  ». 

13.  3.  altra  volta.  V.  e.  IV. 


E  le  fece  doler  gli  occhi  e  le  ciglia: 
Si  fisse  dietro  a  quel  volar  le  tenne 
Quel  giorno,  che  da  lei  Ruggier  lontano 
Portato  fu  per  camin  lungo  e  strano. 
14 

Astolfo  disse  a  lei,  che  le  volea 
Dar  Rabican  che  si  nel  corso  affretta, 
Che,  se,  scoccando  l'arco,  si  movea, 
Si  solea  lasciar  dietro  la  saetta; 
E  tutte  l'arme  ancor,  quante  n'avea  : 
Che  vuol  eh' a  Mont'alban  gli  le  rimetta, 
E  gli  le  serbi  fin  al  suo  ritorno; 
Che  non  gli  fanno  or  di  bisogno  intorno. 
15 

Volendosene  andar  per  l'aria  a  volo, 
Aveasi  a  far  quanto  potea  più  lieve. 
Tiensi  la  spada  e  '1  corno,  ancor  che  solo 
Bastargli  il  corno  ad  ogni  risco  deve: 
Bradamante  la  lancia  che  '1  figliuolo 
Portò  di  Galafrone,  anco  riceve; 
La  lancia  che  di  quanti  ne  percuote 
Fa  le  selle  restar  subito  vote. 
16 

Salito  Astolfo  sul  destrier  volante. 
Lo  fa  mover  per  l'aria  lento  lento; 
Indi  lo  caccia  si,  che  Bradamante 
Ogni  vista  ne  perde  in  un  momento. 
Cosi  si  parte  col  pilota  inante 
Il  nocchier  che  gli  scogli  teme  e  '1  vento, 
E  poi  che  '1  porto  e  i  liti  a  dietro  lassa. 
Spiega  ogni  vela  e  inanzi  ai  venti  passa. 
17 

La  donna,  poi  che  fu  partito  il  Duca, 
Rimase  in  gran  travaglio  de  la  mente: 


14.  2.  affretta;  Affrettare  per  affrettarsi 
non  è  raro  :  Caro,  En.  4,  491  :  «  affrettò  di 
morire  ». 

—  6.  gli  le  rimetta:  glie  le  riponga. 

—  8.  fanno...  di  bisogno  ;  fanno  bisogno. 
È  modo  frequente  nella  letteratura,  special- 
mente Toscana;  e  in  Toscana  vive  ancora. 
Cecchi,  Mogi.  1,  1  :  «  dove  mi  fa  di  bisogno 
dell'  opera  tua  »  ;  e  poteva  anche  dire  «  l'o- 
pera tua  ». 

15.  4.  risco.  V.  e.  VI,  81. 

—  5.  figliuolo  di  Gal.  ;  Argalia  fratello,  di 
Angelica.  V.  e.  viii,  17. 

16.  5.  pilota.  E  noto  che  il  padron  della 
nave  (nocchiero)  spesso  non  era  quello,  che 
la  conduceva;  per  il  quale  ufficio  si  pren- 
deva il  pilota  (parola  d'etim.  ignota).  Dun- 
que: Come  la  nave  si  parte  dapprima  lenta 
lenta  per  gli  scogli  e  poi  accelera  il  corso 
nell'alto  mare  ecc. 

—  8.  inanzi  ai  venti  p.  O  è  espressione 
iperbolica:  va  più  veloce  del  vento;  o,  co- 
me è  più  probabile,  significa:  e  va  avanti 
al  vento,  che  di  dietro  la  spinge  gonfiando 
la  vela.  Cosi  sarebbe  un'  immagine  pitto- 
resca. 


c.i)S 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  non  sa  come  a  Mont'alban  conduca 
I^'armatura  e  il  destrier  del  suo  parente; 
r*erò  che  '1  cuor  le  cuoce  e  le  manuca 
L'ingorda  voglia  e  il  desiderio  ardente 
Di  riveder  Ruggier,  che,  se  non  prima, 
A  Vair  ombrosa  ritrovar  lo  stima. 
18 
Stando  quivi  suspesa,  per  ventura 
Si  vede  inanzi  giungere  un  villano, 
Dal  qual  fa  rassettar  quella  armatura, 
Come  si  puot»,  e  por  su  Rabicano  : 
Poi  di  menarsi  dietro  gli  die  cura 

I  duo  cavalli,  un  carco  e  Taltro  a  mano. 
Ella  n'avea  duo  prima;  ch'avea  quello, 
Sopra  il  qual  levò  l'altro  a  Pinabello. 

19 

Di  Vall'ombrosa  pensò  far  la  strada  ; 

Che  trovar  quivi  il  suo  Ruggier  ha  speme  : 

Ma  qual  più  breve  o  qual  miglior  vi  vada. 

Poco  discerne,  e  d'ire  errando  teme. 

II  villau  non  avea  de  la  contrada 
Pratica  molta;  et  erreranno  insieme. 
Pur  andare  a  ventura  ella  si  messe. 
Dove  pensò  che  '1  loco  esser  dovesse. 

20 

Di  qua,  di  là  si  volse,  né  persona 
Incontrò  mai  da  domandar  la  via. 
Si  trovò  uscir  del  bosco  in  su  la  nona, 
Dove  un  Castel  poco  lontan  scopria, 
Il  qual  la  cima  a  un  monticel  corona. 
Lo  mira,  e  Mont'alban  le  par  che  sia  : 
Et  era  certo  Mont'albano;  e  in  quello 
Avea  la  matre  et  alcun  suo  fratello. 
21 

Come  la  donna  conosciuto  ha  il  loco, 
Nel  cor  s'attrista,  e  più  eh'  i'  non  so  dire. 
Sarà  scoperta,  se  si  ferma  un  poco; 
Né  più  le  sarà  lecito  a  partire. 
Se  non  si  parte,  l'amoroso  foco 


17.  5.  le  manuca.  V.  c.  xv,  4. 

—  8.  r.  lo  stima.  V.  e.  i,  47,  n.  6. 

18.  3.  rassettar  ;  assettare  ;  raccogliere  e 
mettere  insieme.  Firenzuola,  As.  102  :  «  A- 
vendo  già  ogni  cosa  strenuamente  rasset- 
tato ». 

—  6.  nn  carce,  ecc.  Intendi:  gli  die  cura 
di  menarsi  dietro  a  mano  i  due  cavalli;  Ra- 
bicano carico  dell'  armatura,  e  l' altro  (sot- 
tintendi :  che  non  era  carico).  Dunque  a 
mano  uniscilo  a  menarsi.  Non  credo  si 
debba  intendere:  l'un  carico  del  villano; 
perché  neanche  gli  scudieri  cavalcavano 
mai  i  destrieri,  ma  andavano  a  piedi,  o  su 
ronzini,  conducendo  i  destrieri  a  mano. 

19.  7.  Andar...  si  messe.  Solita  omissione 
della  prep.  ad,  come  anche  a  v.  3.  st.  seg. 
V.  e.  I,  4,  n.  1. 

20.  3.  nona.  V.  e.  vili,  19,  n.  6. 

21.  4.  lecito  a  partire  ;  1.  di  part.  Costrutto 
assai  strano. 


L'arderà  si,  che  la  farà  morire: 
Non  yedrà  più  Ruggier,  né  farà  cosa 
Di  quel  ch'era  ordinato  a  Vall'ombrosa. 
22 

Stette  alquanto  a  pensar;  poi  ai  risolse 
Di  voler  dar  a  Mont'alban  le  spalle; 
E  verso  la  Badia  pur  si  rivolse, 
Che  quindi  ben  sapea  qual  era  il  calle. 
Ma  sua  Fortuna,  o  buona  o  trista,  volse 
Che  prima  ch'ella  uscisse  de  la  valle, 
Scontrasse  Alardo,  un  de'  fratelli  sui; 
Né  tempo  di  celarsi  ebbe  da  lui. 
23 

Veniva  da  partir  gli  alloggiamenti 
Per  quel  contado  a  cavallieri  e  a  fanti; 
Ch'ad  instanzia  di  Carlo  nuove  genti 
Fatto  avea  de  le  terre  circonstanti. 
I  saluti  e  i  fraterni  abbracciamenti 
Con  le  grate  accoglienze  andaro  inanti; 
E  poi,  di  molte  cose  a  paro  a  paro 
Tra  lor  parlando,  in  Mont'  albau  tornare, 
24 

Entrò  la  bella  Donna  in  Mont' Albano, 
Dove  l'avea  con  lacrimosa  guancia 
Beatrice  molto  desiata  in  vano, 
E  fattone  cercar  per  tutta  Francia. 
Or  quivi  i  baci  e  il  giunger  mano  a  mano 
Di  matre  e  di  fratelli  estimo  ciancia. 
Verso  gli  avuti  con  Ruggier  complessi, 
Ch'avrà  ne  l'alma  eternamente  impressi. 
25 

Non  potendo  ella  andar,  fece  pensiero 
Ch'a  Vall'ombrosa  altri  in  suo  nome  andas- 
Immantinente  ad  avvisar  Ruggiero      [se 
De  la  cagion  ch'andar  lei  non  lasciasse  ; 


—  8.  ordinato  ;  stabilito,  convenuto. 

22.  7.  Alardo.  V.  e.  Il,  67. 

23.  1.  partir  gli  allogg.  ;  distribuire,  asse- 
gnare gli  alloggiamenti. 

—  4.  Fatto  avea;  aveva  radunato.  V.  e. 
vili,  25,  n.  2. 

—  7.  fa  paro  a  paro  ;  mentre  cammina- 
vano a  pari,  a  coppia. 

24:.  3.  Beatrice;  la  madre;  V.  e.  II,  31.  n.  4. 

—  7.  complessi;  (lat.  compZe.rMs)  abbrac- 
ciamenti ;  anche  nel  e.  xxxt,  32  ;  e  nel  son. 
13;  ma  è  poetico. 

25.  4.  non  lasciasse.  Più  regolarmente  non 
lasciava.  L'A.  usa  non  di  rado  questo  con- 
giuntivo alla  latina.  È  noto  che  i  Latini 
usavano  il  congiunt.  nelle  propos.  relative, 
che  si  aggiungono  a  compimento  d'una 
idea  espressa  con  una  propos.  avente  il 
verbo  al  cong.,  o  un  accusat.  coir  infinito, 
e  il  cui  contenuto  è  rappresentato  come 
parte  integrante  dell'idea  espressa  nell'in- 
fin.  o  nel  cong.  È  questa  una  delle  regole 
più  sottili  e  più  difficili  dello  stile  laU;ino. 
V.  altri  es.  nel  e.  x,  29,  4;  xxviii,  1,  8;  28, 
2  :  e  cfr.  Madvio,  Grammat.  lat.  p.  324. 


CANTO  XXIII 


E  lui  pregar  (s'era  pregar  mistero) 
Che  quivi  per  suo  amor  si  battezzasse, 
E  poi  venisse  a  far  quanto  era  detto. 
Si  che  si  desse  al  matrimonio  effetto. 
26 

Pel  medesimo  messo  fé'  disegno 
Di  mandar  a  Ruggiero  il  suo  cavallo 
Che  gli  solea  tanto  esser  caro  :  e  degno 
D'essergli  caro  era  ben  senza  fallo; 
Che  non  s'avria  trovato  in  tutto  '1  regno 
Dei  Saracin,  né  sotto  il  Signor  Gallo 
Più  bel  destrier  di  questo  o  più  gagliardo, 
Eccetti  Brigliador,  soli,  e  Baiardo. 

27  [ascese 

Euggier,  quel  di  che  troppo  audace 
Su  l'Ippogrifo,  e  verso  il  ciel  levosse. 
Lasciò  Frontino,  e  Bradamante  il  prese 
(Frontino;  che  '1  destrier  cosi  nomosse); 
Mandollo  aMont'albano,  e  a  buone  spese 
Tener  lo  fece,  e  mai  non  cavalcosse, 
Se  non  per  breve  spazio  e  a  picciol  passo: 
Si  ch'era  più  che  mai  lucido  e  grasso. 
28 

Ogni  sua  donna  tosto,  ogni  donzella 
Pon  seco  in  opra,  e  con  suttil  lavoro 
Fa  sopra  seta  candida  e  morella 
Tesser  ricamo  di  finissimo  oro; 
E  di  quel  cuopre  et  orna  briglia  e  sella 
Del  buon  destrier:  poi  sceglie  una  di  loro, 
Figlia  di  Callitrefia  sua  nutrice, 
D'ogni  secreto  suo  fida  uditrice. 
29 

Quanto  Ruggier l'era  nelcoreimpresso, 
Mille  volte  narrato  avea  a  costei: 
La  beltà,  la  virtude,  i  modi  d'esso 
Esaltato  l'avea  fin  sopra  i  Dei. 
A  sé  chiamoUa  e  disse:  Miglior  messo 
A  tal  bisogno  elegger  non  potrei; 
Che  di  te  né  più  fido  né  più  saggio 
Imbasciator,  Ippalca  mia,  non  haggio. 


—  5.  era  mistero  ;  era  mestieri,  occorre- 
va. Mistero  per  mestieri  è  forma  arcaica 
già  nel  Cinquecento.  L'usarono  Brunetto 
Lat.,  Guittone  e  il  Pucci. 

26.2.  il  suo;  di  lui;  Frontino. 

—  5.  s'avria  tr.  Per  l'uso  dell'ausil.  Ave- 
re, coi  verbi  riflessi,  nella  poesia,  cfr.  For- 
NACIARI,  Sint.  p.  159. 

—  6.  Signor  Gallo  ;  Signor  della  Francia, 
Carlo  Magno. 

27.  1.  quel  di'  ecc.  V.  e.  iv,  49. 

88.  3.  morella  ;  di  color  tendente  al  nero. 

—  7.  Callitrefia  (dal  greco  kalós,  buono, 
e  trefo  nutrire;  buona  nutrice)  è  nome  fog- 
giato secondo  1'  ufficio.  —  Su  questo  ufficio 
della  nutrice  cfr.  la  nota  al  e.  xiv,  54,  5. 

29.4.  l'av.  ;  le  av.  V.  e.  vii,  35,  n.  8.  — 
Dei;  gli  esseri  soprannaturali.  Cosll'A.  usò 
Dea  nel  e.  vi,  10,  5;  xii,  6,  3. 

—  8.  Ippalca  (dal  grec.   ìppos,  cavallo  ; 


30 

Ippalca  la  donzella  era  nomata. 
Va,  le  dice  (e  l'insegna  ove  de'  gire); 
E  pienamente  poi  l'ebbe  informata 
Di  quanto  avesse  al  suo  Signore  a  dire, 
E  far  la  scusa  se  non  era  andata 
Al  monaster  :  che  non  fu  per  mentire; 
Ma  che  Fortuna,  che  di  noi  potea 
Più  che  noi  stessi,  da  imputar  s'avea. 
31 

Montar  la  fece  s'nn  ronzino,  e  in  mano 
La  ricca  briglia  di  Frontin  le  messe  : 
E  se  si  pazzo  alcuno  o  si  villano 
Trovasse,  che  levar  le  lo  volesse; 
Per  fargli  a  una  parola  il  cervel  sano, 
Di  chi  fosse  il  destrier  sol  gli  dicesse  : 
Che  non  sapea  si  ardito  cavalliero. 
Che  non  tremasse  al  nome  di  Ruggiero. 
32 

Di  molte  cose  l'ammonisce  e  molte. 
Che  trattar  con  Ruggier  abbia  in  sua  vece  ; 
Le  qual  poi  ch'ebbe  Ippalca  ben  raccolte. 
Si  pose  in  via,  né  più  dimora  fece. 
Per  strade  e  campi  e  selve  oscure  e  folte 
Cavalcò  de  le  miglia  più  di  diece; 
Che  non  fu  a  darle  noia  chi  venisse, 
Né  a  domandarla  pur  dove  ne  gisse. 
33 

A  mezzo  il  giorno,  nel  calar  d'un  monte. 
In  una  stretta  e  malagevol  via 


eleo,  trarre,  condurre  ;  conduttrice  di  ca- 
valli). Anche  questo  è  nome  foggiato  per 
l'occasione. 

30.  2.  r  ins.  ;  le  ins.  V.  st.  29,  4. 

—  5.  E  far.  Supplisci,  inlevandolo  dal  con- 
testo, e  come  avesse  a  far.  Scorci  popolari 
comunissimi  nelle  lingue. 

—  6.  che:  qui  pure  sottint.  gli  dicesse. 

—  7.  che  di  noi  potea.  Più  comunemente 
si  userebbe  il  presente,  perché  è  una  massi- 
ma generale;  ma  l'imperf.  fa  spiccar  me- 
glio che  questa  sentenza  la  pronunciò  allora 
Brad.  Potere  di  per  2^otere  su  anche  nel 
e.  II,  30;  XXIV,  105.  Bembo,  Lett.  4,  56: 
«  quanto  l' autorità  vostra  possa  di  me  ». 

31.  5.  a  una  p.;  con  una  p.  Vedi  a  per 
coìi  anche  nel  e.  xvi,  48,  8,  e  la  nota. 

—  7.  sapea;  conosceva.  Cecchi,  Z)issim. 
1,  1  :  «  Io  non  so  grandezza  con  la  quale, 
ecc.  ». 

—  8.  a  nome;  al  nome.  Omissione  del- 
l'artic.  assai  frequente  nel  Nostro;  V.  e.  ii, 
15,  n.  8. 

32. 8.  trattar...  abhia.  Solita  omissione 
della  prep.  a.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

—  3.  raccolte;  comprese.  ALAMANNI,  Gir. 
14,  11:  «Quanto  si  vaglia  II  vostro  re,  per 
prova  ho  ben  raccolto  ». 

—  6.  de  le  miglia  più  di  diece.  V,  e.  xvill, 
86,  n.  5. 


^jòÒ 


ORLANDO  FURIOSO 


Si  venne  ad  incontrar  con  Rodomonte, 
Ch'armato  un  piccol  Nano  e  a  pie  seguia. 
Il  Moro  alzò  ver  lei  l'altiera  fronte, 
E  bestemmiò  l'eterna  lerarchia. 
Poi  che  si  bel  destrier,  si  bene  ornato 
Non  avea  in  man  d'un  cavallier  trovato. 
34 

Avea  giurato  che  '1  primo  cavallo 
Tòrria  per  forza,  che  tra  via  incontrasse. 
Or  questo  è  stato  il  primo;etrovato  hallo 
Più  bello  e  più  per  lui,  che  mai  trovasse: 
Ma  tórlo  a  una  donzella  gli  par  fallo; 
E  pur  agogna  averlo,  e  in  dubbio  stasse. 
Lo  mira,  lo  contempla,  e  dice  spesso: 
Deh  perché  il  suo  Signor  non  è  con  esso! 
35 

Deh  ci  fosse  egli!  gli  rispose  Ippalca; 
Che  ti  farla  cangiar  forse  pensiero. 
Assai  più  di  te  vai  chi  lo  cavalca; 
Né  lo  pareggia  al  mondo  altro  guerriero. 
Chi  è  (le  disse  il  Moro)  che  si  calca 
L'onore  altrui?  Rispose  ella:  Ruggiero. 
E  quel  suggiunse  :  Adunque  il  destrier  vo- 
lgilo, 
Poi  ch'a  Ruggier,  si  gran  campion,  lo  to- 
36  [glio. 

Il  qual,  se  sarà  ver,  come  tu  parli, 
Che  sia  si  forte,  e  più  d'ogn'altro  vaglia; 
Non  che  il  destrier  ma  la  vettura  darli 
Converràmi,  e  in  suo  albitrio fiala  taglia. 
Che  Rodomonte  io  sono,  hai  da  narrarli, 
E  che,  se  pur  vorrà  meco  battaglia. 
Mi  troverà;  ch'ovunque  io  vada  o  stia, 
Mi  fa  sempre  apparir  la  luce  mia. 
37 

Dovunque  io  vo,  si  gran  vestigio  resta, 


33.  4.  V.  e.  xviii,  36  e  segg. 

34.  4.  pili  per  lui;  più  adatto  per  lui.  Es- 
sere, trovare,  ecc.  (anche  sottint.  come  qui) 
per  uno,  è  modo  comune  e  vivo  per  essere 
adatto  2ì-  u. 

35.5.  calca;  calpesta,  deprime  col  suo 
valore.  È  significato  affine  a  quel  di  Dante, 
Jnf.  19,  105:  «calcando  i  buoni  e  sollevando 
i  pravi  ». 

36.  3.  vettura;  la  mercede  per  avere  ado- 
praio  il  cavallo  suo;  e  questa  mercede  (la 
taglia)  sarà  stabilita  a  suo  arbitrio.  La  dice 
taglia,  perché  sarebbe  come  il  prezzo,  che 
Rod.  pagherebbe  per  uscire  libero  dalle 
mani  di  Ruggero. 

—  4.  Converràmi;  converrammi.  Cosi  Dante 
ha  rifèmi,  clièmi,  per  rifemmi,  diemmu 
É  noto  che  nel  linguaggio  comune,  quando 
alle  forme  verbali  ossitone  si  aggiunge  una 
particella  pronominale,  si  raddoppia  la  con- 
sonante di  essa.  —  albitrio,  per  arbitrio  è 
forma  non  rara  negli  antichi;  come  scal- 
pello per  -scarpello. 

37.  1-2.  «  Questi  due  versi,  dice  il  severo 


Che  non  lo  lascia  il  fulmine  maggiore. 
Cosi  dicendo,  avea  tornate  in  testa 
Le  redine  dorate  al  corridore: 
Sopra  gli  salta;  e  lacrimosa  e  mesta 
Rimane  Ippalca,  e  spinta  dal  dolore 
Minaccia  Rodomonte,  e  gli  dice  onta: 
Non  l'ascolta  egli,  e  su  pel  poggio  monta. 
38 

Per  quella  via  dove  lo  guida  il  Nano 
Per  trovar  Mandricardo  e  Doralice, 
Gli  vien  Ippalca  dietro  di  lontano, 
E  lo  bestemmia  sempre  e  maledice. 
Ciò  che  di  questo  avvenne,  altrove  è  piano. 
Turpin,  che  tutta  questa  istoria  dice. 
Fa  qui  digresso,  e  torna  in  quel  paese 
Dove  fu  dianzi  morto  il  Maganzese. 
39 

Dato  avea  a  pena  a  quel  loco  le  spalle 
La  figliuola  d'Amon,  ch'in  fretta  già, 
Che  v'arrivò  Zerbin  per  altro  calle 
Con  la  fallace  vecchia  in  compagnia  : 
E  giacer  vide  il  corpo  ne  la  valle 
Del  cavallier,  che  non  sa  già  chi  sia  ; 
Ma,  come  quel  ch'era  cortese  e  pio, 
Ebbe  pietà  del  caso  acerbo  e  rio. 
40 

Giaceva  Pinabello  in  terra  spento, 
Versando  il  sangue  per  tante  ferite. 
Ch'esser  dovean  assai,  se  più  di  cento 
Spade  in  sua  morte  si  fossero  unite. 
Il  cavallier  di  Scozia  non  fu  lento 
Per  l'orme  che  di  fresco  eran  scolpite 
A  porsi  in  avventura,  se  potea 
Saper  chi  roniicidio  fatto  avea. 
41 

Et  a  Gabrina  dice  che  l'aspette; 
Che  senza  indugio  a  lei  farà  ritorno. 
Ella  presso  al  cadavere  si  mette, 
E  fissamente  vi  pon  gli  occhi  intorno; 
Perché,  se  cosa  v'ha  che  le  dilette. 
Non  vuol  eh' un  morto  in  vanpiù  ne  sia 

[adorno, 


Nisiely,  vagliono  tante  pietre  preziose  finissi- 
me quante  parole  contengono».  Prog.  ni,  76. 

—  3.  tornate  in  testa;  rimesse  sulla  te- 
sta. Siccome  era  portato  a  mano,  le  redini 
eran  giù  dalla  testa.  Sulla  forma  redine  v. 
e.  IX,  84,  1. 

38.  6.  Tnrpin.  Turpino,  s' intende,  non  di- 
ce nulla  di  ciò.  V.  e.  xiii,  40,  n.  2. 

—  8.  Dove  ecc.  V.  e.  xxii,  97. 

40.  3.  esser  dovean  assai;  che  sarebbero 
parse  troppe,  se  ecc.  Dante,  Inf.  32,  90: 
«  si  che  se  fossi  vivo  troppo  fora  ». 

—  7.  porsi  in  avventura;  mettersi  alla 
prova,  al  cimento;  me  vi  è  di  più  l'idea  di 
cammino  o  viaggio  intrapreso.  Boccaccio, 
Dee.  nov.  7  :  «  Si  mise  in  avventura  di  vo- 
lerlo seguire».  Cosi  nel  e.  xxvi,  71.  —  se; 
per  vedere  se.  V.  e.  xix,  87,  n.  6. 


CANTO  XXIII 


501 


Come  colei  che  fu,  tra  l'altre  note, 
Quanto  avara  esser  più  feraina  puote. 

42 
Se  di  portarne  il  furto  ascosamente 
Avesse  avuto  modo  o  alcuna  speme, 
La  sopravesta  fatta  riccamente 
Gli  avrebbe  tolta,  e  le  bell'arme  insieme. 
Ma  quel  che  può  celarsi  agevolmente, 
Si  piglia,  e  '1  resto  fin  al  cor  le  preme. 
Fra  l'altre  spoglie  un  bel  cinto  levonne, 
E  se  ne  legò  i  fianchi  infra  due  gonne. 

43 
Poco  dopo  arrivò  Zerbin  ch'avea 
Seguito  in  van  di  Bradamante  i  passi. 
Perché  trovò  il  sentier  che  si  torcea 
In  molti  rami  eh'  ivano  alti  e  bassi: 
E  poco  omai  del  giorno  rimanea, 
Né  volea  al  buio  star  fra  quelli  sassi; 
E  per  trovare  albergo  die  le  spalle 
Con  l'empia  vecchia  alla  funesta  valle. 

44 
Quindi  presso  a  dna  miglia  ritrovaro 
Un  gran  caste!  che  fu  detto  Altariva, 
Dove  per  star  la  notte  si  ferniaro, 
Che  già  a  gran  volo  inverso  il  ciel  saliva. 
Non  vi  stér  molto,  ch'un  lamento  amaro 
L'orecchie  d'ogni  parte  lor  feriva; 
E  veggon  lacrimar  da  tutti  gli  occhi, 
Come  la  cosa  a  tutto  il  popol  tocchi. 

45 
Zerbino  dimandonne,  e  gli  fu  detto 
Che  venut'era  al  cout'Anselmo  avviso, 
Che  fra  duo  monti  in  un  sentiero  istretto 
Giacca  il  suo  figlio  Pinabello  ucciso. 
Zerbin,  per  non  ne  dar  di  sé  sospetto, 
Di  ciò  si  finge  novo,  e  abbassa  il  viso. 
Ma  pensa  ben,  che  senza  dubbio  sia 
Quel  ch'egli  trovò  morto  in  su  la  via. 

46 
Dopo  non  molto  la  bara  funebre 
Giunse,  a  splendor  di  torchi  e  di  facelle. 
Là  dove  fece  le  strida  più  crebre 
Con  un  batter  di  man  gire  alle  stelle, 
E  con  più  vena  fuor  de  le  palpebre 


41.7.  note;  cattive  qualità,  peccati.  Dan- 
te, Purg.  11,  34:  «Ben  si  dee  loro  aitar 
lavar  le  note  ». 

—  8.  Costruisci  :  che  fu  avara  quanto 
più  puote  esser  femina. 

48.6.  le  preme.  V.  e.  XI,.  14,  n.  4. 

—  8.  Infra  dne  g. ;  cioè:  sotto  la  prima 
gonna,  perché  non  si  vedesse. 

44. 8.  a  tutto  il  p.  È  il  popolo,  che  abi- 
■,tava  nella  borgata  annessa  al  castello  (e. 
II,  41,  n.  7).  Zerbino  avea  preso  alloggio  in 
essa,  non  nell'  abitazione  del  signore,  come 
comunemente  avveniva. 

46.  3.  crebre  ;  spesse.  Latinismo  usato  già 
da  Dante,  Par.  19,  69. 


Le  lacrime  inondar  per  le  mascelle: 
Ma  più  de  l'altre  nubilose  et  atre 
Era  la  faccia  del  misero  patre. 
47 

Mentre  apparecchio  si  facea  solenne 
Di  grandi  essequie  e  di  funebri  pompe, 
.Secondo  il  modo  et  ordine  che  tenne 
L'usanza  antiqua  e  ch'ogni  età  corrompe; 
Da  parte  del  Signore  un  bando  venne, 
Che  tosto  il  popular  strepito  rompe, 
E  promette  gran  premio  a  chi  dia  avviso 
Chi  stato  sia  che  gli  abbia  il  figlio  ucciso. 
48 

Di  voce  in  voce,  e  d'una  in  altra  orecchia 
Il  grido  e  '1  bando  per  la  terra  scorse. 
Fin  che  l'udi  la  scelerata  vecchia 
Che  di  rabbia  avanzò  le  tigri  e  l'orse  ; 
E  quindi  alla  ruina  s'apparecchia 
Di  Zerbino,  o  per  l'odio  che  gli  ha  forse, 
O  per  vantarsi  pur,  che  sola  priva 
D'umanitade  in  uman  corpo  viva; 
49 

O  fosse  pur  per  guadagnarsi  il  premio: 
A  ritrovar  n'andò  quel  Signor  mesto; 
E  dopo  un  verisimil  suo  proemio. 
Gli  disse  che  Zerbin  fatto  avea  questo  : 
E  quel  bel  cinto  si  levò  di  gremio. 
Che  '1  miser  padre  a  riconoscer  presto, 
Appresso  il  testimonio  e  tristo  uffizio 
De  l'empia  vecchia,  ebbe  per  chiaro  indi- 

[zio. 


—  6.  inondar;  scorrere  in  copia.  Per  que- 
sto siguific.  si  cita  soltauto  l'A. 

—  7.  nabilose...  atre:  regolarm. dovrebbe 
dire  nubilosa  et  atra.  Abbiamo  qui  il  fe- 
nomeno di  attrazione,  che  abbiamo  notato 
altrove  (xi,  27,  6;  xxxvir,  113). 

47.  2.  essequie.  È  forma  più  vicina  al  la- 
tino exequiae,  come  talvolta  si  ha  essemiJlo 
da  exempluin. 

—  3.  il  modo  et  ord.  L'A.  spesso,  imitan- 
do gli  antichi,  di  due  voci  dello  stesso  pe- 
riodo all'  una  dà  V  articolo  all'  altra  Io  to- 
glie. Petr.  son.  ii,  S2  :  «  Poi  e'  hai  costumi 
variati  e  '1  pelo  ». 

—  4.  ogni  età  corrompe  ;  Il  concetto  è  :  il 
tempo  corrompe  le  antiche  usanze.  Qui  dun- 
que età  vale,  in  generale,  tempo  che  passa. 
Cosi  il  Sannazzaro,  Arcad.  39  :  disse  l' età 
divoratrice. 

48.  6.  forse.  È  un  dubbio  dello  scrittore  : 
Forse  per  l'odio  che  gli  porta  o  pure  (e.  vi, 
4,  n.  7)  per  vantarsi  ecc. 

—  7.  che  sola  priva  ecc.  ;  che  ella  sia,  di 
essere  la  sola  creatura  umana  senza  pietà. 

49.  5.  di  gremio;  dal  grembo,  dai  fianchi 
(lat.  gremium).  È  latinismo  rarissimo.  Nota 
poi  il  significato  nuovo  che  l'A.  dà,  per 
estensione,  a  questa  parola. 

—  6.  riconoscer  ;  riconoscerlo. 


ORLAiroO  FURIOSO 


50 

E  lacrimando  al  elei  leva  le  mani, 
Che  '1  figliuol  non  sarà  senza  vendetta. 
Fa  circundar  l'albergo  ai  terrazzani: 
Che  tutto  '1  popol  s' è  levato  in  fretta. 
Zerbin  che  gli  nimici  aver  lontani 
Si  crede,  e  questa  ingiuria  non  aspetta, 
Dal  conte  Anselmo,  che  si  chiama  offeso 
Tanto  da  lui,  nel  primo  sonno  è  preso  : 
51 

E  quella  notte  in  tenebrosa  parte 
Incatenato,  e  in  gravi  ceppi  messo. 
Il  sole  ancor  non  ha  le  luci  sparte, 
Che  l'ingiusto  supplicio  è  già  commesso: 
Che  nel  loco  medesimo  si  squarte. 
Dove  fu  il  mal  e'  hanno  imputato  ad  esso. 
Altra  esamina  in  ciò  non  si  facea: 
Bastava  che  '1  Signor  cosi  credea. 
52 

Poi  che  l'altro  matin  la  bella  Aurora 
L'aer  seren  fé'  bianco  e  rosso  e  giallo. 
Tutto  '1  popol  gridando:  Mora,  mora, 
Vien  per  punir  Zerbin  del  non  suo  fallo. 
Lo  sciocco  vulgo  l'accompagna  fuora, 
Senz'ordine,  chi  a  piede  e  chi  a  cavallo; 
E  '1  cavallier  di  Scozia  a  capo  chino 
Ne  vien  legato  in  su  'n  piccol  ronzino. 
53 

Ma  Dio,  che  spesso  gl'innocenti  aiuta. 
Né  lascia  mai  eh'  in  sua  bontà  si  fida; 
Tal  difesa  gli  avea  già  proveduta. 
Che  non  v'è  dubbio  più  ch'oggi  s'uccida. 
Quivi  Orlando  arrivò,  la  cui  venuta 
Alla  via  del  suo  scampo  gli  fu  guida. 
Orlando  giù  nel  pian  vide  la  gente 
Che  traea  a  morte  il  cavallier  dolente. 
54 

Era  con  lui  quella  fanciulla,  quella 


50.  1.  leva  le  mani,  che  ;  brachilogia,  nella 
quale  bisogna  sottintendere  giurando  che. 
Cosi  nel  e.  xvi,  32,  5,  si  sottintende  ringra- 
ziando. 

51.  2.  ceppi  ;  erano  due  arnesi  di  legno 
per  stringere  i  piedi.  Le  catene  legavano 
le  mani. 

—  3.  le  luci  sparte;  il  plur.  per  il  sing. 
luce,  lume,  con  riguardo  ai  raggi,  che  sono 
le  luci  del  sole. 

—  4.  commesso  ;  ordinato. 

52.  1.  l'altro;  il  vegnente.  Significato  no- 
tevole di  altro,  che  veramente  indicherebbe 
che  vien  dopo  un  'mattino  che  lo  prece- 
de; invece  qui  è  mattino  che  succede  alla 
notte.  Cosi  il  Pulci,  Morg.  7,  37  :  «  Né  pri- 
ma in  oriente  appare  il  sole  L'altra  mattina, 
eh'  e'  si  leva  soso  ». 

53. 2.  eh'  in  sna  ecc.  Il  chi  apostrofato 
vedilo  anche  sopra  nella  st.  10,  8. 

—  4.  dnhbio  ;  pericolo.  V.  e.  xxi,  42. 
54.1.  quella...  quella:  qui   si  imita  l'an- 


Che  ritrovò  ne  la  selvaggia  grotta. 
Del  Re  Galego  la  figlia  Issabella, 
In  poter  già  de'  malandrin  condotta. 
Poi  che  lasciato  avea  ne  la  procella 
Del  truculento  mar  la  nave  rotta: 
Quella  che  più  vicino  al  core  avea 
Questo  Zerbin,  che  l'alma  onde  vivea. 
55 

Orlando  se  l'avea  fatta  compagna, 
Poi  che  de  la  caverna  la  riscosse. 
Quando  costei  li  vide  alla  campagna, 
iJomandò  Orlando,  chi  la  turba  fosse. 
Non  so,  diss'egli:  e  poi  su  la  montagna 
LascioUa,  e  verso  il  pian  ratto  si  mosse  : 
Guardò  Zerbino,  et  alla  vista  prima 
Lo  giudicò  baron  di  molta  stima. 
56 

E  fattosegli  appresso,  domandollo 
Per  che  cagione  e  dove  il  menin  preso. 
Levò  il  dolente  cavalliero  il  collo, 
E  meglio  avendo  il  Paladiuo  inteso. 
Rispose  il  vero;  e  cosi  ben  narroUo, 
Che  meritò  dal  Conte  esser  difeso. 
Bene  avea  il  Conte  alle  parole  scorto 
Ch'era  innocente,  e  che  moriva  a  torto. 
57 

E  poi  che  'ntese  che  commesso  questo 
Era  dal  conte  Anselmo  d'Altariva, 
Fu  certo  ch'era  torto  manifesto; 
Ch'altro  da  quel  fellon  mai  non  deriva. 
Et  oltre  a  ciò,  l'uno  era  all'altro  infesto 
Per  l'antiquissimo  odio  che  bolliva 
Tra  il  sangue  di  Maganza  e  di  Chiarmonte  ; 
E  tra  lor  eran  morti  e  danni  et  onte. 
58 

Slegate  il  cavallier,  gridò,  canaglia, 
Il  Conte,  a' masnadieri,  o  ch'io  v'uccido. 
Chi  è  costui  che  si  gran  colpi  taglia? 


damento  dei  racconti  popolari.  Il  primo 
quella  si  deve  leggere  come  se  dopo  ci  fos- 
sero puntolini  di  reticenza  e  richiama  va- 
gamente il  racconto  del  e.  xiii;  il  secondo 
lo  richiama  più  determinatamente,  quasi 
supponendo  che  i  lettori  non  si  ricordino 
quei  fatti. 

—  6.  truculento;  minaccioso.  È  epiteto 
Catulliano;  truculentuìn  aequor;  trucu- 
lenta pelagi. 

55.  2.  la  riscosse;  la  liberò.  I  vocabol. 
non  citano  questo  significato,  o  lo  citano 
assai  confusamente. 

58.  1-2.  Nota  le  inversioni  di  questi  due 
versi:  di  tali  contorsioni  abbiamo  parecchi 
esempi  nel  Furioso. 

—  3.  SI  gran  colpi  taglia  ;  fa  COSÌ  lo  spac- 
camonti  ?  Si  cita,  per  questo  modo,  il  solo 
luogo  dell'  A.  Ma  è  modo  ispirato  dal  v'uc- 
cido di  Orlando,  quasi  dica  :  chi  è  che  tira 
tali  colpi  da  uccidere  cosi  facilmente? 


CANTO  xxni 


303 


Rispose  un  che  parer  volle  il  più  fido: 
Se  (li  cera  noi  fussirao  o  di  paglia, 
E  di  fuoco  egli,  assai  fora  quel  grido. 
E  venne  contra  il  Paladin  di  Francia: 
Orlando  contra  lui  chinò  la  lancia. 
59 

La  lucente  armatura  il  Maganzese, 
Che  levata  la  notte  avea  a  Zerbino, 
E  postasela  in  dosso,  non  difese 
Contro  l'aspro  incontrar  del  Paladino. 
Sopra  la  destra  guancia  il  ferro  prese: 
L'elmo  non  passò  già,  per  ch'era  fino  ; 
Ma  tanto  fu  de  la  percossa  il  crollo, 
Che  la  vita  gli  tolse,  e  roppe  il  collo. 
60 

Tutto  in  un  corso,  senza  tòr  di  resta 
Lalancia,  passò  un  altro  in  mezzo '1  petto: 
Quivi  lasciolla,  e  la  mano  ebbe  presta 
A.  Durindana;  e  nel  drappel  pili  stretto 
A  chi  fece  due  parti  de  la  testa, 
A  chi  levò  dal  busto  il  capo  netto; 
Forò  la  gola  a  molti;  e  in  un  momento 
N'uccise  e  messe  in  rotta  più  di  cento. 
61 

Più  del  terzo  n'ha  morto,  e '1  resto  caccia 
E  taglia  e  fende  e  fiere  e  fora  e  tronca. 
Chi  lo  scudo,  e  chi  l'elmo  che  lo  'mpaccia, 
E  chi  lascia  lo  spiedo  e  chi  la  ronca:  [eia 
Chi  al  lungo,  chi  al  traverso  il  camin  spac- 
Altri  s'appiatta  in  bosco,  altri  in  spelonca. 
Orlando,  di  pietà  questo  di  privo, 
A  suo  poter,  non  vuol  lasciarne  un  vivo. 
62 

Di  cento  venti  (che  Turpin  sottrasse 
Il  conto),  ottanta  ne  perirò  al  meno. 


—  4.  il  pili  fido.  Fido  al  suo  signore;  o 
anche  fidente  in  sé.  Boccacc,  Filoc.  2,  33G: 
«  Fidi  (fidenti)  che  altro  che  il  nostro  onore 
non  sosterresti  ». 

—  6.  assai  fora;  anche  in  tal  caso  sa- 
rebbe esagerato  un  tal  grido.  V.  sf.  40,  3. 

59.  5.  prese;  colpi,  colse.  E  comune  anche 
nell'uso  pur  col   compi,  ogg.  lo  prese. 

—  7.  crollo;  Alcuni:  la  forza  d.  percoss. 
Meglio:  tanto  fu,  per  la  p.,  il  crollo,  che  ecc. 

60.  1.  in  un  corso  ;  in  una  corsa.  Corso 
presso  gli  antichi  è  frequente  quanto,  e  forse 
più  che  eorsa. 

61.  1-2.  caccia,  insegue;  taglia  fa  a  pezzi 
con  taglio  netto;  tro>ica,  fa  a  pezzi  mala- 
cerando;  fende,  ferisce  con  larghe  e  pro- 
fonde ferite  ;  fiere,  con  ferite  più  superfi- 
ciali. 

—  4.  spiedo...  ronca.  V.  e.  XIII,  32. 

—  5.  spaccia;  affretta.  Non  è  registrato 
in  questo  senso  dai  vocabolari. 

62.  1.  Sottrasse  il  e.  ;  fece  il  conto,  fece 
la  sottrazione.  É  il  subducere  rationem 
dei  Latini.  I  vocabolari  non  citano  questo 
costrutto. 


Orlando  finalmente  si  ritrasse 
Dove  a  Zerbin  tremava  il  cor  nel  seno. 
S'al  ritornar  d'Orlando  s'allegrasse 
Non  si  potria  contare  in  versi  a  pieno. 
Se  gli  saria  per  onorar  prostrato; 
Ma  si  trovò  sopra  il  ronzin  legato. 

63 
Mentre  ch'Orlando,  poi  che  lo  disciolse, 
L'aiutava  a  ripor  l'arme  sue  intorno. 
Ch'ai  capitan  de  la  sbirraglia  tolse, 
Che  per  suo  mal  se  n'era  fatto  adorno; 
Zerbino  gli  occhi  ad  Issabella  volse, 
Che  sopra  il  colle  avea  fatto  soggiorno, 
E  poi  che  de  la  pugna  vide  il  fine, 
Portò  le  sue  bellezze  più  vicine. 

64 
Quando  apparir  Zerbin  si  vide  appresso 
La  donna  che  da  lui  fu  amata  tanto, 
La  bella  donna  che  per  falso  messo 
Credea  sommersa,  e  n'ha  più  volte  pianto  ; 
Com'un  ghiaccio  nel  petto  gli  sia  messo. 
Sente  dentro  aggelarsi,  e  triemaalquanto  ; 
Ma  tosto  il  freddo  manca,  et  in  quel  loco 
Tutto  s'avvampa  d'amoroso  foco. 

65 
Di  non  tosto  abbracciarla  lo  ritiene 
La  riverenza  del  Signor  d'Anglante; 
Perché  si  pensa,  e  senza  dubbio  tiene 
Ch'Orlando  sia  de  la  donzella  amante. 
Cosi  cadendo  va  di  pene  in  pene, 
E  poco  dura  il  gaudio  ch'ebbe  inante: 
Il  vederla  d'altrui  peggio  sopporta. 
Che  non  fé' quando  udi  ch'ella  era  morta. 

66 
E  molto  più  gli  duol  che  sia  in  podestà 
Del  cavalliero  a  cui  cotanto  debbe; 
Perché  volerla  a  lui  levar  né  onesta 
Né  forse  impresa  facile  sarebbe. 
Nessuno  altro  da  sé  lassar  con  questa 


—  4.  tremava  ecc.  il  poeta  rimpiccolisce 
l'animo  di  Zerbino  per  far  risaltare  la  fi- 
gura di  Orlando. 

—  7.  onorar;  sott.  lo.  V.  C.  I,  21,  n.  7. 

63.  4.  per  suo  mal  ;  perché  queste  gli  det- 
tero animo  d' andare  contro  Orlando. 

64.  3.  messo  ;  la  notizia  che  ne  avrà  fatto 
correre  Odorico  di  Biscaglia.  V.  e.  xiii,  29. 
Qui  r  A.  non  tien  conto  della  notizia  data 
a  Zerbino  da  Gabrina  (e.  xx,  137-142),  per- 
ché, sebbene  nel  momento  gli  faccia  forte 
impressione,  gli  sembra  poi  cosi  strana  che 
non  la  crede  né  possibile  né  vera. 

—  7.  In  quel  loco  ;  alcuni  lo  riferiscono 
a  dentro  ;  altri,  meglio  intendono  :  in  quella 
vece. 

65.  3.  tiene  ;  pensa,  ritiene.  È  comune 
nella  letteratura  e  nell'  uso. 

66.  1.  podestà;  potestà;  è  già  in  Dante, 
Inf.  6,  95. 


304 


ORLANDO  FURIOSO 


Preda  partir  senza  ronior  vorrebbe  : 
Ma  verso  il  Conte  il  suo  debito  chiede 
Che  se  lo  lasci  por  sul  collo  il  piede. 
67 

Giunsero  taciturni  ad  una  fonte. 
Dove  smontare,  e  fér  qualche  dimora. 
Trassesi  l'elmo  il  travagliato  Conte, 
Et  a  Zerbin  lo  fece  trarre  ancora. 
Vede  la  donna  il  suo  amatore  in  fronte, 
E  di  subito  gaudio  si  scolora; 
Poi  torna  come  fiore  umido  suole 
Dopo  gran  pioggia  all'apparir  del  sole: 
68 

E  senza  indugio  e  senza  altro  rispetto, 
Corre  al  suo  caro  amante,  e  il  collo  abbrac- 
E  non  può  trar  parola  fuor  del  petto,  [eia; 
Ma  di  lacrime  il  sen  bagna  e  la  faccia. 
Orlando  attento  all'amoroso  affetto. 
Senza  che  più  chiarezza  se  gli  faccia, 
Vide  a  tutti  gl'indizii  manifesto        [sto. 
Ch'altri  esser,  che  Zerbin,  non  potea  que- 
69 

Come  la  voce  aver  potè  Issabella, 
Non  bene  asciutta  ancor  l'umida  guancia, 
Sol  de  la  molta  cortesia  favella, 
Che  l'avea  usata  il  Paladin  di  Francia. 
Zerbino,  che  tenea  questa  donzella 
Con  la  sua  vita  pare  a  una  bilancia, 
Si  getta  a'  pie  del  Conte,  e  quello  adora 
Come  a  chi  gli  ha  due  vite  date  a  un'  ora. 


—  6.  romor;  resistenza  e  rivolta.  Si  usa 
comunemente  per  rivolta  di  più  persone  ; 
ma,  detto  di  una  persona  sola,  è  notevole 
e  non  è  citato  dai  vocabolari. 

—  7.  Costruisci  :  Ma  il  suo  debito  verso 
il  Conte  richiede  ecc. 

—  8.  lo;  lo  lasci,  lasci  Orlando  porre  a 
sé  (a  lui  Zerbino)  il  piede  sul  collo.  Puoi  an- 
che intenderlo  come  complemento  anticipa- 
to e  riferentesi  a  piede;  il  che  è  pure  se- 
condo lo  stile  dell' A.  cfr.  e.  xxiv,  83,  5. 

67.  1.  ad  una  fonte.  Nel  canto  xiv,  61,  ha 
detto  invece  che  era  un  bel  fiume.  È  un 
piccolo  peccato  di  memoria.  La  difesa  del 
Ruscelli  non  è  che  una  sottigUezza,  che  non 
vai  la  pena  di  riferire. 

68.  1.  altro  ecc.  ;  altra  considerazione, 
che  potesse  trattenerla. 

—  2.  abbraccia.  Sottint.  gli.  V.  e.  I,  21, 
n.  7. 

—  6.  p.  chiarezza,  altra  prova.  Boccaccio, 
Ameto  96  :  «  far  del  suo  alto  valore  chia- 
rezza vera  al  mondo  »  ;  e  Xinf.  7,  58:  «  co- 
me molti  libri  fan  chiarezza,  (dan  prova)  ». 
Per  il  siguific.  di  più  cfr.  e.  xvii,  25,  n.  4. 

—  8.  questo,  questi.  Petr.,  Tr.  F.  13  : 
«  Questo  (Omero)  cantò  gli  errori  e  le  fati- 
che »  ma  nel  sogg.  questo  per  questi  è  as- 
sai raro  negli  scrittori. 

69.4.  l'avea;  le  avea.  V.  e.  vn,  35,  n.  8. 


70 

Molti  ringraziamenti  e  molte  offerte 
Erano  per  seguir  tra  i  cavallierl, 
Se  non  udiau  sonar  le  vie  coperte 
Dagli  arbori  di  frondi  oscuri  e  neri. 
Presti  alle  teste  lor,  ch'eran  scoperte, 
Posero  gli  elmi,  e  presero  i  destrieri: 
Et  ecco  un  cavalliero  e  una  donzella 
Lor  sopravien,  ch'a  pena  erano  in  sella. 
71 

Era  questo  guerrier  quel  Mandricardo 
Che  dietro  Orlando  in  fretta  si  condusse 
Per  vendicar  Alzirdo  e  Manilardo, 
Che  '1  Paladin  con  gran  valor  percusse  : 
Quantunque  poi  lo  seguitò  più  tardo; 
Che  Doralice  in  suo  poter  ridusse, 
La  quale  avea  con  un  troncon  di  cerro 
Tolta  a  cento  guerrier  carchi  di  ferro. 
72 

Non  sapea  il  Saracin  però  che  questo, 
Ch'egli  seguia,  fosse  il  Signor  d' Anglantc  : 
Ben  n'avea  indizio  e  segno  manifesto 
Ch'esser  dovea  gran  cavalliero  errante. 
A  lui  mirò  più  ch'a  Zerbino,  e  presto 
Gli  andò  con  gli  occhi  dal  capo  alle  piante; 
E  i  dati  contrassegni  ritrovando. 
Disse  :  Tu  se'  colui  ch'io  vo  cercando. 
73 

Sono  ornai  dieci  giorni,  gli  soggiunse, 
Che  di  cercar  non  lascio  i  tuo'  vestigi: 
Tanto  la  fama  stimolommi  e  punse, 
Che  di  te  venne  al  campo  di  Parigi, 
Quando  a  fatica  un  vivo  sol  vi  giunse 
Di  mille  che  mandasti  ai  regni  Stigi; 
fj  la  strage  contò,  che  da  te  venne 
Sopra  i  Norizii  e  quei  di  Tremisenne. 
74 

Non  fui,  come  lo  seppi,  a  seguir  lento, 
E  per  vederti,  e  per  provarti  appresso: 
E  perché  m'informai  del  guernimento 


70.  4.  di  frondi  ;  alberi  oscuri  e  neri  per 
le  molte  fronde.  V.  e.  xii,  72,  n.  4.  Male  il 
Bolza  lo  accorda  con  oscuri  e  neri,  che  si 
riferiscono  ad  alberi. 

—  8.  elle  ;  quando.  Bocc.  Nov.  77  :  «  Lo 
scolare  fu  poco  nella  corte  dimorato  che 
egli  cominciò  a  sentir  più  freddo  ».  Ed  è 
vivo  ancora  nell'  uso. 

71.  1.  Vedi  il  racconto  al  e.  xiv,  32. 

72.  2.  Mandricardo  conobbe  che  questo 
guerriero  era  colui  che  avea  ucciso  Alzirdo 
e  Manilardo  ;  ma  non  sapeva  che  fosse  Or- 
lando. 

73.  5.  Quando  ;  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 

74.  1.  segruir;  è  usato  cosi  assolutam.  an- 
che al  e.  II,  24;  xtx,  4,  e  vale  mettersi  ite 
carn'inino  per  tener  dietro  a  uno. 

—  2.  appresso  ;  o  dopo,  O  da  vicino. 

—  i.  guernimento;    cioè   della   impresa, 


CANTO  XXIII 


305 


C'hai  sopra  l'arme,  io  so  che  tu  sei  desso 
E  se  non  l'avessi  anco,  e  che  fra  cento 
Per  celarti  da  me  ti  fossi  messo, 
11  tuo  fiero  sembiante  mi  faria 
Chiaramente  veder  ohe  tu  quel  sia. 
75 

Non  si  può  (gli  rispose  Orlando)  dire 
Che  cavallier  non  sii  d'alto  valore; 
Però  che  si  magnanimo  desire 
Non  mi  credo  albergasse  in  umil  core. 
Se  '1  volermi  veder  ti  fa  venire, 
Vo'  che  mi  veggi  dentro,  come  fuore: 
Mi  leverò  questo  elmo  da  le  tempie, 
Acciò  eh' a  punto  il  tuo  desire  adempie. 
7G 

Ma  poi  che  ben  m'avrai  veduto  in  faccia, 
All'altro  desiderio  ancora  attendi: 
Resta  ch'alia  cagion  tu  satisfaccia, 
Che  fa  che  dietro  questa  via  mi  prendi; 
Che  veggi  se  '1  valor  mio  ai  confaccia 
A  quel  sembiante  fier  che  si  commendi. 
Or  su  (disse  il  Pagano)  al  rimanente; 
Ch'ai  primo  ho  satisfatto  interamente. 
77 

Il  Conte  tuttavia  dal  capo  al  piede 
Va  cercando  il  Pagan  tutto  con  gli  occhi: 
Mira  ambi  i  fianchi,  indi  l'arcion;  né  vede 
Pender  né  qua  né  là  mazze  né  stocchi. 
Gli  domanda  di  ch'arme  si  provede, 
S'avvien  che  con  la  lancia  in  fallo  tocchi. 
Rispose  quel:  Non  ne  pigliar  tu  cura; 
Cosi  a  molt' altri  ho  ancor  fatto  paura. 


che  era  ricamata  sulla  cotta  d'arme  o  so- 
pravveste. 

—  5.  se...  e  che.  V.  e.  iv,  60,  n.  5. 

—  8.  sia.  Il  cong.  indica  la  cosa  non  co» 
me  un  fatto,  ma  come  un  pensiero  di  M. 

75.  4.  Non  mi  credo  e.  albergasse.  Si  può  in- 
tendere :  xon  credo  che  albergheràbbe,  co- 
me avesse  per  avrebbe  nel  canto  xi,  TO,  4; 
e  trovassi  per  troveresti  xv,  101,  8;  ma 
qui  piuttosto  che  il  condizionale  é  preferi- 
bile il  vero  congiuntivo  ;  l'intenderai;  7wn 
credo  che  albergasse  mai,  che  sia  •■mai  al- 
bergato in  un  cuore  vile. 

—  8.  a  punto  ;  interamente  in  ogni  sua 
parte;  cosi  anche  nel  e.  xxiv,  20.  Questo  si- 
gnificato, che  qui  sembra  il  vero,  non  è  ci- 
tato chiaramente  dai  vocabolari.  Comune- 
mente si  dice  appuntino.  —  adempie,  tu  i 
adempia.  È  seconda  persona  ;  ma  è  forma  i 
rarissima,  pur  nella  poesia.  V.  e.  xxiv,  8, 
n.  1.  Per  il  senso  e  per  la  forma  potrebbe 
essere  anche  1'  persona. 

76.  4.  dietro  ;  lungo.  V.  e.  vili,  35,  n.  2. 
—  mi  prendi;  mi  fermi,  mi  abbordi. 

77.1.  tuttavia;  continuamente.  Mentre  M. 
parla.  Ori.  continua  a  guardarlo;  lo  guarda 
tuttavia. 


78 


Ho  sacramento  di  non  cinger  spada 
Fin  ch'io  non  tolgo  Durindana  al  Conte 
ì!j  cercando  lo  vo  per  ogni  strada, 
Acciò  più  d'una  posta  meco  sconte 
Lo  giurai  (se  d'intenderlo  t'aggrada) 
Quando  mi  posi  quest'elmo  alla  fronte 
li  qua!  con  tutte  l'altr'arrae  ch'io  porto 
tra  d  Ettòr,  che  già  mill'anni  è  morto  ' 
79 
La  spada  sola  manca  alle  buone  arme- 
Come  rubata  fu,  non  ti  so  dire. 
Or  che  la  porti  il  Paladino,  pai-me- 
E  di  qui  vien  ch'egli  ha  si  grande  ardire, 
ben  penso,  se  con  lui  posso  accozzarme 
Fargli  il  mal  tolto  ormai  ristituire. 
Cercolo  ancor,  che  vendicar  disio 
Il  famoso  Agrican  genitor  mio. 
80 
Orlando  a  tradimento  gli  die  morte- 
Ben  so  che  non  potea  farlo  altrimente 
11  Conte  più  non  tacque,  e  gridò  forte- 
E  tu,  e  qualunque  il  dice,  se  ne  mente 
Ma  quel  che  cerchi,  t'è  venuto  in  sorte- 
Io  sono  Orlando,  e  uccisil  giustamente- 
E  questa  è  quella  ^pada  che  tu  cerchi,  ' 
Che  tua  sarà,  se  con  virtù  la  merchi. 
81 
Quantunque  sia  debitamente  mia, 
Tra  noi  per  gentilezza  si  contenda: 
I  Ne  voglio  in  questa  pugna  ch'ella  sia 
j  Più  tua  che  mia;  ma  a  un  arbore  s'appen- 
I  Levala  tu  liberamente  via,  [da. 

j  S'avvien  che  tu  m'uccida  oche  mi  prenda. 


78.  I.  sacramento  ;  giuramento.  V.  e.  xiv 
;  43,  n.  4. 

—  4.  pili  d'una  posta  ecc:  espressione 
presa  dal  giuoco,  che  propriamente  vale  ; 

I  diminuire  più  d' una  di  quelle  somme,  che 
I  si  guadagnano  per  ogni  partita  dal  vinci- 
I  tore;  e  figurat.;  pagare  e  farsi  pagare  il 
I  fio  di  torti,  che  uno  ha  fatto  e  un  altro  ha 
j  ricevuto. 

—  8.  Era  d'Ettor.  V.  e.  XIV,  43.  —  già 
I  mill'a.  ;  già  da  m.  a.  V.  e.  i,  26,  n.  8. 

79,  7.  che;  perché. 

80.4.  se  ne  m.  Formula  comune  nell'an- 
tico linguaggio  cavalleresco,  per  respingere 
le  ingiurie  e  sfidare  il  nemico.  V.  e.  ii,  4 
n.  1. 

—  5.  T.  insorte;  ciò  che  cerchi  ti  è  toc- 
cato in  sorte.  Petrarca,  II,  son.  87:  «Quel 
soave  velo,  Che  per  alto  destin  ti  venne  iu 
sorte  ». 

—  8.  merchi;  acquisti. Petr.  i,  son.  158: 
«  Pur  lacrime  e  sospiri  e  dolor  merco  ». 

81.  4.  a  un  arb.  s' app.  Anche  l'elmo  fu 
attaccato  già  da  Ori.  a  un  albero  quando 
s' incontrò  con  Ferraù  ;  e.  xii,  46.  Confronta 
i  due  episodi. 


Aeiosto  —  Pai 


20 


306 


ORLANDO  FURIOSO 


Cosi  dicendo,  Durindana  prese, 
E  'n  mezzo  il  campo  a  un  arbuscel  l'appese. 
82 

Già  l'un  da  l'altro  è  dipartito  lunge, 
Quanto  sarebbe  un  mezzo  tratto  d'arco: 
Già  l'uno  contra  l'altro  il  destrier  punge, 
Né  de  le  lente  redine  gli  è  parco: 
Già  l'uno  e  l'altro  di  gran  colpo  aggiunge 
Dove  per  l'elmo  la  veduta  ha  varco. 
Parveuo  l'aste,  al  rompersi,  di  gielo; 
E  in  mille  scheggie  andar  volando  al  cielo. 
83  [zi; 

L'una  e  l'altra  asta  è  forza  che  si  spez- 
Ché  non  voglion  piegarsi  i  cavallieri, 
I  cavallier  che  tornano  coi  pezzi 
Che  son  restati  appresso  i  calci  interi. 
Quelli  che  sempre  tur  nel  ferro  avvezzi, 
Or,  come  duo  villan  per  sdegno  fieri 
Nel  partir  acque  o  termini  di  prati, 
Fan  crudel  zufla  di  duo  pali  armati. 
84 

Non  stanno  l'aste  a  quattro  colpi  salde, 
E  mancan  nel  furor  di  quella  pugna. 
Di  qua  e  di  là  si  fan  l'ire  più  calde; 
Né  da  ferir  lor  resta  altro  che  pugna. 
Schiodano  piastre,  e  straccian  maglie  e 

[falde, 


82.  4.  de  le  lente  r.  ecc.,  né  risparmia  di 
allentare  le  redine  per  lasciarlo  libero  nel 
corso. 

—  5.  aggiunge,  giunge,  colpisce.  V.  e.  x, 
104,  7;  e  per  Va  e.  xvi,  2S,  n.  3. 

—  6.  veduta  ;  Negli  anticlii  non  raro  per 
i-istQ.  Dante,  Purg.  2,  25:  «  e  quindi  organa 
poi  Ciascun  sentire  insino  alla  veduta». 
V.  e.  XXII,  68,  4. 

—  7.  Parveno,  parvero.  Tei-minazione  po- 
polare, viva  ancora  nel  volgo  Toscano. 

83.  J.  appr.  i  calci  ;  vicino  ai  calci,  cioè 
dalla  parte  del  calcio,  col  quale  la  lancia 
si  appoggia  alla  resta. 

—  5.  nel  ferro  avv.  ;  Sebbene  più  comune 
il  costrutto  avvezzo  a,  è  frequente  e  vivo 
anche  avvezzo  in. 

—  7.  Nel  partir  ac.  ;  nella  distribuzione 
delle  acque  per  la  irrigazione  artificiale  :  o 
anche  :  nello  stabilire  ai  confini  le  pendenze 
in  modo  che  uno  non  scarichi  nei  possessi 
d'  un  altro  le  acque  del  proprio  fondo.  Pen- 
sando all'irrigaz.  artificiale,  cosi  in  uso  nel 
Modenese,  nel  Reggiano  e  nel  Ferrarese,  è 
più  probabile  la  prima  interpretaz.  La  com- 
paraz.  è  imitata  .da  quella  d'Omero,  II.  12, 
421  :  «  quale  In  poder,  che  comune  abbia  il 
confine  Fan  due  villan  la  pertica  alla  mano 
Del  limite  baruffa...  Cosi  da'  merli  combat- 
tean  costoro  »  (Monti). 

84.  1.  a  quattro  e;  quei  tronconi  di  asta 
non  reggono  neppure  ai  primi  quattro  col- 
pi, ma  subito  si  spezzano. 

—  5.  falde.  Parte  dell'armatura,  fatta  di 


Par  che  la  man,  dove  s'agrafiS,  giugna. 
Non  desideri  alcun,  perché  più  vaglia, 
Martel  più  grave  o  più  dura  tanaglia. 
85 

Come  può  il  Saracin  ritrovar  sesto 
Di  finir  con  suo  onore  il  fiero  invito  ? 
Pazzia  sarebbe  il  perder  tempo  in  questo  ; 
Che  nuoce  al  feritor  più  ch'ai  ferito. 
Andò  alle  strette  l'uno  e  l'altro,  e  presto 
Il  Re  pagano  Orlando  ebbe  ghermito: 
jLo  stringe  al  petto;  e  crede  far  le  prove 
Che  sopra  Anteo  fé'  già  il  figlio!  di  Giove. 
86 

Lo  piglia  con  molto  impeto  a  traverso. 
Quando  lo  spinge,  e  quando  a  sé  lo  tira; 
Et  è  ne  la  gran  colera  si  immerso, 
Ch'ove  resti  la  briglia  poco  mira. 
Sta  in  sé  raccolto  Orlando,  e  ne  va  verso 
Il  suo  vantaggio,  e  alla  vittoria  aspira: 
Gli  pon  la  cauta  man  sopra  le  ciglia 
Del  cavallo,  e  cader  ne  fa  la  briglia. 
87 

Il  Saracino  ogni  poter  vi  mette. 
Che  lo  soffoghi,  o  de  l'arcion  lo  svella. 
Negli  urti  il  Conte  haleginocchiastrette 
Né  in  questa  parte  vuol  piegar  né  inquella. 
Per  quel  tirar  che  fa  il  Pagan,  constrette 
Le  cingie  son  d'abandonar  la  sella. 


lamine  snodate  o  a  scaglia,  che  ricopriva 
le  reni  dell'uomo  d'arme  e  scendeva  sulle 
parti  di  dietro  e  sulle  cosce.  V.  e.  xxx,  62. 

—  7.  alcun.  È  detto  in  generale:  non  vi 
sia  alcuno,  che  desideri,  come  più  forte,  ecc. 

85. 1.  ritroT.  sesto  ;  ritrov,  modo.  È  ma- 
niera non  citata  dai  vocabolari. 

—  2.  invito,  sfida  guerresca.  Pulci,  Morg. 
8;  59  :  «  Che  rifaceva  col  corno  lo  'nvito  ». 

—  4.  Che  nuoce  ecc.  ;  Perché  colpendo 
colle  mani  sulle  armature,  danneggia  più 
chi  colpisce  che  chi  è  colpito.  Il  che  può  es- 
sere anche  relativo  di  questo  :  e  forse  in  tal 
modo  è  da  intendere. 

—  6.  ebbe  gherm.,  ghermì.  V.  e.  iii,  14, 
n.  4. 

—  8.  Ercole,  figlio  di  Giove,  combattendo 
col  gigante  Anteo  e  non  potendo  vincerlo, 
perché  ogni  volta  che  toccava  la  terra,  sua 
madre,  ne  riceveva  nuove  forze,  lo  sollevò 
tra  le  braccia  e  lo  soffocò. 

86.  4,  ove  resti  la  br.  ;  non  guardando  se 
il  cavallo  avvicini  la  testa  ad  Orlando  e  cosi 
dandogli  modo  di  far  quello,  che  fece. 

—  5.  verso  il  8.  vant.  Orlando  sta  stretto 
alla  sella  (in  sé  raccolto)  e  mira  a  prender 
vantaggio  sufi'  avversario. 

87.  2.  Che  ;  affinché.  Boccaccio,  Nov.  12  : 
'  guardava  dintorno  dove  porre  si  potesse 
che  addosso  non  gli  nevicasse  ».  V.  e.  xli, 
78,  6. 

—  6.  cingie.  V.  c.  I,  41,  n.  1. 


CANTO  XXIIl 


307 


Orlando  è  in  terra,  e  a  pena  sei  conosce; 
Ch'  i  piedi  ha  in  staffa,  e  stringe  ancor  le 

88  [cosce. 

Con  quel  rumor  ch'un  sacco  d'arme  cade, 
Risuona  il  Conte,  come  il  campo  tocca. 
Il  destrier  e'  ha  la  testa  in  libertade'. 
Quello  a  chi  tolto  il  freno  era  di  bocca, 
Non  più  mirando  i  boschi  che  le  strade, 
Con  ruinoso  corso  si  trabocca. 
Spinto  di  qua  e  di  là  dal  timor  cieco  ; 
E  Mandricardo  se  ne  porta  seco. 

89 
Doralice  che  vede  la  sua  guida 
Uscir  del  campo,  e  torlesi  d'appresso, 
E  mal  restarne  senza  si  confida,         [so. 
Dietro,  correndo,  il  suo  ronzin  gli  hames- 
II  Pagan  per  orgoglio  al  destrier  grida, 
E  con  mani  e  con  piedi  il  batte  spesso; 
E,  come  non  sia  bestia,  lo  minaccia 
Perché  si  fermi,  e  tuttavia  più  il  caccia. 

90 

La  bestia  ch'era  spaventosa  e  poltra, 

Senza  guardarsi  ai  pie,  corre  a  traverso. 


—  7.  sei  conosce  ;  se  ne  accorge.  La  Cru- 
sca cita  questo  es.  con  altri,  dove  conoscere 
non  è  mai  riflessivo  ;  e  non  rileva,  come 
dovrebbe,  quest'  uso  notevole. 

—  8.  i  piedi,  ecc.  Orlando,  anche  in  ter- 
ra, cavalca  sempre  la  sella,  che  non  è  più 
sul  cavallo,  vi  è  una  punta  di  scherzo. 

88.  4.  a  chi,  a  cui.  V.  e.  ii,  20,  n.  8;  il  ca- 
vallo cioè  di  Mandricardo. 

—  6.  si  trabocca;  si  volge  a  precipizio. 
Nella  forma  riflessiva  è  rarissimo  ;  in  que- 
sto significato  poi  neppur  si  cita  dai  voca- 
bolari. 

89.  3.  mal...  si  conf.  ;  non  si  assicura.  V. 
e.  I,  57,  n.  1.  Confidarsi  per  assicurarsi 
usò  pure  il  Sannazzaro,  Are.  191  :  «  Né  con- 
fidandomi di  tornare  più  indietro  ».  Oggi  si 
dice  comunemente  fidarsi. 

—  5.  per  orgoglio  ;  con  org.  Boccaccio, 
Ninf.  4:1  :  «  parve  che  amore  Per  si  gran 
forza  quell'arco  tirasse  ».  Orgoglio,  qui  vale 
certamente  ira  ;  significato,  che  manca  nei 
vocabolari.  —  al  dest.  grida.  V.  st.  94,  n.  8. 

90.  1.  spaventosa  e  poltra.  Ve  certo  il  ri- 
cordo di  Dante,  Purg.  24,  135:  «Come  fan 
bestie  spaventate  e  poltre  ».  Né  qui  né  in 
Dante  è  ben  chiaro  il  signific.  di  poltra. 
Alcuni  qui  intendono  poledra,  indomita  \ 
altri,  meglio,  paurosa.  Quel  di  Dante  i  più 
l'intendono  tranquille;  ma  si  vede  che  l'A. 
non  la  pensava  cosi,  e  con  ragione,  mi  sem- 
bra. Delle  diverse  etimologie,  che  si  danno 
di  tal  parola,  la  più  persuasiva  è  quella  del 
Ménage  dal  lat.  pullus,  pulHtrus,  timido 
come  un  pulcino.  —  spaventosa,  che  facilm. 
si  spaventa.  Grisone,  Ordini  di  cavale  92: 
•"  Molte  volte  sarà  un  cavai  timido  e  spa- 
ventoso  »;  cosi  pure  altri  scrittori.  ; 


Già  corso  avea  tre  miglia,  e  seguiva  oltra, 
S'un  fosso  a  quel  desir  non  era  avverso; 
Che,  senza  aver  nel  fondo  o  letto  o  coltra, 
Ricevè  l'uno  e  l'altro  in  sé  riverso. 
Die  Mandricardo  interra  aspra  percossa; 
Né  però  si  fiaccò  né  si  roppe  ossa. 
91 

Quivi  si  ferma  il  corridore  al  fine; 
Ma  non  si  può  guidar,  che  non  ha  freno. 
Il  Tartaro  lo  tien  preso  nel  crine, 
E  tutto  è  di  furore  e  d'ira  pieno. 
Pensa,  e  non  sa  quel  che  di  far  destine. 
Pongli  la  briglia  del  mio  palafreno 
(La  donna  gli  dicea);  che  non  è  molto 
11  mio  feroce,  o  sia  col  freno  o  sciolto. 
92 

Al  Saracin  parca  discortesia 
La  proferta  accettar  di  Doralice; 
Ma  fren  gli  farà  aver  per  altra  via 
Fortuna  a'  suoi  disii  molto  fautrice. 
Quivi  Gabrina  scelerata  invia. 
Che,  poi  che  di  Zerbin  fu  traditrice, 
Fuggia,  come  la  lupa  che  lontani 
Oda  venire  i  cacciatori  e  i  cani. 
93 

Ella  avea  ancora  indosso  la  gonnella, 
E  quei  medesmi  giovenili  ornati 
Che  furo  alla  vezzosa  damigella 
Di  Pinabel,  per  lei  vestir,  levati  ; 
Et  aveà  il  palafreno  anco  di  quella, 
Dei  buon  del  mondo,  e  degli  avvantaggiati. 
La  vecchia  sopra  il  Tartaro  trovosse, 
Ch'ancor  non  s'era  accorta  che  vi  fosse. 


—  3.  seguiva  ..  se  non  era;  avrebbe  segui- 
to... se  non  fosse  stato.  V.  e.  v,  40,  n.  8. 

—  5.  coltra.  Forma  antiquata  per  coltre 
o  meglio  coltrice. 

—  8.  fiaccò...  roppe.  Il  primo  è  più  ge- 
nerale del  secondo,  e  si  riferisce  all'  insie- 
me delle  ossa,  mentre  l' altro  accenna  alle 
singole  parti:  non  si  fiaccò  le  ossa  e  non 
se  ne  ruppe  neppur  uno. 

91.  3.  preso  nel  cr.;  preso  pel  cr.  V.  e. 
IV,  43,  1. 

—  5.  destine,  destini,  risolva.  V.  e.  xiii, 
10,  n.  4. 

92.  5.  invia.  11  sogg.  è  la  fortuna. 

93.  6.  degli  avvantaggiati  ;  che  han  van- 
taggio sugli  altri.  Qui  sembra' voglia  dire: 
dei  buoni  del  mondo,  e  dei  migliori  fra  que- 
sti buoni  ;  seppure  non  abbiamo  queir  ac- 
cumulamento di  aggettivi,  di  che  al  e.  vii, 
38,  n.  S.  Boiardo,  Jnn.  I,  ix,  5,  dice,  pur 
d' un  cavallo  :  «  Che  fu  ben  certo  degli  av- 
vantaggiati ». 

—  7.  sopra  il  Tart.  ;  vicina  a  Mandricar- 
do. Sopra  in  questo  senso  è  frequente  e 
vivo. 

—  8.  Che,  quando.  V.  st.  70,  n.  8.  —  che 
vi  fosse,  di  esservi.  V.  e.  i,  38,  n.  6. 


308 


ORLANDO  FURIOSO 


94 

L'abito  giovenil  mosse  la  figlia 
Di  Stordilauo,  e  Mandricardo  a  riso, 
Vedendolo  a  colei  che  rassimiglia 
A  un  babbuino,  a  un  bertuccione  in  viso. 
Disegna  il  Saracin  tòrle  la  briglia 
Pel  suo  destriero,  e  riusci  l'avviso. 
Toltogli  il  morso,  il  palafren  minaccia, 
Gli  grida,  lo  spaventa,  e  in  fuga  il  caccia. 
95 

Quel  fugge  per  la  selva,  e  seco  porta 
La  quasi  morta  vecchia  di  paura 
Per  valli  e  monti,  e  per  via  dritta  e  torta, 
Per  fossi  e  per  pendici  alla  ventura. 
Ma  il  parlar  di  costei  si  non  m'importa, 
Ch'io  non  debba  d'Orlando  aver  più  cura, 
Ch'alia  sua  sella  ciò  ch'era  di  guasto. 
Tutto  ben  racconciò  senza  contrasto. 

Rimontò  sul  destriero,  e  sté  gran  pezzo 
A  riguardar  che  '1  Saracin  tornasse. 
Noi  vedendo  apparir,  volse  da  sezzo 
Egli  esser  quel  ch'a  ritrovarlo  andasse: 
Ma,  come  costumato  e  bene  avvezzo. 
Non  prima  il  Paladin  quindi  si  trasse. 
Che  con  dolce  parlar  grato  e  cortese 
Buona  licenzia  dagli  amanti  prese. 
97 

Zerbin  di  quel  partir  molto  si  dolse: 
Di  tenerezza  ne  piangea  Issabella: 
Voleano  ir  seco,  ma  il  Conte  non  volse 
Lor  compagnia, ben  ch'era  e  buona  e  bella; 
E  con  questa  ragion  se  ne  disciolse: 
Ch'a  guerrier  non  è  infamia  sopra  quella 
Che,  quando  cerchi  un  suo  nimico,  prenda 
Compagno  che  l'aiuti  e  che  '1  difenda. 
^       98 

Li  pregò  poi  che,  quando  il  Saracino, 
Prima  ch'in  lui,  si  riscontrasse  in  loro, 


94.  4.  babbuino  ;  scimmia  cinocefala.  I  La- 
tini avevano  il  proverbio;  Simia  in  pur- 
pura. 

—  8.  Gli  grida;  lo  garrisce.  La  Crusca 
cita  in  questo  senso  c/riflare  addosso,  in 
testa,  in  capo  ad  uno,  e  non,  come  pur 
dovrebbe,  il  solo  gridare  a  uno. 

96.  2.  A  riguardar  che...  tornasse;  ad  aspet- 
tar che  tornasse.  Guardare  e  riguardare 
hanno  ano'  oggi  il  senso  di  aspettare  guar- 
dando. Si  dice  per  es.  :  che  stai  guardan- 
do,  che  ti  caschi  la  manna  dal  cielo?  I  vo- 
cabolari non  citano  questo  significato.  Po- 
trebbe anche  intendersi  il  che  per  se,  come 
forse  altrove  nel  Furioso,  xx,  139,  3;  e  in 
qualche  altro  scrittore.  Pistole  d'Ovio.  199: 
«  Avvegnaché  io  sia  in  dubbio  ch'io  ti  pigli >. 

—  3.  da  sezzo.  V.  e.  xv[,  68,  n.  8. 

—  6-8.  prima...  che...  prese.  V.  e.  v,  26,  n.  7. 

97.  7.  Che...  prenda  ;  di  prendere.  V.  e.  i, 
3»,  lì.  6. 


Gli  dicesser  ch'Orlando  avria  vicino 
Ancor  tre  giorni  per  quel  tenitore: 
Ma  dopo,  che  sarebbe  il  suo  camino 
Verso  le  'nsegne  de  i  bei  Gigli  d'oro. 
Per  esser  con  l'esercito  di  Carlo, 
Acciò,  volendol,  sappia  onde  chiamarlo. 
99 

Quelli  promiser  farlo  volentieri, 
E  questa  e  ogn'altra  cosa  al  suo  comando. 
Feron  carain  diverso  i  cavallieri, 
Di  qua  Zerbino,  e  di  là  il  conte  Orlando, 
Prima  che  pigli  il  Conte  altri  sentieri, 
All'arbor  tolse,  e  a  sé  ripose  il  brando; 
E  dove  meglio  col  Pagan  pensosse 
Di  potersi  incontrare,  il  destrier  mosse. 
100 

Lo  strano  corso  che  tenne  il  cavallo. 
Del  Saracin  pel  bosco  senza  via. 
Fece  ch'Orlando  andò  duo  giorni  in  fallo. 
Né  lo  trovò,  né  potè  averne  spia. 
Giunse  ad  un  rivo  che  parca  cristallo, 
Ne  le  cui  sponde  un  bel  pratel  fìoria, 
Di  nativo  color  vago  e  dipinto, 
E  di  molti  e  belli  arbori  distinto. 
101 

Il  merigge  facea  grato  l'orezzo 
Al  duro  armento  et  al  pastore  ignudo; 
Si  che  né  Orlando  sentia  alcun  ribrezzo. 
Che  la  corazza  avea,  l'elmo  e  lo  scudo. 
Quivi  egli  entrò,  per  riposarvi,  in  mezzo  ; 
E  v'ebbe  travaglioso  albergo  e  crudo, 
E  più,  che  dir  si  possa,  empio  soggiorno, 
Quell'infelice  e  sfortunato  giorno. 
102 

Volgendosi  ivi  intorno,  vide  scritti 
Molti  arbuscelli  in  su  l'ombrosa  riva. 
Tosto  che  fermi  v'ebbe  gli  occhi  e  fìtti, 
Fu  certo  esser  di  man  de  la  sua  Diva. 


98.  6.  Verso  le  ins.  ecc.  V,  e.  I,  46,  n.  8. 
Vuol  dire  ;  verso  la  Francia. 

100.  4.  spia;  indizio.  V.  e.  vii,  M,  n.  8. 

—  7.  nativo  col.  ;  dei  fiori  che  vi  spunta- 
vano naturalmente. 

—  8.  distinto,  ornato  ;  dal  lat.  distinctus 
dello  stesso  signilic. 

101.  1.  orezzo;  rezzo  (dal  lat.  aura,  au- 
ritium)  venticello  ;  poi  anche  :  luogo  om- 
broso rallegrato  da  venticello. 

—  2.  Al  duro  arm.  ;  all'  armento,  sebbene 
indurito  dalle  intemperie  e  al  pastore,  seb- 
bene quasi  ignudo,  era  grata  l'ombra  in 
tanto  caldo. 

—  3.  Dice  per  ischerzo  che  neppure  Ori., 
coperto  com'  era  dall'  armatura,  sentiva,  in 
quell'  ora  meridiana,  brividi  di  freddo.  Né 
per  neppure,  cfr.  e.  ii,  41,  n.  4. 

102.  4.  Fu  certo,  ecc.  Questo  accorgimento 
riesce  un  po'  sorprendente,  perché  senza 
ragione. 


CANTO  XXIII 


309 


Questo  era  un  di  quei  lochi  già  descritti, 
Ove  sovente  con  Medor  veniva 
Da  casa  del  pastore  indi  vicina 
La  bella  donna  del  C'atai  Regina. 

103 
Angelica  e  Medor  con  cento  nodi 
Legati  insieme,  e  in  cento  lochi  vede. 
Quante  lettere  son,  tanti  son  chiodi 
Coi  quali  Amore  il  cor  gli  punge  e  fiede. 
Va  col  pensier  cercando  in  mille  modi 
Non  creder  quel  ch'ai  suo  dispetto  crede: 
Ch'altra  Angelica  sia,  creder  si  sforza, 
Ch'abbia  scritto  il  suo  nome  in  quella  scor- 

104  [za. 

Poi  dice:  Conosco  io  pur  queste  note: 
Di  tal' io  n'  ho  tante  vedute  e  lette. 
Finger  questo  Medoro  ella  si  puote: 
Forse  ch'a  me  questo  cognome  mette. 
Con  tali  opinion  dal  ver  remote 
Usando  fraude  a  sé  medesmo,  stette 
Ne  la  speranza  il  mal  contento  Orlando, 
Che  si  seppe  a  sé  stesso  ir  procacciando. 

105 
Ma  sempre  più  raccende  e  più  rinuova, 
Quanto  spenger  più  cerca,  il  rio  sospetto: 
Come  l'incauto  augel  che  si  ritrova 
In  ragna  o  in  visco  aver  dato  di  petto, 
Quanto  più  batte  l'ale  e  più  si  prova 
Di  disbrigar,  più  vi  si  lega  stretto. 
Orlando  viene  ove  s'incurva  il  monte 
A  guisa  d'arco  in  su  la  chiara  fonte. 

106 
Aveano  in  su  l'entrata  il  luogo  adorno 
Coi  piedi  storti  edere  e  viti  erranti. 


—  5.  eia  descritti.  Nel  canto  xix,  35-3G. 

—  7.  Da  casa  d.  p.  Nota  la  differenza  fra 
i  due  modi  da  casa  d.  p.  e  dalla  e.  d.  p.: 
jl  primo  riguarda  all'insieme  della  casa  e 
de"  suoi  abitatori,  mentre  l' altro  accenne- 
jebbe  solo  alla  materialità  della  casa. 

104.  4.  cognome  ;  soprannome,  in  quanto 
significa  nomignolo.  In  questo  senso  si  cita 
soltanto  l'es.  dell' A. 

—  8.  si  seppe...  a  sé  st.  Questo  doppio 
complemento  usò  pure  l'A.  nel  e.  xviii,  120, 
6  e  altrove  ;  né  è  alieno  dallo  stile  popola- 
re. Cfr.  i  modi  «Che  m'importa  a  me?  A 
lui  non  gli  fa  nulla  ecc.  ». 

105.  '■}.  Questa  comparazione  è  d'Ovidio, 
Metam.  xi,  73  :  «  Utque  suum  laqueis,  quos 
callidus  abdidit  auceps,  Crus  ubi  commisit 
volucris  sensitque  generi,  Plaugitur  ac  tre- 
pidans  adstringit  vincula  motu  ». 

—  6.  disbrigar;  disbrigarsi.  V.  e.  i,  21, 
n.  7. 

—  7.  ove  s' ine.  il  monte.  V.  e.  xix,  35. 

106.  2.  Coi  piedi  storti.  È  del  Poliziano, 
Si.  I,  S3:  «L'ellera  va  carpon  co' pie  di- 
storti ». 


Quivi  solcano  al  più  cocente  giorno 
Stare  abbracciati  i  duo  felici  amanti. 
V' aveano  i  nomi  lor  dentro  e  d'intorno, 
Più  che  in  altro  dei  luoghi  circonstanti, 
Scritti,  qual  con  carbone  equalcon  gesso, 
E  qual  con  punte  di  coltelli  impresso. 
107 
Il  mesto  Conte  a  pie  quivi  discese; 
E  vide  in  su  l'entrata  de  la  grotta 
Parole  assai,  che  di  sua  man  distese 
Medoro  avea,  che  parean  scritte  allotta. 
Del  gran  piacer  che  ne  la  grotta  prese. 
Questa  sentenzia  in  versi  avea  ridotta. 
Chefossecultainsuolinguaggio  io  penso-, 
Et  era  ne  la  nostra  tale  il  senso: 


—  3.  giorno,  sole.  Metonimia  frequente 
nei  poeti. 

107.  5.  Del  gr.  p.  ;  per  il  gr.  p.  V.  e.  xin, 
33,  n.  3. 

—  6.  Q.  sentenzia,  queste  parole.  Dante, 
Purg.  16  :  «  Or  è  fatto  doppio  (il  dubbio) 
Nella  sentenza  tua  (nelle  tue  parole),  che 
mi  fa  certo  ». 

—  7.  Che  fosse  eulta  ecc.  È  uà  luogo  dif- 
ficile. .\lcuni  intendono  scritta  e  suppon- 
gono un  errore  di  stampa  per  sculta;  ma 
la  concordia  delle  tre  edizioni  curate  dal- 
l'A.  e  delle  migliori  ediz.  antiche,  esclude 
ogni  errore;  né  si  capirebbe  come  il  chia- 
rissimo sculta  avrebbe  potuto  cambiarsi 
nell'oscuro  e  difficile  eulta.  Dunque  la  le- 
zione è  sicura.  Ma  neppure  per  il  contesto 
si  poti'ebbe  intendere  scritta  ;  perché  più 
sotto  r  A.  dice  in  modo  certo  e  assoluto  : 
era  scritta  in  Arabico.  Lascerebbe  qui  co- 
me incerto  quello,  che  poi  verrebbe  a  dire 
come  sicuro.  Meglio  dunque  intendere  :  «io 
credo  che  anche  nel  suo  linguaggio  fosse 
elegante  ed  elaborata,  come  si  può  indovi- 
nare dalla  traduzione  che  segue  ».  Né  si  op- 
ponga che  Medoro  era  un  povero  fante  e 
d'oscura  stirpe,  perché  già  nel  e.  xviii, 
18J,  nell'invocazione  della  luna  mostra  molta 
più  cultura  che  non  si  richieda  per  fare 
versi  d' amore  eleganti  nella  propria  lingua. 
Inoltre  l'A.  avea  bisogno  di  sollevarlo  nella 
stima  dei  lettori,  per  poterne  far  poi  un  re 
del  Catai.  Finalmente  sembra  che  questo 
verso  tormentato  voglia  essere  una  con- 
ferma, del  precedente,  quasi  dicasi:  era  in 
versi  ;  né  ciò  vi  faccia  meraviglia,  che  anzi 
era  in  versi,  io  penso,  anche  eleganti,  come 
appare  dal  contenuto. 

—  8.  ne  la  nostra.  Dovrebbe  dire  nel  no- 
stro. Nella  prima  ediz.  era  scritto  :  «  Che 
fosse  scritta  in  la  sua  lingua  penso  »  ;  l'A. 
cambiò  il  v.  7  e  non  l' s  :  fu  svista  ?  o  f u  in- 
tenzione d'introdurre  una  di  quelle  scon- 
cordanze, che  non  sono  rare  negli  antichi  ? 
Sacchetti,  Sov.  207  :   «  abbiamo  una  reli- 


310 


ORLANDO  FURIOSO 


108 

Liete  piante,  verdi  erbe,  limpide  ^cque, 
Spelunca  opaca  e  di  fredde  ombre  grata, 
Dove  la  bella  Angelica  che  nacque 
Di  Galafron,  da  molti  in  vano  amata. 
Spesso  ne  le  mie  braccia  nuda  giacque; 
De  la  commodità  che  qui  m' è  data, 
Io  povero  Medor  ricompensarvi 
D'altro  non  posso,  che  d'ognor  lodarvi  : 
109 

E  di  pregare  ogni  Signore  amante, 
E  cavallieri  e  damigelle,  e  ognuna 
Persona  o  paesana  o  viandante. 
Che  qui  sua  volontà  meni  o  Fortuna; 
Ch'airerbe,airombra,airantro,alrio,alle 
Dica:  Benigno  abbiate  e  sole  e  luna,  fpian- 
E  de  le  Ninfe  il  coro  che  proveggia     [te 
Che  non  conduca  a  voi  pastor  mai  greggia. 
110 

Era  scritto  in  Arabico,  che  '1  Conte 
Intendea  cosi  ben,  come  Latino. 
Fra  molte  lingue  e  molte  ch'avea  pronte. 
Prontissima  avea  quella  il  Paladino; 
E  gli  schivò  più  volte  e  danni  et  onte. 
Che  si  trovò  tra  il  popol  Saracino. 
Ma  non  si  vanti,  se  già  n'ebbe  frutto; 
Ch'un  danno  or  n'  ha,  che  può  scontargli 
111  [il  tutto. 

Tre  volte  e  quattro  e  sei  lesse  lo  scritto 
Quello  infelice,  e  pur  cercando  in  vano 
Che  non  vi  fosse  quel  che  v'era  scritto; 
E  sempre  lo  vedea  più  chiaro  e  piano  : 
Et  ogni  volta  in  mezzo  il  petto  afflitto 
Stringersi  il  cor  sentia  con  fredda  mano. 
Rimase  al  fin  con  gli  occhi  e  con  la  mente 
Fissi  nel  sasso,  al  sasso  indifferente. 


quia...  e  queste  sono  li  panni...  le  quali  ecc.». 
E  neir  A.  vedi  tale  sconcordanza  nel  e.  xiii, 
•59,  3;  IV,  18,  7. 

108.  8.  D'altro,  ecc.;  con  altro;  di  per 
con,  nel  compi,  di  mezzo,  è  assai  frequente 
negli  antichi.  Villani,  4,  25:  «  il  quale  com- 
perarono di  loro  danari  ». 

110.  3.  fra  m.  lingue,  ecc.  Già  nell'  antica 
tradizione  cavalleresca  si  attribuiva  ad  Or- 
lando la  conoscenza  di  molte  lingue.  Cosi 
nella  cronaca  di  Turpino  si  dice  che  sapeva 
la  lingua  ispanica. 

—  5.  gli  schivò;  gli  tenne  lontani.  V.  e. 
XI,  56,  n.  6. 

—  6.  Che,  quando.  V.  st.  70,  8  ;  93,  8  ;  ma 
qui  il  distacco  riesce  oscuro. 

—  8.  scontargli.  Più  comunem.  fargli  scon- 
tare, fargli  rimettere  tutti  i  vantaggi  avuti. 
Cosi  l'usò  pure  il  Lasca,  Cen.  1,  2:  «una 
beffa...  che  gli  sconterebbe  gran  parte  degli 
avuti  piaceri  ». 

111.  2.  pur,  sempre. 

—  8.  indifferente;  non  differente.  L'usò 
poi  anche  il  Tasso,  Ger.  1,  38;  9,  34. 


112 

Fu  allora  per  uscir  del  sentimento  : 
Si  tutto  in  preda  del  dolor  si  lassa. 
Credete  a  chi  n'ha  fatto  esperimento, 
Che  questo  è  '1  duol  che  tutti  gli  altri  passa. 
Caduto  gli  era  sopra  il  petto  il  mento. 
La  fronte  priva  di  baldanza,  e  bassa; 
Né  potè  aver  (che  '1  duol  l'occupò  tanto) 
Alle  querele  voce,  o  umore  al  pianto. 
113 

L'impetuosa  doglia  entro  rimase. 
Che  volea  tutta  uscir  con  troppa  fretta. 
Cosi  veggiàn  restar  l'acque  nel  vase. 
Che  largo  il  ventre  e  la  bocca  abbia  stretta; 
Che  nel  voltar  che  si  fa  in  su  la  base. 
L'umor  che  vorria  uscir,  tanto  s'affretta, 
E  ne  l'angusta  via  tanto  s'intrica, 
Ch'a  goccia  a  goccia  fuore  esce  a  fatica. 
114 

Poi  ritorna  in  sé  alquanto,  e  pensa  come 
Possa  esser  che  non  sia  la  cosa  vera  : 
Che  voglia  alcun  cosi  infamare  il  nome 
De  la  sua  Donna  e  crede  e  brama  e  spera, 
0  gravar  lui  d'insopportabil  some 
Tanto  di  gelosia,  che  se  ne  pera; 
Et  abbia  quel,  sia  chi  si  voglia  stato, 
Molto  la  man  di  lei  bene  imitato. 
115 

In  cosi  poca,  in  cosi  debol  speme 
Sveglia  gli  spirti,  e  gli  rifranca  un  poco; 
Indi  al  suo  Brigliadoro  il  dosso  preme, 
Dando  già  il  sole  alla  sorella  loco. 
Non  molto  va,  che  da  le  vie  supreme 
Dei  tetti  uscir  vede  il  vapor  del  fuoco. 
Sente  cani  abbaiar,  muggiare  armento  : 
Viene  alla  villa,  e  piglia  alloggiamento: 


112.  7.  potè.  La  Principe  ha  puote.  V.  e. 
vili,  52,  n.  4. 

113.  5.  che  ;  perché.  Questa  similitudine 
è  di  Plinio  il  giovane  (Epist.  4,  30);  ma  l'usa 
per  dare  idea  d'una  strana  fonte,  che  avea 
veduta  neir  agro  Comasco. 

114.  5.  0  gravar,  ecc.  Costruisci  :  o  gra- 
var lui  di  some  di  gelosia  tanto  insopporta- 
bili. Inversioni  frequenti  nell' A.  V.  st.  58,  1. 

115.  4.  Dando  già,  ecc.  ;  lasciando  il  sole 
il  luogo  alla  luna,  cioè  venendo  la  notte. 
La  luna  però  non  era  ancor  sorta:  cfr.  st. 
124,  3. 

—  5.  da  le  vie  supr.  Il  Mazzoni,  Difesa 
di  Dante  i,  1,  37;  pensò  che  l'A.  accen- 
nasse all'  antico  costume,  che  il  fumo  usciva 
dalla  parte  più  alta  del  tetto,  dal  comignolo. 
Viro.,  egl.  i  :  «  Et  jam  summa  procul  viL- 
larum  culmina  fumant  ». 

—  6.  il  vapor  d.  f.  Cosi  chiama  il  fumo 
con  espressione  tìsicamente  inesatta.  È  noto 
che  il  fumo  è  formato  di  sostanze  incom- 
buste. 

—  7.  muggiare.  V.  c.  i.  II,  n.  4. 


CANTO  XXIII 


311 


116 
Languido  smonta,  e  lascia  Brigliadoro 
A  un  discreto  garzon  che  n'abbia  cura. 
Altri  il  disarma,  altri  gli  sproni  d'oro 
Gli  leva,  altri  a  forbir  va  l'armatura. 
Era  questa  la  casa  ove  Medoro 
Giacque  ferito,  e  v'ebbe  alta  avventura. 
Corcarsi  Orlando  e  non  cenar  domanda, 
Di  dolor  sazio  e  non  d'altra  vivanda. 

117 
Quanto  più  cerca  ritrovar  quiete, 
Tanto  ritrova  più  travaglio  e  pena; 
Che  de  l'odiato  scritto  ogni  parete. 
Ogni  uscio,  ogni  finestra  vede  piena. 
Chieder  ne  vuol:  poi  tien  le  labra  chete; 
Che  teme  non  si  far  troppo  serena. 
Troppo  chiara  la  cosa  che  di  nebbia 
Cerca  offuscar,  perché  men  nuocer  debbia. 

118 
Poco  gli  giova  usar  fraudo  a  sé  stesso; 
Che,  senza  domandarne,  è  chi  ne  parla. 
Il  pastor  che  lo  vede  cosi  oppresso 
Da  sua  tristizia  e  che  vorria  levarla, 
L' istoria  nota  a  sé,  che  dicea  spesso 
Di  quei  duo  amanti  a  chi  volea  ascoltarla, 
Ch'a  molti  dilettevole  fu  a  udire, 
GÌ' incominciò  senza  rispetto  a  dire: 

119 
Come  esso  a  prieghi  d'Angelica  bella 
Portato  avea  Medoro  alla  sua  villa; 
Ch'era  ferito  gravemente,  e  ch'ella 
Curò  la  piaga,  e  in  pochi  di  guarilla; 
Ma  che  nel  cor  d'una  maggior  di  quella 
Lei  feri  Amor;  e  di  poca  scintilla 
L'accese  tanto  e  si  cocente  foco. 
Che  u'ardea  tutta,  e  non  trovava  loco: 

120 
E  senza  aver  rispetto  ch'ella  fusse 
Figlia  del  maggior  Re  ch'abbia  il  Levante, 
Da  troppo  amor  constretta  si  condusse 
A  farsi  moglie  d'un  povero  fante. 


116.  2.  discreto,  assennato. 

—  6.  T'ebbe.  Può  essere  ve  per  dove,  e 
anche  per  vi,  poiché  l'A.  usa  spesso  inter- 
rompere il  costrutto  a  subordinate  con  una 
coordinata,  secondo  l'indole  del  linguaggio 
popolare. 

117.  6.  non  si  far;  non  fare  a  sé,  non  ren- 
dere a  sé. 

118.  4.  levarla,  (lat.  levare)  sollevarla.  Dai 
vocabolari  non  si  cita  questo  significato. 

—  8.  senza  rispetto  ;  senza  riguardo,  sen- 
za considerazione  alcuna  degli  effetti  che  il 
racconto  andava  producendo  in  Ori. 

119.  1.  a  prieghi;  ai  pr.  V.  c.  ii,  15,  n.  8. 

120.  4.  povero  fante  ;  umile  servo  (di  Dar- 
dinello).  Fante  per  servo  anche  nel  e.  xxvni, 
56;  e  spesso  negli  antichi.  Alcuno  intende 
fante  per  soldato  come  nel  e.  iii,  54,  6; 
runa  e  l'altra  iiitei'iu'elazione  è  possibile. 


All'ultimo  l'istoria  si  ridusse. 
Che  '1  pastor  fé' portar  la  gemma  inante,  ' 
Ch'alia  sua  dipartenza,  per  mercede 
Del  buono  albergo.  Angelica  gli  diede. 
121 

Questa  conclusion  fu  la  secure 
Che  '1  capo  a  un  colpo  gli  levò  dal  colio, 
Poi  che  d'innumerabil  battiture 
Si  vede  il  manigoldo  Amor  satollo. 
Celar  si  studia  Orlando  il  duolo;  e  pure 
Quel  gli  fa  forza  e  male  asconder  puollo: 
Per  lacrime  e  suspir  da  bocca  e  d'occhi 
Convien,  voglia  o  non  voglia,  al  fin  che 
122  [scocchi. 

Poi  ch'allargare  il  freno  al  dolor  puote 
(Che  resta  solo,  e  senza  altrui  rispetto). 
Giù  dagli  occhi  rigando  per  le  gote 
Sparge  un  fiume  di  lacrime  sul  petto  ; 
Sospira  e  geme,  e  va  con  spesse  ruote 
Di  qua  di  là  tutto  cercando  il  letto; 
E  più  duro  ch'un  sasso,  e  più  pungente    . 
Che  se  fosse  d'urtica,  se  lo  sente. 
123 

In  tanto  aspro  travaglio  gli  soccorre 
Che  nel  raedesmo  letto  in  che  giaceva, 
L'ingrata  donna  venutasi  a  porre 
Col  suo  drudo  più  volte  esser  doveva. 
Non  altrimenti  or  quella  piuma  abborre. 
Né  con  minor  prestezza  se  ne  leva, 
Che  de  l'erba  il  villau  che  s'era  messo 
Per  chiuder  gli  occhi,  e  vegga  il  serpe  ap- 

[presso. 


poiché  in  ogni  modo  l'A.  volle  che  spic- 
casse il  contrasto  fra  la  grandezza  di  An- 
gelica e  dei  suoi  pretendenti,  e  ruralità  del 
prediletto  Medoro. 

—  5.  si  ridusse  che  ;  si  ridusse  al  punto 
che.  Scorcio  comunissimo  nello  stile  popo- 
lare. V.  e.  XXIV,  89,  7. 

121.  1.  secure  (lat.  securem)  scure.  Lati- 
nismo usato,  nel  trecento,  anche  in  prosa. 

—  7.  da  bocca  e  d'occ.  ;  dalla  b.  e  dagli 
occhi.  V'è  l'omissione  dell'art,  tante  volte 
notata,  e  d'  per  da.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

122.  2.  senza  a.  risp.  Non  lo  frenava  la 
cotisiderasìoìie  deìV effetto  che  il  suo  pianto 
avrebbe  potuto  produrre  negli  altri. 

—  3.  rigando  p.  1.  g.  Costruisci  e  intendi  : 
sparge  giù  dagli  occhi  sul  petto  un  fiume 
di  lacrime  riganti  (rigando)  per  le  gote. 

—  5.  mote  ;  giravolte.  In  questo  senso 
non  è  citato  finora  dai  vocabolari,  ma  lo 
citerà  certo  la  nuova  Crusca. 

123.  1.  gli  soccorre;  gli  viene  in  mente. 
(È  il  lat.  sziccurt^e)-e).  Alberti,  cap.  21  ; 
«  Fa'  che  ti  soccorrano  cose,  che  tu  abbi 
fatte  dalla  gioventudme  tua. 

—  7.  il  villan,  ecc.  Questa  comparazione, 
ripetuta  nel  e.  xxxix,  32,  è  pure  in  Virgi- 
lio, E7i.  II,  370. 


312 


ORLANDO  FURIOSO 


124 
Quel  letto,  quella  casa,  quel  pastore 
Immantinente  in  tant'odio  gli  casca, 
Che,  senza  aspettar  luna,  o  che  l'albóre 
Che  va  dinanzi  al  nuovo  giorno,  nasca. 
Piglia  l'arme  e  il  destriero,  et  esce  fuore 
Per  mezzo  il  bosco  alla  più  oscura  frasca  ; 
E  quando  poi  gli  è  avviso  d'esser  solo. 
Con  gridi  et  urli  apre  le  porte  al  duolo. 

125 
Di  pianger  mai,  mai  di  gridar  non  resta; 
Né  la  notte  né  '1  di  si  dà  mai  pace: 
Fugge  cittadi  e  borghi,  e  alla  foresta 
Sul  terren  duro  al  discoperto  giace. 
Di  sé  si  maraviglia  ch'abbia  in  testa 
Una  fontana  d'acqua  si  vivace, 
E  come  sospirar  possa  mai  tanto: 
E  spesso  dice  a  sé  cosi  nel  pianto: 

126 
Queste  non  son  più  lacrime,  che  fuore 
Stillo  dagli  occhi  con  si  larga  vena. 
Non  suppliron  le  lacrime  al  dolore  ; 
Finir,  eh' a  mezzo  era  il  dolore  a  pena. 
Dal  fuoco  spinto  ora  il  vitale  umore 
Fugge  per  quella  via  ch'agli  occhi  mena; 
Et  è  quel  che  si  versa,  e  trarrà  insieme 
E  '1  dolore  e  la  vita  all'ore  estreme. 

127 
Questi  ch'indizio  fan  del  mio  tormento 
Sospir  non  sono;  né  i  sospir  son  tali. 
Quelli  hantriegua  talora;  io  mai  non  sento 
Che  '1  petto  mio  men  la  sua  pena  esali. 
Amor,  che  m'arde  il  cor,  fa  questo  vento, 
Mentre  dibatte  intorno  al  fuoco  l'ali. 
Amor,  con  che  miracolo  lo  fai, 
Che  'n  fuoco  il  tenghi,  e  noi  consumi  mai? 


126.  Molti  critici  biasimano  le  sottigliez- 
ze di  queste  tre  stanze;  solo  il  Cesareo 
{N.  A.  16  novembre  1900)  ha  sostenuto  che 
sono  belle,  perché  sono  vere  ;  e  son  vere, 
perché  ritraggono  un  fenomeno  psichico 
speciale  air  esaltazione  prodotta  da  forti 
dolori,  e  chiamato  da  alcuni  inania  delle 
sottigliezze.  Ciò  che  oggi  la  scienza  ha  di- 
mostrato, l'A.  avrebbe  intravisto  colla  ge- 
niale osservazione  della  natura.  Ma  tale 
spiegazione  non  potrebbe  darsi  della  st.  8, 
né  del  xxx,  79,  xxxii,  42,  né  d'altri  luoghi, 
dove  ricorrono  le  stranezze  d' una  certa 
poesia  amorosa  del  tempo.  Vien  dunque  la 
tentazione  di  credere  che  anche  qui,  come 
altrove,  l'A.  adopri,  per  una  fina  ironia, 
questo  linguaggio.  Né  mancano  esempì,  do- 
ve l'A,  mescola  alle  cose  più  serie  un  leg- 
gero e  velato  scherzo.  Oltre  i  citati  vedi 
e.  XI,  43,  2;  XIV,  121,  6,  e  questo  stesso  canto 
si.  8,  3-4, 

—  5.  fuoco  ;  amoroso. 

—  7.  Et  è  qnel,  ecc.  :  ed  è  appunto  quello, 
cioè  il  vitale  umore,  che  si  versa. 

127.  8.  tenghi;  tenga.  V.  e.  xvi,  86,  n.  5. 


128  [so: 

Non  son,  non  sono  io  quel  chepaioin  vi- 
Quel  ch'era  Orlando  è  morto,  et  è  sotterra: 
La  sua  donna  ingratissima  l'ha  ucciso: 
Si,  mancando  di  fé,  gli  ha  fatto  guerra. 

10  son  lo  spirto  suo  da  lui  diviso. 

Ch'in  questo  inferno  tormentandosi  erra. 
Acciò  con  l'ombra  sia,  che  sola  avanza, 
Esempio  a  chi  in  Amor  pone  speranza. 
129 

Pel  bosco  errò  tutta  la  notte  il  Conte; 
E  allo  spuntar  della  diurna  fiamma 
Lo  tornò  il  suo  destin  sopra  la  fonte, 
Dove  Medoro  insculse  l'epigramma. 
Veder  l'ingiuria  sua  scritta  nel  monte 
L'accese  si,  eh' in  lui  non  restò  dramma 
Che  non  fosse  odio,  rabbia,  ira  e  furore; 
Né  più  indugiò,  che  trasse  il  brando  fuore. 
130 

Tagliò  lo  scritto  e  '1  sasso,  e  sin  al  cielo 
A  volo  alzar  fé'  le  minute  schegge. 
Infelice  quell'antro,  et  ogni  stelo 
In  cui  Medoro  e  Angelica  si  legge! 
Cosi  restar  quel  di,  ch'ombra  né  gielo 
A  pastor  mai  non  daran  più,  né  a  gregge  : 
E  quella  fonte,  già  si  chiara  e  pura, 
Da  cotanta  ira  fu  poco  sicura  ; 
131 

Che  rami  e  ceppi  e  tronchi  e  sassi  e  zolle 
Non  cessò  di  gittar  ne  le  bell'onde. 
Fin  che  da  sommo  ad  imo  si  turbolle, 
Che  non  furo  mai  più  chiare  né  monde  ; 
E  stanco  al  fin,  e  al  fin  di  sudor  molle, 
Poi  che  la  lena  vinta  non  risponde 
Allo  sdegno,  al  grave  odio,  all'ardente  ira. 
Cade  sul  prato,  e  verso  il  ciel  sospira, 
132 

Afflitto  e  stanco  al  fin  cade  ne  l'erba, 
E  ficca  gli  occhi  al  cielo,  e  non  fa  motto. 
Senza  cibo  e  dormir  cosi  si  serba. 
Che  '1  sole  esce  tre  volte,  e  torna  sotto. 
Di  crescer  non  cessò  la  pena  acerba. 
Che  fuor  del  seuno  al  fin  l'ebbe  condotto. 

11  quarto  di  da  gran  furor  commosso 
E  maglie  e  piastre  si  stracciò  di  dosso. 

133 

Qui  riman  l'elmo,  e  là  riman  lo  scudo, 

Lontan  gli  arnesi,  e  più  lontau  l'usbergo: 

129.  4.  insculse,  (lat.  insculpsit)  ;  scolpi. 
È  latinismo  usato  soltanto  nel  passato  re- 
moto e  nel  partic.  passato.  —  epigramma. 
Qui,  come  nel  suo  vero  significato,  vale 
iscrizione  (gr.  epi,  in  ;  grafo,  scrivo). 

130.  5.  gielo,  fresco,  frescura.  Si  cita  que- 
sto solo  es.  dell' A. 

131.  3.  da  sommo  ad  imo.  È  l'Oraziano  «(/ 
Uno  ad  summum  (Sat.  2,  3,  308)  invertito. 

132.  0.  che;  finché.  V.  e.  xiii,  7,  n.  4. 

133.  2.  gli  arnesi.  Nel  primo  significato 
era  tutta  l'armatura  difensiva,  che  copriva 


CAMTO  XXIII 


313 


L'arme  sue  tutte,  in  somma  vi  concludo, 
Avean  pel  bosco  differente  albergo. 
E  poi  si  squarciò  i  panni,  e  mostrò  ignudo 
L'ispido  ventre,  e  tutto  '1  petto  e  '1  tergo  ; 
E  cominciò  la  gran  follia,  si  orrenda. 
Che  de  la  più  non  sarà  mai  ch'intenda. 
134 
In  tanta  rabbia,  in  tanto  furor  venne, 
Che  rimase  offuscato  in  ogni  senso. 
Di  tòr  la  spada  in  man  non  gli  sovvenne; 
Che  fatte  avria  rairabil  cose,  penso. 
Ma  né  quella  né  scure  né  bipenne 
Era  bisogno  al  suo  vigore  immenso. 
Quivi  fé'  ben  de  le  sue  prove  eccelse; 
Ch'un  alto  pino  al  primo  crollo  svelse: 


il  cavaliere.  Il  Tasso  usò  arnese  per  coraz- 
za. Qui  sono  le  diverse  parti  dell'armatura 
difensiva:  corazza,  bracciali,  guanti  ecc. 

—  8.  de  la  pili,  ecc.  ;  della  maggiore, 
d'una  maggiore  nessuno  sentirà  mai  dire. 
Più  per  maggiore,  ma  in  locuzione  diversa, 
vedilo  nei  e.  xiii,  3,  7  ;  xvi,  17,  4  ;  e  nei  cin- 
que canti  II,  22,  6:  «  Che  con  la  più  (fi-etta) 
non  van  di  Giove  i  strali».  Il  Nisielynota: 
«  Questa  locuzione  in  greco  forse  potrebbe 
stare,  ma  non  in  latino  né  in  toscano  ».  — 
L'impazzimento,  anche  per  amore,  è,  nota 
il  Raina,  cosa  comune  nei  romanzi  della 
Tavola  Rotonda.  Da  molti  di  questi  l'A. 
ha  tolto  elementi,  e  più  dalla  pazzia  di  Tri- 


135 

E  svelse  dopo  il  primo  altri  parecchi, 
Come  fosser  finocchi,  ebuli  o  aneti; 
E  fé'  il  simil  di  querce  e  d'olmi  vecchi 
Di  faggi  e  d'orni  e  d' ilici  e  d'abeti. 
Quel,  ch'un  uccellator  che  s'apparecchi 
Il  campo  mondo,  fa,  per  por  le  reti, 
Dei  giunchi  e  de  le  stoppie  e  de  l'urtiche, 
Facea  de'  cerri  e  d'altre  piante  antiche. 
136 

I  pastor  che  sentito  hanno  il  fracasso, 
Lasciando  il  gregge  sparso  alla  foresta, 
Chi  di  qua,  chi  di  là,  tutti  a  gran  passo 
Vi  vengon  a  veder  che  cosa  è  questa,  [so 
Ma  son  giunto  aqnel  segno  ilquals'iopas- 
Vi  potria  la  mia  istoria  esser  molesta; 
Et  io  la  vo'  più  tosto  differire, 
Che  v'abbia  per  lunghezza  a  fastidire. 


;  stano,  che  si  crede  tradito  da  Isotta.  Ma  la 
j  trasformazione  di  questi  elementi  è  pro- 
!  fonda  e  originale.  Forse  non  fu  casuale  met- 
I  ter  qui  alla  metà  del  poema  l' impazzimento 

d'Ori.,  che  è  il  centro  di  tutta  l'azione,  Cfr. 
j  Zlmbim  «  La  follia  d'Orlando  »  in  Studi  di 

letteratura  ital.;  e  Nencioni  «  Le  tre  paz- 
,  zie  »  in  Fanfulla  della  Dora.  ISSI,  n.  22-24. 
I  135.  2.  ebnli,  aneti.  L'ebulo  è  una  specie 
'  di  sambuco,  l'aneto  è  poco  differente  dal 
j  finocchio. 
I       —  4.  Ilici  (lat.  ilices)  elei. 


CANTO  XXIV 


Chi  mette  il  pie  su  l'amorosa  pania. 
Cerchi  ri  trarlo,  e  non  v'inveschi  l'ale  ; 
Che  non  è  in  somma  Amor  se  non  insania, 
A  giudizio  de'  Savi  universale: 
E  se  ben  come  Orlando  ognun  non  smania. 
Suo  furor  mostra  a  qualch'  altro  segnale, 
E  quale  è  di  pazzia  seguo  più  espresso 
Che,  per  altri  voler,  perder  sé  stesso? 

o 

,  Varii  gli  effetti  son,  ma  la  pazzia 
È  tutt'  una  però,  che  li  fa  uscire. 


1.  3.  in  somma;  in  conclusione.  Cosi  e. 
XIX,  73. 

—  8.  Che  ecc.  Bembo  ,  cans.  24.  «  Che 
per  cercare  altrui  perdo  me  stesso  ».  E  l'A. 
nella  prima  ediz.,  quasi  ripetendo,  aveva 
scritto  «  Che  per  cercare  altrui  perder  sé 
stesso  ». 

2.  2.  li  fa  nscire  ;  li  produce.  È  modo  no- 
tevole non  citato  dai  vocabolari. 


Gli  è  come  una  gran  selva,  ove  la  via 
Conviene  a  forza,  a  chi  vi  va,  fallire: 
Chi  su  chi  giù,  chi  qua  chi  là  travia. 
Per  concludere  in  somma,  io  vi  vo'  dire: 
A  chi  in  amor  s'invecchia,  oltr'ogni  pena. 
Si  convengono  i  ceppi  e  la  catena. 

o 

Ben  mi  si  potria  dir:  Frate,  tu  vai 
L'altrui  mostrando,  e  non  vedi  il  tuo  fallo , 
Io  vi  rispondo  che  comprendo  assai. 
Or  che  di  mente  ho  lucido  intervallo; 
Et  ho  gran  cura  (e  spero  farlo  ormai)    • 
Di  riposarmi,  e  d'uscir  fuor  di  ballo  : 


—  7.  oltre  0.  p.  ;  oltre  le  pene,  che  pro- 
duce r  amore  stesso,  merita  d'esser  legato 
come  un  pazzo. 

3.  1-2.  Petrarca  I,  son.  67:  «Ben  si  può 
dire  a  me  :  Frate,  tu  vai  Mostrando  altrui 
la  via  dove  sovente  Fosti  smarrito,  ed  or 
se'  più  che  mai  ■». 


314 


ORLANDO  FURIOSO 


Ma  tosto  far,  come  vorrei,  noi  posso; 
Che  '1  male  è  penetrato  infin  all'osso. 
4 
Signor,  ne  l'altro  Canto  io  vi  dicea 
Che  '1  forsennato  e  furioso  Orlando 
Trattesi  l'arme  e  sparse  al  campo  avea, 
Squarciati  i  panni,  via  gittate  il  brando, 
Svelte  le  piante,  e  risonar  facea 

I  cavi  sassi  e  l'alte  selve;  quando 
Alcun  pastori  al  suon  trasse  in  quel  lato 
Lor  stella,  o  qualche  lor  grave  peccato. 

5 
Viste  del  pazzo  l'incredibil  prove 
Poi  pili  d'appresso,  e  la  possanzaestrenia, 
Si  voltan  per  fuggir,  ma  non  sanno  ove. 
Si  come  avvien  in  subitana  tema. 

II  pazzo  dietro  lor  ratto  si  muove; 
Uno  ne  piglia,  e  del  capo  lo  scema 
Con  la  facilità  che  torria  alcuno 

Da  l'arbor  pome,  o  vago  fior  dal  pruno. 
6 

Per  una  gamba  il  grave  tronco  prese, 
E  quello  usò  per  mazza  adosso  al  resto. 
In  terra  un  paio  addormentato  stese, 
Ch'ai  novissimo  dì  forse  fia  desto: 
Gli  altri  sgombrare  subito  il  paese,  [sto. 
Ch'ebbono  il  piede  e  il  buono  avviso  pre- 
Non  saria  stato  il  pazzo  al  seguir  lento, 
Se  non  ch'era  già  volto  al  loro  armento. 
7  [pli. 

Gli  agricultori,  accorti  agli  altru'  esem- 
Lascian  nei  campi  aratri  e  marre  e  falci  : 
Chi  monta  su  le  case,  e  chi  sui  templi 
(Poi  che  non  son  sicuri  olmi  né  salci), 
Onde  l'orrenda  furia  si  contempli,  [ci, 
Ch'a  pugni,  ad  urti,  a  morsi,  a  graffi,  acal- 
Cavalli  e  buoi  rompe,  fraccassa  e  strug- 
E  ben  è  corridor  chi  da  lui  fugge.  [gè; 
8 

Già  potreste  sentir  come  ribombe 
L'alto  rumor  ne  le  propinque  ville 


—  7.  Ma  tosto  ecc.;  ma  non  posso  farlo 
cosi  subito  come  vorrei. 

4.  7.  Alcun;  V.  e.  X,  99,  n.  5. 

5.  7.  che  ;  colla  quale.  V.  e.  i,  65,  n.  5. 

6.  4.  novissimo  di';  1'  ultimo  giorno,  il 
giorno  del  giudizio  universale  —  forse  ;  ad- 
dormentato in  modo  che  forse  era  morto. 
.  —  6.  eh'  ebb.  il  che  è  relat.  di  altri  ;  né  è  da 
unire  a  subito;  che  ne  verrebbe  un  peggior 
senso  :  i  quali  ebbero  sollecito  il  piede  ecc. 

—  8.  Se  non  ch'era;  V.  e.  xxi,  42,  n.  5. 

7.  5.  Onde,  ecc.;  di  dove  si  possa  contem- 
plare quel  furore  orrendo. 

8.  1.  ribombe;  rimbombi.  Sarebbe  la 
terminazione  più  vicina  al  latino  (amem, 
ames,  ^.met)  e  la  usarono  non  di  rado  gli 
antichi,  specialm.  nella  1*  coniug.;  ma  poi 
per  analogia  anche  nelle  altre  e  in  tutte  e 
tre  le  persone.  V.  e.  xiii,  10,  n.  3. 


D'urli,  e  di  corni,  rusticane  trombe,    [le; 
E  più  spesso  che  d'altro  il  suon  di  squil- 
E  con  spuntoni  et  archi  e  spiedi  e  frombe 
Veder  dai  monti  sdrucciolarne  mille; 
Et  altritanti  andar  da  basso  ad  alto. 
Per  fare  al  pazzo  un  villanesco  assalto. 

9 
Qual  venir  suol  nel  salso  lito  l'onda 
Mossa  da  l'Austro  ch'a  principio  scherza. 
Che  maggior  de  la  prima  è  la  seconda, 
E  con  pili  forza  poi  segue  la  terza; 
Et  ogni  volta  più  l'umore  abouda, 
E  ne  l'arena  più  stende  la  sferza; 
Tal  conti'a  Orlando  l'empia  turba  cresce, 
Che  giù  da  balze  scende  e  di  valli  esce. 

10 
Fece  morir  diece  persone  e  diece. 
Che  senza  ordine  alcun  gli  andaro  iu  mano: 
E  questo  chiaro  esperimento  fece. 
Ch'era  assai  più  sicur  starne  lontano. 
Trar  sangue  da  quel  corpo  a  nessun  lece, 
Che  lo  fere  e  percuote  il  ferro  in  vano. 
Al  Conte  il  Re  del  ciel  tal  grazia  diede. 
Per  porlo  a  guardia  di  sua  santa  Fede. 

11 
Era  a  periglio  di  morire  Orlando, 
Se  fosse  di  morir  stato  capace. 
Potea  imparar  ch'era  a  gittare  il  brando, 
E  poi  voler  senz'  arme  essere  audace. 
La  turba  già  s'andava  ritirando. 
Vedendo  ogni  suo  colpo  uscir  fallace. 
Orlando,  poi  che  più  nessun  l'attende. 
Verso  un  borgo  di  case  il  camin  prende. 

12 
Dentro  non  vi  trovò  piccol  né  grande, 
Che  '1  borgo  ognun  per  tema  avea  lascia- 
V  erano  in  copia  povere  vivande,         to. 
Convenienti  a  un  pastorale  stato. 
Senza  il  pane  discerner  da  le  glande. 
Dal  digiuno  e  da  l'impeto  cacciato. 


—  3.  rusticane  tr.  ;  È  apposizione  dichia- 
i*ativa  di  urli  e  corni. 

—  4.  il  suon  ecc.  ;  e  potreste  sentire  co- 
me rimbombi  il  suono  di  squille  più  spesso 
che  d'  altri  strumenti. 

—  5.  spuntoni;  aste  con  luugo  ferro  qua- 
drato o  tondo.  Non  era  arme  da  battaglia. 

—  6.  Veder.  Dipende  da  potreste. 

9.  1.  Qual,  ecc.  Questa  comparaz.  l'ha 
Catullo,  carm.  64.  270,  e  Virgilio,  En.  7, 
528.  Per  i  particolari  1'  A.  è  più  vicino  a 
Virgilio  :  «  Fluctus  uti  primo  coepit  cum 
albescere  vento,  PauUatim  sese  tollit  mare 
et  altius  undas  Erigit,  inde  imo  consurgit 
ad  aethera  fundo  ». 

11.  3.  ch'era;  che  cosa  era,  che  cosa  fosse, 
avvenisse.  —  a  gitt.  v.  e.  iv,  14,  n.  1. 

—  6.  uscir  f.  ;  riuscir  f.  In  questo  senso 
uscire  non  par  citato  da  nessun  vocabolario. 

12.  5.  glande.  V.  e.  I,  41,  n.  1. 


CANTO  XXIV 


315 


Le  mani  e  il  dente  lasciò  andar  di  botto 

In  quel  che  trovò  prima,  o  crudo  o  cotto. 

13 

E  quindi  errando  per  tutto  il  paese. 
Dava  la  caccia  e  agli  uomini  e  alle  fere; 
E  scorrendo  pei  boschi  talor  prese 
I  capri  isnelli,  e  le  damme  leggiere: 
Spesso  con  orsi  e  con  cingiai  contese, 
E  con  man  nude  li  pose  a  giacere; 
E  di  lor  carne  con  tutta  la  spoglia 
Più  volte  il  ventre  empi  con  fiera  voglia. 
14 

Di  qua  di  là,  di  su  di  giù  discorre 
Per  tutta  Francia  ;  e  un  giorno  a  un  ponte 

[arriva, 
Sotto  cui  largo  e  pieno  d'acqua  corre 
Un  fiume  d' alta  e  di  scoscesa  riva. 
Edificato  accanto  avea  una  torre 
Che  d' ognintorno  e  di  lontan  scopriva. 
Quel  che  fé'  quivi,  avete  altrove  a  udire; 
Che  di  Zerbin  mi  convien  prima  dire. 
15 

Zerbin,  da  poi  ch'Orlando  fu  partito, 
Dimorò  alquanto,  e  poi  prese  il  sentiero 
Che  '1  Paladino  inanzi  gli  avea  trito, 
E  mosse  a  passo  lento  il  suo  destriero. 
Non  credo  che  duo  miglia  anco  fosse  ito. 
Che  trar  vide  legato  un  cavalliero 
Sopra  un  picciol  ronzino,  e  d'ogni  Iato 
La  guardia  aver  d'un  cavallier  armato. 
16 

Zerbin  questo  prigion  conobbe  tosto 
Che  gli  fu  appresso,  e  cosi  fé'  Issabella. 
Era  Odorico  il  Biscaglin,  che  posto 
Fu  come  lupo  a  guardia  de  l'agnella. 
L'avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto 
Zerbino  in  confidargli  la  Donzella, 


13.  4.  capri  ;  capriuoli.  V.  e.  vi,  22,  n.  7. 

—  6.  li  pose  a  giacere,  li  uccise.  Berni, 
Jnn.  ir,  VII,  11:  «  E  solea  de'  pai-  suoi  porre 
a  giacere  ». 

—  7-8.  L'  antico  romanzo  francese  rac- 
conta di  Tristano  pazzo  per  Isotta  che  «  egli 
viveva  di  carne  cruda,  perché  ogni  giorno" 
prendeva  bestie  qua  e  là  e  mangiava  poi 
la  carne  con  tutto  il  cuoio  »  —  spoglia  per 
pelle,  cuoio,  non  è  nei  vocabolari. 

14.  5.  Edificato,  ecc.;  questo  fiume  aveva 
appresso  edificata  una  torre;  sul  fiume  era 
stata  edificata  una  torre.  Il  participio  è  dun- 
que usato  come  assolutamente.  V.  e.  v,  58, 
n.  5;  IX,  32,  n.  1;  ma  qui  è  molto  notevole, 
perché  edificato  è  attributo  di  torre. 

—  6.  scopriya  ;  sottint.  il  paese.  Cosi  as- 
solutamente senza  complemeuto  diretto,  non 
è  registrato  nei  vocabolari. 

15.  3.  gli  avea  trito;  gli  avea  battuto,  se- 
gnato. V.  e.  xii,  5i. 

16.  3.  Odorico  ecc.  V.  e.  xiii. 


Sperando  che  la  fede  che  nel  resto    [sto. 

Sempre  avea  avuta, avesse  ancora  in  que- 

17 

Come  era  a  punto  quella  cosa  stata, 
Venia  Issabella  raccontando  allotta: 
Come  nel  palischermo  fu  salvata. 
Prima  ch'avesse  il  mar  la  nave  rotta; 
La  forza  che  l'avea  Odorico  usata; 
E  come  tratta  poi  fosse  alla  grotta. 
Né  giunt'era  anco  al  fin  di  quel  sermone, 
Che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 
18 

I  duo  ch'in  mezzo  avean  preso  Odorico, 
D' Issabella  notizia  ebbeno  vera; 
E  s'avvisaro  esser  di  lei  l'amico, 
E  'I  Signor  lor,  colui  ch'appresso  l'era; 
Ma  più,  che  ne  lo  scudo  il  segno  antico   ■ 
Vider  dipinto  di  sua  stirpe  altiera: 
E  trovar,  poi  che  guardar  meglio  al  viso. 
Che  s'era  al  vero  apposto  il  loro  avviso. 
19 

Saltare  a  piedi,  e  con  aperte  braccia 
Correndo  se  n'andar  verso  Zerbino,   [eia, 
E  l'abbracciaro  ove  il  maggior  s'abbrac- 
Col  capo  nudo,  e  col  ginocchio  chino. 
Zerbin,  guardando  l'uno  e  l'altro  in  faccia, 
Vide  esser  l'un  Corebo  il  Biscaglino, 
Almonio  l'altro,  ch'egli  avea  mandati 
Con  Odorico  in  sul  navilio  armati. 
■20 

Almonio  disse:  Poi  che  piace  a  Dio 
(La  sua  mercé)  che  sia  Issabella  teco, 
Io  posso  ben  comprender.  Signor  mio, 
Che  nulla  cosa  nuova  ora  t'arreco, 
S'io  vo'  dir  la  cagion  che  questo  rio 
Fa  che  cosi  legato  vedi  meco; 
Che  da  costei,  che  più  senti  l'offesa, 
A  punto  avrai  tutta  l'istoria  intesa. 
21 

Come  dal  traditore  io  fui  schernito 
Quando  da  sé  levommi,  saper  dei, 
E  come  poi  Corebo  fu  ferito, 
Ch'a  difender  s'avea  tolto  costei. 
Ma  quanto  al  mio  ritorno  sia  seguito. 
Né  veduto  né  inteso  fu  da  lei. 


18.  2.  notizia,  conoscenza.  V.  e.  vi,  9,  n.  I . 
—  ebbeno.  Gli  antichi  usarono  non  di  rado 
questa  forma  di  passato  remoto  della  se- 
conda coniug.  É  più  popolare  di  ebbono  e 
vive  ancora  nella  plebe  Toscana.  V.  esempi 
in  N.vNNUcci,  Aìial.  crit.,  p.  194. 

—  5.  Ma  pili  che;  ma  più  perché.  V.  e.  i, 
27,  n.  8. 

19.  1.  Salt.  a  piedi;  scesero  da  cavallo.  È 
modo  non  citato  dai  vocabolari. 

—  3.  ove  il  magg.  s' abbr.  È  rinnovata 
l'immagine  dantesca,  Purg.  7:  «  Ed  abbrac- 
cioUo,  ove  il  minor  s'  appiglia  ». 

—  8.  navilio,  iiave.V.  e.  x,  44,  n.  5. 


316 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  te  l'abbia  potuto  riferire: 
Di  questa  parte  dunque  io  ti  ve'  dire. 
22 

Da  la  cittade  al  mar  ratto  io  veniva 
Con  cavalli  ch'in  fretta  avea  trovati. 
Sempre  con  gli  occhi  intenti  s'io  scopriva 
Costor  che  molto  a  dietro  eran  restati. 
Io  vengo  inanzi,  io  vengo  in  su  la  riva 
Del  mare,  al  luogo  ove  io  gli  aveà  lasciati; 
Io  guardo,  né  di  loro  altro  ritrovo, 
Che  ne  l'arena  alcun  vestigio  nuovo. 
23 

La  pesta  seguitai,  che  mi  condusse 
Nel  bosco  fìer,  né  molto  adentro  fui. 
Che,  dove  il  suon  1'  orecchie  mi  percusse, 
Giacere  in  terra  ritrovai  costui. 
Gli  domandai  che  de  )a  Donna  fusse, 
Che  d'Odorico,  e  chi  avea  offeso  lui. 

10  me  n'andai,  poi  che  la  cosa  seppi, 

11  traditor  cercando  per  quei  greppi. 

24  [no 

Molto  aggirando  vommi,eperquelgior- 
Altro  vestigio  ritrovar  non  posso. 
Dove  giacca  Corebò  alfìn  ritorno, 
Che  fatto  appresso  avea  il  terren  si  rosso. 
Che  poco  più  che  vi  facea  soggiorno, 
Gli  saria  stato  di  bisogno  il  fosso, 
E  i  preti  e  i  frati  più  per  sotterrarlo, 
Ch'i  medici  e  che  '1  letto  per  sanarlo. 
25 
Dal  bosco  alla  città  feci  portallo, 
E  posi  in  casa  d'un  ostier  mio  amico, 
Che  fatto  sano  in  poco  termine  hallo 
Per  cura  et  arte  d'un  chirurgo  antico. 
Poi  d'arme  proveduti  e  di  cavallo 
Corebo  et  io  cercammo  d'Odorico, 
Ch'in  corte  del  Re  Alfonso  di  Biscaglia 
Trovammo;  e  quivi  fui  seco  a  battaglia. 
26 
La  giustizia  del  Re,  che  il  loco  franco 


23.  2.  fier,  folto,  selvaggio.  Si  citano  so- 
lamente cinque  esempi  dell'A. 

—  4.  Giacere...  ritrovai;  mi  accorsi  che 
costui  giaceva. 

24.  5.  poco  pili  che,  ecc.  V.  e.  vili,  10,  n.  1. 

—  6.  fosso,  fossa  funebre.  Non  è  citato 
dai  vocabol.  in  questo  senso. 

25.  1.  portano,  portarlo.  V.  e.  il,  3,  4. 

—  2.  posi.  Sottint.  lo.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 

—  4.  antico,  vecchio  e  perciò  pieno  di 
esperienza.  Dante,  Piirg.  9,  l:  «  La  concu- 
bina di  Titone  antico  ». 

26.  1.  loco  franco,  campo  franco;  cioè  un 
luogo,  che  i  Signori  concedevano  nel  loro 
dominio  ai  cavalieri,  per  definirvi  colle 
armi  le  querele  o  questioni  d'onore:  e  si 
diceva  franco,  perché  il  Signore  assicurava 
r  impunità  ai  combattenti  per  le  conse- 
guenze del  duello,  e  li  difendeva  da  ogni 
estranea  violenza. 


'■  De  la  pugna  mi  diede,  e  la  ragione, 
Et  oltre  alla  ragion  la  Fortuna  anco. 
Che  spesso  la  vittoria,  ove  vuol,  pone. 
Mi  giovar  si,  che  di  me  potè  manco 
Il  traditore;  onde  fu  mio  prigione. 
Il  Re,  udito  il  gran  fallo,  mi  concesse 
Di  poter  farne  quanto  mi  piacesse. 

I  27 

Non  l'ho  voluto  uccider  né  lasciarlo, 

1  Ma,  come  vedi,  trarloti  in  catena; 
Perchè  vo'  eh'  a  te  stia  di  giudicarlo, 

;  Se  morire  o  tener  si  deve  in  pena. 
L'avere  inteso  ch'eri  appresso  a  Carlo, 

;  E  '1  desir  di  trovarti  qui  mi  mena. 
Ringrazio  Dio  che  mi  fa  in  questa  parto, 
Dove  lo  sperai  meno,  ora  trovarte. 
28 
Riugraziolo  anco,  che  la  tua  Issabella 
Io  veggo  (e  non  so  come)  che  teco  hai; 
Di  cui,  per  opra  del  fellon,  novella 
Pensai  che  non  avessi  ad  udir  mai. 
Zerbino  ascolta  Almonio,  e  non  favella, 
Fermando  gli  occhi  in  Odorico  assai; 
Non  si  per  odio,  come  che  gì' incresce 
Ch'a  si  mal  fin  tanta  amicizia  gli  esce. 
29 
Finito  ch'ebbe  Almonio  il  suo  sermone, 
Zerbin  riman  gran  pezzo  sbigottito. 
Che  chi  d'ognaltro  men  n'avea  cagione. 
Si  espressamente  il  possa  aver  tradito. 
Ma  poi  che  d'una  lunga  ammirazione 
Fu,  sospirando,  finalmente  uscito, 
Al  prigion  domandò,  se  fosse  vero 
Quel  eh' avea  di  lui  detto  il  cavalliero. 


—  2.  e  la  ragione  ;  È  soggetto,  come  la, 
f/iustUia.  L' aver  ragione  dava  animo  ai 
cavalieri,  i  quali  ritenevano  il  duello  un 
giudizio  di  Dio. 

—  5.  potè.  La  Principe  ha  puote.  V.  e. 
vili,  52,  n.  4, 

—  7.  udito  il  g.  f.  ;  che  avea  già  udito  il 
gr.  f.  Le  ragioni  del  duello  si  esponevano 
al  signore  prima  di  venire  alle  mani.  Fi- 
nito il  duello,  il  Signore,  che  era  anche  giu- 
dice del  campo,  dava  la  sentenza;  nella 
quale  ritenendo,  in  seguito  al  giudizio  di 
Dio,  giuste  le  ragioni  del  vincitore,  lo  met- 
teva in  possesso  de'  suoi  diritti  sul  vinto  ; 
tra  i  quali  principale  era,  in  antico,  il  pos- 
sesso del  vinto  stesso;  più  tardi  invece  si 
dettero  compensi -in  oggetti  e  in  danaro. 

27.  4.  morire  ;  Rileva  dal  contesto  un  de- 
ve. —  in  pena  ;  in  gastigo. 

28.  7.  come  che;  come  perché.  V.  e.  I,  27, 
8  ;  V,  16,  5  e  passim. 

—  8.  esce,  riesce  per  lui  a  si  mal  fine. 
V.  st.  11,  n.  6. 

29.  3.  Che;  sottint.  pensando  che  ecc. 

—  4.  espressamente;  manifestamente. Co- 
si anche  nel  e.  vi,  12,  1. 


CANTO  XXIV 


317 


30 
Il  dfsleal  con  le  giuocchia  in  terra 
Lasciò  cadérsi,  e  disse:  Signor  mio, 
Ognun  che  vive  al  mondo,  pecca  et  erra: 
Né  difl'erisce  in  altro  il  buon  dal  rio, 
8e  non  che  l'uno  è  vinto  ad  ogni  guerra 
Che  gli  vien  mossa  da  un  piccol  desio; 
L'altro  ricorre  all'arme  e  si  difende, 
Ma  se  '1  nimico  è  forte,  anco  ei  si  rende. 

31 
Se  tu  m'avessi  posto  alla  difesa 
D'una  tua  rocca,  e  ch'ai  primiero  assalto 
Alzate  avessi,  senza  far  contesa. 
Degl'inimici  le  bandiere  in  alto; 
Di  viltà,  o  tradimento  che  più  pesa, 
Sugli  occhi  por  mi  si  potria  uno  smalto: 
Ma  s'io  cedessi  a  forza,  son  ben  certo 
Che  biasmo  non  avrei,  ma  gloria  e  merto. 

32 
Sempre  che  l'inimico  è  pili  possente. 
Più  chi  perde  accettabile  ha  la  scusa. 
Mia  fé  guardar  dovea  non  altrimente 
Ch'una  fortezza  d'ognintorno  chiusa. 
Cosi,  con  quanto  senno  e  quanta  mente 
Da  la  somma  Prudenzia  m'era  infusa, 
lo  mi  sforzai  guardarla;  ma  al  fin  vinto 
Da  intolerando  assalto,  ne  fui  spinto. 

33 
Cosi  disse  Odorico,  e  poi  soggiunse, 
Che  saria  lungo  a  ricontarvi  il  tutto, 
Mostrando  che  gran  stimolo  lo  punse, 
E  non  per  lieve  sferza  s'era  indutto. 
Se  mai  per  prieghi  ira  di  cor  si  emunse, 
S' umiltà  di  parlar  fece  mai  frutto. 
Quivi  far  lo  dovea  ;  che  ciò  che  muova 
Di  cor  durezza,  ora  Odorico  trova. 

34 
Pigliar  di  tanta  ingiuria  alta  vendetta, 
Tra  il  si  Zerbino  e  il  no  resta  confuso. 


31.  1-2.  Se...  e  che.  V.  e.  iv,  60,  n.  5. 

—  6.  Sugli  occhi,  ecc.  Por  su  gli  occhi 
uno  smalto  di  viltà  è  modo  figurato  per 
apporre  la  taccia,  accagionare  di  viltà. 
Non  bello  (Casella). 

32.  1.  Sempre  che...  più;  quanto  più.  Modo 
notevole  non  citato  dai  vocabolari. 

—  5.  senno. . .  mente.  Senno  è  avvedi- 
mento aiutato  dalla  esperienza  e  dal  sape- 
re; mente  è  avvedimento  naturale. 

—  S.  ne'fui  spinto;  ne  fui  cacciato.  È  si- 
gnificato non  registrato  dai  vocabolari. 

33.  1-3.  soggiunse...  mostrando,  continuò  a 
parlare...  mosti*.  Significato  notevole  non 
citato  dai  vocabolari. 

—  2.  Che  saria  ecc.  Questo  verso  è  come 
tra  parentesi  :  poiché  sarebbe  lungo  rife- 
rirvi tutte  le  parole  di  Odorico. 

—  5.  si  emanse,  si  tolse  via.  V.  e.  ili,  27, 
n.  S. 

34.  1-2.  L'andamento  sintattico  di  questi 
due  versi  è  poco  regolare.  L'infinito  è  messo 


Il  vedere  il  demerito  lo  alletta 
A  far  che  sia  il  fellon  di  vita  escluso: 
Il  ricordarsi  l'amicizia  stretta 
Ch'era  stata  trar  lor  per  si  lungo  uso. 
Con  l'acqua  di  pietà  l'accesa  rabbia 
Nel  cor  gli  spegne,  e  vuol  che  mercé  n'ab- 

35  [bla. 

Mentre  stava  cosi  Zerbino  in  forse 
Di  liberare,  o  di  menar  captivo, 
0  pur  il  disleal  dagli  occhi  torse 
Per  morte,  o  pur  tenerlo  in  pena  vivo; 
Quivi  rignando  il  palafreno  corse 
Che  Mandricardo  avea  di  briglia  privo; 
E  vi  portò  la  vecchia  che  vicino 
A  morte  dianzi  avea  tratto  Zerbino. 

3G 
Il  palafren,  ch'udito  di  lontano 
Avea  quest'altri,  era  tra  lor  venuto,  - 
E  la  vecchia  portatavi,  ch'in  vano 
Venia  piangendo,  e  domandando  aiuto. 
Come  Zerbin  lei  vide,  alzò  la  mano 
Al  ciel  che  si  benigno  gli  era  suto, 
Che  datogli  in  arbitrio  avea  que'  dui 
Che  soli  odiati  esser  doveau  da  lui. 

37 
Zerbin  fa  ritener  la  mala  vecchia. 
Tanto  che  pensi  quel  che  debba  farne. 
Tagliarle  il  naso  e  l'una  e  l'altra  orecchia 
Pensa,  et  esempio  a'  malfattori  darne. 
Poi  gli  par  assai  meglio,  s'apparecchia 
Un  pasto  agli  avoltoi  di  quella  carne. 
Punizion  diversa  tra  sé  volve; 
E  cosi  finalmente  si  risolve. 

38 
Si  rivolta  ai  compagni,  e  dice:  Io  sono 
Di  lasciar  vivo  il  disleal  contento; 
Che  s'in  tutto  non  merita  perdono. 
Non  merita  anco  si  crudel  tormento. 
Che  viva,  e  che  slegato  sia  gli  dono. 
Però  ch'esser  d'Amor  la  colpa  sento; 
E  facilmente  ogni  scusa  s'admette. 
Quando  in  Amor  la  colpa  si  riflette. 

39 
Amore  ha  volto  sottosopra  spesso 
Senno  più  saldo  che  non  ha  costui; 
Et  ha  condotto  a  via  maggiore  eccesso 
Di  questo,  ch'oltraggiato  ha  tutti  nui. 
Ad  Odorico  debbe  esser  rimesso: 


là  sospeso  come  argomento  del  dubbio  e- 
spresso  nel  verso  seguente.  Regolarmente: 
Se  debba  pigliare  ecc. 

36.  3.  portatavi.  Rileva  dal  contesto  un 
avea^ 

—  6.  snto;  stato.  V.  e.  v,  58,  n.  8. 

38.  4.  Non...  anco;  né  pure.  V.  e.  xvi,  36, 
n.  8. 

—  7.  admette  ;  ammette.  Forma  latina  da 
admittere. 

39.  5.  d.  ess.  rimesso  ;  questo  eccesso. 


318 


ORLANDO  FURIOSO 


Punito  esser  debbo  io  che  cieco  fui  ;  [te 
Cieco  a  dargliene  impresa,  e  non  pormen- 
Che  '1  foco  arde  la  paglia  facilmente. 

40 
Poi  mirando  Odorico:  Io  to'  che  sia 
(Gli  disse)  del  tuo  error  la  penitenza, 
Che  la  vecchia  abbi  un  anno  in  compa- 
Né  di  lasciarla  mai  ti  sia  licenza;    [gnia, 
Ma  notte  e  giorno,  ove  tu  vada  o  stia, 
Un'ora  mai  non  te  ne  trovi  senza; 
E  fin  a  morte  sia  da  te  difesa 
Contra  ciascun  che  voglia  farle  offesa. 

41 
Vo',  se  da  lei  ti  sarà  comandato, 
Che  pigli  contra  ognun  contesa  e  guerra: 
Vo'  in  questo  tempo,  che  tu  sia  ubligato 
Tutta  Francia  cercar  di  terra  in  terra. 
Cosi  dicea  Zerbin;  che  pel  peccato 
Meritando  Odorico  andar  sotterra. 
Questo  era  porgli  inanzi  un'alta  fossa, 
Che  fia  gran  sorte  che  schivar  la  possa. 

42 
Tante  donne,  tanti  uomini  traditi 
Avea  la  vecchia,  e  tanti  offesi  e  tanti. 
Che  chi  sarà  con  lei,  non  senza  liti 
Potrà  passar  de'  cavallieri  erranti. 
Cosi  di  par  saranno  ambi  puniti; 
Ella  de'  suoi  commessi  errori  inanti; 
Egli  di  tome  la  difesa  a  torto, 
Né  molto  potrà  andar  che  non  sia  morto. 

43 
Di  dover  servar  questo,  Zerbin  diede 
Ad  Odorico  un  giuramento  forte, 
Con  patto  che  se  mai  rompe  la  fede, 
E  eh' inanzi  gli  capiti  per  sorte. 
Senza  udir  prieghi  e  averne  più  mercede, 
Lo  debba  far  morir  di  cruda  morte. 
Ad  Almonio  e  a  Corebo  poi  rivolto. 
Fece  Zerbin  che  fu  Odorico  sciolto. 


—  7.  dargliene  impr.  ;  dargli  incarico  di 
questa  cosa.  Cosi  nel  e.  xlv,  54,  7. 

40.  4.  t.  s.  licenza  ;  tu  abbia  licenza.  É  il 
costrutto  latino  di  essere  per  avere,  cosi 
amato  dagli  antichi  e  per  vezzo  anche  dai 
moderni.  Giordani,  Op.  2,  375:  «Ora  non  è 
tempo  a  me  di  produrre,  ecc.  ». 

—  7.  fin  a  morte,  tìuo  a  morirne  per  di- 
fenderla. V.  e.  XXII,  55,  5. 

41.  5.  Cosi  die.  Z.  ;  Zerbino  dicea  fra  sé, 
faceva  questo  ragionamento,  che  cioè,  me- 
ritando Odorico  ecc.,  questo  era  porgli  ecc. 

—  8.  Che  fla,  ecc.  Il  che  è  relativo  di 
fossa;  abbiamo  perciò  il  doppio  comple- 
mento secondo  lo  stile  popolare.  Cosi  nei 
e.  xviii,  120,  C;  XXIII,  104,  8;  xxiv,  83,  5,  e 
altrove. 

42.  4.  passar;  andar.  V.  e.  ii,  19,  1;  vii, 
25,  4. 

—  5.  di  par;  del  pari. 

43.  3-4.  se...  e  che.  V.  c.  iv,  60,  n.  5. 


44 

Corebo,  consentendo  Almonio,  sciolse 
Il  traditor  al  fin,  ma  non  in  fretta; 
Ch'air  uno  e  all'altro  esser  turbato  dolse 
Da  si  desiderata  sua  vendetta. 
Quindi  partissi  il  disleale,  e  tolse 
In  compagnia  la  vecchia  maledetta. 
Non  si  legge  in  Turpin  che  n'  avvenisse; 
Ma  vidi  già  un  autor  che  più  ne  scrisse. 
45 

Scrive  l'autore,  il  cui  nome  mi  taccio, 
Che  non  furo  lontani  una  giornata. 
Che  per  torsi  Odorico  quello  impaccio, 
Contra  ogni  patto  et  ogni  fede  data. 
Al  collo  di  Gabrina  gittò  un  laccio, 
E  che  ad  un  olmo  la  lasciò  impiccata; 
E  ch'indi  a  un  anno  (ma  non  dice  il  loco), 
Almonio  a  lui  fece  il  medesmo  gioco. 
46 

Zerbin  che  dietro  era  venuto  all'orma 
Del  Paladin,  né  perder  la  vorrebbe. 
Manda  a  dar  di  sé  nuove  alla  sua  torma. 
Che  star  senza  gran  dubbio  non  ne  debbe: 
Almonio  manda,  e  di  più  cose  informa, 
Che  lungo  il  tutto  a  ricontar  sarebbe; 
Almonio  manda,  e  a  lui  Corebo  appresso; 
Né  tien,  fuor  che  Issabella,  altri  con  esso. 
47 

Tant'era  l'amor  grande  che  Zerbino, 
E  non  minor  del  suo  quel  che  Issabella 
Portava  al  virtuoso  Paladino; 


44.  3.  turbato  da;  disturbato  da.  Citano 
solo  un  es.  del  Segneri,  Quar.  8,  3  ;  non 
questo  dell' .\. 

—  8.  Ma  vidi,  ecc.  Si  capisce  che  è  uno 
scherzo.  V.  e.  xiii,  40,  n.  2.  È  però  da  av- 
vertire che  anche  la  vecchia  di  Apuleio 
(cfr.  e.  XII,  92,  n.  4)  viene  impiccata  :  «  De 
quodam  ramo  procerae  cupressus  induta 
laqueum  anus  illa  pendebat  ». 

46  3.  alla  s.  torma;  alla  sua  schiera,  che 
non  si  sa  né  come  né  quando  abbia  abban- 
donato, mentre  inseguiva  il  guerrier  vil- 
lano, che,  contro  la  volontà  di  lui,  colpi 
Medoro.  V.  e.  xix,  16;  xx,  117. 

—  4.  Che.  ecc.  ;  Che  deve  stare  in  grande 
incertezza  sulla  sorte  del  suo  condottiero. 

—  5.  informa;  Intendi:  per  mezzo  di  lui 
informa  la  sua  schiera  di  più  cose. 

—  6.  che;  poiché.  È  dichiarazione  del 
pili,  cose  precedente  ;  quasi  dica  :  ho  detto 
più  cose,  giacché  sarebbe  lungo  dir  tutto 
partitamente. 

—  S.  con  esso;  con  sé.  BOCCACCIO,  Rim. 
89:  «  Gabbaron  non  che  altrui,  ma  essi 
stessi  ». 

47.  1-3.  Costruisci:  Era  tanto  grande 
Pam.  che  Z.  portava  al  v.  Pai.,  e  quello, 
non  minor  del  suo,  che  gli  portava  Issab., 
che  ecc. 


CANTO  XXIV 


319 


Tanto  il  desir  d'intender  la  novella, 
Ch'egli  avesse  trovato  il  Saracino 
Che  del  destrier  lo  trasse  con  la  sella; 
Che  non  farà  all'esercito  ritorno, 
Se  non  finito  che  sia  il  terzo  giorno; 

48 
Il  termine  ch'Orlando  aspettar  disse 
Il  cavallier  eh' ancor  non  porta  spada. 
Non  è  alcun  luogo  dove  il  Conte  gisse. 
Che  Zerbin  pel  medesimo  non  vada. 
Giunse  al  fin  tra  quegli  arbori  che  scrisse 
L'ingrata  Donna,  un  poco  fuor  di  strada; 
E  con  la  fonte  e  col  vicino  sasso 
Tutti  li  ritrovò  messi  in  fracasso. 

49 
Vede  lontan  non  sa  che  luminoso, 
E  trova  la  corazza  esser  del  Conte; 
E  trova  l'elmo  poi,  non  quel  famoso  [te; 
Ch'armò  già  il  capo  all'Africano  Almon- 
II  destrier  ne  la  selva  più  nascoso 
Sente  a  nitrire,  e  leva  al  suou  la  fronte; 
E  vede  Brigliador  pascer  per  l'erba, 
Che  dall' arcion  pendente  il  freno  serba. 

50 
Durindana  cercò  per  la  foresta, 
E  fuor  la  vide  del  fodero  starse. 
Trovò,  ma  in  pezzi,  ancor  la  sopravesta 
Ch'in  cento  lochi  il  miser  conte  sparse. 
Issabella  e  Zerbin  con  faccia  mesta 
Stanno  mirando,  e  non  san  che  pensarse: 
Pensar  potrian  tutte  le  cose,  eccetto 
Che  fosse  Orlando  fuor  dell'intelletto. 

51 
Se  di  sangue  vedessino  una  goccia, 
Creder  potrian  che  fosse  stato  morto. 
Intanto  lungo  la  corrente  doccia 
Vider  venire  un  pastorello  smorto. 
Costui  pur  dianzi  avea  di  su  la  roccia 
L'alto  furor  de  l'infelice  scorto. 
Come  l'arme  gittò,  squarciossi  i  panni, 


—  6.  Che  d.  dest.  V.  e.  xxiii,  87,  98. 

48.  1.  il  termine,  ecc.  V.  e.  XXIII,  98. 

—  5.  che  scrisse.  Si  può  intendere  ìiei 
.  Quali  scrisse  (cfr.  e.  xiii,  37,  n.  5);  e  anche 

i  quali  segnò  con  parole. 

—  8.  m.  in  fracasso  ;  fracassati.  Nel  e.  i,  72,  ! 
7,  molare  a  fracasso;  nel  e.  xxii,  23  far  , 
fracasso;  tutti  modi  nuovi  formati  dall'A.  [ 

49.  3.  Non  q.  famoso.  Quello  era  stato  preso 
da  Angelica  e  quindi  da  Ferraù.  V.  e.  xii,  i 
43  segg.  : 

—  6.  Sente  a  nitr.  ;  Regolarm.  sente  iti- 
trire.  È  un  costrutto  dialettale,  ancora  in  ■ 
uso  nel  settentrione  d' Italia.    .  ! 

51.  I.  vedessino,  vedessero.  Forma  popò-  j 
lare  ancor  viva  nella  plebe  Toscana.  j 

—  3.  la  corr.  doccia;  il  ruscello,  presso  il 
quale  impazzì  Ori.  cfr.  e.  xxiii,  105,  5.  Dante 
usò  doccia  per  canaletto,  dove  corre  l' ac- 
qua; Inf.  14,  117.  I 


Pastori  uccise,  e  fé'  mill' altri  danni. 
52 

Costui,  richiesto  da  Zerbin,  gli  diede 
Vera  informazion  di  tutto  questo. 
Zerbin  si  maraviglia,  e  a  pena  il  crede; 
E  tuttavia  n'ha  indizio  manifesto. 
Sia  come  vuole,  egli  discende  a  piede, 
Pien  di  pietade,  lacrimoso  e  mesto; 
E  ricogliendo  da  diversa  parte 
Le  reliquie  ne  va,  ch'erano  sparte. 
53 

Del  palafren  discende  anco  Issabella, 
E  va  quell'arme  riducendo  insieme. 
Ecco  lor  sopraviene  una  donzella 
Dolente  in  vista,  e  di  cor  spesso  geme. 
Se  mi  domanda  alcun,  chi  sia,  perch'ella 
Cosi  s'affligge,  e  che  dolor  la  preme; 
Io  gli  risponderò  che  è  Fiordiligi 
Che  de  l'amante  suo  cerca  i  vestigi. 
54 

Da  Brandimarte  senza  farle  motto 
Lasciata  fu  ne  la  città  di  Carlo, 
Dov'ella  l'aspettò  sei  mesi  od  otto; 
E  quando  al  fin  non  vide  ritornarlo, 
Da  un  mare  all'altro  si  mise,  fin  sotto 
Pirene  e  l'Alpe,  e  per  tutto  a  cercarlo: 
L'andò  cercando  in  ogni  parte,  fuore 
Ch'ai  palazzo  d'Atlante  incantatore. 
55 

Se  fosse  stata  a  quell'  ostel  d'Atlante, 
Veduto  con  Gradasso  andare  errando 
L'avrebbe,  con  Ruggier,con  Bradamaute, 
E  con  Ferraù  prima,  e  con  Orlando. 
Ma  poi  che  cacciò  Astolfo  il  Negromante 
Col  suon  del  corno  orribile  e  mirando, 
Brandimarte  tornò  verso  Parigi; 
Ma  non  sapea  già  questo  Fiordiligi. 
56 

Come  io  vi  dico,  sopraggiunta  a  caso 
A  quei  duo  amanti  Fiordiligi  bella. 
Conobbe  l'arme,  e  Brigliador  rimaso 
Senza  il  patrone,  e  col  freno  alla  sella. 
Vide  cogli  occhi  il  miserabil  caso, 
E  n'ebbe  per  udita  anco  novella; 
Che  similmente  il  pastorel  narrolle 
Aver  veduto  Orlando  correr  folle. 


52.  S.  reliquie  ;  Qui  ha  un  significato  nuovo 
dedotto  dal  latino  relinquo  ;  ciò  che  avea 
lasciato,  cioè  le  armi  e  le  vesti. 

53.  5.  Se  mi  dom.  alo.  V.  la  nota  1,  e.  i,  45. 

—  7.  Fiordiligi.  V.  e.  vili,  90. 

54.  3.  sei  mesi,  ecc.  Nel  e.  vili,  90  dice 
che  lo  aspettò  quasi  un  mese;  è  un  piccolo 
errore  di  memoria. 

—  4.  vide  ritornarlo;  lo  vide  ritornare. 
V.  e.  i,  47,  n.  6. 

—  5.  Da  un  m.  all'  a.  ;  dal  mare  di  Pro- 
venza a  quel  di  Brettagna,  traversando  cosi 
tutta  la  Francia. 


320 


ORLANDO  FURIOSO 


Quivi  Zerbia  tutte  raguna  l'arme, 
E  ne  fa  come  un  bel  trofeo  su  'n  pino; 
E  volendo  vietar  che  non  se  n'arme 
Cavallier  paesan  né  peregrino, 
Scrive  nel  verde  ceppo  in  breve  carme: 
Armatura  d'Orlando  Paladino; 
Come  volesse  dir:  Nessun  la  muova, 
Che  star  non  possa  con  Orlando  a  prova. 
58 

Finito  ch'ebbe  la  lodevol  opra, 
Tornava  a  rimontar  sul  suo  destriero  ; 
Et  ecco  Mandricardo  arrivar  sopra, 
Che  visto  il  pin  di  quelle  spoglie  altiero, 
Lo  priega  che  la  cosa  gli  discuopra: 
E  quel  gli  narra,  come  ha  inteso,  il  vero. 
Allora  il  Re  pagan  lieto  non  bada, 
Che  viene  al  pino,  e  ne  leva  la  spada. 

59  [dere: 

Dicendo:  Alcun  non  me  ne  può  ripren- 
Non  è  pur  oggi  ch'io  l'ho  fatta  mia, 
Et  il  possesso  giustamente  prendere 
Ne  posso  in  ogni  parte,  ovunque  sia. 
Orlando  che  temea  quella  difendere, 
S'ha  finto  pazzo,  e  l'ha  gittata  via; 
Ma  quando  sua  viltà  pur  cosi  scusi. 
Non  debbe  far  ch'io  mia  ragion  non  usi. 
60 

Zerbino  a  lui  gridava:  Non  la  tórre, 
O  pensa  non  l'aver  senza  questione. 
Se  togliesti  cosi  l'arme  d'Ettorre, 
Tu  l'hai  di  furto,  pili  che  di  ragione. 
Senz'altro  dir  l'uu  sopra  l'altro  corre, 
D' animo  e  di  virtù  gran  paragone. 
Di  cento  colpi  già  rimbomba  il  suono; 


57.  3.  vietar  che  non.  V.  e.  v,  53,  n.  1. 

—  5.  carme,  iscrizioue.  Cosi  nel  e.  xxxvi, 
42,  dove  per  sineddoche  si  ha  il  plurale.  È 
uso  derivato  dai  Latini  :  VtRc.  En.  3,  2S7  : 
«et  rem  Carmine  signo  »  e  Egl.  5,  42:  «tu- 
mulo superaddite  carmen  ».  Anche  il  Tasso, 
Ger.  19,  63. 

58.  3.  arrivar  sopra,  soprarrivare  a  lui, 
a  Zerbino. 

—  7,  non  bada;  non  aspetta.  V.  e.  xii,  37, 
n.  5. 

—  8.  Che.  Può  esser  relat.  di  re  pagan; 
0  anche  per  giacché. 

59.  2.  Non  è  p.  oggi  ;  non  solo  oggi  ma  fin 
da  quando  superai  gli  ostacoli  al  castello 
della  fata  di  Soria.  V.  Innam.  Ili,  ii-  E  Fur. 
XIV,  31,  n.  4. 

—  6.  S'ha  finto  p.  ;  s'è  fìnto  p.  V.  For- 
NACIARI,  Sint.  p.   150. 

—  7.  quando...  pur;  quand'anche. 

60.  4.  di  furto...  di  rag.;  in  forza  di  un 
furto  non  in  forza  di  ragione.  È  un  signi- 
ficato comune  nelle  espressioni  di  diritto, 
di  ragione,  di  contrabbando,  di  prepo- 
tenza, ecc. 

—  6.  gr.  paragone.  V.  e.  IV,  62,  n.  5. 


Né  bene  ancor  ne  la  battaglia  sono. 
61 

Di  prestezza  Zerbin  pareXma  fiamma 
A  tòrsi,  ovunque  Durindana  cada. 
Di  qua  di  là  saltar  come  una  damma 
Fa'!  suo  destrier,  dove  èmigliorla  strada. 
E  ben  convien  che  non  ne  perda  dramma; 
Ch'andrà,  s'un  tratto  il  coglie  quella  spa- 
A  ritrovar  gl'innamorati  spirti  (da, 

Ch'empion  la  selva  degli  ombrosi  mirti. 
6-2 

Come  il  veloce  can  che  '1  porco  assalta, 
Che  fuor  del  gregge  errar  vegga  nei  campi, 
Lo  va  aggirando,  e  quinci  e  quindi  salta; 
Ma  quello  attende  ch'una  volta  inciampi: 
Cosi,  se  vien  la  spada  o  bassa  od  alta. 
Sta  mirando  Zerbin  come  ne  scampi; 
Come  la  vita  e  l'onor  salvi  a  un  tempo, 
Tien  sempre  l'occhio,  e  fiere  e  fugge  a  tem- 

63  [pò. 
Da  l'altra  parte  ovunque  il  Saracino 

La  fiera  spada  vibra  o  piena  o  vota, 
Sembra  fra  due  montagne  un  vento  alpino 
Ch'una  frondosa  selva  il  marzo  scuota; 
Ch'ora  la  caccia  a  terra  a  capo  chino, 
Or  gli  spezzati  rami  in  aria  i-uota. 
Benché  Zerbin  più  colpi  e  fuggia  e  schivi, 

[rivi. 
Non  può  schivar  al  fin,  eh' un  non  gli  ar- 

64  [te 
Non  può  schivare  al  fi  ne  un  gran  fenden- 

Che  tra  '1  brando  e  lo  scudo  entra  sul  petto. 
Grosso  l'usbergo,  e  grossa  parimente 
Era  la  piastra,  e  '1  panziron  perfetto: 


61.  1.  Di  prestezza.  È  complemento  di  li- 
mitazione. V.  e.  VII,  10,  n.  6:  Per,  in  pre- 
stezza, Z.  pare  una  f.  a  tòrsi  ovunque,  ecc. 

—  5.  non  ne  p.  dramma;  non  perda  pure 
una  piccolissima  parte  della  migliore  strada 
per  isfuggire  ai  ripetuti  colpi.  Dramma  si 
prende  per  piccolissima  parte  di  qualsiasi 
cosa,  ma  propriam.  è  misura  di  peso,  l'ot- 
tava parte  dell'  oncia. 

—  8.  la  selva,  ecc.  Si  allude  alla  selva 
dei  mirti  nei  campi  Elisi,  dove  Virgilio, 
En.  6,  pone  le  anime  degli  amanti.  Petr., 
Tr.  am.  i,  150:  «gran  parte  Empion  del 
bosco  degli  ombrosi  mirti  ».  Zerbino  cam- 
peggia nel  poema  come  amante  di  Isabella. 

62.  2.  fuor  d.  gregge;  fuor  d.  branco. 

—  4.  Ma  q.  attende,  ecc.  ;  ma  il  cane  at- 
tende che  il  porco  inciampi,  perché  non  si 
attenta  ad  assalirlo  e  cerca  di  stancarlo: 
cosi  Zerbino  fa  con  Mandr. 

63.  2.  0  piena  o  vota;  o  a  pieno  0  a  vuo- 
to ;  o  colpendo  o  no. 

—  7.  fuggia  ;  fugga.  Forma  già  usata  da 
Dante,  Inf.  15,  6  :  «  perché  '1  mar  si  fug- 


64.  4.  piastra;  V.  e.  i,  17,  n.  3. 


panai- 


CANTO  XXIV 


321 


Pur  non  gli  steron  contra,  et  ugualmente 
Alla  spada  crudel  dieron  ricetto. 
Quella  calò  tagliando  ciò  che  prese, 
La  corazza  e  l'arcion  fin  su  l'arnese: 

65 
E  86  non  che  fu  scarso  il  colpo  alquanto, 
Per  mezzo  lo  fendea  come  una  canna; 
Ma  penetra  nel  vivo  a  pena  tanto. 
Che  poco  più  che  la  pelle  gli  danna. 
La  non  profunda  piaga  è  lunga  quanto 
Non  si  misureria  con  una  spanna. 
Le  lucid'arme  il  caldo  sangue  irriga. 
Per  sino  al  pie,  di  rubiconda  riga. 

66 
Cosi  talora  un  bel  purpureo  nastro 
Ho  veduto  partir  tela  d'argento 
Da  quella  bianca  man  più  ch'alabastro, 
Da  cui  partire  il  cor  spesso  mi  sento. 
Quivi  poco  a  Zerbin  vale  esser  mastro 
Di  guerra,  et  aver  forza  e  più  ardimento; 
Che  di  finezza  d'arme  e  di  possanza 
Il  Ke  di  Tartaria  troppo  l'avanza. 


rone,  una  parte  dell'  armatura  che  copriva 
la  pancia. 

—  8.  arnese.  V.  e.  xvii,  101,  n.  7. 

65.  1.  se  non  che,  ecc.  V.  e.  XXI,  42,  n.  5. 
—  scarso,  in  lunghezza. 

—  4.  danna;  offende,  danneggia.  Si  cita 
un  esempio  del  Libro  di  Cato,  1,  2,  24:  «Più 
lievemente  danna  quello,  che  dinanzi  è  pre- 
veduto (levius  laedit  quidquid  praevidimus 
ante)  ». 

66.  1.  Cosi',  ecc.  Il  Dolce,  1' Orologi  e  con 
loro  il  Barotti  e  il  Molini  spiegano  :  Cosi 
talora  ho  veduto  un  bel  nastro  porporino 
legato  per  monile  al  polso  della  donna  a- 
raata  partire,  cioè  distinguere  dalla  bianca 
mano  di  lei  la  tela  d'  argento  che  le  veste 
il  braccio.  Altri  seguono  il  Foi"nari,  che 
racconta  come,  essendo  l'A.  a  Firenze,  Ales- 
sandra Benucci,  donna  del  suo  cuore,  fu  da 
lui  veduta  ricamare  le  sopravvesti  d' ar- 
gento a  liste  purpuree  per  i  suoi  figliuoli; 
■«  il  perché  a  lui  prestò  occasione  d'accomo- 
dare quella  vaga  comparazione  della  tela 
argentea,  distinta  di  rossi  nastri,  al  sangue 
che  rigava  la  lucente  armatura  di  Zerbino  ». 
Sia  vera  o  immaginata  tal  circostanza,  è 
certo  preferibile  questa  interpretazione  per 
chi  pensi  che,  neh'  altra,  primo  sarebbe 
strano  un  monile  di  nastro  ;  secondo,  il  pa- 
ragone zoppicherebbe,  perché,  mentre  il 
sangue  listava  la  corazza,  questo  monile 
segnerebbe  invece  una  separazione  fra  la 
carne  e  la  tela  d'argento  ;  terzo  finalmente 
una  lista  rossa  lunga  e  dritta  in  un  campo 
argenteo  mal  si  può  rassomigliare  a  un  cer- 
chietto rosso,  che  cinge  il  polso.  Quanto 
alla  prep.  da  che  in  questa  seconda  inter- 
pret.  deve  intendersi  come  per,  per  ope- 


67 

Fu  questo  colpo  del  Pagan  maggiore 
In  apparenza,  che  fosse  in  eff'etto; 
Tal  ch'Issabella  se  ne  sente  il  core 
Fendere  in  mezzo  all'agghiacciato  petto. 
Zerbin  pien  d'ardimento  e  di  valore 
Tutto  s'infiamma  d'ira  e  di  dispetto; 
E  quanto  più  ferire  a  due  man  puote. 
In  mezzo  l'elmo  il  Tartaro  percuote. 
68 

Quasi  sul  collo  del  destrier  piegosse 
Per  l'aspra  botta  il  Saracin  superbo; 
E  quando  l'elmo  senza  incanto  fosse, 
Partito  il  capo  gli  avria  il  colpo  acerbo. 
Con  poco  differir  ben  vendicosse; 
Né  disse:  A  un'altra  volta  io  te  la  serbo: 
E  la  spada  gli  alzò  verso  l'elmetto. 
Sperandosi  tagliarlo  infin  al  petto. 
69 

Zerbin,  che  tenea  l'occhio  ove  lamento. 
Presto  il  cavallo  alla  man  destra  volse; 
Non  si  presto  però,  che  la  tagliente 
Spada  fuggisse,  che  lo  scudo  colse.      [te, 
Da  sommo  ad  imo  ella  il  parti  egualmen- 
E  di  sotto  il  braccial  roppe  e  dlsclolse; 
E  lui  feri  nel  braccio;  e  poi  l'arnese 
Spezzògli,  e  ne  la  coscia  anco  gli  scese. 


ra,  per  mezzo,  confronta  questo  es.  del 
Boccaccio,  Nov.  Giorn.  1,  fine  :  «  discen- 
deva in  una  valle  ombrosa  da  molti  alberi  ». 
Conferma  questa  interpret.  il  luogo  d'Ome- 
ro, da  cui  ha  tolto  ispirazione  l' A.  //.  4, 
16S:  «Come  quando  Meonia  o  Caria  donna 
Tinge  d'  ostro  un  avorio,  onde  fregiarne  Di 
superbo  destriero  le  mascelle...  Cosi  di  san- 
gue imporporossi,  Atride,  La  tua  bell'anca 
e  per  lo  stinco  all'  imo  Calcagno  corse  la 
vermiglia  riga  ». 

67.  7.  ferire;  percuotere.  V.  e.  ii,  76,  n.  3. 
Percuote  il  Tartaro  quanto  più  forte  può 
percuotere  con  due  mani. 

68.  3.  fosse;  fosse  stato.  Alcuni  credono 
che  sia  un  vero  passato  dal  latino  fuisset 
e  confrontano  quel  di  Dante,  Inf.  26,  70  : 
«  Se  non  fosse  il  mal  prete  a  cui  mal  prenda, 
che  mi  rimise  nelle  prime  colpe  »;  ma  è  più 
probabile  che  qui  e  negli  altri  esempi  sia 
imperfetto  e  si  abbia  un  trapasso  brusco  di 
tempi  come  si  trova  in  molti  scrittori  e  come 
tante  volte  abbiamo  notato  neh' A.  V.  e.  i, 
81,  3;  vili,  52,  4;  xxiv,  26,  5;  iv,  80,  8; 
xxxu,  84,  3  ;  ecc. 

—  8.  Sperandosi.  V.  e.  v,  20,  n.  3. 

69.  4.  fuggisse,  sfuggisse,  evitasse. 

—  5.  ugualmente,  in  parti  eguali. 

—  6.  E  di  sotto,  ecc.  e  dalla  parte  di  sotto 
dello  scudo  tagliò  il  bracciale,  che  lo  legava 
al  braccio. 

—  7.  arnese.  V.  sopra,  st.  61,  3. 


Akiosto  —  Papini 


Ì99 


ORLANDO  FURIOSO 


70 
Zerbiu  di  qua  di  là  cerca  ogni  via. 
Né  mai  di  quel  che  vuol,  cosa  gli  avviene; 
Che  l'armatura  sopra  cui  feria. 
Un  piccol  segno  pur  non  ne  ritiene. 
Da  l'altra  parte  il  Re  di  Tartaria 
.Sopra  Zerbino  a  tal  vantaggio  viene, 
Che  rha  ferito  in  sette  parti  o  in  otto. 
Tolto  lo  scudo,  e  mezzo  l'elmo  rotto. 

71 
Quel  tuttavia  piùvaperdendo  il  sangue; 
Manca  la  forza,  e  ancor  par  che  noi  senta. 
Il  vigoroso  cor  che  nulla  langue, 
Val  si,  che  '1  debol  corpo  ne  sostenta. 
La  Donna  sua,  per  timor  fatta  esangue, 
In  tanto  a  Doraiice  s'appresenta, 
E  la  priega  e  le  supplica  per  Dio, 
Che  partir  voglia  il  fiero  assalto  e  rio. 

72 
Cortese,  come  bella,  Doraiice, 
Né  ben  sicura  come  il  fatto  segua, 
Fa  volentier  quel  ch'Issabella  dice,  [gua. 
E  dispone  il  suo  amante  a  pace  e  a  trie- 
Cosi  a  prieghi  de  l'altra  l'ira  ultrice 
Di  cor  fugge  a  Zerbino  e  si  dilegua; 
Et  egli,  ove  a  lei  par,  piglia  la  strada, 
Senza  finir  l'impresa  de  la  spada. 

73 
Fiordiligi,  che  mal  vede.difesa 
La  buona  spada  del  misero  Conte, 
Tacita  ducisi;  e  tanto  le  ne  pesa, 
Che  d'ira  piagne,  e  battesi  la  fronte. 
Vorria  aver  Brandimarte  a  quella  impre- 
E  se  mai  lo  ritrova  e  gli  lo  conte,        [sa; 
Non  crede  poi  che  Mandricardo  vada 
Lunga  stagion  altier  di  quella  spada. 

74 
Fiordiligi  cercando  pure  in  vano 
Va  Brandimarte  suo  matina  e  sera; 


E  fa  carain  da  lui  molto  lontano, 
Da  lui  che  già  tornato  a  Parigi  era. 
Tanto  ella  se  n'andò  per  monte  e  piano, 
Che  giunse  ove,  al  passar  d'una  riviera, 
Vide  e  conobbe  il  miser  Paladino; 
Ma  diciàn  quel  ch'avvenne  di  Zerbino: 
75 
Che  '1  lasciar  Durindana  si  gran  fallo 
Gli  par,  che  più  d'ogn' altro  mal  gl'incre- 

[sce  ; 
Quantunque  a  pena  star  possa  a  cavallo 
Pel  molto  sangue  che  gli  è  uscito  et  esce. 
Or,  poi  che  dopo  non  troppo  intervallo 
Cessa  con  l'ira  il  caldo,  il  dolor  cresce: 
Cresce  il  dolor  si  impetuosamente, 
Che  mancarsi  la  vita  se  ne  sente. 
76 
I  Per  debolezza  più  non  potea  gire  ; 

Si  che  fermossi  appresso  una  fontana. 
!  Non  sa  che  far,  né  che  si  debba  dire 
Per  aiutarlo  la  Donzella  umana. 
Sol  di  disagio  lo  vede  morire; 
Che  quindi  è  troppo  ogni  città  lontana, 
i  Dove  in  quel  punto  al  medico  ricorra, 
Che  per  pietade  o  premio  gli  soccorra. 
77 
Ella  non  sa,  se  non  in  van  dolersi, 
Chiamar  fortuna  e  il  cielo  empio  e  crudele. 
Perché,  ahi  lassa  !  (dicea)  non  mi  .sommer- 
Quando  levai  ne  l'Ocean  le  vele?  [si 

Zerbin  che  i  languidi  occhi  ha  in  lei  con- 
sente pili  doglia  ch'ella  si  querele,  [versi,. 
Che  de  la  passìou  tenace  e  forte 
Che  l'ha  condutto  omai  vicino  a  morte. 
78 
Cosi,  cor  mio,  vogliate  (le  diceva), 
Dopo  ch'io  sarò  morto,  amarmi  ancora^ 


70.  6.  a  tal  v.  viene;  arriva  adayeretal 
vantaggio  sopra  Zerb. 

71.  3.  nulla,  per  nulla.  V.  e.  xi,  51,  n.  1. 

—  4.  ne  ;  É  pleonasmo. 

—  7.  le  supplica.  Dice  il  Tommaseo  che 
supplicare  a  uno  dice  T  atto  umile  esterno, 
o  almeno  supplicazione  più  intensa.  Si  sup- 
plica a  Dio,  si  supplica  uìi  principe,  un 
padre.  Ma  la  distinzione,  che  qui  ha  valore, 
non  è  sempre  osservata. 

72.  2.  Né  ben  sicura  ecc.  Né  ben  sicura 
come  possa  andare  a  Unire  ;  temendo  che 
possa  aver  la  peggio  Mandricardo. 

—  5.  a  prieghi,  ai  pr.  V.  e.  il,  15,  n.  8. 

—  8.  r  impresa  d.  1.  s.;  il  combattimento 
per  la  spada  d'  Ori. 

—  73.  6.  ritrova...  conte.  Nota  la  finezza 
di  questo  congiunt.  L' indicai,  ritrova  dice 
la  ferma  speranza  di  ritrovarlo,  il  coug. 
conte  accenna  al  dubbio  se  gli  rivelerà  l'ac- 
caduto, per  non  esporlo  a  nuovi  pericoli. 


74.  8.  diciàn  ;  diciani.  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 

75.  1.  Che,  ecc.  È  uno  di  quei  cfie,  che  il 
popolo  mette  là  vagamente  senza  riferi- 
mento sintattico  determinato,  ma  che  nel- 
l'intenzione sono  relativi.  Qui  dunque  si  ri- 
ferisce a  Zerbino:  che.  ..  gli  =  al  quale. 
Vedine  un  simile  nel  xx,  63,  7. 

76.  —  La  situazione  e  alcuni  particolari 
son  tolti  dall'  episodio  di  Piramo  e  Tisbe 
(Ovidio,  Metani,  iv,  54)  e  da  quello  di  Iroldo 
e  Tisbina  {Innamorato,  I,  xii,  51  segg.).  IL 
Boiardo  fu  il  primo  ad  attingere  a  fonte 
latina. 

—  5.  Sol  di  dis.  ecc.  Ecco  solo  ciò  che 
fa  :  sta  a  vederlo  morire. 

—  7.  in  quel  punto;  in  quel  frangente, 
in  quel  momento. 

77.  7.  passion  ;  patimenti,  sofferenze.  Cosi 
dicesi  :  la  ^jassione  di  Nostro  Signore. 

78.  1.  Cobi...  vogliate...  come,  ecc.  Cosi 
duri  in  voi  nel  futuro  l'amore  per  me,  come 
adesso  addolora  me  il  lasciarvi  ecc. 


CANTO  XXIV 


323 


Come  solo  il  lasciarvi  è  che  m'aggreva 
Qui  senza  guida  e  non  già  perch'io  mora: 
Che  se  in  sicura  parte  m'accadeva 
Finir  de  la  mia  vita  l'ultima  ora. 
Lieto  e  contento  e  fortunato  a  pieno 
Morto  sarei,  poi  ch'io  vi  moro  in  seno. 
79 
Ma  poi  che  '1  mio  destino  iniquo  e  duro 
Vuoi  ch'io  vi  lasci,  e  non  so  in  man  di  cui  ; 
Per  questa  bocca,  e  per  questi  occhi  giuro, 
Per  queste  chiome  onde  allacciato  fui, 
Che  disperato  nel  profondo  oscuro 
Vo  de  lo  'nferno,  ove  il  pensar  di  vui 
,    Ch'abbia  cosi  lasciata,  assai  più  ria 
!    Sara  d'ogn' altra  pena  che  vi  sia. 
80 
A  questo  la  mestissima  Issabella, 
Declinando  la  faccia  lacrimosa 
E  congiungendo  la  sua  bocca  a  quella 
Di  Zerbin,  languidetta  come  rosa, 
Rosa  non  colta  in  sua  stagion,  si  ch'ella 
Impallidisca  in  su  la  siepe  ombrosa. 
Disse:  Non  vi  pensate  già,  mia  vita, 
Far  senza  me  quest'ultima  partita. 
81 
Di  ciò,  cor  mio,  nessun  timor  vi  tocchi; 
Ch'io  vo'  seguirvi  o  in  cielo  o  ne  lo  'nferno. 
Convien  che  l'uno  e  l'altro  spirto  scocchi, 
Insieme  vada,  insieme  stia  in  eterno. 
Non  si  tosto  vedrò  chiudervi  gli  occhi, 
O  che  m'ucciderà  il  dolore  interno, 
O  se  quel  non  può  tanto,  io  vi  prometto 
Con  questa  spada  oggi  passarmi  il  petto. 

De  corpi  nostri  ho  ancor  non  poca  spe- 
Che  me'  morti,  che  vivi  abbian  ventura. 


—  3.  m'aggrera,  mi  fa  dispiacere.  V.  e. 
I,  26,  n.  7. 

—  4.  perché  io  mora  ;  che  io  m.  Dante, 
Purg.  6,  SS  :  «  Che  vai  perchè  ti  raccon- 
ciasse il  freno  ecc.  ». 

79.  4.  onde  allacciato  f.  ;  preso  nei  lacci 
d'  amore. 

—  5.  disperato  ;  giuro  che  io  sono  dispe- 
rato, e  come  tale  andrò  all'  inferno. 

—  7.  Ch'  abbia.  Per  questo  congiuut.  cfr. 
e.  XXIII,  25,  u.  4. 

80.  ó.  in  8.  stagion;  non  colta  a  suo  tempo, 
nel  tempo  opportuno,  sicché  si  lasci  trapas- 
sare sulla  pianta.  Stagione  significa  spesso 
tempo,  nel  quale  le  cose  sono  nella  loro 
perfezione.  Ariosto,  Lena,  2,  3  :  «  Or  che 
l'arrosto  è  in  stagion  vieni  andiamone  A 
mangiar  >. 

81.  3.  scocchi,  parta  dal  nostro  corpo  come 
freccia  scocca  dall'  arco.  Qui  non  v'  è  che 
r  idea  di  partire. 

—  6.  0  che  ;  V.  e.  IV,  35,  n.  5. 

82.  2.  ma';  meglio.  Dante,  Inf.  2,  36:  «Se' 
savio  e  intendi  me'  eh'  io  non  ragiono  ». 


Qui  forse  alcun  capiterà,  chMnsierae, 
Mosso  a  pietà,  darà  lor  sepoltura. 
Cosi  dicendo,  le  reliquie  estreme 
De  lo  spirto  vital  che  morte  fura, 
Va  ricogliendo  con  le  labra  meste, 
Fin  ch'una  minima  aura  ve  ne  reste. 
83 

Zerbin  la  debol  voce  riforzando, 
Disse:  Io  vi  priego  e  supplico,  mia  Diva, 
Per  quello  amor  che  mi  mostraste,  quando 
Per  me  lasciaste  la  paterna  riva; 
E  se  comandar  posso,  io  vel  comando, 
Che,  fin  che  piaccia  a  Dio,  restiate  viva; 
Né  mai  per  caso  pogniate  in  oblio,      [io. 
Che,  quanto  amar  si  può,  v'  abbia  amato 
84 

Dio  vi  provederà  d'aiuto  forse, 
Per  liberarvi  d'ogni  atto  villano. 
Come  fé'  quando  alla  spelonca  torse, 
Per  indi  trarvi,  il  Senator  Romano. 
Cosi  (la  sua  mercé)  già  vi  soccorse 
Nel  mare,  e  contra  il  Biscaglin  profano: 
E  se  pure  avverrà  che  poi  si  deggia 
Morire,  allora  il  minor  mal  s'eleggia. 
85 

Non  credo  che  quest'ultime  parole 
Potesse  esprimer  si,  che  fosse  inteso; 
E  fini  come  il  debol  lume  suole. 
Cui  cera  manchi  od  altro  in  che  sia  acceso. 
Chi  potrà  dire  a  pien  come  si  duole, 
Poi  che  si  vede  pallido  e  disteso. 
La  giovanotta,  e  freddo  come  ghiaccio 
Il  suo  caro  Zerbin  restare  in  braccio? 


—  7.  Va  rie.  ViRG. ,  En.  i,  084,  fa  dire 
ad  Anna,  che  sta  su  Didone  morente  :  «  extre- 
mus  siquis  super  halitus  errat  Orelegam  ». 

83.  2.  diva.  Cosi  nel  e.  xii,  29,  4  :  e  dea 
nel  e.  XII,  6,  3. 

—  4.  riva.  V.  e.  XIII,  13,  7. 

—  7.  pogniate.  È  notevole  che  nella  pri- 
ma ediz.  si  aveva  la  iorma. poniate ,  che  poi 
r  A.  cambiò  con  questa,  la  quale  sa  più 
d' antico. 

—  8.  t'  abbia.  Per  il  cong.  cfr.  e.  xxiii, 
25,  n.  4. 

84.  2.  d'  ogni  ecc.  ;  da  ogni  ecc.  V.  e.  v, 
10,  n.  5. 

—  3.  torse  il  Senator  R.  ;  piegò,  rivolse 
Orlando.  V.  e.  ix,  8S,  n.  3. 

—  6.  profano  ;  (lat.  profanus),  empio. 
Cosi  Dante,  Inf.  6,  21  :  «  Volgonsi  spesso  i 
miseri  profani  ». 

—  S.  il  minor  m.  ecc.;  moinre  piuttosto, 
che  sopportare  qualche  atto  villano.  Cosi 
l'A.  prepara  alla  morte  d'Isabella. 

85.  3.  E  fini  come,  ecc.  Petr.,  Trionf. 
Morte,  I,  163:  «  A  guisa  d'un  soave  e  chia- 
ro lume.  Cui  nutrimento  a  poco  a  poco 
manca  ». 


324 


ORLANDO  FURIOSO 


86 
Sopra  il  sanguigno  corpo  s'abbandona, 
E  di  copiose  lacrime  lo  bagna; 
E  stride  si,  ch'intorno  ne  risuona 
A  molte  miglia  il  bosco  e  la  campagna. 
Né  alle  guancie  né  al  petto  si  perdona, 
Che  l'uno  e  l'altro  non  percuota  e  fragna; 
E  straccia  a  torto  l'auree  crespe  chiome. 
Chiamando  sempre  in  vau  l'amato  nome. 

87 
In  tanta  rabbia,  in  tal  furor  sommersa 
L'avea  la  doglia  sua,  che  facilmente 
Avria  la  spada  in  sé  stessa  conversa. 
Poco  al  suo  amante  in  questo  ubidiente; 
S'uno  Eremita  ch'alia  fresca  e  tersa 
Fonte  avea  usanza  di  tornar  sovente 
Da  la  sua  quindi  non  lontana  cella. 
Non  s'opponea,  venendo,  al  voler  d'ella. 

88 
Il  venerabile  uom,  ch'alta  boutade 
Avea  congiunta  a  naturai  prudenzia. 
Et  era  tutto  pien  di  caritade, 
Di  buoni  esempi  ornato  e  d'eloquenzia, 
Alla  giovan  dolente  persuade 
Con  ragioni  efficaci  pazienza; 
Et  inanzi  le  pon,  come  uno  specchio, 
Donnedel Testamento  e  nuovo  e  vecchio. 

89 
Poi  le  fece  veder,  come  non  fusse 
Alcun,  se  non  in  Dio,  vero  contento,  ' 
E  ch'eran  l'altre  transitorie  e  flusse 
Speranze  umane,  e  di  poco  momento; 
E  tanto  seppe  dir,  che  la  ridusse    ' 
Da  quel  crudele  et  ostinato  intento. 
Che  la  vita  sequente  ebbe  disio 
Tutta  al  servigio  dedicar  di  Dio. 

90  [unque 

Non  che  lasciar  del  suo  Signor  voglia 

Né  '1  grand'amor,  né  le  reliquie  morte: 

Convien  che  l'abbia  ovunque  stia,  etovun- 

_ [que 

86.  1.  abbandona.  Questa  parola  è  scritta 
dall'  A.  con  uno  o  con  due  b  indififerente- 
mente.  —  sangnigno,  insanguinato. 

—  7.  a  torto,  ingiustamente. 

87.  8.  d'  ella;  di  lei.  V.  e.  i,  75,  n.  5.  . 

88.  7.  pon:  cosile  ediz.  del '16  e  del  '21; 
quella  invece  del  '32  ha  puon,  certo  per  er- 
rore, che  il  Morali  avrebbe  dovuto  correg- 
gere. La  dittongazione  avviene  nelle  vocali 
accentate, che  nell'etimo  latino  erano  brevi; 
mentre  Vo  di  ponere  è  lungo. 

89.  3,  1'  altre. . .  speranze.  É  distacco  for- 
zato. —  fluBse;  passeggere  (lat.  fluxae). 
BocCACC.  Conwn.  1,  93  :  «  la  labile  e  flussa 
condizione  delle  cose  ». 

—  5.  la  ridusse...  che;  la  ridusse  al  pun- 
to... che.  V.  e.  xxiii,  120,  5. 

90.  1.  nnqne,  mai.  È  frequente  negli  an- 
tichi anche  in  prosa  ;  e  pur  nella  forma 
unqua  (lat.  unquam).  V.  e.  xx,  133. 


Vada,  e  che  seco  e  notte  e  di  le  porte. 
Quindi  aiutando  l'Eremita  dunque, 
Ch'  era  de  la  sua  età  valido  e  forte, 
Sul  mesto  suo  destrier  Zerbin  posaro, 
E  molti  di  per  quelle  selve  andaro. 

91 
Non  volse  il  cauto  vecchio  ridur  seco. 
Sola  con  solo,  la  giovane  bella 
Là,  dove  ascosa  in  un  selvaggio  speco 
Non  lungi  avea  la  solitaria  cella; 
Fra  sé  dicendo:  Con  periglio  arreco 
In  una  man  la  paglia  e  la  facella. 
Né  si  fida  in  sua  età  né  in  sua  prudenzia, 
Che  di  sé  faccia  tanta  esperienzia. 

92 
Di  condurla  in  Provenza  ebbe  pensiero, 
Non  lontano  a  Marsilia  in  un  castello. 
Dove  di  sante  donne  un  monastero 
Ricchissimo  era,  e  di  edifìcio  bello: 
E  per  portarne  il  morto  cavalliero, 
Composto  in  una  cassa  aveano  quello, 
Che  'n  un  Castel  ch'era  tra  via,  si  fece 
Lunga  e  capace,  e  ben  chiusa  di  pece. 

93 
Più  e  più  giorni  gran  spazio  di  terra 
Cercaro,  e  sempre  per  lochi  più  inculti; 
Che  pieno  essendo  ogni  cosa  di  guerra, 
Voleano  gir  più  che  poteano  occulti. 
Al  fine  un  cavallier  la  via  lor  serra, 
Che  lor  fé'  oltraggi  e  disonesti  insulti; 
Di  cui  dirò  quando  il  suo  loco  fia; 
Ma  ritorno  ora  al  Re  di  Tartaria. 

94 
Avuto  ch'ebbe  la  battaglia  il  fine 
Che  già  v'ho  detto,  il  giovin  si  raccolse 
Alle  fresche  ombre  e  all'onde  cristalline. 
Et  al  destrier  la  sella  e  '1  freno  tolse, 
E  lo  lasciò  per  l'erbe  tenerine 
Del  prato  andar  pascendo  ove  egli  volse: 
Ma  non  sté  molto,  che  vide  lontano 
Calar  dal  monte  un  cavalliero  al  piano. 

95 
Conobbel,  come  prima  alzò  la  fronte, 
Doralice,  e  mostroUo  a  Mandricardo, 


—  5.  Quindi...  dunque;  dopo  ciò...  dun- 
que ;  dunque  dopo  queste  parole. 

—  fi.  de  la  8.  età;  per  la  sua  età.  Ècom- 
plera.  di  limitazione.  V.  e.  vii,  10,  6. 

91.  S.  Che;  cosicché.  V.  e.  v,  16.  n.  4. 

92.  4.  Ricchissimo.  Si  capisce  come  un 
poeta  dello  splendido  e  artistico  Cinque- 
cento, quando  anche  la  vita  monastica  prese 
tanto  del  mondano,  dia  importanza  e  ri- 
lievo alla  ricchezza  e  alla  eleganza  d' un 
monastero. 

—  7.  tra  Tia,  lungo  la  via.  V.  e.  xvi,  15, 
n.  2. 

93.  2.  Cercaro.  Cercare  significa  propria- 
mente andare  attorno  con  occhio  attento; 
e  qui  ha  il  suo  vero  signific. 


CANTO  XXIV 


325 


Dicendo:  Ecco  il  superbo  Rodomonte, 
Se  non  m'inganna  di  lontan  lo  sguardo. 
Per  far  teco  battaglia  cala  il  monte: 
Or  ti  potrà  giovar  l'esser  gagliardo. 
Perduta  avermi  a  grande  ingiuria  tiene; 
Ch'era  sua  sposa,  e  a  vendicar  si  viene. 
96  [già, 

Qual  buon  astor  che  l'anitra  o  l'acceg- 
Starna  o  colombo  o  simil  altro  augello 
Venirsi  incontra  di  lontano  veggia. 
Leva  la  testa,  e  si  fa  lieto  e  bello; 
Tal  Mandricardo,  come  certo  deggia 
Di  Rodomonte  far  strage  e  macello. 
Con  letizia  e  baldanza  il  destiier  piglia, 
Le  staffe  ai  piedi, e  dà  alla  man  la  briglia. 
97 

Quando  vicini  fur  si,  ch'udir  chiare 
Tra  lor  poteansi  le  parole  altiere; 
Con  le  mani  e  col  capo  a  minacciare 
Incominciò  gridando  il  Re  d'Algiere, 
Ch'a  penitenza  gli  faria  tornare. 
Che  per  un  temerario  suo  piacere 
Non  avesse  rispetto  a  provocarsi 
Lui  ch'altamente  era  per  vendicarsi. 
98 

Rispose  Mandricardo:  Indarno  tenta 
Chi  mi  vuol  impaurir  per  minacciarme. 
Cosi  fanciulli  o  femine  spaventa, 
O  altri  che  non  sappia  che  sieno  arme; 
Me  non,  cui  la  battaglia  più  talenta 
D'ogni  riposo;  e  son  per  adoprarme 
A  pie,  a  cavallo,  armato  e  disarmato, 
Sia  alla  campagna,  o  sia  ne  lo  steccato. 
99 

Ecco  sono  agli  oltraggi,  al  grido,  all'i  re. 
Al  trar  de' brandi,  al  crudel  suon  de' ferri; 
Come  vento  che  prima  a  pena  spire. 
Poi  cominci  a  crollar  frassini  e  cerri, 
Et  indi  oscura  polve  in  cielo  aggire. 
Indi  gli  arbori  svella,  e  case  atterri, 


96.  1.  acceggia  (basso  lat.  acceia,  forse 
dal  greco  akè,  punta)  beccaccia.  Dante, 
Par.  19,  33:  «  Qual  il  falcon,  ch'uscendo  del 
cappello  Muove  la  testa  e  coli'  ale  si  plaude, 
voglia  mostrando  e  facendosi  bello  ». 

97.  5.  a  penit.  g.  f.  torn.  ;  io  farebbe  pen- 
tire. Può  dipendere  da  W2iiiaccja>-e  o  anche 
da  gridando. 

—  7.  non  aT.  risp.  ;  non  avesse  riguardo. 
—  provocarsi,  provocare  contro  di  sé. 

98.  2.  perminacc.  ;  col  minacc.  Boccaccio, 
J\'inf.  st.  47:  «  parve  che  Amore  Per  si  gran 
forza  queir  arco  tirasse  ». 

—  3.  Cosi,  ecc.  Omero,  IL  7,  286:  «  a  che 
mi  tenti  e  parli  Come  a  imbelle  fanciullo  o 
femminetta,  Cui  dell'  armi  il  mestiere  è  pel- 
legrino ?  » 

—  ó.  Me  non  ;  me  no.  V.  e.  x,  49,  n.  8, 

99.  7.  Sommerga  in  m.;  sottint.  le  navi. 


Sommergain  mare,  e  porti  ria  tempesta 

Che  1  gregge  sparso  uccida  alla  foresta. 

100 

De'  duo  Pagani  senza  pari  in  terra 
Gli  audacissimi  cor,  le  forze  estreme 
Parturiscono  colpi  et  una  guerra 
Conveniente  a  si  feroce  seme. 
Del  grande  e  orribil  suon  triema  la  terra. 
Quando  le  spade  son  percosse  insieme: 
Gettano  l'arme  insino  al  ciel  scintille. 
Anzi  lampadi  accese  a  mille  a  mille. 
101 

Senza  mai  riposarsi  o  pigliar  fiato 
Dura  fra  quei  duo  Re  l'aspra  battaglia. 
Tentando  ora  da  questo  or  da  quel  lato 
Aprir  le  piastre,  e  penetrar  la  maglia. 
Né  perde  l'un,  né  l'altro  acquista  il  prato. 
Ma  come  intorno  sian  fosse  o  muraglia, 
0  troppo  costi  ogn' oncia  di  quel  loco. 
Non  si  parton  d'un  cerchio  angusto  e  poco. 
102 

Fra  mille  colpi  il  Tartaro  una  volta 
Colse  a  duo  mani  in  fronte  il  Re  d'Algiere; 
Che  gli  fece  veder  girare  in  volta 
Quante  mai  furon  fiaccole  e  lumiere. 
Come  ogni  forza  all'African  sia  tolta, 
Le  groppe  del  destrier  col  capo  fere: 
Perde  la  staffa,  et  è,  presente  quella 
Che  contant'ama,  per  uscir  di  sella. 
103 

Ma  come  ben  composto  e  valido  arco 

100.  2.  estreme,  somme,  che  giungono 
all'  ultimo  punto.  È  di  uso  frequente  nella 
nostra  lingua. 

—  4.  feroce  seme  ;  guerrieri  di  schiatta 
cosi  fiera. 

—  8.  lampadi.  È  il  plurale  dell'antiquato 
lampade. 

101.  1.  Senza  ecc.  Nota  l'anacoluto:  nel 
primo  e  nel  terzo  verso  il  soggetto  sottint. 
è  essi  (guerrieri),  che  dovrebbe  essere  sog- 
getto pur  della  prop.  principale  del  secondo. 

—  5.  il  prato,  il  terreno  :  Ossia  nessuno 
cede  d'  un  palmo. 

—  7.  oncia.  È  la  dodicesima  parte  del 
piede  e  corrispondeva,  secondo  nota  un  an- 
tico commentatore  di  Dante,  alla  lunghezza 
d' un  pollice.  Qui  è  detto  per  uno  spazio  cor- 
tissimo. 

—  8.  cerchio  ang.  e  poco  ;  spazio  stretto 
e  corto.  Questo  significato  di  cerchio,  che 
è  chiarissimo,  non  è  citato  dai  vocabolari. 

102.  3.  Che  ;  cos'i  che  :  V.  e.  i,  57,  n.  7.  Le 
fiaccole  e  lumiere  sono  quelle  scintille,  che 
ci  sembra  vedere  quando  si  riceve  un  forte 
colpo  nel  capo. 

—  6.  fere,  percuote.  Si  dice  ferire  una 
cosa  e  ferire  in,  su,  a  una  cosa;  e  c'è  la 
differenza  stessa  che  fra  percuotere  una 
cosa  e  su  una  e 


326 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  fino  acciaio  in  buona  somma  greve, 
Quanto  si  china  più,  quanto  è  più  carco, 
E  più  lo  sforzan  martinelli  e  lieve, 
Con  tanto  più  furor,  quando  è  poi  scarco, 
Ritorna,  e  fa  più  mal  che  non  riceve  ; 
Cosi  quello  African  tosto  risorge, 
E  doppio  il  colpo  all'inimico  porge. 
104 

Rodomonte  a  quel  segno  ove  fu  colto. 
Colse  a  punto  il  figliuol  del  Re  Agricane. 
Per  questo  non  potè  nuocergli  al  volto, 
Ch'in  difesa  trovò  l'arme  Troiane; 
Ma  stordi  in  modo  il  Tartaro,  che  molto 
Non  sapea  s'era  vespero  o  dimane. 
L'irato  Rodomonte  non  s'arresta, 
Che  mena  1'  altro,  e  pur  segna  alla  testa. 
105 

Il  cavallo  del  Tartaro,  ch'aborre 
La  spada  che  fischiando  cala  d'alto, 
Al  suo  signor,  con  suo  gran  mal,  soccorre: 
Perché  s'arretra  per  fuggir  d'un  salto. 
Il  brando  in  mezzo  il  capo  gli  trascorre, 
Ch'ai  signor,  non  a  lui,  movea  l'assalto. 
Il  miser  non  avea  l'elmo  di  Troia, 
Come  il  patrone;  onde  convien  che  muoia. 
106  [za. 

Quel  cade,  e  Mandricardo  in  piedi  guiz- 
Non  più  stordito,  e  Durindana  aggira. 
Veder  morto  il  cavallo  entro  gli  adizza, 
E  fuor  divampa  un  grave  incendio  d'ira. 
L' African,  per  urtarlo,  il  destrier  drizza, 


103.  Di  fino  acciaio  ecc.  ;  grave  per  lino 
acciaio  in  buona  somma,  in  buona  quanti- 
tà; che  in  esso  si  trova  in  buona  quantità. 
Somma,  per  quantità  in  generale,  non  è 
citato  dai  vocabolari. 

—  4.  martinelli,  o  martinetti  (lat.  martus, 
martello;  per  mezzo  del  francese  raarti- 
net.)  argani  da  tendere  le  grosse  balestre. 

—  5.  scarco,  scarcato,  scaricato.  V.  e.  i, 
48,  n.  4. 

—  6.  pili  m.  e.  non  r.  Il  male  die  1'  arco 
riceve  è  d'  essere  sforzato  dai  martinetti. 

104.  1.  segno,  punto,  luogo.  Avverti  che 
si  dice  egualmente  cogliere  uno  alla  e  nella 
testa.  Segno  per  punto  usarono  spesso  gli 
scrittori.  Petrar.ca,  i,  son.  38;  «  T  rivolsi  i 
pensier  tutti  ad  un  segno  ». 

—  4.  l'arme  tr.  ;  Telmo  di  Ettore. 

—  5.  molto,  ben.  Uso  assai  notevole. 

—  6.  dimane,  mattina.    V.  e.  ii,  24,  n.  5. 

—  8.  l'altro,  colpo.  È  in  relazione  col 
V.  S  del  st.  103. 

105.  1.  aborre,  ha  paura,  rifugge. 

—  4.  Perché  ecc.  K  propusiz.  dipendente 
dalla  seguente  :  il  brando  ...  gli  trascorre. 

106.  2.  aggrira,  muove  in  giro.  V.  e.  xir, 
18,  n.  4. 

—  3.  adizza,  aizza.  Nel  e.  xlh,  56,  si  ha 
nello  stesso  significato  attizza. 


:\Ia  non  più  Mandricardo  si  ritira,  fne 
Che  scoglio  far  soglia  da  l'onde;  e  avven- 
Che  '1  destrier  cadde,  et  egli  in  pie  si  tenne. 

107  (te, 
L'African  che  mancarsi  il  destrier  sen- 

Lascia  le  staffe,  e  su  gli  arcion  si  ponta, 
E  resta  in  piedi  e  sciolto  agevolmente: 
Cosi  l'un  l'altro  poi  di  pari  aftVonta. 
La  pugna  più  che  mai  ribolle  ardente; 
l"j  l'odio  e  l'ira  e  la  superbia  monta: 
Et  era  per  seguir;  ma  quivi  giunse 
In  fretta  un  messaggier  che  gli  disgiunse. 

108  (ro. 
Vi  giunse  un  messaggier  del  popol  Mo- 

Di  molti  che  per  Francia  eran  mandati 
A  richiamare  agli  stendardi  loro 
I  capitani  e  i  cavallier  privati; 
Perché  l'Imperador  dai  Gigli  d'oro 
Gli  avea  gli  alloggiamenti  già  assediati; 
E  se  non  è  il  soccorso  a  venir  presto, 
L' eccidio  suo  conosce  manifesto. 
109 

Riconobbe  il  messaggio  i  cavallieri. 
Oltre  all'insegne,  oltre  alle  sopraveste. 
Al  girar  de  le  spade,  e  ai  colpi  fieri 
Ch'altre  man  non  farebbeno  che  queste. 
Tra  lor  però  non  osa  entrar,  che  speri 
Che  fra  tant'ira  sicurtà  gli  preste 
L'esser  messo  del  Re;  né  si  conforta 
Per  dir,  ch'imbasciator  pena  non  porta. 
110 

Ma  viene  a  Doralice,  et  a  lei  narra 
Ch'Agramante,  Marsilio  e  Stordilano, 
Con  pochi  dentro  a  mal  sicura  sbarra 
Sono  assediati  dal  popol  Cristiano. 
Narrato  il  caso,  con  prieghi  ne  inarra 
Che  faccia  il  tutto  ai  duo  guerrieri  piano, 
E  che  gli  accordi  insieme,  e  per  lo  scampo 
Del  popol  Saracin  li  meni  in  campo. 

Ili 
Tra  i  cavallier  la  Donna  di  gran  core 


—  7.  far.  V.  e.  XV,  52,  n.  7. 

107.  4.  di  pari,  del  pari,  alla  pari. 

—  7.  Et  era  p.  s.  ;  Ed  era  per  continua- 
re. Sottintendi  la  cosa,  la  briga  :  è  riferito 
vagamente  ai  sostantivi  precedenti  pugna, 
ira,  superbia. 

108.  5.  l' Imp.  d.  g.  d' o.  ;  V  Imp.  dei  Fc3^a- 
cesi.  V.  e.  I,  46,  n.  S. 

109.  5.  che  speri,  cosi  che  speri;  colla 
speranza  che  ecc. 

—  8.  l'imb.  p.  n.  p.  È  un  proverbio  co- 
mune :  r  ambasciator  non  porta  pena. 

110.  3.  sbarra,  riparo.  Qui,  con  estensione 
di  significato  notevole,  i  ripari  che  chiu- 
dono l'accampamento.  Cfr.  e.  xvji,  64,  5. 

—  5.  ne  inarra  ;  ne  implora.  V.  e.  xvii, 
64,  n.  5. 

111.  1.  di  gran  e.  È  complem.  di  si  mette. 


CANTO  XXIY 


327 


Si  mette,  e  dice  loro:  Io  vi  comando, 
Per  quanto  so  che  mi  portate  amore. 
Che  riserbiate  a  miglior  uso  il  brando, 
E  ne  vegnate  subito  in  favore 
Del  nostro  campo  Saracino,  quando 
Si  trova  ora  assediato  ne  le  tende, 
E  presto  aiuto  o  gran  ruina  attende. 
112 

Indi  il  messo  soggiunse  il  gran  periglio 
Dei  Saracini,  e  narrò  il  fatto  a  pieno; 
E  diede  insieme  lettere  del  figlio 
Del  Ee  Troiano  al  figlio  d'Ulieno. 
Si  piglia  finalmente  per  consiglio, 
Che  i  duo  guerrier,  deposto  ogni  veneno, 
Facciano  insieme  triegua  fin  al  giorno 
Che  sia  tolto  l'assedio  ai  Mori  intorno; 
113 

E  senza  più  dimora,  come  pria 
Liberato  d'assedio  abbianlor  gente. 
Non  s'intendano  aver  più  compagnia. 
Ma  crudel  guerra  e  inimicizia  ardente, 


—  3.  Per  quanto  . .  .  amore.  Credo  debba 
costruirsi  cosi  :  per  quanto  amore  so  che 
mi  portate. 

—  6.  quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  8.  presto  ;  È  da  ritenersi  aggett.  che 
fa  riscontro  al  gran  seguente. 

113.  1.  s.  pili  dimora;  senz' altra  dim.  V. 
e.  XVII,  25,  n.  4. 

—  3.  aver  p.  comp.  ;  aver  più  amicizia, 
essere  altrimenti  compagni  d'arme. 


Fin  che  con  Tarme  diffinito  sia 
Chi  la  Donna  aver  de'  meritamente. 
Quella,  ne  le  cui  man  giurato  fue, 
Fece  la  sicurtà  per  amendue. 
114 

Quivi  era  la  Discordia  impaziente 
Inimica  di  pace  e  d'ogni  triegua; 
E  la  Superbia  v'è,  che  non  consente 
Né  vuol  patir  che  tale  accordo  segua. 
Ma  più  di  lor  può  Amor  quivi  presento, 
Di  cui  l'alto  valor  nessuno  adegua; 
E  fé'  ch'in  dietro,  a  colpi  di  saette, 
E  la  Discordia  e  la  Superbia  stette. 
115 

Fu  conclusa  la  triegua  fra  costoro, 
Si  come  piacque  a  chi  di  lor  potea. 
Vi  mancava  uno  dei  cavalli  loro  ; 
Che  morto  quel  del  Tartaro  giacca: 
Però  vi  venne  a  tempo  Brigliadoro, 
Che  le  fresche  erbe  lungo  il  rio  pascea. 
Ma  al  fin  del  Canto  io  mi  trovo  esser  giun- 
si ch'io  farò, con  vostra  grazia, punto,  [to; 


—  8.  Fece  la  sicurtà;  Si  fece  all'uno  ga- 
rante della  lealtà  dell'  altro. 

114.  7.  E  fé'  ecc.  Verso  contorto.  Co- 
struisci: e  a  colpi  di  saette  fece  si  che 
stettero  indietro  la  D.  e  la  S. 

115.  2.  a  chi  di  1.  potea;  ad  Amore,  che 
avea  potere  su  loro.  Per  la  locuzione  cfr. 
xxiii,  30,  n.  7.. 


CANTO  XXV 


Oh  gran  contrasto  in  giovenil  pensiero, 
Desir  di  laude,  et  impeto  d'Amore  I 
Né,  chi  più  vaglia,  ancor  si  trova  il  vero; 
Che  resta  or  questo  or  quel  superiore. 
Ne  l'uno  ebbe  e  ne  l'altro  cavalliero 
Quivi  gran  forza  il  debito  e  l'onore; 
Che  l'amorosa  lite  s'intermesse, 
Fin  che  soccorso  il  campo  lor  s'avesse. 


1.  2.  Desir  ecc.  Sottintendi  sono  il  desir... 
e  l'impeto...  Xell'ediz.  del  1516  si  legge  «È 
gran  contrasto  ecc.  ». 

—  3.  si  trova  il  vero,  si  può  trovare,  sta- 
bilire con  verità. 

—  7.  s'intermesse,  s'interruppe.  Il  Bolza 
intende,  senza  ragione,  si  differì.  È  un  la- 
tinismo {intermittere)  assai  frequente  negli 
antichi  (fra  lacopone.  Passa  vanti,  Buti)  ;raro 
nei  moderni  scrittori. 

—  S.  Finché  ecc.  Si  può  intendere  :  fin- 
ché il  loro  campo  si  avesse,  avesse  soccorso; 


Ma  più  ve  l'ebbe  Amor:  che  se  non  era 
Che  cosi  comandò  la  donna  loro, 
Non  si  sciogliea  quella  battaglia  fiera. 
Che  l'un  n'avrebbe  il  trionfale  alloro, 
Et  Agramante  in  vau  con  la  sua  schiera 


megUo  :  finché  si  fosse  da  essi  soccorso  il 
loro  campo. 

2.  1.  ve,  quivi,  in  questo  fatto. 

—  4.  Che,  finché.  V.  e.  xiii,  7,  n.  4.  — 
avrebbe.  Il  condizionale  corrisponde  al  fu- 
turo, che  si  userebbe,  se  il  verbo  della  prop. 
priucip.  fosse  al  presente  :  non  si  scioglie... 
finché  l'uno  ne  avrà  ecc.  V,  Fornaciari, 
Sint.  pag.  408.  Ma  come  si  potrebbe  dire 
anche:  non  si  scioglie...  finché  l'uno  ne  ab- 
bia ecc.;  cosi  poteva  dirsi  qui  :  non  si  scio- 
gliea... finché  l'uno  ne  avesse... 

—  5.  schiera,  esercito.  Più  comunemente 
il  plurale  schiere.  O.  Villani,  7,  27,  ha  la 
schiera  degli  Sjiagìmoli. 


328 


ORLANDO  FURIOSO 


L'ainto  avria  aspettato  di  costoro. 
Dunque  Amor  sempre  rio  non  si  ritrova  : 
Se  spesso  nuoce,  anco  talvolta  giova. 
3 

Or  l'uno  e  l'altro  cavallier  Pagano, 
Che  tutti  ha  difteriti  i  suoi  litigi. 
Va,  per  salvar  l'esercito  Africano, 
Con  la  Donna  gentil  verso  Parigi  ; 
E  va  con  essi  ancora  il  piccol  Nano 
Che  seguitò  del  Tartaro  i  vestigi, 
Fin  che  con  lui  condutto  a  fronte  a  fronte 
Avea  quivi  il  geloso  Rodomonte. 
4 

Capitaro  in  un  prato  ove  a  diletto 
Erano  cavallier  sopra  un  ruscello, 
Duo  disarmati,  e  duo  ch'avean  l'elmetto, 
E  una  donna  con  lor  di  viso  bello. 
Chi  fosser  quelli,  altrove  vi  fia  detto; 
Or  no;  che  di  Ruggier  prima  favello, 
Del  buon  Ruggier  di  cui  vi  fu  narrato 
Che  lo  scudo  nel  pozzo  avea  gittato. 

5  [glie, 

Non  è  dal  pozzo  ancor  lontano  un  mi- 
Che  venire  un  corrier  vede  in  gran  fretta, 
Di  quei  che  manda  di  Troiano  il  figlio 
Ai  cavallieri  onde  soccorso  aspetta; 
Dal  qnal  ode  che  Carlo  in  tal  periglio 
La  gente  Saracina  tien  ristretta, 
Che  se  non  è  chi  tosto  le  dia  aita, 
Tosto  l'onor  vi  lascierà  o  la  vita. 
6 

Fu  da  molti  pensier  ridutto  in  forse 
Ruggier,  che  tutti  l'assalirò  a  un  tratto; 
Ma  qual  per  lo  miglior  dovesse  torse, 
Né  luogo  avea  né  tempo  a  pensar  atto. 
Lasciò  andare  il  messaggio,  e  '1  freno  torse 


—  7.  La  sentenza  di  questo  e  del  seg. 
verso  non  contradice  al  concetto  del  e.  xxiv, 
1-2;  poiché  amore,  pur  nocendo  alla  per- 
sona innamorata,  può  produrre  indiretta- 
mente, come  accade  di  tanti  altri  mali,  qual- 
che bene. 

3.  2.  ha.  Per  il  costrutto  cfr.  e.  xiv,  IO, 
u.  6. 

—  5.  il  p.  Nano.  V.  e.  xviii,  29. 

4.  7.  vi  fa  narr.  V.  e.  xxn,  91. 

5.  —  Le  stanze  5  e  6  furono  aggiunte 
neirédiz.  del  1521  ;  ma  la  5  fu  poi  intera- 
mente rimaneggiata  per  l'ediz.  del  1532. 

■  —  6.  t.  ristretta,  tiene  chiusa,  coU'asse- 
dio,  in  tal  pericolo.  V.  e.  xxiv,  108,  8. 

—  7.  tosto...  tosto.  La  ripetiz.  dà  risalto 
e  movimento  al  pensiero.  Il  Galilei,  che  vo- 
leva un  presto  nel  v.  7,  non  avverti  che  l'A. 
neirediz.  del  1532  cambiò  sempre  (se  ben 
ricordo)  in  tosto  l'avverb.  presto  della  Prin- 
cipe. 

6.  3.  per  lo  m.  ecc.,  prender  per  migliore, 
come  migliore. 


Là  dove  fu  da  quella  donna  tratto, 
Ch'ad  or  ad  or  in  modo  egli  affrettava, 
Che  nessun  tempo  d'indugiar  le  dava. 
7 

Quindi  seguendo  il  camin  preso,  venne 
(Già  declinando  il  sole)  ad  una  terra 
Che '1  Re  Marsilio  in  mezzo  Franciatenne» 
Tolta  di  man  di  Carlo  in  quella  guerra. 
Né  al  ponte  né  alla  porta  si  ritenne; 
Che  non  gli  niega  alcuno  il  passo  o  serra» 
Ben  eh' intorno  al  rastrello  e  in  sule  fosse 
Gran  quantità  d'uomini  e  d'arme  fosse. 
8 

Perch'era  conosciuta  da  la  gente 
Quella  donzella  ch'avea  in  compagnia. 
Fu  lasciato  passar  liberamente. 
Né  domandato  pure  onde  venia. 
Giunse  alla  piazza,  e  di  fuoco  lucente, 
E  piena  la  trovò  di  gente  ria  ; 
E  vide  in  mezzo  star  con  viso  smorto 
Il  giovine  dannato  ad  esser  morto. 
9 

Ruggier  come  gli  alzò  gli  occhi  nel  viso. 
Che  chino  a  terra  e  lacrimoso  stava, 
Di  veder  Bradamante  gli  fu  avviso: 
Tanto  il  giovine  a  lei  rassimigliava. 
Più  dessa  gli  parea,  quanto  più  fiso 
Al  volto  e  alla  persona  il  riguardava; 
|E  fra  sé  disse:  O  questa  è  Bradamante, 
k)  ch'io  non  son  Ruggier  com'era  inante. 
10 

Per  troppo  ardir  si  sarà  forse  messa 
Del  garzon  condennato  alla  difesa  : 
E  poi  che  mal  la  cosa  l'è  successa, 


—  6.  Là  dove  ecc.  V.  e.  xxir,  89. 
7.  3.  in  mezzo  Fr.  V.  e.  vi,  23,  8. 

—  5.  si  ritenne,  non  fu  trattenuto  dalle 
guardie  né  al  ponte  levatoio  né  alla  porta. 
Può  intendersi  anche  ritenne  sé,  si  fermo. 
La  prima  interpret.  risponde  meglio  ai  versi 
seguenti. 

—  6.  niega,  vieta.  Più  chiaramente  nel 
e.  XLii,  43,  6. 

—  7.  rastrello.  V.  e.  vai,  3,  6.  —  d'uomini 
e  d'arme,  d'  uomini  armati.  Endiadi  imita- 
ta dal  Petr.,  I,  son.  121:  «Onde  vanno  a 
gran  rischio  uomini  ed  arme  >. 

9.  1.  Rnggier...  gli  fu  aTTiso.  Per  il  co- 
strutto cfr.  e.  XII,  5,  n.  6. 

—  6.  Al  volto...  il  rig.,  lo  guardava  con 
speciale  attenzione  al  volto  e  alla  persona. 
Nota  la  differenza  fra  i  tre  modi:  guardalo 
in  volto,  guardafili  il  volto,  tjuardalo  al 
volto,  che  significano  rispettivamente  ;  guar- 
dalo fermando  il  tuo  occhio  specialmente 
nel  volto,  guardargli  il  volto  non  curan- 
doti del  resto,  guardalo  portando  speciale 
attenzione  al  volto  —  alla  persona,  al  taglio, 
alla  sveltezza  del  corpo. 

10.  3.  snccessa,  riuscita. 


CANTO  XXV 


329 


Ne  sarà  stata,  cotpe  io  veggo,  presa. 
Deh,  perché  tanta  fretta,  che  con  essa 
Io  non  potei  trovarmi  a  questa  impresa  ? 
Ma  Dio  ringrazio  che  ci  son  venuto, 
Ch'a  tempo  ancora  io  potrò  darle  aiuto. 
11 

E  senza  più  indù  iar,  la  spada  stringe 
(Ch'avea  all'altro  castel  rotta  la  lancia), 
Eadossoil  vulgo  inerme  il  destrier  spinge 
Per  lo  petto,  pei  fianchi  e  per  la  pancia. 
Mena  la  spada  a  cerco,  et  a  chi  cinge 
La  fronte,  a  chi  la  gola,  a  chi  la  guancia. 
Fugge  il  popol  gridando;  e  la  gran  frotta 
Resta  0  sciancata,  o  con  la  testa  rotta. 
12  [stagno 

Come  stormo  d'augei,  ch'in  ripa  a  un 
Vola  sicuro  e  a  sua  pastura  attende, 
S'improviso  dal  ciel  falcon  grifagno 
Gli  dà  nel  mezzo,  et  un  ne  batte  o  prende, 
Si  sparge  in  fuga,  ognun  lascia  ilcompa- 
E  de  lo  scampo  suo  cura  si  prende:  [gno. 
Cosi  veduto  avreste  far  costoro, 
Tosto  che  '1  buon  Ruggier  diede  fra  loro. 
13 

A  quattro  o  sei  dai  colli  i  capi  netti 
Levò  Ruggier,  ch'indi  a  fuggir  fur  lenti  : 
Ne  divise  altretanti  infin  ai  petti, 
Fin  agli  occhi  infiniti  e  fin  ai  denti. 
Concederò  che  non  trovasse  elmetti, 
Ma  ben  di  ferro  assai  cufiie  lucenti: 
E  s'elnii  fini  anco  vi  fosser  stati, 
Cosi  gli  avrebbe,  o  poco  raen,  tagliati. 
14 

La  forza  di  Ruggier  non  era  quale 
Or  si  ritrovi  in  cavallier  moderno. 


4.  Ne;  da  questa  gente;  o  anche:  per 


C30. 


—  5.  che,  è  correlativo  di  tanta. 

—  8.  Che;  poiché. 

11.  2.  Ch'avea  ecc.  V.  e.  xxii,  86,  5-6.    ' 

—  4.  Per  lo  petto  ecc..  Spinge  avanti  il 
cavallo,  che  una  il  volgo  col  petto;  lo  fa 
rinculare  e  cosi  l'urta  coi  fianchi  ;  lo  fa 
camminare  di  traverso  e  l'urta  colla  pan- 
cia. 

—  5.  cinge.  V.  e.  xix,  85,  n.  6. 

—  8.  sciancata,  storpiata  dagli  urti  del 
cavallo. 

12.  3.  falc.  grifagno,  falc  rapace.  V.  e.  vili, 
4,  n.  1. 

—  4.  Gli  dà  n.  m.,  l'investe.  È  imitazione 
del  Boiardo, /n>j.  2,  17,  19:  «Come  dal- 
l'aria in  giù  scende  il  falcone  E  dà  in  mezzo 
ad  un  branco  di  cornacchie  ». 

—  5.  Si  sparge  in  f.  È  il  modo  latino  se 
in  fugam  spargere. 

13.  6.  Ma  ben.  Rileva  dal  contesto  un 
trovò  :  ma  trovò  ben. 

--  6.  cuffie;  grossolane  coperture  del 
capo,  talvolta  pur  di  cuoio  grosso  e  duro. 


Né  in  orso  né  in  leon  né  in  animale 
Altro  più  fiero,  o  nostrale  od  esterno. 
Forse  il  tremuoto  le  sarebbe  ugnale, 
Forseilgrandiavol;nonqueldelo'nferno^ 
Ma  quel  del  mio  Signor,  che  va  col  fuoco, 
Ch'a  cielo  e  a  terra  e  a  mar  si  fa  dar  loco. 

15 
D'ogni  suo  colpo  mai  non  cadea  manco 
D'un  uomo  in  terra,  e  le  più  volte  un  paio  : 
E  quattro  a  un  colpo,  e  cinque  n'uccise  an- 
si che  si  venne  tosto  al  centinaio.       [co. 
Tagliava  il  brando  che  trasse  dal  fianco, 
Come  un  tenero  latte,  il  duro  acciaio. 
Falerina,  per  dar  morte  ad  Orlando, 
Fé'  nel  giardin  d'Orgagna  il  crudel  bran- 

16  [do. 

Averlo  fatto  poi  ben  le  rincrebbe. 
Che  '1  suo  giardin  disfar  vide  con  esso. 
Che  strazio  dunque,  che  mina  debbe[80? 
Far  or  ch'in  man  di  tal  guerriero  è  mes- 
Se  mai  Ruggier  furor,  se  mai  forza  ebbe. 
Se  mai  fu  l'alto  suo  valore  espresso. 
Qui  l'ebbe,  il  pose  qui,  qui  fu  veduto. 
Sperando  dare  alla  sua  Donna  aiuto. 

17 
Qual  fa  la  lepre  contrai  cani  sciolti, 
Facea  la  turba  contra  lui  riparo. 
Quei  che  restaro  uccisi,  furo  molti  ; 
Furo  infiniti  quei  ch'in  fuga  andaro. 
Avea  la  Donna  intanto  i  lacci  tolti. 
Ch'ambe  le  mani  al  giovine  legaro; 
E  come  potè  meglio,  presto  armollo. 
Gli  die  una  spada  in  mano,  e  un  scudo  al 

18  [collo. 

Egli  che  molto  è  offeso,  più  che  puote 


14.  6.  gran  diavol.  Era  il  nome  di  un  can- 
none di  grossissimo  calibro,  fuso  dal  duca 
Alfonso  d'Este,  col  quale  questi  fece  gran 
prove  nella  guerra  contro  Venezia.  Ne  aveva 
pure  un  altro  grandissimo,  che  si  chiamava, 
iscriptis,  dice  il  Giovio,  metallo  litteris, 
*  Terremoto  ». 

—  7.  che  va  e.  fuoco;  il  quale  gr.  diavolo 
si  avanza  contro  i  nemici  armato  di  fuoco. 

—  8.  Che.  Può  riferirsi  al  cannone  e  anche 
a  fuoco.  Questo  verso  è  simile  a  quel  del 
Petrarca,  Tr.  Pud.  21  :  «Che  a  cielo  e  terra 
e  mar  dar  loco  fansi  ». 

15.  1.  D'ogni  ecc.  Per  ogni  ecc.  V.  e.  xiii. 
33,  n.  3. 

—  6.  tenero  latte,  latte  rappreso,  giun- 
cata. Non  vedo  che  sia  citato  da  nessun 
vocabolario. 

—  7.  Falerina  ecc.  Innam.  II,  iv,  6-7. 
Vedi  anche  e.  vii,  76,  n.  1. 

16.  2.  con  esso.  Innam.  II,  v,  13. 

—  6.  espresso,  chiaro,  manifesto.  V.  c.xi, 
81,  7. 

17.  8.  nn  se.  al  collo.  Su  questo  modo  di 
portare  lo  scudo  cfr.  e.  vii,  76,  n.  S. 


330 


ORLANDO  FURIOSO 


Si  cerca  vendicar  di  quella  gente  : 
E  quivi  sou  si  le  sue  forze  note, 
Che  riputar  si  fa  prode  e  valente. 
Già  avea  attufifato  le  dorate  ruote 
Il  sol  ne  la  marina  d'Occidente, 
Quando  Ruggier  vittorioso  e  quello 
Giovine  seco  uscir  fuor  del  castello. 
19 

Quando  il  garzon  sicuro  de  la  vita 
Con  Ruggier  si  trovò  fuor  de  le  porte, 
Gli  rendè  molta  grazia  et  infinita 
Con  gentil  modi  e  con  parole  accorte, 
Che,  non  lo  conoscendo,  a  dargli  aita 
Si  fosse  messo  a  rischio  de  la  morte: 
E  pregò  che  'I  suo  nome  gli  dicesse, 
Per  sapere  a  chi  tanto  obligo  avesse. 
20 

Veggo,  dicea  Ruggier,  la  faccia  bella, 
E  le  belle  fattezze  e  '1  bel  sembiante; 
Ma  la  suavità  de  la  favella 
Non  odo  già  de  la  mia  Bradamante; 
Né  la  relazion  di  grazie  è  quella 
Ch'ella  usar  debba  al  suo  fedele  amante. 
Ma  se  pur  questa  è  Bradamante,  or  come 
Ha  si  tosto  in  oblio  messo  il  mio  nome? 
21 

Per  ben  saperne  il  certo,  accortamente 
Ruggier  le  disse:  Io  v'  ho  veduto  altrove; 
Et  ho  pensato  e  penso  e  finalmente 
Non  so  né  posso  ricordarmi  dove. 
Ditemei  voi,  se  vi  ritorna  a  mente; 
E  fate  che  '1  nome  anco  udir  mi  giove, 
Acciò  che  saper  possa  a  cui  mia  aita 
Dal  fuoco  abbia  salvata  oggi  la  vita. 
22 

Che  voi  m'abbiate  visto  esser  potria 
("Rispose  quel),  che  non  so  dove  o  quando. 
Ben  vo  pel  mondo  anch'io  la  parte  mia. 
Strane  avventure  or  qua  or  là  cercando. 
Forse  una  mia  sorella  stata  fia,  [do; 

Che  veste  l'arme,  e  porta  al  lato  il  bran- 
che nacque  meco,  e  tanto  mi  somiglia, 
Che  non  ne  può  discerner  la  famiglia. 


18.  2.  Si  cerca  t.,  cerca  vendicarsi .  V.  &, 
I,  47,  n.  6. 

—  3.  s.  SI  I.  s.  f.  note  ;  dà  tal  notizia  delle 
;^ue  forze. 

19.  4.  parole  accorte,  cortesi.  Nel  e.  iv,  72 
si  ha  ìnaniere  accorte.  Cosi  Petr.  i,  canz.  3. 

20.  5.  relazion  di  grazie;  i  ringraziamenti. 
È  il  latino  relatio  yratiarum. 

—  8.  Ha  81  tosto  ecc.  Ha  cosi  presto  di- 
menticato chi  sono  e  come  mi  chiamo. 

21.  2.  le.  Nell'ed.  del  '16,  meglio,  gii. 

28.  2.  che  non  so;  poiché  non  so.  Com- 
pleta il  pensiero  cosi  :  dico  potrebbe,  per- 
ché, quanto  a  me.  non  saprei  dire  né  dove 
né  quando. 

—  7.  nacque  meco,  nacque  gemella. 


23 

Né  primo  né  secondo  né  ben  quarto 
Sete  di  quei  ch'errore  in  ciò  preso  hanno  : 
Né  '1  padre  né  i  fratelli  né  chi  a  un  parto 
Ci  produsse  arabi,  scernere  ci  sanno. 
Gli  è  ver  che  questo  crin  raccorcio  e  sparto 
Ch'io  porto,  come  gli  altri  uomini  fanno, 
Et  il  suo  lungo  e  in  treccia  al  capo  avvolta 
Ci  solca  far  già  dififerenzia  molta." 
24 

Ma  poi  ch'un  giorno  ella  ferita  fu 
Nel  capo  (lungo  saria  a  dirvi  come), 
E  per  sanarla  un  servo  di  Gesù 
A  mezza  orecchia  le  tagliò  le  chiome; 
Alcun  segno  tra  noi  non  restò  più 
Di  differenzia,  fuor  che  '1  sesso  e'I  nome. 
Ricciardetto  son  io,  Bradamante  ella; 
Io  fratel  di  Rinaldo,  essa  sorella. 
25 

E  se  non  v'  increscesse  l'ascoltarmi, 
Cosa  direi,  che  vi  farla  stupire, 
La  qual  m'occorse  per  assimigliarmi 
A  lei,  gioia  al  principio,  e  al  fin  martire. 
Ruggiero  il  qual  più  graziosi  carmi, 
Più  dolce  istoria  non  potrebbe  udire, 
Che  dove  alcun  ricordo  intervenisse 
De  la  sua  Donna,  il  pregò  si,  che  disse: 
26 

Accadde  a  questi  di,  che  pei  vicini 
Boschi  passando  la  sorella  mia, 
Ferita  da  uno  stuol  di  Saracini 
Che  senza  l'elmo  la  trovar  per  via. 
Fu  di  scorciarsi  astretta  i  lunghi  crini. 
Se  sanar  volse  d'una  piaga  ria 
Ch'avea  con  gran  periglio  ne  la  testa  ; 
E  cosi  scorcia  errò  per  la  foresta. 
27 

Errando  giunse  ad  una  ombrosa  fonte; 
E  perché  afflitta  e  stanca  ritrovosse. 
Dal  destrier  scese,  e  disarmò  la  fronte, 
E  su  le  tenere  erbe  addormeutosse. 
Io  non  credo  che  favola  si  conte. 


23.  1.  né  ben;  né  pur;  ma  è  più  forte  e 
più  espressivo. 

—   S.  Ci;  fra  noi.  È  modo  assai  ardito. 

24.  1.  ferita  fu.  V.  Innam.  Ili,  v,  45,  e 
vili,  51.  —  Avverti  che  l'A.  usa  solo  in  que- 
sto luogo  e  nel  e.  xxvii,  87,  la  rima  tronca. 

25.  5.  carmi.  Intendi  :  Rugg.,  che  non  po- 
trebbe udire  né  carmi  (poesie)  più  graziosi, 
né  storia  più  dolce  del  racconto,  dove  alcun 
ricordo  ecc.  Se  pure  non  si  vuol  dare  a 
carmi  il  significato  di  discorso,  narra- 
zione o  simili  ;  significato  che  non  si  trova 
né  in  latino  né  in  italiano. 

26.  8.  scorcia,  scorciata:  sottintendi  i  cri- 
ni. Per  il  participio  abbreviato  cfr.  e.  i,  48, 
n.  4.  Questo,  che  qui  si  racconta  di  Brada- 
mante e  di  Fiordispina,  figlia  di  Marsilio  re 
di  Spagna,  è  nel  Boiardo,  Inn.  III,  viii,  ix. 


CANTO  XXV 


331 


Che  più  di  questa  istoria  bella  fosse, 
Fiordispina  di  Spagna  soprarriva, 
Che  per  cacciar  nel  bosco  ne  veniva. 

E  quando  ritrovò  la  mia  sirocchia 
Tutta  coperta  d'arme,  eccetto  il  viso, 
Ch'avea  la  spada  in  luogo  di  conocchia, 
Le  fu  vedere  un  cavalliero  avviso. 
La  faccia  e  le  viril  fattezze  adocchia 
Tanto,  che  se  ne  sente  il  cor  conquiso. 
La  invita  a  caccia,  e  tra  l'ombrose  fronde 
Lunge  dagli  altri  al  fin  seco  s'asconde. 
29 

Poi  che  l'ha  seco  in  solitario  loco 
Dove  non  teme  d'esser  sopraggiunta. 
Con  atti  e  con  parole  a  poco  a  poco 
Le  scopre  il  fìsso  cor  di  grave  punta. 
Con  gli  occhi  ardenti,  e  coi  sospir  di  fuoco 
Le  mostra  l'alma  di  disio  consunta. 
Or  si  scolora  in  viso,  or  si  raccende: 
Tanto  s'arrischia,  ch'un  bacio  ne  prende. 
80 

La  mia  sorella  avea  ben  conosciuto 
Che  questa  donna  in  cambio  l'avea  tolta: 
Né  dar  poteale  a  quel  bisogno  aiuto, 
E  si  trovava  in  grande  impaccio  avvolta. 
Gli  è  meglio  (dicea  seco)  s'io  rifiuto 
Questa  avuta  di  me  credenza  stolta, 
E  s' io  mi  mostro  femina  gentile. 
Che  lasciar  riputarmi  un  uomo  vile. 
31 

E  dicea  il  ver;  ch'era  viltade  espressa, 
Conveniente  a  un  uom  fatto  di  stucco. 
Con  cui  si  bella  donna  fosse  messa, 
Piena  di  dolce  e  di  nettareo  succo, 
E  tuttavia  stesse  a  parlar  con  essa. 
Tenendo  basse  l'ale  come  il  cucco. 


29.  4,  il  fisso  cor  ecc.,  il  cuore  trafitto  da 
gr.  punta;  dal  lat,  flxus.  Cosi  nel  e.  v.  89,  1. 

—  8.  un  b.  n.  prende  ;  le  dà  di  sorpresa  e 
quasi  alla  sfuggita  un  b.  Il  Tasso,  Ger.  16, 
19:  «i  dolci  baci ...  Liba  or  dagli  occhi  e 
dalle  labbra  or  sugge  »  e  Catullo,  99, 16,  ha 
«  surripere  alicui  basium  ». 

30.  2.  in  cambio,  in  isbaglio.  Vita  di  S. 
Frane.  237:  «  Giovanni  predetto  fue  colto 
per  cambio  et  ebbe  una  fedita  ». 

—  5.  rifiuto,  combatto,  distruggo.  È  il  lati- 
no refutare.  Pallavicino,  Lett.  I.  93:  «  Tutto 
ciò  che  giova  o  a  rifiutar  l'avversario  ecc.  ». 

31.  1.  espressa,  palese.  Cosi  spessissimo 
nell'A. 

—  3.  Con  cui  ecc.;  che  con  esso  fosse  messa 
ecc.  VX.  ha  dato  a  questo  periodo  il  giro 
latino,  usando  il  relativo  invece  del  pron. 
dimostrativo. 

—  6.  cucco,  Parola  popolare  per  Cwu7o. 
Essendo  uccello  notturno,  il  giorno  è  ad- 
dormentato e  grullo,  perciò  si  è  preso  a 
indicare  anche  balordaggine. 


Con  modo  accorto  ella  il  parlar  ridusse, 
Che  venne  a  dir  come  donzella  fusse, 
.32 
Che  gloria,  qual  già  Ippolita  e  Camilla, 
Cerca  ne  l'arme;  e  in  Africa  era  nata 
In  lito  al  mar,  ne  la  città  d'Arzilla, 
A  scudo  e  a  lancia  da  fanciulla  usata. 
Per  questo  non  si  smorza  una  scintilla 
Del  fuoco  de  la  Donna  inamorata. 
Questo  rimedio  all'alta  piaga  è  tardo: 
Tant'  avea  Anior  cacciato  inanzi  il  dardo. 
33 
Per  questo  non  le  par  men  bello  il  viso, 
Menbel  lo  sguardo,  e  men  belli  i  costumi; 
Per  ciò  non  torna  il  cor  che,  già  diviso 
Da  lei,  godea  dentro  gli  amati  lumi. 
Vedendola  in  quell'abito,  l'è  avviso 
Che  può  far  che  '1  desir  non  la  consumi; 
E  quando,  ch'ella  è  pur  femina,  pensa,  [sa. 
Sospira  e  piange,  e  mostradogliaimmen- 
34  [to 

Chi  avesse  il  suo  ramarico  e  '1  suo  pian- 
Quel  giorno  udito,  avria  pianto  con  lei. 
Quai  tormenti  (dicea)  furon  mai  tanto 
Crudel,  che  più  non  sian  crudeli  i  miei? 
D'ognaltro  amore  o  scelerato  o  santo, 
Il  desiato  fin  sperar  potrei; 
Saprei  partir  la  rosa  da  le  spine  : 
Solo  il  mio  desiderio  è  senza  fine. 
35 
Se  pur  volevi,  Amor,  darmi  tormento 
Che  t' increscesse  il  mio  felice  stato; 
D'alcun  martir  dovevi  star  contento, 
I  Che  fosse  ancor  negli  altri  amanti  usato 
I  Né  tra  gli  uomini  mai  né  tra  l'armento, 

Che  femina  ami  femina  ho  trovato: 
I  Non  par  la  donna  all'altre  donne  bella, 
'  Né  a  cervie  cervia,  né  all'agnelle  agnella. 

86 
1     In  terra,  in  aria,  in  mar  sola  son  io 
Che  patisco  da  te  si  duro  scempio; 
E  questo  hai  fatto  acciò  che  l'error  mio 
Sia  ne  l' imperio  tuo  l'ultimo  esempio. 
La  moglie  del  re  Nino  ebbe  disio. 
Il  figlio  amando,  scelerato  et  empio, 
I  E  Mirra  il  padre,  e  la  Cretense  il  toro: 
Ma  gli  è  pili  folle  il  mio,  ch'alcun  dei  loro. 

—  7.  ridusse  che,  ridusse  al  punto  che. 
Brachilogia  assai  amata  dall' .\. 

32.  1.  Ippolita,  una  delle  Amazzoni,  che 
combatté  contro  Ercole  e  Teseo,  e  da  que- 
sto fu  sposata.  —  Camilla.  V.  e.  XX,  1,  n.  5. 

—  3.  Arzilla,  V.  0.  XIV,  23,  n.  1. 

—  7.  alta,  profonda. 

35.  2.  Che,  perché. 

36.  4.  l'ultimo,  per  gravità  e  stranezza  : 
nessun  altro  esempio  più  strano  e  nuovo  é 
possibile. 

—  7.  la  Cretense,  l'asifae,  moglie  di  Mi- 
nosse re  di  Creta. 


332 


ORLANDO  FURIOSO 


37 
La  femina  nel  maschio  fé'  disegno, 
Speronne  il  fine,  et  ebbelo,  come  odo: 
Pasife  ne  la  vacca  entrò  del  legno: 
Altre  per  altri  mezzi,  e  vario  modo. 
Ma  se  volasse  a  me  con  ogni  ingegno 
Dedalo,  non  potria  scioglier  quel  nodo, 
Che  fece  il  mastro  troppo  diligente, 
Natura  d'ogni  cosa  più  possente. 

38 
Cosi  si  duole,  e  si  consuma  et  auge 
La  bella  Donna,  e  non  s'accheta  in  fretta. 
Talor  si  batte  il  viso,  e  il  capei  frange, 
E  di  sé  contra  sé  cerca  vendetta. 
La  mia  sorella  per  pietà  ne  piange, 
Et  è  a  sentir  di  quel  dolor  constretta. 
Del  folle  e  van  disio  si  studia  trarla  ; 
Ma  non  fa  alcun  profitto,  e  in  vano  parla. 

39 
Ella  ch'aiuto  cerca  e  non  conforto. 
Sempre  più  si  lamenta  e  più  si  duole. 
Era  del  giorno  il  termine  ormai  corto; 
Che  rosseggiava  in  Occidente  il  sole. 
Ora  oportuna  da  ritrarsi  in  porto, 


87.  1.  nel  m.  f.  dis.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  IX,  50,  n.  6  e  xxvii,  77,  4.  L'idea  di  que- 
sto episodio  è  tolta  in  parte  da  Ovidio,  Me- 
tani. IX,  dove  si  dice  di  Iff,  che,  nata  donna, 
e  dovendo  per  volere  del  padre  che  la  cre- 
deva un  uomo,  sposare  una  fanciulla,  è  dalla 
dea  Iside  cambiata  in  maschio  ;  in  parte  da 
Tristano,  che,  passando  per  femmina,  dorme 
con  Isotta.  Vedi  in  Ovidio  molti  riscontri 
d'immagini  e  di  espressioni. 

—  3.  del  legno.  Cosi  legge  l' ediz.  del  1532. 
Il  Morali  legge  di  l.  senza  dir  la  ragione 
del  cambiamento  ;  ma  non  mi  sembra  da 
accettare,  perchè  spesso  gli  antichi  nel  com- 
plemento di  materia  usarono  la  prepos.  ar- 
ticolata. Petr.  I,  canz.  11  :  «  Tra  le  chiome 
de  l'or  nascose  il  laccio  »:  Boccaccio,  Nov,  1: 
«E  ad  appiccarvi  le  iniagini  della  cera». 

—  4.  Altre  ecc.  Altre  ebbero  il  fine  per 
altri  mezzi. 

—  6.  Sedalo,  artefice  famoso,  che  insegnò 
l'inganno  a  Fasifae.  Ovidio  1.  e.  v.  741-43. 

—  7.  troppo.  Dice  il  rammarico  per  questa 
diligenza,  che  la  natura  (il  mastro)  ha  messo 
in  ciò.  OviD.  1.  e.  757  :  «  natura  poteutior 
omnibus  istis  ». 

38.  4.  E  di  sé  ecc.  E  fa  vendetta  iu  sé 
stessa  della  sua  frenesia. 

39.  1.  Ella  ecc.  Innam.  I,  vr,  21  :  «  Per- 
ch'io  vorrei  aiuto  e  non  conforto». 

—  3.  il  termine,  il  tempo  riserbato  al 
giorno  era  ormai  corto.  Vedi,  per  questo 
significato,  e.  xiii,  47,  n.  2. 

—  5.  in  porto.  Avverti  la  poca  coerenza 
delle  immagini  :  clii  rientra  la  sera  nel  porto 
non  vien  dal  bosco,  ma  dal  mare. 


A  chi  la  notte  al  bosco  star  non  vuole  : 
Quando  la  Donna  invitò  Bradamante 
A  questa  terra  sua  poco  distante. 
40 

Non  le  seppe  negar  la  mia  sorella: 
E  cosi  insieme  ne  vennero  al  loco. 
Dove  la  turba  scelerata  e  fella 
Posto  m'avria,  se  tu  non  v'eri,  al  fuoco. 
Fece  là  dentro  Fiordispina  bella 
La  mia  sirocchia  accarezzar  non  poco  : 
E  rivestita  di  feminil  gonna. 
Conoscer  fé'  a  ciascun  ch'ella  era  donna. 

41 
Però  che  conoscendo  che  nessuno 
Util  traea  da  quel  virile  aspetto. 
Non  le  parve  anco  di  voler  ch'alcuno 
Biasmo  di  sé  per  questo  fosse  detto: 
Fèllo  anco,  acciò  che  '1  mal  ch'avea  da 
Virile  abito,  errando,  già  concetto,  [l'uno 
Ora  con  l'altro,  discoprendo  il  vero, 
Provassi  di  cacciar  fuor  del  pensiero. 
42 

Commune  il  letto  ebbon  la  notte  insie- 
Ma  molto  difterente  ebbon  riposo;     [me; 
Che  l'una  dorme,  e  l'altra  piange  e  geme 
Che  sempre  il  suo  desir  sia  più  focoso. 
E  se  '1  sonno  talor  gli  occhi  le  preme. 
Quel  breve  sonno  è  tutto  imaginoso; 
Le  par  veder  che  '1  ciel  l'abbia  concesso 
Bradamante  cangiata  in  miglior  sesso. 
43 

Come  r  infermo  acceso  di  gran  sete, 
S'in  quella  ingorda  voglia  s'addormenta. 
Ne  l'interrotta  e  turbìda  quiete. 
D'ogni  acqua  che  mai  vide,  si  rammenta; 
Cosi  a  costei  di  far  sue  voglie  liete 
L'imagiue  del  sonno  rappresenta. 
Si  desta  ;  e  nel  destar  mette  la  mano, 
E  ritrova  pur  sempre  il  sogno  vano. 
44 

Quanti  prieghi  la  notte,  quanti  voti 
Offerse  al  suo  Macone  e  a  tutti  i  Dei, 
Che  con  miracoli  apparenti  e  noti 
Mutassero  in  miglior  sesso  costei! 
Ma  tutti  vede  andar  d'effetto  voti  ; 
E  forse  ancora  il  ciel  ridea  di  lei. 
Passa  la  notte;  e  Febo  il  capo  biondo 
Traea  del  mare,  e  dava  luce  al  mondo. 

45  [to, 

Poi  che  '1  di  venne,  e  che  lasciare  il  let- 
A  Fiordispina  s'auguraenta  doglia; 
Che  Bradamante  ha  del  partir  già  detto, 
Ch'  uscir  di  questo  impaccio  aveagran  vo- 
La  gentil  donna  un  ottimo  ginetto    [glia. 


41.  3.  anco.  V.  e.  XVI,  36,  n.  8. 

44.  5.  vede,  li  vede. 

45.  5.  ginetto,  e  anche  yiannetto  e  gin- 
netto; cavallo  di  Spagna  velocissimo  (dal 
Berbero  Zenrta,  divenuto  in  spagnuolo  yi- 
nete,  che   significò- cavaliere  alla  leggera. 


CANTO  XXV 


333 


In  don  da  lei  vuol  che  partendo  toglia, 
Guernito  d'oro,  et  una  sopravesta 
Che  riccamente  ha  di  sua  man  contesta. 
46 

Accompaguolla  un  pezzo  Fiordispina; 
Poi  fé',  piangendo,  al  suo  Castel  ritorno. 
La  mia  sorella  si  ratto  caraina, 
ChevenneaMontalbano  anco  quel  giorno. 
Noi  suoi  fratelli  e  la  madre  meschina 
Tutti  le  siamo  festeggiando  intorno; 
Che  di  lei  non  sentendo,  avuto  forte 
Dubbio  e  tema  avevam  de  la  sua  morte. 
47  [crine, 

Mirammo  (al  trar  de  l'elmo)  al  mozzo 
Ch'intorno  al  capo  prima  s'avvolgea; 
Cosi  le  sopraveste  peregrine 
Ne  fèr  meravigliar,  ch'indosso  avea. 
Et  ella  il  tutto  dal  principio  al  fine 
Narronne,  come  dianzi  io  vi  dicea: 
Come  ferita  fosse  al  bosco,  e  come 
Lasciasse,  per  guarir,  le  belle  chiome; 
48 

E  come  poi  dormendo  in  ripa  all'acque, 
La  bella  cacciatrice  sopragiunse, 
A  cui  la  falsa  sua  sembianza  piacque; 
E  come  da  la  schiera  la  disgiunse. 
Del  lamento  di  lei  poi  nulla  tacque, 
Che  di  pietade  l'anima  ci  punse: 
E  come  alloggiò  seco,  e  tutto  quello 
Che  fece,  fin  che  ritornò  al  castello. 
49 

Di  Fiordispina  gran  notizia  ebb'io. 
Ch'in  Siragozza  e  già  la  vidi  in  Francia; 
E  piacquer  molto  all'appetito  mio 
I  suoi  begli  occhi  e  la  polita  guancia: 
Ma  non  lasciai  fermarvisi  il  disio  ; 
Chél'amar  senza  speme  è  sogno  e  ciancia. 


Gli  Zenéta  erano  una  tribù  Berbera,  che 
forniva  prodi  cavalieri  ai  Sultani  di  Gra- 
nata). 

46.  4.  anco,  quello  stesso  giorno.  Questo 
significato  notevole  non  è  avvertito  da  nes- 
suno, ch'io  sappia.  Cosi  nel  e.  xxii,  7,  S,  e 
nel  0.  XIV,  115,  8. 

—  7.  n.  sentendo,  non  avendo  notizie.  Cosi 
nel  e.  xlvi,  20,  6.  Generalmente  in  questo 
significato,  sentire  si  unisce  al  verbo  fare 
Bocc.\cc.  Nov.  30:  «  senz'altro  farne  ad  al- 
cuna persona  sentire  »,  senza  darne  notizia 
ad  ale.  pers.  Cosi  da  solo  non  è  citate  dai 
vocabolari. 

47.  1.  Mirammo,  fummo  pi'esi  di  meravi- 
glia. Diverso  ma  simile  a  quel  di  Dante, 
Purg,  12,  66:  «  i  tratti  oh'  ivi  Mirar  fariano 
uno'ngegno  sottile  ».  È  il  mirari  dei  Latini,  i 

49.  1.  gran,  notizia,  gran  conoscenza,  la  j 
conobbi  benissimo.   V.  e.  vi,  9,  n.  1. 

—  2.  Siragozza,  Saragozza. 

—  4.  polita,  liscia,  e  perciò  fresca.  \ 


Or,  quando  in  tal  ammezza  mi  si  porge, 
L'antiqua  fiamma  subito  risorge. 
50 

Di  questa  speme  Amore  ordisce  i  nodi; 
Che  d'altre  fila  ordir  non  li  potea: 
Onde  mi  piglia,  e  mostra  insieme  i  modi. 
Che  da  la  donna  avrei  quel  ch'io  chiedea. 
A  succeder  saran  facil  le  frodi; 
Che,  come  spesso  altri  inofannato  avea 
La  simiglianza  e' ho  di  mia  sorella, 
Forse  anco  ingannerà  questa  donzella. 
51  [buono 

Faccio,  0  noi  faccio?  Al  fin  mi  par  che 
Sempre  cercar  quel  che  diletti,  sia. 
Del  mio  pensier  con  altri  non  ragiono. 
Né  vo'  ch'in  ciò  consiglio  altri  mi  dia. 
Io  vo  la  notte  ove  quellarme  sono. 
Che  s'avea  tratte  la  sorella  mia: 
Tolgole,  e  col  destrier  suo  via  camino; 
Né  sto  aspettar  che  luca  il  matutino. 
52 

Io  me  ne  vo  la  notte  (Amore  è  duce) 
A  ritrovar  la  bella  Fiordispina; 
E  v'arrivai  che  non  era  la  luce 
Del  sole  ascosa  ancor  ne  la  marina. 
Beato  è  chi  correndo  si  conduce 
Prima  degli  altri  a  dirlo  alia  Regina, 
Da  lei  sperando,  per  l'annunzio  buono, 
Acquistar  grazia,  e  riportarne  dono. 
53 

Tutti  m'aveano  tolto  cosi  in  fallo, 
Com'hai  tu  fatto  ancor  per  Bradamante; 
Tanto  più  che  le  vesti  ebbi  e  '1  cavallo. 
Con  che  partita  era  ella  il  giorno  inante. 
Vien  Fiordispina  di  poco  intervallo 
Con  feste  incontra,  e  con  carezze  tante, 
E  con  si  allegro  viso  e  si  giocondo. 
Che  più  gioia  mostrar  non  potila  al  mon- 
54  [do. 

Le  belle  braccia  al  collo  indi  mi  getta, 
E  dolcemente  stringe,  e  bacia  in  bocca. 
Tu  puoi  pensar  s'allora  la  saetta 
Dirizzi  Amor,  a' in  mezzo  il  cor  mi  tocca. 


7.  quando  ecc.  ;  poiché  la  speranza  mi  si 
porge  con  tale  ampiezza. 

50.  3.  Onde  ;  coi  quali  nodi  mi  piglia. 

—  5.  succeder,  riuscire  a  bene.  V.  e.  ii, 
22,  n.  6. 

51.  S.  sto  aspettar,  sto  ad  aspettar,  V.  e. 
I,  4,  n.  1  —  matutino,  mattino.  V.  e.  iv,  10, 6. 

53.  1.  t...  in  fallo;  preso  in  isbaglio.  Nella 
st.  30  abbiamo  visto  torre  in  cambio.  Si  dis- 
se anche  isrenrfere  in  fallo:  FORTEGUERRI. 
Ricciardi.  21,  5  :  «  E  Ricciardetto  a  lui  :  m'hai 
preso  in  fallo  ». 

—  5.  di  poco  intervallo,  con  poco  iuterv.; 
dopo  poco  intervallo.  Di  per  co  u  è  vivo  an- 
cora in  molte  locuzioni:  entrar  d'un  salto, 
percuoter  d'urto,  batter  di  bastone  ecc. 
V.  e.  Ili,  65,  6. 


334 


ORLANDO  FURIOSO 


Per  man  mi  piglia^Piu  camera  con  fretta 
Mi  mena:  e  non  ad  altri,  ch'a  lei,  tocca 
Che  da  l'elmo  allo  spron  l'arme  mi  slacci  ; 
E  nessun  altro  vuol  che  se  n'impacci. 
55 

Poi  fattasi  arrecare  una  sua  veste 
Adprna  e  ricca,  di  sua  man  la  spiega; 
E  come  io  fossi  femina,  mi  veste, 
E  in  reticella  d'oro  il  crin  mi  lega. 
Io  muovo  gli  occhi  con  maniere  oneste  ; 
Né  ch'io  sia  donna,  alcun  mio  gesto  niega. 
La  voce  ch'accusar  mi  potea  forse, 
Si  ben  usai,  ch'alcun  non  se  n'accorse.  . 
56 

Uscimmo  poi  là  dove  erano  molte 
Persone  in  sala,  e  cavallieri  e  donne. 
Dai  quali  fummo  con  l'onor  raccolte, 
Ch'alle  Regine  fassi  e  gran  madonne. 
Quivi  d'alcuni  mi  risi  io  più  volte, 
Chfe  non  sappiendo  ciò  che  sotto  gonne 
Si  nascondesse  valido  e  gagliardo, 
Mi  vagheggiavan  con  lascivo  sguardo. 
57 

Poi  che  si  fece  la  notte  più  grande, 
E  già  un  pezzo  la  mensa  era  levata, 
La  mensa  che  fu  d'ottime  vivande. 
Secondo  la  stagione,  apparecchiata: 
Non  aspetta  la  donna  ch'io  domande 
Quel  che  m'era  cagion  del  venir  stata: 
Ella  m'invita,  per  sua  cortesia, 
Che  quella  notte  a  giacer  seco  io  stia. 
58 

Poi  che  donne  e  donzelle  ormai  levate 
Si  furo,  e  paggi  e  camerieri  intorno; 
Essendo  ambe  nel  letto  dispogliate. 
Coi  torchi  accesi,  che  parca  di  giorno. 
Io  cominciai:  Non  vi  maravigliate. 
Madonna,  se  si  tosto  a  voi  ritorno; 
Che  forse  v'andavate  imaginando 
Di  non  mi  riveder  fin  Dio  sa  quando. 
59 

Dirò  prima  la  causa  del  partire, 
Poi  del  ritorno  l'udirete  ancora. 
Se  '1  vostro  ardor,  Madonna,  intiepidire 
Potuto  avessi  col  mio  far  dimora. 
Vivere  in  vostro  servizio  e  morire 
Voluto  avrei,  né  starne  senza  un'ora; 
Ma  visto  quanto  il  mio  star  vi  nocessi. 
Per  non  poter  far  meglio,  andare  elessi. 


54.  6-7.  tocca  che...  mi  sK;  tocca  di  slac- 
ciarmi. V.  e.  I,  38,  n.  6. 

57.  2.  già  un  pezzo,  già  da  un  pezzo.  V. 
e.  I,  26,  n.  8. 

58.  1-2.  leyste...  intorno;  levate  d'intorno 
a  noi.  È  modo  notevole  non  registrato  dai 
vocabolari.  E  la  N.  Crusca  doveva  notarlo. 

59.  6.  starne  senza,  star  senza  di  voi.  Il 
voi  deve  rilevarsi  dal  vostro  del  v.  supe- 
riore. 


60 

Fortuna  mi  tirò  fuor  del  camino 
In  mezzo  un  bosco  d' intricati  rami, 
Dove  odo  un  grido  risonar  vicino, 
Come  di  donna  che  soccorso  chiami. 
V'accorro,  e  sopra  un  lago  cristallino 
Ritrovo  un  Fauno  ch'avea  preso  agli  ami 
In  mezzo  l'acqua  una  donzella  nuda, 
E  mangiarsi  il  crudel  la  volea  cruda. 
61 

Colà  mi  trassi,  e  con  la  spada  in  mano 
(Perch' aiutar  non  la  potea  altriraente), 
Tolsi  di  vita  il  pescator  villano: 
Ella  saltò  ne  l'acqua  immantinente. 
Non  m'avrai  (disse)  dato  aiuto  in  vano: 
Ben  ne  sarai  premiato,  e  riccamente 
Quanto  chieder  saprai  :  perché  son  NimU 
Che  vivo  dentro  a  questa  chiara  linfa: 
62 

Et  ho  possanza  far  cose  stupende, 
E  sforzar  gli  elementi  e  la  natura. 
Chiedi  tu,  quanto  il  mio  valor  s'estende, 
Poi  lascia  a  me  di  satisfarti  cura. 
Dal  ciel  la  luna  al  mio  cantar  discende. 
S'agghiaccia  il  fuoco,  e  l'aria  si  fa  dura; 
Et  ho  talor  con  semplici  parole 
Mossa  la  terra,  et  ho  fermato  il  solci 
63 

Non  le  domando  a  questa  offerta  unire 
Tesor,  né  dominar  popoli  e  terre, 
Né  in  più  virtù  né  in  più  vigor  salire. 
Né  vincer  con  onor  tutte  le  guerre; 
Ma  sol,  che  qualche  via  donde  il  desire. 
Vostro  s'adempia,  mi  schiuda  e  disserre: 
Né  più  le  domando  un,  eh' un  altro  effetto, 
Ma  tutta  al  suo  giudicio  mi  rimetto. 
64 

Ebbile  a  pena  mia  domanda  esposta, 
Ch' un' altra  volta  la  vidi  attuffata  ; 
Né  fece  al  mio  parlare  altra  risposta. 
Che  di  spruzzar  ver  me  l'acqua  incantata, 
La  qual  non  prima  al  viso  mi  s'accosta. 
Ch'io,  non  so  come,  son  tutta  mutata. 
Io '1  veggo,  io  'l  sento;  e  apena  vero  parmi  : 
Sento  in  maschio,  di  femina,  mutarmi. 
65 

E  se  non  fosse  che  senza  dimora 


61.  7.  Quanto  ch.  8.;  con  tutto  ciò  che  sa- 
prai chiedere:  avrai  per  premio  tutto  quanto 
saprai  chiedere.  Quest'  uso  assoluto  di  quan- 
to è  frequente  nella  letteratura.  Dante,  ■ 
Pm-g.  29,  113:  «  Le  membra  d'oro  avea, 
quanto  era  uccello  »  in  tutte  quelle  parti  in 
cui  era  ucc.  Boccacc.  Nov.  90:  «Guardali, 
quanto  hai  cara  la  vita  ».  Cosi  pure  nella 
st.  seg.  V.  3.  ' 

62.  1.  ho  po88.  far;  ho  poss.  di  far. 

63.  1.  unire,  mettere  insieme:  lat.  colli-  ' 
gere  :  a  questa  sua  offerta,  non  domando  di 
mettere  assieme  ecc. 


CANTO  XXV 


335 


Vi  potete  chiarir,  noi  credereste: 
E,  qual  nell'altro  sesso,  in  questo  ancora 
Ho  le  mie  voglie  ad  ubbidirvi  preste. 
Comandate  lor  pur;  che  fieno  or  ora, 
E  sempre  mai  per  voi  vigile  e  deste. 
Cosi  le  dissi;  e  feci  ch'ella  istessa 
Trovò  con  man  la  veritade  espressa. 
66 

Come  interviene  a  chi  già  fuor  di  speme 
Di  cosa  sia  che  nel  pensler  molt'abbla, 
Che,  mentre  più  d'esserne  privo  geme, 
Più  se  n'affligge  e  se  ne  strugge  e  arrabbia, 
Se  ben  la  trova  poi,  tanto  gli  preme 
L'aver  gran  tempo  seminato  in  sabbia, 
E  la  disperazion  l'ha  si  male  uso, 
Che  non  crede  a  sé  stesso,  e  sta  confuso: 
67 

Cosi  la  donna,  poi  che  tocca  e  vede 
Quel,  di  ch'avut(»avea  tanto  desire, 
Agli  occhi,  al  tatto,  a  sé  stessa  non  crede, 
E  sta  dubbiosa  ancor  di  non  dormire  ; 
E  buona  prova  bisognò  a  far  fede. 
Che  sentia  quel  che  le  parca  sentire. 
Fa,  Dio  (disse  ella),  se  son  sogni  questi. 
Ch'io  dorma  sempre,  e  mai  più  non  mide- 
68  [sti. 

Non  rumor  di  tamburi  o  suon  di  trombe 
Furon  principio  all'amoroso  assalto: 
Ma  baci  ch'imitavan  le  colombe, 
Davan  segno  or  di  gire,  or  di  fare  alto. 
Usammo  altr'arme  che  saett»^  o  trombe. 
Io  senza  scale  in  su  la  rocca  salto, 
E  lo  stendardo  piantovi  di  botto, 
E  la  nimica  mia  mi  caccio  sotto. 
69 

Se  fu  quel  letto  la  notte  dinanzi 
Fien  di  sospiri  e  di  querele  gravi. 
Non  stette  l'altra  poi  senza  altrettanti 
Risi,  feste,  gioir,  giochi  soavi. 
Non  con  più  nodi  i  flessuosi  acanti 
Le  colonne  circondano  e  le  travi. 
Di  quelli  con  che  noi  legammo  stretti 
E  colli  e  fianchi  e  braccia  e  gambe  e  petti. 
70 

La  cosa  stava  tacita  fra  noi  ; 
Si  che  durò  il  piacer  per  alcun  mese:     , 
Pur  si  trovò  chi  se  n'accorse  poi, 

65.  6.  vigile,  vigili.  V.  e.  IX,  84,  n.  l. 

66.  5.  gli  preme,  lo  pi'eme,  lo  affligge.  V. 
C.  XVII,  106,  n.  3. 

—  7.  l'ha...  nso;  l'ha  abituato.  È  note- 
vole il  verbo  usare  (participio  usato,  scor- 
ciato in  uso)  in  senso  di  abituare.  Non  si 
cita  dai  vocabolari  né  questo  né  altri  esempi. 
Ma  forse  è  un  uso  consigliato  all'  orecchio 
del  poeta,  per  analogia,  da  altri  participi, 
che  nella  forn>a  scorciata  sono  anche  agget- 
tivi: per  es.  avveczo  {l'hanno  avve;;o  ma- 
le, dice  il  popolo). 

70.  3.  chi  se  n'accorse.  Il  come  l'A.  non 
lo  dice. 


[  Tanto  che  con  mio  danno  il  Re  lo  'ntese. 
Voi  che  mi  liberaste  da  quei  suoi 
I  Che  ne  la  piazza  avean  le  fiamme  accese, 
Comprendere  oggimai  potete  il  resto; 
Ma  Dio  sa  ben  con  che  dolor  ne  resto. 
71 

Cosi  a  Ruggier  narrava  Ricciardetto, 
E  la  notturna  via  iacea  men  grave; 
Salendo  tuttavia  verso  un  poggietto 
Cinto  di  ripe  e  di  pendici  cave. 
Un  erto  calle,  e  pien  di  sassi  e  stretto 
Apria  il  camin  con  faticosa  chiave.      fte, 
Sedea  al  sommo  un  eastel  detto  Agrismon- 
Ch'aveain  guardia  Aldigier  di  Chiaramon- 
72  [te. 

Di  Buovo  era  costui  figliuol  bastardo, 
Fratel  di  Malagigi  e  di  Viviano  : 
Chi  legittimo  dice  di  Gherardo, 
E  testimonio  temerario  e  vano. 
Fosse  come  si  voglia,  era  gagliardo, 
Prudente,  liberal,  cortese,  umano; 
E  facea  quivi  le  fraterne  mura 
La  notte  e  il  di  guardar  con  buona  cura. 
73 

Raccolse  il  cavallier  cortesemente, 
Come  dovea,  il  cugin  suo  Ricciardetto 
Ch'amò  come  fratello;  e  parimente 
Fu  ben  visto  Ruggier  per  suo  rispetto. 
Ma  non  gli  usci  già  incontra  allegramente, 
Come  era  usato,  anzi  con  tristo  aspetto, 
Perch'  uno  avviso  il  giorno  avuto  avea. 
Che  nel  viso  e  nel  cor  mesto  il  facea. 


71.  8.  Aldigier  di  Ch.  Personaggio,  nota  il 
Raina,  assai  oscuro. 

72.  3.  Chi  legittimo  ecc.  Lo  disse  figlio  di 
Gherardo  il  Pulci  xx,  105;  ma  egli  pure  sem- 
bra che  lo  ritenesse  figlio  bastardo:  «  La 
madre  mia  chiamata  è  Rosaspina  Ed  io  mi 
chiamo  per  nome  Aldinghieri,  E  generommi, 
dice,  alla  marina  '  Del  padre  mio  non  ho 
i  termini  interi.  Perché  non  fu  di  stirpe 
Saracina,  Ma  quel  che  inteso  n'  ho  da  la 
mia  madre  Da  Rossiglion  Gherardo  fu  mio 
padre....  Di  Chiaramonte  è  la  mia  schiatta 
antica».  Della  variazione  è  forse  inventore 
l'Ariosto.  Avverti  inoltre  1'  omissione  del 
pronome  lo:  chi  lo  dice. 

—  7.  le  fraterne  m.  ;  Le  mura  del  castello 
che  apparteneva  ai  fratelli  Malagigi  e  Vi- 
viano e  che  egli  «  avea  in  guardia  ». 

73.  1.  Raccolse,  accolse.  V.  e.  vii,  9,  n.  3. 

—  2.  cugin.  Da  Bernardo  di  Chiaramonte 
erano  nati  quattro  figli:  Ottone  re  d' Inghil- 
terra, Milone  padre  d'Orlando,  Amone  padre 
di  Rinaldo  di  Bradamante  di  Ricciardetto  ;  e 
Buovo  padre  di  Malagigi  di  Viviano  e  di 
Aldigieri. 

—  4.  per  s.  rispetto,  per  rispetto  di  lui, 
del  cugino  Ricciardetto. 


336 


ORLANDO  FURIOSO 


74 
A  Ricciardetto  in  cambio  di  saluto 
Disse  :  Fratello,  abbiàn  nuova  non  buona. 
Per  certissimo  messo  oggi  ho  saputo 
Che  Bertolagi  iniquo  di  Baiona 
Con  Lanfusa  crudel  s'  è  convenuto, 
Che  preziose  spoglie  esso  a  lei  dona, 
Et  essa  a  lui  pon  nostri  frati  in  mano, 
Il  tuo  buon  Malagigi  e  il  tuo  Viviano. 

75 

Ella  dal  di  che  Ferraù  li  prese, 
Gli  ha  ognor  tenuti  in  loco  oscuro  e  fello. 
Fin  che  '1  brutto  contratto  e  discortese 
N'  ha  fatto  con  costui  di  ch'io  favello. 
Gli  de'  mandar  domane  al  Maganzese 
Nei  confìn  tra  Baiona  e  un  suo  castello. 
Verrà  in  persona  egli  a  pagar  la  mancia 
Che  compra  il  miglior  sangue  che  sia  in 
76  [Francia. 

Rinaldo  nostro  n'  ho  avvisato  or  ora, 
Et  ho  cacciato  il  messo  di  galoppo: 
Ma  non  mi  par  ch'arrivar  possa  ad  ora 
Che  non  sia  tarda;  ché'l camino  ètroppo. 
Io  non  ho  meco  gente  da  uscir  fuora: 
L'animo  è  pronto,  ma  il  potere  è  zoppo. 


74.  4.  Bertolagi  di  B.  Era  uno  della  casa 
di  Maganza.  Qui  l'A.  fa  uso  di  due  dati  fon- 
damentali della  letteratura  cavalleresca  ita- 
liana: la  fellonia  dei  Maganzesi  e  la  loro 
inimicizia  colla  casa  di  Chiaramente.  Tra- 
dire e  mettere  i  paladini  nelle  mani  degli 
infedeli  è  cosa  abituale  per  quei  di  Ma- 
ganza;  generalmente  per  semplice  odio 
senza  compenso.  Negli  esempi  più  antichi 
c'è  pure  un  compenso  in  danai'o.  Qui,  in- 
vece di  ricever  compenso,  Bertolagi  lo  dà. 

—  5.  Con  Lanfasa.  L' idea  forse  è  tolta 
dalla  Spagna,  dove  tutti  i  principali  baroni 
di  Francia  abbattuti  da  Ferraù  rimangono 
imprigionati  in  potere  di  sua  madre  Lan- 
fusa. Sulla  crwleltà  di  lei  vedi  Spagna,  vi, 
22  —  s'è  convenuto,  ha  concordato. 

—  8.  Malagigi...  Vìt.  ^eW Innamor.  II, 
xxii,  60  si  dice  che  furono  presi  da  Ferra- 
guto,  quindi  XXIII,  3-4,  furono  presentati 
al  re  Marsilio.  D'allora  in  poi  non  ne  sap- 
piamo più  nulla.  L'A.  riprende  questo  epi- 
sodio per  farvi  agire  Ruggiei-o  e  por  le  ra- 
gioni della  futura  sua  morte,  avvenuta  per 
tradimento  dei  Magauzesi. 

75.  7.  mancia.  Non  è  prezzo,  come  alcuni 
intendono,  ma  vera  tnancia,  cioè  una  ri- 
compensa a  piacere  del  donatore,  mentre 
il  prezzo  è  determinato  nella  quantità.  In- 
fatti sopra  ha  detto  che  «  preziose  spoglie 
esso  a  lei  dona  ». 

76.  5.  uscir  fuora;  uscire  a  battaglia. 
.—   6.  L'animo  ecc.  É  rifacimento  del  detto 

evangelico  (S.  Marco,  14,  38)  :  «  Spiritus  qui- 
dem  promptus  est  caro  antera  inflrma  »,  già 


Se  gli  ha  quel  traditor,  li  fa  morire: 
Si  che  non  so  che  far,  non  so  che  dire. 
77 

La  dura  nuova  a  Ricciardetto  spiace; 
E  perché  spiace  a  lui,  spiace  a  Ruggiero, 
Che  poi  che  questo  e  quel  vede  che  tace, 
Né  tra  profitto  alcun  del  suo  pensiero. 
Disse  con  grande  ardir:  Datevi  pace  : 
Sopra  me  quest'impresa  tutta  chero; 
E  questa  mia  varrà  per  mille  spade 
A  riporvi  i  fratelli  in  libertade. 
78 

Io  non  voglio  altra  gente,  altri  sussidi; 
Ch'io  credo  bastar  solo  a  questo  fatto. 
Io  vi  domando  solo  un  che  mi  guidi 
Al  luogo  ove  si  dee  fare  il  baratto. 

10  vi  farò  sin  qui  sentire  i  gridi 

Di  chi  sarà  presente  al  rio  contratto. 
Cosi  dicea;  né  dicea  cosa  nuova 
All'un  de'  dui,  che  n'avea  visto  pruova. 

79 
L'altro  non  l'ascoltava,  se  non  quanto 
S'ascolti  un  ch'assai  parli,  e  sappia  poco: 
Ma  Ricciardetto  gli  narrò  da  canto, 
Come  fu  per  costui  tratto  del  foco, 
E  ch'ei'a  certo  che  maggior  del  vanto 
Faria  veder  l'effetto  a  tempo  e  a  loco. 
Gli  diede  allor  udienza  più  che  prima, 
E  riverillo,  e  fé'  di  lui  gran  stima. 

80 
Et  alla  mensa,  ove  la  Copia  fuse 

11  corno,  l'onorò  come  suo  donno. 
Quivi  senz'altro  aiuto  si  concluse 
Che  liberare  i  duo  fratelli  ponno. 

In  tanto  sopravenne  e  gli  occhi  chiuse 
Ai  Signori  e  ai  sergenti  il  pigro  Sonno, 
Fuor  ch'a  Ruggier  ;  che,  per  tenerlo  desto, 
Gli  punge  il  cor  sempre  un  pensier  mole- 
81  [sto. 

L'assedio  d' Agramante  ch'avea  il  giorno 


tradotto  dal  Petrarca,  I,  Son.  183:   «Lo 
spirto  è  pronto,  ma  la  carne  è  stanca». 

77.  4.  He  tra  ecc.  Né  trae  (cfr.  e.  xi,  12, 
n.  5)  dal  suo  meditare  silenzioso  alcuna  de- 
terminazione ad  agire. 

—  6.  chero  (lat.  quaero)  chiedo  che  sia 
posta  tutta  sopra  di  me,  sia  affidata  a  me. 

79.  2.  sappia  (lat.  sapiat)  abbia  poco  sen- 
no; molta  ciarla  e  poco  senno. 

—  3.  da  canto,  in  disparte.  Cosi  nel  e.  xii, 
30,  4. 

—  6.  a  tempo  e  a  1.;  Più  comunemente  : 
a  tempo  e  luogo,  e  spesso  negli  antichi  a 
luogo  e  a  tempo. 


80.  I.  la  Copia.  V. 
versò.  V.  e.  xi,  43,  n 

—  3.  senz'  altro    a 
verbo  liberare. 

—  7.  che,  perché. 


e  VI,  73,  n.  8  —  fuse, 
.  1. 
.  È  complemento  dei 


CANIO  XXV 


337 


Udito  dal  córrier,  gli  sta  nel  core. 
Ben  vede  ch'ogrni  minimo  soggiorno 
Che  faccia  d'aiutarlo,  è  suo  disuore. 
Quanta  gli  sarà  infamia,  quanto  scorno, 
Se  coi  nemici  va  del  suo  Signore! 
O  come  a  gran  viltate,  a  gran  delitto. 
Battezzandosi  allor,  gli  sarà  ascritto  ! 

82 
Potria  in  ognaltro  tempo  esser  creduto 
Che  vera  religiou  l'avesse  mosso; 
Ma  ora  che  bisogna  col  suo  aiuto 
Agraraante  d'assedio  esser  riscosso, 
Pili  tosto  da  ciascun  sarà  tenuto 
Che  timore  e  viltà  l'abbia  percosso, 
Ch'alcuna  opinion  di  miglior  fede. 
Questo  il  cor  di  Ruggier  stimola  e  fiede. 

83 
Che  s'abbia  da  partire  anco  lo  punge 
Senza  licenzia  de  la  sua  Regina.         [gè, 
Quando  questo  pensier,  quando  quel  giun- 
che '1  dubbio  cor  diversamente  inchina. 
Gli  era  l'avviso  riuscito  lunge 
Di  trovarla  al  Castel  di  Fiordispina, 
Dove  insieme  dovean,  come  ho  già  detto. 
In  soccorso  venir  di  Ricciardetto. 

84 
Poi  gli  sovvien  ch'egli  le  avea  promesso 
Di  seco  a  Vall'orabrosa  ritrovarsi. 
Pensa  ch'andar  v'abbi  ella,  e  quivi  d'esso 


81.  3.  soggiorno  indugio.  G.  Villani,  8, 
52;  «senza  soggiorno  andarono....  in  Mu- 
gello ». 

—  4.  d'aiutarlo,  in  aiutarlo,  per  aiutarlo. 
É  un  complemento  di  limitazione. 

—  5.  gli,  per  lui.  —  Questa  e  la  seguente 
Stanza  furono  aggiunte  per  l'edizione  del 
1521. 

—  7.  0  come,  oh,  come.  Gli  antichi  molto 
spesso  usarono  come  esclamativo  il  solo  o. 

82.  3-4.  bisogna...  Agram.  ecc.;  bisogna 
che  Agramante  sia  liberato  dall'assedio  col 
suo  aiuto.  Per  la  proposiz.  infinitiva  invece 
del  congiuntivo  cfr.  e.  i,  48,  n.  4;  xlii,  32, 
"ì.  Per  riscuotere  nel  senso  di  liberare  cfr. 
e.  xxili,  55,  n.  2. 

—  5.  tenuto,  ritenuto,  creduto. 

—  7.  Che.  É  correlativo  di  Più  tosto  del 
V.  5. 

83.  2.  Regina,  Bradamante  regina  del  suo 
cuore. 

—  5-6.  Gli  era  ecc.;  l'avviso,  l'idea  di  tro- 
varla al  castello  di  Fiordispina,  dove  s'erano 
diretti  insieme  (xxii,  42-43),  separandosi  poi 
per  caso  (xxii,  9s),  gli  era  riuscita  lungi 
dall'intento.  Riuscir  lunge  è  brachilogia 
notevole. 

84.  I.  Poi  gli  aoTvien  ecc.  V.  e.  xxii,  36. 

—  3.  v'abbi,  vi  abbia,  vi  debba.  Per  la 
forma  abbi  cfr.  e.  xv,  86,  n.  5. 


Che  non  vi  trovi  poi,  maravigliarsi. 
Potesse  almen  mandar  lettera  o  messo. 
Si  ch'ella  non  avesse  a  lamentarsi 
Che,  oltre  ch'egli  mal  le  avea  ubbidito, 
Senza  far  motto  ancor  fosse  partito. 
85 

Poi  che  più  cose  imaginate  s'ebbe. 
Pensa  scriverle  al  fin  quanto  gli  accada; 
E  ben  ch'egli  non  sappia  come  debba 
La  lettera  inviar  si  che  ben  vada, 
Non  però  vuol  restar;  che  ben  potrebbe 
Alcun  messo  fedel  trovar  per  strada. 
Pili  non  s' indugia,  e  salta  de  le  piume  : 
Si  fa  dar  carta,  inchiostro,  penna  e  lume. 
86 

I  camerier  discreti  et  avveduti 
Arrecano  a  Ruggier  ciò  che  comanda. 
Egli  comincia  a  scrivere,  e  i  saluti, 
Come  si  suol,  nei  primi  versi  manda: 
Poi  narra  de  gli  avvisi  che  venuti 
Son  dal  suo  Re  ch'aiuto  gli  domanda; 
E  se  l'andata  sua  non  è  ben  presta, 
U  morto  0  in  man  de  gli  nimici  resta. 
87 

Poi  seguita,  ch'essendo  a  tal  partito, 
E  ch'a  lui  per  aiuto  si  volgea^ 
Vedesse  ella,  che  '1  biasmo  era  infinito 
S'a  quel  punto  negar  gli  lo  volea  : 
E  ch'esso,  a  lei  dovendo  esser  marito. 
Guardarsi  da  ogni  macchia  si  dovea  ; 
Che  non  si  convenia  con  lei,  che  tutta 
Era  sincera,  alcuna  cosa  brutta. 


—  4.  Che  non  vi  tr.  p.  Può  intendersi: 
maravigliarsi  di  esso,  perché  non  ve  lo  trovi 
poi  (quando  ella  vi  arrivi):  oppure:  mara- 
vigliarsi di  esso,  cui  non  vi  trovi  poi(quand() 
ella  vi  arrivi).  È  più  probabile  la  prima  in- 
terpretazione, perché  roinissione  delle  par- 
ticelle pronominali  è  fi'equentissimanell'A. 

85.  5.  restare,  lasciare  di  scriverle.  La 
corrispondenza  epistolare  fra  gli  amanti  era, 
nota  il  Raina,  comune  da  un  pezzo  nei  ro- 
manzi di  cavalleria  ;  per  es.  si  trova  nei 
Reali  di  Francia. 

86.  1.  discreti,  assennati. 

—  4.  Come  si  suol.  Secondo  il  costume 
dei  Latini,  la  lettera  cominciava  sempre  coi 
saluti.  Per  es.  «  Cicero  Terentiae  suae  sa- 
lutem  dicit  ». 

—  7.  E  se  ecc.  ;  e  che,  (il  quale)  se  l'an- 
data sua  non  è  ben  presta,  o  resta  morto 
o  in  mano  ecc. 

87.  2.  E  che,  ed  essendo  che.  L'  essendo 
si  supplisce  facilmente,  rilevandolo  dal  verso 
precedente. 

—  3.  Vedesse,  considerasse. 

—  5.  E  ch'esso  ecc.  Dipende  da  seguita. 

—  S.  sincera,  pura,  senza  mescolanza  di 
male.  Dante,  Par.,  vii,  36  :  «  Questa  natura 
(umana)  al  suo  Fattore  unita,  Qual  fu  creata 


Ariosto  —  P.\pini 


338 


ORLANDO  FURIOSO 


88 

E  se  mai  per  adietro  un  nome  chiaro, 
Ben  oprando,  cercò  di  guadagnarsi  ; 
E  guadagnato  poi,  se  avuto  caro, 
8e  cercato  l'avea  di  conservarsi  ; 
Or  lo  cercava,  e  n'era  fatto  avaro. 
Poi  che  dovea  con  lei  participarsi, 
La  qual  sua  moglie,  e  totalmente  in  dui 
Corpi  esser  dovea  un'anima  con  lui. 
89 

E  si  come  già  a  bocca  le  avea  detto. 
Le  ridicea  per  questa  carta  ancora: 
Finito  il  tempo  in  che  per  fede  astretto 
Era  al  suo  Re,  quando  non  prima  muora, 
Che  si  farà  Cristian  cosi  d'effetto, 
Come  di  buon  voler  stato  era  ogni  ora; 
E  ch'ai  padre  e  a  Rinaldo  e  agli  altri  suoi 
Per  moglie  domandar  la  farà  poi. 

90  [eia. 

Voglio  (le  soggiungea)  quando  vi  piac- 
L'assedio  al  mio  Signor  levar  d' intorno. 
Acciò  che  l'ignorante  vulgo  taccia, 
Il  qual  direbbe  a  mia  vergogna  e  scorno: 
Ruggier,  mentre  Agramante  ebbe  bonac- 
Mai  non  l'abandonò  notte  né  giorno;  [eia, 
Or  che  Fortuna  per  Carlo  si  piega. 
Egli  col  vincitor  l'insegna  spiega. 
91 

Voglio  quindici  di  termine,  o  venti, 
Tanto  che  comparir  possa  una  volta. 
Si  che  degli  Africani  alloggiamenti 
La  grave  ossedion  per  me  sia  tolta. 
Intanto  cercherò  convenienti 
Cagioni,  e  che  sian  giuste,  di  dar  volta. 


fu  sincera  e  buona  ».  E  anche  comunemente 
diciamo  sincero  il  vino  puro. 

88.  3-4.  guadagnato  ecc.,  guadagnatolo  — 
se  avuto  caro,  Sottintendi  Vavea  del  v.  4.  — 
l'avea  di  e,  avea  cercato  di  conservarselo. 
Abbiamo  dunque  omissione  prima,  sposta- 
mento poi  della  particella  pronominale,  come 
spesso  abbiamo  trovato:  V.  e.  i,  47,  n.  6; 
21,  n.  7. 

—  5.  Or.  É  enfatico  :  ora  si,  ora  davvero 
cercava  di  conservarselo  e  n'era  divenuto 
avaro. 

—  6.  dovea...  partec.  doveva  esser  condi- 
viso. Cosi,  ma  attivamente,  nel  e.  xxxix, 
60,  6. 

—  7-8.  in  dui  Corpi  ecc.  L'espressione  è 
della  bibbia:  «  Erunt  duo  in  carne  una». 

89.  .3.  il  tempo,  della  guerra. 

—  5.  Che  si  farà  ecc.  Dipende  da  le  ?'i- 
dicea  —  d'effetto,  di  fatto,  col  fatto.  Cosi 
nel  e  xxviii,  39,  1. 

91.  1.  termine,  tempo.  V.  e.  xiii,  47,  u.  2. 

—  4.  ossedion;  (lat.  obsidionerii),  assedio. 
I*iù  comune  la  forma  ossidiane,  che  tro- 
vasi anche  in  prosa. 

—  e.  dar  volta;  di  ritornare  indietro,  dal 


[Io  vi  domando  per  mio  onor  sol  questo: 
Tutto  poi  vostro  è  di  mia  vita  il  resto. 

92 
In  simili  parole  si  diffuse 
Ruggier,  che  tutte  non  so  dirvi  a  pieno; 
E  segui  con  molt'altre,  e  non  concluse 
Fin  che  non  vide  tutto  il  foglio  pieno  : 
E  poi  piegò  la  lettera  e  la  chiuse, 
E  suggellata  se  la  pose  in  seno. 
Con  speme  che  gli  occorra  il  di  seguente 
Chi  alla  Donna  la  dia  secretamente. 

93 
Chiusa  ch'ebbe  la  lettera,  chiuse  anco 
Gli  occhi  sul  letto,  e  ritrovò  quiete; 
Che '1  Sonno  venne,  e  sparse  il  corpo  stanco 
Col  ramo  intinto  nel  liquor  di  Lète: 
E  posò  fin  eh' un  nembo  rosso  e  bianco 
Di  fiori  sparse  le  contrade  liete 
Del  lucido  Oriente  d'ogn' intorno, 
Et  indi  usci  de  l'aureo  albergo  il  giorno. 

94 
E  poi  ch'a  salutar  la  nova  luce 
Pei  verdi  rami  incominciar  gli  augelli, 
Aldigier  che  voleva  essere  il  duce 
Di  Ruggiero  e  de  l'altro,  e  guidar  quelli 
Ove  faccin  che  dati  in  mano  al  truce 
Bertolagi  non  siano  i  duo  fratelli. 
Fu  '1  primo  in  piede;  e  quando  sentir  lui» 
Del  letto  uscirò  anco  quegli  altri  dui. 

95 
Poi  che  vestiti  furo  e  bene  armati. 
Coi  duo  cugin  Ruggier  si  mette  in  via, 
Già  molto  indarno  avendoli  pregati 
Che  questa  impresa  a  lui  tutta  si  dia. 
Ma  essi,  pel  desir  ch'han  de'  lor  frati, 
E  perché  lor  parca  discortesia, 
Steron  negando  più  duri  che  sassi; 


campo  di  Agramante  a  voi.  Petr.  i,  Soh, 
44:  «  Poi  torna  il  primo  (pensiero)  e  questo 
dà  la  volta  ». 

92.  7.  g.  occorra,  gli  si  presenti,  s'imbatta 
in  lui.  V.  e.  vili,  3,  n.  8. 

93.  4.  Col  ramo  ecc.  È  immagine  virgi- 
liana; En.  V,  854:  «Ecce  Deus  (il  sonno) 
ramum  Lethaeo  rore  madentem  Vique  sopo- 
ratum  Stygia  super  utraque  quassat  Tem- 
pora». La  stessa  immagine  si  trova  nel  carme 
al  Sonno  dell'  Unico  Accolti.  Mal  si  saprebbe 
dire  qual  sia  la  fonte  diretta  dell'Ariosto, 
che  dell'Accolti  stimava  le  opere  e  l'inge- 
gno. (Il  gran  lume  Aretin,  1'  Unico  Accolti. 
XLVI,  IO). 

—  6.  sparse  le  e;  finché  un  nembo  di  fiori 
rosso  e  bianco  (la  luce  dell'aurora)  sparse 
le  contrade.  Spargere  col  complem.  di  luogo 
é  più  della  poesia  che  della  prosa  ed  è  ' 
hella  derivazione  dalla  lingua  latina.  Vip.-' 
GiL.,  Ed-  2,  40:  «  Spargile  humuni  foliis  ». 

94.  5.  faccio,  faccian.  Forma  antica  e  pò» 
polare. 


CANTO  XXV 


339 


Né  consentiron  mai.  clie  solo  andassi. 

U6 
Giunsero  al  loco  il  di  che  si  dovea 
Malagigi  mutar  nei  carriaggi. 
Era  un'ampia  campagna  che  giacca 
Tutta  scoperta  agli  Apollinei  raggi. 
Quivi  né  allùr  né  mirto  si  vedea, 
Né  cipressi  né  frassini  né  faggi; 
Ma  nuda  ghiara,  e  qualche  umil  virgulto 
Non  mai  da  marra  o  mai  da  voraer  culto. 

97 
I  tre  guerrieri  arditi  si  fermare 
Dove  un  seutier  feudea  quella  pianura  ; 
E  giunger  quivi  un  cavallier  miraro, 
Ch'avea  d'oro  fregiata  l'armatura, 


95.  8.  andassi,  andasse.  V.  e.  ii,  40,  n.  8. 

96.  2.  Malagigi;  Nomina  dei  due  il  più 
famoso:  ma  intendi  anche  dell'altro  —  mu- 
tar nei  e;  permutare  nei  e.  È  il  latino '^/ut- 
fare,  che  però  si  costruisce  coli'  ablativo. 
Orazio,  Od.  3,  1,  47:  «  Cur  valle  permutem 
sabina  divitias  opei'osiores  ». 

—  4.  Apollinei  r.;  raggi  d'.^pollo,  del  Sole. 

97.  2.  fendea,  tagliava. 


E  per  insegna  in  campo  verde  il  raro 
E  bello  augel  che  più  d'un  secol  dura. 
Signor,  non  più,  che  giunto  al  fin  mi  veggio 
Di  questo  Canto,  e  riposarmi  chieggio. 


—   6.  angel  ecc.;  la  fenice.  «  Essendo  una 
sola  la  Fenice,   raro   è  da   intendersi  nel 
senso  che  sono  pochi  quelli  che  la  vedono. 
L'epiteto  fu  suggerito  dal  proverbio  —  Phoe- 
nice  rarior  —  cosi  commentato  da  Erasmo  : 
De  rebus  aut  hominibus  Inventu  perquani 
j  varia».  (Romizi).  —  bello.  Cosi  la  descrive 
j  Plinio.  Hist.  -V.  x ,  2  :   «  Narratur ...   auri 
j  fulgore  cii'ca  colla,  caetera  purpureus,  ce- 
I  ruleam  roseis  caudam  pennis  distinguenti- 
bus,  cristis  faciem  caputque,  plumeo  apice 
cohonestante  »  —  più  d'un  s.  d.  «  Lascia  in- 
certa con  questa  espressione  V  indicazione 
dell'età,  perché  se  Ovidio  {Met.  xv,  395)  se- 
guito da  Dante  {Inf.  24,  108)  le  avea  asse- 
gnato cinque  secoli  di  vita,  altri  scrittori 
l'avevano  fatta  vivere  un  po'  più  di  cinque 
secoli,  ed  altri  perfino  dieci   secoli  »   (Ro- 
mizi). 


CANTO  XXVI 


1 

Cortesi  donne  ebbe  l'antiqua  etade 
Che  le  virtù,  nou  le  ricchezze,  amaro. 
Al  tempo  nostro  si  ritrovan  rade 
A  cui,  più  del  guadagno,  altro  sia  caro. 
Ma  quelle  che  per  lor  vera  boutade 
Non  seguon  de  le  più  lo  stile  avaro, 
Vivendo,  degne  son  d'esser  contente; 
Gloriose  e  immortai  poi  che  fian  spente. 
2 

Degna  d'eterna  laude  è  Bradamante 
Che  non  amò  tesor,  non  amò  impero, 
Ma  la  virtù,  ma  l'animo  prestante, 
Ma  l'alta  gentilezza  di  Ruggiero  ; 
E  meritò  che  ben  le  fosse  amante 
Un  cosi  valoroso  cavalliero; 
E  per  piacere  a  lei  facesse  cose 
Nei  secoli  a  venir  miracolose. 


1.  7.  contente,  felici. 

2.  5.  ben,  invero.  E  meritò  che  invero  le 
fosse  amante,  E  meritò  invero  che  le  fosse 
am.  Tali  inversioni  e  anche  più  gravi  ab- 
biamo rilevato  spesso  nel  Furioso. 

—  8.  a  venire,  avvenire.  L'A.  ha  usato  la 
forma  primitiva;  anzi  ha  sostituito  questa 
all'  altra  avenire  della  prima  edizione.  — 
miracolose,  mirabili.  Si  citano  dai  vocabolari 


Ruggier,  come  di  sopra  vi  fu  detto. 
Coi  duo  di  Chiaramente  era  venuto; 
Dico,  con  Aldigier,  con  Ricciardetto, 
Per  dare  ai  duo  fratei  prigioni  aiuto. 
Vi  dissi  ancor  che  di  superbo  aspetto 
Venire  un  cavalliero  avean  veduto. 
Che  portava  l'augel  che  si  rinova, 
E  sempre  unico  al  mondo  si  ritrova. 
4 

Come  di  questi  il  cavallier  s'accorse. 
Che  stavan  per  ferir  quivi  su  l'ale. 
In  prova  disegnò  di  voler  pòrse, 
S'alia  sembianza  avean  virtude  uguale. 


diversi  esempì,  ma  solo  questo  dell'A.  offre 
sicuro  questo  significato;  negli  altri  v'è  sem- 
pre l'idea  del  miracolo,  del  soprannaturale. 

3.  8.  unico,  la  fenice,  che  risorge  dalle  sue 
ceneri  (si  rinova),  ed  è  unico.  V.  e.  xv,  39, 
n.  3.  Secondo  il  Boiardo,  Inn.  I,  xviii,  -), 
Marflsa  aveva  »  per  cimier  ne  l'elmo  al  som- 
mo loco  Un  drago  verde,  che  gettava  foco  ». 
Forse  l'A.  fece  questa  variante  per  indica- 
re, colla  Fenice,  il  rinnovamento  morale  di 
Mariìsa. 

4.  2.  stavan...  sa  l'ale  ;  stavano  sul  punto 
(di  ferire). 


340 


ORLANDO  FURIOSO 


E  di  voi  (disse  loro)  alcuno  forse 
Che  provar  voglia  chi  di  noi  più  vale 
A  colpi  o  de  la  lancia  o  de  la  spada, 
Fin  che  l'un  resti  in  sella,  e  l'altro  cada? 


Farei  (disse  Aldigier)  teco,  o  volessi 
Menar  la  spada  a  cerco,  o  correr  l'asta  ; 
Ma  un'altra  impresa  che,  se  qui  tu  stessi, 
Veder  potresti,  questa  in  modo  guasta, 
Ch'a  parlar  teco,  non  che  ci  traessi 
A  correr  giostra,  a  pena  tempo  basta; 
Seicento  uomini  al  varco,  o  pivi,  attendia- 

[rao. 
Coi  qua'  d'oggi  provarci  obligo  abbiamo. 
6 

Per  tòr  lor  duo  de'nostri  che  prigioni 
Quinci  trarran,pietade  e  amor  n'ha  mosso. 
E  seguitò  narrando  le  cagioni 
Che  li  fece  venir  con  l'arme  indosso. 
Si  giusta  è  questa  escusa  che  m'opponi 
(Disse  il  guerrier), che  contradir  non  pos- 
E  fo  certo  giudicio  che  voi  siate         jso; 
Tre  cavallier  che  pochi  pari  abbiate. 

7  [trarrne, 

Io  chiedea  un  colpo  o  dui  con  voi  scon- 
Per  veder  quanto  tosse  il  valor  vostro  ; 
Ma  quando  all'altrui  spese  dimostrarme 
Lo  vogliate,  mi  basta,  e  più  non  giostro. 
Vi  priego  ben,  che  por  con  le  vostr'arme 


5.  1-2.  Farei  teco,  mi  proverei  teco.  Fare, 
usato  come  neutro  con  un  termine  di  per- 
sona retto  da  con,  è  comunissimo  anch'oggi 
nell'uso  per  provarsi,  e  la  Crusca  mi  sem- 
bra che  non  lo  citi,  come  non  lo  citano  altri 
vocabol.  Esemp.  «  Io,  a  correre,  faccio  con 
tutti.  —  Vuoi  fare  anche  con  me  ?  »  —  correr 
l'asta;  nel  e.  iv,  17,  5,  correr  la  lancia.  È 
espressione  tecnica  dei  duelli  e  vale  gio- 
strare, combattere  in  campo. 

—  6.  tempo  ;  il  tempo.  V.  e.  n,  15,  n.  8. 

—  7.  al  varco,  su  quella  strada  per  cui 
dovevan  passare;  sul  sentiero,  di  cui  nel  e. 
XXV,  97.  2. 

6.  2.  Quinci  trarran,  i    Maganzesi  li  trar-  i 
ranno  prigionieri  di  qui,  passando  per  qui. 

7.  1.  un  colpo  ;  per  un  colpo,  in  un  colpo.  { 
Piuttosto  che  oggetto  interno,  come  voglio-  ' 
no  alcuni,  nel  qual  caso  si  avrebbe  scon- 
trare non  scontrarmi,  abbiamo  qui  un 
complemento  di  limitazione.  È  una  specie 
di  limitazione  di  tempo,  quasi  dica:  non 
per  molto  tempo,  ma  per  un  solo  colpo. 
Cosi  diremmo  ;  provarsi  con  un  giuocatore 
una  sola  partita  =  per  una  sola  partita,  ecc. 
V.  FORNACiAKi,  Sint.  p.  349. 

—  4.  dim.  lo  vogliate,  vogliate  dimostrar- 
melo. 

—  5.  Vi  pr.  ben,  ma  vi  prego.  Cosi  Dan- 
te, Par.  15,  85  :  «  Ben  supplico  io  a  te  vivo 
topazio  ». 


Quest'elmo  iopossa  e  questo  scudo  nostro; 
E  spero  dimostrar,  se  con  voi  vegno. 
Che  di  tal  compagnia  non  sono  indegno. 
8 

Farmi  veder  ch'alcun  saper  desia 
Il  nome  di  costui,  che  quivi  giunto 
A  Ruggiero  e  a'compagni  si  oflferia 
Compagno  d'arme  al  periglioso  punto. 
Costei  (non  più  costui  detto  vi  sia) 
Era  Marfisa  che  diede  l'assunto 
Al  misero  Zerbin  de  la  ribalda 
Vecchia  Gabriua  ad  ogni  mal  si  calda. 
9 

I  duo  di  Chiaramonte  e  il  buon  Ruggiero 
L'accettar  volentier  ne  la  lor  schiera, 
Ch'esser  credeano  certo  un  cavalliero, 
E  non  donzella,  e  non  quella  ch'ella  era. 
Non  molto  dopo  scoperse  Aldigiero, 
E  veder  fé' ai  compagni  una  bandiera 
Che  facea  l'aura  tremolare  in  volta, 
E  molta  gente  intorno  avea  raccolta. 
10 

E  poi  che  più  lor  fur  fatti  vicini, 
E  che  meglio  notar  l'abito  Moro, 
Conobbero  che  gli  eran  Saracini, 
E  videro  i  prigioni  in  mezzo  a  loro 
Legati,  e  tratti  su  piccol  ronzini 
A'Maganzesi,  per  cambiarli  in  oro. 
Disse  Marfisa  agli  altri:  Ora  che  resta, 
Poi  che  son  qui,  di  cominciar  la  festa  ? 
11 

Ruggier  rispose  :  Gl'invitati  ancora 
Non  ci  son  tutti,  e  manca  una  gran  parte. 
Gran  ballo  s'apparecchia  di  fare  ora; 
E  perché  sia  solenne,  usiamo  ogn'arte: 
Ma  far  non  ponno  omai  lunga  dimora. 
Cosi  dicendo,  veggono  in  disparte 
A^enire  i  traditori  di  Maganza: 


8.  8.  calda,  bramosa.  Pulci,  Morg.  14,  37: 
«Che  di  servirlo  son  più  di  te  caldo». 

9.  7.  Che,  cui. 

10.  6.  camb.  in  ore.  L'oro  era  una  parte 
dei  doni,  come  erano  parte  le  preziose  spo- 
glie del  canto  precedente  st.  74:  nella  st.  12, 
3,  sono  tutti  compresi  nel  verso  «  D'oro  e 
di  vesti  e  d'altri  ricchi  arnesi  >. 

—  7.  che  resta  ecc.,  perché  la  festa  resta 
di  cominciare  ?  indugia  a  cominciare?  È  si- 
gnificato, che  manca  nei  vocabolari. 

11.  3.  s'appar.  di  fare.  L'infinito  dipenden- 
te dal  verbo  apparecchiarsi  si  usò  e  si  usa 
egualm.  colla  prepos.  di  e  a.  Coi  sostantivi 
apparecchiarsi  [di  una  cosa)  vale  lìrovve- 
dersi  (d.  u.  e).  Si  apparecchia  sta  per  ci 
si  apparecchia.  La  forma  impersonale  è 
stata  prodotta  dalla  fusione  di  due  costrutti: 
si  apparecchia  un  gran  ballo  —  ci  si  ap- 
parecchia a  fare  un  gran  ballo. 

—  6.  in  disparte,  in  altra  parte.  Petrah- 


CANTO  XXVI 


341 


Si  ch'eran  presso  a  cominciar  la  danza. 

12 
Gìungean  da  l'una  parte  i  Maganzesi, 
E  conducean  con  loro  i  muli  carchi 
D'oro  e  di  vesti  e  d'altri  ricchi  arnesi; 
Da  l'altra  in  mezzoalance,  spade  et  archi 
Venian  dolenti  i  duo  germani  presi, 
Che  si  vedeano  essere  attesi  ai  varchi: 
E  Bertolagi,  empio  inimico  loro, 
Udian  parlar  col  capitano  Moro. 

13 
Né  di  Buovo  ilfigliuol,  né  queld'Amone, 
Veduto  il  Maganzese,  indugiar  puote: 
La  lancia  in  resta  l'uno  e  l'altro  pone, 
E  l'uno  e  l'altro  il  traditor  percuote. 
L'ungli  passa  la  panciae'l  primo  arcione. 
E  l'altro  il  viso  per  mezzo  le  gote. 
Cosi  n'andasserpnr  tutti  i  malvagi, 
Come  a  quei  colpi  n'andò  Bertolagi. 

14 
Martìsa  con  Ruggiero  a  questo  segno 
Si  muove,  e  non  aspetta  altra  trombetta. 
Né  prima  rompe  l'arrestato  legno, 
Che  tre,  l'un  dopo  l'altro,  in  terra  getta. 
De  l'asta  di  Ruggier  fu  il  Pagan  degno, 
Che  guidò  gli  altri,  e  usci  di  vita  in  fretta; 
E  per  quella  medesima  con  lui 
Uno  et  un  altro  andò  nei  regni  bui. 

15 
Di  qui  nacque  un  error  tra  gli  assaliti, 
Che  lor  causò  lor  ultima  mina, 
Da  un  lato  i  Maganzesi  esser  traditi 
Credeansi  da  la  squadra  Saracina; 
Da  l'altro,  i  Mori  in  tal  modo  feriti 
L'altra  schiera  chiamavano  assassina: 


CA,  IV,  canz.  4:  «e  in  dispaiate  Cercar  gente 
e  gradire  ecc.  ». 

12.  6.  Che  si  vedeano  ecc.,  che  vedeano  sé 
essere  attesi.  È  costrutto  imitato  dai  Latini, 
che  dopo  i  verba  sentiendi  esprimono  il 
soggetto  della  prop.  dipendente  anche  quan- 
do è  lo  stesso  della  principale.  —  ai  Tarchi, 
al  punto  convenuto  per  passare  da  una 
parte  all'altra,  da  un  padrone  all'altro. 

13.  1.  Ho  di  B.  ecc.  Né  Aldigieri,  né  Ric- 
ciardetto. 

—  5.  primo  arcione.  V.  e,  ii,  7,  n.  7. 

—  6.  per  mezzo  le  g.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  VI,  23,  n.  8.  Questo  colpo  dimostra  che 
Ricciardetto  lo  colpi  di  fianco  mentre  Aldi- 
gieri lo  colpiva  di  fronte. 

14.  3.  arrestato  1.;  la  lancia  messa  in  re- 
sta. V.  e.  XV,  51,  4. 

—  4.  getta.  Più  comunemente  il  congiunt. 
getti  dipendente  da  prima  che.  V.  e.  v,  26, 
n.  7. 

—  5.  degno,  meritevole.  Essendo  egli  il 
capo,  meritava  ì"  onore  d'  esser  colpito  pel 
primo  da  quella  lancia. 


i  E  tra  lor  cominciar  con  fiera  clade 
1  A  tirar  archi,  e  a  menar  lancie  e  spade. 
i  16  (quella 

!      Salta  ora  in  questa  squadra  et  ora  in 
j  Ruggiero,  e  via  ne  toglie  or  dieci  or  venti  : 
;  Altri  tanti  per  man  de  la  Donzella 
ì  Di  qua  e  di  là  ne  son  scemati  e  spenti. 
I  Tanti  si  veggon  gir  morti  di  sella, 
I  Quanti  ne  toccan  le  spade  taglienti, 
A  cui  dan  gli  elmi  e  le  corazze  loco, 
Come  nel  bosco  i  secchi  legni  al  fuoco, 
17 
Se  mai  d'aver  veduto  vi  raccorda, 
O  rapportato  v'ha  fama  all'orecchie, 
Come,  allor  che  '1  collegio  si  discorda, 
E  vansi  in  aria  a  far  guerra  le  pecchie, 
I  Entri  fra  lor  la  rondinella  ingorda, 
I  E  mangi  e  uccida  e  guastine  parecchie; 
j  Dovete  imaginar  che  similmente 
j  Ruggier  fosse  e  Marfisa  in  quella  gente. 

!  .  18 

Non  cosi  Ricciardetto  e  il  suo  Cugino 
Tra  le  due  genti  variavan  danza, 

'•  Perchè  lasciando  il  campo  Saracino 
Sol  tenean  l'occhio  all'altro  di  Maganza. 
Il  fratel  di  Rinaldo  paladino 

1  Con  molto  animo  avea  molta  possanza, 
E  quivi  raddoppiar  glie  la  facea 
L'odio  che  contra  a  i  Maganzesi  avea. 
19 

I     Facea  parer  questa  medesma  causa 
Un  leon  fiero  il  bastardo  di  Buovo, 
Che  con  la  spada  senza  indugio  e  pausa 
Fende  ogn'elmo,  e  lo  schiaccia  come  un 
E  qual  persona  non  saria  stata  ausa,  [ovo. 
Non  saria  comparita  un  Ettor  nuovo, 
Marfisa  avendo  in  compagnia  e  Ruggiero, 
Ch'eran  la  scelta  e  '1  fior  d'ogni  guerriero? 
20 
Marfisa  tuttavolta  combattendo. 
Spesso  ai  compagni  gli  occhi  rivoltava; 
E  di  lor  forza  paragon  vedendo, 

15.  7.  clade,  strage.  Latinismo  usato  dal- 
l'Ariosto forse  per  la  prima  volta,  poi  an- 
che da  altri. 

—  8.  A  tir.  archi,  a  trarre  con  archi. 
Dante,  Inf.,  12,  63:  «  Ditel  costinci,  se  no 
l'arco  tiro  ». 

17.  1.  raccorda.  V.  e.  xxil,  72,  n.  3. 

—  3.  il  collegio  si  d.  ;  lo  sciame  viene  in 
discordia. 

—  7.  similmente....  fosse,  cosi  fosse  come 
la  rondinella  fra  le  pecchie. 

19.  2.  il  h.  di  BnoTo,  Aldigieri.  V.  e.  xxv,  72. 

—  3.  8.  indugio  e  pausa,  senza  ritardo  e 
senza  riposo. 

—  5.  ansa,  ardita.  Latinismo  [ausus)  già 
usato  da  Dante,  Par.  32,  63;  «Che  nulla 
volontade  è  di  più  ausa  ». 

20.  3.  paragon,   prova.    V.   e.  i,    61,  n;  4. 


342 


ORLANDO  FURIOSO 


Con  maraviglia  tutti  li  lodava: 
Ma  di  Ruggier  pur  il  valor  stupendo 
E  senza  pari  al  mondo  le  sembrava: 
E  talor  si  credea  che  fosse  Marte 
Sceso  dal  quinto  cielo  in  quella  parte. 
21 

Mirava  quelle  orribili  percosse, 
Miravale  non  mai  calare  in  fallo: 
Parca  che  centra  Balisarda  fosse 
Il  ferro  carta  e  non  duro  metallo. 
Gli  elmi  tagliava  e  le  corazze  grosse, 
E  gli  uomini  fendea  fin  sul  cavallo, 
E  li  mandava  in  parte  uguali  al  prato, 
Tanto  da  l'un  quanto  da  l'altro  lato. 
22 

Continuando  lo  medesma  botta, 
Uccidea  col  signore  il  cavallo  anche. 
I  capi  dalle  spalle  alzava  in  frotta, 
E  spesso  i  busti  dipartia  da  l'anche. 
Cinque  e  più  a  un  colpo  ne  tagliò  talotta: 
E  se  non  che  pur  dubito  che  manche 
Credenza  al  ver  c'ha  faccia  di  menzogna. 
Di  più  direi  ;  ma  di  meu  dir  bisogna. 
2» 

Il  buon  Turpin,  che  sa  che  dice  il  vero, 
E  lascia  creder  poi  quel  ch'all'uom  piace, 
Narra  mirabil  cose  di  Ruggiero, 
Ch'udendolo,  il  direste  voi  mendace. 
Cosi  parca  di  ghiaccio  ogni  guerriero 
Contra  Martìsa,  et  ella  ardente  face; 
E  non  men  di  Ruggier  gli  occhi  a  sé  trasse, 
Ch'ella  di  lui  l'alto  valor  mirasse. 
24 

E  s'ella  lui  Marte  stimato  avea, 
Stimato  egli  avria  lei  forse  Bellona, 


Anche  in  prosa  si  usò  in  questo  senso; 
Dino  Comp.  3.  16  :  «  Molte  volte  i  tempi  son 
paragone  degli  uomini  », 

—  5.  pur,  nondimeno.  Cioè:  sebbene  am- 
mirasse tutti,  nondimeno  le  pareva  stupendo 
e  senza  pan  ecc. 

—  8.  dal  q.  cielo.  Marte  è  il  nome  del 
quinto  cielo  nel  sistema  planetario  di  To- 
lomeo. Qui  il  poeta  Ange  che  il  pianeta  sia 
pure  la  sede  del  dio. 

21.  7.  parte,  parti.  V.  e.  ix,  si,  n.  1. 

22.  3.  in  frotta;  in  gran  quantità. 

—  7.  al  ver  ecc.  Dantk,  Inf.  16,  120: 
«  Sempre  a  quel  ver,  C  ha  faccia  di  menzo- 
gna ». 

—  8.  di  men  dir  b.  ;  bisogna  dire  di  meno  ; 
cioè  meno  della  verità,  per  non  parer  men- 
daci. 

23.  7.  E  non  men  ecc.  Ed  essa  non  trasse 
l'attenzione  di  Ruggiero  meno  di  quanto 
ammirasse  il  valore  di  lui.  —  mirare  per 
aminirare  già  usò  Dante,  Purg.  12,66: 
«  Mirar  farieno  ogn'  ingegno  sottile  ». 

24.  2.  Bellona;  Antica  divinità  italica,  che 
presedeva  alla  guerra. 


Se  per  donna  cosi  la  conosce», 
Come  parca  il  contrario  alla  persona. 
E  forse  emulazion  tra  lor  uascea 
Per  quella  gente  misera,  non  buona. 
Ne  la  cui  carne  e  sangue  e  nervi  et  ossa 
Fan  prova  chi  di  loro  abbia  più  possa. 
2.J 

Bastò  di  quattro  l'animo  e  il  valore 
A  far  ch'un  campo  e  l'altro  andasse  rotto. 
Non  restava  arme  a  chi  fuggia,  migliore 
Che  quella  che  si  porta  più  di  sotto. 
Beato  chi  il  cavallo  ha  corridore; 
Ch'in  prezzo  non  è  quivi  ambio  né  trotto  : 
E  chi  non  ha  destrier,  quivi  s'avvede 
Quanto  il  mestier  de  l'arme  è  tristo  a  piede. 
26 

Rimau  la  preda  e  '1  campo  ai  vincitori, 
Che  non  è  fante  o  mulattier  che  resti. 
Là  Maganzesi,  e  qua  fuggono  i  Moii; 
Quei  lasciano  i  prigion,  le  some  questi. 
Furon,  con  lieti  visi  e  più  coi  cori, 
Malagigi  e  Viviano  a  scioglier  presti; 
Non  fur  men  diligenti  a  seiorre  i  paggi, 
E  por  le  some  in  terra  e  i  carriaggi. 
27 

Oltre  una  buona  quantità  d'argento 
Ch'in  diverse  vasella  era  formato. 
Et  alcun  muliebre  vestimento, 
Di  lavoro  bellissimo  fregiato, 
E  per  stanze  reali  un  paramento 


—  5.  nascea  ;  sarebbe  nata.  È  coordinata 
a  stimato  avria. 

—  6.  non  bnona,  emulazione  non  buona, 
non  utile  per  quella  gente  misera. 

25.  4.  quella  ecc.  È  detto  scherzosamente 

j  per  le  ijaìnbe  del  cavallo.  Il  Nisiely  taccia. 
I  d'oscura  quest'espressione,  ma  oltre  che  vi 
è  lo  scherzo,  è  dichiarata  da  quanto  segue. 
'       —  6.  ambio  (da  ainbìare,  lat.  aìnbulare); 
quel  passo  affrettato  dei  cavalli,  per  quale 
I  alternativamente  muovono  insieme  le  gambe 
I  dall'uu  lato,  poi  quelle  dell'altro:  dicesi  an- 
j  che  portante.  Non  valeva  dunque  né  ambio, 
né  trotto  ;  era  necessario  il  galoppo  preci- 
pitoso. 

26.  3.  Maganzesi,  ì  Maganzesi.  V.  e.  ii,  15, 
n.  8. 

—  4.  Quei...  questi.  Come  nel  e.  xxix,  24, 
S;  anche  qui  sembra  che  fiuei  si  riferisca 
al  secondo  termine,  questi  al  primo  ;  poi- 
ché ancora  non  erano   stati  consegnati  i 

:  prigionieri,  quando  Aldigieri  e  Ricciardetto 

i  attaccarono  la  zuffa  (st.  13). 

I       —   5.  pili  coi  cori;  più  che  coi  lieti  visi, 

'  coi  cori  lieti. 

i       —  7.  i  paggi  È  soggetto. 

27.  2.  ch'in  d.  vaaella  ecc.  Vuol  dire  che 
j  dettero  oggetti  d'ai-gento,  vasellami  d' ar- 
I  gento. 


CANTO  XXVI 


343 


D'oro  e  di  seta  in  Fiandra  lavorato, 
Et  altre  cose  ricche  in  copia  grande; 
Fiaschi  di  vin  trovar,  pane  e  vivande. 
28 

Al  trar  degli  elmi,  tutti  vider  come 
Avea  lor  dato  aiuto  una  donzella. 
Fu  conosciuta  all'aui'ee  crespe  chiome, 
Et  alla  faccia  delicata  e  bella. 
L'onoran  molto,  e  pregano  che  '1  nome 
Di  gloria  degno  non  asconda;  et  ella, 
Che  sempre  tra  gli  amici  era  cortese, 
A  dar  di  sé  notizia  non  contese. 
29 

Non  si  ponno  saziar  di  riguardarla; 
Che  tal  vista  l'avean  ne  la  battaglia- 
Sol  mira  ella  Euggier,  sol  con  lui  parla: 
Altri  non  prezza  ;  altri  non  parche  vaglia. 
Vengono  i  servi  intanto  ad  invitarla 
Coi  compagni  a  goder  la  vettovaglia. 
Ch'apparecchiata  avean  sopra  una  fonte 
Che  difendea  dal  raggio  estivo  un  monte. 
30 

Era  una  de  le  fonti  di  Mei'lino, 
De  le  quattro  di  Francia  da  lui  fatte, 


—  0.  D'oro  ecc.  lavorato  con  oro  e  seta 
in  Fiandra,  dove  si  facevano  bellissimi  araz- 
zi per  tappezzare  stanze  (paramento),  i 
quali  presero  appunto  il  loro  nome  da  Ar- 
ras (Arazzi),  città  un  tempo  appartenente 
ai  Paesi  Bassi. 

28.  8.  non  contese,  non  fece  difficoltà.  Si- 
gnificato affine  ha  nel  e.  xlvi,  71,  l.  «  non 
contese  Ai  prieghi  loro  ».  In  questo  senso 
è  più  comune  il  riflessivo  contendersi  (Tav. 
Rot.  1,  452  :  «  E  lo  scudiero  a  ciò  si  conten- 
dea  »);  ma  è  una  mancanza  della  nuova  Cru- 
sca non  citare  anche  quest'uso  notevole  e 
buono. 

29.  2.  tal;  tale  quale  sopra  la  ho  descritta, 
cioè  cosi  prode. 

30.  2.  De  le  quattro  ecc.  Di  queste  quat- 
tro fonti,  nota  il  Raina,  non  sappiamo  nulla 
di  certo  dai  poemi  cavallereschi  precedenti. 
Il  Boiardo  parla  di  tre  fontane  :  quella  del 
disamore,  Inn.  I,  in,  33;  quella  dell' amore 
n,  XV,  58.  Di  essa  il  Boiardo,  I,  ni,  38  dice  : 
«  Già  non  avea  Merlin  questa  incantata  »  ; 
ma  nel  e.  II,  xv,  59,  dice  che  Merlino  edificò 
la  fontana  del  disamore i>er /"«''^  ammende. 
Questo  secondo  luogo  può  aver  fatto  cre- 
dere all'A.  che  dal  Boiardo  si  ritenesse  ope- 
ra di  Merlino.  Finalmente  «la  fonte  del  pino. 
Dove  si  dice  al  petron  di  Merlino  »  I,  i,  27  ; 
ma  non  è  detto  che  l' avesse  fatta  Merlino. 
Forse  l'A.  ebbe  in  mente  queste  tre  e  imma- 
ginò per  suo  comodo  la  quarta.  —  di  Francia; 
poiché  Merlino  ne  avea  fatte  anche  nella 
.•spagna,  come  si  legge  nel  poema  di  que- 
sto nome. 


D'intorno  cinta  di  bel  marmo  fino 
Lucido  e  terso,  e  bianco  più  che  latte. 
Quivi  d'intaglio  con  lavor  divino 
Avea  Merlino  iraagini  ritratte: 
Direste  chfe  spiravano,  e,  se  prive 
Non  fossero  di  voce,  ch'eran  vive. 
31 

Quivi  una  bestia  uscir  de  la  foresta 
Parea,  di  crudel  vista,  odiosa  e  brutta, 
Ch'avea  l'orecchie  d'asino,  e  la  testa 
Di  lupo  e  i  denti,  e  per  gran  fame  asciutta; 
Branche  avea  di  leon;  l'altro  che  resta. 
Tutto  era  volpe;  e  parea  scorrer  tutta 
E  Francia  e  Italia  e  Spagna  et  Inghilterra, 
L'Europa  e  l'Asia,  e  al  fin  tutta  la  terra. 
32 

Per  tutto  avea  genti  ferite  e  morte. 
La  bassa  plebe  e  i  più  superbi  capi: 
Anzi  nuocer  parea  molto  più  forte 
A  Ee,  a  Signori,  a  Principi,  a  Satrapi. 
Peggio  facea  ne  la  Eomana corte; 
Che  v'avea  uccisi  Cardinali  e  Papi: 
Contaminato  avea  la  bella  sede 
Di  Pietro,  e  messo  scandoi  ne  la  Fede. 
33 

Par  elle  dinanzi  a  questa  bestia  orrenda 


—  3-  D'intorno  c-  Vuol  dire  che  intorno 
alla  sorgente  si  era  costruito  questo  arti- 
stico lavoro  in  marmo.  Avverte  il  Raina  che 
le  fonti  sono  un  elemento  indispensabile  e 
caratteristico  del  ciclo  d'Artù;  ma  non  so- 
gliono avere  ornamenti  di  sorta.  Nel  Boiardo 
e  nell'Ariosto  senti  già,  negli  ornamenti, 
l'arte  del  Rinascimento. 

—  5.  d'intaglio  ecc.;  con  divino,  eccel- 
lente lavoro  d'intaglio. 

—  7.  spiravano  ;  respiravano.  È  il  latino 
spirare.  Fu  già  usato  più  volte  da  Dante, 
Inf.  28,  131;  Purg.  2,  68. 

31.  1.  una  bestia.  È  la  personificazione 
della  cupidigia  o,  come  altri  vogliono,  del- 
l'avarizia, ma  intesa  in  largo  senso.  È  in 
somma  la  lupa  Dantesca,  da  cui  l'A.  tolse 
certo  ispirazione. 

—  3.  l'orecchie  d'as.  Forse  a  significare 
che  l'avarizia  non  si  scompagna  mai  da 
ignoranza:  l'avaro  infatti  ignora  il  valore 
e  l'ufficio  del  danaro.  Cosi  le  branche  di 
leone  dicono  che  l'avaro  è  crudele;  la  testa. 
e  i  denti  di  lupo  ne  dicono,  con  la  ma- 
grezza, l'insaziabile  avidità,  le  parti  volpi- 
ne, gli  inganni  e  le  astuzie. 

32.  4.  Satrapi,  Satrapi  (da  una  parola  per- 
siana, che  vale  governatore  d'una  prò-., 
vincia).  Qui  il  nome  d'una  dignità  Asiatica 
illustra  ciò  che  ha  detto  sopra:  l'Europa, 
e  l'Asia. 

—  5.  ne  la  R.  corte.  È  il  Concetto  di  Dante,, 
Inf.l,  47;  19,  112;  già  accennato  dall' a. 
anche  nel  e.  vii,  4,  6-7. 


344 


ORLANDO  FURIOSO 


Cada  ogni  muro,  ogrni  ripar  che  tocca. 
Non  si  vede  città  che  si  difenda: 
Se  l'apre  incontra  ogni  castello  e  rocca. 
Par  che  agli  onor  divini  anco  s'estenda, 
E  sia  adorata  da  la  gente  sciocca, 
E  che  le  chiavi  s'arroghi  d'avere 
Del  cielo  e  de  l'abisso  in  suo  potere. 
34 
Poi  si  vedea  d' imperiale  alloro 
Cinto  le  chiome  un  cavallier  venire 
Con  tre  giovini  a  par,  che  i  Gigli  d'oro 


33.  5-8.  Par  che  ecc.  Alcuni  commenta- 
tori rilevano  in  questo  luogo,  assai  indeter- 
minatamente, un  accenno  all'  avarizia  dei 
papi;  ma,  lasciando  stare  altre  difficoltà, 
sarebbe  una  ripetizione  della  stanza  prece- 
dente, al  che  s'  oppone  lo  stesso  contesto. 
Intendi  dunque  in  generale  del  ministero 
ecclesiastico,  che,  mentre  si  dovrebbe  eser- 
citare pel  solo  amore  di  Dio  e  delle  anime, 
si  esercita  per  amore  di  lucro,  coll'intento 
di  crescere  in  potenza  e  ricchezza.  E  si  fa 
credere  al  volgo  che,  pagando,  più  o  meno, 
indulgenze,  espiazioni,  preghiere,  otterrà 
più  0  meno  agevolmente  la  salute  dell'anima 
Cosi  l'avarizia  arriva  ad  avere  (si  estende) 
presso  la  gente  sciocca,  l'onore  di  aprire  e 
chiudere  le  porte  del  cielo  e  dell'  inferno, 
che  è  davvero  un  onore  divino. 

34.  2.  nn  cavallier.  Questo  e  i  tre  giovani 
sono  certamente  gli  stessi  quattro  nominati 
nella  stanza  seguente.  Ma  chi  è  questo  ca- 
valiere? Francesco  I  o  Massimiliano?  I  più 
dicono  che  sia  Francesco  I,  e  ciò  sarebbe 
confermato  dalla  corrispondenza  nell'ordine 
dei  nomi  nella  stanza  che  segue  ;  dall'  impor- 
tanza capitale,  che  nelle  stanze  43-47  il  poeta 
dà  al  re  francese;  dalla  maggiore  impres- 
sione, che  le  prime  gesta  di  Francesco  I  do- 
vettero fare  sull'animo  del  poeta;  finalmen- 
te dalla  uguaglianza  degli  attributi,  che  si 
vedono  nelle  stanze  34  e  47  (imperiale  al- 
loro —  imperator.  Cesare  ecc.).  Il  Ruscelli 
trova  strana  la  st.  47  dopo  i  rovesci  di  Fran- 
cesco I;  e  dice  d' aver  visto  una  giunta  ma- 
noscritta dell'A.,  dove  quella  st.  si  riferiva 
a  Carlo  V.  Ma  tali  fantasie  non  hanno  al- 
cun valore.  Il  P.  ha  conservato  ciò,  che  scris- 
se di  Francesco  I  nel  suo  primo  anno  fortu- 
nato di  regno.  Nell'ediz.  del  '16,  alla  st.  35,  5 
si  leggeva  «  E  Carlo  di  Borgogna  che  di  lan- 
cia». —  Altri  oppongono  che  se  Francesco  I 
è  il  cavaliere,  Massimiliano  d'Austria  sarà 
uno  dei  tre  giovini  ;  ma  nel  1515  o  nei  primi 
giorni  del  '16  quando  furono  composte  que- 
ste stanze,  Massimiliano  aveva  56  o  57  anni, 
e  sarebbe  stato  chiamato  giovane  come 
Carlo  V,  che  ne  aveva  15  e  Enrico  vili,  che 
ne  aveva  24:  ciò  pai-e  un'  ironia.  In  ogni  mo- 
do sembra  preferibile  la  prima  interpreta- 
zione ;  e  per  le  difficoltà  accennate,  si  può 


Tessuti  avean  nel  lor  real  vestire; 
E,  con  insegna  simile,  con  loro 
Parca  un  Leon  centra  quel  Mostro  uscire. 
Avean  lor  nomi  chi  sopra  la  testa, 
E  chi  nel  lembo  scritto  de  la  vesta. 
35 
L'un  ch'avea  fin  a  l'elsa  ne  la  pancia 
La  spada  immersa  alla  maligna  fera, 
Francesco  primo,  avea  scritto,  di  Francia: 
Massimigliano  d'Austria  a  par  seco  era; 
E  Carlo  quinto,  Imperator,  di  lancia 

credere  o  che  l'A.  non  avesse  ben  presente 
l'età  di  Massimiliano,  o  che,  trattandosi  di 
una  predizione  del  futuro,  si  compiacesse  di 
considerare  quel  principe  nell'età  più  fioren- 
te, prescindendo  dal  tempo,  in  cui  scriveva 
queste  ottave.  —  Francesco  I  è  cinto  della 
corona  triumphalis  (V.  e.  xiv,  4,  n.  5)  per  la 
vitto  ria  riportata  sugli  Svizzeri  a  Marignano. 

—  3.  i  gigli  d'oro.  Perché  tutti  hanno  i 
gigli  d'oro?  Si  rifletta  che  qui  non  sono  uno 
stemma,  ma  un'insegna  cavalleresca.  Ora 
come  i  membri  d'una  stessa  gesta  avevano 
spesso  le  stesse  insegne  (cfr.  Innamorato 
III,  VI,  41),  cosi  le  hanno  questi,  che  il  Poeta 
considera  uniti,  dai  sentimenti  e  dallo  scopo, 
in  una  sola  famiglia.  E  poiché  pone  a  capo 
dell'impresa  il  re  di  Francia,  dà  a  tutti  per 
insegna  i  gigli  d'dro  francesi. 

—  6.  ■nn  Leon,  Leone  X. 

—  7.  sopra  la  testa,  nell'orlo  dell'elmo, 
dove  spesso  si  leggevano  i  nomi  dei  guer- 
rieri, che  lo  portavano.  V.  e.  xii,  60,  2.  Per 
il  leone  cfr.  str.  36,  1. 

—  8.  scritto,  scritti.  Per  questa  sconcor- 
danza del  predicato  con  l' oggetto  cfr.  e,  v, 
58,  5.  E  lo  stesso  abbiamo  nella  st.  39,  1. 
Avverti  dunque  che  nei  due  esempi  il  parti- 
cipio è  predicativo  e  si  deve  intendere  cosi  : 
portavano  i  loro  nomi  scritti  chi  sopra  la 
testa,  chi  ecc. 

35.  3.  Francesco  pr.  (1494-1547)  re  di  Fran- 
cia dal  1515,  fu  veramente  splendido  prin- 
cipe, pri'ino  gentiluomo  di  Francia,  aman- 
te delle  parate  e  del  lusso. 

—  4.  Massimigliano,  (1459-1519),  impera- 
tore, fu  non  liberale,  ma  scialacquatore,  si 
da  meritare  il  soprannome  di  Massimiliano 
senza  danari. 

—  5.  Carlo  quinto.  Nelle  due  prime  ediz. 
si  leggeva  Carlo  di  Borgogna.  Questi,  che 
fu  poi  Carlo  V,  fu  designato  come  duca  di 
Borgogna  per  i  diritti  ereditati  dall'  ava 
Maria  moglie  dell'imperatore  Massimiliano, 
e  figlia  di  Carlo  il  Temerario  ultimo  duca 
di  Borgogna.  Queste  stanze  furono  com- 
poste probabilmente  fra  l' agosto  del  1515 
(battaglia  di  Marignano)  e  la  fine  di  gennaio 
del  1516,  prima  che  Carlo  succedesse  in  Spa- 
gna a  Ferdinando  il  Cattolico  (m.  23  genn. 
1S16);  poiché  non  si   fa  nessun   cenno  del 


CANTO  XXVI 


346 


Avea  passato  il  Mostro  alla  gorgiera  : 
E  l'altro  che  di  strai  gli  fige  il  petto, 
L'ottavo  Enrigo  d'Inghilterra  è  detto. 
36 

Decimo  ha  quel  Leon  scritto  sul  dosso, 
Ch'ai  brutto  Mostro  i  denti  ha  ne  l'orecchi; 
E  tanto  l'ha  già  travagliato  e  scosso, 
Che  vi  sono  arrivati  altri  parecchi. 
Parca  del  mondo  ogni  timor  rimosso  ; 
Et  in  emenda  degli  errori  vecchi 
Nobil  gente  accorrea,  non  però  molta, 
Onde  alla  belva  era  la  vita  tolta. 
37 

I  cavallieri  stavano  e  Marfisa 
Con  desiderio  di  conoscer  questi, 
Per  le  cui  mani  era  la  bestia  uccisa. 
Che  fatti  avea  tanti  luoghi  atri  e  mesti. 
Avvenga  che  la  pietra  fosse  incisa 
Dei  nomi  lor,  non  eran  manifesti. 


gran  regno  che  ereditò.  L'A.  poi  mise  in 
vista  questo  giovinetto,  non  tanto  per  le 
prove  di  grandezza  e  liberalità,  quanto  piut- 
tosto per  le  speranze,  che  offriva  la  sua  fu- 
tura potenza.  —  Solo  per  l'ediz.  del  1532  l'A. 
scrisse  Carlo  Quinto  imperator,  e  forse, 
per  memoria  della  passata  gloria,  lasciò  in- 
variato quello,  che  avea  detto  di  Francesco  I. 

—  6.  gorgiera,  gola.  Dante,  Inf.  32,  120: 
«  A  cui  segò  Fiorenza  la  gorgiera  ».  Pro- 
priamente gorgiera  è  un  collaretto  di  tela. 

—  6.  L'ottavo  Enrigo.  Enrico  Vili  (1491- 
3547)  «cominciò  splendidamente  con  feste, 
tornei,  caroselli  ;  spingeva  coll'esempio  i 
signori  a  metter  fuori  le  nascoste  ricchez- 
ze» (CAntù).  Favori  lettere  e  arti;  ma  si 
bel  princij)io  fu  oscurato  da  una  virilità 
scapestrata  e  crudele. 

36.  2-4.  Leone  X  era  già  papa  da  tre 
anni  (febbraio  1513);  e,  quantunque  il  Poeta 
avesse  già  provato  per  conto  suo  la  poca 
liberalità  di  lui  (Sat.  vi),  pure,  vedendo  la 
larghezza  e  munificenza,  che  in  mille  modi 
dimostrava,  lo  mette  qui  come  primo  ad 
assalire  il  mostro,  che  sarà  poi  finito  dai 
cavalieri  accorsi  e  da  parecchi  altri  arri- 
vati appresso  loro. 

—  2.  i  denti  ecc.  L' immagine  è  tolta 
dalla  caccia  ai  grossi  animali  ;  nella  quale 
i  cani,  raggiunta  la  preda,  l'afferrano,  per 
gli  orecchi  e  la  tengono  ferma,  finché  arri- 
vino i  cacciatori. 

—  7.  Hobil  gente  ecc.  Sopra  ha  detto  al- 
tri parecchi,  intendendo  di  molti  generosi, 
che  per  natura  loro  e  per  tradizione  son 
nemici  d'avarizia:  qui  dice  non  molta  la 
nobil  gente,  che  viene  a  emendare  errori 
vecchi,  accennando  alla  difficoltà  di  abban- 
donare questo  vizio  per  chi  n'è  afflitto. 

37.  4.  atri,  tetri.  Il  Petrarca,  I,  Son.  KKJ  : 
■«  atra  e  tempestosa  onda  marina  ». 

—  6.  manifesti,  noti  nella  loro  storia. 


Si  pregavan  tra  lor,  che,  se  sapesse 
L'istoria  alcuno,  agli  altri  la  dicesse. 
.38 

Voltò  Viviano  a  Malagigi  gli  occhi, 
Che  stava  a  udire,  e  non  facea  lor  motto: 
A  te  (disse)  narrar  l'istoria  tocchi, 
Ch'esserne  dei,  per  quel  ch'io  veggia, dot- 
Chi  son  costor  checon  saette  e  stocch'  [to. 
E  lance  a  morte  han  l'animai  condotto? 
Eispose  Malagigi:  non  è  istoria 
Di  ch'abbia  autor  fin  qui  fatto  memoria. 
39  [no 

Sappiate  che  costor  che  qui  scritto  han- 
Nel  marmo  i  nomi,  al  mondo  mai  non  furo; 
Ma  fra  settecento  anni  vi  saranno 
Con  grande  onor  del  secolo  futuro. 
Merlino,  il  savio  incantator  Britanno, 
P"'e'far  la  fonte  al  tempo  del  Re  Arturo; 
E  di  cose  ch'ai  mondo  hanno  a  venire. 
La  fe'da  buoni  artefici  scolpire. 

Questa  bestia  crudele  usci  del  fondo 
De  lo'nferno  a  quel  tempo  che  tur  fatti 
Alle  campagne  i  termini,  e  fu  il  pondo 
Trovato  e  la  misura,  e  scritti  i  patti. 
Ma  non  andò  a  principio  in  tutto  '1  mondo; 
Di  sé  lasciò  molti  paesi  intatti. 


38.  3.  A  te...  tocchi.  A  te  sia  data  l'inca- 
I  rico.  Tocca  a  te  significherebbe  è  ufficio 
'  tuo  per  natura  stessa  delle  cose  o  delle 
ì  circostance:  l'imperativo  tocchi  significa 
un  incarico  dato  dalla  volontà  degli  altri  e 
I  vale  press'  a  poco  :  vogliamo  che  tu  narri 
j  ecc. 

I       —  4.  p.  q.  eh*  io  veggia.  Il  congiuntivo  in- 
j  dica  maggior  riserbo  dell'  indicativo:  per 
I  quello  che  posso  conoscere. 
i       39.  1.  scritto  h.  ecc.;  coloro,  che  hanno  i 
j  loro  nomi   scritti  qui   nel  marmo.  Per  la 
t  sconcordanza  del  participio  cfr.  e.  v,  58, 
n.  5. 
I       —   4.  secolo  fatnro,   tempo  avvenire.  Se- 
colo per  tempo,  al  singol.  usò  anche  Matt. 
Villani  I,  1  :  «  rinnovellamento  di  secolo  »; 
ma  è  raro. 

—  5.  Merlino  ecc.  La  dote  principale  di 
Merlino  è,  come  nota  il  Raina,  la  prescienza. 
Fin  dalla  prima  metà  del  sec.  xii  erano  di- 
vulgatissime  in  Europa  le  pretese  sue  pro- 
fezie in  linguaggio  nebuloso  e  simbolico. 
Per  Merlino  cfr.  e.  in,  9,  4;  e  per  .\rtù  e. 
IV,  52,  n.  7. 

40.  3.  il  pondo  (lat.  pondus)  il  peso.  L'a- 
varizia appari  quando  cominciò  la  pro- 
prietà. 

—  4.  scritti  i  patti,  fatti  i  contratti  per 
iscritto.  Ciò  non  è  esatto,  perché  la  scrit- 
tura è  molto  posteriore  alle  altre  necessità 
sociali,  come  alla  proprietà,  al  peso,  alla 
moneta  ecc. 


346 


ORLANDO  FURIOSO 


Al  tempo  nostro  in  molti  lochi  sturba; 
Ma  i  populari  offende  e  la  vii  turba. 
41 

Dal  suo  principio  infin  al  secol  nostro 
Sempre  è  cresciuto,  e  sempre  andrà  cre- 

[scendo: 
Sempre  crescendo,  al  lungo  andar  fìa  il 

Mostro 
Il  magrgior  che  mai  fosse  e  lo  più  orrendo. 
Quel  Fiton  che  per  carte  e  per  inchiostro 
S'ode  che  fu  si  orribile  e  stupendo, 
Alla  metà  di  questo  non  fu  tutto, 
Né  tanto  abominevol  né  si  brutto. 
42 

Farà  strage  crudel,  né  sarà  loco 
Che  non  guasti,  contamini  et  infetti; 
E  quanto  mostra  la  scultura,  è  poco 
De' suoi  nefandi  e  abominosi  effetti. 
Al  mondo,  di  gridar  mercé  già  roco, 
Questi  dei  quali  i  nomi  abbiamo  letti. 
Che  chiari  splenderan  più  che  piropo. 
Verranno  a  dare  aiuto  al  maggior  uopo. 
43 

Alla  fera  crudele  il  più  molesto 
Non  sarà  di  Francesco  il  Re  de'Franchi: 
E  ben  convien  che  molti  ecceda  in  questo, 
E  nessun  prima  e  pochi  n'abbia  a'fìanchi; 
Quando  in  splendor  real,  quando  nel  resto 


—  8.  populari  (lai.  populares).  Si  usò 
spesso  dagli  antichi  per  popolani  ;  qui  vale 
popolazzo.  Confrontando  ciò  con  la  st.  32, 
si  rileva  che  1'  A.  per  populari  e  per  vif 
turba  intende  quelli,  che  non  hanno  nobiltà 
d'animo  e  generosi  sentimenti  in  qualunque 
grado  si  trovino. 

41.  3.  il  Mostro.  È  soggetto.  Il  mostro  di- 
verrà il  maggiore  ecc. 

—  5.  Fiton,  o  Pitone,  serpente  favoloso 
nato  dopo  il  diluvio  dal  limo  della  terra  e 
ucciso  dai  dardi  d'Apollo.  —  per  carte  e  p.  in. 
(V.  e.  XX,  -i,  n.  3)  dagli  scritti  degli  antichi. 
Per  nel  senso  di  da  è  latinismo  frequente 
nei  nostri  scrittori. 

—  6.  stupendo,  che  induce  stupore.  Que- 
sto è  il  suo  primo  e  vero  senso,  per  ciò  si 
dice  di  cosa  bella  e  di  brutta  egualmente. 

—  7.  Alla  metà  ecc.,  lutto  (computandolo 
tutto)  non  fu  alla  metà,  la  metà,  di  questo. 
Son  notevoli  nella  nostra  lingua  questi  modi 
avverbiali  di  quantità:  alla  metà,  al  doppio, 
a  cento  volte  e  simili,  vivissimi  ancora. 

42.  3.  E  quanto.  Costruisci  :  E  quanto  mo- 
stra la  scultura  dei  suoi  nefandi  e  ab.  eff. 
è  poco  (in  confronto  della  realtà). 

_  5.  di  gridar  ecc.  Petrarca,  Tr.  M.  2, 
142:  «di  mercé  chiamar  già  roco». 

—  7.  piropo.  V.  e.  II,  56,  n.  I. 

43. 1.  il  p.  molesto;  un  più  raol.  V.  e.  vi, 
20,  n.  4. 

—  5.  Quando,  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 

—  6.  nel  resto  d.  t.;  nelle  rimanenti  virtù. 


[Di  virtù,  farà  molti  parer  manchi, 
1  Che  già  parver  compiuti,  come  cede 
Tosto  ogn'altro  splendor,  che  '1  sol  si  vede. 
!  44 

L'anno  primier  del  fortunato  regno. 
Non  ferma  ancor  ben  la  corona  in  fronte. 
Passerà  l'Alpe,  e  romperà  il  disegno 
Di  chi  all'incontro  avrà  occupato  il  monte. 
Da  giusto  spinto  e  generoso  sdegno, 
Che  vendicate  ancor  non  sieno  l'onte 
Che  dal  furor  da  paschi  e  raandre  uscito 
L'esercito  di  Francia  avrà  patito. 
45 
E  quindi  scenderà  nel  ricco  plano 
DiLombardia,  col  fior  di  Francia  intorno, 
E  si  l'Elvizio  spezzerà,  eh'  in  vano 
Farà  mai  più  peusier  d'alzare  il  corno. 
Con  grande  e  de  la  Chiesa  e  de  l'Ispano 
Campo  e  del  Fiorentin  vergogna  e  scorno 
Espugnerà  il  Castel  che  prima  stato 
Sarà  non  espugnabile  stimato. 


È  uso  affine  al  latino:  reliquum  noctis, 
anni  ecc.  —  manchi,  manchevoli.  Cosi  nel 
e.  XLV,  51,  2  ;  Dante,  Purg.  12,  78. 

—  8.  che.  È  correlativo  di  tosto. 

44.  2.  Non  ferma  ecc.  É  detto  in  generale 
per  indicare  ohe  ancora,  come  nuovo  re, 
non  avea  quell'autorità  e  quell'esperienza, 
che  vengono  dal  tempo. 

—  3-4.  Passerà  1'  A.  Venne  in  Italia  nel- 
l'agosto del  1515.  Mentre  Prospero  Colonna 
e  gli  Svizzeri  l'aspettavano  a  Susa  per  i 
soliti  sbocchi,  passò,  per  consiglio  di  Gian 
Jacopo  Trivulzio,  per  i  gioghi  dell'  Argen- 
tiera. ^ 

—  6.  vendicate  ecc.  Nel  giugno  del  1513  i 
Francesi  erano  stati  battuti  a  Novara  dagli 
Svizzeri  e  il  ducato  di  Milano  era  stato  ri- 
preso da  Massimiliano  Sforza.  Francesco  I 
venne  per  riconquistare  il  ducato  e  per  ven- 
dicare la  disfatta  del  1513. 

—  7.  da  paschi  e  m.;  dagli  Svizzeri,  che 
erano  quasi  tutti  pastori  e  bifolchi. 

45.  3.  1'  Elvezio  sp..  Nella  famosa  batta- 
glia di  Marignauo,  che  il  Trivulzio  chiamò 
battaglia  di  giganti. 

—  4.  mai  più  ;  altra  volta.  È  modo  non  ci- 
tato dai  vocabolari.  Ma  forse  più  che  un  si- 
gnificato nuovo  di  mai  più  è  da  vedervi  la 
fusione  di  due  costrutti  più  volte  notata  : 
invano  farà  pensier  d' alzare  il  corno  —  non 
farà  mai  più  pensier  d' alzare  il  corno.  V. 
e.  II,  6,  n.  3. 

—  5-6.  de  la  Chiesa  ecc.  Con  gran  vergo- 
gna di  papa  Leone  X,  di  Ferdinando  re  di 
Spagna  e  dei  Fiorentini  collegati  cogh  Sviz- 
zeri. 

—  7.  il  Castel,  di  Milano.  «  Essendo  il  ca- 
stello fortissimo,  abbondante  di  tutte  le 
provvisioni  necessarie  a  difendersi  ed  a  te- 


CANTO  XXVI 


347 


46  [molto 

Sopra  ogu'  altr'  arme,  ad  espugnarlo, 
Più  gli  varrà  quella  onorata  spada 
Con  la  qual  prima  avrà  di  vita  tolto 
IJ  Monstro  corruttor  d'ogni  contrada. 
Convien  ch'inanzi  a  quella  sia  rivolto 
In  fuga  ogni  stendardo,  o  a  terra  vada; 
Né  fossa  né  ripar  né  grosse  mura 
Possan  da  lei  tener  città  sicura. 

47 
Questo  principe  avrà  quanta  eccellenza 
Aver  felice  Imperator  mai  debbia; 
L'animo  del  gran  Cesar,  la  prudenza 


48 


Cosi  diceva  Malagigi,  e  messe 
Desire  a'cavallier  d'aver  contezza 
Del  nome  d'alcun  altro  ch'uccidesse 
L'infernal  bestia,  uccider  gli  altri  avvez- 
Quivi  un  Bernardo  tra'primi  si  lesse,  [za. 
Che  Merlin  molto  nel  suo  scritto  apprezza 
Fia  nota  per  costui  (dicea)  Bibiena, 
Quanto  Fiorenza  sua  vicina  e  Siena. 
49 

Non  mette  piede  inanzi  ivi  persona 
A  Sismondo,  a  Giovanni,  a  Ludovico: 
Un  Gonzaga,  un  Salviati,  un  d'Aragona, 


Di  chimostrolla  a  Trasimeno  e  a  Trebbia,    Ciascuno  al  brutto  Mostro  aspro  nimicò 


Con  la  fortuna  d'Alessandro,  senza 
Cui  saria  fumo  ogni  diseguo,  e  nebbia. 
Sarà  si  liberal,  ch'io  lo  contemplo 
Qui  non  aver  né  paragon  né  esemplo. 


nersi,  e  dove  erano  più  di  duemila  uomini 

da   guerra»   (Guicciardini),    Massimiliano  ^  

Sforza  vi  si  rinchiuse.  Pietro  Xavarra  col-    ConOttobondalFliscOiSinibaldo  I metta. 


V  e  Francesco  Gonzaga,  né  abandona 
Le  sue  vestigia  il  tiglio  Federico; 
Et  ha  il  cognato  e  il  genero  vicino. 
Quel  di  Ferrara,  e  quel  Duca  d'Urbino. 
50 
De  l'un  di  questi  il  figlio  Guidobaldo 
Non  vuol  che  '1  padre  o  ch'altri  adietro  il 


l'esercito  francese  lo  assali  accanitamente 
ma  non  si  può  dire  che  lo  espugnasse  ve- 
ramente colle  armi;  che  Massimiliano  si 
arrese. 

46.  1.  Sopra  ogn'a.  a.  È  impossibile  non 
vedere  qui  un'allusione  alle  arti  del  re  fran- 
cese per  comprare  alcuni  dei  più  influenti, 
che  si  trovavano  nel  castello  e  che  consi- 
gliarono al  duca  la  resa.  Il  Guicciardini 
dice  che  il  consigliere  pii'i  insistente  fu  Gi- 
rolamo Morone,  il  Giovio  scagiona  questi 
e  accusa  un  certo  Giovacchino,  che  sollevò 
i  soldati,  e  Filippo  dal  Fiesco.  L'  allusione 
alla  potenza  dell'oro  in  questa  conquista  è 
anche  più  chiara  negli  ultimi  quattro  versi 
della  stanza. 

—  ■^.  molto  pili.  Avverti  il  cumulo  di  que- 


Caccia  la  fera,  e  van  di  pari  in  fretta. 
Luigi  da  Gazolo  il  ferro  caldo 


i  conterapor-anei,  né  predecessore,  che  gli 
abbia  servito  d'esempio. 

48.  4.  uccider...  avv.  ;  avvezza  a  uccider. 

—  5.  un  Bernardo.  Bernardo  Dovizi  (1470- 
1520),  di  Bibbiena  (piccola  terra  del  Casen- 
tino) cardinale,  autore  della  commedia  in 
prosa  Calandria.  Fu  al  servizio  dei  Medici 
iu  Firenze,  e  specialmente  del  cardinal  Gio- 
vanni. Fu  munifico  protettore  di  letterati  e 
d'artisti.  —  Dice  che  per  lui  Bibbiena  diven- 
terà nota  quanto  erano  note  Firenze  e  Siena. 
E  qui  si  rammenti  che  Siena  era  una  delle 


città  più  importanti  e  più   note  della  To- 
ste espressioni  superlative  :    sopra  ogni  al-  '  scana  in  quel  tempo, 
tra  arme...  molto  più  gli   varrà.   Comune-  !       49.  a-3.  Sismondo  ;  Sigismondo  Gonzaga, 
mente  si  direbbe  :  sopra    oon'  altra  arme  j  cardinale  (ni.  1525^  —  Giovanni  Salviati,  car- 


c/li  varrà;  oppure:  molto  più  d'  ogn'  altra 
arme  oli  varrà.  —  La  spada  è  la  liberalità  ; 
e  forse  la  dice  onorata,  perché  non  ha  da 
notar  che  vittorie,  senz'  alcuna  sconfitta. 

—  8.  Possan;  conviene,  è  necessario  che 
non  abbian  forza  d'assicurare  contro  que- 
sta spada  alcuna  città. 

47.2.  Imperator  (lat.  imperator)  capitano. 

—  3.  la  prudenza.  Intendo,  col  Romizi,  la 
perizia,  la.  pratica  di  guerra,  secondo  l'uso 
latino  (prudentia  rei  militaris),  mostrata  da 
Annibale  nelle  battaglie  del  Trasimeno  i,2l7 
a.  C),  e  della  Trebbia  (218  a.  C.)  contro  i 
Romani.  I  vocabolari  non  rilevano  chiara- 
mente questo  significato  con  esempi  oppor- 
tuni. 

—  7.  lo  contemplo,  l'osservo  con  compia- 
cenza non  aver  quivi;  osservo  con  com- 
piacenza ch'egli  non  ha  quivi. 

—  8.  ne  paragon  n.  es.;  né  confronto  fra 


dinaie,  nipote  di  Leone  X;  —  Ludovico  d'Ara- 
gona, cardinale. 

—  5-S.  Francesco  G.  (1466-1519).  Marchese 
di  Mantova  dal  U8l,  favori  le  arti  e  le  let- 
tere. Federigo,  suo  figlio,  gli  successe  nel 
marchesato  (V.  e.  xxxni,  45,  u.  7).  Coimato 
di  Francesco  era  Alfonso  I  di  Ferrara,  che 
ne  aveva  sposata  la  sorella  Isabella;  genero, 
Francesco  Maria  della  Rovere  duca  d'  Ur- 
bino, che  ne  aveva  in  moglie  la  figlia  Eleo- 
nora. 

50.  1  Guidobaldo  II,  figlio  di  Francesco 
Maria  della  Rovere. 

—  3.  Ottobono  e  Siuibaldo  Fieschi,  di 
Genova,  erano  fratelli,  da  non  confondersi 
con  i  due  omonimi,  che  furono  papi  (Inno- 
cenzo IV,  Adriano  V). 

—  5.  Iiuigi  da  G.;  Luigi  Gonzaga,  detto  (/(i 
Gazolo  da  uu  suo  castello  sul  Mantovano, 
era  di  gran  forza  e  ardire  e  perciò  fu  chia- 


348 


ORLANDO  FURIOSO 


Fatto  nel  collo  le  ha  d'una  saetta 

Che  con  l'arco  gli  die  Febo,  quando  anco 

Marte  la  spada  sua  gli  messe  al  fianco,      j 

51  I 
Duo  Ercoli,  duo  Ippoliti  da  Este,  ' 

Un  altro  Ercole,  un  altro  Ippolito  anco 
Da  Gonzaga,  de'Medici,  le  peste  [stanco. 
Seguon  del  Mostro,  e  l'han,  cacciando, 
Né  Giuliano  al  figliuol,  né  par  che  reste 
Ferrante  al  fratel  dietro;  né  che  manco 
Andrea  Doria  sia  pronto;  né  che  lassi       ^ 
Francesco  Sforza,  ch'ivi  uomo  lo  passi.     ; 

52  ' 
Del  generoso,  illustre  e  chiaro  sangue   i 

D'Avalo  vi  son  dui  c'han  per  insegna 
Lo  scoglio,  che  dal  capo  ai  piedi  d'angue 
Par  che  l'empio  Tifeo  sotto  si  tegna. 
Non  è  di  questi  duo,  per  fare  esangue 
L'orribil  Mostro,  che  pili  inanzi  vegna: 


mato  Rodomonte;  e  fu  anche  discreto  poeta, 
(una  saetta  con  l'arco  gli  die  Febo).  In  al- 
cune ottave  all'Ariosto  egli  si  duole  scher- 
zosamente d'essere  stato  lodato  in  questo 
luogo  come  poeta,  temendo  che  i  posteri, 
leggendo  i  suoi  versi,  non  lo  sospettino  cosi 
cattivo  guerriero,  come  scrittore. 

—  6.  d'nna  saetta.  Vniscilo  a  ferro. 

51.  1-3.  Duo  Ercoli,  Ercole  I  e  Ercole  II 
duchi  di  Ferrara.  —  dno  Ippoliti  :  i  due  car- 
dinali Estensi,  l'uno  fratello  di  Alfonso  I, 
l'altro  figlio.  —  nn  altro  E.;  Ercole  Gonza- 
ga, cardmale;  figlio  di  Francesco  sopra  no- 
minato. Costruisci  :  un  altro  Ercole,  da  Gon- 
zaga ;  un  altro  Ippolito  de'  Medici.  —  Ippo- 
lito de'Medici,  cardinale,  figlio  di  Giuliano 
e  nipote  di  Leone  X. 

—  4.  stanco,  stancato.  V.  e.  i,  48,  n.  4. 

—  5.  Giuliano,  de'Medici  padre  del  car- 
dinale Ippolito  sopra  detto.  —  Ferrante  Gon- 
zaga Jratello  d'Ercole  nominato  nel  v.  2. 

—  7.  Andrea  Doria.  V.  e.  xv,  34,  n.  3. 

—  8.  Francesco  Sf.  figlio  di  Lodovico  il 
Moro.  V.  e.  .x^xxui,  45. 

52.  1.  Del  generoso  ecc.  Per  questi  due 
cfr.  e.  XV,  28;  xxxiii,  33. 

—  3.  ai  piedi  d' angue.  Questo  scoglio  è 
Ischia,  signoria  dei  marchesi  d'Avalo.  «  Si 
allude  all'opinione  di  quei  poeti,  che  chia- 
marono i  giganti  anguipedi,  perciocché  i 
loro  piedi  finivano  in  gruppi  e  ritorte  di 
serpenti  »  (Bolza). 

—  4.  l'emp.  Tifeo.  V.  e.  xvi,  23,  n.  4. 

—  6.  che.  Alcuni  leggono  chi  :  ma  noi 
abbiamo  altri  esempi  nel  Furioso  di  che  per 
chi  {m,  32,  5;  54,  7),  dove  la  lezione  è  con- 
fermata da  tutte  le  ediz.  curate  dall' .\riosto. 
Esempi  sicuri  di  altri  scrittori  non  si  cita- 
no ;  poiché  quello  del  Pecorone,  g.  0,  1  : 
«  Lo  fece  corriero  del  monistero,  non  sa- 
pendo  che   e'  SI   fosse  »  può  anche  inten- 


L'uno  Francesco  di  Pescara  invitto, 
L'altroAlfonso  del  Vasto  ai  piedi  haacrit- 

53  [to. 

Ma  Consalvo  Ferrante  ove  ho  lasciato, 
L'Ispano  onor,  ch'in  tanto  pregio  v'era, 
Che  fu  da  Malagigi  si  lodato. 
Che  pochi  il  pareggiar  di  quella  schiera? 
Guglielmo  si  vedea  di  Monferrato 
Fra  quei  che  morto  avean  la  brutta  fera; 
Et  eran  pochi  verso  gl'infiniti 
Ch'ella  v'avea  chi  morti  e  chi  feriti. 

54 
In  giuochi  onesti  e  parlamenti  lieti, 
Dopo  mangiar,  spesero  il  caldo  giorno, 
Corcati  su  finissimi  tapeti 
Tra  gli  arbuscelli  ond'era  il  rivo  adorno. 
Malagigi  e  Vivian,  perché  quieti 
Più  fosser  gli  altri,  tenean  l'arme  intorno; 
Quando  una  donna  senza  compagnia 
Vider,  che  verso  lor  ratto  venia. 

55 
(Questa  era  quella  Ippalca  a  cui  fu  tolto 
Frontino,  il  buon  destrier,  da  Rodomonte. 
L'avea  il  di  inanzi  ella  seguito  molto. 
Pregandolo  ora,  ora  dicendogli  onte; 
Ma  non  giovando,  avea  il  camin  rivolto 
Per  ritrovar  Ruggiero  in  Agrismonte. 
Tra  via  le  fu,  non  so  già  come,  detto 
Che  quivi  il  troveria  con  Ricciardetto. 

56 
E  perché  il  luogo  ben  sapea  (che  v'era 
Stata  altre  volte)  se  ne  venne  al  dritto 
Alla  fontana;  et  in  quella  maniera 
Ve  lo  trovò,  ch'io  v'ho  di  sopra  scritto. 
Ma,  come  buona  e  cauta  messaggiera 
Che  sa  meglio  esequir  che  non  l'è  ditto; 
Quando  vide  il  fratel  di  Bradamante, 
Non  conoscer  Ruggier  fece  sembiante. 

57 
A  Ricciardetto  tutta  rivoltosse. 


dersi  che  fosse  lui,  che  fosse  quegli  che 
era:  e  di  più  alcuni  leggono  ivi  chi  e  non 
che. 

—  8.  ai  piedi;  nel  lembo  della  veste.  V. 
st.  34,  8.  Le  st.  50-52  solo  nell'ediz.  del  '32. 

53.  1.  Consalvo  F.,  spagnuolo  (1443-1515), 
detto  il  gran  capitano  che  vinse  i  Francesi, 
dal  1495  in  poi.  più  volte. 

—  5.  Guglielmo  di  M.  della  famiglia  dei  Pa- 
leoioghi, marchese  di  Monferrato  (m.  1518). 

—  8.  T'avea,  avea  li,  intorno  a  sé,  ritratti 
nel  marmo,  chi  morti  ecc. 

54.  2.   il  caldo   giorno,    le   ore   calde   del 

gioi'no.  ,  .     ,.     „  . 

—  6.  intorno,  in  dosso.  Perche  gli  altri, 
che  avevano  combattuto  per  loro,  prendes- 
sero tranquillamente  riposo. 

55.  1.  Ippalca.  V.  e.  xxni,  33. 

—  7.  Tra  via,  per  via.  V.  e  xvi,  15,  n.  2. 

56.  8.  non  conoscer,  di  non  con. 


CANTO  XXVI 


349 


Si  come  drittamente  a  lui  venisse: 
È  qifel  che  la  conobbe,  se  le  mosse 
Incontra,  e  domandò  dove  ne  gisse. 
Elia,  ch'ancora  avea  le  luci  rosse 
Del  pianger  lungo,  sospirando  disse; 
Ma  disse  forte,  acciò  che  fosse  espresso 
A  Ruggiero  il  suo  dir,  che  gli  era  presso. 
58 

Mi  traea  dietro  (disse)  per  la  briglia, 
Come  imposto  m'avea  la  tua  sorella, 
Un  bel  cavallo  e  buono  a  maraviglia, 
Ch'ella  molto  ama  echeFrontino  appella; 
E  l'avea  tratto  più  di  trenta  miglia 
Verso  Marsilia  ove  venir  debbe  ella 
Fra  pochi  giorni,  e  dove  ella  mi  disse 
Ch'io  l'aspettassi  finché  vi  venisse. 
59 

Era  si  baldanzoso  il  creder  mio. 
Ch'io  non  stimava  alcun  di  cor  si  saldo. 
Che  me  l'avesse  a  tòr,  dicendogli  io. 
Ch'era  de  la  sorella  di  Rinaldo. 
Ma  vano  il  mio  disegno  ieri  m'ascio, 
Che  me  lo  tolse  un  Saracin  ribaldo  ; 
Né  per  udir  di  chi  Frontino  fusse, 
A  volermelo  rendere  s'indusse. 
60 

Tutto  ieri  et  oggi  l'ho  pregato;  e  quando 
Ho  visto  uscir  prieghi  e  minacele  in  vano, 
Maledicendo!  molto  e  bestemmiando, 
L'ho  lasciato  dì  qui  poco  lontano, 
Dove  il  cavallo  e  sé  molto  affannando, 
S'aiuta,  quanto  può,  eoa  l'arme  in  mano 
Contra  un  guerrier  ch'in  tal  travaglio  il 

[mette. 
Che  spero  ch'abbia  a  far  le  mie  vendette. 
61 

Ruggiero  a  quel  parlar  salito  in  piede, 
Ch'avea  potuto  a  pena  il  tutto  udire. 
Si  volta  a  Ricciardetto,  e  per  mercede 


57.  7.  espresso,  manifesto,  chiaro.  V.  e. 
XI,  81,  n.  7. 

58.  5.  piri  di  trenta.  Nel  e.  xxiil,  32  avea 
detto  miglia  inù  di  diece.  È  una  delle  so- 
lite piccole  dimenticanze. 

59.  1.  il  creier  m.;  il  mio  pensiero;  Cre- 
devo con  tanta  baldanza  di  eseguire  la  com- 
missione. 

—  5.  m' uscio;  mi  riusci.  Cosi  spesso  nel 
Furioso,  e  variamente  costruito  :  uscire  in 
vano  II,  72;  a  vuoto  in,  43. 

—  7.  per  udir,  per  quanto  udisse,  seb- 
bene udisse.  V,  0.  XV,  69,  n.  6. 

60. 3.  bestemmiando,  bestemmiandolo  ;  im- 
precando contro  di  lui. 

61.  1.  salito  ìnp.;  balzato,  sorto  in  piedi. 
V.  e.  vili,  84,  5. 

—  2.  Ch'avea,  il  quale  av.  Spesso  negli 
antichi  il  relativo  è  allontanato  troppo  dal 
nome.  v.  e.  iv,  51,  n.  4. 

—3-4.  mercede  e  p.  e  s.;  mercede  è  prezzo 


E  premio  e  guidardon  del  ben  servire 
(Prieghi  aggiungendo  senza  fin)  gli  chiede 
Che  con  la  Donna  solo  il  lasci  gire 
Tanto,  che  '1  Saracin  gli  sia  mostrato, 
Ch' a  lei  di  mano  ha  il  buon  destrier  levato. 
62 

A  Ricciardetto,  ancor  che  discortese 
Il  conceder  altrui  troppo  paresse 
Di  terminar  le  a  sé  debite  imprese, 
Al  voler  di  Ruggier  pur  si  rimesse: 
E  quel  licenza  dai  compagni  prese, 
E  con  Ippalca  a  ritornar  si  messe. 
Lasciando  a  quei  che  rimanean,  stupore, 
Non  maraviglia  pur  del  suo  valore. 
63 

Poi  che  dagli  altri  allontanato  alquanto 
Ippalca  l'ebbe,  gli  narròkch'ad  esso 
Era  mandata  da  colei  che  tanto 
Avea  nel  core  il  suo  valore  impresso; 
E  senza  finger  più,  seguitò  quanto 
La  sua  douna  al  partir  le  avea  commesso, 
E  che  se  dianzi  avea  altrimenti  detto. 
Per  la  presenza  fa  di  Ricciardetto. 
64 

Disse,  che  chi  le  avea  tolto  il  destriero, 
Ancor  detto  l'avea  con  molto  orgoglio: 
Perché  so  che  '1  cavallo  è  di  Ruggiero, 
Più  volontier  per  questo  te  lo  toglio. 
S'egli  di  racquistarlo  avrà  pensiero, 
Fagli  saper  (ch'asconder  non  gli  voglio) 
Ch'io  800  quel  Rodomonte  il  cui  valoi^ 
Mostra  per  tutto '1  mondo  il  suo  splendore. 
65 

Ascoltando,  Ruggier  mostra  nel  volto 
Di  quanto  sdegno  acceso  il  cor  gli  sia, 
Si  perché  caro  avria  Frontino  molto, 
Si  perché  venia  il  dono  onde  venia. 


del  lavoro  fatto,  premio  riguarda  il  valore 
morale  dell'azione,  guiderdone  è  ricambio 
di  servigio  (ted.  wider-lohn,  ricompensa). 
62.  1-3.  A  Bice,  ecc.;  sebbene  a  Ricciar- 
detto sembrasse  troppo  discortese  conce- 
dere a  Ruggero  di  terminare  l'impresa  del 
cavallo  dovuta  a  sé  come  fratello  di  Bra- 
damante.  —  Quanto  al  complemento  a  Ric- 
ciardetto messo  prima  della  cougiunzioue 
ancor  che,  cfr.  e  xii,  5  n.  6. 

64.  2.  l'avea,  le  avea.  V.  e.  va,  35,  n.  8. 

—  6.  non  gli  voglio  ;  non  glie  lo  voglio. 
Omissione  della  particella  pronominale,  cosi 
frequente  nell'Ar.  V.  e.  i,  21,7;  ma  qui  favo- 
rita anche  dal  seguente  che  ;  quasi  dica  : 
non  gli  voglio  nascondere  che  ecc. 

65.  3.  e.  avria;  vorrebbe  avere.  Berni, 
Inn.  41,  46:  «Mill'once  d'oro  (per  mill'o. 
d'o.)  avrei  caro  (vorrei  avere)  un  bastone. 

—  4.  onde  venia,  di  là,  da  quella  donna, 
donde  veramente  veniva,  cioè  da  Brada- 
mante.  É  modo  comune  nella  nostra  lingua 


350 


ORLANDO  FURIOSO 


Si  perché  in  suo  dispregio  gli  par  tolto. 
Vede  che  biasrao  e  disonor  gli  fia. 
Se  torlo  a  Rodoruonte  non  s'affretta, 
E  sopra  lui  non  fa  degna  vendetta. 

66  [na, 

Ladonna  Ruggier  guida,  e  non  soggior- 
Che  pur  lo  brama  col  Pagano  a  fronte: 
E  giunge  ove  la  strada  fa  dua  corna; 
L'un  vagiù  al  piano, eTaltrovasual  mon- 
E  questo  e  quel  ne  la  vallea  ritorna,  [te; 
Dov'ella  avea  lasciato  Rodomonte. 
Aspra,  ma  breve  era  la  via  del  colle; 
L'altra  più  lunga  assai,  ma  piana  e  molle. 
67 

Il  desiderio  che  conduce  Ippalca, 
D'aver  Frontino  e  vendicar  l'oltraggio, 
Fa  che  '1  sentier  de  la  montagna  calca, 
Onde  molto  più  corto  era  il  viaggio. 
Per  l'altra  in  tanto  il  Re  d'Algier  cavalca 
Col  Tartaro  e  co  gli  altri  che  detto  aggio  ; 
E  giù  nel  pian  la  via  più  facil  tiene, 
Né  con  Ruggiero  ad  incontrar  si  viene. 
68 

Già  son  le  lor  querele  differite 
Fin  che  soccorso  ad  Agramante  sia 
{Questo  sapete);  et  han  d'ogni  lor  lite 
La  cagion,  Doralice,  in  compagnia. 
Ora  il  successo  de  l'istoria  udite. 
Alla  fontana  è  la  lor  dritta  via, 
Ove  Aldigier,  Marfisa,  Ricciardetto, 
Malagigi  e  Vivian  stanno  a  diletto. 
69 

Marfisa  a  prieghi  de'compagui  avea 
Veste  da  donna  et  ornamenti  presi, 


per  dar  risalto  a  persona  o  cosa  senza  no- 
minarla: p.  es.  Se  non  fosse  chi  è,  Se  non 
fossi  dove  sono  ecc. 

66.  1.  n.  soggiorna,  non  indugia.  Cosi  nel 
e.  XXXII,  10;  e  cosi  altri  scrittori. 

—  8.  molle,  agevole.  K  significato  che 
manca  nei  vocabolari,  ed  è  il  latino  via 
mollisi  Livio  34,  17. 

67.  6.  co  gli.  Comunemente  si  scrisse  co 
per  con  innanzi  all'  articolo  i,  ma  talvolta 
anche  davanti  ad  altri  articoli.  —  gli  altri 
sono  il  nuìio  e  Doralice;  e.  xxv,  4 

68.  2.  soccorso...  sia.  È  un  uso  imperso- 
nale del  verbo  soccorrere  ;  derivato  dal  la- 
lino  (succursuni  sit);  ma  non  è  notato  dai 
nostri  vocabolari. 

—  5.  il  snccesso,  il  seguito.  Come  succe- 
dere significa  anche  seguitare,  venir  dopo, 
cosi  successo  indica  il  seguito  :  ma  i  voca- 
bolari non  citano  esempi  opportuni. 

6.  è  la  lor  d.  via;  è  dritta  la  lor  via;  è 
indirizzato  il  loro  cammino. 

69.  1.  a  prieghi  ;  ai  p.  V.  e.  Il,  15,  n.  8.  Cosi 
nell'  ultimo  verso. 

—  2.  Veste  da  donna.  IlRaina  osserva  che 
l'A.   ha  indebolito   questo   fiero   carattere 


Di  quelli  ch'a  Lanfusa  si  credea 
Mandare  il  traditor  de'Maganzesi: 
E  ben  che  veder  raro  si  solca 
.Senza  l'osbergo  e  gli  altri  buoni  arnesi, 
Pur  quel  di  se  li  trasse;  e  come  donna, 
A  prieghi  lor  lasciò  vedersi  in  gonna. 
70 

Tosto  che  vede  il  Tartaro  Mai-fisa, 
Per  la  credenza  c'ha  di  guadagnarla. 
In  ricompensa  e  in  cambio  ugual  s'avvisa 
Di  Doralice,  a  Rodomonte  darla; 
Si  come  Amor  si  regga  a  questa  guisa, 
Che  vender  la  sua  donna  o  permutarla 
Possa  l'amante,  né  a  ragion  s'attrista. 
Se  quando  una  ne  perde,  una  n'acquista. 
71 

Per  dunque  provedergli  di  donzella. 
Acciò  per  sé  quest'altra  si  ritegna, 
Marfisa  che  gli  par  leggiadra  e  bella, 
E  d'ogni  cavallier  femina  degna. 
Come  abbia  ad  aver  questa,  come  quella. 
Subito  cara,  a  lui  donar  disegna; 
E  tutti  i  cavallier  che  con  lei  vede, 
A  giostra  seco  «t  a  battaglia  chiede. 


Boiardesco.  Neil' />inam.  I,  xvi,  29,  essa 
avea  giurato  a  Macone  «  Mai  non  spogliarse 
usbergo  piastra  o  maglia.  Sin  che  tre  re 
non  prenda  per  battaglia  »  cioè  Gradasso, 
Agricane  e  Carlo  Magno.  Ma  ciò  sembra 
fatto  dall' A.  con  sommo  accorgimento  per 
preparare  in  lei  l'affettuosa  sorella  di  Rug- 
giero :  e.  XX XVI,  67-77.  Pur  addolcita  da- 
gli affetti  di  famiglia  e  dal  cristianesimo 
che  abbraccia,  ella  resta  in  fondo  la  stessa 
fiera  donna  essenzialmente  guerriera;  cfr. 
1.  e.  SI.  78. 

—  4.  il  tr.  de'Mag.;  il  tr.  che  apparteneva 
ai  Maganzesi;  Bertolagi.  Non  è  chiaro. 

70.  3.  s'avvisa,  si  immagina.  Immagina 
di  darla  a  Rodomonte  in  ricompensa  di  Do- 
ralice e  in  ugual  cambio.  Avverti  la  strana 
inversione. 

—  5.  Si  come,  cosi,  come  se  amor  si  go- 
verni, si  tratti  in  questo  modo,  cioè  che 
l'amante  possa  ecc. 

—  7.  s'attrista.  Forse  è  il  congiuntivo  di 
attristirsi  e  in  tal  caso  è'  forma  inusitata, 
ma  analoga  a  fera  per  ferisca,  pera  per 
perisca  ecc.  Fors'  anche  è  una  preposiz. 
dichiarativa  della  precedente  :  e  in  tal  caso 
il  verbo  è  all'indicativo:  il  quale  perciò  a, 
torto  si  attrista,  se  ecc. 

71.  1.  provedergli  di  d.  ;  provvederlo  di  d. 
Per  il  costrutto  cfr.  e.  v,  91,  n.  3;  xiv,  8,  1. 

—  3.  Marfisa.  È  complemento  di  donar, 

—  5.  Come...  come.  Il  primo  vale  come  se, 
l'altro  è  congiunzione  comparativa:  cara 
come  quella. 

—  8.  cliiede,  sfida.  Storie  Pistol.  109: 
«  .Messer  Ramondo  lo  fece  chiedere  di  bat- 
taglia ». 


CANTO  XXVI 


351 


72 

Malagìgi  e  Vivian  che  Tarme  aveano 
Come  per  guardia  e  sicurtà  del  resto, 
Si  mossero  dal  luogo  ove  sedeano, 
L'un  come  l'altro  alla  battaglia  presto, 
Perché  giostrar  con  amenduo  credeano; 
Ma  l'African  che  non  venia  per  questo, 
Non  ne  fé'  segno  o  movimento  alcuno  : 
Si  che  la  giostra  restò  lor  contra  uno. 

73  [muove, 

Viviano  è  il  primo,  e  con  gran  cor  si 
E  nel  venire  abbassa  un'asta  grossa: 
E  '1  Re  pagau  da  le  famose  prove 
Da  l'altra  parte  vien  con  maggior  possa. 
Dirizza  l'uno  e  l'altro,  e  segna  dove 
Crede  meglio  fermar  l'aspra  percossa. 
Viviano  indarno  a  l'elmo  il  Pagan  fere; 
Che  non  Io  fa  piegar,  non  che  cadere. 
74 

Il  Re  pagan,  ch'avea  più  l'asta  dura. 
Fé' lo  scudo  a  Vivian  parer  di  ghiaccio; 
E  fuor  di  sella  in  mezzo  alla  verdura. 
All'erbe  e  ai  fiori  il  fé'  cadere  in  braccio. 
Vien  Malagigi,  e  ponsi  in  avventura 
Di  vendicare  il  suo  fratello  avaccio; 
Ma  poi  d'andargli  appresso  ebbe  tal  fretta. 
Che  gli  fé' compagnia  più  che  vendetta. 
75 

L'altro  fratel  fu  prima  del  cugino 
CoU'arme  in  dosso,  e  sul  destrier  salito; 
E  disfidato  contra  il  Saracino 
Venne  a  scontrarlo  a  tutta  briglia  ardito. 
Risonò  il  colpo  in  mezzo  a  l'elmo  fino 
Di  quel  Pagan  sotto  la  vista  un  dito: 
Volò  al  dell'asta  in  quattro  tronchi  rotta; 


72.  7.  0  movimento.  Rileva  dal  precedente 
non  ne  fé  un  semplice  non  fé:  non  fece 
movimento  alcuno. 

73.  5.  Dirizza  1'  u.  e  l'ai.  Il  verbo  è  singo- 
lare perché  son  considerati  separatamente: 
ognuno  dirizza  per  conto  suo  la  sua  lancia. 
V.  FORNACiARi,  Sint.  p.  '.iOS.  —  Dirizza.  Sot- 
tint.  l'asta.  —  segna,  mira. 

—  7.  fere,  colpisce.  Tavola  Rot.  1,  24  : 
«E  '1  castellano  feri  lui  nello  scudo».  E 
cosi  spesso  gli  antichi. 

74.  5.  ponsi  in  av.  si  accinge.  Boccaccio, 
Dee.  Nov.  7:  «Si  mise  in  avventura  di  vo- 
lerlo seguire  ». 

—  6.  avaccio,  presto.  V.  e.  xvi,  53,  n.  5. 

75.  1.  L'a.  fratel,  Aldigieri. 

—  3.  disfidato,  disfidatolo,  pronunziate 
le  parole  di  sfida  (V.  st.  lOl,  S),  venne  con- 
tro il  Saracino  a  scontrarlo  a  t.  b.  a.  Per 
l'omissione,  cosi  frequente,  della  particella 
pronominale,  cfr.  e.  i,  21,  n.  7. 

—  6.  la  vista.  Quella  parte  dell'elmo,  e  pro- 
priamente della  visiera,  che  dà  luogo  alla 
vista. 


1  Ma  non  mosse  il  Pagan  per  quella  botta.' 
76 
Il  Pagan  feri  lui  dal  lato  manco: 
E  perché  il  colpo  fu  con  troppa  forza, 
Poco  lo  scudo  e  la  corazza  manco 
Gli  valse,  che  s'aprir  come  una  scorza. 
Passò  il  ferro  crudel  l'omero  bianco: 
Piegò  Aldigier  ferito  a  poggia  e  ad  orza; 
Tra  fior  et  erbe  al  fin  si  vide  avvolto, 
Rosso  su  l'arme  e  pallido  nel  volto. 

77  [presso, 

Con  molto  ardir  vien  Ricciardetto  ap- 
E  nel  venire  arresta  si  gran  lancia, 
Che  mostra  ben,  come  ha  mostrato  spesso, 
Che  degnamente  è  Paladin  di  Francia: 
Et  al  Pagan  ne  Iacea  segno  espresso, 
Se  fosse  stato  pari  alla  bilancia  ; 
Ma  sozzopra  n'andò,  perché  il  cavallo 
j  Gli  cadde  addosso,  e  non  già  per  suo  fallo. 

78 
j      Poi  ch'altro  cavallier  non  si  dimostra, 
I  Ch'ai  Pagan  per  giostrar  volti  la  fronte. 
Pensa  aver  guadagnato  de  la  giostra 
La  Donna,  e  venne  a  lei  presso  alla  fonte. 
E  disse:  Damigella,  sete  nostra. 
S'altri  non  è  per  voi  ch'in  sella  monte. 
Noi  potete  negar,  né  farne  iscusa; 
Che  di  ragion  di  guerra  cosi  s'usa. 
79 
Marfisa,  alzando  con  un  viso  altiero 

—  S.  non  mosse,  non  si  mosse.  Dante, 
Pur.  13,66:  «  il  ciel  movendo  (movendosi)». 

76.  6.  a  poggia  e  ad  o.  Queste  due  parole 
si  trovano  spesso  ueir.\.,  e  nel  Petrarca  e 
nel  Pulci  e  nel  Boiardo  a  indicare  da  una 
parte  e  dall'  altra,  senza  riguardo  al  loro 
stretto  significato  marinaresco. 

77.  2.  arresta,  mette  in  resta.  V.  e.  xvii, 
111,  n.  4. 

—  4.  Paladin  di  P.  Ricciardetto  non  ap- 
pare nelle  più  note  liste  dei  dodici  paladini. 
Si  dovrà  forse  uitenàer  paladino  per  prode 
guerriero  come  nel  e.  vii,  20,  6. 

—  5.  espresso,  chiaro.  Cosi  spesso. 

—  6.  Se  fosse  ecc.  ;  se  fosse  stato  eguale 
nella  bilancia,  nella  prova;  se  fosse  stato  in 
coudizioni  eguali;  ma  a  lui  cadde  il  cavallo. 
Intendi,  non  già  che  Ricciardetto  avesse  po- 
tuto né  vincere  né  uguagliare  il  fortissimo 
Mandricardo,  ma  che  gli  avrebbe  fatto  si 
lunga  e  si  valida  resistenza  da  mostrargli 
un  valore  degno  d'un  paladino  di  Francia. 

78.  3-4.  de  la  giostra  la  D.  ;  da  la  giostra, 
per  la  giostra,  pensa  aver  guadagnato  la 
donna.  O  anche:  la  donna  della  giostra, 
cioè:  scopo  della  giostra.  É  preferibile  la 
prima  interpretaz. 

—  S.  di  rag.  di  g.  ;  per  ragion,  per  diritto 
di  guerra. 

79.  1.  viso,  sguardo,  occhi.  Dante,   Itif. 


352 


ORLANDO  FURIOSO 


La  faccia,  disse:  Il  tuo  parer  molto  erra. 
Io  ti  concedo  che  diresti  il  vero, 
Ch'io  sarei  tua  per  la  ragion  di  guerra, 
Quando  mio  signor  fosse  o  cavalliero 
Alcun  di  questi  c'hai  gittato  in  terra. 
Io  sua  non  son,  né  d'altri  son,  che  mia  : 
Dunque  me  tolga  a  me  chi  mi  desia. 
80 

So  scudo  e  lancia  adoperare  anch'io, 
E  più  d'un  cavalliero  in  terra  ho  posto. 
Datemi  l'arme,  disse,  e  il  destrier  mio, 
Agli  scudier  che  l'ubbidiron  tosto. 
Trasse  la  gonna,  et  in  farsetto  uscio; 
E  le  belle  fattezze  e  il  ben  disposto 
Corpo  mostrò,  ch'in  ciascuna  sua  parte, 
Fuor  che  nel  viso,  assomigliava  a  Marte. 
81 

Poi  che  fu  armata,  la  spada  si  cinse, 
E  sul  destrier  montò  d'  un  legger  salto; 
E  qua  e  là  tre  volte  e  più  lo  spinse, 
E  quinci  e  quindi  fé' girare  in  alto; 
E  poi,  sfidando  il  Saracino,  strinse 
La  grossa  lancia,  e  cominciò  l'assalto. 
Tal  nel  campo  troiau  Pentesilea 
Contra  il  tessalo  Achille  esser  dovea. 
82 

Le  lance  infin  al  calce  si  fìaccaro 
A  quel  superbo  scontro,  come  vetro: 
Né  però  chi  le  corsero,  piegare, 
Che  si  notasse,  un  dito  solo  adietro. 
Marfisa  che  volea  conoscer  chiaro 
S'a  più  stretta  battaglia  simil  metro 
Le  serverebbe  contra  il  fier  Pagano, 
Se  gli  rivolse  con  la  spada  in  mano. 
83 

Bestemmiò  il  cielo  e  gli  elementi  il  crudo 


9,  55.:  «  tien  lo  viso  chiuso  »;  e  più  chiaro 
nel  e.  18,  75  :  «  e  fa  che  feggia  Lo  viso  in 
te  di  quest'altri  malnati  ». 

—  7.  sua,  loro.  V.  e.  XIII,  40,  n.  3. 

80.  5.  in  farsetto  us.;  apparve  in  fars. 
L'uscio  dipinge  l'apparir  di  Marfisa  fuori 
della  gonna.  Il  farsetto  era  una  specie  di 
giubbone  o  camiciuola,  che  si  portava  dagli 
uomini  sotto  la  veste  esteriore. 

81.  5.  sfidando  il  S.  V.  st.  101,  8. 

—  7.  Pentesilea.  Una  regina  delle  Amaz- 
zoni, che  venne  in  soccorso  di  Troia  e,  com- 
battendo contro  .\chille,  ne  fu  uccisa. 

82.  2.  superbo,  aspro.  Cosi  nel  e.  xix,  94, 

4,  dove  troverai  la  nota. 

—  3.  chi,  coloro  che.  Cosi  nel  e.  xliii,  74, 

5.  Si  citano,  per  il  plurale  chi,  diversi  esempi 
del  Trecento;  ma  dopo  questi  solo  l'Ariosto. 
—  corsero.  Per  la  frase  correr  l' asta  cfr. 
st.  5,  n.  1. 

—  6.  S'a  pili  stretta  b.  ecc.,  se  il  Pagano 
manterrebbe  contro  lei  (le  faer.  contra)  un 
simil  modo  di  combattere,  se  venissero  a 
battaglia  più  stretta,  a  corpo  a  corpo. 


Pagan,  t»oi  che  restar  la  vide  in  sella: 
Ella,  che  gli  pensò  romper  lo  scudo, 
Non  men  sdegnosa  contra  il  ciel  favella. 
Già  l'uno  e  l'altro  ha  in  mano  il  ferro  nudo, 
E  su  le  fatai  arme  si  martella: 
L'arme  fatali  han  parimente  intorno, 
Che  mai  non  bisognar  più  di  quel  giorno. 

84  [glia, 

Si  buona  è  quella  piastra  e  quella  ma- 
Che  spada  0  lancia  non  le  taglia  o  fora; 
Si  che  potea  seguir  l'aspra  battaglia 
Tutto  quel  giorno  e  l'altro  appresso  anco- 
Ma  Rodomonte  in  mezzo  lorsi  scaglia  [ra. 
E  riprende  il  rivai  de  la  dimora, 
Dicendo:  Se  battaglia  pur  far  vuoi, 
Finiàn  la  cominciata  oggi  fra  noi. 

85 
Facemmo,  come  sai,  triegua  con  patto 
Di  dar  soccorso  alla  milizia  nostra. 
Non  debbiàn,  prima  che  sia  questo  fatto, 
Incominciare  altra  battaglia  o  giostra. 
Indi  a  Marfisa,  riverente  in  atto 
Si  volta,  e  quel  messaggio  le  dimostra; 
E  le  racconta,  come  era  venuto 
A  chieder  lor  per  Agramante  aiuto. 

86 
La  priega  poi  che  le  piaccia  non  solo 
Lasciar  quella  battaglia  o  differire. 
Ma  che  voglia  in  aiuto  del  figliuolo 
Del  Re  Troian  con  essi  lor  venire; 
Onde  la  fama  sua  con  maggior  volo 
Potrà  far  meglio  infin  al  ciel  salire, 
Che,  per  querela  di  poco  momento, 
Dando  a  tanto  disegno  impedimento. 

87 
Marfisa,  che  fu  sempre  desiosa 
Di  provar  quei  di  Carlo  a  spada  e  a  lancia, 
Né  l'avea  indotta  a  venire  altra  cosa 
Di  si  lontana  regione  in  Francia 
Se  non  per  esser  certa  se  famosa 
Lor  nominanza  era  per  vero  o  ciancia  ; 
Tosto  d'andar  con  lor  partito  prese 
Che  d'Agramante  il  gran  bisogno  intese. 

88 
Ruggiero  in  questo  mezzo  avea  segaito 
Indarno  Ippalca  per  la  via  del  monte; 


83.  3.  gli  pensò  r.,  pensò  rompergli. 

—  6.  fatai,  fatate.  Cosi  nel  e.  xv,  79,  4, 
e  xviii,  122,  4. 

86.  7.  querela.  Era  la  parola  tecnica  dei 
duelli  antichi  e  valeva  questione,  per  la 
quale  si  faceva  il  duello.  Questo,  come  al- 
tri termini  (sostenere,  difendere,  attore, 
reo)  eran  tolti  dal  linguaggio  giudiziario, 
essendo  il  duello  considerato  un  giudizio 
di  Dio. 

8".  6.  era  per  vero,  era  giustamente,  sus- 
sisteva giustamente.  Questo  significato  man- 
ca nei  vocabolari,  che  registrano  solo  i  più 
comuni  davvero,  da  senno,  veramente. 


CANTO  XXVI 


353 


E  trovò,  giunto  al  loco,  che  partito 
Per  altra  via  se  n'era  Rodomonte: 
E  pensando  che  lungi  non  era  ito, 
E  che  '1  sentier  teuea  dritto  alla  fonte; 
Trottando  in  fretta  dietro  gli  venia 
Per  l'orme  ch'eran  fresche  in  su  la  via. 
89 

Volse  che  IppalcaaMontalban  pigliasse 
La  via,  ch'una  giornata  era  vicino; 
Perché  s'alia  fontana  ritornasse, 
Si  torria  troppo  dal  dritto  camino. 
E  disse  a  lei,  che  già  non  dubitasse 
Che  non  s'avesse  a  ricovrar  Frontino; 
Ben  le  farebbe  a  Montalbano,  o  dove 
Ella  si  trovi,  udir  tosto  le  nuove. 
90 

E  le  diede  la  lettera  che  scrisse 
In  Agrisraoute,  e  che  si  portò  in  seno; 
E  molte  cose  a  bocca  anco  le  disse, 
E  la  pregò  che  l'escusasse  a  pieno. 
Ne  la  memoria  Ippalca  il  tutto  fisse, 
Prese  licenzia,  e  voltò  il  palafreno: 
E  non  cessò  la  buona  messaggiera 
Ch'in  Montalban  si  ritrovò  la  sera. 
91 

Seguia  Ruggiero  in  fretta  il  Saracino 
Per  l'orme  ch'apparian  ne  la  via  piana; 
Ma  non  lo  giunse  prima  che  vicino 
Con  Mandricardo  il  vide  alla  fontana. 
Già  promesso  s'avean  che  per  camino 
L' un  non  farebbe  all'altro  cosa  strana. 
Né  fin  ch'ai  campo  si  fosse  soccorso, 
A  cui  Carlo  era  appresso  a  porre  il  morso. 


88.  5.  non  era  ito,  non  doveva,  non  po- 
teva essere  andato.  L' indicativo,  invece  del 
congiuntivo  fosse,  accenna  alla  certezza  del 
fatto,  più  che  all'opinione  di  Ruggiero. 

—  6.  tenea,  e  che  certo  teneva,  doveva 
tenere  il  sentiero,  che  va  dritto  alla  fonte. 

89.  1.  a  Montalban,  verso  M. 

—  6.  ricovrar,  ricuperare,  riavere. 

90.  3.  a  bocca,  a  voce.V.  e.  ii,  48,  n.  5. 

—  4.  l'escusasse.  Intendi:  con  Brada- 
mante. 

—  5.  fisse  (lat.  flxit)  fermò,  fissò.  È  uso, 
che  l'A.  ha  tolto  dai  Latini,  che  dicevano 
flgere  auribus  (Stazio,  Ach.  I,  3S0)  e  anche 
solamente  flgere:  (Virgil.  En.  3,  250:  haec 
mea  figite  dieta),  flgere  intra  se  (Giove- 
nale, 9,  94). 

—  8.  Ch'  in  M.  ;  finché.  V.  e.  XHI,  7,  n.  4. 

91.  3-4.  prima  che...  il  vide;  prima  che  lo 
vedesse.  V.  e.  v,  26,  n.  7. 

—  6.  cosa  strana.  Come  strano  significa 
persona  non  amica  (Boccaccio,  Nov.  23: 
«  non  che  gli  amici,  ma  gli  strani  ripiglia- 
re »),  cosi  qui  cosa  strana  vale  cosa  da  per- 
sona non  amica.  È  estensione  di  significato 
nuova  e  notevole,  non  citata  dai  vocabolari. 

—  7.  si  fosse  socc.  V.  st.  68,  n.  2. 


92 
^  Quivi  giunto  Ruggier  Frontin  conobbe, 
E  conobbe  per  lui  chi  adosso  gii  era^; 
E  su  la  lancia  fé'  le  spalle  gobbe, 
E  sfidò  l'African  con  voce  altiera. 
Rodomonte  quel  di  fe'più  che  Giobbe, 
Poi  che  domò  la  sua  superbia  fiera, 
E  ricusò  la  pugna  ch'avea  usanza 
Di  sempre  egli  cercar  con  ogni  istanza. 
93 

Il  primo  giorno  e  l'ultimo,  che  pugna 
Mai  ricusasse  il  Re  d'Algier,  fu  questo  : 
Ma  tanto  il  desiderio  che  si  giugna 
In  soccorso  al  suo  Re,  gli  pare  onesto. 
Che  se  credesse  aver  Ruggier  ne  l'ugna 
Più  che  mai  lepre  il  pardo  isnello  e  presto. 
Non  si  vorria  fermar  tanto  con  lui. 
Che  fésse  un  colpo  de  la  spada  o  dui. 
94 

Aggiungi  che  sapea  ch'era  Ruggiero, 
Che  seco  per  Frontin  facea  battaglia. 
Tanto  famoso,  ch'altro  cavalliero 
Non  è  ch'a  par  di  lui  di  gloria  saglia, 
L'uom  che  bramato  ha  di  saper  per  vero 
Esperimento,  quanto  in  arme  vaglia; 
E  pur  non  vuol  seco  accettar  l'impresa: 
Tanto  l'assedio  del  suo  Re  gli  pesa. 
95 

Trecento  miglia  sarebbe  ito  e  mille, 
Se  ciò  non  fosse,  a  comperar  tal  lite; 


92.  3.  fé  le  sp.  gobbe;  si  curvò  sulla  lan- 
cia per  dare  l'assalto. 

93.  8.  fésse,  facesse;  tanto  da  fare  —  de 
la  spada,  di  spada.  É  esteso  a  questo  luogo 
r  uso  notato  al  e.  xxv,  37,  3. 

94.  1-3.  Aggiungi  ecc.  Si  può  intendere  in 
più  modi:  Aggiungi  che  Rdtìomonte  sapeva 
esser  Ruggero  colui,  che  seco  per.  Fr.  fac. 
battaglia;  quel  Ruggero,  tanto  famoso  ch'al- 
tro cavaliero  ecc.  ;  quell'uomo  che  bramato 
ecc.  Oppure:  Aggiungi  che  Rod.  sapeva  che 
Rugg.,  il  quale  facea  seco  batt.  per  Fr.,  era 
tanto  famoso  ch'altro  ecc.,  ed  era  l'uomo 
che  bramato  ecc.  Oppure  ;  Aggiungi  che 
Rod.  sapea  che  Rugg.,  il  quale  facea  seco 
batt.  per  Fr.,  Ruggero,  tanto  famoso  ch'al- 
tro cavaliero  non  è  ch'a  par  ecc.,  era  ap- 
punto l'uomo  che  bramato  ha  ecc.  La  prima 
interpretazione  è  la  migliore.  Come  Rodom. 
sapeva  d'aver  contro  Ruggiero,  mentre  i 
guerrieri  andavano  a  visiera  calata?  forse 
se  lo  immaginò  vedendone  l'atteggiamento 
ostile  e  risoluto;  o  forse  Ruggiero  nella 
sfida  accennò  al  suo  cavallo  come  Rinaldo 
nel  e.  II,  3  ;  o  finalmente  Rodom.  lo  riconobbe 
alla  nota  e  famosa  divisa. 

—  4.  di  gloria,  per  gloria,  È  complemento 
di  limitazione. 

95.  2.  comperar,  procacciarsi  anche  con 
sacrifizio.  È  modo  vivo  anch'  oggi  :   quel^ 


Ariosto  —  Papisi 


23 


354 


ORLANDO  FURIOSO 


Ma  se  l'avesse  oggi  sfidato  Achille, 
Più  fatto  non  avvia  di  quel  ch'udite: 
Tanto  a  quel  punto  sotto  le  faville 
Le  fiamme  avea  del  suo  furor  sopite. 
Narra  a  Ruggier,  perché  pugna  rifiuti  : 
Et  anco  il  priega  che  l'impresa  aiuti: 
96 

Che  facendol,  farà  quel  che  far  deve 
Al  suo  Signore  un  cavallier  fedele. 
Sempre  che  questo  assedio  poi  si  leve, 
Avran  ben  tempo  di  finir  querele. 
Ruggier  rispose  a  lui:  Mi  sarà  lieve 
Differir  questa  pugna  fin  che  de  le 
Forze  di  Carlo  si  traggia  Agramante: 
Pur  che  mi  rendi  il  mio  Frontino  inante. 
97 

Se  di  provarti  c'hai  fatto  gran  fallo, 
E  fatto  hai  cosa  indegna  a  un  uomo  forte, 
D'aver  tolto  a  una  donna  il  mio  cavallo, 
Vuoi  ch'io  prolunghi  fin  che  siamo  in  corte; 
Lascia  Frontino,  e  nel  mio  arbitrio  dallo. 
Non  pensare  altrimente  ch'io  sopporto 
Che  la  battaglia  qui  tra  noi  non  segua, 
O  ch'io  ti  faccia  sol  d'un'ora  triegua. 
98 

Mentre  Ruggier  all'African  domanda 
O  Frontino,  o  battaglia  allora  allora; 
E  quello  in  lungo  e  l'uno  e  l'altro  manda, 
Né  vuol  dare  il  destrier,  né  far  dimora; 
Mandricardo  ne  vien  da  un'altra  banda, 
E  mette  in  campo  un'altra  lite  ancora, 
Poi  che  vede  Ruggier  che  per  insegua 
Porta  l'augel  che  sopra  gli  altri  regna. 


Vuomo  le  liti  le  comprerebbe.  Pulci,  Morg. 
18,  39:  «  Sempre  le  liti  compero  a  con- 
tante ». 

—  5.  a  quel  pnnto^  in  quel  momento.  Più 
spesso  in  quel  punto  e  talvolta  anche  al 
plurale  ;  Cavalca,  Frutt.  liug.,  43*:  «  prov- 
vederavvi  alli  punti  necessari  ».  —  sotto  le 
fav.;  sotto  la  cenere.  A  modo  del  latino  fa- 
villa.  Ovimo,  Met.  7,  80:  «Parva  sub  in- 
ducta  latuit  scintilla  favilla  ». 

96.  3.  Sempre  che,  purché.  Si  cita  dai  vo- 
cab.  un  esempio  del  Cecchi,  Prov.  62:  «E  il 
jMassan  cedeva  a  dargliela  sempreché  fosse 
statoci  il  consenso  di  suo  padre  »  :  ma  è 
vivo  ancora  nell'uso.  Jl  Bolza  intende  quan- 
do', in  questo  senso  forse  sarebbe  nuovo. 

—  8.  mi  rendi,  mi  renda  V.  e.  xv,  86, 
n.  5. 

97.  4.  prolunghi,  differisca  di  provarti 
c'hai  fatto  ecc.  Boc<  accio,  Sov.  40  :  «  pro- 
lungata nella  seguente  mattina  la  cura  ». 

—  f.  eh.  siamo  in  corte,  finché  siamo  presso 
il  re  Agramante. 

—  5.  nel  m.  a.  d.  Più  comunemente  dare 
in  Oirbltrio,  senza  l'  articolo. 

98.  4.  far  dimora,  indugiarsi  a  combat- 
tere. 

—  s.  l'augel  ecc.,  1'  aquila.  Orazio,  Odi 


99 

Nel  campo  azur  l'aquila  bianca  avea. 
Che  de' Troiani  fu  l'insegna  bella: 
Perché  Ruggier  l'origine  traea 
Dal  fortissimo  Ettòr,  portava  quella. 
Ma  questo  Mandricardo  non  sapea. 
Né  vuol  patire, e  grande  ingiuria  appella. 
Che  ne  lo  scudo  un  altro  debba  porre 
L'aquila  bianca  del  famoso  Ettorre. 
100 

Portava  Mandricardo  similmente 
L'augel  che  rapi  in  Ida  Ganimede. 
Come  l'ebbe  quel  di  che  fu  vincente 
Al  Castel  periglioso,  per  mercede, 
Credo  vi  sia  con  l'altre  istorie  a  mente, 
E  come  quella  Fata  gli  lo  diede 
Con  tutte  le  bell'arme  che  Vulcano 
Avea  già  date  al  cavallier  Troiano. 
101 

Altra  volta  a  battaglia  erano  stati 
Mandricardo  e  Ruggier  solo  per  questo: 
E  per  che  caso  fosser  distornati, 
Io  noi  dirò;  che  già  v'è  manifesto. 
Dopo  non  s'eran  mai  più  raccozzati. 
Se  non  quivi  ora;  e  Mandricardo  presto, 
Visto  lo  scudo,  alzò  il  superbo  grido 
Minacciando,  e  a  Ruggier  disse  :  Io  ti  sfido. 
102 

Tu  lamia  insegna,  temerario  porti; 
Né  questo  è  il  primo  di  ch'io  te  l'ho  detto. 
E  credi,  pazzo,  ancor  ch'io  tei  comporti, 
Per  una  volta  ch'io  t'ebbi  rispetto  ? 


4,  4:  «Cui  rex   coelorum  regnum  in  aves 
vagas  Permisit  ». 

99.  3.  l'origine  tr.  V.  e.  xxxvi,  70.  Per 
quest'aquila  troiana  l'A.  si  è  attenuto  al 
Boiardo,  Inn.  IH,  ii,  7-8. 

100.  2.  l'augel  ecc.  Per  la  favola  cfr.  e. 
IV,  47,  D.  5. 

—  3.  Comel'ehbe  ecc.  Tutto  ciò  è  narrato 
dal  BOIARDO,  Innam.  HI,  i,  ii;  e  riassunto 
nel  e.  XIV,  31,  n.  4. 

—  4.  per  mercede;  come  mercede  delle 
sue  fatiche. 

101.  1-2.  Altra  volta  ecc.  Neir/n>iam,  III, 
VI,  Ruggiero  e  Mandricardo  si  sfidano  pure 
per  l'insegna;  ma  Ruggiero,  vedendo  che 
Mandr.  non  aveva  spada,  gli  domanda  come 
faranno  a  combattere.  Mandr.  dice  che  non 
cingerà  spada,  finché  non  abbia  Durindana. 
Allora  Gradasso,  che  desiderava  questa 
stessa  spada,  entra  nella  contesa  e  provoca 
Mandricardo,  col  quale  vien  tosto  a  balta- 
glia:  hanno  ambedue  per  arme  un  ramo 
d'albero.  Cosi  è  impedito  con  Ruggiero  il 
duello,  che  non  avviene  altrimenti.  Perciò 
essere  o  venire  a  battaglia,  in  questa  stan- 
za e  nella  104,  significano  semplicemente 
s/ldaì'sl  a  battaglia,  significato,  che  è  pur 
confermato  dal  fur  cenni  del.  v.  5  st.  104. 


CANTO  XXVI 


355 


Ma  poi  che  né  rainaccie  né  conforti 
Ti  pòn  questa  follia  levar  del  petto, 
Ti  mostrerò  quanto  miglior  partito 
T'era  d'avermi  subito  ubbidito. 
103 

Come  ben  riscaldato  arrido  legno 
A  picciol  soffio  subito  s'accende, 
Cosi  s'avvampa  di  Ruggier  lo  sdegno 
Al  primo  motto  che  di  questo  intende. 
Ti  pensi  (disse)  farmi  stare  al  segno, 
Perché  quest'altro  ancor  meco  contende  ? 
Ma  mostrerotti  ch'io  sou  buon  per  tórre 
Frontino  a  lui,  lo  scudo  a  te  d'Ettorre. 
104 

Un'altra  volta  pur  per  questo  venni 
Teco  abattaglia,  e  non  è  gran  tempo  anco  ; 
Ma  d'ucciderti  allora  mi  contenni. 
Perché  tu  non  avevi  spada  al  fianco. 
Questi  fatti  saran,  quelli  tur  cenni; 
E  mal  sarà  per  te  quell'augel  bianco, 
Ch'antiqua  insegna  è  stata  di  mia  gente: 
Tu  te  l'usurpi,  io  '1  porto  giustamente. 
105 

Anzi  t'usurpi  tu  l'insegna  mia. 
Rispose  Mandricardo:  e  trasse  il  brando. 
Quello  che  poco  inanzi  per  follia 
Avea  gittato  alla  foresta  Orlando. 
Il  buon  Ruggier,  che  di  sua  cortesia 
Non  può  non  sempre  ricordarsi,  quando 
Vide  il  Pagan  ch'avea  tratta  la  spada, 
Lasciò  cader  la  lancia  ne  la  strada. 
106 

E  tutto  a  un  tempo  Balisarda  stringe, 
La  buona  spada,  e  me'lo  scudo  imbraccia; 
Ma  l'Africano  in  mezzo  il  destrier  spinge, 
E  Marfìsa  con  lui  presta  si  caccia; 
E  l'uno  questo,  e  l'altro  quel  respinge, 


102.  5.  conforti,  esortazioni  a  lasciar  l'in- 
segna. 

—  6.  pón,  possono.  V.  e.  x,  GÌ,  n.  6. 

103.  1.  arrido,  arido.  Forma  rarissima, 
che  forse  è  dialettale. 

—  i.  di  questo;  di  tutto  questo  che  disse 
Mandrie;  alla  prima  parola  di  questo  di- 
scorso. 

—  5.  stare  al  segno.  V.  e.  xiv,  lOS,  e  vili, 
63,  n.  6. 

104.  0.  mal,  un  male,  un  danno. 

105.  8.  Lasciò  cader  ecc.  Un  cavaliere  ve- 
ramente generoso  non  combatteva  mai  ad 
armi  o  in  coudizioni  disuguali,  ma  nel  Fu- 
rioso gì'  infedeli  contravvengono  spesso  alle 
i-egole  cavalleresche:  non  cosi  Ruggiero  e 
Marfìsa,  che  l'A.  vuol  mettere  in  buona 
luce. 

106.  2.  me',  meglio.  Dante,  Inf.  2,  36: 
«  Se'  saggio  e  intendi  me'  eh'  i'  non  ragio- 
no ».  Ruggiero  aveva  già  lo  scudo  al  brac- 
cio, ma  nell'  atteggiarsi  a  battaglia  se  lo 
adatta  meglio. 


E  priegano  amendui  che  non  si  faccia. 
Rodomonte  si  duol  che  rotto  il  patto 
Due  volte  ha  Mandricardo,  che  fu  fatto. 
107 

Prima,  credendo  d'acquistar  Marfisa, 
Fermato  s'era  a  far  piti  d'una  giostra; 
Or  per  privar  Ruggier  d'una  divisa. 
Di  curar  poco  il  Re  Agramante  mostra. 
Se  pur  (dicea)  dei  fare  a  questa  guisa, 
Finiàn  prima  tra  noi  la  lite  nostra. 
Conveniente  e  più  debita  assai. 
Ch'alcuna  di  quest'altre  che  prese  hai. 
108 

Con  tal  condizfon  fu  stabilita 
La  triegua  e  questo  accordo  eh'  è  fra  nui. 
Come  la  pugna  teco  avrò  finita. 
Poi  del  destrier  risponderò  a  costui. 
Tu  del  tuo  scudo,  rimanendo  in  vita. 
La  lite  avrai  da  terminar  con  lui  ; 
Ma  ti  darò  da  far  tanto,  mi  spero, 
Che  non  n'avanzarà  troppo  a  Ruggiero. 
109 

La  parte  che  ti  pensi  non  n'  avrai, 
(Rispose  Mandricardo  a  Rodomonte): 
Io  te  ne  darò  più  che  non  vorrai, 
E  ti  farò  sudar  dal  piò  alla  fronte: 
E  me  ne  rimarrà  per  darne  assai 


—  6.  non  si  faccia;  Sottintendi:  questo, 
questa  battaglia. 

107.  7.  pili  debita,  più  opportuna.  È  il  si- 
gnificato che  ha  nel  modo  comune  :  a  teìnpo 
debito,  .wverti  poi  che  il  più  va  sottinteso 
anche  a  conveniente  :  più  conven.  e  più 
debita  assai. 

—  8.  prese  hai,  hai  mosso.  Prendere  una, 
lite  significai  muover  lite;  invece  prender 
lite  significa  litigare. 

108.  4.  Poi,  dopo.  Questo  poi  ripete  il 
concetto  del  verso  precedente  ed  è  quasi 
pleonastico  :  ma  nel  linguaggio  popolare  si 
usano  spesso  queste  maggiori  determina- 
zioni. 

—  6.  avrai  da  ter.;  terminerai,  V.  e.  xv, 
35,  n.  2;  o  anche  potrai  terminare  come 
nel  e.  XVI,  18,  6;  xvii,  38,  5  ecc. 

—  7.  mi  spero.  V.  e.  v,  20,  n.  a. 

—  S.  non  n'av.;  non  avanzerà  di  te,  della 
tua  energia.  Per  la  forma  verbale  cfr.  e.  Ili, 
2,  n.  6. 

109.  1.  La  parte  ecc.  Riprende  il  concetto 
dell'ultimo  verso:  non  avrai  di  me  quella 
parte,  non  avrai  quel  tanto  d'energia,  che 
ti  pensi.  E  qui  daìV  idea  di  esaurire  l'ener- 
gia passa  a  quella  di  far  sentire  la  pì'o- 
pria  energia  e  soggiunge:  io  te  ne  darò, 
te  ne  farò  sentire  più  di  quanto  tu  non  vo- 
glia, e  me  ne  rimarrà  ancoi-a  per  Ruggero. 
—  Ma  nelle  parole  vi  è  anche  il  doppio  senso  : 
n'avrai,  te  ne  darò,  darne  assai  mentre 
rispondono  al  concetto  del  v.  8  della  st.  lOS 


356 


ORLANDO  FURIOSO 


(Come  non  manca  mai  l'acqua  del  fonte) 
Et  a  Ruggiero,  et  a  mill'altri  seco, 
E  a  tutto  il  mondo  che  la  voglia  meco. 
110 

Moltiplicavan  l'ire  e  le  parole 
Quando  da  questo  e  quando  da  quel  lato. 
Con  Rodomonte  e  con  Ruggier  la  vuole 
Tutto  in  un  tempo  Mandricardo  irato. 
Ruggier  ch'oltraggio  sopportar  non  suole, 
Non  vuol  più  accordo,  anzi  litigio  e  piato. 
Marfìsa  or  va  da  questo  or  da  quel  canto 
Per  riparar,  ma  non  può  sola  tanto. 
Ili 

Come  il  villan,  se  fuor  per  l'alte  sponde 
Trapela  il  fiume,  e  cerca  nuova  strada, 
Frettoloso  a  vietar  che  non  afi'onde 
I  verdi  paschi  e  la  sperata  biada. 
Chiude  una  via  et  un'altra, e  si  confonde; 
Che  se  ripara  quinci  che  non  cada. 
Quindi  vede  lassar  gli  argini  molli, 
E  fuor  l'acqua  spicciar  con  pili  rampolli  ; 
112 

Cosi,  mentre  Ruggiero  e  Mandricardo 
E  Rodomonte  son  tutti  sozzopra; 
Ch'ognun  vuol  dimostrarsi  più  gagliardo. 
Et  ai  compagni  rimaner  di  sopra; 
Marfisa  ad  acchetarli  ave  riguardo, 
E  s'affatica,  e  perde  il  tempo  e  l'opra: 
Che,  come  ne  spicca  uno  e  lo  ritira, 
Gli  altri  duo  risalir  vede  con  ira. 


significano  anche  per  sé  avrai  botte,  per- 
cosse  ecc. 

—  8.  la  voglia  meco,  voglia  misurarsi  me- 
co. È  modo  frequentissimo.  BePvNI,  Inn.  2, 
49  :  «  Che  con  voi  la  vogl'  io  non  co'  cri- 
stiani ». 

HO.  6.  piato  (lat.  placitum,  sentenza,  poi 
lite).  Piato  dunque  dice  il  modo  di  essere, 
litigio  dice  V azione;  ma  qui  esprimono  la 
stessa  idea  per  quella  certa  ridondanza,  che 
si  vede  spesso  negli  epici. 

—  8.  riparar,  metter  riparo  all'ire  erom- 
penti. 

111.  3.  affondo,  metta  sotto,  sommerga. 
L'Ottimj  Commento,  Inf.  15,  7:  «Il  quale 
fiume....  affonderebbe  quasi  mezzo  il  con- 
tado di  Padova  ».  B  figuratamente,  nello 
stesso  senso.  Dante,  Par.  27,  121  :  «  O  cu- 
pidigia, che  i  mortali  affonde  Si  sotto  te  ». 

—  6.  non  cada,  l'acqua. 

—  7.  lassar,  aprirsi.  V.  e.  XLr,  14,  n.  7. 

—  8.  rampolli,  rivi.  Veramente  il  ram- 
pollo è  la  polla,  la  scaturigine.  Qui  dunque 
si  ha  un'estensione  di  significato. 

112.  5.  ave,  ha. 

—  8.  risalir,  rivolgersi,  tornai'e  l' un  con- 
tro l'altro.  Credo  che  sia  il  resUire  dei  La- 
tini, come  trovasi,  figuratamente,  in  Plinio 
5,  27,  2  ;  «  (Taurus  mons)  resilit  a  setten- 
trione (se  flectit)». 


US 
Marfisa,  che  volea  porgli  d'accordo, 
Dicea!:  Signori,  udite  il  mio  consiglio: 
Differire  ogni  lite  è  buon  ricordo 
Fin  ch'Agramante  sia  fuor  di  periglio. 
S'ognun  vuole  al  suo  fatto  esser  ingordo, 
Anch'io  con  Mandricardo  mi  ripiglio; 
E  vo'  vedere  al  fin  se  guadagnarme, 
Come  egli  ha  detto,  è  buon  per  forza  d'ar- 

114  [me. 

Me  se  si  de'soccorrere  Agramante, 
Soccorrasi,  e  tra  noi  non  si  contenda. 
Per  me  non  si  starà  d'andare  inante 
(Disse  Ruggier),  pur  che  '1  destrier  si  ren- 
0  che  mi  dia  il  cavallo  (a  far  di  tante  [da. 
Una  parola)  o  che  da  me  il  difenda: 
0  che  qui  morto  ho  da  restare,  o  ch'io 
In  campo  ho  da  tornar  sul  destrier  mio. 

115 
Rispose  Rodomonte:  Ottener  questo 
Non  fia  cosi  come  quell'altro,  lieve. 
E  seguitò  dicendo:  io  ti  protesto 
Che,  s'alcun  danno  il  nostro  Re  riceve, 
Fia  per  tua  colpa;  ch'io  per  me  non  resto 
Di  fare  a  tempo  quel  che  far  si  deve. 
Ruggiero  a  quel  protesto  poco  bada: 
Ma  stretto  dal  furor  stringe  la  spada. 

116 
Al  Re  d'Algier  come  cingial  si  scaglia 
E  l'urta  con  lo  scudo  e  con  la  spalla; 


—  113.  3.  buon  ricordo,  buon  avvertimento. 
Non  si  cita  nessun  esempio  si  bene  spiccato 
come  questo.  Cosi  anche  nel  e.  xxvii,  44. 
1;  103,  3. 

—  5.  al  s.  f.  essere  ing.;  esser  bramoso 
della  sua  azione,  di  agire  per  conto  suo.  Per 
lo  più  essere  ingordo  di.  Con  a  si  cita  que- 
sto solo  es.  dell'A. 

—  6.  mi  ripiglio;  mi  azzuffo  di  nuovo.  Si 
cita  dai  vocabolari,  in  tal  senso,  questo  solo 
esempio. 

114.  3.  non  si  starà  d.  j  Per  conto  mio  o 
per  causa  mia  non  si  lascerà  d' andare 
avanti.  Cosi  nel  e.  xxxiv,  6,  3.  Si  dice  anche 
non  stare  da  fare  una  cosa  e  più  comune- 
mente non  restare  di  o  da  fare  una  e. 

—  5.  0  che.  V.  e.  IV,  35,  n.  5.  —  a  far  di 
t.  un.  p.;  per  restringere  tante  parole  in 
una  sola. 

—  8.  In  campo,  nelle  battaglie. 

115.  1-2  questo...  quell'altro;  non  fia  cosi 
facile  per  te  ottenere  il  cavallo,  come  restar 
qui  morto. 

116.  1.  cingial.  V.  e.  I,  41,  n.  1. 

—  2.  con  lo  scudo  e  e.  1.  s.  Vuol  dire  che 
nella  corsa,  invece  di  passargli  dalla  destra, 
gli  passò  dalla  parte  sinistra,  sicché,  invece 
di  poterlo  colpire  colla  spada,  lo  colpi  collo 
scudo  e  colla  spalla  manca. 


CANTO  XXVI 


357 


E  in  modo  lo  disordina  e  sbarraglia, 
Che  fa  che  d'una  staffa  il  pie  gli  falla. 
Mandricardo  gli  grida:  0  la  battaglia 
Differisci,  Ruggiero,  o  meco  falla: 
E  crudele  e  fellon  più  che  mai  fosse 
Ruggier  su  l'elmo  in  questo  dir  percosse. 
117  [china, 

Fin  sul  collo  al  destrier  Ruggier  s'in- 
Né,  quando  vuoisi  rilevar,  si  puote; 
Perché  gli  sopragiunge  la  mina 
Del  figlio  d'Ulien,  che  lo  percuote. 
Se  non  era  dì  tempra  adamantina, 
Fesso  l'elmo  gli  avria  fin  tra  le  gote. 
Apre  Ruggier  le  mani  per  l'ambascia; 
E  l'una  il  fren,  l'altra  la  spada  lascia. 
118 

Se  lo  porta  il  destrier  per  la  campagna, 
Dietro  gli  resta  in  terra  Balisarda. 
Marfisa  che  quel  di  fatta  compagna 
Se  gli  era  d'arme,  par  ch'avvampi  et  arda, 
Che  solo  fra  que'  duo  cosi  riraagna: 
E  come  era  magnanima  e  gagliarda, 
Si  drizza  a  Mandricardo,  e  col  potere 
Ch'avea  maggior,  sopra  la  testa  il  fiere. 
119 

Rodomonte  a  Ruggier  dietro  si  spinge: 
Vinto  è  Frontin,  s'un'altra  gli  n'appicca; 
Ma  Ricciardetto  con  Vivian  si  stringe, 
E  tra  Ruggiero  e  '1  Saracin  si  ficca. 
L'uno  urta  Rodomonte,  e  lo  rispinge, 
E  da  Ruggier  per  forza  lo  dispicca; 


—  3.  sltarraglia.  Per  la  forma  con  due  r 
l'A.  si  è  tenuto  più  vicino  all'etimologia  (da 
sbarra;  quasi  cacciar  fuori  dei  ripari  il 
nemico).  Per  il  significato  si  avverta  che 
generalmente  non  si  dice  d' individui,  ma 
di  eserciti  o  di  schiere. 

—  4.  il  p...  gli  falla  ecc.,  il  piede  gli  esce 
d'una  staffa.  Cosi  pure  l'usò  nel  e  xxxiv, 
50,  G.  colla  prep.  da.  Forse  anche  qui,  come 
altrove,  è  )a  preposiz.  da  apostrofata. 

—  7.  fellon,  Perché  non  si  doveva  da  due 
assalire  un  solo. 

117.  8.  la  spada  1.  Talvolta  la  portavano  le- 
gata al  polso,  ma  non  tutti  né  sempre  —  I 
fenomeni  della  gran  percossa  qui  descritti, 
come  piegarsi  sull'arcione,  stender  le  brac- 
cia e  aprir  le  mani,  oscillare  a  destra  e  si- 
nistra, lasciare  il  cavallo  che  corre  all'  im- 
pazzata, rimanere  storditi,  riaversi  comple- 
tamente dopo  pochi  istanti,  sono  luoghi  co- 
muni dei  nostri  romanzieri  antichi,  special- 
mente del  Boiardo. 

118.  5.  Che,  perché. 

—  8.  fiere,  percuote.  V.  st.  73  n.  7. 

119.  2.  gli  n'  ap.  ;  glie  n'  app.    V.    e.   V,    89, 
n.  4. 

—  3.  si  stringe,  si  avvicina  per  poter  en- 
trare nello  stretto  spazio,  che  ormai  sepa- 
rava Rodom.  da  Ruggiero. 


L'altro  la  spada  sua,  che  fu  Viviano, 
Pone  a  Ruggier,  già  risentito,  in  mano. 
120 

Tosto  che '1  buon  Ruggiero  in  sé  ritorna, 
E  che  Vivian  la  spada  gli  appresenta, 
A  vendicar  l'ingiuria  non  soggiorna, 
E  verso  il  Re  d'Algier  ratto  s'avventa; 
Come  il  leon  che  tolto  su  le  corna 
Dal  bue  sia  stato,  e  che  '1  dolor  non  senta: 
Si  sdegno  et  ira  et  impeto  l'atìretta. 
Stimala  e  sferza  a  far  la  sua  vendetta. 
121 

Ruggier  sul  capo  al  Saracin  tempesta: 
E  se  la  spada  sua  si  ritrovasse,  [sta 

Che,  come  ho  detto,  al  cominciar  di  que- 
Pugna,  di  man  gran  fellonia  gli  trasse: 
Mi  credo  ch"a  difendere  la  testa 
Di  Rodomonte  l'elmo  non  bastasse. 
L'elmo  che  fece  il  Re  far  di  Babelle, 
Quando  muover  pensò  guerra  alle  stelle. 
122 

La  Discordia  credendo  non  potere 
Altro  esser  quivi  che  contese  e  risse, 
Né  vi  dovesse  mai  più  luogo  avere 

0  pace  0  triegua,  alla  Sorella  disse 
Ch'omai  sicuramente  a  rivedere 

1  monachetti  suoi  seco  venisse. 
Lasciànleandareestiànnoidovein  fronte 
Ruggiero  avea  ferito  Rodomonte. 

123 

Fu  il  colpo  di  Ruggier  di  si  gran  forza 
Che  fece  in  su  la  groppa  di  Frontino 
Percuoter  l'elmo  e  quella  dura  scorza 
Di  ch'avea  armato  il  dosso  il  Saracino, 
E  lui  tre  volte  e  quattro  a  poggia  e  ad  oi'za 
Piegar  per  gire  in  terra  a  capo  chino, 
E  la  spada  egli  ancora  avria  perduta, 
Se  legata  alla  man  non  fosse  suta. 
121 

Avea  Marfisa  a  Mandricardo  intanto 
Fatto  sudar  la  fronte,  il  viso  e  il  petto; 
Et  egli  aveva  a  lei  fatto  altrettanto,; 


—  7.  sna;  di  Viviano:  cfr.  st.  121,  2. 
120.  2.  gli  appresenta,  gli  presenta.  V.  e. 

XV,  28,  n.  3. 

—  3.  non  soggiorna,  non  indugia.  V.  st.  60, 
n.  I. 

—  7-8.  Xota  la  bella  corrispondenza  e  la 
gradazione  delle  parole  Sdegno  ira  impeto, 
affretta  stimala  sferza. 

VII.  7.  l'elmo  ecc.  V.  e.  xiv,  118. 

122.  4.  alla  Sorella,  alla  superbia.  V.  e. 
XXIV,  114. 

123.  3.  dura  scorza,  V.  e.  xiv,  118.  Vuol 
dire  che  il  Saracino  piegò  la  testa  e  la  vita 
fin  sulla  groppa  del  cavallo. 

—  5.  a  poggia  ed  or.  di  qua  e  di  là.  V.  st. 
76,  n.  0. 

—  8.  suta,  stata.  V.  e.  v,  58,  n.  S. 


358 


ORLANDO  FURIOSO 


Ma  si  Tosbergo  d'ambi  era  perfetto, 
•  Che  mai  potOr  falsarlo  in  nessun  canto, 
E  stati  eran  sin  qui  pari  in  effetto; 
Ma  in  un  voltar  che  fece  il  suo  destriero, 
Bisogno  ebbe  Martìsa  di  Ruggiero. 
125 

Il  destrier  di  Martisa  in  un  voltarsi 
Che  fece  stretto,  ov'era  molle  il  prato. 
Sdrucciolò  in  guisa,  che  non  potè  aitarsi 
Di  non  tutto  cader  sul  destro  lato: 
E  nel  volere  in  fretta  rilevarsi, 
Da  Brigliador  fu  pel  traverso  urtato, 
Con  che  il  Pagan  poco  cortese  venne; 
Si  che  cader  di  nuovo  gli  convenne. 
126 

Ruggier  che  la  Donzella  a  mal  partito 
Vide  giacer,  non  differì  il  soccorso 
Or  che  l'agio  n'avea,  poi  che  stordito 
Da  sé  lontan  quell'altro  era  trascorso. 
Feri  su  l'elmo  il  Tartaro,  e  partito 
Quel  colpo  gli  avriailcapo,  come  un  torso, 
Se  Ruggier  Balisarda  avesse  avuta, 
O  Mandricardo  in  capo  altra  barbuta. 
127 

Il  Re  d'Algier  che  si  risente  in  questo, 
Si  volge  intorno,  e  Ricciardetto  vede; 
E  si  ricorda  che  gli  fu  molesto 
Dianzi,  quando  soccorso  a  Ruggier  diede. 
A  lui  si  drizza,  e  saria  stato  presto 
A  darli  del  ben  fare  aspra  mercede. 
Se  con  grande  arte  e  nuovo  incanto  tosto 
Non  se  gli  fosse  Malagigi  opposto. 


IH.  5.  falsarlo,  romperlo.  É  chiaro  da  due 
esempi  del  Boiardo,  Inn.  II,  iii,  6  :  «  Ma 
non  potea  falsar  quell'armatura  »  e  xix,  35: 
-^  Già  tutte  (l'armi)  1'  han  falsate  con  le  spa- 
de ».  È  il  francese  fausser;  che  nel  linguag- 
gio guerresco  significò  ammaccare  senza 
traversare  e  anche  traversando:  Lescoups 
d'épée  faussèreut  ses  armes;  —  La  flèche, 
faussant  la  cuirasse,  lui  entra  Inen  avant 
dans  le  corps  (LiTTRK-Diction). 

l'25.  3.  potè.  La  Principe  ha  puote.  —  ai- 
tarsi di  n.  e.  aiutarsi  da  non  e;  in  modo  da 
non  cader.  Questo  di  per  da  l'abbiamo  vi- 
sto anche  nel  e.  i,  51,  6;  vni,  16,  2.  E  mi 
pare  uso  non  registrato  dai  vocabolari. 

126.  7.  Se  Rnggier  ecc.  Se  Rug.  avesse  avu- 
ta Balisarda,  che  non  temeva  gl'incanti  e 
che  per  ciò  avrebbe  tagliato  anche  l'elmo 
incantato  di  Mandricardo,  o  se  Mandricardo 
avesse  avuto  in  capo  altro  elmo,  cioè  non 
incantato. 

—  8.  barbuta  è  detto  per  sineddoche  in- 
vece di  elmo  in  generale.  Che  cosa  fosse,  ve- 
dilo al  e.  XII,  67,  n.  3,  dove  vedrai  la  giusta 
etimologia. 

1>27.  1.  in  qnesto,  in  questo  tempo.  Si  dice 
anche  in  questa. 

—  7.  con  grrande  arte,  con  l'arte  magica. 


12S 
Malagigi,  che  sa  d'ogni  malia 
Quel  che  ne  sappia  alcun  Mago  eccellent»', 
Ancor  che  '1  libro  suo  seco  non  sia. 
Con  che  fermare  il  sole  era  possente, 
Pur  la  scongiurazione  onde  solia 
Comandare  ai  deraonii,  aveva  a  mente; 
Tosto  in  corpo  al  ronzino  un  ne  costringe 
Di  Doralice,  et  in  furor  lo  spinge. 

129 
Nel  mansueto  ubino  che  sul  dosso 
Avea  la  figlia  del  Re  Stordilano, 
Fece  entrare  un  de  gli  angel  di  Minosso 
Sol  con  parole  il  frate  di  Viviano: 
E  quel  che  dianzi  mai  non  s'era  mosso, 
8e  non  quanto  ubidito  avea  alla  mano, 
Or  d'improviso  spiccò  in  aria  un  salto 
Che  trenta  pie  fu  lungo  e  sedeci  alto. 

130 
Fu  grande  il  salto,  non  però  di  sorte, 
Che  ne  dovesse  alcun  perder  la  sella. 
Quando  si  vide  in  alto,  gridò  forte 
(Che  si  tenne  per  morta)  la  Donzella. 
Quel  ronzin,  come  il  Diavol  se  lo  porte. 


128.  I.  che  sa  ecc.  Malagigi,  secondo  i  ro- 
manzi, avea  studiato  magia  in  Toledo,  ed 
egli  stesso  la  professava  :  ond'era  detto  ma- 
stro Malagigi. 

—  3.  il  libro  ecc.  il  libro  degli  incante- 
simi. 

—  4.  fermare.  .  era  poss.  era  potente  a,  di 
fermare. 

—  5.  Pnr  la  se.  È  uno  dei  pochi  casi,  in 
cui  un  mago  operi  il  soprannaturale  senza 
un  segno  sensibile  di  libri,  verghe,  vasi, 
caratteri  ecc.;  però  anche  qui  occorre  una 
formula  sensibile  di  scongiuro. 

\       —  7.  ne  costringe,  ne  sforza  ad  entrare. 
!  Per  questo  significato  si  cita  dai  vocabolari 
questo  solo  esempio. 

—  8.  in  f.  lo  spinge,  lo   spinge   via   furi- 
j  bondo  ;  lo  fa  correr  via  con  furore. 

I        129.  1.  abino,  V.  e.  xiv,  53,  n.  7. 

I       —  3.  ang.  di  Minosao  ;  un  demonio.  Minosse 

'  è  giudice  dell'inferno,  secondo  la  mitologia. 

'  Ma  qui  l'A.,  dicendo  angel,  ha  presente 
piuttosto  il  concetto  cristiano  e  la  fantasia 
Dantesca,  per  cui  Minos  è  demonio  giudice 
dell'inferno. 

—  8.  pie.  V.  e.  XIV,  130,  n.  1. 
130.  1.  di  sorte;  di  maniera.  V, 

I  75,  n.  \. 

1       —  2.  che  ne  d.  ecc.  Intendi  :    il 
i  grande,  ma  il  cavallo  lo   fece   cosi   pari  e 
!  cosi  abilmente,  che  nessuno,  per  quanto  ine- 
sperto, ne  avrebbe  perso  la  sella.  —  Questo 
dice  per  spiegare  come  una  donna,  qual  era 
Doralice,  non  cadesse. 

—  5.  come  il  D.  s.  1.  p.,  comunque,  in  qua* 
I  lunque  modo  lo  porti  il  Diavolo,  che  ha  in 


vm, 
salto  fu 


CANTO  XXVI 


359 


Dopo  un  gran  salto  se  ne  va  con  quella, 
Che  pur  grida  soccorso,  in  tanta  fretta, 
Che  non  l'avrebbe  giunto  una  saetta. 
131 

Da  la  battaglia  il  figlio  d'LTieno 
§i  levò  al  primo  suon  di  quella  voce; 
E  dove  furiava  il  palafreno, 
Per  la  donna  aiutar  n'andò  veloce. 
Mandricardo  di  lui  non  fece  meno: 
Né  più  a  Ruggier,  né  più  a  Martìsa  noce; 
Ma,  senza  chieder  loro  o  paci  o  tregue, 
E  Rodomonte  e  Doralice  segue. 
132 

Marfisa  intanto  si  levò  di  terra 
E  tutta  ardendo  di  disdegno  e  d'ira 
Credesi  far  la  sua  vendetta,  et  erra; 
Che  troppo  lungi  il  suo  nimico  mira. 
Ruggier,  ch'aver  tal  fin  vede  la  guerra, 
Rugge  come  un  leon,  non  che  sospira. 
Ben  sanno  che  Frontino  e  Brigliadoro 
Giunger  non  ponno  coi  cavalli  loro. 
133 

Ruggier  non  vuol  cessar  fin  che  decisa 
Col  Re  d'Algier  non  l'abbia  del  cavallo: 
Kou  vuol  quietar  il  Tartaro  Marfisa: 


corpo,  fugge,  dopo  questo  grau  salto,  con 
Dorai.  BOCCACCIO,  Nov.  22  :  «  come  il  me- 
nasse era  contento». 

—  6.  Dopo  nn  gran  s.  Il  Galilei  avi'ebbe 
voluto  :  dopo  il  gran  salto  —  ma  i  Poeti  ro- 
manzeschi amano  spesso  di  ripetere  le  stesse 
cose  in  forma  diversa.  Nella  st.  129  aveva 
detto  spiccò  un  salto  ;  qui  ripete,  come  se 
non  l'avesse  detta,  questa  circostauza:  cfo^o 
un  gran  salto. 

—  6-7.  va....  in  tanta  fretta  ecc.  Innam. 
I,  li,  20  :  «  va  con  tanta  fretta  Ch'  a  pena 
Tavria  giunto  una  saetta  ». 

131.  3.  furiava.  Oggi  furiare  è  solo  della 
poesia,  ma  i  nostri  antichi  1'  usarono  fre- 
quentemente anche  in  prosa  per  infuriare. 

132.  6.  non  che  sospira.  Generalmente  il 
non  che  si  unisce  al  congiuntivo.  Coli' in- 
dicativo non  si  cita  dai  vocabolari  nessun 
esempio. 

133.  1-2.  decisa...  non  l'ab.;  non  abbia  de- 
ciso la  cosa,  l'affare  del  cavallo.  Ma  qui  del 
cavallo  è  complemento  di  limitazione:  non 
l'abbia  decisa  quanto  al  cavallo. 

—  3.  quietar,  lasciare  in  quiete.  È  signi- 
ficato non  registrato  dai  vocabolari. 


Che  provato  a  suo  senno  anco  non  ballo. 
Lasciar  la  sua  querela  a  questa  guisa 
Parrebbe  all'uno  e  all'altro  troppo  fallo. 
Di  comune  parer  disegno  tassi 
Di  chi  offesi  gli  avea  seguire  i  passi. 
134 

Nel  campo  Saracin  li  troveranno, 
Quando  non  possan  ritrovarli  prima; 
Che  per  levar  l'assedio  iti  scranno, 
Prima  che  '1  Re  di  Francia  il  tutto  oppri- 
Cosi  dirittamente  se  ne  vanno  [ma. 

Dove  averli  a  man  salva  fanno  stima. 
Già  non  andò  Ruggier  cosi  di  botto. 
Che  non  facesse  a  i  suoi  compagni  motto. 
135 

Ruggier  se  ne  ritorna  ove  in  disparte 
Era  il  fratel  de  la  sua  Donna  bella, 
E  se  gli  proferisce  in  ogni  parte 
Amico,  per  fortuna  buona  e  fella: 
Indi  lo  priega  (e  lo  fa  con  bella  arte) 
Che  saluti  in  suo  nome  la  Sorella; 
E  questo  cosi  ben  gli  venne  detto, 
Che  né  a  lui  die  né  a  gli  altri  alcun  so- 
136  [spetto. 

E  da  lui,  da  Vivian,  da  Malagigi, 
Dal  ferito  Aldigier  tolse  commiato. 
Si  proferirò  anch'essi  alli  servigi 
Di  lui,  debitor  sempre  in  ogni  lato. 
Marfisa  avea  si  il  cor  d'ire  a  Parigi, 
Che  '1  salutar  gli  amici  avea  scordato: 
Ma  Malagigi  andò  tanto  e  Viviano, 
Che  pur  la  salutaron  di  lontano; 
137 

E  cosi  Ricciardetto;  ma  Aldigiero 
Giace,  e  convien  che  suo  malgrado  resti. 
Verso  Parigi  avean  preso  il  sentiero 
Quelli  duo  prima,  et  orlo  piglian  questi. 
Dirvi,  Signor,  ne  l'altro  Canto  spero 
Miracolosi  e  sopra  umani  gesti, 
Che  con  danno  degli  uomini  di  Carlo 
Ambe  le  coppie  fér,  di  ch'io  vi  parlo. 


134.  3.  saranno,  forma  arcaica  e  rara. 

—  6.  a  man  salva,  sicui'amente,  senza  pe- 
ricolo (li  sbanliare.  Quest'  idea  accessoria, 
che  qui  appare  chiaramente,  manca  in  ge- 
nerale nell'espressione  a  man  salva,  che 
vale  invece  senza  nessun  pericolo. 

136.  5.  avea...  il  cor,  avea...  il  desiderio. 
Comunemente  di  disse  e  si  dice  avere  U 
core  a  o  in  una  cosa.  Della  costruzione 
con  di  e  l' infinito  si  cita  questo  solo  esempio. 


360 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO    XXVII 


Molti  cousigli  de  le  donne  sono 
Meglio  improviso,  eh' a  pensarvi,  usciti; 
Che  questo  è  speziale  e  proprio  dono 
Fra  tanti  e  tanti  lor  dal  ciel  largiti. 
Mapuòmalqueldegliuoraini  esser  buono, 
Che  maturo  discorso  non  aiti. 
Ove  non  s'  abbia  a  ruminarvi  sopra 
Speso  alcun  tempo  e  molto  studio  et  opra. 
2 

Parve  e  non  fu  però  buono  il  consiglio 
Di  Malagigi,  ancor  che  (come  ho  detto) 
Per  questo  di  grandissimo  periglio 
Liberasse  il  cugin  suo  Ricciardetto. 
A  levare  indi  Rodomonte  e  il  figlio 
Del  Re  Agrican,lo  spirto  avea constretto, 
Non  avvertendo  che  sarebbon  tratti 
Dove  i  Cristian  ne  rimarrian  disfatti. 
3 

Ma  se  spazio  a  pensarvi  avesse  avuto, 
Creder  si  può  che  dato  similmente 
Al  suo  cugino  avria  debito  aiuto. 
Né  fatto  danno  alla  Cristiana  gente. 
Comandare  allo  spirto  avria  potuto, 
Ch'alia  via  di  Levante  o  di  Ponente 
Si  dilungata  avesse  la  Donzella, 
Che  non  n'udisse  Francia  più  novella. 
4 

Cosi  gli  amanti  suoi  l'avrian  seguita. 
Come  a  Parigi,  anco  in  ogn'altro  loco; 
Ma  fu  questa  avvertenza  inavvertita 
Da  Malagigi,  per  pensarvi  poco: 


1.  1.  Molti  e.  ecc.  Opportunamente  il  Pa- 
nizzi  cita  un  luogo  dei  Reali  di  Francia,  2, 
16;  «  Rizieri  si  maravigliò  molto  del  presto 
rimedio,  che  Dusolina  prese;  e  confermò  il 
detto  del  Savio  che  '1  consiglio  della  femina 
è  buono  s'ella  non  vi  pensa  suso,  ma  s'ella 
vi  pensa  non  lo  pigliar,  eh'  è  vizioso  ». 

—  2.  improviso,  improvvisamente.  Cosi 
nel  e.  xii,  93,  2  e  i,  53,  8.  —  a  pensarvi,  pen- 
sandovi. V.  e. Si,  17,  n.  5.  —usciti,  riusciti. 
Cosi  nel  e.  xviii,  116;  xxiv,  28  e  altrove.  — 
E  nota  lo  scorcio  tutto  popolare  :  sono  riu- 
sciti meglio  improvvisamente,  cioè:  dati 
improvvisamente. 

—  5.  mal,  difficilmente.  Boccaccio,  Gior- 
nata 4,  proem.  «  e  potete  male  durar  fati- 
ca >. 

—  7.  Ove,  sul  quale  consiglio  non  si  sia 
speso  alcun  tempo  a  ruminarvi  sopra.  O  me- 
glio; qualora,  se,  non  si  sia  speso  alcun 
tempo  a  r.  s. 

3.  6.  alla  via  di  L.;  verso  L.  È  modo  an- 
cora vivissimo. 


E  la  Malignità  dal  ciel  bandita. 
Che  sempre  vorria  sangue  e  strage  e  fuoco. 
Prese  la  via  donde  più  Carlo  afflisse. 
Poi  che  nessuna  il  Mastro  gli  prescrisse. 
5, 

Il  palafren  ch'avea  il  demonio  al  fianco. 
Portò  la  spaventata  Doralice, 
Che  non  potè  arrestarla  fiume,  e  manco 
Fossa,  bosco,  palude,  erta  o  pendice. 
Fin  che  per  mezzo  il  campo  Inglese  e  Fran- 
E  l'altra  moltitudine  fautrice  [co. 

De  r  insegne  di  Cristo,  rassegnata 
Non  l'ebbe  al  padre  suo  Re  di  Granata. 
6 

Rodomonte  col  figlio  d'Agricane 
La  seguitare  il  primo  giorno  un  pezzo, 
Che  le  vedean  le  spalle,  ma  lontane. 
Di  vista  poi  perderonla  da  sezzo, 
E  venner  per  la  traccia,  come  il  cane 
La  lepre  o  il  capriol  trovare  avvezzo; 
Né  si  fermar,  che  furo  in  parte,  dove 
Di  lei  ch'era  col  padre  ebbono  nuove. 
7 

Guardati,  Carlo,  che  '1  ti  vien  adesso 
Tanto  furor,  ch'io  non  ti  veggo  scampo: 
Né  questi  pur,  ma  '1  Re  Gradasso  è  mosso 
Con  Sacripante  a  danno  del  tuo  campo. 
Fortuna,  per  toccarti  fin  all'osso,  • 


4.  5.  malignità.  L'astratto  per  il  concreto: 
quel  maligno;  il  demonio.  Dante  pure,  Purg. 
5,  112,  lo  chiamò  quel  mal  voler. 

—  8.  il  Mastro;  maestro  Malagigi. 

5.  3.  Che;  in  modo  che.  V.  e.  i,  a7,  n.  7. 

—  5.  per  mezzo  il  campo  ecc.  Essendo  i 
nemici  di  Carlo  assediati  nei  loro  accampa- 
menti, per  andare  a  Stordilano  bisognava 
traversar  le  schiere  cristiane.  —  Per  il  co- 
strutto cfr.  e.  VI,  23,  n.  8. 

—  7.  rassegnata,  riconsegnata. 

6.  4.  da  sezzo.  V.  e.  xi,  13,  n.  3. 

—  6.  trov.  avvezzo,  avvezzo  a  trovare.  Y. 
e.  I,  4,  n.  l. 

—  7.  che,  finché.  V.  e.  xiii,  7,  n.  4. 

7.  1.  el;  egli.  È  il  pronome  neutro,  per 
cui  cfr.  FORNACiARi,  Sliit.  p.  55.  Ed  è  uno 
de'  pochi  casi,  dove  l'A.  ha  lasciato  el  in- 
vece di  mettere  egli  o  gli,  come  ha  fatto  per 
molti  altri  luoghi  nell'ediz.  del  1532.  V.  e. 
II,  15,  4;  XIII,  3,  8. 

—  2.  ti  veggo,  veggo  per  te.  Cosi  abbiamo 
si  per  a  sd  nel  e.  vi,  59,  1;  vii,  16,  4;  pt-r 
contro  di  sé  xxiv,  97,  7. 

—  3.  è  mosso,  si  è  mosso.  Cosi  nel  e.  in, 
14,  2,  fu  mossa  per  si  fu  tnossa. 

—  5.  toccarti;  colpirti.  V.  e.  xvi,  Si,  n.  2. 


CANTO  XXVII 


361 


Ti  tolle  a  un  tempo  Vano  e  l'altro  lampo 
Di  forza  e  di  saper,  che  vivea  teco; 
E  tu  rimaso  iu  tenebre  sei  cieco. 
8 

Io  ti  dico  d'Orlando  e  di  Rinaldo; 
Che  l'uno  al  tutto  furioso  e  folle, 
Al  sereno,  alla  pioggia,  al  freddo,  al  caldo 
Nudo  va  discorrendo  il  piano  e  '1  colle: 
L'altro,  con  senno  non  troppo  più  saldo, 
D'appresso  al  gran  bisogno  ti  si  tolle; 
Che,  non  trovando  Angelica  in  Parigi, 
Si  parte,  e  va  cercandone  vestigi. 
9 

Un  fraudolente  vecchio  incantatol-e 
Gli  fé'  (come  a  principio  vi  si  disse) 
Creder  per  un  fantastico  suo  errore, 
Che  con  Orlando  Angelica  venisse: 
Onde  di  gelosia  tocco  nel  core, 
De  la  maggior  ch'amante  mai  sentisse. 
Venne  a  Parigi,  e  come  apparve  in  corte. 
D'ire  in  Bretagna  gli  toccò  per  sorte. 
10 

Or,  fatta  la  battaglia  onde  portonne 
Egli  l'onor  d'aver  chiuso  Agraniante, 
Tornò  a  Parigi,  e  monister  di  donne 
E  case  e  rocche  cercò  tutte  quante. 
Se  murata  non  è  tra  le  colonne, 


—  6.  lampo  di  f.  e  d.  s.  È  maniera  figu- 
rata e  poetica  foggiata  dall'A.  per  indicare 
che  avevano  in  sommo  grado  forza  e  sa- 
pere. 

8.  1.  ti  dico,  ti  parlo.  Cosi  nel  e.  i,  2,  1. 
•«  Dirò  d'Orlando  »;  e  cosi  spesso  nella  no- 
stra lingua. 

9  1.  Un  fraudol.  ecc.  Nel  e  il,  15  un  falso 
eremita  aveva  mandato  un  demonio  in  for 
ma  di  valletto  a  Rinaldo  e  Sacripante,  che  i 
combattev;ano,  colla  falsa  notizia  che  Ange 
lica  andava  a  Parigi  con  Orlando.  Rinaldo 
che  n'  era  innamorato,  va  a  Parigi  per  tro 
varia,  ma  Carlo  Io  manda  in  Inghilterra  a 
cercare  aiuti.  Ora,  che  ha  fatto  il  suo  do 
vere,  ritorna  al  proposito  di  cercare  An 
gelica. 

—  3.  per  un  f.  s.  errore,  con  un  suo  in 
ganno  operato  per  mezzo  d'un  fantasma 
Errore  magico  per  ittganno  magico  nel 
e.  xui,  49,  2.  Così  pure  in  questo  canto,  st 
14,3. 

10.  1.  onde  portonne,  il  ne  è  pleonastico 

—  5.  Se  mur.  non  è.  È  detto  ex  mente  di 
Rinaldo:  Rinaldo  pensava  che,  se  non  era 
murata  tra  le  e.  l'avrebbe  trovata.  Per  il 
presente  invece  dell' imperf.  cfr.  e.  i,  81, 
n.  3.  —  tra  le  colonne,  dentro  le  colonne  j 
come  si  dice  tra  ine,  tra  sé,  dentro  di  me, 
dentro  di  sé;  e  il  Petrarca,  i,  son.  74:  <r 
dicea  fra  '1  mio  cor  ».  Dice  dentro  le  colon- 
ne perché  ivi,  meglio  che  nei  muri,  si  po- 
trebbe nascondere  una  persona. 


L'avria  trovata  il  curioso  amante. 
Vedendo  al  fin  ch'ella  non  v'èné Orlando, 
Amenduo  va  con  gran  disio  cercando. 

11  [Brava 

Pensò  che  dentro  Anglante  o  dentro  a 
Se  la  godesse  Orlando  in  festa  e  in  giuoco; 
E  qua  e  là  per  ritrovarla  andava. 
Né  in  quel  la  ritrovò  né  in  questo  loco, 
A  Parigi  di  nuovo  ritornava, 
Pensando  che  tardar  dovesse  poco 
Di  capitare  il  Paladino  al  varco; 
Che  '1  suo  star  fuor  non  era  senza  incarco. 
12 

Un  giorno  o  duo  ne  la  città  soggiorna 
Rinaldo,  e  poi  ch'Orlando  non  arriva, 
Or  verso  Anglante,  or  verso  Brava  toma. 
Cercando  se  di  lui  novella  udiva,  [giorna, 
Cavalca  e  quando  annotta  e  quando  ag- 
AUa  fresca  alba  e  all'ardente  ora  estiva; 
E  fa  al  lume  del  sole  e  de  la  luna 
Dugento  volte  questa  via,  non  ch'una. 
13 

Ma  l'antiquo  avversario,  il  qual  fece  Eva 
All'interdetto  pome  alzarla  mano, 
A  Carlo  un  giorno  i  lividi  occhi  leva, 
Che  '1  buon  Rinaldo  era  da  lui  lontano  ; 
E  vedendo  la  rotta  che  poteva 
Darsi  in  quel  punto  al  popolo  Cristiano, 
Quanta  eccellenzia  d'arme  al  mondo  fuBse 
Fra  tutti  i  Saracini,  ivi  condasse. 
14 

Al  Re  Gradasso  e  al  buon  Re  Sacripante, 
Ch'eran  fatti  compagni  all'uscir  fuore 
De  la  piena  d'error  casa  d'Atlante, 
Di  venire  in  soccorso,  messe  in  core, 
Alle  genti  assediate  d'Agramante, 


—  6.  curioso;  (da  cura)  che  ha  cura  di 
cercare.  Cosi  nella  st.  70,  7. 

11.  1.  Anelante....  Brava,  due  supposti  ca- 
stelli d'Orlando. 

—  8.  ìncarco;  biasimo.  Cosi  incarca  per 
dice  ingiuria  nel  e.  x,  43,  2. 

12.  5.  annotta....  aggiorna  ;  è  notte....  è 
giorno.  La  Crusca  e  altri  intendono  si  fa 
notte,  si  fa  giorno;  ma  è  chiaro  che  l'A. 
voleva  indicare  la  istancabile  costanza  di 
Rin.;  la  quale  non  apparirebbe  dicendo  che 
cavalcava  col  far  del  giorno  e  della  notte. 
È  una  bella  estensione  di  significato,  che 
gli  iiiterpetri  non  hanno  capito. 

13.  2.  pome,  pomo.  È  forma  frequente 
negli  antichi. 

—  4.  Che;  È  relativo  di  un  giorno:  quando. 

—  7.  eccellenzia  d'  ar.  L'  astratto  per  il 
concreto:  quanti  eccellenti  in  arme. 

14.  1.  hnon;  valoroso.  V.  e.  xv,  15,  n.  3. 
Di  Gradasso  e  di  Sacripante  vedi  ciò  che  si 
dice  al  e.  xii,  33;  xxu,  20. 

—  3.  error,  inganno.  V.  e.  xii,  11  seg. 


362 


ORLANDO  FURIOSO 


E  a  distruzion  di  Carlo  Imperatore; 

Et  egli  per  l'incognite  contrade 
Fé'  lor  la  scorta,  e  agevolò  le  strade. 
15 

Et  ad  un  altro  suo  diede  negozio 
D'affrettar  Rodomonte  e  Mandricardo 
Per  le  vestigie  donde  l'altro  sozio 
A  condur  Doralice  non  è  tardo. 
Ne  manda  ancor  un  altro,  perché  in  ozio 
Non  stia  Marfisa  né  Ruggier  gagliardo  : 
Ma  chi  guidò  l'ultima  coppia,  tenne 
La  briglia  più,  né  quando  gli  altri,  venne. 
16 

La  coppia  di  Marfisa  e  di  Ruggiero 
Di  mezza  ora  più  tarda  si  condusse; 
Però  ch'astutamente  l'angel  nero, 
Volendo  a  gli  Cristian  dar  de  le  busse. 
Provide  che  la  lite  del  destriero 
Per  impedire  il  suo  desir  non  fusse: 
Che  rinovata  si  saria,  se  giunto 
Fosse  Ruggiero  e  Rodomonte  a  un  punto. 
17 

I  quattro  primi  si  trovaro  insieme 
Onde  potean  veder  gli  alloggiamenti 
De  l'esercito  oppresso  e  di  chi  '1  preme, 
E  le  bandiere  in  che  feriano  i  venti. 
Si  consigliaro  alquanto,  e  fur  l'estreme 
Conclusion  dei  lor  ragionamenti 
Di  dare  aiuto,  mal  grado  di  Carlo, 
Al  Re  Agramante,  e  de  l'assedio  trarlo. 
18 

Stringonsi  insieme,  e  prendono  la  via 
Per  mezzo  ove  s'alloggiano  i  Cristiani, 
Gridando,  Africa  e  Spagna  tuttavia  : 
E  si  scoprirò  in  tutto  esser  Pagani. 
Pel  campo,  arme,  arme  risonar  s'udia; 


I  Ma  menar  sì  sentir  prima  le  mani  : 
i  E  de  la  retroguardia  una  gran  frotta. 
Non  ch'assalita  sia,  ma  fugge  in  rotta. 

I  19 

j     L'esercito  Cristian  mosso  a  tumulto 

I  Sozzopra  va  senza  sapere  il  fatto. 
Estima  alcun  che  sia  un  usato  insulto, 

,  Che  Svizzeri  o  Guasconi  abbino  fatto. 
Ma  perch'alia  più  parte  è  il  caso  occulto, 
S'aduna  insieme  ogni  uazion  di  fatto. 
Altri  a  suon  di  tamburo,  altri  di  tromba: 
Grande  è'irumore,  e  fin  al  ciel  rimbomba. 

20 
,  Il  magno  Iraperator,  fuor  che  la  testa, 
È  tutto  armato,  e  i  Paladini  ha  presso  : 
E  domandando  vien  che  cosa  è  questa 
Che  le  squadre  in  disordine  gli  ha  messo  : 
E  minacciando,  or  questi  or  quelli  arresta  : 
E  vede  a  molti  il  viso  o  il  petto  fesso. 
Ad  altri  insanguinare  o  il  capo  o  il  gozzo, 
Alcun  tornar  con  mano  o  braccio  mozzo. 
21 
Giunge  più  inanzi,  e  ne  ritrova  molti 
Giacere  in  terra,  anzi  in  vermiglio  lago 
Nel  proprio  sangue  orribilmente  involti, 
Né  giovar  lor  può  medico  né  mago; 
E  vede  da  gli  busti  i  capi  sciolti, 
E  braccia  e  gambe  con  crudele  imago; 
E  ritrova  da  i  primi  alloggiamenti 
A  gli  ultimi  per  tutto  uomini  spenti. 


15.  1.  suo,  della  sua  famiglia:  un  denio- 
uio  _  diede  negozio  dette  incarico.  Si  cita 
questo  solo  esempio  dell'A. 

—  3.  vestigie,  via.  In  questo  senso  non  è 
registrato  dai  vocabolari.  —  donde,  dalla 
quale  via.  Si  desidererebbe  piuttosto  un  per 
dove,  ma  l'A.  avea  la  mente  alla  fuga  di  Do- 
ralice dai  due  guerrieri.  —  sozio,  socio,  com- 
pagno: l'altro  diavolo. 

—  7,  chi  guidò;  ma  il  terzo  demonio,  che 
guidò  Marf.  e  Rug.,  andò  più  lento  e  giunse 
più  tardi. 

17.  4.  feriano,  percotevauo,  battevano.  V. 
e.  u,  76,  n.  3. 

7.  mal  grado  di  C;  in  danno  di  C.  V.  e. 

XVIII,  40,  II.  2. 

18.  2.  per  mezzo  ove  ecc.,  per  mezzo  al 
campo  dei  Cr.  Questi  dunque  assalgono  alle 
spalle  i  Cristiani  e  traversano  il  loro  ac- 
campamento. 

—  3.  Affrica  e  S.  Erano  le  loro  parole 
d'ordine. 

—  5.  arme,  arme  ;  É  il  grido  d'  all'  armi 
dato  dai  Cristiani. 


19.  2.  sozzopra.  V.  e.  xiv,  128,  n.  8. 

—  3.  insalto,  sommossa.  Nel  e.  xvi,  83,  3 
significa  assalto.  In  questo  luogo  la  Crusca 
gli  dà  lo  stesso  significato;  ma  usato  as- 
salto a  che  cosa  ?  Vale  dunque  sommossa, 
significato  che  doveva  aggiungersi  agli 
altri. 

—  4.  Svizzeri  o  6,;  Bande  mercenarie 
poco  disciplinate,  perciò  facili  ai  disordini. 

—  6.  og.  nazion;  i  soldati  di  ciascuna  re- 
gione si  adunano  sotto  il  respettivo  vessillo 
e  capo.  —  dì  fatto,  subito.  È  modo  molto 
frequente  negli  scrittori  antichi,  ma  è  an- 
dato in  disuso  in  questo  senso. 

—  8.  fin  al  del.;  fino  il  cielo,  ne  rim- 
bomba perfino  il  cielo.  V.  e.  ii,  28,  n.  8. 

20.  I.  fuor  oh.  la  t.  Ordinariamente,  fuori 
della  battaglia,  l'elmo  era  portato  dagli  scu- 
dieri. L'A.  vuol  far  notare  che  C.  M.  aveva 
scudo  al  braccio  e  lancia  in  mano,  pronto 
per  la  battaglia;  né  altro  gli  mancava  ch^ 
prender  l'elmo  xlagli  scudieri,  che  lo  segu' 
vano. 

—  7.  insanguinare,  sanguinare.  È  raro  an 
che  negli  antichi. 

21.  5.  sciolti ,  separati  (latino  solutus^ 
anima  corpore  soluta,  anima  separata  da 
corpo).  È  significato,  che  manca  ai  voca 
bolari. 


CANTO  XXVII 


363 


22 

Dove  passato  era  il  piccol  drappello, 
Di  chiara  fama  eternamente  degno, 
Per  lunga  riga  era  rimaso  quello 
Al  mondo  sempre  raeraorabil  segno. 
Carlo  mirando  va  il  crudel  macello, 
Maraviglioso,  e  pien  d'ira  e  di  sdegno, 
Come  alcuno,  in  cui  danno  il  fulgur  venne, 
Cerca  per  casa  ogni  sentier  che  tenne. 
23 

Non  era  a  gli  ripari  anco  arrivato 
Del  Re  African  questo  primiero  aiuto. 
Che  con  Marfisa  fu  da  un  altro  iato 
L'animoso  Ruggier  sopravenuto. 
Poi  ch'una  volta  o  due  l'occhio  aggirato 
Ebbe  la  degna  coppia,  e  ben  veduto 
Qual  via  più  breve  per  soccorrer  fosse 
L'assediato  Signor,  ratto  si  mosse. 
24 

Come  quando  si  dà  fuoco  alla  mina. 
Pel  lungo  solco  de  la  negra  polve 
Licenziosa  fiamma  arde  e  camina 
8i  ch'occhio  a  dietro  a  pena  se  le  volve; 
.E  qual  si  sente  poi  l'alta  mina 
Che  '1  duro  sasso  o  il  grosso  muro  solve  ; 
Cosi  Ruggiero  e  Marfisa  veniro, 
E  tai  ne  la  battaglia  si  sentirò. 
25 

Per  lungo  e  per  traverso  a  fender  teste 
Incominciaro,  e  tagliar  braccia  e  spalle 
De  le  turbe  che  male  erano  preste 
Ad  espedire  e  sgombrar  loro  il  calle. 
Chi  ha  notato  il  passar  de  le  tempeste, 
Ch'una  parte  d'un  monte  o  d'una  valle 
Ofi"ende  e  l'altra  lascia,  s'appresenti 
La  via  di  questi  duo  fra  quelle  genti. 


22.  6.  Maraviglioso,  maravigliato.  Cosi  e. 
X,  90,  7  e  altrove. 

—  7.  alcuno,  uno.  Boccaccio,  Nov.  89: 
«  ad  alcuno,  che  savio  era,  disse  ».  È  fre- 
quente nella  nostra  lingua. 

23.  5.  aggirato,  girato.  V.  e.  xn,  18,  n.  4. 

24.  2.  solco,  riga.  Veramente  il  solco  in- 
clude sempre  l' idea  d' incavo;  qui  è  invece 
una  riga  rilevata  di  polvere.  È  significato 
notevole  non  registrato  dai  vocabolari. 

—  3.  Licenziosa,  senza  ritegno.  Cosi  il  Ma- 
chiavelli disse  licenzioso  V  impeto  d'un 
fiume  {Principe,  23). 

—  4.  a  dietro  se  1.  v.,  le  va  dietro,  la  se- 
gue. É  notevole  la  locuzione  l'occhio  si  vol- 
ge dietro  e  l'avverbio  a  dietro  per  dietro, 
come  qui  si  desidera. 

—  7.  veniro.  V.  e.  vi,  81,  n.  3. 

25.  3.  male,  non.  V.  e.  i,  57,  n.  1. 

—  7.  s'appresenti:  si  figuri,  s'immagini. 
Generalmente  si  disse  appresentarsi  al- 
l'animo, alla  mente.  Cosi,  senza  comple- 
mento, è  citato  questo  luogo  senz'altrì  esem- 
pu   La  Crusca  non  ha  questo  significato. 


Molti  che  dal  furor  di  Rodomonte 
E  di  quegli  altri  primi  eran  fuggiti. 
Dio  ringraziavan  ch'avea  lor  si  pronte 
Gambe  concesse,  e  piedi  si  espediti; 
E  poi,  dando  del  petto  e  de  la  fronte 
In  Marfisa  e  in  Ruggier,  vedean, scherniti, 
Come  l'uom  né  per  star  né  per  fuggire. 
Al  suo  fisso  destin  può  contradire. 
27 

Chi  fugge  l'im  pericolo,  rimane 
Ne  l'altro,  e  paga  il  fio  d'ossa  e  di  polpe. 
Cosi  cader  coi  figli  in  bocca  al  cane 
Suol,  sperando  fuggir,  timida  volpe. 
Poi  che  la  caccia  de  l'antique  tane 
Il  suo  vicin  che  le  dà  mille  colpe, 
E  cautamente  con  fumo  e  con  fuoco 
Turbata  l'ha  da  non  temuto  loco. 
28 

Ne  gli  ripari  entrò  de'  Saracini 
Marfisa  con  Ruggiero  a  salvamento. 
Quivi  tutti  con  gli  occhi  al  ciel  supini 
Dio  ringraziar  del  buono  avvenimento. 
Or  non  v'è  più  timor  de'  Paladini: 
Il  più  tristo  Pagan  ne  sfida  cento; 
Et  è  concluso  che  senza  riposo 
Si  torni  a  fare  il  campo  sanguinoso. 
29 

Corni,  bussoni,  timpani  moreschi 
Empieno  il  ciel  di  formidabil  suoni: 
Ne  l'aria  tremolare  ai  venti  freschi 
Si  veggon  le  bandiere  e  i  gonfaloni. 
Da  l'altra  parte  i  Capitan  Carleschi 


Come  una  tempesta  devasta  una  striscia 
del  monte  o  della  valle,  cosi  questi  due  guer- 
rieri passavano,  uccidendo,  in  mezzo  alle 
schiere,  aprendosi  come  una  via. 

26.  7.  per  star  ...  per  f.  ;  per  quanto  resti 
ecc.  V.  e.  XV,  69,  n.  6. 

—  8.  contradire,  resistere,  opporsi.  Nella 
st.  97,  7,  significa  impedire  come  nel  e. 
xLiv,  37,  3;  ed  è  costruito  col  che.  Di  que- 
sto secondo  significato  e  del  costrutto  tac- 
ciono i  vocabolari  tutti.  —  fisso  d.;  prefis- 
so, prestabilito  destino. 

27.  2.  il  fio,  il  tributo  al  suo  destino.  V. 
e.  XVII,  41,  n.  5.  —  d'ossa  e  di  p.,  con  ossa 
e  p.  ;  colla  propria  vita.  Espressione  note- 
vole. 

—  6.  Il  suo  vicin,  il  villano  che  ha  la  casa 
vicina  alla  sua  tana  e  che  le  attribuisce 
mille  danni. 

—  7.  cautamente,  accortamente  l'ha  con 
fumo  e  fuoco  fatta  uscire  dalla  fida  tana, 
ch'era  l'unico  luogo  da  lei  non  sospettato 
d' insidie. 

28.  3.  supini.  V.  c.  xiv,  69,  n.  5. 

29.  1.  bussoni  o  busoni.  Sorta  di  stru- 
mento antico  da  fiato.  Lo  nomina  più  volte 
anche  il  Pulci;  x,  27;  xvi,  25;  xix,  89. 


364 


ORLANDO  FURIOSO 


Stringon  con  Alamanni  e  con  Britoni 
Quei  di  Francia,  d'Italia  e  d'Inghilterra; 
E  si  mesce  aspra  e  sanguinosa  guerra. 
30 

La  forza  del  terribil  Rodomonte, 
Quella  di  Mandricardo  furibondo. 
Quella  del  buon  Ruggier,  di  virtù  fonte, 
Del  Re  Gradasso  si  famoso  al  mondo, 
E  di  Marfisa  l'intrepida  fronte, 
Col  Re  Circasso  a  nessun  mai  secondo, 
Feron  chiamar  san  Gianni  e  san  Dionigi 
Al  Re  di  Francia,  e  ritrovar  Parigi. 
31 

Di  questi  cavallieri  e  di  Marfisa 
L'ardire  invitto  e  la  mirabil  possa 
Non  fu,  Signor,  di  sorte,  non  fu  in  guisa 
Ch'imaginar,  non  che  descriver  possa. 
Quindi  si  può  stimar  che  gente  uccisa 
Fosse  quel  giorno,  e  che  crude)  percossa 
Avesse  Carlo.  Arrogo  poi  con  loro 
Con  Ferrali  più  d'un  famoso  Moro. 
32 

Molti  per  fretta  s'aflfogaro  in  Senna 
(Che  '1  ponte  non  potea  supplire  a  tanti), 
E  desiar,  come  Icaro,  la  penna. 
Perché  la  morte  avean  dietro  e  davanti. 
Eccetto  Uggieri  e  il  Marchese  di  Vienna, 
I  Paladin  fur  presi  tutti  quanti. 
Olivier  ritornò  ferito  sotto 
La  spalla  destra,  Uggier  col  capo  rotto. 
33 

E  se,  come  Rinaldo  e  come  Orlando, 


—  6.  Strìngon,  riuniscono. 

30.  6.  col  Ee  Circasso;  È  questo  l'unico 
luogo,  dove  SI  dice  che  Sacripante  combatte 
contro  i  cristiani. 

31.  3.  di  sorte,  di  maniera.  —  in  gnlsa. 
Ripete  il  concetto  di  di  sorte  per  soffermare 
e  richiamare  più  viva  l'attenzione  del  let- 
tore. —  Signor.  È,  al  solito,  Ippolito  d'Este. 

—  5.  cbe  gente,  quanta  gente.  Petr.  il, 
son.  43:  «  Oh  che  lieve  (quanto  lieve)  è  in- 
gannar chi  s'  assecura  ».  Ma  in  questn 
luogo  del  Petr.  il  che  risponde  al  latino 
qua'm  invece  nel  luogo  dell'A.  sarebbe  egua- 
le a  (juam  multa.  Ed  è  un  esempio  notevole. 

—  7.  Arrogo,  arrogi,  aggiungi.  Dallat.  ar- 
rapare, mutata  coniugaz.  dalla  1'  alla  3": 
e  la  terminaz.  ha  conservata  la  forma  lati- 
na in  e.  Cosi  nel  e.  xxxiii,  69,  1.  E  con  que- 
sta terminazione  si  usa  anch'oggi  avverbial- 
mente: arroge  =  di  più. 

35>.  2.  supplire,  bastare.  Significato  cosi 
comune  come  l'altro  di  sovvenire  al  difetto. 

—  4.  dietro  e  dav.  ;  dietro  per  i  nemici, 
davanti  per  il  fiume.  —  Su  Icaro  v.  canto 
xxxii,  24,  1. 

—  5.  il  Marchese  di  V.,  Oliviero  avea  il 
titolo  di  marchese  di  Vienna,  città  di  Fran- 
cia nel  Delfinato. 


Lasciato  Brandimarte  avesse  il  giuoco, 
Carlo  n'andava  di  Parigi  in  bando. 
Se  potea  vivo  uscir  di  si  gran  fuoco. 
Ciò  che  potè,  fé'  Brandimarte,  e  quando 
Non  potè  più,  diede  alla  furia  loco. 
Cosi  Fortuna  ad  Agramante  arrise, 
Ch'un'altra  volta  a  Carlo  assedio  mise. 
34 

Di  vedovelle  i  gridi  e  le  querele, 
E  d'orfani  fanciulli,  e  di  vecchi  orbi, 
Ne  l'eterno  seren  dove  Michele 
Sedea,  salir  fuor  di  questi  aer  torbi  ; 
E  gli  fecion  veder  come  il  fedele 
Popol  preda  de'  lupi  era  e  de'  corbi, 
Di  Francia,  d'Inghilterra  e  di  Lamagna, 
Che  tutta  avea  coperta  la  campagna. 
35 

Nel  viso  s'arrossi  l'Angel  beato. 
Parendogli  che  mal  fosse  ubidito 
Al  Creatore,  e  si  chiamò  ingannato 
Da  la  Discordia  perfida  e  tradito. 
D'accender  liti  tra  i  Pagani  dato 
Le  avea  l'assunto,  e  mal  era  esequito; 
Anzi  tutto  il  contrario  al  suo  disegno 
Parca  aver  fatto  a  chi  guardava  al  segno. 
36 

Come  servo  fedel,  che  più  d'amore 
Che  di  memoria  abondi,  e  che  s'avveggia 
Aver  messo  in  oblio  cosa  ch'a  core 
Quanto  la  vita  e  l'anima  aver  deggia; 
Studia  con  fretta  d'emendar  l'errore. 
Né  vuol  che  prima  il  suo  Signor  lo  veggia: 
Cosi  l'Angelo  a  Dio  salir  non  volse. 
Se  de  l'obligo  prima  non  si  sciolse. 
37 

Al  monister,  dove  altre  volte  avea 
La  Discordia  veduta,  drizzò  l'ali. 
Trovolla  ch'in  capitolo  sedea 


38.  4.  fuoco,  combattimento  ardente. 
— .  6.  diede   alla  f.  1.;  lasciò  passare  L\ 
furia  nemica,  ritirandosi. 

34.  2.  orbi,  orbati  dei  figli. 

—  4.  aer  torbi;  di  quest'aer  torbe,  torbi- 
do, non  bello  e  chiaro  come  l'alto  cielo.  \ù 
notevole  il  plurale,  di  cui  non  si  cita  altro 
esempio. 

—  7.  Di  Francia.  Unisci  con  popol. 

35.  6.  esequito;  eseguito.  Forma  più  vi- 
cina al  lat.  exequi,  usata  altre  volte  dall'A. 

—  8.  guardala  al  segno;  g.  all'effetto.  Nei 
Cinque  canti  iv,  50,  l'A.  ha  condurre  a  se- 
gno, condurre  a  effetto.  Da  questa  locuzio- 
ne, in  cui  segno  si  può  ricondurre  facil- 
mente al  suo  significato  di  scopo,  l'A.  ha 
derivato  quest'altra,  dove  quel  significato 
è  assai  più  lontano. 

37.  3.  in  capitolo.  Capitolo  si  chiama  la 
stanza,  dove  si  radunano  i  frati  per  pren- 
dere delle  deliberazioni;   e  anche  la  loro 


CANTO  XXVII 


365 


A  nuova  elezion  degli  ufficiali; 
E  di  veder  diletto  si  preudea, 
Volar  per  capo  a'  frati  i  brevìali. 
Le  man  le  pose  l'Angelo  nel  crine, 
E  pugna  e  calci  le  die  senza  fine. 
38 

Indi  le  roppe  un  manico  di  croce 
Per  la  testa,  pel  dosso  e  per  le  braccia. 
Mercé  grida  la  misera  a  gran  voce, 
E  le  genocchiaal  divin  nunzio  abbraccia. 
Michel  non  l'abandona,  che  veloce 
Nel  campo  del  Re  d'Africa  la  caccia; 
E  poi  le  dice:  Aspettati  aver  peggio, 
Se  fuor  di  questo  campo  più  ti  veggio. 
39 

Come  che  la  Discordia  avesse  rotto 
Tutto  il  dosso  e  le  braccia,  pur  temendo, 
Un'altra  volta  ritrovarsi  sotto 
A  quei  gran  colpi,  a  quel  furor  tremendo; 
Corre  a  pigliare  i  mantici  di  botto, 
Et  agli  accesi  fuochi  esca  aggiungendo. 
Et  accendendone  altri,  fa  salire 
Da  molti  cori  un  alto  incendio  d' ire. 
40 

E  Rodomonte  e  Mandricardo  e  insieme 
Ruggiern' infiamma  si. che  inanzi  al  Moro 
Li  fa  tutti  venire,  or  che  non  preme 
Carlo  i  Pagani,  anzi  il  vantaggio  è  loro. 
Le  differenzie  narrano,  et  il  seme 
Fanno  saper,  da  cui  produtte  foro: 
Poi  del  Re  si  rimettono  al  parere. 
Chi  di  lor  prima  il  campo  debba  avere. 
■41 

Marfisa  del  suo  caso  anco  favella, 
E  dice  che  la  pugna  vuol  finire. 
Che  cominciò  col  Tartaro;  perch'ella 
Provocata  da  lui  vi  fu  a  venire  : 


adunanza.  Qui  stavano  assegnando  le  nuove 
cariche  (elezion  degli  ufiBciali). 

—  6.  per  capo;  per  il  capo,  nel  capo.  — 
breviali,  breviari:  libri  che  contengono  l'uf- 
fizio divino.  Detti  cosi  perché  hanno  in  bre- 
ve raccolte  le  preci  giornaliere  dei  sacer- 
doti. 

—  S.  E  pugna  ecc.  Queste  immagini  han 
del  grottesco,  ma  sono  efficacissimo  ricordo 
dei  poemi  popolari. 

38.  5.  non  l'ab.  che;  non  l'abbandona  fin- 
ché. V.  e.  XIII,  7,  n.  4. 

40.  2.  Moro,  Agramante. 

—  8.  il  campo.  Dare,  concedere,  avere 
ecc.  il  campo  erano  espressioni  tecniche  del 
duello.  In  guerra  spettava  al  comandante 
supremo  concedere  il  campo  franco,  come 
in  pace  spettava  al  Signore. 

41.  4.  vi  fu  a  ven.;  fu  provocata  da  lui  a 
venirvi;  cioè  a  venire  alla  pugna,  a  battaglia. 
Nota  lo  spostamento  della  particella  avver- 
biale e  cfr.  e.  I,  47,  n.  6.  Marfisa  accampa 
diritti  di  precedenza,  perché  era  stata  pro- 


Né,  per  dar  loco  all'altre,  volea  quella 
Un'ora,  non  che  un  giorno,  differire; 
Ma  d'esser  prima  fa  l' instanzia  grande. 
Ch'alia  battaglia  il  Tartaro  domande. 
42 

Nonmen  vuol  Rodomonteilprimocam- 
Da  terminar  col  suo  rivai  l'impresa,   [pò 
Che  per  soccorrer  l'Africano  campo 
Ha  già  interrotta,  e  fin  a  qui  sospesa. 
Mette  Ruggier  le  sue  parole  a  campo, 
E  dice  che  patir  troppo  gli  pesa 
Che  Rodomonte  il  suo  destrier  gli  tenga, 
E  eh' a  pugna  con  lui  prima  non  venga. 
43 

Per  più  intricarla  il  Tartaro  viene  anche 
E  niega  che  Ruggiero  ad  alcun  patto 
Debba  l'aquila  aver  da  Tale  bianche; 
E  d'ira  e  di  furore  è  cosi  matto,        [che, 
Che  vuol,  quando  dagli  altri  trenonman- 
Combatter  tutte  le  querele  a  un  tratto. 
Né  più  dagli  altri  ancor  saria  mancato, 
8e  '1  consenso  del  Re  vi  fosse  stato. 


vocata  da  Mandricardo  senza  nessuna  ra- 
gione. 

—  7-S.  d'ess.  prima...  che  domande  ;  d'esser 
la  prima  a  domandare.  É  il  latino  elicere, 
evocare  aliquem  ad  pugnavi.  Fra  le  tante 
locuzioni,  questa  non  è  citata  dai  vocabo- 
lari. 

42.  1.  il  primo  campo,  per  il  primo  il  cam- 
po. Abbiamo  una  figura  di  enallage  frequen- 
tissima nelle  moderne,  come  nelle  lingue 
antiche.  Cosi  diciamo  passare  una  notte 
agitata  per  jiassare  una  notte  agitati. 

—  5.  Mette...  a  campo,  mette  avanti,  mette 
in  campo.  È  modo  elegante  amato  anche 
dai  prosatori. 

—  7.  gli  tenga.  Il  gli  corrisponde  al  da- 
tivo latino  detto  dativus  incommodi :  ten- 
ga in  suo  danno,  contro  la  sua  volontà, 
o  simili.  È  comunissimo  anche  nell'uso  vivo. 

43.  1.  intricarla,  intrigar  la  cosa,  la  que- 
stione. 

—  2.  niega,  (lat. /te^rat.)  dice  che  non  deve. 
V.  e.  XVII,  62,  a.  3. 

—  5.  dagli  a.  t.  n.  manche;  da  gli  altri 
tre  non  proceda,  non  dipenda  (e  sottintendi 
che  ciò  avvenga).  Proprio  cosi  l'usò  il  Sac- 
chetti, Nov.  198:  «Reputo  d'averlo  rice- 
vuto e  d'avere  in  borsa  fiorini  dugento,  co- 
me se  tu  l'avessi  fatto,  perocché  da  te  aon 
è  mancato  (che  ciò  avvenga)  ». 

—  6.  combatter...  le  q.  È  espressione  tec- 
nica del  duello.  Querela  era  la  questione 
d'onore;  e  combatter  una  querela  erSi  de- 
finire in  duello  una  questione  d'onore. 

—  7.  He  più  ecc.;  Né  più  che  da  lui  sa- 
rebbe mancato  pure  dagli  altri.  Se  ecc.  ;  os- 
sia :  non  sarebbe  stata  la  voglia  loro  mag- 
giore che  la  voglia  di  lui  jd  impedire  che 
ciò  avvenisse,  Se  il  cons.  ecc. 


366 


ORLANDO  FURIOSO 


44  [ricordi 

Con  prieghi  il  Re  Agramante  e  buon 
Fa  quanto  può,  perché  la  pace  segua; 
E  quando  al  fin  tutti  li  vede  sordi 
Non  volere  assentire  a  pace  o  a  triegua, 
Va  discorrendo  come  almen  gli  accordi 
8i,  che  l'un  dopo  l'altro  il  campo  assegua; 
E  pel  miglior  partito  al  fin  gli  occorre 
Ch'ognuno  a  sorte  il  campo  s'abbia  a  tórre. 
45 

Fé'  quattro  brevi  porre  :  un  Mandricardo 
E  Rodomonte  insieme  scritto  avea; 
Ne  l'altro  era  Ruggiero  e  Mandricardo  ; 
Rodomonte  e  Ruggier  l'altro  dlcea  : 
Dicea  l'altro  Marfisa  e  Mandricardo. 
Indi  all'arbitrio  de  l'instabìl  Dea 
Li  fece  trarre:  e  '1  primo  fu  il  Signore 
Di  Sarza  a  uscir  con  Mandricardo  fuore. 
46 

Mandricardo  e  Ruggier  fu  nel  secondo; 
Nel  terzo  fu  Ruggiero  e  Rodomonte  ; 
Restò  Marfisa  e  Mandricardo  in  fondo; 
Di  che  la  donna  ebbe  turbata  fronte. 
Né  Ruggier  più  di  lei  parve  giocondo: 
Sa  che  le  forze  dei  duo  primi  pronte 
Han  tra  lor  da  finir  le  liti  in  guisa, 
Che  non  ne  fia  per  sé,  né  per  Marfisa. 
47 

Giacca  non  lungi  da  Parigi  un  loco, 
Che  volgea  un  miglio  0  poco  meno  intorno: 
Lo  cingea  tutto  un  argine  non  poco 
Sublime,  a  guisa  d'un  teatro  adorno. 
Un  Castel  già  vi  fu;  ma  a  ferro  e  a  fuoco 


44.  1.  ricordi,  avvertimenti.  V.  e.  xxvi, 
113,  n.  3. 

—  5.  discorrendo,  discorrendo  nel  suo  pen- 
siero. 

—  6.  assegna,  consegua,  ottenga  (lat.  as- 
sequi).  È  poco  usato  anche  presso  gli  anti- 
chi. 

—  7.  gli  occorre;  gli  viene  in  mente.  È  il 
lat.  occurrere;  che  è  passato  nella  nostra 
letteratura  fin  dal  Trecento.  Boccaccio  , 
Nov.  4:  «  occorrergli  una  nuova  malizia  ». 

45.  1.  brevi;  piccole  strisce  di  carta  o 
pergamena  con  sopra  un'iscrizione.  —  porre; 
s^ottintendi  :  in  un'urna. 

—  6.  de  l'inst.  Dea,  della  Fortuna. 

46.  1.  nel  secondo,  breve.  Avverti  l'ana- 
coluto. Sopra  ha  detto  il  jn-imo  a  uscire 
fu  Rodomonte  ecc.;  qui  continua:  nel  se- 
condo breve  fu  Mandr.  ecc. 

—  6.  pronte  ;  già  pronte  per  combattere. 

—  7.  Han  da  fin.  finiranno.  V.  e.  xv,  35,  n.  2. 

—  8.  non  ne  fla;  non  ve  ne  sarà,  non  ve 
ne  resterà;  non  vi  resterà  lite  per  sé,  per- 
ché saran  morti  gli  avversari. 

47.  4.  teatro  adorno,  bel  treatro.  V.  e.  vili, 
4,  6;  e  X,  60,  n.  6. 


Le  mura  e  i  tetti  et  a  ruina  andorno. 
Un  simil  può  vederne  in  su  la  strada, 
Qual  volta  a  Borgo  il  Parmigiano  vada. 
48 
In  questo  loco  fu  la  lizza  fatta. 
Di  brevi  legni  d'ognintorno  chiusa, 
Per  giusto  spazio  quadra,  al  bisogno  atta. 
Con  due  capaci  porte,  come  s'usa. 
Giunto  il  di  ch'ai  Re  par  che  si  combatta 
Tra  i  cavallier  che  non  ricercan  scusa. 
Furo  appresso  alle  sbarre  in  ambi  i  lati 
Centra  i  rastrelli  i  padìglion  tirati. 


—  6.  andorno;  andarono.  È  forma  popo- 
lare derivata  dalla  terza  pers.  pres.  andò, 
andorono,  andorno. 

—  7.  un  simil,  Castel  Guelfo,  che  si  vede 
ancora  sulla  strada  da  Parma  a  Borgo  S. 
Donnino. 

48.  1.  lizza  (si  danno  etimologie  diverse, 
ma  quella  dal  lat.  (iciam,  licia,  licci,  corde, 
è  la  più  probabile;  come  appare  anche  dalla 
forma  antica  Uccia.  E  sarebbe  derivato  dal- 
l'uso di  cingere  lo  spazio  con  corde  o  funi). 
La  lizza  era  uno  spazio  quadrato  o  rettan- 
golare, e  talvolta  anche  poligonare,  chiuso 
da  un  recinto  formato  di  pali  o  di  corde 
fermate  a  pali,  o  di  tavole,  o  di  tela  alta 
poco  più  d'un  metro.  Al  di  fuori  spesso  c'era 
anche  una  fossa.  A  levante  e  a  ponente  v'e- 
rano due  ingressi  chiusi  con  sbarre;  e  non 
lontano  da  questi  ingressi  o  porte  si  alza- 
vano i  due  padiglioni  per  i  due  combattenti 
e  il  loro  seguito.  Agli  altri  lati,  dalla  parte 
esterna  del  recinto,  si  alzavano  altri  padi- 
glioni per  il  signore  del  campo,  le  autorità, 
le  dame  ecc.  Il  popolo  stava  confusamente 
attorno  al  recinto. 

—  2.  Di  brevi  legni;  Era  dunque  chiusa 
con  brevi  tavole  messe  pel  dritto  a  guisa 
di  pali  confitti. 

—  3.  Per  giusto  sp.  q.  ;  era  un  quadrato 
di  giusta,  conveniente  misura.  Cosi  nel  e. 
XIII,  37,  dice  una  mensa  spaziosa  in  qua- 
dro. 

—  5.  al  Re  par  ecc.  In  questo  e  nei  se- 
guenti versi  si  accenna  alle  usanze  dei 
duelli  del  Cinquecento.  Il  giorno  del  com- 
battimento era  stabilito  per  lo  più  dal  Si- 
gnore del  campo,  che  però  talvolta  ne  la- 
sciava la  scelta  ai  combattenti. 

—  6.  che  non  r.  scusa.  Ai  tempi  dell'Ario- 
sto era  invalsa  tra  i  cavalieri  la  pessima 
usanza  di  cercare  eccezioni  per  tirare  in 
lungo  le  trattative  e  sfuggire  al  duello. 

—  8.  Centra  i  rastr.  I  padiglioni  dei  due 
combattenti  si  alzavano  non  lontano  dalle 
porte,  che  avevano  per  sbarre  o  ripari  dei 
rastrelli  o  cancelli,  fatti,  come  comunemen- 
te,oggi  giorno.—  tirati,  tesi;  che  erano  di 
tela. 


CANTO  XXVII 


367 


49 
Nel  padiglion  eh'  è  più  verso  Ponente 
Sta  il  Ee  d'Algier,c'ha  membra  di  gigante. 
Gli  pou  lo  scoglio  in  dosso  del  serpente 
L'ardito  Ferraù  con  Sacripante. 
Il  Ke  Gradasso  e  Falsiron  possente 
Sono  in  quell'altro  al  latp  di  Levante, 
E  metton  di  sua  man  l'arme  Troiane 
In  dosso  al  successor  del  Re  Agricane. 

50 
Sedeva  in  tribunale  ampio  e  sublime 
Il  Re  d'Africa,  e  seco  era  l'Ispano; 
Poi  Stordilano,  e  l'altre  genti  prime 
Che  riveria  l'esercito  Pagano. 
Beato  a  chi  pòn  dare  argini  e  cime 
D'arbori  stanza  che  gli  alzi  dal  piano! 
Grande  è  la  calca,  e  grande  in  ogni  lato 
Popolo  ondeggia  intorno  al  gran  steccato. 

51 
Eran  con  la  Regina  di  Castiglia 
Regine  e  Principesse  e  nobil  donne 
D'Aragon,  di  Granata  e  di  Siviglia, 
E  fin  di  presso  all'Atlantee  colonne: 
Tra  quai  di  Stordilan  sedea  la  figlia 
Che  di  duo  drappi  avea  le  ricche  gonne; 
L'un  d'un  rosso  mal  tinto,  e  l'altro  verde; 
Ma  '1  primo  quasi  imbianca  e  il  color  perde. 

52 
In  abito  succinta  era  Marfisa,         ^ 
Qual  si  convenne  a  donna  et  a  guerriera. 
Termoodonte  forse  a  quella  guisa 
Vide  Ippolita  ornarsi  e  la  sua  situerà. 
Già,  con  la  cotta  d'arme  alla  divisa 


49.  1.  ch'è  pili  T.  Poh.,  che,  rispetto  al- 
raltro,  è  più  verso  ponente.  Potrebbe  an- 
che, per  il  senso,  omettersi  il  più. 

—  3.  lo  scoglio.  Per  la  forma  scoglio  cfr. 
e.  XVII,  11,  n.  5.  Per  la  scaglia  del  serp. 
cfr.  e.  XIV,  118,  2. 

51.  5.  Tra  quai,  tra  le  quali.  Per  l'omis- 
sione dell'artic.  cfr.  e.  ii,  15,  n.  8. 

—  7.  rosso  mal  tinto.  È  evidente  l'allego- 
ria in  questo  verso  e  nel  seg.  :  «  rosso  mal 
tinto  e' che  quasi  imbianca,  significa  ardore 
amoroso,  che  portava  già  a  Rodomonte, 
quasi  estinto  ;  l'altro  verde  significa  amor 
vivo  che  portava  a  Mandricardo  »  (Tosca- 
nella). 

52.  2.  si  convenne;  si  conveniva.  È  il  per- 
fetto storico  latino  passato  assai  per  tempo 
nella  nostra  lingua. 

—  3.  Termoodonte  o  Termodonte  (  oggi 
Termeh)  è  fiume  del  Ponto  (Asia  minore), 
che  sbocca  nel  mar  Nero.  Dice  la  favola 
che  sulle  sue  rive  nella  città  di  Temiscyra 
abitassero  le  Amazzoni,  la  cui  regina  era 
Ippolita. 

—  5.  cotta  d'arme.  Nome  che  servi  a  in- 
dicare specialmente  quella  sopravveste,  di 
seta  o  altra  stoffa,  usata  dagli  araldi.  Era 


j  Del  Re  Agramante,  in  campo  veuut'era 
I  L'araldo  a  far  divieto  e  metter  leggi, 
i  Che  né  in  fatto  né  in  detto  alcun  parteggi. 

.53 
!      La  spessa  turba  aspetta  disiando 
La  pugna,  e  spesso  incolpa  il  venir  tardo 
Dei  duo  famosi  cavallieri;  quando 
I  S'ode  dal  padiglion  di  Mandricardo 
Alto  rumor  che  vien  moltiplicando. 
I  Or  sappiate,  Signor,  che  '1  Re  gagliardo 
I  Di  Sericana  e  '1  Tartaro  possente 
I  Fanno  il  tumulto  e  '1  grido  che  si  sente. 
i  54 

i     Avendo  armato  il  Re  di  Sericana, 
Di  sua  man  tutto  il  Re  di  Tartaria, 
Per  porgli  a  fianco  la  spada  soprana 
Che  già  d'Orlando  fu,  se  ne  venia; 
Quando  nel  pome  scritto, Durindana, 
Vide,  e  '1  quartier  ch'Almonte  aver  solia, 
Ch'a  quel  meschin  fu  tolto  ad  una  fon'te 
Dal  giovenetto  Orlando  in  Aspramonte. 
55 
Vedendola,  fu  certo  ch'era  quella 
Tanto  famosa  del  signor  d'Anglante, 
Per  cui  con  grande  armata,  e  la  più  bella 


della  forma  della  sopravveste  adoprata  dai 
cavalieri  e  che  andò  in  disuso  nel  sec.  xv, 
rimanendo  soltanto  agli  araldi  con  questo 
nome  di  cotta  d'a.  (Il  Kiuge  lo  deriva  dal- 
l'antico  alto  tedesco  cozo;  medio  alt.  ted. 
kutte,  grosso  e  rozzo  mantello  di  lana). 
Quella  dei  cavalieri  è  chiamata  sempre  dnl- 
l'A.  sopravveste.  —  alla  divisa;  con  la  di- 
visa, con  r  insegna.  A  per  con  in  simili 
locuzioni  è  detto  modo  francese  e  non  lo- 
devole nella  nostra  lingua.  L'A.  e  altri  (V. 
e.  XVI,  4S,  8)  usarono  non  di  rado  a  per 
con;  ma  qual  complemento  di  verbi,  non 
di  uomi,  come  qui  e  come  1'  usano  i  fran- 
cesi. 

—  7.  a  far  divieto,  ecc.  Si  accenna  ai  ban- 
di, che  l'araldo  faceva  ai  quattro  lati  della 
lizza;  bandi,  che  ingiungevano  di  far  silen- 
zio, di  non  far  parole  o  atti,  che  significas- 
sero approvazione  o  disapprovazione,  e  ri- 
cordavano le  pene  gravissime  per  i  contrav- 
ventori. 

54.  3.  soprana,  sovrana,  eccellente. 

—  4.  Se  ne  venia,  dal  luogo,  dove  era  ap- 
pesa, per  recarla  a  Mandr.,  che  stava  in 
mezzo  al  padiglione  armandosi. 

—  6.  quartier.  Propriamente  l'ovato  d'uno 
scudo  diviso  in  quattro  parti,  dove  si  dipin- 
gevano le  armi,  le  insegne:  poi,  come  qui, 
la  stessa  insegna.  Gradasso  dunque  vede,  nel 
pomo  della  spada,  dipinta  anche  l'insegna 
d'Orlando,  cioè  i  colori  bianco  e  rosso,  che 
egli  assunse  dopo  ucciso  Almonte  (V.  e.  i, 
28,  n.  5). 

55.  3.  Per  cui  ecc.  Questa  spedizione   di 


368 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  già  mai  si  partisse  di  Levante, 
Soffgiofjato  avea  il  regno  di  Castella, 
E  Francia  vinta  esso  pochi  anni  inante  : 
Ma  non  può  imaginarsi,  come  avvenga 
Ch'or  Mandricardo  in  suo  poter  la  tenga. 
56 

E  dimandògli  se  per  forza  o  patto 
L'avesse  tolta  al  Conte,  e  dove  e  quando. 
E  Mandricardo  disse  ch'avea  fatto 
Gran  battaglia  per  essa  con  Orlando; 
E  come  fìnto  quel  s'era  poi  matto. 
Cosi  coprire  il  suo  timor  sperando, 
Ch'era  d'aver  continua  guerra  meco, 
Fin  che  la  buona  spada  avesse  seco. 
57 

E  dicea  ch'imitato  avea  il  Castore, 
Il  qual  si  strappa  i  genitali  sui, 
Vedendosi  alle  spalle  il  cacciatore. 
Che  sa  che  non  ricerca  altro  da  lui. 
Gradasso  non  udi  tutto  il  tenore, 
Che  disse:  Non  vo'  darla  a  te  né  altrui. 
Tanto  oro,  tanto  affanno  e  tanta  gente 
Ci  ho  speso,  che  è  ben  mia  debitamente. 
58 

Cercati  pur  fornir  d'un'altra  spada; 
Ch'io  voglio  questa,  e  non  ti  paia  nuovo. 
Pazzo  0  saggio  ch'Orlando  se  ne  vada. 
Averla  intendo,  ovunque  io  la  ritrovo. 
Tu  senza  testimoni  in  su  la  strada 


Gradasso  per  conquistare  Durlindana  forma 
il  contenuto  epico  principale  della  r  parte 
dell'Ori.  Innamorato.  (V.  e.  I,  i,  23). 

—  5.  Castella,  Casliglia.  Detto  per  tutta 
la  Spagna  come  nel  e.  ii,  63. 

56.  4.  Gran  battaglia  ecc.  V.  e.  xxin,  SI, 
segg. 

—  7.  Ch'  era  ecc.  ;  il  quale  era  il  timore 
d'  aver,  ecc.  —  Nota  il  trapasso  al  discorso 
diretto. 

57.  1.  il  Castore  ecc.  Molti  antichi  credet- 
tero ciò,  alcuni  lo  negarono  (V.  Plinio,  S. 
N.  32,  3).  I  genitali  del  castoro  erano  ricer- 
cati, per  una  sostanza  medicinale  detta  ca- 
sto reo. 

—  5.  non  odi...  che;  non  aveva  udito.... 
quando.  Che  per  quando  è  frequente  nella 
nostra  lingua  (cfr.  e.  xxiii,  70,  8;  93,  8).  Il 
passato  remoto  invece  del  ti-ap.  prossimo 
vuole  indicare  il  passaggio  immediato  dal- 
l'udire al  dire. 

—  8.  Ci;  per  essa.  Generalmente  il  ci  in 
questa  locuzione  vale  in  queUa  cosa;  ma 
per  un  facile  trapasso  si  adopra  anche  in 
senso  causale.  Cosi  un  padre  potrà  dire  d'un 
podere,  che  non  dà  frutto,  e  d'un  figlio,  che 
non  profitta  negli  studi:  eppure  et  spendo 
tanti  danari. 

58.  1.  Cercati...  fornir;  cerca  fornirti.  V. 
e.  I,  47,  n.  6. 

—  2.  nuovo,  strano,  senza  ragione.  Si  usa 
ancora  comunemente. 


Te  l'usurpasti:  io  qui  lite  ne  muovo. 
La  mia  ragion  dirà  mia  scimitarra; 
E  faremo  il  giudicio  ne  la  sbarra. 

59 
Prima,  di  guadagnarla  t'apparecchia, 
Che  tu  l'adopri  coutra  a  Rodomonte. 
Di  comprar  prima  l'arme  è  usanza  vecchia. 
Ch'alia  battaglia  il  cavallier  s'affronte. 
Più  dolce  suon  non  mi  viene  all'orecchia 
(Rispose  alzando  il  Tartaro  la  fronte). 
Che  quando  di  battaglia  alcun  mi  tenta; 
Ma  fa  che  Rodomonte  lo  consenta. 

60 
Fa  che  sia  tua  la  prima,  e  che  si  tolga 
Il  Re  di  Sarza  la  tenzon  seconda; 
E  non  ti  dubitar  ch'io  non  mi  volga, 
E  ch'a  te  et  ad  ogni  altro  io  non  risponda. 
Ruggier  gridò:  Non  vo'  che  si  disciolga 
Il  patto,  0  più  la  sorte  si  confonda: 
0  Rodomonte  in  campo  prima  saglia, 
0  sia  la  sua  dopo  la  mia  battaglia. 

(51 
Se  di  Gradasso  la  ragion  prevale, 
Prima  acquistar  che  porre  in  opra  l'arme; 
Né  tu  l'aquila  mia  da  le  bianche  ale 
Prima  usar  dei,  che  non  me  ne  disarme  : 
Ma  poi  eh'  è  stato  il  mio  voler  già  tale, 
Di  mia  sentenza  non  voglio  appellarme, 
Che  sia  seconda  la  battaglia  mia, 
Quando  del  Re  d'Algier  la  prima  sia. 

62 
Se  turbarete  voi  l'ordine  in  parte, 
Io  totalmente  turbarono  ancora. 


—  7.  scimitarra  (etimol.  incerta);  sciabola 
corta  e  curva  verso  la  costola;  più  propria 
degli  orientali. 

—  8.  sbarra;  Qui,  per  sineddoche,  l' inte- 
ro steccato,  chiuso  agli  ingressi  con  le 
sbarre. 

59.  1.  Prima  ecc.;  prima  che  tu  l'adopri 
contra  Rod.,  apparecchiati  di  guadagn.  — 
Apparecchiarsi  si  costruisce  con  a  con  di  e 
anche  con  l' infin.  senza  preposizione. 

60.  3.  non  mi  volga;  sottint.  contro  di  te. 

—  6.  0  p.  la  s.  si  conf.  ;  o  si  mescolino  e 
confondano  ancora  più,  di  quanto  vorreste 
far  voi,  le  deliberazioni  della  sorte;  cioè 
Rod.  passi  terzo;  non  volendolo  rinunzia- 
re ad  essere  il  secondo. 

—  7.  saglia  (lat.  .lalio);  salti.  Salire  in- 
dicò talvolta  un  moto  impetuoso  in  giù  o 
contro;  V.  e.  viti,  48;  xix,  56. 

61.  2.  Prima  acq.  ecc.  È  questo  denunziato 
dell'  argomento  addotto  da  Gradasso  nella 
st.  59,  3-4. 

—  3.  He;  neppur.  V.  e.  ir,  41,  n.  4.  ^ 

—  7.  Che  aia  s.  È  dichiarazione  di  senten- 
za: di  mia  sentenza,  la  quale  fu  che  sia  sec. 
la  b.  mia. 

62.  1.  turbarete.  V.  e.  ili,  2,  n.  6. 


! 


CANTO  XXVII 


369 


Io  non  intendo  il  mio  scudo  lasciarte, 
Se  contra  me  non  lo  combatti  or  ora. 
Se  l'uno  e  l'altro  di  voi  fosse  Marte 
(Rispose  Mandricardo  irato  allora). 
Non  saria  l'un  né  l'altro  atto  a  vietarme 
La  buona  spada  o  quelle  nobili  arme. 
63 
E  tratto  da  la  colera,  avventosse 
Col  pugno  chiuso  al  Re  di  Sericana; 
E  la  man  destra  in  modo  gli  percosse 
Ch'abandonar  gli  fece  Durindana.      ' 
Gradasso,  non  credendo  ch'egli  fosse 
Di  cosi  folle  audacia  e  cosi  insana, 
Colto  improviso  fu  che  stava  a  bada, 
E  tolta  si  trovò  la  buona  spada. 
64 
Cosi  scornato,  di  vergogna  e  d'ira 
Nel  VISO  avvampa,  e  par  che  getti  fuoco  : 
E  più  1  afflige  il  caso  e  lo  martira, 
Poi  che  gli  accade  in  si  palese  loco. 
Bramoso  di  vendetta  si  ritira, 
A  trar  la  scimitarra,  a  dietro  un  poco. 
Mandricardo  in  sé  tanto  si  confida, 
Che  Ruggiero  anco  alla  battaglia  sfida. 
65 
Venite  pure  inanzi  amenduo  insieme, 
E  vengane  pel  terzo  Rodomonte, 
Africa  e  Spagna  e  tutto  l'uman  seme  ; 
Ch  10  sonpersempre  mai  volger  lafronte. 
Cosi  dicendo,  quel  che  nulla  teme,  I 

Mena  d'intorno  la  spada  d'Almonte;  i 

Eo  scudo  imbraccia,  disdegnoso  e  fiero      ^ 


—  4.  lo  combatti,  lo  contrasti,  lo  conten- 
di. Combattere  in  questo  senso  è  frequente 
negli  antichi;  ma  più  col  costrutto:  com- 
battere una  cosa  con  uno. 

—  7.  vietarme;  togliermi:  come  il  Pe- 
trarca, IV,  son.  20.  «  Chi  'nnanzi  tempo  mi 
t  asconde  e  vieta?  ». 

—  8.  o  quelle  nob.  arme  ;  o  le  armi  con 
1  insegna  uguale  a  quella  di  Ruggero. 

63.  7.  che  stava  a  bada;  poiché  (V.  e  iii 
6,  6)  stava  spensieratamente;  non  attento  a 
difendersi;  per  ciò  fu  colto  sprovveduto  ^V 
e.  VI,  53,  3).  \  ■ 

64.  3.  afflige  I  È  forma  più  vicina  al  latino 

affligit. 

—  4.  in  81  palese  loco.  Gli  accade  nel  pa- 
dighone;  ma  questo,  essendo  aperto,  aveva 
forse  dintorno  una  folla  di  curiosi,  o  pure 
intendi:  ciò  gli  accade  davanti  a  Ruggero 
e  alle  molte  persone  del  seguito.  È  prefe- 
ribile questa  interpretazione. 

—  7.  si  confida.  Confidarsi  in  sé  o  in 
uno  per  aver  fiducia,  si  usa  egualmente 
che  il  semplice  confidare. 

65.  4.  p.  s.  m.  volger  la  fr.;  io  son  per  vol- 
gere, volgerò  sempre  la  fronte  ai  miei  av- 
versari. 

Abiosto  —  Papini 


Contra  Gradasso  e  contra  ilbuonRuggie- 

T       •    ,  '''^  ["•(>• 

Eascia  la  cura  a  me  (dicea  Gradasso) 
Ch  IO  guarisca  costui  de  la  pazzia. 
Per  Dio  (dicea  Ruggier)  non  te  la  lasso: 
cu  esser  convien  questa  battaglia  mia. 
Va  indietro  tu;  vavvi  pur  tu:  né  passo 
l^ero  tornando,  gridan  tuttavia; 
Et  attaccossi  la  battaglia  in  terzo. 
Et  era  per  uscire  un  strano  scherzo, 
67 
Se  molti  non  si  fossero  interposti 
A  quel  furor,  non  con  troppo  consiglio; 
Ch  a  spese  lor  quasi  imparar  che  costi 
Voler  altri  salvar  con  suo  perielio 
Ne  tutto  I  mondo  mai  gli  avria  composti 
he  non  venia  col  Re  d'Ispagna  il  figlio 
De  tamoso  Troiano,  al  cui  conspetto 
iutti  ebbon  nverenzia  e  gran  rispetto. 

Si  fé'  Agraniante  la  cagione  esporre 
Di  questa  nuova  lite  cosi  ardente  • 
Poi  molto  afl^aticossi  per  disporre" 
t.he  per  quella  giornata  solamente 
A  Mandricardo  la  spada  d'Ettorre 
Concedesse  Gradasso  umanamente 
lauto  eh  avesse  fin  l'aspra  contesa 
Oh  avea  già  incontra  a  Rodomonte  presa 
69 

Mentre  studia  placarli  il  Re  Agraraaute 
Et  or  con  questo  et  or  con  quel  ragiona; 
Da  1  altro  padiglion  tra  Sacripante 
fi  ^S'^^omonte  un'altra  lite  suona. 
Il  Re  Circasso,  come  è  detto  inante 
Stava  di  Rodomonte  alla  persona- 


66.  4.  esser  convien;  convien  che  sia.  V. 
e.  I,  48,  n.  4. 
I       -  5.  pur;  É  semplice  rinforzativi   che 
I  vale  11  quidem,  sa7ie  dei  Latini.  Cosi  non 
I  di  rado  l'usarono  gli  scrittori. 
1       —  6.  passo  tornando.   Tornare   (il  piede 
I  11  passo)   è    usato    transitivam.    come    più 
I  avanti  nella  st.  82,  2.  Cosi  l'Alamanni  Coltiv 
j  3,  74  :  .  Già  (l'agricoltore)  torna  il  passo    e 
con  più  larga  spene.  Al  mandorlo  gioco n- 
;  do  ». 

i  —  7.  in  terzo;  in  tre.  Dicesi  di  qualunque 
azione,  dove  intervengono  in  tre.  Firenzuo- 
la, Lue.  4,  6:  «per  combattere  in  terzo» 

67.  3.  quasi.  Vuol  dire  che  mancò  poco 
non  si  attirassero  addosso  il  furore  dei  tre 
guerrieri. 

68.  6.  umanamente,  cortesemente  (lat.  hu- 
mane). 

—  8.  presa,  intrapresa,  incominciata  V 
e.  IV,  57,  n.  4. 

69.  6.  Stava ...  alla  pers.  ;  stava  attorno 
alla  persona;  cioè  vestiva  di  armi  Rod.. 

2t 


170 


ORLANDO  FURIOSO 


Et  egli  e  Ferraù  gli  aveano  indotte 
L'arme  del  suo  progenitor  Nembrotte. 
70 
Et  eran  poi  venuti  ove  il  destriero 
Facea,  mordendo,  il  ricco  fren  spumoso; 

10  dico  il  buon  Frontin,  per  cui  Ruggiero 
Stava  iracondo  e  più  che  mai  sdegnoso. 
Sacripante  ch'a  por  tal  cavalliero 

In  campo  avea,  mirava  curioso, 

Se  ben  ferrato  e  ben  guernito  e  in  punto 

Era  il  destrier,  come  doveasi  a  punto. 

71 
E  venendo  a  guardargli  più  a  minuto 
I  segni,  le  fattezze  isnelle  et  atte, 
Ebbe,  fuor  d'ogni  dubbio,  conosciuto 
Che  questo  era  il  destrier  suo  Frontalatte, 
Che  tanto  caro  già  s'avea  tenuto. 
Per  cui  giù  avea  mille  querele  fatte; 
E  poi  che  gli  fu  tolto,  un  tempo  volse 
Sempre  ire  a  piedi  :  in  modo  gliene  dolse. 

72 
Inanzì  Albracca  gli  l'avea  Brunello 
Tolto  di  sotto  quel  medesmo  giorno 
Ch'ad  Angelica  ancor  tolse  Tannello, 
Al  conte  Orlando  Balisarda  e  '1  corno, 
E  la  spada  a  Marfisa  :  et  avea  quello, 
Dopo  che  fece  in  Africa  ritorno, 
Con  Balisarda  insieme  a  Ruggier  dato, 

11  qual  l'avea  Frontin  poi  nominato. 

73 
Quando  conobbe  non  si  apporre  in  fallo. 
Disse  il  Circasso,  al  Re  d'Algier  rivolto  : 
Sappi,  Signor,  che  questo  è  mio  cavallo, 
Ch'ad  Albracca  di  furto  mi  fu  tolto. 
Bene  avrei  testimoni  da  provallo  : 
Ma  perché  son  da  noi  lontani  molto, 
S'alcun  lo  niega,  io  gli  vo'  sostenere 
Con  l'arme  in  man  le  mie  parole  vere. 


—  7.  av.  indotte,  vestite.  Dal  latino  indu- 
cere, che  si  usò  talvolta  anche  per  indìiere, 
vestire. 

—  8.  L'arme  ecc.  V.  0.  xiv,  118. 

70.  5,  che  a  por  ecc.  Era  dunque  il  pa- 
drino, come  lo  chiamavauo  anche  gli  anti- 
chi, e  perciò  faceva  queste  osservazioni  di 
rito  (come  doveasi  a  punto). 

—  6.  curioso,  diligente,  attento.  Fu  più 
spesso  dagli  antichi  usato  in  costrutto:  cu- 
rioso di  metiare  a  fine  e  simili. 

71.  2.  atte';  agili.  V.  e.  vi,  61,  n.  6. 

—  4.  Frontalatte.  Vedine  la  storia  al  e. 

IV,  46,  n.  1. 

—  7.  un  tempo,  per  qualche  tempo. 

—  8.  in  modo,  tanto,  in  tal  modo  gliene 
dolse.  Cosi  anche  al  e.  xxxvx,  58,  4. 

72.  1-8.  Per  queste  storie  cfr.  Innam,  II, 

V,  33-41;  XI,  G,  15,  48,  56;  XXI,  52. 

73.  5.  provano,  provarlo.  V.  C.  Il,  3,  n.  4. 

—  8.  Tere;  è  predicato:    sostener  vere. 


74 

Ben  son  contento,  per  la  compagnia 
In  questi  pochi  di  stata  fra  noi, 
Che  prestato  il  cavallo  oggi  ti  sia; 
Ch'io  veggo  ben  che  senza  far  non  puoi; 
Però  con  patto,  se  per  cosa  mia 
E  prestata  da  me  conoscer  vuoi: 
Altrimente  d'averlo  non  far  stima, 
0  se  non  lo  combatti  meco  prima. 
75 

Rodomonte,  del  quale  un  più  orgoglioso 
Non  ebbe  mai  tutto  il  mestier  de  l'arme; 
Al  quale  in  esser  forte  e  coraggioso 
Alcuno  antico  d'uguagliar  non  parme. 
Rispose:  Sacripante,  ogu'altro  ch'oso, 
Fuor  che  tu,  fosse  in  tal  modo  a  parlarme. 
Con  suo  mal  si  saria  tosto  avveduto 
Che  meglio  era  per  lui  di  nascer  muto. 
76 

Ma  per  la  compagnia  che,  come  hai  detto, 
Novellamente  insieme  abbiamo  presa, 
Ti  son  contento  aver  tanto  rispetto, 
Ch'  io  t'ammonisca  a  tardar  questa impre- 
Fin  che  de  la  battaglia  veggi  effetto,  [sa, 
Che  fra  il  Tartaro  e  me  tosto  fìa  accesa; 
Dove  pòrti  un  esempio  inanzi  spero. 


74.  5.  con  patto  se;  con  questo  patto:  se 
cioè  vuoi  riconoscerlo  per  cosa  mia. 

—  7.  Altrimente  ecc.  ;  Non  fare  stima 
d'averlo  in  altro  modo  (cioè;  senza  questo 
patto)  o  se  non  Io  conquisti  (o  senza  com- 
battere). Certo  la  chiarezza  guadagnerebbe 
senza  1'  o. 

—  8.  lo  combatti.  V.  st.  62,  n.  4. 

76.  1.  un  pili  orgogl.  Nelle  edizioni  del  1516 
e  del  1521  si  legge  il  più  orgoglioso.  Questo 
luogo  illustra  quei  molti,  dove  si  ha  Tarti- 
colo  determiii.  invece  dell'indetermin. 

—  4.  d'ugagliar,  da  ug.  V.  e.  v,  10,  5. 

—  5.  oso...  fosse...  a  pari.;  osasse  parlar- 
mi. Nota  lo  stacco  forzato.  Il  costrutto  es- 
sere oso  a  è  ugualmente  usato  come  essere 
oso  di  o  senza  preposizione. 

—  S.  meglio  era  ...  di.  Per  il  costrutto 
cfr.  e.  XI,  47,  n.  1. 

76.  2.  abbiamo  presa.  Prender  compagnia^ 
con  uno  vale  farsi  compagno  di  uno;  ma 
i  vocabolari  non  citano  questa  locuzione. 
—  Novellamente;  poco  fa.  V.  e.  vii,  18,  n.  1. 

—  3.  Ti  son  e.  av.;  son  contento  averti, 
voglio  averti.  Villani,  7,  48:  «  I  nobili  furon 
contenti  di  lasciargli  al  detto  pericolo  ».  Per 
lo  spostamento  del  pronome  cfr.  e.  i,  47,  n.  6. 

—  4.  t' amm.  a  tard.  Più  comunemente  si 
dice  ammonire  uno  di  fare  qualcosa  o 
che  o  perché  faccia. 

—  5.  veggi,  veggia,  vegga.  V.  e.  xv,  86, 
n.  5.  —  effetto,  l'effetto,  il  resultato.  Véla 
solita  omissione  dell'articolo.  V.  e.  xxx,  57. 

—  7.  porti...  inanzi,  mostrarti. 


CANTO  XX VII 


371 


Ch'avrai  di  grazia  a  dirmi:  Abbi  ildestrie- 

Gli  è  teco  cortesia  l'esser  villano 

(Disseil  Circasso  pien d'ira  e  di isdegno): 
Ma  pili  chiaro  ti  dico  ora  e  più  piano 

Che  tunonfacciainqueldestrierdisegno- 
Che  te  lo  difendo  io,  tanto  ch'in  mano     ' 
^nesta  vindice  mia  spada  sostegno- 
E  metteròvi  insino  l'ngna  e  il  dente, 
be  non  potrò  difenderlo  altrimente 
78 
Venner  da  le  parole  alle  contese, 
Al  gridi,  alle  minacele,  alla  battaglia, 
Che  per  molt'ira  in  più  fretta  s'accese, 
Che  s  accendesse  mai  per  fuoco  paglia. 
Kodomonte  ha  l'osbergo  et  ogni  arnese 
Sacripante  non  ha  piastra  né  maglia  •  '    ^ 
Ma  par  (SI  ben  con  lo  schermir  s'adop'ra)  I 
Che  tutto  con  la  spada  si  ricuopra.  i 

79 
Non  era  la  possanza  e  la  fierezza  j 

Di  Rodomonte,  ancor  ch'era  infinita,         j 
Più  che  la  providenza  e  la  destrezza. 
Con  che  sue  forze  Sacripante  aita.  I 

Non  voltò  ruota  mai  con  più  prestezza      I 
Il  macigno  sovran  che  '1  grano  trita,  ' 

Che  faccia  Sacripante  or  mano  or  piede 
Di  qua  di  là,  dove  il  bisogno  vede. 


:  E  cor- 


77.  1.  Gli  è  t.  Dante,  Inf.  33, 150  : 
tesia  fu  in  lui  esser  villano  ». 

—  3.  pili  piano;  più  semplice:  più  chia- 
ramente e  più  semplicemente. 

—  4.  faccia  in  q.  d.  d.  V.  e.  ix,  50,  n.  6. 

—  5.  te  lo  difendo,  te  lo  impedisco.  V  e 
XIV,  7,  n.  3,  e  n,  31,  n.  6,  o  anche  te  lo 
vieto,  te  lo  proibisco  come  nel  Villani,  x 
150:  «Tutti  i  drappi  di  seta  rilevati  furon 
tolti  e  difesi  (proibiti)...  e  sotto  furon  difese 
le  gonnelle  divisate  ».  —  tanto  che;  fin  tanto 
che.  È  comune  anche  in  prosa;  BocfAccio 
Nov.  73  :  «  tanto  die  noi  ci  abbattiamo  ad 
essa  ■». 

—  8.  difenderlo;  vietartelo,  impedirtelo 
Oppure  difendere  il  cavallo. 

78.  5.  arnese.  Significò  propriamente  quel- 
la parte  dell'armatura,  che  copriva  il  corpo 
al  di  sotto  della  corazza  (e.  xvu,  101,  7)- 
ma  anche  una  parte  qualunque  dell'  arma- 
tura, e  tutta  l'armatura,  come  qui. 

—  6.  non  ha  p.  n.  m.  Quando  i  cavalieri  \ 
non  erano  in  battaglia  né  in  viaggio,  depo- 
nevano l'armatura  più  pesante,  del  'busto, 
per  esser  più  liberi. 

79.  2.  ancor  ch'era;  ancorché  fosse.  V  e. 
v,  11,  n.  7. 

—  6.  11  mac.  sovran;  la  macina  che  sta  di 
sopra  e  gira  nel  piatto,  che  sta  fermo.  La 
ruota  è  il  ritrecine  o  il  rotoiie  spinto  dal- 
l'acqua, 0  qualunque  altra  ruota,  che  riceve 
e  imprime  il  movimento  alla  macina. 


'      Ma  Ferraù,  ma  Serpentino  arditi 
!  l^nf  p2"n  ""  'P,^'^?'  ^  ''  <=^<^ciàr  tra  loro, 
Do  rniuSf '■''e?''''  ''^  ^««"er  seguiti, 
Ua  molt  altri  Signor  del  popol  Moro. 
Questi  erano  1  romori  i  quali  uditi 
Nel  altro  padiglion  fur  da  costoro 
Quivi  per  accordar  venuti  in  vano 
Col  Tartaro  Ruggiero  e  '1  Sericano. 

1.  81 

Venne  chi  la  novella  al  Re  Agramante 
Riporto  certa,  come  pel  destriefo 
Avea  con  Rodomonte  Sacripante 
Incominciato  un  aspro  assalto  e  fiero 
ll.Re,  contuso  di  discordie  tante 
?ii'l^  ^'^'■«Ì.''«=  Abbi  tu  qui  pensiero 
Che  tra  questi  guerrier  non  sejua  peggio 
I  Mentre  all'altro  disordine  io  proveg|io 

!     Rodomonte,  che  '1  Re,  suo  Signor,  mira 
Frena  l'orgoglio,  e  tornk  indietro  il  pSso' 
Ne  con  minor  rispetto  si  ritira      ^' 
A  venird'Agramante  il  Re  Circasso. 
Quel  domanda  la  causa  di  tant'ira 
Con  real  viso  e  parlar  grave  e  basso: 
±;  cerca,  poi  che  n'ha  compreso  il  tutto, 
l'orli  d  accordo;  e  non  vi  fa>alcun  frutto 

83 

Ph'ai  R^'i'?,^'^  '^  "^"^^  destrier  non  vuole 
^^  ^ì    ^.  ^  ^  ?'^'*  P'"  lungamente  resti, 
fee  non  s  umilia  tanto  di  parole, 
cne  lo  venga  a  pregar  che  glie  lo  presti. 


so.  .,.  Questi  ecc.   Il   luogo,   su  cui  nes- 
sun commentatore  si  ferma,  non  è  chiaro. 
Questi  romori  può  riferirsi  ai  litigi  di  Ro- 
domonte e  di  Sacripante  e  costoro  s&t anno 
I  Grandonio,  Serpentino   e  Isol.  Ma  il  dire- 
I  questi  erano  i  romori  dopo  avere,  in  quat- 
tro versi,  descritto  il  trambusto  nato  dal- 
I  1  intromettersi  nella  lite  tanta  gente  invo- 
I  glierebbe  a  riferire,  i  romori  a  questo  tram- 
[  busto,   m  tal  caso  il  luogo  è  da  intendere 
I  cosi  :    questi  erano  i  romori,  che  nell'  altro 
padiglione  furono   uditi  da  coloro  (Agra- 
\  mante,  Marsiho  e  altri),  che  cercavano  in- 
,  vano  d'accordare  Mandricardo,  Ruggero  e 
I  Gradasso  (cfr.  st.  69),  E  poco  dopo  giunse 
chi  spiegò  la  ragione  di  questi  romori  (ri- 
porto certa  tiovella)  al  re  Agram.  Farebbe 
difficoltà  costoro   per  coloro,  di  che  non 
SI  citano  esempi  sicuri  ;   ma  è  poi  questo 
tale  ardimento  da   vietare   una  interpretai 
zione  cosi  confacente  al  contesto?  *. 

80.  8.  il  Sericano,  Gradasso  re  di  Sericana. 

81.  5.  di  disc.  È  causale:  jìer  disc.  Cosi 
nella  st.  9J,  6.  v.  e.  xiii,  33,  n.  3. 

82.  2.  torna  ind.  il  p.  V.  st.  66,  6. 

83.  4.  glie  lo.  È  uno  de'  pochissimi  luo- 
ghi, dove  l'A.  ha  corretto  il  gli  lo  delle  pri- 
me edizioni. 


372 


ORLANDO  FURIOSO 


Rodomonte,  superbo  come  suole, 
Gli  risponde:  Né  '1  ciel  né  tu  faresti 
Che  cosa  che  per  forza  aver  potessi, 
Da  altri,  che  da  me,  mai  conoscessi. 
84 

Il  Re  chiede  al  Circasso,  che  ragione 
Ha  nel  cavallo,  e  come  gli  fu  tolto  : 
E  quel  di  parte  in  parte  il  tutto  espone, 
Et  esponendo  s'arrossisce  in  volto, 
Quando  gli  narra  che  1  sottil  ladrone 
Ch'in  un  alto  pensier  l'aveva  colto, 
La  sella  su  quattro  aste  gli  suiìblse, 
E  di  sotto  il  destrier  nudo  gli  tolse. 
85 

Marfisa  che  tra  gli  altri  al  grido  venne, 
Tosto  che  '1  furto  del  cavallo  udì. 
In  viso  si  turbò;  che  le  sovvenne 
Che  perde  la  sua  spada  ella  quel  di: 
E  quel  destrier  che  parve  aver  le  penne 
Da  lei  fuggendo,  riconobbe  qui  : 
Riconobbe  anco  il  buon  Re  Sacripante, 
Che  non  avea  riconosciuto  inante. 
86 

Gli  altri  ch'erano  intorno,  e  che  vantarsi 
Brunel  di  questo  aveano  udito  spesso. 
Verso  lui  cominciaro  a  rivoltarsi, 
E  far  palesi  cenni  ch'era  desso; 
Marfisa,  sospettando,  ad  informarsi     [so. 
Da  questo  e  da  quell'altro  ch'avea  appres- 
Tanto  che  venne  a  ritrovar  che  quello 
Che  le  tolse  la  spada,  era  Brunello  : 
87 

E  seppe  che  pel  furto  onde  era  degno 
Che  gli  annodasse  il  collo  un  capestro  unto. 
Dal  Re  Agramante  al  Tingitano  regno 

—  7-S.  Che  cosa  ecc.  ;  Che  io  riconoscessi 
da  altri  che  da  me  una  cosa,  eh'  io  potessi 
avere  colla  forza  del  mio  braccio. 

84.  1.  che  rag.  ha  nel  e;  che  diritto  ha 
sul  cavallo.  Si  dice  anche  aver  ragione  ■■>o- 
pra  una  cosa. 

—  3.  di  parte  in  p.;  parte  per  parte.  Que- 
sta seconda  maniera  è  più  comune.  Nel  e. 
XXXI,  102,  si  ha  a  parte  a  parte. 

—  7.  La  sella  ecc.  Ciò  è  detto  nell'Innam. 
II,  v,  40;  ma  l'A.  introduce  la  variante  delle 
quattro  aste,  laddove  nell'  Innam.  è  un  tron- 
cone, che  Brunello  mette  sotto  l'arcione, 
mentre  Sacripante,  assorto  in  un  grave 
pensiero,  sembra  quasi  assopito  ;  e  non  si 
accorge  della  destrezza  del  ladro  che  quan- 
do si  trova  a  terra. 

85.  5.  quel  dest.  Frontino,  sul  quale  Bru- 
nello fuggi  con  la  spada  di  Marfisa.  Inn.  II, 
V,  42. 

86.  3.  Verso  Ini,  che  era  negli  argini  più 
alti,  st.  88,  8. 

—  5.  ad  informarsi  ;  Dipende  da  un  comin- 
ciò, che  deve  rilevarsi  dal  cominciaro  del 
V.  3.  Cosi  st.  107,  6  e  cosi  spesso  nell' A. 


Fu,  con  esempio  inusitato,  assunto. 
Marfisa,  rinfrescando  il  vecchio  sdegno, 
Disegnò  vendicarsene  a  quel  punto, 
E  punir  scherni  e  scorni  che  per  strada 
Fatti  l'avea  sopra  la  tolta  spada. 
88 

Dal  suo  scudier  l'elmo  allacciar  si  fece  ; 
Che  del  resto  de  l'arme  era  guernita. 
Senza  osbergo  io  non  trovo  che  mai  diece 
Volte  fosse  veduta  alla  sua  vita, 
Dal  giorno  eh' a  portarlo  assuefece 
La  sua  persona,  oltre  ogni  fede  ardita. 
Con  l'elmo  in  capo  andò  dove  fra  i  primi 
Brunel  sedea  negli  argini  sublimi.    , 
89 

Gli  diede  a  prima  giunta  ella  di  piglio 
In  mezzo  il  petto,  e  da  terra  levoUo, 
Come  levar  suol  col  falcato  artiglio 
Tal  volta  la  rapace  aquila  il  pollo; 
E  là  dove  la  lite  inanzi  al  figlio 
Era  del  Re  Troian,  cosi  portoUo. 
Brunel,  che  giunto  in  male  man  «i  vede. 
Pianger  non  cessa  e  domandar  mercede. 
90 

Sopra  tutti  i  rumor,  strepiti  e  gridi. 
Di  che  '1  campo  era  pien  quasi  ugualmen- 
Brunel,  ch'ora  pietade,  ora  sussidi       [te, 
Domandando  venia,  cosi  si  sente. 
Ch'ai  suono  di  ramarichi  e  di  stridi 
Si  fa  d'intorno  accòr  tutta  la  gente. 
Giunta  inanzi  al  Re  d'Africa  Marfisa, 
Con  viso  altier  gli  dice  in  questa  guisa: 


87.  6.  a  quel  punto,  in  quell'istante.  Modo 
non  citato  dai  vocab.  che  citano  il  modo 
simile  o  ogni  punto,  a  ogni  istante. 

—  7.  scherni  e  scorni.  Innam.  II,  x,  58,  60  : 
«  Lui  (Brunello)  la  beffava  ognor  con  grave 
scorno  »  «  intorno  giva  Beffando  con  pia 
scherni  la  regina  ».  Di  qui  il  bisticcio  Ario- 
stesco. 

—  8.  sopra,  oltre  averle  tolta  la  spada. 
BOCCACCIO,  Nov.  13:  «  e  molte  altre  (posses- 
sioni) comperar  sopra  quelle  ». 

88.  4.  alla  sua  yita;  V.  C.  XIX,  95,  n.  I.  Il 
Boiardo  (Innam.  I,  xvi,  69),  dice  che  avea 
giurato  a  Macone  «  Mai  non  spogliarse 
usbergo,  piastra  e  maglia  Siu  che  tre  re 
non  prenda  per  battaglia  ». 

—  8.  n.  argini  sublimi.  Nella  st.  47  ha  detto 
un  argine  sublime;  là  dice  in  generale  ; 
qui  mostra  in  particolare  le  diverse  parti 
dell'argine,  su  cui  sono  gli  spettatori,  come 
diremmo  di  un  teatro  moderno  la  gradi- 
nata e  le  gradinate,  la  loggia  e  le  logge 
con  lo  stesso  uso. 

89.  2.  In  mezzo  il  p.  V.  c.  vi,  23,  n.  8. 

—  8.  Pianger,  di  pianger.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

90.  2.  ugualmente,  dappertutto. 

—  6.  accòr,  accogliere,  raccogliere. 


CANTO  XXVII 


373 


91 

Io  voglio  questo  ladro  tuo  vassallo 
Con  le  mie  mani  impender  per  la  gola, 
Perché  il  giorno  medesmo  che  '1  cavallo 
A  costui  tolle,  a  me  la  spada  invola. 
Ma  s'egli  è  alcunché  voglia  dir  ch'io  fallo, 
Facciasi  inanzi,  e  dica  una  parola; 
Ch'in  tua  presenzia  gli  vo'  sostenere 
Che  se  ne  mente,  e  eh'  io  fo  il  mio  dovere. 
92 

Ma  perché  si  potria  forse  imputarme 
C'ho  atteso  a  farlo  in  mezzo  a  tante  liti. 
Mentre  che  questi,  più  famosi  in  arme. 
D'altre  querele  son  tutti  impediti; 
Tre  giorni  ad  impiccarlo  io  vo'  indugiar- 
In  tanto  o  vieni,  o  manda  chi  l'aiti;  [me. 
Che  dopo,  se  non  fla  chi  me  lo  vieti, 
Farò  di  lui  mille  uccellacci  lieti. 
93 

Di  qui  presso  a  tre  leghe  a  quella  torre 
Che  siede  inanzi  ad  un  piccol  boschetto, 
Senza  più  compagnia  mi  vado  a  porre. 
Che  d'una  mia  donzella  e  d'un  valletto. 
S'alcuno  ardisce  di  venirmi  a  torre 
Questo  ladron,  là  venga,  ch'io  l'aspetto. 
Cosi  disse  ella;  e  dove  disse,  prese 
Tosto  la  via,  né  più  risposta  attese. 
94 

Sul  collo  inanzi  del  destrier  si  pone 
Brune!,  che  tuttavia  tien  per  le  chiome. 
Piange  il  misero  e  grida,  e  le  persone. 
In  che  sperar  solia,  chiama  per  nome? 
Resta  Agramante  in  tal  confusione 
Di  questi  intrichi,  che  non  vede  come 
Poterli  sciorre;  e  gli  par  via  più  greve 
Che  Marfìsa  Brunel  cosi  gli  leve. 
95 

Non  che  l'apprezzi,  o  che  gli  porti  amore. 
Anzi  più  giorni  son  che  l'odia  molto, 
E  spesso  ha  d'impiccarlo  avuto  core, 
Dopo  che  gli  era  stato  l'annel  tolto. 
Ma  questo  atto  gli  par  contra  il  suo  onore, 


91.  4.  tolle...  invola.  Sono  presenti  storici, 
ma  più  chiaro  sarebbe  il  passato  remoto. 

—  5.  fallo,  erro:  da  fallare. 

—  8.  se  ne  mente.  V.  e.  il,  4,  u.  1. 

92.  4.  D'altre,  da  altre.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

93.  3.  s.  pili  comp.  ;  senf  altra  comp.  V. 
e.  XVII,  25,  n.  4.  Cosi  pure  nel  v.  8  di  que- 
sta st. 

94.  1.  Sul  e.  in.  Costruisci:  Si  pone  Br. 
inanzi,  sul  collo  del  dest. 

—  6.  Di  qnesti  intr.  ;  per  questi  intr.  Il  di 
causale  è  frequentissimo.  V.  e.  xiii,  33,  n.  3. 
Gli  intrighi  sono  le  contese  precedenti  e 
questa  di  Marflsa. 

—  7.  via  più,  vie  più,  molto  più  grave 
degli  stessi  intrighi. 

95.  4.  Dopo  che  ecc.  Gli  era  stato  tolto  da 
Bradamante:  e.  iv,  14. 


Si  che  n'avvampa  di  vergogna  in  volto. 
Vuole  in  persona  egli  seguirla  in  fretta, 
E  a  tutto  suo  poter  farne  vendetta. 
96 

Ma  il  Re  Sobrino,  il  quale  era  presente, 
Da  questa  impresa  molto  il  dissuade, 
Dicendogli  che  mal  conveniente 
Era  all'altezza  di  sua  Maestade, 
Se  ben  avesse  d'esserne  vincente 
Ferma  speranza  e  certa  sicurtade: 
Più  ch'onor,  gli  fia  biasmo,  che  si  dica 
Ch'abbia  vinta  una  femina  a  fatica. 
97 

Poco  l'onore,  e  molto  era  il  periglio 
D'ogni  battaglia  che  con  lei  pigliasse  ; 
E  che  gli  dava  per  miglior  consiglio, 
Che  Brunello  alle  forche  aver  lasciasse; 
E  se  credesse  ch'uno  alzar  di  ciglio 
A  torlo  dal  capestro  gli  bastasse, 
Non  dovea  alzarlo,  per  non  contradire 
Che  s'abbia  la  giustizia  ad  esequire. 
98 

Potrai  mandare  un  che  Marfisa  prieghi 
(Dicea)  ch'in  questo  giudice  ti  faccia, 
Con  promission  ch'ai  ladroncel  si  leghi 
Il  laccio  al  collo,  e  a  lei  si  sodisfaccia  : 
E  quando  anco  ostinata  te  lo  nieghi. 
Se  l'abbia,  e  il  suo  desir  tutto  compiaccia: 
Pur  che  da  tua  amicizia  non  si  spicchi, 
Brunello  e  gli  altri  ladri  tutti  impicchi. 
99 

Il  Re  Agramante  volentier  s'attenne 
Al  parer  di  Sobrin  discreto  e  saggio  ; 
E  Marfisa  lasciò,  che  non  le  venne. 
Né  pati  ch'altri  andasse  a  farle  oltraggio  : 


96.  4.  sua  Maestade.  Qui  e  nel  e.  xvii,  125 
sembra  che  sia  il  vero  astratto,  mentre  nel 
e.  XLiv,  37  è  usato  invece  del  concreto  (a 
vostra  Maestà  =  a  voi  imperatore)  come  si 
usa  oggi  spesso.  Questo  secondo  uso  comin- 
cia appunto  verso  il  Cinquecento. 

97.  7.  contradire,  impedire.  Cosi  pure  nel 
e.  XLiv,  37;  ma  è  significato  raro. 

—  8.  esequire.  V.  e.  XX vi,  56.  È  forma 
più  vicina  al  lat.  exequi. 

98.  3.  si  leghi...  si  sodisfaccia.  Regolar- 
mente dovremmo  avere  il  futuro  dell' indi- 
cai: si  legherà...  si  sodisfarà.  Ma  il  pre- 
sente cong.  accenna  questa  promessa  di 
Agram.  come  un  consiglio  di  Sobrino. 

—  7.  da  tua,  dalla  tua.  V.  e.  ii,  15,  n.  8. 

99.  3.  che  non  le  venne.  Potrebbe  inten- 
dersi: La  lasciò  andar  libera  in  modo  che 
non  le  venne  a  fare  oltraggio,  né  pali  che 
altri  andasse  a  farle  oltrag.  Ma  Agramante, 
come  re,  non  le  avrebbe  fatto  un  vero  e 
proprio  oltraggio  andando  a  reclamare  i 
suoi  diritti.  Intendi  dunque:  in  modo  che  non 
venne  a  lei,  non  andò  a  lei,  come  avea  pri- 


374 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  di  farla  pregare  anco  sostenne; 
E  tollerò,  Dio  sa  con  che  coraggio, 
Per  poter  acchetar  liti  maggiori, 
E  del  suo  campo  tot  tanti  romori. 
100 

Di  ciò  si  ride  la  Discordia  pazza. 
Che  pace  o  triegua  ornai  più  teme  poco. 
Scorre  di  qua  e  di  là  tutta  la  piazza, 
Né  può  trovar  per  allegrezza  loco. 
La  Superbia  con  lei  salta  e  gavazza, 
E  legne  et  esca  va  aggiungendo  al  fuoco; 
E  grida  si,  che  fin  ne  l'alto  regno 
Manda  a  Michel  de  la  vittoria  segno. 
101 

Tremò  Parigi,  e  turbidossi  Senna 
All'alta  voce,  a  quello  orribil  grido  ; 
Rimbombò  il  suon  lìn  alla  selva  Ardenna 
Si  che  lasciar  tutte  le  fiere  il  nido. 
Udiron  l'Alpi  e  il  monte  di  Gebenna, 
Di  Blaia  e  d'Arli  e  di  Roano  il  lido; 
Rodano  e  Sonna  udi,  Garonna  e  il  Reno  ; 
Si  strinsero  le  madri  i  figli  al  seno. 
102 

Son  cinque  cavallier  eh'  han  fisso  il  chio- 
D'essere  i  primi  a  terminar  sua  lite,    [do 
L'una  ne  l'altra  avviluppata  in  modo, 
Che  non  l'avrebbe  Apolline  espedite. 
Comincia  il  Re  Agraraante  a  sciorre  il  nodo 


ma  divisato.  Cosi  l'Ariosto  usò  nel  e.  xxix, 
71,  7,  non  le  pensa  per  non  pensa  a  lei. 

—  5.  anco,  pure.  V.  e.  xviii,  146,  n.  8. 

—  6.  coraggio,  core.  V.  e.  xviii,  32,  n.  4. 

100.  1.  si  ride.  Ridersi  comunemente  si- 
gnifica burlarsi;  ma  qui  ii  rifless.  ha  il  si- 
gnificato del  semplice  ridere.  Boccaccio, 
^fov.  23:  «  Della  quale  (novella)  se  n'avean 
l'iso  ». 

—  5.  gavazza.  Si  fa  derivare  da  un  basso 
latino  gavisare  nato  da  gavisua  participio 
di  gaudeo,  godere;  e  vale:  dà  grandi  se- 
gni di  gioia. 

101.  1.  Tremò  Par.  Questa  stanza  è  ispi- 
rata dall' Kneide,  7,  511,  segg.,  dove  Aletto 
suscita  le  turbe  dei  Latini  a  guerra  contro 
i  Troiani,  sonando  un  corno,  per  la  cui  spa- 
ventosa voce  «  protenus  omne  contremuit 
nemus  et  silvae  insoniiere  profundae:  Au- 
diit  et  Triviae  longe  lacus,  audiit  amnis 
Sulfurea  Nar  (la  Nera)  albus  aqua  fontesque 
Velini;  Et  trepidae  matres  presserò  ad  pec- 
tora  natos  ». 

—  3.  Ardenna;  V.  e.  I,  7S,  n.  3. 

—  5.  Gebenna,  le  Cévennes,  montagna 
della  Francia  nierid. 

—  6.  Blaia,  Blaye,  città  in  Guienna;  Arlì, 
città  in  Provenza;  Roano,  Rouaii;  città  di 
Kormandia.  Con  queste  tre  città,  con  le  Alpi 
e  i  quattro  fiumi  determina  e  circoscrive  la 
Francia. 

102.  4.  Apolline;  non  le  avrebbero  disbri- 


De  le  prime  tenzon  ch'aveva  udite. 
Che  per  la  figlia  del  Re  Stordilano 
Eran  tra  il  Re  di  Scizia  e  il  suo  Africano. 
103 

Il  Re  Agramante  andò  per  porre  accordo 
Diquaedilàpiii  volte  a  questo  e  a  quello; 
E  a  questo  e  a  quel  pili  volte  die  ricordo 
Da  Signor  giusto  e  da  fedel  fratello: 
E  quando  parimente  trova  sordo 
L'un  come  l'altro,  indomito  e  rubello 
Di  volere  esser  quel  che  resti  senza 
La  donna,  da  cui  vien  lor  difi"erenza; 
104 

S'appiglia  al  fin  come  a  miglior  partito. 
Di  che  amendui  si  contentar  gli  amanti. 
Che  de  la  bella  donna  sia  marito 
L'uno  de'  duo,  quel  che  vuole  essa  iuanti; 
E  da  quanto  per  lei  sia  stabilito, 
Più  non  si  possa  andar  dietro  né  avanti. 
All'uno  e  all'altro  piace  il  compromesso  " 
Sperando  ch'esser  debbia  a  favor  d'esso. 
105 

Il  Re  di  Sarza,  che  gran  tempo  prima 
Dì  Mandricardo  amava  Doralice, 
Et  ella  l'avea  posto  in  su  la  cima 
D'ogni  favor  ch'a  donna  casta  lice; 
Che  debba  in  util  suo  venire  estima 
La  gran  sentenzia  che  '1  può  far  felice  : 
Né  egli  avea  questa  credenza  solo, 
Ma  con  lui  tutto  il  Barbaresco  stuolo. 
106 

Ognun  sapea  ciò  ch'egli  avea  già  fatto 
Per  essa  in  giostre,  in  torniamenti,  in 

[guerra; 


gate  i  responsi  di  Apollo,  famosi  per  la  loro 
sapienza. 

—  8.  Re  di  Scizia,  Mandricardo.  La  Scizia, 
che  si  disse  anche  gran  Tartaria,  è  il  mo- 
derno Turkestan  —  il  s.  Afr.,  il  re  Rodo- 
monte, che  apparteneva  alla  sua  Africa. 

103.  2.  a  questo  e  a  q.  È  complemento  di 
andò. 

—  3.  ricordo;  Vale  spesso  ammonimento 
da  dover  ricordare.  V.  e.  xxvi,  113,  n.  3. 

—  5.  qnando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  6.  rubello  di  voler:  rubello  si  costrui- 
sce egualmente  con  le  preposizioni  di,  a, 
da,  contro. 

104.  1.  S'appiglia  ecc.  Avverti  la  brachi- 
logia: dovrebbe  dire:  si  appiglia  a  questo 
partito,  come  al  migliore,  che  cioè  de  la 
bella  donna  sia  marito  ecc. 

—  4.  L'uno...  quel,  quelT  uno.  Inversione 
insolita. 

—  5,  per  lei,  da  lei. 

105.  3.  sulla  cima  d'o.  f.  Intendi:  l'avea 
favorito  in  ogni  cosa.  Cosi  il  Pulci,  Morg. 
6,  10:  «  Veggo  che  del  tuo  amor  1'  hai  posta 
in  cima  ». 


CANTO  xxvn 


375 


E  che  stia  Mandricardo  a  questo  patto, 
Dicono  tutti  che  vaneggia  et  erra. 
Ma  quel  che  più  fiate  e  più  di  piatto 
Con  lei  fu,  mentre  il  Sol  stava  sotterra, 
E  sapea  quanto  avea  di  certo  in  mano, 
Kidea  del  popular  giudicio  vano. 
107 

Poi  lor  convenzìon  ratificaro 
In  man  del  Re  quei  duo  prochi  famosi; 
Et  indi  alla  Donzella  se  n'andaro. 
Et  ella  abbassò  gli  occhi  vergognosi, 
E  disse  che  più  il  Tartaro  avea  caro: 
Di  che  tutti  restar  maravigliosi  ; 
Eodomonte  si  attonito  e  smarrito, 
Che  di  levar  non  era  il  viso,  ardito. 
108 

Ma  poi  che  l'usata  ira  cacciò  quella 
Vergogna  che  gli  avea  la  faccia  tinta, 
Ingiusta  e  falsa  la  sentenzia  appella; 
E  la  spada  impugnando,  ch'egli  ha  cinta. 
Dice  udendo  il  Ke  e  gli  altri,  che  vuol  ch'el- 
Gli  dia  perduta  questa  causa  o  vinta,  [la 
E  non  l'arbitrio  di  femina  lieve  [ve. 

Che  sempre  inchina  a  quel  che  menfarde- 
109 

Di  nuovo  Mandricardo  era  risorto, 
Dicendo  :  Vada  pur  come  ti  pare  : 
Si  che  prima  che  '1  legno  entrasse  in  porto. 
V'era  a  solcare  un  gran  spazio  di  mare: 
Se  non  che  '1  Re  Agramante  diede  torto 
A  Rodomonte  che  non  può  chiamare 
Più  Mandricardo  per  quella  querela; 
E  fé'  cadere  a  quel  furor  la  vela. 
110 

Or  Rodomonte  che  notar  si  vede, 
Dinanzi  a  quei  Signor,  di  doppio  scorno 
Dal  suo  Re,  a  cui  per  rivereuzia  cede, 
E  da  la  donna  sua,  tutto  in  un  giorno. 
Quivi  non  volse  più  fermare  il  piede, 
E  de  la  molta  turba  ch'avea  intorno 
Seco  non  tolse  più  che  duo  sergenti, 
Et  usci  dei  Moreschi  alloggiamenti. 


106.  3-4.  che  stia...  Taneggia.  Strano  co- 
strutto. Intendi  :  van.  et  e.  chi  lo  crede.  Op- 
pure: V.  et  err.  Mandr.  a  prometterlo. 

—  5.  di  piatto,  di  nascosto.  V.  e.  ix,  73, 
n.  5. 

107.  2.  in  man  d.  E.;  dinanzi  al  re.  — 
prochi  (lat.  pì-ocus)  chi  ambisce  le  nozze 
d'una  donna.  Forma  più  comune  è  proci. 

—  6.  maravigliosi,  maravigliati.  V.  st.  22,6. 

108.  S.  a  quel  eh.  m.  f.  d.;  inchina  a  far 
quello  che  meno  dovrebbe  fare. 

109.  1.  era  risorto,  era  saltato  su,  si  era 
fatto  avanti.  È  significato,  che  manca  nei 
vocabolari. 

HO.  7.  più,  altro.  V.  e.  XVII,  25,  n.  4.  — 
sergenti,  servi.  V,  e.  xiv,  54,  n.  5. 


Ili 
Come,  partendo,  afflitto  tauro  suole, 
Che  la  giuvenca  al  vincitor  cesso  abbia, 
Cercar  le  selve  e  le  rive  più  sole 
Lungi  dai  paschi,  o  qualche  arrida  sabbia; 
Dove  muggir  non  cessa  all'ombra  e  al  sole. 
Né  però  scema  l'amorosa  rabbia  : 
Cosi  sen  va  di  gran  dolor  confuso 
Il  Re  d'Algier,  da  la  sua  donna  escluso. 

112 
Per  riavere  il  buon  destrier  si  mosse 
Ruggier,che  già  per  questo  s'era  armato 
Ma  poi  di  Mandricardo  ricordosse, 
A  cui  de  la  battaglia  era  ubligato  : 
Non  segui  Rodomonte,  e  ritornosse 
Per  entrar  col  Re  Tartaro  in  steccato 
Prima  che  'utrasse  il  Re  di  Sericana, 
Che  l'altra  lite  avea  di  Durindana. 

113 
Veder  tórsi  Frontin  troppo  gli  pesa 
Dinanzi  agli  occhi,  e  non  poter  vietarlo; 
Ma  dato  ch'abbia  fine  a  questa  impresa. 
Ha  ferma  intenzion  di  ricovrarlo. 
Ma  Sacripante  che  non  ha  contesa. 
Come  Ruggier,  che  possa  distornarlo, 
E  che  non  ha  da  far  altro  che  questo, 
Per  l'orme  vien  di  Rodomonte  presto. 

114 
E  tosto  l'avria  giunto,  se  non  era 
Un  caso  strano  che  trovò  tra  via. 
Che  lo  fé'  dimorar  fin  alla  sera, 
E  perder  le  vestigie  che  seguia. 
Trovò  una  donna  che  ne  la  riviera 
Di  Senna  era  caduta,  e  vi  peria, 
S'a  darle  tosto  aiuto  non  veniva; 
Saltò  ne  l'acqua,  e  la  ritrasse  a  riva. 

116 
Poi  quando  in  sella  volse  risalire, 
Aspettato  non  fu  dal  suo  destriero 
Che  fin  a  sera  si  fece  seguire, 


111.  1.  Come  partendo  ecc.  Qualche  tocco 
di  questa  comparazione  è  tolto  da  Virgilio, 
che  nella  Georg.  3,  224  segg.  descrive  la 
battaglia  di  due  tori  per  una  giovenca  :  <  sed 
alter  Victus  abit  longeque  ignotis  exulat 
oris  Multa  gemens  ignominiam  plagasque 
superbi  Victons  tura  quos  amisit  inultus 
amores  ». 

—  2.  cesso,  ceduto.  Cosi  pure  nei  Cinque 
Canti,  I,  27:  ma  è  forma  rarissima. 

—  4.  arrida.  Forse  è  forma  dialettale,  che 
l'A.  ha  preferito  come  più  piena,  mentre 
nella  Principe  aveva  scritto  arida. 

—  8.  escluso,  lasciato  fuori  nella  scelta. 

112.  4.  de  la  b.  e.  ublig.  ;  era  legato  con 
un  patto  riferentesi  alla  battaglia.  Dunque 
de  la  battaglia  lo  credo  complemento  di 
limitazione,  anziché  complem.  di  obbligato. 

113.  4.  ricovrarlo;  ricuperarlo.  V.  e.  Il,  43, 
n.  8. 


376 


ORLANDO  FURIOSO 


E  non  si  lasciò  prender  di  leggiero: 
Preselo  al  fin,  ma  non  seppe  venire 
Più,  donde  s'era  tolto  dal  sentiero  : 
Ducente  miglia  errò  tra  piano  e  monte, 
Prima  che  ritrovasse  Rodomonte. 
116 

Dove  trovollo,  e  come  fu  conteso 
Con  disvantaggio  assai  di  Sacripante  ; 
Come  perde  il  cavallo,  e  restò  preso, 
Or  non  dirò;  e'  ho  da  narrarvi  iuante, 
Di  quanto  sdegno  e  di  quanta  ira  acceso 
Contrala  Donna  e  contra  ilReAgramante 
Del  campo  Rodomonte  si  partisse, 
E  ciò  che  contra  all'uno  e  all'altro  disse. 
117 

Di  cocenti  sospir  l'aria  accendea 
Dovunque  andava  il  Saracin  dolente. 
Ecco  per  la  pietà  che  gli  n'avea, 
Da'  cavi  sassi  rispondea  sovente. 
Oh  feminile  ingegno  (egli  dicea), 
Come  ti  volgi  e  muti  facilmente, 
Contrario  oggetto  proprio  de  la  fede  ! 
Oh  infelice,  oh  miser  chi  ti  crede  ! 
118 

Né  lunga  servitù,  né  grand'araore 
Che  ti  fu  a  mille  prove  manifesto, 
Ebhono  forza  di  tenerti  il  core. 
Che  non  fossi  a  cangiarsi  almen  si  presto. 
Non  perch'a  Mandricardo  inferiore 
Io  ti  paressi,  di  te  privo  resto; 
Né  so  trovar  cagione  ai  casi  miei, 
Se  non  quest'una,  che  femina  sei. 
119 

Credo  che  t'abbia  la  Natura  e  Dio 
Produtto,  0  scelerato  sesso,  al  mondo 
Per  una  soma,  per  un  grave  fio 
De  Tnom  che  senza  te  saria  giocondo  : 
Come  ha  produtto  anco  il  serpente  rio, 
E  il  lupo  e  l'orso  e  fa  l'aer  fecondo 
E  di  mosche  e  di  vespe  e  di  tafani, 
E  loglio  e  avena  fa  nascer  tra  i  grani. 


116.  1-4.  Dove  ecc.  Di  tutto  ciò,  che  qui 
promette  di  dire,  l'A.  si  sbriga  in  sei  versi 
nel  e.  xxxv,  54. 

117.  3.  Ecco;  Eco.  V.  e.  x,  49,  n.  6.  —  gli, 
per  lui. 

—  7.  Contrarlo  ogg.  ecc.  È  apposizione 
dichiarativa  dìinrjegno  femminile',  il  quale 
è  oggetto  della  fede  propriamente  a  ro- 
vescio: cioè  la  fede  ha  tutt'altro  obietto  del 
femminile  ingegno;  gli  animi,  a  cui  mira  la 
fede  sono  tutto  il  contrario  dell'  ingegno 
femminile. 

118.  3.  tenerti  il  e.  Qui,  con  un  facile  tra- 
passo, dal  feminile  ingegno  passa  a  parlare 
alla  donna. 

—  4.  fossi,  fosse.  Forma  popolare  ancor 
viva  nel  volgo. 

119.  3.  fio,  tormento,  afflizione,  pena. 
Senso  affine,  ma  forse  un  poco  diverso  da 


120 

Perché  fatto  non  ha  l'alma  Natura, 
Che  senza  te  potesse  nascer  l'uomo. 
Come  s'inesta  per  umana  cura         [mo  ? 
L'un  sopra  l'altro  il  pero,  il  sorbo  e  '1  po- 
Ma  quella  non  può  far  sempre  a  misura  : 
Anzi,  s'io  vo'  guardar  come  io  la  nomo. 
Veggo  che  non  può  far  cosa  perfetta; 
Poi  che  Natura  femina  vien  detta. 
121 

Non  siate  però  tumide  e  fastose, 
Donne,  per  dir  che  l'uom  sia  vostro  figlio; 
Che  de  le  spine  ancor  nascon  le  rose, 
E  d'una  fetida  erba  nasce  il  giglio: 
Importune,  superbe,  dispettose, 
Prive  d'amor,  di  fede  e  di  consiglio. 
Temerarie,  crudeli,  inique,  ingrate, 
Per  pestilenzia  eterna  al  mondo  nate. 
122 

Con  queste  et  altre  et  infinite  appresso 
Querele  il  Re  di  Sarza  se  ne  giva 
Or  ragionando  in  un  parlar  sommesso, 
Quando  in  un  suon,  che  di  lontan  s'udiva. 
In  onta  e  in  biasmo  del  femineo  sesso: 
E  certo  da  ragion  si  dipartiva; 
Che  per  una  o  per  due  che  trovi  ree, 
Che  cento  buone  sien  creder  si  dee. 
123 

Se  ben  di  quante  io  n'abbiafin  qui  amate. 
Non  n'abbia  mai  trovata  una  fedele; 
Perfide  tutte  io  non  vo'  dir  né  ingrate, 
Ma  darne  colpa  al  mio  destin  crudele. 
Molte  or  ne  sono,  e  più  già  ne  son  state, 
Che  non  dan  causa  ad  uom  che  si  querele  ; 
Ma  mia  fortuna  vuol  che  s'una  ria 
Ne  sia  tra  cento,  io  di  lei  preda  sia. 
124 

Pur  vo' tanto  cercar  prima  eh'  io  mora. 


quello  del  e.  xvii,  41.  Anche  di  questo  non 
si  citano  esempi. 

120.  3.  Come  s' Inesta  ecc.  È  una  delle 
meno  felici  comparazioni  dell'  A.  Intendi  : 
come  per  avere  un  pero,  basta  innestare 
alcune  bacchette  di  pero  sopra  un  sorbo  o 
sopra  un  melo  e  viceversa;  cosi  per  avere 
un  uomo  doveva  bastare  che  si  innestasse 
un  pezzetto  di  uomo  sopra  un  altro  ani- 
male qualunque.  L'oscurità  della  compa- 
razione viene  dalla  mancanza  di  questa 
seconda  idea,  che  però  si  rileva  dal  con- 
testo. 

—  6.  come  io  la  nomo  ;  al  nome,  che  è  fem- 
minile. 

—  8.  Poi  che  ecc.  ;  poiché  vien  chiamata 
natura,  femmina.  Il  Femmina  è  apposi- 
zione predicativa;  quasi  dicesse:  è  chia- 
mata natura,  il  qual  nome  indica  una  fem- 
mina. 

121.  2.  sia.  11  cong.  indica  che  vien  rife- 
rito il  pensiero  delle  donne. 


CANTO   XXVII 


377 


Anzi  prima  che  '1  ciinpiù  mi  s'imbianchi, 
Che  forse  dirò  un  di,  che  per  me  ancora 
Alcuna  sia  che  di  sua  fé  non  manchi. 
Se  questo  avvien  (che  di  speranza  fuora 
Iononneson),nonfiamaich'  io  mi  stanchi 
Di  farla,  a  mia  possanza,  gloriosa  [prosa. 
Con  lingua  e  con  inchiostro,  e  in  verso  e  in 
125 

Il  Saracin  non  avea  manco  sdegno 
Centra  il  suo  Re,  che  centrala  Donzella; 
E  cosi  di  ragion  passava  il  segno, 
Biasmando  lui,  come  biasmando  quella. 
Ha  disio  di  veder  che  sopra  il  regno, 
Gli  cada  tanto  mal,  tanta  procella, 
Ch'in  Africa  ogni  casa  si  funesti. 
Né  pietra  salda  sopra  pietra  resti; 
126 

E  che  spinto  del  regno  in  duolo  e  in  lutto 
Viva  Agraraante  misero  e  mendico; 
E  ch'esso  sia  che  poi  gli  renda  il  tutto, 
E  lo  riponga  nel  suo  seggio  antico, 
E  de  la  fede  sua  produca  il  frutto  ; 
E  gli  faccia  veder  ch'un  vero  amico 
A  dritto  e  a  torto  esser  dovea  preposto, 
Se  tutto  '1  mondo  se  gli  fosse  opposto. 
127 

E  cosi,  quando  al  Re  quando  alla  Donna 
Volgendo  il  cor  turbato,  il  Saracino 
Cavalca  a  gran  giornate,  e  non  assonna, 
E  poco  riposar  lascia  Frontino. 
Il  di  seguente  o  l'altro  in  su  la  Sonna 
Si  ritrovò;  ch'avea  dritto  il  camino 
Verso  il  mar  di  Provenza,  con  disegno 
Di  navigare  in  Africa  al  suo  regno. 
128 

Di  barche  e  di  sottil  legni  era  tutto 
Fra  l'una  ripa  e  l'altra  il  fiume  pieno: 
Ch'ad  uso  de  l'esercito  condutto 
Da  molti  lochi  vettovaglie  avieno; 
Perché  in  poter  de'  Mori  era  ridutto. 
Venendo  da  Parigi  al  lito  ameno      [gna, 
D'Acquamorta,  e  voltando  inver  la  Spa- 
Ciò  che  v'  è  da  man  destra  di  campagna. 


125.  8.  He  pietra  ecc.  È  espressione  scrit- 
turale :  «  Et  non  relinquent  in  te  lapidem 
super  lapidem  ». 

126.  1.  spinto,  cacciato.  V.  e.  xlii,  23,  n.  7. 

—  5.  produca.  Forse  è  il  lat.  producere, 
metta  in  mostra,  faccia  vedere  ad  Agram. 
il  frutto  della  fede,  che  egli  ha  serbato  al 
suo  re. 

—  7.  A  dritto  e  a  t.  V.  e.  VI,  10,  n.  7. 

127.  6.  dritto,  indirizzato.  V.  e.  xni,  83, 
n.  6. 

128.  I.  Bottil;  leggeri,  agili. 

—  2.  il  fiume,  il  Rodano. 

—  7.  Acquamorta,  Aigues-mortes.  Era  dun- 
que in  potere  dei  Mori  tutta  la  parte  Sud- 
ovest  della  Francia. 


129 

Le  vettovaglie  in  carra  et  in  giumenti, 
Tolte  fuor  de  le  navi,  erano  carche, 
E  tratte  con  la  scorta  de  le  genti, 
Ove  venir  non  si  potea  con  barche. 
Avean  piene  le  ripe  i  grassi  armenti 
Quivi  condotti  da  diverse  marche; 
E  i  conduttori  intorno  alla  riviera 
Per  varii  tetti  albergo  avean  la  sera. 
130 

Il  Re  d'Algier,  perché  gli  sopravenue 
Quivi  la  notte  e  l'aer  nero  e  cieco. 
D'un  ostier  paesan  lo  'nvito  tenne, 
Che  lo  pregò  che  rimanesse  seco. 
Adagiato  il  destrier,  la  mensa  venne 
Di  yarii  cibi,  e  di  vin  Corso  e  Greco; 
Che  '1  Saracin  nel  resto  alla  Moresca, 
Ma  volse  far  nel  bere  alla  Francesca. 
131 

L'oste  con  buona  mensa  e  miglior  viso 
Studiò  di  fare  a  Rodomonte  onore, 
Che  la  presenzia  gli  die  certo  avviso, 
Ch'era  uomo  illustre  e  pien  d'alto  valore: 
Ma  quel  che  da  sé  stesso  era  diviso, 
Né  quella  sera  aVea  ben  seco  il  core 
(Che  mal  suo  grado  s'era  ricondotto 
Alla  donna  già  sua),  non  facea  motto. 
132 

Il  buono  ostier,  che  fu  dei  dilìgenti 
Che  mai  si  sien  per  Francia  ricordati, 
Quando  tra  le  nimiche  e  strane  genti 


129.  6.  marche,  paesi  (ant.  alto  ted.  inarca, 
conflne,  paese  di  confine;  connesso  col  lat. 
margo,  margine).  Cosi  l'usò  Dante,  Purg. 
19,  45. 

130.  5.  Adagiato,  messo  nella  stalla.  Cosi 
il  Boccaccio,  Nov.  8:  «i  loro  ronzini  ada- 
giarono». —  la  mensa  venne;  fu  imbandita 
la  m.  Espressione  analoga  a  por  la  mensa, 
levar  le  mense  ecc. 

—  8.  alla  Fr.  È  noto  che  la  legge  di  Mao- 
metto proibisce  di  ber  vino. 

131.  5.  d.  s.  st.  era  diviso,  era  fuori  di  sé. 
V.  e.  v,  26,  n.  I. 

—  6.  Me...  avea  b.  s.  il  e;  né  era  padrone 
dei  suoi  sentimenti.  11  Monti  interpetra  que- 
sto luogo  nel  senso  del  lat.  apud  se  non 
esse^  com,potem  mentis  noìi  esse.  11  Romizi 
(Fonti  lat.  del  Furioso  pag.  169)  combatte 
giustamente  questa  interpretaz.  avvertendo 
che  le  espress,  latine  citate  valgono  :  non  es- 
sere  in  sé  o  in  senno,  mentre  qui  l'A.  vuol 
dire  che  R.  non  era  più  padrone  del  proprio 
cuore,  dei  propri  sentimenti.  Avrebbe  anche 
potuto  notare  che  apud  se  non  esse  è 
espresso  dalle  parole  da  sé  stesso  era  di- 
viso. Dunque  intendi  che  R.  era  lontano 
colla  mente  e  col  cuore,  i  quali  eran  tutti 
per  Doralice. 

132.  3.  Quando,  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 


378 


ORLANDO  FURIOSO 


L'albefgo  e  beui  suoi  s'avea  salvati, 
Per  servir  quivi  alcuni  suoi  parenti, 
A  tal  servigio  pronti,  avea  chiamati; 
De'  quai  non  era  alcun  di  parlar  oso, 
Vedendo  il  Saracin  muto  e  pensoso. 
133 

Di  pensiero  in  pensiero  andò  vagando 
Da  sé  stesso  lontano  il  Pagan  molto, 
Col  viso  a  terra  chino,  né  levando       [to. 
Si  gli  occhi  mai,  ch'alcun  guardasse  in  vol- 
Dopo  un  lungo  star  cheto,  suspirando, 
Si  come  d'un  gran  sonno  allora  sciolto, 
Tutto  si  scosse,  e  insieme  alzò  le  ciglia, 
E  voltò  gli  occhi  all'oste  e  alla  famiglia. 
134 

Indi  roppe  il  silenzio,  e  con  sembianti 
Più  dolci  un  poco  e  viso  men  turbato, 
Domandò  all'oste  e  agli  altri  circonstanti, 
Se  d'essi  alcuno  avea  mogliere  a  lato. 
Che  l'oste  e  che  quegli  altri  tutti  quanti 
L'aveauo,  per  risposta  gli  fu  dato. 
Domandò  lor  quel  che  ciascun  si  crede 
De  la  sua  donna  nel  servargli  fede. 
135 

Eccetto  l'oste,  f<'r  tutti  risposta, 
Che  si  credeano  averle  e  caste  e  buone. 
Disse  l'oste:  Ognun  pur credaasua  posta; 
Ch'io  so  ch'avete  falsa  opinione. 
Il  vostro  sciocco  credere  vi  costa 
Ch'io  stimi  ognun  di  voi  senza  ragione; 
E  cosi  far  questo  Signor  deve  anco. 
Se  non  vi  vuol  mostrar  nero  per  bianco. 
136 

Perché,  si  come  è  sola  la  Fenice, 
Né  mai  più  d'una  in  tutto  il  mondo  vive, 
Cosi  né  mai  più  d'uno  esser  si 'dice, 
Che  de  la  moglie  i  tradimenti  schive. 
Ognun  si  crede  d'esser  quel  felice, 
D'esser  quel  sol  eh' a  questa  palmaarrive. 
Come  è  possibil  che  v'arrivi  ognuno. 
Se  non  ne  può  nel  mondo  esser  più  d'uno  ? 
137 

Io  fui  già  ne  l'error  che  siete  voi, 


—  4.  L'alberg.  e  beni.  Non  di  rado  l'A.  di 
due  voci  dello  slesso  periodo  ad  una  dà  l'ar- 
ticolo ad  un'altra  lo  toglie.  Tale  inesattezza 
fu  già  dal  Muzio  rimproverata  al  l'etrarca, 
che  usa  spesso  di  questa  licenza.  (V.  Rime, 
commento  Carducci-Ferrari,  Son.  121,  2). 

134.  4.  mogliere.  È  singolare.  V.  e.  XVIII, 
5.3,  n.  7. 

—  8.  nel  servargli,  quanto  al  servargli  f. 

136.  3.  né,  neppure.  V.  e.  ii,  41,  n.  4. 

137.  1.  che,  nel  quale.  V.  e.  xiii,  37,  n.  5. 


Che  donna  casta  anco  più  d'una  fusse. 
Un  gentiluomo  di  Vinegia  poi. 
Che  qui  mia  buona  sorte  già  condusse, 
Seppe  far  si  con  veri  esempi  suoi. 
Che  fuor  de  l'ignoranza  mi  ridusse. 
Gian  Francesco  Valerio  era  nomato; 
Che  '1  nome  suo  non  mi  s'è  mai  scordato. 

138 
Le  fraudi,  che  le  mogli  e  che  l'amiche 
Sogliono  usar,  sapea  tutte  per  conto  : 
E  sopra  ciò  moderne  istorie  e  antiche, 
E  proprie  esperienze  avea  si  in  pronto, 
Chi  mi  mostrò  che  mai  donne  pudiche 
Non  si  trovalo,  o  povere o  di  conto; 
E  s'una  casta  più  de  l'altra  parse. 
Venia,  perché  più  accorta  era  a  celarse. 

139 
E  fra  l'altre  (che  tante  me  ne  disse, 
Che  non  ne  posso  il  terzo  ricordarmi), 
Si  nel  capo  una  istoria  mL  si  scrisse. 
Che  non  si  scrisse  mai  più  saldo  in  marmi  : 
E  ben  parria  a  ciascuno  che  l'udisse. 
Di  queste  rie  quel  ch'a  me  parve  e  parmi. 
E  se,  Signor,  a  voi  non  spiace  udire, 
A  lor  confusion  ve  la  vo'  dire. 

140 
Rispose  il  Saracin:  Che  puoi  tu  farmi, 
Che  più  al  presente  mi  diletti  e  piaccia, 
Che  dirmi  istoriae  qualcheeserapio  darmi, 
Che  con  l'opinion  mia  si  confaccia? 
Perch'io  possa  udir  meglio,  e  tu  narrarmi, 
Siedemi  incontra,  ch'io  ti  vegga  in  faccia. 
Ma  nel  Canto  che  segue,  io  v'ho  da  dire 
Quel  che  fé'  l'oste  a  Rodomonte  udire. 


—  7.  G.  Fr.  Valerio.  Fu  gentiluomo  vene- 
ziano amico  dell'A.  Di  lui  leggesi  nel  Cam- 
pidoglio Veneto  del  Cappellari,  a.  1539:  Gian 
Fr.  Valerio,  naturale,  sacerdote;  imputato 
d'avere  intelligenza  coi  principi  esteri...  fu 
appiccato  per  la  gola  nel  mezzo  delle  due 
colonne  sopra  la  piazza  di  S.  Marco.  L'A. 
mette  questo  Valerio  anche  fra  quelli,  che 
si  rallegran  con  lui  del  poema  finito;  e.  XLvr, 
16.  Qui  dunque  abbiamo  uno  scherzevole 
anacronismo. 

—  S.  non  mi  a'  è  scord.;  non  mi  è  fuggito 
dalla  memoria.  È  un  uso  molto  notevole, 
non  citato  dai  vocabolari. 

138.  2.  percento,  appuntino, minutamente. 

—  s.  Venia,  avveniva. 

140.  <i.  Siedemi,  siedimi.  V.  e.  X,  49,  n.  7. 


CANTO  XXVIII 


379 


CANTO  XXVIII 


Donne,  e  voi  che  le  donne  avete  in  pregio, 
Per  Dio,  non  date  a  questa  istoria  orecchia, 
A  questa  che  l'ostier  dire  in  dispregio 
E  in  vostra  infamia  e  biasrao  s'apparec- 

fchia; 
Ben  che  né  macchia  vi  può  dar  né  fregio 
Lingua  si  vile,  e  sia  l'usanza  vecchia 
Che  '1  volgare  ignorante  ognun  riprenda, 
E  parli  più  di  quel  che  meno  intenda. 

2 
Lasciate  questo  Canto;  che  senza  esso 
Può  star  l'istoria,  e  non  sarà men chiara. 
Mettendolo  Turpinp,  anch'io  l'ho  messo, 
Non  per  malivolenzia  né  per  gara. 
Ch'io  v'ami,  oltre  mia  lingua  che  l'ha 

[espresso, 
Che  mai  non  fu  di  celebrarvi  avara, 
N'  ho  fatto  mille  prove  ;  e  v'  ho  dimostro 
Ch'io  son,  né  potrei  esser  se  non  vostro. 

3 
Passi,  chi  vuol,  tre  carte  ©quattro,  senza 
Leggerne  verso;  e  chi  pur  legger  vuole. 
Gli  dia  quella  medesima  credenza 
Che  si  suol  dare  a  finzioni  e  a  fole. 
Ma  tornando  al  dir  nostro, poi  ch'udienza 
Apparecchiata  vide  a  sue  parole, 
E  darsi  luogo  incontra  al  cavalliero. 
Cosi  l'istoria  incominciò  l'ostiere. 

4 
Astolfo,  Re  de'  Longobardi,  quello 


1.  5,  fregio  ;  onore.  Lingua  si  vile  non  può 
produr  per  voi  né  biasimo  né  onore. 

—  8.  intenda;  Più  comuuem.  l'indicativo. 
Il  cong.  indica  che  l'idea  è  annunziata  come 
integrante  della  proposiz.  precedente.  Ed  è 
uso  derivato  dal  latino:  cfr.  e.  xxiii,  25, 
n.  4. 

2.  3.  Tarpino.  V.  e.  XIII,  40,  n.  2. 

—  4.  gara;  inimicizia.  Questo  significato 
negli  esempì  citati  dai  vocabolari  va  sem- 
pre unito  all'idea  di  contesa;  qui  tale  idea 
manca,  per  ciò  l'esempio  è  notevole. 

—  7.  dimostro,  dimostrato.  V.  e.  i,  4S,  n.  4. 

3.  5.  udienza,  l'udienza,  gli  uditori. 

—  7.  E  darsi  ecc.  ;  e  farsi  posto  dagli 
astanti,  perché  andasse  a  porsi  davanti  al 
cavaliero:  (cfr.  canto  preced.  140,  6). 

4.  —  Questa  novella  è  tolta  in  gran  parte 
dal  racconto,  che  precede  le  Mille  e  una 
notte.  Questa  raccolta  non  era  però  ancora 
tradotta  in  nessuna  delle  lingue  d'occidente 
{fu  tradotta  dal  Galland  nel  1704)  e  l'A.  potè 


A  cui  lasciò  il  fratel  monaco  il  regno. 
Fu  ne  la  giovinezza  sua  si  bello. 
Che  mai  poch'altri  giunsero  a  quel  segno. 
N'avria  a  fatica  un  tal  fatto  a  pennello 
Apelle,  o  Zeusi,  o  se  v'  è  alcun  più  degno. 
Bello  era,  et  a  ciascun  cosi  parca; 
Ma  di  molto  egli  ancor  più  si  tenea. 
5 
Non  stimava  egli  tanto  per  l'altezza 
Del  grado  suo,  d'avere  ognun  minore; 
Né  tanto,  che  di  genti  e  di  ricchezza, 
Di  tutti  i  Re  vicini  era  il  maggiore  ; 
Quanto,  che  di  presenzia  e  di  bellezza 
Avea  per  tutto  '1  mondo  il  primo  onore. 
Godea,  di  questo  udendosi  dar  loda. 
Quanto  di  cosa  volentier  più  s'oda. 

averne  notizia  o  per  tradizione  orale  o  dallo 
stesso  Vallerò.  In  quel  racconto  si  dice  che 
Schachnar  sultano  delle  Indie,  volendo  ri- 
vedere il  suo  fratello  cadetto  Schachsenan, 
che  aveva  nominato  re  di  Tartaria,  lo  man- 
da a  cercare  per  mezzo  del  suo  visir.  Scha- 
chsenan parte  dalla  sua  casa:  ma,  quando 
è  poco  lontano,  vuol  tornare  a  riabbracciare 
sua  moglie,  che  trova  in  confidenza  con  un 
servo.  Gli  uccide  ambedue  e  va  dal  fratello. 
La  tristezza  l'opprime  e  nulla  vale  a  conso- 
larlo. Un  giorno  che  la  Sultana  li  credeva 
a  caccia,  si  abbandona  anch'essa  ad  amori 
illeciti.  Schachsenan  li  vede  e  si  rallegra 
d'aver  compagni  nel  danno.  Il  Sultano,  ve- 
dendo il  cambiamento  del  suo  umore,  glie 
ne  chiede  spiegazione  e  cosi  viene  a  saper 
tutto.  Non  ci  crederebbe  se  non  vedesse  da 
una  finestra  la  moglie  in  atto  di  tradirlo. 
I  due  fratelli  se  ne  partono,  per  vedere  se 
tutte  le  femmine  sono  come  le  loro.  E,  fra 
le  altre,  s' imbattono  in  una,  che  avea  più  di 
novantotto  volte  tradito  il  suo  amante.  Allora 
pensano  di  tornare  al  loro  paese  e  di  pren- 
der nuovamente  moghe;  ma  il  Sultano,  per 
non  esser  tradito,  stabilisce  che  le  donne 
sposate  da  lui  siano  uccise  dopo  la  prima 
notte.  —  Le  differenze  l'A.  le  avrà  tolte  o 
da  altre  parti,  o  dallo  stesso  racconto  del 
Vallerò,  o  piuttosto  dalla  sua  fantasia. 

—  2.  il  fratel  monaco;  Rachis,  che  si  fece 
monaco  cassinese  (a.  749). 

—  8.  Ma  di  molto  ecc.;  ma  si  tenea  di 
molto  più  bello.  Di  molto  invece  del  sem- 
plice molto  fu  ed  è  nell'  uso,  specialmente 
Toscano,  v.  e.  xxix,  19,  7. 

5.  8.  Q.  di  cosa...  s'oda;  quanto  di  cosa, 
che  si  oda  più  volentieri.  Omettere  e  sottin- 


380 


ORLANDO  FURIOSO 


6 

Tra  gli  altri  di  sua  corte  avea  assai  grato 
Fausto  Latini,  un  cavallier  Romano  : 
Con  cui  sovente  essendosi  lodato 
Or  del  bel  viso  or  de  la  bella  mano, 
Et  avendolo  un  giorno  domandato, 
Se  mai  veduto  avea,  presso  o  lontano. 
Altro  uom  di  forma  cosi  ben  composto  ; 
Contra  quel  che  credea,  gli  fu  risposto. 
7 

Dico  (rispose  Fausto)  che  secondo 
Ch'io  veggo,  e  che  parlarne  odo  a  ciascuno. 
Ne  la  bellezza  hai  pochi  pari  al  mondo; 
E  questi  pochi  io  li  restringo  in  uno. 
Quest'uno  è  un fratel mio, detto  Giocondo. 
Eccetto  lui,  ben  crederò  ch'ognuno 
Di  beltà  molto  a  dietro  tu  ti  lassi; 
Ma  questo  sol  credo  t' adegui  e  passi.  " 
8 

Al  Re  parve  impossibil  cosa  udire, 
Che  sua  la  palma  infin  allora  tenne; 
E  d'aver  conoscenza  alto  desire 
Di  si  lodato  giovene  gli  venne. 
Fé'  si  con  Fausto,  che  di  far  venire 
Quivi  il  fratel  prometter  gli  convenne; 
Ben  ch'a  poterlo  indur  che  ci  venisse. 
Saria  fatica,  e  la  cagion  gli  disse: 

9  [piede 

Che'l  suo  fratello  era  uom  che  mosso  il 
Mai  non  avea  di  Roma  alla  sua  vita 
Che,  del  ben  che  Fortuna  gli  concede, 
Tranquilla  e  senza  affanni  avea  notrita  : 
La  roba  di  che  '1  padre  il  lasciò  erede, 
Né  mai  cresciuta  avea  né  minuita; 
E  che  parrebbe  a  lui  Pavia  lontana 
Più  che  non  parria  a  un  altro  ire  alla  Tana. 
10 

E  la  difificultà  saria  maggiore 
A  poterlo  spiccar  da  la  mogliere, 
Con  cui  legato  era  di  tanto  amore, 
Che  non  volendo  lei,  non  può  volere. 
Pur  per  ubbidir  lui  che  gU  è  Signore, 
Disse  d'andare,  e  fare  oltre  il  potere. 
Giunse  il  Re  a'  prieghi  tali  offerte  e  doni, 
Che  di  negar  non  gli  lasciò  ragioni. 
11 

Partisse,  e  in  pochi  giorni  ritrovosse 
Dentro  di  Roma  alle  paterne  case. 
Quivi  tanto  pregò,  che  '1  fratel  mosse 


tendere  il  relativo  è  frequente  nella  nostra 
lingua.  Dino  Comp.  Cron.  i,  35.  «  Ritorne- 
remo alle  cose  furono  nei  nostri  tempi  ». 

9.  2.  alla  sua  Tìta.  V.  e.  Xix,  95,  n.  1. 

—  8.  Tana.  Nome,  che  gli  antichi  danno 
al  Tanai  (Don). 

10.  2.  mogliere.  V.  c.  xxvii,  134,  n.  4. 

—  6.  oltre  il  pot.;  più  del  suo  potere.  È 
modo  iperbolico  vivo  ancora  nel  parlar  fa- 
miliare :  far  V  impossibile. 

11.  1.  Partisse;  V.  e.  il,  49,  n.  1. 


Si,  ch'a  venire  al  Re  gli  persuase: 
E  fece  ancor  (ben  che  difficil  fosse) 
Che  la  cognata  tacita  rimase, 
Proponendole  il  ben  che  n'uscirla. 
Oltre  ch'obligo  sempre  egli  l'avria. 

12 
Fisse  Giocondo  alla  partita  il  giorno  : 
Trovò  cavalli  e  servitori  intanto  ; 
Vesti  fé'  far  per  comparire  adorno; 
Che  talor  cresce  una  beltà  un  bel  manto. 
La  notte  a  lato,  e  '1  di  la  moglie  intorno. 
Con  gli  occhi  ad  or  ad  or  pregni  di  pianto, 
Gli  dice  che  non  sa  come  patire 
Potrà  tal  lontananza  e  non  morire  ; 

13 
Che  pensandovi  sol,  da  la  radice 
Sveller  si  sente  il  cor  nel  lato  manco. 
Deh,  vita  mia,  non  piagnere,  le  dice 
Giocondo  ;  e  seco  piagne  egli  non  manco. 
Cosi  mi  sia  questo  camin  felice. 
Come  tornar  vo'  fra  duo  mesi  al  manco: 
Né  mi  farla  passar  d'un  giorno  il  segno. 
Se  mi  donasse  il  Re  mezzo  il  suo  regno. 

14 
Né  la  donna  perciò  si  riconforta: 
Dice  che  troppo  termine  si  piglia; 
E  s' al  ritorno  non  la  trova  morta, 
Esser  non  può  se  non  gran  maraviglia. 
Non  lascia  il  duol  che  giorno  e  notte  porta. 
Che  gustar  cibo,  e  chiuder  possa  ciglia  ; 
Tal  che  per  la  pietà  Giocondo  spesso 
Si  pente  ch'ai  fratello  abbia  promesso. 

15 
Dal  collo  un  suo  monile  ella  si  sciolse. 
Ch'una  crocetta  avea  ricca  di  gemme, 
E  di  sante  reliquie  che  raccolse 
In  molti  luoghi  un  peregrin  Boemme; 
Et  il  padre  di  lei,  ch'in  casa  il  tolse 
Tornando  infermo  di  Gerusalemme, 


—  4.  a  venir...  gli  persuase.  Più  regolar- 
mente a  venir...  lo  p.',  o  anche  di  venir 
gli  p.  Qui  dunque  abbiamo  la  fusione  dei 
due  costrutti.  V.  e.  ii,  6,  n.  3. 

12.  1.  Fisse,  stabili,  prefisse.  Nel  semplice 
è  poco  usato.  V.  e.  ni,  12,  8. 

13.  6.  al  manco;  al  massimo,  al  più.  Strano 
significato  non  avvertito  da  nessun  vocabo- 
lario, e  che  pure  vive  ancora  nell'uso.  Deve 
illustrarsi  cosi:  tornar  vo'  fra  due  mesi;  e 
questo  è  il  meno  che  possa  fare  per  con- 
tentar te  e  me:  ma  procurerò  di  fai'e  anche 
più;  tornando  più  presto. 

14.  2.  termine;  spazio  di  tempo.  V.  e.  xni, 
47,  n.  2. 

15.  4.  Boemme,  boemo. 

—  6.  Tornando,  tornante,  che  tornava.  «  È 
maniera  fuori  d'uso  nella  prosa;  potrebbe 
usarsi  qualche  volta  in  poesia  »  Fornaciaki, 
Sint.  p.  221. 


CANTO  XXVIII 


381 


Venendo  a  morte  poi  ne  lasciò  erede: 
Questa  levossi,  et  al  marito  diede. 
16 
E  che  la  porti  per  suo  amore  al  collo 
Lo  prega,  si  che  ogn'orgli  ne  sovvenga. 
Piacque  il  dono  al  marito,  etaccettollo; 
Non  perché  dar  ricordo  gli  convenga: 
Che  né  tempo  né  absenzia  mai  dar  crollo, 
Né  buona  o  ria  fortuna  che  gli  avvenga, 
Potrà  a  quella  memoria  salda  e  forte, 
Cha  di  lei  sempre,  e  avrà  dopo  la  morte. 
17 
La  notte  ch'andò  inanzi  a  quella  aurora 
Che  fu  il  termine  estremo  alla  partenza. 
Al  suo  Giocondo  par  eh'  in  braccio  muora 
La  moglie  che  n'  ha  tosto  da  star  senza. 
Mai  non  si  dorme;  e  inanzi  al  giorno  un'ora 
Viene  il  marito  all'ultima  licenza. 
Montò  a  cavallo,  e  si  parti  in  efifetto; 
E  la  moglier  si  ricorcò  nel  letto. 
18 
Giocondo  ancor  duo  miglia  ito  non  era, 
Che  gli  venn  *la  croce  raccordata, 
Ch'avea  sotto  il  guaucial  messo  la  sera, 
Poi  per  oblivion  l'avea  lasciata. 
Lasso  !  (dicea  tra  sé),  di  che  maniera 
Troverò  scusa  che  mi  sia  accettata, 
Che  mia  moglie  non  creda  che  gradito 
Poco  da  me  sia  l'amor  suo  infinito  ? 
19 
Pensa  la  scusa,  e  poi  gli  cade  in  mente 
Che  non  sarà  accettabile  né  buona,  i 

Mandi  famigli,  mandivi  altra  gente. 
S'egli  medesmo  non  vi  va  in  persona.        | 
Si  ferma,  e  al  fratel  dice:  Or  pianamente 
Fin  a  Baccano  al  primo  albergo  sprona  ; 
Che  dentro  a  Roma  è  forza  ch'io  rivada: 
E  credo  anco  di  gingnerti  per  strada.        i 
■20 
Non  potria  fare  altri  il  bisogno  mio  : 
Né  dubitar,  eh'  io  sarò  tosto  teco. 
Voltò  il  ronzin  di  trotto,  e  disse  a  Dio  ; 


16.  4.  dar  rie.  gli  e;  convenga,  bisogni 
dargli  ricordo.  Vi  è  il  solito  spostamento 
del  pronome  ;  cfr.  e.  i,  47,  n.  6. 

—  8.  dopo  la  morte;  fiuo  alla  morte.  V. 
e.  XIX,  1,  n.  8. 

17.  5.  si  dorme,  dorme.  La  forma  riflessa 
fu  usata  non  di  rado  dagli  antichi.  Boccac- 
cio, j\'ov.  21  :  «  Trovò  Masetto  tutto  disteso 
all'ombra  d'un  mandorlo  dormirsi  ». 

—  7.  in  effetto,  di  fatto,  veramente.  Ri- 
sponde all'ultima  licen::a delv.  precedente: 
cioè  si  licenziò  più  volte  ;  finalmente  parti. 

18.  2.  raccordata,  ricordata.  Forma  antica. 
V.  e.  xxxviii,  27,  3.- 

—  7.  Che,  cosi  che.  V.  e.  i,  57,  n.  7. 

19.  6.  Baccaao,  Un  paesello  a  poche  miglia 
da  Roma. 


Né  de'  famigli  suoi  volse  alcun  seco. 
Già  cominciava,  quando  passò  il  rio, 
Dinanzi  al  sole  a  fuggir  l'àer  cieco. 
Smonta  in  casa;  va  al  letto;  e  la  consci  te 
Quivi  ritrova  addormentata  forte. 
21 

La  cortina  levò  senza  far  motto, 
E  vide  quel  che  men  veder  credea: 
Che  la  sua  casta  e  fedel  moglie,  sotto 
La  coltre,  in  braccio  a  un  giovene  giacca. 
Riconobbe  l'adultero  di  botto. 
Per  la  pratica  lunga  che  n'avea; 
Ch'era  de  la  famiglia  sua  un  garzone, 
Allevato  da  lui,  d'umil  nazione. 
22 

S'attonito  restasse  e  mal  contento. 
Meglio  è  pensarlo  e  farne  fede  altrui, 
Ch'esserne  mai  per  far  l'esperimento 
Che  con  suo  gran  dolor  ne  fé'  costui. 
Da  lo  sdegno  assalito  ebbe  talento 
Di  trar  la  spada,  e  ucciderli  ambedui  ; 
Ma  da  l'amor  che  porta,  al  suo  dispetto, 
All'ingrata  moglier,  gli  fu  interdetto. 
23 

Né  lo  lasciò  questo  ribaldo  Amore 
(Vedi  se  si  l'avea  fatto  vassallo) 
Destarla  pur,  per  non  le  dar  dolore. 
Che  fosse  da  lui  colta  in  si  gran  fallo. 
Quanto  potè  più  tacito  usci  fuore. 
Scese  le  scale,  e  rimontò  a  cavallo; 
E  punto  egli  d'amor,  cosi  lo  punse, 
Ch'all'albergo  non  fu,  che  '1  fratel  giunse. 
24 

Cambiato  a  tatti  parve  esser  nel  volto; 
Vider  tutti  che  'I  cor  non  avea  lieto  : 
Ma  non  v'  è  chi  s'apponga  già  di  molto, 
E  possa  penetrar  nel  suo  secreto. 
Credeano  che  da  lor  si  fosse  tolto 
Per  gire  a  Roma,  e  gito  era  a  Corneto. 


20.  5.  il  rio,  Il  Tevere.  Cosi  Dante,  Inr. 
3,  124,  chiamò  rio  il  fiume  Acheronte. 

21.  8.  nazione,  nascita.  È  latinismo  {natio) 
frequente  presso  gli  antichi. 

22.  3.  esserne...  per  far;  essere  per  farne. 
V.  e.  i,  47,  n.  6. 

23.  2.  se  81,  se  davvero.  Il  si  è  avverbio 
affermativo.  Anc'oggi  diremmo  :  «  Egli  si, 
fa  onore  alla  sua  famiglia  »;  ma  quest'uso, 
cosi  spiccato,  è  citato  confusamente  dai  vo- 
cabolari. 

—  4.  Che,  perché.  V,  e.  i,  27,  n.  8. 

—  8.  all'  albergo  ecc.  ;  non  era  arrivato 
all'  albergo,  quando  raggiunse  il  fratello. 
Ossia:  raggiunse  il  fratello,  non  già  all'al- 
bergo, ma  per  la  strada,  che  ad  esso  con- 
duceva :  cfr.  st.  19,  8. 

24.  6.  Corneto  ;  È  propriamente  una  città 
nella  provincia  di  Roma.  Qui  scherza  eoa 
equivoco  facile  a  comprendere. 


382 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'Amor  sia  del  mal  causa  ognun  s'avvisa: 

Ma  non  è  già  chi  dir  sappia  in  che  guisa. 

25 

Estimasi  il  fratel,  che  dolor  abbia 
D'aver  la  moglie  sua  sola  lasciata; 
E  pel  contrario  duolsi  egli  et  arrabbia 
Che  rimasa  era  troppo  accompagnata. 
Con  fronte  crespa  e  con  gonfiate  labbia 
Sta  l'infelice,  e  sol  la  terra  guata. 
Fausto  eh' a  confortarlo  usa  ogni  prova 
Perché  non  sa  la  causa,  poco  giova. 
26 

Di  contrario  liquor  la  piaga  gli  unge, 
E  dove  tòr  dovria,  gli  accresce  doglie; 
Dove  dovria  saldar,  più  l'apre  e  punge  : 
Questo  gli  fa  col  ricordar  la  moglie. 
Né  posa  di  né  notte  :  il  sonno  lunge 
Fugge  col  gusto,  e  mai  non  si  raccoglie: 
E  la  faccia  che  dianzi  era  si  bella, 
Si  cangia  si,  che  più  non  sembra  quella. 
27 

Par  che  gli  occhi  siascondannelatesta; 
Cresciuto  il  naso  par  nel  viso  scarno  : 
De  la  beltà  si  poca  gli  ne  resta, 
Che  ne  potrà  far  paragone  indarno. 
Col  duo!  venne  una  febbre  si  molesta, 
Che  lo  fé'  soggiornar  all'Arbia  e  all'Arno  : 
E  se  di  bello  avea  serbata  cosa, 
Tosto  restò  come  al  sol  colta  rosa. 
28 

Oltre  ch'a  Fausto  incresca  del  fratello 
Che  veggia  a  simil  termine  condutto, 
Via  più  gì' incresce  che  bugiardo  a  quello 
Principe,  a  chi  lodollo,  parrà  in  tutto. 
Mostrar  di  tutti  gli  uomini  il  più  bello 
Gli  aveapromesso,  e  mostrerà  il  più  brutto. 
Ma  pur  continuando  la  sua  via, 
Seco  lo  trasse  al  fin  dentro  a  Pavia. 


25.  1.  Estimasi.  Il  riflessivo  è  usato  po- 
chissimo dagli  scrittori,  e  i  vocabolari  nep- 
pur  lo  citano. 

—  5.  gonfiate  1.  È  un  ricordo  deWenfiata 
labbia  di  Dante  {In/.  7,  8);  ma  gli  antichi 
poeti,  per  volto  usaron  sempre  il  singolare, 

—  8.  poco  giova.  Sottintendi  gli  :  poco 
giova  a  lui. 

26.  6.  non  si  raccoglie;  non  si  trattiene. 
È  rispondente  al  fugge  :  cfr.  e.  xi,  1,  n.  2. 

27.  4.  far  paragone  ;  dar  prova  nella  gara. 
È  espressione  tolta  dal  linguaggio  cavalle- 
resco, in  cui  far  paragone  significa  dar 
prova  di  una  cosa  colle  armi:  V.  e.  i,  61, 
n.  4. 

—  6.  Arbia;  fiume  della  provincia  di 
Siena. 

28.  1.  Oltre  che  ...  incresca.  V.  e.  vi,  79, 
n.  1. 

—  2.  veggia.  Il  congiunt.  indica  che  il 
pensiero  è  enunziato  come  parte  integrante 
della  proposiz.  precedente.  V.  st.  1,  n.  8. 


29  [viso, 

Già  non  vuol  che  lo  vegga  il  Re  impro- 
Per  non  mostrarsi  di  giudicio  privo  : 
Ma  per  lettere  inanzi  gli  dà  avviso. 
Che  '1  suo  fratel  ne  viene  a  pena  vivo; 
E  ch'era  stato  all'aria  del  bel  viso 
Un  affanno  di  cor  tanto  nocivo. 
Accompagnato  da  una  febbre  ria. 
Che  più  non  parca  quel  ch'esser  solia. 
30 

Grata  ebbe  la  venuta  di  Giocondo, 
Quanto  potesse  il  Re  d'amico  avere  v. 
Che  non  avea  desiderato  al  mondo 
Cosa  altretanto,  che  di  lui  vedere. 
Né  gli  spiace  vederselo  secondo, 
E  di  bellezza  dietro  rimanere; 
Ben  che  conosca,  se  non  fosse  il  male. 
Che  gli  saria  superiore  o  uguale. 
31 

Giunto,  lo  fa  alloggiar  nel  suo  palagio; 
Lo  visita  ogni  giorno,  ogni  ora  n'ode; 
Fa  gran  prò  vision  che  stia  con  agio; 
E  d'onorarlo  assai  si  studia^  gode. 
Langue  Giocondo  ;  che  'I  pensier  malvagio 
C'ha  de  la  ria  moglier,  sempre  lo  rode  : 
Né  '1  veder  giochi,  né  musici  udire, 
Dramma  del  suo  dolor  può  minuire. 
32 

Le  stanze  sue  che  sono  appresso  al  tetto 
L'ultime,  inanzi  hanno  una  sala  antica. 
Quivi  solingo  (perché  ogni  diletto, 
Perché  ogni  compagnia  prova  nimica) 
Si  ritraea,  sempre  aggiungendo  al  petto 
Di  più  gravi  pensier  nuova  fatica  ; 
E  trovò  quivi  (or  chi  lo  crederla?) 
Chi  lo  sanò  de  la  sua  piaga  ria. 
33 

In  capo  de  la  sala,  ove  è  più  scuro 
(Che  nou  vi  s'usa  le  finestre  aprire). 
Vede  che  '1  palco  mal  si  giunge  al  muro; 
E  fa  d'aria  più  chiara  un  raggio  uscire. 
Pon  l'occhio  quindi,  e  vede  quel  che  duro 
A  creder  fora  a  chi  l'udisse  dire  : 
Non  l'ode  egli  d'altrui,  ma  se  lo  vede; 


29.  5.  aria,  aspetto.  V.  e.  xxx,  79,  3:  «  Del 
bel  viso  turbar  l'aria  le  fece  ». 

31.  2.  n'ode;  Sottint.  le  notizie,  che  gli 
riferiscono. 

—  3.  F.  g.  prov.  che;  fa  grande  provvista 
di  ogni  cosa,  perché  st.  e.  a.  —  che,  perché, 
affinché.  V.  e.  xxui,  87,  n.  1. 

32.  8.  Chi,  cosa  che.  Cosi  1' Alamanni, 
Coltiv.  3,  571  :  «  O  van  tessendo  chi  le  scaldi 
e  cuopra  ». 

33.  5.  quindi.  Aspetteremmo  piuttosto 5ui- 
vi  ;  ma  qui,  per  una  specie  di  sillessi,  deve 
intendersi  :  pone  l'occhio  per  vedere  quindi. 

—  7.  se  lo  vede;  lo  vede  da  sé  stesso. 
Locuzione  non  comune,  foggiata  sopra  altre, 
in  cui  il  ne  ha  quel  significato;  come:  non 


CANTO  XXVIII 


383 


Et  anco  agli  occhi  suoi  propri  non  crede. 
34 

Quindi  scopria  de  la  Regina  tutta 
La  più  secreta  stanza  e  la  più  bella, 
Ove  persona  non  verria  introdutta, 
Se  per  molto  fedel  non  l'avesse  ella. 
Quindi  mirando  vide  in  strana  lutta, 
Ch'un  Nanoavviticcliiato  era  con  quella; 
Et  era  quel  piccin  stato  si  dotto, 
Che  laEeginaavea  messa  di  sotto. 
35 

Attonito  Giocondo  e  stupefatto, 
E  credendo  sognarsi,  un  pezzo  stette; 
E  quando  vide  pur,  ch'egli  era  in  fatto 
E  non  in  sogno,  a  sé  stesso  credette. 
A  uno  sgrignuto  mostro  e  contrafatto 
Dunque  (disse)  costei  si  sottomette, 
Che'l  maggior  Re  del  mondo  ha  per  marito. 
Più  bello  e  più  cortese?  Oh  che  appetito  ! 
36 

E  de  la  moglie  sua  che  cosi  spesso 
Più  d'ognaltra  biasmava,  ricordosse, 
Perché  '1  ragazzo  s'avea  tolto  appresso  : 
Et  or  gli  parve  che  escusabil  fosse. 
Non  era  colpa  sua  più  che  del  sesso. 
Che  d'un  solo  uomo  mai  non  contentosse: 
E  s' han  tutte  una  macchia  d'uno  inchio- 

[stro, 
Almen  la  sua  non  s'avea  tolto  un  mostro. 
37 

Il  di  seguente,  alla  medesima  ora, 
Al  medesimo  loco  fa  ritorno; 
E  la  Regina  e  il  Nano  vede  ancora. 
Che  fanno  al  Re  pur  il  medesmo  scorno. 
Trova  l'altro  di  ancor  che  si  lavora, 
E  l'altro;  e  al  fin  non  si  fa  festa  giorno: 
E  la  Regina  (che  gli  par  più  strano) 
Sempre  si  duol  che  poco  l'ami  il  Nano. 

38  [ch'ella 

Stette  fra  gli  altri  un  giorno  a  veder, 
Era  turbata  e  in  gran  malenconia. 
Che  due  volte  chiamar  per  la  donzella 
TI  Nano  fatto  avea,  né  ancor  venia. 
Mandò  la  terza  volta;  et  udi  quella. 
Che  :  Madonna,  egli  giuoca;  riferia; 
E  per  non  stare  in  perdita  d'un  soldo, 
A  voi  niega  venire  il  manigoldo. 


aspettò  che  gli  dessero  quella  tal  cosa,  ma 
se  la  prese. 

35.  5.  sgrignato  ;  gobbo;  che  ha  dietro 
uno  sgrigno.  Vocabolo  popolare  già  molto 
in  uso  a  Firenze.  L'usarono  il  Pulci,  il  Me- 
dici e  altri. 

—  8.  Più  b.  e  p.  e.  Si  deve  sottintendere 
l'articolo,  rilevandolo  dal  comparativo  pre- 
cedente, il  magiiior.  —  appetito,  gusto. 

37.  6.  non  si  fa  f.  g.  ;  non  si  fa  vacanza 
un  sol  giorno. 

—  7.  che,  il  che.  Cosi  nel  c.xxiv,  31,  5; 
XXXIY,  20,  5. 


39 

A  si  strano  spettacolo  Giocondo 
Rasserena  la  fronte  e  gli  occhi  e  il  viso; 
E,  quale  in  nome,  diventò  giocondo 
D'etfetto  ancora,  e  tornò  il  pianto  in  riso. 
Allegro  torna  e  grasso  e  rubicondo. 
Che  sembra  un  Cherub.in  del  Paradiso; 
Che  'i  Re,  il  fratello  e  tutta  la  famiglia 
Di  tal  mutazion  si  maraviglia. 
40 

Se  da  Giocondo  il  Re  bramava  udire 
Onde  venisse  il  subito  conforto. 
Non  men  Giocondo  lo  bramava  dire, 
E  fare  il  Re  di  tanta  ingiuria  accorto. 
Ma  non  vorria  che  più  di  sé,  punire 
Volesse  il  Re  la  moglie  di  quel  torto  : 
Si  che  per  dirlo,  e  non  far  danno  a  lei, 
Il  Re  fece  giurar  su  l'Agnusdei. 
41 

Giurar  lo  fé'  che  né  per  cosa  detta. 
Né  che  gli  sia  mostrata  che  gli  spiaccia, 
Ancor  ch'egli  conosca  che  diretta- 
Mente  a  sua  Maestà  danno  si  faccia, 
Tardi  o  per  tempo  mai  farà  vendetta; 
E  di  più,  vuole  ancor  che  se  ne  taccia. 
Si  che  né  il  malfattor  giamai  comprenda 
In  fatto  0  in  detto,  che  '1  Re  il  caso  intenda. 
42 

Il  Re,  ch'ognaltra  cosa,  se  non  questa, 
Creder  potria,  gli  giurò  largamente. 
Giocondo  la  cagion  gli  manifesta, 
Ond'era  molti  di  stato  dolente  : 
Perché  trovata  avea  la  disonesta        [te; 
Sua  moglie  in  braccio  d'un  suo  vii  sergen- 
E  che  tal  pena  al  fin  l'avrebbe  morto, 
Se  tardato  a  venir  fosse  il  conforto. 
43 

Ma  in  casa  di  sua  Altezza  avea  veduto 
Cosa  che  molto  gli  scemava  il  duolo; 

39.  4.  D'effetto,  di  fatto.  Così  nel  e.  xxv, 
89,  5. 

—  7.  Cile  ;  cosi  che.  V.  e.  i,  57,  n.  7. 

40.  5.  pili  di  sé;  più  di  quanto  avea  fatto 
egli  colla  sua.  Giustamente  il  Xisiely  dice 
oscuro  questo  modo.  Più  chiaro  sarebbe  più. 
di  lui:  se  per  lui  xii  66,  7;  xvii,  121,  5. 

—  S.  Agnnsdei;  ostia  sacra.  In  questo 
senso  non  è  usato.  L'a.  forse  l'usò  pensando 
alle  parole,  che,  poco  prima  della  comunio- 
ne, dice  il  sacerdote  nella  messa:  agnus 
dei,  qui  tollis  peccata  mundi  ecc.  ;  se  pure 
non  fu  un  uso  locale. 

41.  7.  né,  neppure.  V.  e.  Il,  41,  n.  4. 

—  S.  intenda,  sappia.  Forse  più  che  un 
uso  speciale  del  verbo  intendere  è  da  ve- 
dervi l'uso  non  regolare  del  pres.  invece 
del  passato  abbia  inteso,  sia  venuto  a  co- 
noscere. 

42.  1.  se  non  questa,  fuorché  questa.  V. 
c  xviii,  84,  n.  7;  e  xuii,  13,  6. 


334 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  56  bene  in  obbrobrio  era  caduto, 
Era  almen  certo  di  non  v'esser  solo. 
Cosi  dicendo,  e  al  bucolin  venuto, 
Gli  dimostrò  il  bruttissimo  omicciuolo 
Che  la  giumenta  altrui  sotto  si  tiene, 
Tocca  di  sproni,  e  fa  giuocar  di  schene. 
44 
Se  parve  al  Re  vituperoso  l'atto 
Lo  crederete  ben,  senza  ch'io  '1  giuri. 
Ne  fu  per  arrabbiar,  per  venir  matto; 
Ne  fu  per  dar  del  capo  in  tutti  i  muri  : 
Fu  per  gridar,  fu  per  non  stare  al  patto  ; 
Ma  forza  è  che  la  bocca  al  fin  si  turi, 
E  che  l'ira  trangugi  amara  et  aera. 
Poi  che  giurato  avea  su  l'ostia  sacra. 
45 
Che  debbo  far,  che  mi  consigli,  frate  ? 
(Disse  a  Giocondo)  poi  che  tu  mi  tolli 
Che  con  degna  vendetta  e  crudeltate 
Questa  giustissima  ira  io  non  satolli  ? 
Lasciàn  (disse  Giocondo)  queste  ingrate, 
E  proviam  se  son  l'altre  cosi  molli  ; 
Facciàn  de  le  lor  femine  ad  altrui 
Quel  ch'altri  de  le  nostre  han  fatto  a  nui. 
46 
Ambi  gioveni  siamo,  e  di  bellezza, 
Che  facilmente  non  troviamo  pari. 
Qual.femina  sarà  che  n'usi  asprezza. 
Se  centra  i  brutti  ancor  non  han  ripari  ? 
Se  beltà  non  varrà  né  giovinezza, 
Varranne  almen  l'aver  con  noi  danari. 
Non  vo'  che  torni,  che  non  abbi  prima 
Di  mille  moglie  altrui  la  spoglia  opima. 
47 
La  lunga  absenzia,  il  veder  vari  luoghi, 
Praticare  altre  femine  di  fuore, 
Par  che  sovente  disacerbi  e  sfoghi 
De  l'amorose  passioni  il  core. 
Lauda  il  parer,  né  vuol  che  si  proròghi 
Il  Re  l'andata;  e  fra  pochissime  ore 
Con  duo  scudieri,  oltre  alla  compagnia 
Del  cavallier  Roman,  si  mette  in  via. 
48 
Travestiti  cercare  Italia,  Francia, 
Le  terre  de'  Fiaminghi  e  de  l'Inglesi; 
E  quante  ne  vedean  di  bella  guancia. 


44.  1-2.  Se  parve...  lo  crederete.  Vi  è  l'u- 
nione di  due  costrutti,  uno  dubitativo:  se 
parve...  pensatelo;  l'altro  affermativo:  che 
parve...  lo  crederete. 

—  3.  Ne  fu  ecc.;  fu  per  arrabbiarne,  per 
darne  (per  dare  in  causa  di  ciò)  ecc. 

45.  1.  Che  debbo  f.  È  un  verso  del  Pe- 
trarca II,  canz.  l:  «  Che  debbo  far,  che  mi 
consigli,  Amore  ?  ». 

—  2-3.  tolU...  che  con:  V,  e.  xilt,  10,  n.  3. 

46.  1.  di  bellezza  che:  Sottintendi  tale: 
Siano  di  tal  bellezza  che  ecc. 

47.  3.  sfoEhi,  vuoti,  liberi.  In  questo  senso 
non  è  citato  dai  vocabolari. 


Trovavan  tutte  ai  prieghi  lor  cortesi. 
Davano,  e  dato  loro  era  la  mancia; 
E  spesso  rimetteano  i  danar  spesi. 
Da  lor  pregate  foro  molte,  e  foro 
Anch'altretante  che  pregaron  loro. 
49 
In  questa  terra  un  mese,  in  quella  dui 
Soggiornando,  accertarsi  a  vera  prova 
Che  non  men  ne  le  lor,  che  ne  l'altrui 
Femine,  fede  e  castità  si  trova. 
Dopo  alcuu  tempo  increbbe  ad  ambedui 
Di  sempre  procacciar  di  cosa  nuova; 
Che  mal  poteano  entrar  ne  l'altrui  porte. 
Senza  mettersi  a  rischio  de  la  morte. 
.50 
Gli  è  meglio  una  trovarne  che  di  faccia 
E  di  costumi  ad  ambi  grata  sia; 
Che  lor  communemente  sodisfaccia, 
E  non  n'abbin  d'aver  mai  gelosia. 
E  perché  (dicea  il  Re)  vuo'  che  mi  spiaccia 
Aver  più  te,  eh' un  altro  in  compagnia? 
So  ben  ch'in  tutto  il  gran  femineo  stuolo 
Una  non  è  che  stia  contenta  a  un  solo. 
51 
Una  (senza  sforzar  nostro  potere, 
Ma  quando  il  naturai  bisogno  inviti) 
In  festa  goderemoci  e  in  piacere; 
Che  mai  contese  non  avrèn  né  liti. 
Né  credo  che  si  debba  ella  dolere: 
Che  s'anco  ogn'altra  avesse  duo  mariti, 
Più  ch'ad  un  solo,  a  duo  saria  fedele; 
Né  forse  s' udirian  tante  querele. 
52 
Di  quel  che  disse  il  Re,  molto  contento 
Rimaner  parve  il  giovine  Romano. 
Dunque  fermati  in  tal  proponimento, 
Cercar  molte  montagne  e  molto  piano. 
Trovaro  al  fin,  secondo  il  loro  intento, 
Una  figliuola  d'uno  ostiero  Ispano, 
Che  tenea  albergo  al  porto  di  Valenza, 
Bella  di  modi  e  bella  di  presenza. 
53 
Era  ancor  sul  fiorir  di  primavera 
Sua  tenerella  e  quasi  acerba  etade. 
Di  molti  figli  il  padre  aggravat'era, 
E  nimico  mortai  di  povertade  : 
Si  ch'a  disporlo  fu  cosa  leggiera, 
Che  desse  lor  la  figlia  in  potestade  ; 


I 


48.  5.  dato  loro  ecc.  Ciò  è  chiarito  dal- 
l'ultimo verso  della  st.  Sulla  concordanza 
di  dato  cfr.  e.  v,  85,  n.  5. 

49.  6.  procacciar  dì;  Comunemente  pro- 
cacciare una  cosa.  Si  trovano  anche  esempi 
di  questo  costrutto.  Tesoro  di  Brun.  L.^t. 
5,  36:  «(Lo  struzzo)  vassene  a  procacciare 
di  sua  pastura  ». 

50.  4.  d'aver,  da  aver.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

51.  4.  Che,  poiché.  Cosi  pure  il  che  del  v.  6. 
58.  7.  Valenza,  città  della  Spagna. 


CANTO   XXVlil 


385 


Oh'ove  piacesse  lor  potesson  trarla, 
Poi  che  promesso  aveau  di  ben  trattarla. 

54 
Piffliano  la  fanciulla,  e  piacer  n'hanno, 
Or  l'uno  or  l'altro,  in  caritade  e  in  pace, 
Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, 
Or  l'uno  or  l'altro,  fiato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno, 
E  passar  poi  nel  regno  di  Siface; 
E  '1  di  che  da  Valenza  si  partirò. 
Ad  albergare  a  Zattiva  venire. 

55 
I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 
Ne  vanno,  e  lochi  publici  e  divini  ; 
Ch'usanza  lian  di  pigliar  simil  solazzi 
In  ogni  terra  ove  entran  peregrini; 
E  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 
Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata 
Dei  Signor  lor  la  cena  apparecchiata. 

5G 
Ne  l'albergo  un  garzon  stava  per  fant-e, 
€h'ia  casa  de  la  giovene  già  stette 
A  servigi  del  padre,  e  d'essa  amante 
Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amorgodette. 
Ben  s'adocchiar, ma  non  ne fér sembiante; 
Ch'esser  notato  ognun  di  lor  temette: 
Ma  tosto  eh'  i  patroni  e  la  famiglia 
Lor  dieron  luogo,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

57 
Il  fante  domandò  dove  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  Signor  l'avesse  seco. 
A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 
(Cosi  aveanome,  e  quel  garzone  il  Greco). 
Quando  sperai  che'ltempo,oimè!  venisse 
(11  Greco  le  dicea)  di  viver  teco, 
Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 


come  i  man- 


54.  3.  Come  ecc.  Costruisci  : 
tici  che  danno  a  vicenda  ecc. 

—  6.  regno  di  S.  ;  la  Mauritania  in  Affrica, 
■dove,  ai  tempi  di  Scipione,  fu  re  siface: 
<c.  200  a.  a.  C). 

—  8.  Zattiva,  Xativa  o  lativa,  città  della 
Spagna.  —  yeniro;  V.  e.  Vi,  81,  n.  3.  È  forma 
usata  sempre  in  rima;  cfr.  e.  xxvn,  24; 
xm.  73. 

66.  5.  ragazzi,  servi  (etimol.  incerta:  al- 
cuni dal  gr.  rhàke.  veste  lacera,  quindi  strac- 
cione, poi  serm:  altri  dalla  parola  dialettale 
vagar,  tosare;  quindi  sarebbe  affine  a  moz- 
zo e  toso.  E  poiché  i  servi  sogliono  esser  gio- 
vani,si  vede  facilmente  il  trapasso). /eas^aj^t 
eran  detti  anticamente  quei  servitori,  che 
attendevano  ai  bassi  servizi  delle  camere, 
della  cucina,  e  della  stalla. 

56.  3.  A  servigi,  ai  servigi.  V.  e.  n,  15 
n.  8. 

—  8.  dieron  luogo;  dettero  agio.  Dante,  | 
Par.  33,  7  :  «  Ma  poi  che  l'altre  vergini  dier  1 
loco  A  lei  di  dir  >. 


E  non  so  piti  di  rivederti  mai. 
58 
rannosi  i  dolci  miei  disegni  amari, 
Poi  che  sei  d'altri,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava,  avendo  alcun  danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, 
Ch'avanzato  ra'aveade'  miei  salari 
E  de  le  bene  andate  di  molti  osti, 
Di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. 
59 
La  fanciulla  ne  gli  omeri  si  stringe, 
E  risponde  che  fu  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finge. 
Vuommi  (dice)  lasciar  cosi  morire  ? 
Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinge; 
Lasciami  disfogar  tanto  desire  : 
Ch'  innanzi  che  tu  parta,  ogni  momento 
Che  teco  io  stia  mi  fa  morir  contento. 
60 
La  pietosa  fanciulla  rispondendo  : 
Credi,  dicea,  che  men  di  te  noi  bramo; 
Ma  né  luogo  né  tempo  ci  comprendo 
Qui,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. 
Il  Greco  soggiungea:  Certo  mi  rendo. 
Che  s'un  terzo  ami  me  di  quel  eh' io  t'amo, 
In  questa  notte  almen  troverai  loco 
Che  ci  potrèn  godere  insieme  un  poco. 
61 
Come  potrò  (diceagli  la  fanciulla)  [ciò? 
Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte giac- 
E  meco  or  l'uno  or  l'altro  si  trastulla, 
E  sempre  all'un  di  lor  mi  trovo  in  braccio? 
Questo  ti  fia  (soggiunse  il  Greco)  nulla; 
Che  ben  ti  saprai  tór  di  questo  impaccio, 
E  uscir  di  mezzo  lor,  pur  che  tu  voglia: 
E  dei  voler,  quaudo  di  me  ti  doglia. 
62 
Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
Quando  creder  potrà  ch'ognuno  dorma; 


57.  8.  E  non  so  più  ecc.  Costruisci:  E  non 
so  di  rivederti  più  mai,  più  altra  volta. 

58.  3.  alcun  dan.  V.  e.  x,  99,  n.  5. 

—  6.  de  le  b.  d.  m.  o.  Puoi  intendere  r 
delle  mance  datemi  da  molti  ospiti,  avven- 
tori. Oste  per  ospite  l'abbiamo  nel  e.  xxxui, 
59;  XLii,  97;  xvn,  71.  Ma  puoi  anche  inten- 
dere: delle  benuscite,éei  benservito  datimi 
da  molti  osti,  al  cui  servizio  sono  stato. 

59.  5.  cinge,  cingi.  V.  e.  x,  49,  n.  7. 

60.  3.  ci  comprendo,  ci  vedo  V.  e.  XXU. 
37,  n.  3.  : 

—  4.  in  mezzo  di  t.  o.;  in  mezzo  a  tanti 
occhi.  Gli  scrittori  antichi  usarono  più  spes- 
so in  messo  colla  prep.  di,  o  senza  prepos. 
(cfr.  e.  VI,  23,  n.  8),  che  colla  prep.  a,  come 
si  usa  oggi. 

—  7.  trov.  loco;  trov.  modo,  àgio.  T.  st 
56,  8. 


Abiosto  —  Papuji 


386 


ORLANDO  FURIOSO 


E  pianamente  come  far  convegna, 
E  de  l'andare  e  del  tornar  l' informa. 
Il  Greco,  si  come  ella  gli  disegna, 
Quando  sente  dormir  tutta  la  torma, 
Vieneall'uscioe  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: 
Entra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

6S  [dietro 

Fa  lunghi  i  passi,  e  sempre  in  quel  di 
Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova 
A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro; 
Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  Tuo- 
E  tien  la  mano  iuauzi  simil  metro;     [va: 
Va  brancolando  in  fin  che  '1  letto  trova; 
E  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante, 
Tacito  si  cacciò  col  capo  iuaute. 

64 
Fra  l'una  e  l'altragamba  di  Fiammetta, 
Che  supina  giacca,  diritto  venne; 
E  quando  le  fu  a  par,  l'abbracciò  stretta 
E  sopra  lei  sin  presso  al  di  si  tenne. 
Cavalcò  forte,  e  non  andò  a  staffetta; 
Che  mai  bestia  mutar  non  gli  convenne: 
Che  questa  pare  a  lui  che  si  ben  frotte, 
Che  scender  non  ne  vuol  per  tutta  notte. 

65 
Avea  Giocondo,  et  avea  il  Re  sentito 
ir  calpestio  che  sempre  il  letto  scosse; 
E  l'uno  e  l'altro,  d'uno  error  schernito, 
S'avea  creduto  che  '1  compagno  fosse. 
Poi  ch'ebbe  il  Greco  il  suo  camin  fornito, 
Si  come  era  venuto,  anco  tornosse. 
Saettò  il  sol  da  l'orizonte  i  raggi: 
Sorse  Fiammetta,  e  fece  entrarci  paggi. 

66 
Il  Re  disse  al  compagno  motteggiando: 
Frate,  molto  camin  fatto  aver  dei; 
E  tempo  è  ben  che  ti  riposi,  quando 
Stato  a  cavallo  tutta  notte  sei. 
Giocondo  a  lui  rispose  di  rimando, 
E  disse:  Tu  di'  quel  ch'io  a  dire  avrei. 
A  te  tocca  posare,  e  prò  ti  faccia  ; 
Che  tutta  notte  hai  cavalcato  a  caccia. 

67  [fallo 

Anch'io  (soggiunse  il  Re)  senza  alcun 
Lasciato  avria  il  mio  can  correre  un  tratto. 
Se  m'avessi  prestato  un  po'  il  cavallo. 
Tanto  che  '1  mio  bisogno  avessi  fatto. 
Giocondo  replicò  :  Son  tuo  vassallo, 


62.3.  pianameute;  Qui  è  da  intendere 
chiaramente,  significato  derivato  dall'ag- 
gettivo piano,  chiaro.  I  vocabolari  non  ci- 
tano questo  senso,  che  qui  è  certissimo. 

63.  5.  la  mano  ;  È  soggetto. 

64.  5.  non  andò  a  ut.  Andare  asta/Tetta, 
0  per  istaffetta,  vale  andare  con  cavalli 
mutati  ad  ogni  posta. 

66.  3.  qnando,  poiché.  V.  e.  r,  18,  n.  3. 

67.  5.  Son  tno  vaBB.  Intendi  :  son  tuo  vas- 
sallo; e  per  impormi  che  npn  la  tocchi  mai 
piò,  non  occorre  che  tu  faccia  dei  giri  di 


E  puoi  far  meco  e  rompere  ogni  patto: 
Si  che  non  convenia  tal  cenni  usare; 
Ben  mi  potevi  dir:  Lasciala  stare. 
68 

Tanto  replica  l'un,  tanto  soggiunge 
L'altro,  che  sono  a  grave  lite  insieme. 
Vengon  da'  motti  ad  un  parlar  che  punge; 
Ch'ad  amenduo  l'esser  beffato  preme. 
Chiaman  Fiammetta  (che  non  era  lunge,^ 
E  de  la  fraude  esser  scoperta  teme) 
Per  fare  in  viso  l'uno  all'altro  dire 
Quel  che  negando  ambi  parean  mentire. 
69 

Dimmi  (ledisse  il  Re  con  fiero  sguardo),. 
E  non  temer  di  me  né  di  costui; 
Chi  tutta  notte  fu  quel  si  gagliardo, 
Che  ti  godè  senza  far  parte  altrui  ? 
Credendo  l'un  provar  l'altro  bugiardo. 
La  risposta  aspettavano  ambidui. 
Fiammetta  a'  piedi  lor  si  gittò,  incerta 
Di  viver  pili,  vedendosi  scoperta. 
70 

Domandò  lor  perdono,  che  d'amore 
Ch'a  un  giovinetto  avea  portato,  spinta,. 
E  da  pietà  d'un  tormentato  core 
Che  molto  avea  per  lei  patito,  vinta, 
Caduta  era  la  notte  in  quello  errore; 
E  seguitò,  senza  dir  cosa  finta, 
Come  tra  lor  con  speme  si  condusse, 
Ch'ambi  credesson  che '1  compagno  fusse. 
71 

Il  Re  e  Giocondo  si  guardaro  in  viso, 
Di  maraviglia  e  di  stupor  confusi  ; 
Né  d'aver  anco  udito  lor  fu  avviso. 
Ch'altri  duo  fusson  mai  cosi  delusi: 
Poi  scoppiaro  ugualmente  in  tanto  riso. 
Che  con  la  bocca  apertae  gli  occhi  chiusi,. 
Potendo  a  pena  il  fiato  aver  del  petto, 
A  dietro  si  lasciar  cader  sul  letto. 
72 

Poi  ch'ebbon  tanto  riso,  che  dolere 
Senesentiano  il  petto,  e  pianger  gli  occhi,. 
Disson  tra  lor  :  Come  potremo  avere 
Guardia,  che  la  mogliernonnel'accocchif 
Se  non  giova  tra  duo  questa  tenere, 
E  stretta  si  che  l'uno  e  l'altro  tocchi  ? 
Se  più  che  crini  avesse  occhi  il  marito, 
Non  potria  far  che  non  fosse  tradito. 


parole  rimproverandomi  d' averne  usato- 
troppo,  quando  nemmeno  r  ho  toccata:  ba- 
sta che  tu  mi  dica  :  lasciala  stare, 

—  7.  cenni,  accenni. 

68.  4.  preme,  dispiace,  reca  dolore.  Nel 
e.  XI,  14  abbiamo  di  più  il  complem.  ai  cor: 
gli  preme  al  cor;  ma  è  lo  stesso  costrutto. 

—  8.  Quel  ecc.;  quello,  negando  il  quale, 
pareva  all'uno  che  l'altro  mentisse. 

70.  1.  d'amore,  da  amore. 

72.  4.  ne  l'accocchi;  ce  l'accocchi?  accoc- 


CANTO  xxvm 


387 


73 

Provate  mille  abbiamo,  e  tutte  belle  ; 
Né  di  tante  uua  è  ancor  che  ne  contraste. 
Se  proviàn  l'altre,  fian  simili  anch'elle  ; 
Ma  per  ultima  prova  costei  baste. 
Dunque  possiamo  creder  che  più  felle 
Non  sien  le  nostre,  o  men  de  l'altrecaste: 
E  se  son  come  tutte  l'altre  sono 
Che  torniamo  a  godercile  fia  buono. 

74  [ro 

Conchiuso  ch'ebbon  questo,  chiamar  lè- 
Per  Fiammetta  medesima  il  suo  amante; 
E  in  presenzia  di  molti  gli  la  diero 
Per  moglie,  e  dote  che  gli  fu  bastante. 
Poi  montaro  a  cavallo,  e  il  lor  sentiero 
Ch'era  a  Ponente,  volsero  a  Levante; 
Et  alle  mogli  lor  se  ne  tornare. 
Di  ch'atìauno  mai  più  non  si  pigliaro. 
75 

L'ostier  qui  fine  alla  sua  istoria  pose, 
Che  fu  con  molta  attenzione  udita. 
Udilla  il  Saracin,  né  gli  rispose 
Parola  mai,  fin  che  non  fu  finita. 
Poi  disse:  Io  credo  ben  che  de  l'ascose 
Feminil  frode  sia  copia  infinita; 
Né  si  potria  de  la  millesma  parte 
Tener  memoria  con  tutte  le  carte. 

76  [retta 

Quivi  era  un  uora  d'età,  ch'avea  più 
Opinion  degli  altri,  e  ingegno  e  ardire; 
E  non  potendo  ormai,  che  si  negletta 
Ogni  femina  fosse,  più  patire; 
Si  volse  a  quel  ch'avea  l'istoria  detta, 
E  gli  disse:  Assai  cose  udimo  dire. 
Che  veritade  in  sé  non  hanno  alcuna; 
E  ben  di  queste  è  la  tua  favola  una. 
77 

A  chi  te  la  narrò  non  do  credenza, 
S'Evangelista  ben  fosse  nel  resto  ; 
Ch'opinione,  più  ch'esperienza 


car€,  presa  T  idea  dalla  cocca  della  freccia, 
vale  assestare  un  colpo:  Dante,  Inf.  21, 102. 

73.  2.  ne  centraste;  dia  contro  alla  nostra 
opinione. 

74.  5.  sentiero  ;  viaggio.  V.  e.  xiv,  91  ; 
XV,  16,  XI),  11,  n.  6. 

—  8.  Di  eh'  ;  di  che,  o  di  cui,  delle  quali. 
Nella  prima  ediz.  qui  seguiva  una  stanza, 
che  poi  l'A.  soppresse. 

75.  6.  frode.  O  dall'antico  froda,  o  è  un 
plurale  in  e  come  nel  e.  ix,84,  1,  dove  vedi 
la  nota. 

76.  3.  negletta;  qui  ha  il  significato  no- 
tevole di  vilipesa. 

—  6.  ndimo,  udiamo.  Terminazione  popo- 
lare ancor  viva  nei  volghi  toscani,  special- 
mente nel  Pisano. 

77.  2.  Evangelista,  un  evangelista;  o  asso- 
lutamente per  S.  Giovanni  Evangel.  come 
Dam*,  Inf.  19,  106. 


Ch  abbia  di  donne,  lo  facea  dir  questo. 
L'avere  ad  una  o  due  malivolenza. 
Fa  ch'odia  ebiasma  l'altre  oltre  all'onesto  ; 
Ma  se  gli  passa  l'ira,  io  vo'  tu  l'oda. 
Più  ch'ora  biasmo,  anco  dar  lor  gran  loda. 
78 

E  se  vorrà  lodarne,  avrà  maggiore 
Il  campo  assai,  ch'a  dirne  mafncn  ebbe: 
Di  cento  potrà  dir  degne  d'onore 
Verso  una  trista  che  biasmar  si  debbe. 
Non  biasmar  tutte,  ma  serbarne  fuore 
La  bontà  d'infinite  si  dovrebbe; 
E  se  '1  Valerio  tuo  disse  altrimente, 
Disse  per  ira,  e  non  per  quel  che  sente. 
79 

Ditemi  un  poco:  è  di  voi  forse  alcuno 
Ch'abbia  servato  alla  sua  moglie  fede  '? 
Chenieghi andar,  quandogli  siaoportuno. 
All'altrui  donna,  e  darle  ancor  mercede  ? 
Credete  in  tutto  '1  mondo  trovarne  uno  ì 
Chi'l  dice,mente;  e  folle  è  ben  chi  '1  crede. 
Trovatene  vo'  alcuna  che  vi  chiami  ? 
(Non  parlo  de  le  pubbliche  et  infarai). 
80 

Conoscete  alcun  voi,  che  non  lasciasse 
La  moglie  sola,  ancor  che  fosse  bella, 
Per  seguire  altra  donna,  se  sperasse 
In  brev3  e  facilmente  ottener  quella? 
Che  farebbe  egli,  quando  lo  pregasse, 
O  desse  premio  a  lui  donna  o  donzella  ? 
Credo,  per  compiacere  or  queste  or  quelle, 
Che  tutti  lasciaremmovi  la  pelle. 

81 
Qelle  che  i  lor  mariti  hanno  lasciati, 

—  S.  anco,  anzi.  In  questo  senso  fu  co- 
munissimo a  Siena  e  l'A.  «  a  Firenze  ed  a 
Sieua  diede  opera  All'  eleganzie  »  (Negro- 
mante, prol.).  Nelle  lettere  di  S.  Caterina  è 
frequentissimo:  p.  es.  lett.  56:  «chi  va  per 
questa  via  non  erra,  anco  va  per  la  luce  ». 

78.  1.  lodarne;  Sta  per  lodarsene,  omesso 
il  pronome  personale?  È  un  costrutto  nuovo 
e  ardito:  lodare  di  uno,  dir  le  lodi  di  uno  ? 
Sta  per  lodarle  col  cambiamento  di  le  in  ne 
(cfr.  gliene  per  gliele;  dice  il  popolo  To- 
scano: dammi  queste  cose,  gliene  porto  io); 
cambiamento  prodotto  dalla  vicinanza  del 
seguente  dirne  ì  Ognuna  di  queste  spiega- 
zioni è  possibile;  ma  non  possiamo  confor- 
tarla con  esempi  opportuni;  se  pure,  per 
la  prima  ipotesi,  non  si  vuol  confrontare  il 
procacciar  della  st.  49  per  procacciarsi,  il 
proveder  del  e.  xxx,  73  per  provedersi  e 
qualche  altro  simile,  che  però  si  trovano 
già  cosi  usati  nella  letteratura,  il  che  non 
sappiamo  che  avvenga  per  lodare. 

—  5.  serbarne  fn ore;  levarne  fuori,  eccet- 
tuarne :  ma  e'  è  di  più  F  idea  di  conservarne 
la  degna  memoria. 

79.  7.  Trovatene;  ne  trovate.  CollQcasÙone 
insolita. 


388 


ORLANDO  FURIOSO 


Le  più  volte  cao^ione  avuta  n'hanno. 
Del  suo  di  casa  li  veggon  svogliati, 
E  che  fuor,  de  l'altrui  bramosi  vanuo. 
Dovriano  amar,  volendo  essere  amati; 
E  tòr  con  la  misura  ch'a  lor  danno. 
Io  farei  (se  a  me  stesse  il  darla  e  tórre) 
Tallegge,  ch'uom  non  vi  potrebbe  opporre. 
82 

Saria  la  legge,  ch'ogni  donna  colta 
In  adulterio,  fosse  messa  a  morte, 
Se  provar  non  potesse  ch'una  volta 
Avesse  adulterato  il  suo  consorte: 
Se  provar  lo  potesse,  andrebbe  asciolta, 
Ké  temerla  il  marito  né  la  corte. 
Cristo  ha  lasciato  nei  precetti  suoi  : 
Kon  far  altrui  quel  che  patir  non  vuoi. 
83 

La  incontinenza  è  quanto  mal  si  puote 
Imputar  lor,  non  già  a  tutto  lo  stuolo. 
Ma  in  questo,  chi  ha  di  noi  più  brutte  note  ? 
Che  continente  non  si  trova  un  solo. 
E  molto  più  n'  ha  ad  arrossir  le  gote, 
Quando  bestemmia,  ladroneccio,  dolo, 
Usura  et  omicidio,  e  se  v'  è  peggio. 
Raro,  se  non  dagli  uomini,  far  veggio. 
84 

Appresso  alle  ragioni  avea  il  sincero 
E  giusto  vecchio  in  pronto  alcuno  esempio 
Di  donne,  che  né  in  fatto  né  in  pensiero 
Mai  di  lor  castità  patiron  scempio. 
Ma  il  Saracin  che  fuggia  udire  il  vero, 
Lo  minacciò  con  viso  crudo  et  empio; 
Si  che  lo  fece  per  timor  tacere; 
Ma  già  non  lo  mutò  di  suo  parere. 
85 

Posto  ch'ebbe  alle  liti  e  alle  contese 
Termine  il  Re  pagan,  lasciò  la  mensa  : 
Indi  nel  letto,  per  dormir,  si  stese 
Fin  al  partir  de  l'aria  scura  e  densa; 


81.  6.  E  tòr  ecc.  ;  e  pretendere  amore 
nella  stessa  misura,  che  lo  danno. 

—  7.  tórre;  torla  (la  legge).  Su  questa 
omissione  del  pronome  cfr.  e.  i,  4,  n.  2. 

—  8.  opporre.  Sottiut.  nulla.  Cosi  asso- 
lutamente è  ancora  vivo  nell'uso. 

82.  4.  Avesse  adulterato.  Adulterare  per 
commettere  adulterio  è  bel  verbo  usato 
spesso  dagli  antichi,  ma  oggi  quasi  iutera- 
ineute  fuori  dell'uso. 

— .  6.  temerla.  In  senso  complesso:  avreb- 
be da  temere,  dovrebbe  temere.  —  la  corte, 
il  tribunale. 

83.  5.  n'  ha  ad  arr.  Rileva  dal  contesto  il 
soggetto:  ciascuno  di  noi.  —  ne,  di  questa 
incontinenza  deve  arrossire  maggiormente 
perché  è  unita  ad  altri  vizi.  —  arrossire,  co- 
munemente è  intransitivo. 

—  6.  Quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

:  84.  5.  foggia  udire;  rifuggiva  da  udire. 
Sull'omissione  della  prepos.  cfr.  e  i,  4,  n.  2. 


Ma  de  la  notte,  a  sospirar  l'oflfese 
Più  de  la  Donna  ch'a  dormir,  dispensa. 
Quindi  parte  all'uscir  del  nuovo  raggio, 
E  far  disegna  in  nave  il  suo  viaggio. 
86 

Però  ch'avendo  tutto  quel  rispetto 
Ch'a  buon  cavallo  dee  buon  cavalliero, 
A  quel  suo  bello  e  buono  eh'  a  dispetto 
Tenea  di  Sacripante  e  di  Ruggiero; 
Vedendo  per  duo  giorni  averlo  stretto 
Più  che  non  si  dovria  si  buon  destriero, 
Lo  pon,  per  riposarlo,  e  lo  rassetta 
In  una  barca,  e  per  andar  più  in  fretta. 
87 

Senza  indugio  al  nocchier  varar  labarca, 
E  dar  fa  i  remi  all'acqua  da  la  sponda. 
Quella,  non  molto  grande  e  poco  carca, 
Se  ne  va  per  la  Sonna  giù  a  seconda. 
Non  fugge  il  suo  peusier,  né  se  ne  scarca 
Rodomonte  per  terra  né  per  onda: 
Lo  trova  in  su  la  proda  e  in  su  la  poppa; 
E  se  cavalca,  il  porta  dietro  in  groppa. 
88 

Anzi  nel  capo,  o  sia  nel  cor  gli  siede, 
E  di  fuor  caccia  ogni  conforto  e  serra. 
Di  ripararsi  il  misero  non  vede, 


85.  5.  sospirarroSfese,  deplorare,  piangere. 
Si  cita  questo  solo  esempio  dell'  Ar.  per 
quest'uso  transitivo  del  verbo  sospirat^e. 

—  6.  dispensa,  impiega.  Cosi  nel  e.  xvn, 
69,  1;  XLii,  10. 

86.  5.  stretto  ;  forzato.  Si  citano  solo 
esempi  del  significato  metaforico  costringer 
la  volontà,  nessuno  di  questo  significato 
materiale. 

—  6.  si  dovria;  Sottintendi  stringer. 

—  7.  lo  rassetta,  lo  pone  ad  agio.  Machiav. 
As.  3:  «  attese  Le  bestie  a  rassettar  nel  loro 
ovile  »;  ma  è  raro. 

87.  1.  varar.  Comunemente  mettere  in 
tnare  una  barca  nuoua.'Qui  per  estensione 
tì-arre  in  acqua  la  barca  dalla  riva,  dove 
gli  antichi  solevano  tirare  colla  poppa  le 
navi  non  grandi. 

—  2.  da  la  sponda.  Quando  si  cessa  di  re- 
mare si  tirano  sulla  barca  i  remi;  quando 
si  vuol  remare  di  nuovo  si  calano  in  mare, 
appoggiandoli  alla  sponda  della  nave,  ov'è 
il  loro  posto.  È  uua  espressione  puramente 
descrittiva. 

88.  1.  0  sia;  vale  il  semplice  o.  Il  pensiero 
gli  siede  ora  nel  capo,  ora  nel  cuore  in 
quanto  si  unisce  al  sentimento.  Non  credo 
che  voglia  afcennare  alle  opinioni  dei  filo- 
sofi antichi,  che  riponevano  il  pensiero  al- 
cuni nel  cervello,  altri  nel  cuore. 

—  :3.  Dì  ripar...  non  vede;  Sottintendi  via, 
modo.  Costrutto  notevole  non  registrato  dai 
vocabolari;  a  da  non  confondere  con  gli 
altri  :  vedo  di  non  riuscire,   vedo  di  non 


CANTO  XXVIII 


'389 


Da  poi  che  gli  niraici  ha  ne  la  terra. 
Non  sa  da  chi  sperar  possa  mercede, 
Se  gli  fauno  i  domestici  suoi  guerra: 
La  notte  e  1  giorno  e  sempre  è  combattuto 
Da  quel  crudel  che  dovria  dargli  aiuto. 
89 

Naviga  il  giorno  e  lanette  seguente 
Eodomonte  col  cor  d'affanni  grave; 
E  non  si  può  l'ingiuria  tórdi  mente, 
Che  da  la  Donna  e  dal  suo  Re  avuto  have; 
E  la  pena  e  il  dolor  medesmo  sente, 
Che  sentiva  a  cavallo,  ancora  in  nave: 
Né  spegner  può,per  star  nePacqua,  il  fuo- 
Né  può  stato  mutar,  per  mutar  loco,    [co 
90 

Come  l'infermo  che,  dirotto  e  stanco 
Di  febbre  ardente,  va  cangiando  lato; 
O  sia  su  l'uno,  o  sia  su  l'altro  fianco. 
Spera  aver,  se  si  volge,  miglior  stato; 
Né  sul  destro  riposa  né  sul  manco, 
E  per  tutto  ugualmente  è  travagliato  : 
Cosi  il  Pagano  al  male,  ond'era  infermo, 
Mal  trova  in  terra  e  male  in  acqua  schermo. 
91 

Non  puote  in  nave  aver  più  pazienza, 
E  si  fa  porre  in  terra  Rodomonte. 
Lion  passa  e  Vienna,  indi  Valenza, 
E  vede  in  Avignone  il  ricco  ponte  ; 
Che  queste  terre  et  altre  ubidienza. 
Che  son  tra  il  fiume  e  '1  Celtibero  monte, 


potere,  ecc. ,  dove   vedere  significa  com- 
prendere. 

—  6.  i  domestici  s.;  i  suoi  di  casa;  cioè  ì 
pensieri.  Ricorda  l'espressione  del  vangelo: 
«  inimici  eius  domestici  eius  ». 

—  8.  Da  quel  crnd.  ;  dal  SUO  pensiero,  che 
solo  potrebbe  sollevare  il  cuore,  rilevando 
i  pochi  pregi  di  Doralice. 

90.  ].  Come  ecc.  Dante,  Pure;.  6,  149: 
«  Vedrai  te  somigliante  a  queir  inferma, 
Che  non  può  trovar  posa  in  sulle  piume, 
Ma  con  dar  volta  il  suo  dolore  scherma  ». 
Avverti  come  l'epico  ha  allungato  la  compa- 
razione Dantesca.  Cosi  ha  fatto  nel  e.  vi,  27. 

—  3.  0  sia...  0  sia;  Costruisci  e  intendi: 
Spera  aver  migl.  stato  se  si  volge  ora  sul- 
l'uno ora  sull'altro  fianco.  E  avverti  il  si- 
gnificato notevole  di  o  sia. 

91.  3.  Vienna  ;  Città  di  Francia  nel  Delfi- 
nato.  —  Valenza;  Valence;  città  sulla  linea 
Ijone-Marsilia. 

—  4.  il  ricco  ponte  ;  Il  ponte  famoso,  che 
univa  le  due  rive  del  Rodano,  su  19  bellis- 
simi archi.  Fu  costruito  nel  1177-1188,  e  di- 
strutto quasi  interamente  dalla  inondazione 
del  1669.  Qui  dunque  iW.  ha  fatto  un  ana- 
cronismo. 

—  6.  flome  ;  il  Rodano.  —  Celtibero  monte, 
il  monte  Idubeba  o  Subalda,  parte  dei  Pi- 
renei, che  divide  la  Francia  dalla  Spagna 
Tarragonese,  detta  dai  Romani  Celtìberia, 


Rendean  al  Re  Agraraante  e  al  Re  di  Spa- 

Dal  di  che  fur  signor  de  la  campagna,  [gua 

92 

Verso  Acquaniortaaman dritta  si  tenne 
Con  animo  in  Algier  passare  in  fretta; 
E  sopra  un  fiume  ad  una  villa  venne 
E  da  Bacco  e  da  Cerere  diletta  ; 
Che  per  le  spesse  ingiurie,  che  sostenne 
Dai  soldati,  a  votarsi  fu  constretta. 
Quinci  il  gran  mare,  e  quindi  ne  l'apriche 
Valli  vede  ondeggiar  le  bionde  spiche. 
93 

Quivi  ritrova  una  piccola  chiesa 
Di  nuovo  sopra  un  monticel  murata; 
Che  poi  ch'intorno  era  la  guerra  accesa, 
I  sacerdoti  vota  avean  lasciata. 
Per  stanza  fu  da  Rodomonte  presa  ; 
Che  pel  sito,  e  perch'era  sequestrata 
Dai  campi,  ondeavea  in  odio  udir  novella. 
Gli  piacque  si,  che  mutò  Algieri  in  quella. 
94 

Mutò  d'andare  in  Africa  pensiero  : 
Si  commodo  gli  parve  il  luogo  e  bello. 
Famigli  e  carriaggi  e  il  suo  destriero 
Seco  alloggiar  fé'  nel  medesmo  ostello. 
Vicino  a  poche  leghe  a  Mompoliero, 
E  ad  alcun  altro  ricco  e  buon  castello 
Siede  il  villaggio  allato  alla  riviera; 
Si  che  d'avervi  ogn'agio  il  modo  v'era. 
95 

Standovi  un  giorno  il  Saracin  pensoso 
(Come  pur  era  il  pili  del  tempo  usato), 
Vide  venir  per  mezzo  un  prato  erboso. 
Che  d'un  piccol  sentiero  era  segnato, 
Una  donzella  di  viso  amoroso 
In  compagnia  d'un  monaco  barbato  ; 
E  si  traeano  dietro  un  gran  destriero 
Sotto  una  soma  coperta  di  nero. 


e  oggi  Aragona.  Agramante  avea  ridotto  in 
suo  potere  «  Venendo  da  Parigi  al  lito  ame- 
no D'acquamorta  e  voltando  inver  la  Spagna, 
Ciò  che  v'  è  da  man  destra  di  campagna 
(e.  xxvii,  128)  ».  Sull'occupazione  di  queste 
terre  fatta  da  Agramante  e  Marsilio  cfr.  e. 
XIV,  105. 

92.  1.  Acqnamorta;  Aigues-mortes. 

—  2.  Con  animo...  passare.  Solita  omissione 
della  prep.  di  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

93.  7.  Dai  campi;  dai  campi  militari.  — 
onde,  dai  quali;  e  anche:  dei  quali. 

94.  1.  Mutò  ecc.;  mutò  il  pensiero  d'an- 
dare in  Affrica.  Non  abbiamo  dunque  che 
l'omissione  dell'articolo  tanto  frequente  nel 
Nostro.  Anche:  quanto  ad  andare  in  Affrica 
m.  p. 

—  5.  Vicino  a  p.  I.  a  M.;  vicino  a  Mompo- 
liero, a  poche  leghe,  alla  distanza  di  poche 
leghe. 

95.  4.  Che  ecc.  Dante,  Inf.  xui,  3:  «  Che 
da  nessun  sentiero  era  segnato». 


390 


ORLANDO  FURIOSO 


96 

Chi  la  donzella,  chi  '1  monaco  sia, 
Oli  portin  seco,  vi  debba  esser  chiaro. 
Conoscere  Issabella  si  dovria, 
Che  '1  corpo  avea  del  suo  Zerbino  caro. 
Lasciai  che  per  Provenza  ne  venia 
Sotto  la  scorta  del  vecchio  preclaro, 
Che  le  avea  persuaso  tutto  il  resto 
Dicare  a  Dio  del  suo  vivere  onesto. 
97 

Come  ch'in  viso  pallida  e  smarrita 
Sia  la  donzella,  et  abbia  i  crini  inconti; 
E  facciauo  i  sospir  continua  uscita 
Delpetto acceso, egHocchi  sien  duofonti; 
Et  altri  testimoni  d'una  vita 
Misera  e  grave  in  lei  ai  veggau  pronti; 
Tanto  però  di  bello  anco  le  avanza. 
Che  con  le  Grazie  Amor  vi  può  aver  stanza. 
98 

Tosto  che  'l  Saracin  vide  la  bella 
Donna  apparir,  messe  il  pensiero  al  fondo, 
Ch'avea  di  biasmar  sempre  e  d'odiar  quella 
Schiera  gentil  che  pur  adorna  il  mondo. 
E  ben  gli  par  dignissima  Issabella, 
In  cui  locar  debba  il  suo  amor  secondo, 
E  spenger  totalmente  il  primo,  a  modo 
Che  da  l'asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. 

96.  ó.  Lasciai  che;  V.  e.  xvi,  17,  n.  1. 

—  8.  Dicare.  Latinismo,  che  forse  ha  qui 
runico  esempio.  la  vece  è  usato  non  di  rado 
dagli  antichi  il  participio  dicato. 

97.  2.  inconti,  fiat,  incompti).  Latinismo 
usato  forse  dall'Ar.  per  il  prinìo.  L'usò  poi 
l'Anguiliara,  Met.  13, 148:  «  inconta  e  scinta  ». 

98.  2.  mease...  al  fondo;  mise  da  parte. 
É  significato  notevole,  non  registrato  dai 
vocabolari.  Comunemente  questa  locuzione 
significa  afTondare  e  mandare  in  rovina. 

—  5-6.  dignissima...  in  cni.  Costrutto  la- 
tino, frequentissimo  nell'Ar.  V.  e.  iii,  8T, 
n.  1. 

—  7-8.  a  modo  che;  come.  Bocc,  Nov.  79: 
«  a  modo  che...  vi  recate  le  mani  al  petto  ». 

—  8.  Che  da  Tasse  ecc.  Il  verso  è  di  Fra 
Guittone,  Son.  I  :  «  Come  d'asse  si  trae  chio- 
do con  chiodo»;   ma  l'immagine  era  già 


99 

Incontra  se  le  fece,  e  col  più  molle 
Parlar  che  seppe,  e  coi  miglior  sembiante, 
Di  sua  condizione  domandolle: 
Et  ella  ogni  pensier  gli  spiegò  inante; 
Come  era  per  lasciare  il  mondo  folle, 
E  farsi  amica  a  Dio  con  opre  sante. 
Ride  il  Pagano  altier  ch'in  Dio  non  erede. 
D'ogni  legge  nimico  e  d'ogni  fede: 
100 

E  chiama  intenzione  erronea  e  lieve; 
E  dice  che  per  certo  ella  troppo  erra; 
Né  mea  biasmar,  che  l'avaro  si  deve, 
Che  '1  suo  ricco  tesor  metta  sotterra: 
Alcun  util  per  sé  non  ne  riceve, 
E  da  l'uso  degli  altri  uomini  il  serra. 
Chiuder  leon  si  denno,  orsi  e  serpenti, 
E  non  le  cose  belle  et  innocenti. 
101 

n  monaco  ch'a  questo  avea  l'orecchia, 
E  per  soccorrer  la  giovane  incauta. 
Che  ritratta  non  sia  per  la  via  vecchia, 
Sedea  al  governo  qual  pratico  nauta; 
Quivi  di  spiritual  cibo  apparecchia 
Tosto  una  mensa  sontuosa  e  lauta. 
Ma  il  Saracin  che  con  mal  gusto  nacque, 
Non  pur  la  saporò,  che  gli  dispiacque  : 
102 

E  poi  ch'in  vauo  il  monaco  interroppe, 
E  non  potè  mai  far  si,  che  tacesse, 
E  che  di  pazienza  il  freno  roppe. 
Le  mani  adosso  con  furor  gli  messe. 
Ma  le  parole  mie  parervi  troppe 
Potriano  omai,  se  più  se  ne  dicesse  : 
Si  che  finirò  il  Canto;  e  mi  fia  specchio 
Quel  che  per  troppo  dire  accade  al  vecchio. 


nei  Greci  e  nei  Latini  :  Cicerone,  Tuscul. 
4,  35,  75:  <c  Etiam  novo  quodam  amore  ve- 
terem  amorem  taniquam  davo  clavum  ei- 
ciendum  putant  ».  L' imitò  anche  il  Petr. 
Tr.  Am.  3,  22;  e  l'A.  e.  xlv,  29. 

101.  8.  Non  par  1.  s.  che;  Non  la  saporò 
pure  ;  non  l'assaporò  neppure  che  ecc.  Pure 
per  neppure  già  nel  Petk.  i,  son.  3:  «  E  a 
voi  armata  non  mostrar  pur  l'arco  ». 


CANTO  XXIX 


0  degli  uomini  inferma  e  instabil  men- 
Come  siàn  presti  a  variar  disegno!     [te! 
Tutti  i  pensier  mutiamo  facilmente, 
Più  quei  che  nascon  d'amoroso  sdegno. 
Io  vidi  dianzi  il  Saracin  si  ardente 
Contra  1©  donne,  e  passar  tanto  il  segno, 

1.  2.  siàn;  aiamo. 


Che  non  che  spegner  l'odio,  ma  pensai 
Che  non  dovesse  intiepidirlo  mai. 

2  [stro 

Donne  gentil,  per  quel  ch'a  biasmo  vo- 
Parlò  contra  il  dover,  si  offeso  sono. 


2.  2.  Parlò.  È  costruito  transitivamente, 
come  spesso  nella  nostra  lingua;  e  vale  dire. 
Petr.,  II,  canz.  7  :  «  Ei  sa  che  'l  vero  parla  ». 


CANTO  XXIX 


391 


Che  sin  che  col  suo  mal  non  gli  dimostro 
Quanto  abbia  fatto  error,  non  gli  perdono. 
Io  farò  si  con  penna  e  con  inchiostro, 
Ch"ognun  vedrà  che  gli  era  utile  e  buono 
Aver  taciuto,  e  mordersi  anco  poi 
Prima  la  lingua,  che  dir  mal  di  voi. 
3 

Ma  che  parlò  come  ignorante  e  sciocco, 
Te  lo  dimostra  chiara  esperienzia. 
Incontra  tutte  trasse  fuor  lo  stocco 
De  l'ira,  senza  farvi  differenzia  : 
Poi  d'Issabella  un  sguardo  si  l'ha  tocco, 
Che  subito  gli  fa  mutar  sentenzia. 
Cià  in  cambio  di  quell'altra  la  disia, 
L' ha  vista  a  pena,  e  non  sa  ancor  chi  sia. 
4 

E  come  il  nuovo  amor  lo  punge  e  scalda, 
Muove  alcune  ragion  di  poco  frutto, 
Per  romper  quella  mente  intera  e  salda 
Ch'ella  avea  tìssa  al  Creator  del  tutto. 
Ma  l'Eremita  che  l'è  scudo  e  falda. 
Perché  il  casto  pensier  non  sia  distrutto, 
Con  argumenti  più  validi  e  fermi, 
ijuanto  più  può,  le  fa  ripari  e  schermi. 

5  [to 

Poi  che  l'empio  Pagan  molto  ha  soflfer- 
Con  lunga  noia  quel  monaco  audace, 
E  che  gli  ha  detto  in  van  ch'ai  suo  deserto 
Senza  lei  può  tornar,  quando  gli  piace; 
E  che  nuocer  si  vede  a  viso  aperto, 
E  che  seco  non  vuol  triegua  né  pace  : 
La  mano  al  mento  con  furor  gli  stese; 
E  tanto  ne  pelò,  quanto  ne  prese: 
6 

E  si  crebbe  la  furia,  che  nel  collo 
Con  man  lo  stringe  a  guisa  di  tanaglia; 
E  poi  ch'una  e  due  volte  raggiroUo, 
Da  sé  per  l'aria  e  verso  il  mar  lo  scaglia. 
Che  n'avvenisse,  né  dico  né  sollo  : 
Varia  fama  è  di  lui,  né  si  ragguaglia. 


—  e.  il  dover,  contro  il  merito.  Dovere  per 
merito  non  è  raro.  Cellini,  Vita,  3,  331  :  j 
■«  Se...  avesse  potuto  stimare  il  gioiello...  il 
suo  dovere  ».  i 

—  7.  anco  poi.  Il  poi  si  riferisce  a  vedrà,  \ 
Vanco  a  mordersi  :  E  poi  vedrà  che  era  i 
meglio  persino  mordersi  ecc.  | 

4.  2.  HaoTe...  ragion.    Forse   è    metafora  . 
presa  dal  linguaggio  guerresco,  che  qui  è  | 
tenuto  ia  tutta  la   stanza.  Come  si  muove  j 
un  esercito,  cosi  Rod.  muove  ragioni  con-  i 
tro  Isabella.  Ma  potrebbe  anch'essere  una 
locuzione  nuova  fatta,  per  analogia,  sull'al- 
tra muover  parole  (cfr.  st.  23,  4);  e  signi- 
ficherebbe semplicemente  dice,  avanza  ra- 
gioni. 

—  5.  falda.  Propriam.  certe  liste  di  cuoio 
o  di  metallo,  che  difendevano  le  anche  del 
guerriero;  qui.  in  generale,  difesa. 

6.  6.  nò  si  raggaaglia,.  né  è  concorde,  né 


Dice  alcun  che  si  rotto  a  un  sasso  resta,, 
Che  '1  pie  non  si  discerne  da  la  testa: 
7 

Et  altri,  ch'a  cadere  andò  nel  mare 
Ch'era  più  di  tre  miglia  indi  lontano, 
E  che  mori  per  non  saper  notare. 
Fatti  assai  prieghi  e  orazioni  in  vano; 
!  Altri,  ch'un  Santo  lo  venne  aiutare, 
Lo  trasse  al  lito  con  visibil  mano. 
Di  queste,  qual  si  vuol,  la  vera  sia  : 
Di  lui  non  parla  più  r  istoria  mia. 
8 

Rodomonte  crudel,  poi  che  levato 
S'ebbe  da  canto  il  garrulo  Eremita, 
Si  ritornò  con  viso  men  turbato 
Verso  la  Donna  mesta  e  sbigottita; 
E  col  parlar  eh'  è  fra  gli  amanti  usato, 
Dicea  ch'era  il  suo  core  e  la  sua  vita 
E  '1  suo  conforto  e  la  sua  cara  speme. 
Et  altri  nomi  tai  che  vanno  insieme. 
9 

E  si  mostrò  si  costumato  allora,  i 

Che  non  le  fece  alcunsegno  di  forza. 
Il  sembiante  gentil  che  l'innamora,  [za: 
L'usato  orgoglio  in  lui  spegne  et  amraor- 
E  ben  che  '1  frutto  trar  ne  possa  fuora. 
Passar  non  però  vuole  oltre  alla  scorza  ; 
Che  non  gli  par  che  potesse  esser  buono, 
Quando  da  lei  non  lo  accettasse  in  dono. 
10 

E  cosi  di  disporre  a  poco  a  poco 
A'  suoi  piaceri  Issabella  credea. 
Ella,  che  in  si  solingo  e  strano  loco, 
Qual  topo  in  piede  al  gatto,  si  vedea, 
Vorria  trovarsi  inanzi  in  mezzo  il  fuoco; 
E  seco  tutta  volta  rivolgea 
S'alcun  partito,  alcuna  via  fosse  atta 
A  trarla  quindi  immaculata  e  intatta. 
11 

Fa  ne  l'animo  suo  proponimento 
Di  darsi  con  sua  man  prima  la  morte, 
Che '1  Barbaro  crudel  n'abbia  il  suo  intento, 
E  che  le  sia  cagion  d'errar  si  forte 
Contra  quel  cavallier  ch'in bracciospento 
Le  avea  crudele  e  dispietata  sorte  : 


si  eguaglia;  le  varie  versioni  del  fatto  non 
si  eguagliano.  Questa  brutalità  di  Rodora. , 
contraria  alle  leggi  cavalleresche,  è  con- 
forme al  costante  intendimento  dell'A.  di 
deprimere  i  Saracini,  mettendo  in  miglior, 
luce  i  cristiani.  ■■■.■. 

7.  5.  venne  aintare;  v.  ad  alutare.  Pec 
l'omissione  della  prep.  cfr.  e.  i,  4,  n.  1. 

9.  6.  Passar  ecc.  «  Per  ora  si  contenta 
averne  d' Isabella  alcun  lieto  sembiante  ^ 

Fornari). 

10.  4.  in  piede  al  g.  Ricorda  il  Dantesco, 
Purg.  9,27:  «  Disdegna  (l'aquila)  di  portarne 
suso  in  piede  ». 


392 


ORLANDO  FURIOSO 


A  cui  fatto  have  col  pensier  devoto 
De  la  sua  castità  perpetuo  voto. 
12 

Crescer  più  sempre  l'appetito  cieco 
Vede  del  Re  pagau,  né  sa  che  farsi. 
Ben  sa  che  vuol  venire  all'atto  bieco. 
Ove  i  contrasti  suoi  tutti  fien  scarsi. 
Pur  discorrendo  molte  cose  seco. 
Il  modo  trovò  al  tìu  di  ripararsi, 
E  di  salvar  la  castità  sua,  come 
Io  vi  dirò,  con  lungo  e  chiaro  nome. 
13 

Al  brutto  Saracin  che  le  venia 
Già  cóntra  con  parole  e  con  effetti 
Privi  di  tutta  quella  cortesia 
Che  mostrata  le  avea  ne'  primi  detti: 
Se  fate  che  con  voi  sicura  io  sia  [ti; 

Del  mio  onor  (disse)  ech'io  non  nesospet- 
Cosa  all'incontro  vi  darò,  che  molto 
Più  vi  varrà,  ch'avermi  l'onor  tolto. 
14 

Pemn  piacer  di  si  poco  momento, 
Di  che  n'ha  si  abondanza  tutto  '1  mondo, 
Non  disprezzate  un  perpetuo  contento, 
Un  vero  gaudio  a  nullo  altro  secondo. 
Potrete  tuttavia  ritrovar  cento, 
E  mille  donne  di  viso  giocondo; 
Ma  chi  vi  possa  dar  questo  mio  dono, 
Nessuno  al  mondo,  o  pochi  altri  ci  sono. 
15 

Ho  notizia  d'un'  erba,  e  l'ho  veduta 
Venendo,  e  so  dove  trovarne  appresso, 
Che  bollita  con  elera  e  con  ruta 
Ad  un  fuoco  di  legna  di  cipresso, 
E  fra  mani  innocenti  indi  premuta, 
Manda  un  liquor,  che  chi  si  bagna  d'esso 
Tre  volte  il  corpo,  in  tal  modo  l'indura. 
Che  dal  ferro  e  dal  fuoco  l'assicura. 


12.  8.  con  1.  e  eh.  nome;  e  acquistare  cosi 
lunga  e  chiara  fama.  Nota  come  qui  risalti, 
più  che  la  legge  morale,  il  desiderio  di  fa- 
ma; sentimento  pagano,  che  è  comune  nel 
Rinascimento. 

13.  2.  effetti,  fatti.  Cosi  e.  vi,  31,  5;  cosi 
Dante,  Purg.  6,  \W;  e  cosi  altri  non  di 
rado. 

—  7.  Cosa  ecc.  Isabella  è  foggiata  su  Bra- 
silia di  Durazzo,  là  cui  leggenda  è  m  Fran- 
cesco Barbaro,  umanista  venieto  del  '400, 
nel  suo  libro  De  re  uxoria  ii,  6.  Brasilia, 
nobile  fanciulla,  caduta  in  mano  dei  nemici, 
correndo  pericolo  d'esser  violata  dal  vinci- 
tore Gerico,  lo  pregò  di  risparmiarla  e  gli 
promise  in  premio  un  unguento  magico, 
che  rende  invulnerabili.  Fatto  l'unguento, 
ne  propose  la  prova  sopra  sé  stessa;  e,  un- 
tasi il  collo,  l'offerse  a  Gerico,  che  la  colpi 
e  l'uccise.  Ma  di  questo  fatto  abbiamo  di- 
verse redazioni  più  antiche,  da  cui  alla  sua 
volta  tolse  il  Barbaro. 


16 
Io  dico,  se  tre  volte  se  n'immolla, 
Un  mese  invulnerabile  si  trova. 
Oprar  conviensi  ogni  mese  l'ampolla; 
Che  sua  virtù  più  termine  non  giova. 
Io  so  far  l'acqua,  et  oggi  ancor  farolla; 
Et  oggi  ancor  voi  ne  vedrete  prova.- 
E  vi  può,  s'io  non  fallo,  esser  più  grata. 
Che  d'aver  tutta  Europa  oggi  acquistata. 

17 
Da  voi  domando  in  guiderdon  di  questo,. 
Che  SII  la  fede  vostra  mi  giuriate, 
Che  né  in  detto  né  in  opera  molesto 
Mai  più  sarete  alla  mia  castitate. 
Cosi  dicendo.  Rodomonte  onesto 
Fé'  ritornar,  ch'in  tanta  volontate 
Venne,  eh' inviolabil  si  facesse, 
Che  più  ch'ella  non  disse,  le  promesse  t 

18 
E  servaralle  fin  che  vegga  fatto 
De  la  mirabil  acqua  esperienzia  ; 
E  sforzerasse  intanto  a  non  fare  atto, 
A  non  far  segno  alcun  di  violenzia. 
Ma  pensa  poi  di  non  tenere  il  patto, 
Perché  non  ha  timor  né  riverenzia 
Di  Dio  0  di  Santi;  e  nel  mancar  di  fede. 
Tutta  a  lui  la  bugiarda  Africa  cede. 

19 
Ad  Issabella  il  Re  d'Algier  scongiuri 
Di  non  la  molestar  fé'  più  di  mille, 
Pur  ch'essa  lavorar  l'acqua  procuri, 
Che  far  lo  può  qual  fu  già  Cigno  e  Achille.. 
Ella  per  balze  e  per  valloni  oscuri 
Da  le  città  lontana  e  da  le  ville 
Ricoglie  di  molte  erbe;  e  il  Saracino 
Non  l'abandona,  e  l'è  sempre  vicino. 


16.  3.  Oprar  l'ampolla.  Alcuni  intendono 
adoprar  VampoUa,  bagnarsi;  ma  altri, 
molto  meglio,  fare  rampolla,  fare  il  liqui- 
do; infatti  Isabella  inventa  questa  circo- 
stanza per  impedire  che  Rodom. ,  avuta 
r  acqua,  manchi  al  giuramento.  Oprare 
per  fare,  procacciare  usò  il  Boccaccio, 
.Voi;.  16:  *  Tu  devi  il  mio  onore  e  delle  cose 
mie  cercare  ed  operare  ». 

—  4.  termine,  tempo.  La  sua  virtù  non 
giova  più  tempo,  più  lungo  tempo  di  questo. 
V.  e.  XIII,  -47,  n.  2. 

17.  7.  Venne  che...  s.  f.;  venne  di  farsi.  V. 
e.  I,  38,  n.  6. 

18.  8.  1.  bugiarda  Afr.  Gorreva  presso  i 
Romani  il  proverbio  :  punica  fldes. 

19.  1.  Boonginri,  giuramenti.  V.  e.  v,  32, 
n.  5. 

—  4.  Cigno.  Ricevette  in  dono  dal  padre- 
Nettuno  che  ferro  non  lo  potesse  ferire.  — 
Achille   pure   era  invulnerabile  in   tutto  il 
corpo,  fuorché  in  un  tallone. 

—  7.  di  molte,  molte.  Di  molto  invece  del 
semplice  motto  fu  ed  è  usato  anc'oggi,  spe- 


CANTO  XXIX 


39a 


20 

Poi  ch'in  più  parti,  quant'era  a  bastanza, 
Colson  de  l'erbe  e  con  radici  e  senza, 
Tardi  si  ritornaro  alla  lor  stanza; 
Dove  quel  paragon  di  continenza 
Tutta  la  notte  spende,  che  l'avanza, 
A  bollir  erbe  con  molta  avvertenza  : 
E  a  tutta  l'opra  e  a  tutti  quei  misteri 
Si  trova  ogn'or  presente  il  Re  d'Algieri, 
21 

Che  producendo  quella  notte  in  giuoco 
Con  quelli  pochi  servi  ch'eran  seco, 
Sentia,  per  lo  calor  del  vicin  fuoco 
Ch'era  rinchiuso  in  quello  angusto  speco. 
Tal  sete,  che  bevendo  or  molto  or  poco. 
Duo  barili  votar  pieni  di  Greco, 
Ch'aveano  tolto  uno  o  duo  giorni  Inanti 
I  suoi  scudieri  a  certi  viandanti. 
•  22 

Non  era  Rodomonte  usato  al  vino, 
Perché  la  legge  sua  lo  vieta  e  danna: 
E  poi  che  lo  gustò,  liquor  divino 
Gli  par,  miglior  che  '1  nettare  o  la  manna; 
E  riprendendo  il  rito  Saracino, 
Gran  tazze  e  pieni  fiaschi  ne  tracanna. 
Fece  il  buon  vino,  eh' andò  spesso  intorno, 
Girare  il  capo  a  tutti,  come  un  torno. 
23  . 

La  Donna  in  questo  mezzo  la  caldaia 
Dal  fuoco  tolse,  ove  quell'erbe  cosse; 
E  disse  a  Rodomonte  :  Acciò  che  paia 
Che  mie  parole  al  vento  non  ho  mosse. 
Quella  che  '1  ver  da  la  bugia  dispaia, 
E  che  può  dotte  far  le  genti  grosse, 
Te  ne  farò  l'esperienza  ancora. 
Noi»  ne  l'altrui,  ma  nel  mio  corpo  or  ora. 
24 

Io  voglio  a  far  il  saggio  esser  la  prima 
Del  felice  liquor  di  virtù  pieno. 
Acciò  tu  forse  non  facessi  stima 
Che  ci  fosse  mortifero  veneno. 
Di  questo  bagnerommi  da  la  cima 


cialmente  in  Toscana,  sia  come  aggettivo, 
e  cosi  fu  usato  spessissimo  dagli  scrittori. 
Sia  come  avverbio,  che  è  più  raro  nella  let- 
teratura, vite  SS.  PP.  2, 96;  «  Come  l'albero, 
che  ha  frutti,  si  è  bisogno  che  abbia  di- 
molte  foglie  ecc.  ». 

'  20.  4.  paragon,  modello.  V.  e.  iv,  62,  8.  Si 
Citano  soltanto  gli  esempi  dell'Ar. 

21.  1.  prodncendo,  (lat.  producere)  pro- 
trarre. Latinismo  frequente  nella  letteratu- 
ra. Parini,  Matt.  67. 

—  6.  Greco.  V.  e.  xxvii,  130. 

22.  5.  riprendendo,  biasimando. 

23.  5-7.  Quella  ecc.  Costruisci  :  Te  ne  farò 
ancora  l'esperienza  (quella  esperienza,  che 
dispaia  il  vero  dalla  bugia  e  che  può  far 
dotte  le  m.  g.).  Ma  è  trasposizione  forzala 
e  oscura. 


Del  capo  giù  pel  collo  e  per  Io  seno  : 
Tu  poi  tua  forza  in  me  prova  e  tua  spada,. 
Se  questo  abbia  vigor,  se  quella  rada. 
25 

Bagnossi,  come  disse,  e  lieta  porse 
All'incauto  Pagano  il  collo  ignudo. 
Incauto,  e  vinto  anco  dal  vino  forse, 
Incontra  a  cui  non  vale  elmo  né  scudo. 
Queir  uom  bestiai  le  prestò  fede,  e  scórse 
Si  con  la  mano  p.  si  cn\  ferro  crudo, 
Che  del  bel  capo,  già  d'Amore  albergo. 
Fé'  tronco  rimanere  il  petto  e  il  tergo. 
26 

Quel  fé'  tre  balzi;  e  funne  udita  chiara 
Voce  ch'uscendo  nominò  Zerbino, 
Per  cui  seguire  ella  trovò  si  rara 
Via  di  fuggir  di  man  del  Saracino. 
Alma,  cli'avesti  più  la  fede  cara, 
E  '1  nome,  quasi  ignoto  e  peregrino 
Al  tempo  nostro,  de  la  castitade, 
Che  la  tua  vita  e  la  tua  verde  etade, 
27 

Vattene  in  pace,  alma  beata  e  bella. 
Cosi  i  miei  versi  avesson  forza,  come 
Ben  m'affaticherei  con  tutta  quella 
Arte  che  tanto  il  parlar  orna  e  come, 
Perché  mille  e  mill'anni  e  più,  novella 
Sentisse  il  mondo  del  tuo  chiaro  nome. 
Vattene  in  pace  alla  superna  sede, 
E  lascia  all'altre  esempio  di  tua  fede. 
28 

All'atto  incomparabile  e  stupendo, 
Dal  cielo  il  Creator  giù  gli  occhi  volse, 
E^dlsseTlPTu  cirqUeHa'tl  conmehdo, 
La  cui  morte  a  Tarquinio  il  regno  tolse; 
E  per  questo  una  legge  fare  intendo 
Tra  quelle  mie  che  mai  tempo  non  sciolse. 
La  qual  per  le  inviolabii  acque  giuro 
Che  non  muterà  secolo  futuro. 


24.  8.  questo.'.,  qnella.  Generalmente  que- 
sto si  riferisce  al  più  vicino,  quello  al  piti 
lontano;  ma  talvolta  in  italiano,  a  somi- 
glianza del  latino,  succede  l'inverso.  Livio, 
I,  6.  «  Melior  tutiorque  est  certa  pax  quam 
sperata  Victoria:  haec  (pax)  in  tua,  illa  (Vic- 
toria) in  deorum  potestate  est  ».  V.  e.  xxvi, 
26,  4.  Qui  questo  si  riferisce  a  liquor. 

25.  5.  scorse,  trascorse,  andò  tanto  avanti. 

27.  4.  còme  (lat.  comere,  ornare).  Qui  il 
come  dice,  per  rispetto  a  orna,  maggior 
cura  e  raflSnatezza:  credo  che  si  potrebbe 
rendere  con  raffina,  polisce.  Il  Petr.  Tr. 
Temp.  16:  «  Quattro  cavai  con  tanto  studio- 
corno»;  e  qui  significa  curo,  custodisco. 

28.  6.  Tra  quelle  m. ,  una  di  quelle  mie 
leggi,  che  non  si  sciolgono,  cioè  eterne. 

—  7.  per  le  inv.  a.  Quantunque  alcuni  in- 
terpreti difendano  questo  strano  giura- 
mento pagano  per  le  acque  dello  Stige,  di- 
cendo che  l'A.  si  leva  al  concetto  generale 


39  i 


ORLANDO  FURIOSO 


29 

Per  l'avvenir  vo'  che  ciascuna  ch'aggia 
Il  nome  tuo,  sia  di  sublime  ingegno, 
E  sia  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, 
E  di  vera  onestade  arrivi  al  segno  : 
Onde  materia  agli  scrittori  caggia 
Di  celebrare  il  nome  inclito  e  degno; 
Tal  che  Parnasso,  Pindo  et  Elicone 
Sempre  Issabella,  Issabella  risone. 
30 

Dio  cosi  disse,  e  fé'  serena  intorno  [se. 
L'aria,  e  tranquillo  il  mar,  più  che  mai  fus- 
Fe'  l'alma  casta  al  terzo  ciel  ritorno, 
E  in  braccio  al  suo  Zerbin  si  ricondusse. 
Rimase  in  terra  con  vergogna  e  scorno 
<^uel  fier  senza  pietà  nuovo  Breusse; 
Che,  poi  che  '1  troppo  vino  ebbe  digesto, 
Biasmò  il  suo  errore,  e  ne  restò  funesto. 
31 

Placare  o  in  parte  satisfar  pensosse 
All'anima  beata  d' Issabella, 
Se,  poi  ch'a  morte  il  corpo  le  percosse, 
Desse  almen  vita  alla  memoria  d'ella. 


•della  divinità,  o  che  ha  avuto  presente  il 
giuramento  virgiliano  (En.  ix,  104;  x,  113), 
pure  r  immagine  non  riesce  simpatica,  e 
ofiFende  molto  più  del  Dantesco  iPurg.  6) 
«  O  sommo  Giove,  Che  fosti  in  terra  per  noi 
■crocifisso  »,  che  si  reca  a  confronto. 

•29.  5.  caggia,  derivi,  Petrar.  I,  son.  9: 
«  Cade  virtù  dall'  infiammate  corna  (della 
«ostellazione  del  toro)  ». 

—  8.  risone,  ripeta.  È  uso  derivato  nella 
nostra  lingua  dal  latino.  Virgilio.  Egl.  7: 
«  Formosam  resonare  doces  Amaryllida  sil- 
vas  »:  e  il  Poliziano,  St.  i,  63:  «  Pur  Tulio 
lulio  suona  il  gran  diserto  ».  —  In  questo 
luogo  vi  è  un'  allusione  a  Isabella  d'  Este 
maritata  al  Gonzaga  di  Mantova,  della  quale 
l'Ariosto  ha  fatto  le  lodi  nel  e.  xiii,  59.  Il 
poeta  ammirava  veramente  questa  donna, 
«d  era  da  lei  ricambiato  di  stima  e  di  am- 
mirazione. 

30.  3.  al  terzo  ciel,  alla  sfera  di  Venere, 
da  cui  venivano  e  a  cui  ritornavano,  secon- 
dò il  concetto  Platonico  seguito  anche  da 
Dante,  le  anime  degli  amanti. 

—  6.  Breusse.  È  un  personaggio  del  Giron 
•Cortese;  nemico  fiero  delle  donne  e  malva- 
gio. Era  appunto  soprannominato  senza 
pietà.  Anche  il  Pulci,  Morg.  xui,  51:  «  Sen- 
^a  pietà  mi  pareva  Breusse  ». 

—  8.  funesto;  funestato.  Il  Caro,  En.  11, 
4,  traduce  cor  funesto  il  latino  turbata 
funere  mens. 

:S1.  3.  Se  ecc.  ;  credette  che  avrebbe  pla- 
cato Isabella,  se  desse,  se  avesse  dato  vita 
alla  memoria  di  lei. 

—  4.  d'ella,  di  lei.  V.  e.  i,  75,  n.  5. 

\ 


Trovò  per  mezzo,  acciò  che  cosi  fosse, 
Di  convertirle  quella  chiesa,  quella 
Dove  abitava,  e  dove  ella  fu  uccisa, 
In  un  sepolcro;  e  vi  dirò  in  che  guisa. 
32 

Di  tutti  i  lochi  intorno  fa  venire 
Mastri,  chi  per  amore  e  chi  per  tema; 
E  fatto  ben  sei  mila  uomini  unire. 
De'  gravi  sassi  i  vicin  monti  scema, 
E  ne  fa  una  gran  massa  stabilire. 
Che  da  la  cima  era  alla  parte  estrema 
Novanta  braccia;  e  vi  rinchiude  deatro 
La  chiesa,che  i  duo  amanti  bave  nel  centro, 
33 

Imita  quasi  la  superba  mole 
Che  fé' Adriano  all'onda  Tiberina. 
Presso  al  sepolcro  una  torre  alta  vuole; 
Ch'abitarvi  alcun  tempo  si  destina. 
Un  ponte  stretto,  e  di  due  braccia  sole 
Fece  su  l'acqua  che  correa  vicina. 
Lungo  il  ponte,  ma  largo  era  si  poco. 
Che  dava  a  pena  a  duo  cavalli  loco; 
34 

A  duo  cavalli  che  venuti  a  paro, 
0  eh'  insieme  si  fossero  scontrati: 
E  non  avea  né  sponda  né  riparo, 
E  si  potea  cader  da  tutti  i  lati. 
Il  passar  quindi  vuol  che  costi  caro 
A  guerrieri  o  pagani  o|)attezzati; 
Che  de  le  spoglie  lor  mille  trofei 
Promette  al  cimiterio  di  costei. 
35 

In  dieci  giorni  e  in  manco  fu  perfetta 
L'opra  del  ponticel,  che  passa  il  fiume; 
Ma  non  fu  già  il  sepolcro  cosi  in  fretta, 
Né  la  torre  condutta  al  suo  cacume: 
Pur  fu  levata  si,  ch'alia  veletta 
Starvi  in  cima  una  guardia  avea  costume, 
Che  d'ogni  cavallier  che  venia  al  ponte, 
Col  corno  facea  segno  a  Rodomonte. 
36 

E  quel  s'armava,  esegliveniaaopporre 
Ora  su  l'una,  ora  su  l'altra  riva; 


—  5.  Trovò  per  mezzo  ;  trovò  come  mezzo 
per  riuscire  a  ciò,  di  convertire  ecc. 

32.  3.  fatto,  fatti.  V.  e.  v,  58,  n.  5. 

—  5.  stabilire;  comporre  stabilmente. 

33.  1.  la  superba  m.;  la  mole,  che  Adriano 
imperatore  edificò  sulla  riva  del  Tevere 
(all'onda  =  lat.  ad  undam,  presso  l'acqua 
del  T.)  per  suo  sepolcro.  Oggi  Castel  S.  An- 
glolo. 

—  4.  si  destina  ;  destina,  propone.  Sulla 
forma  riflessiva  cfr.  e.  xtii,  13,  n.  4. 

—  5,  0u  ponte  ecc.  «  I  ponti,  nota  il  Rai- 
na,  dove  non  si  passa  oltre  senza  giostrare 
ed  abbattere,  brulicano  in  tutti  i  paesi,  in 
cui  sogliono  aggirarsi  gli  erranti  ». 

35.  4.  cacume  (lat.  cacumen)  cima,  vétta. 

—  r,.  veletta,  vedetta.  V.  e.  x,  51,  n.  1. 


CANTO   XXIX 


395 


Che  se  '1  guerrier  veuia  di  ver  la  torre, 
Su  l'altra  proda  il  Re  d'Algier  veniva. 
Il  ponticello  è  il  campo  ove  si  corre; 
E  se  '1  destrier  poco  del  segno  usciva, 
Cadea  nel  fiume  ch'alto  era  e  profondo  : 
Ugual  periglio  a  quel  non  avea  il  mondo. 

37 
Aveasi  imaginato  il  Saracino, 
Che  per  gir  spesso  a  rischio  di  cadere 
Dal  ponticel  nel  fiume  a  capo  chino, 
Dove  gli  converria  raolt'acqua  bere, 
Del  fallo  a  che  l'indusse  il  troppo  vino, 
Dovesse  netto  e  mondo  rimanere;      [gua 
Come  l'acqua,  non  raen  che  '1  vino,  estin- 
L'error  che  fa  pel  vino  o  mano  o  lingua. 

38 
Molti  fra  pochi  di  vi  capitaro. 
Alcuni  la  via  dritta  vi  condusse; 
Ch'a  quei  che  verso  Italia  o  Spagna  anda- 
Altra  non  era  che  più  trita  fusse  :        [ro, 
Altri  l'ardire  e,  più  che  vita  caro, 
L'onore,  a  farvi  di  sé  prova  indusse; 
E  tutti,  ove  acquistar  credean  la  palma, 
Lasciavan  l'arme,  e  molti  insieme  l'alma. 

39 
Di  quelli  ch'abbattea,  s'eran  Pagani, 
Si  contentava  d'aver  spoglie  et  armi  ; 
E  di  chi  prima  furo,  i  nomi  piani 
'V^i  facea  sopra,  e  sospendeale  ai  marmi: 
Ma  ritenea  in  prigion  tutti  i  Cristiani; 
E  che  in  Algier  poi  li  mandasse  parmi. 
Finita  ancor  non  era  l'opra,  quando 
Vi  venne  a  capitare  il  pazzo  Orlando. 

40 

A  caso  venne  il  furioso  Conte 

A  capitar  su  questa  gran  riviera, 

Dove,  come  io  vi  dico.  Rodomonte 

Fare  in  fretta  facea,  né  finito  era 


36.  3.  se  il  guerrier  ecc.;  se  il  guerriero 
veniva  dalla  parte  del  ponte  dov'era  la  torre, 
Rodomonte  lasciava  la  torre  e  passava  dal- 
l'altra parte  del  ponte;  perché  suo  intento 
era  d'incontrarsi  sovr'esso  coi  cavalieri  e 
buttarli  nell'acqua. 

—  7.  alto...  profondo.  Allo  indica  che  vi 
•era  molt'acqua;  profondo  che  l'acqua  re- 
stava a  molta  distanza  dal  ponte. 

37.  7.  Come  l'acqaa  ecc.;  come  se  l'acqua 
«stinguesse  l'errore  che  commette  la  mano 
o  la  lingua  dell'ubriaco,  nello  stesso  modo 
che  estingue  l'ardore  del  vino  nel  suo  sto- 
maco, o  nel  bicchiere. 

38.  1.  fra;  dopo.  V.  e.  i,  27,  n.  4. 

—  5.  vita;  la  vita.  V.  c.  il,  15,  n.  8. 

39.  3.  piani;  chiari,  intelligibili. 

—  6.  parmi;  credo,  è  mia  opinione.  Qui 
è  una  supposizione  che  fa  l'A..;  ma  la  fa  poi 
confermare  da  Rodomonte  stesso  nel  e. 
XXXV,  45. 

40.  4.  Fare  in  fr.  facea.  0  fave  è  usato  as- 


La  torre  né  il  sepolcro,  e  a  pena  il  ponte: 
E  di  tutte  arme,  fuor  che  di  visiera, 
A  quell'ora  il  Pagan  si  trovò  in  punto, 
Ch'Orlando  al  fiume  e  al  ponte  è  sopragiun- 
41  [to. 

Orlando  fcome  il  suo  furor  lo  caccia) 
Salta  la  sbarra,  e  sopra  il  p#nte  corre. 
Ma  Rodomonte  con  turbata  faccia, 
A  pie,  com'  era  inanzi  alla  gran  torre, 
Gli  grida  di  lontano  e  gli  minaccia. 
Né  se  gli  degna  con  la  spada  opporre: 
Indiscreto  villan,  ferma  le  piante, 
Temerario,  importuno  et  arrogante. 
42 

Sol  per  Signori  o  Cavallieri  è  fatto 
Il  ponte,  non  per  te,  bestia  balorda. 
Orlando,  ch'era  in  gran  pensier  distratto, 
Vien  pur  inanzi  e  fa  l'orecchia  sorda. 
Bisogna  ch'io  castighi  questo  matto 
(Disse  il  Pagano)  ;  e  con  la  voglia  ingorda 
Venia  per  traboccarlo  giù  ne  l'onda. 
Non  pensando  trovar  chi  gli  risponda. 
43 

In  questo  tempo  una  gentil  donzella, 
Per  passar  sovra  il  ponte,  al  fiume  arriva, 
Leggiadramente  ornata  e  in  viso  bella, 
E  nei  sembianti  accortamente  schiva. 
Era  (se  vi  ricorda.  Signor),  quella 
Che  per  ogni  altra  via  cercando  giva 
Di  Brandimarte,  il  ano  amator,  vestigi, 
Fuor  che,  dove  era,  dentro  da  Parigi. 
44 

Ne  l'arrivar  di  Fiordiligi  al  ponte 
(Che  cosi  la  donzella  nomata  era), 

solutameute  per  lavorare;  o  si  deve  rile- 
vare un  complemento  dalla  proposizione 
seguente  e  intendere:  facea  fare  la  fretta 
la  torre  e  il  sepolcro;  e  non  erano  ancora 
finiti;  che  a  pena  era  finito  il  ponte.  Più 
semplice  è  la  seconda  interpretaz.  —  finito. 
È  usato  assolutamente.  V.  e.  ix,  38,  n.  1. 

—  6.  tutte  arme;  tutte  le  arme.  V.  e.  ii, 
15,  n.  8.  —  visiera;  l'elmo.  É  una  sineddoche. 

41.  2.  la  sbarra;  il  rastrello,  o  qualsivoglia 
altro  riparo,  che  impediva  il  libero  accesso 
sui  ponti  delle  fortezze.  V.  e.  vm,  :^  n.  6. 

—  4.  A  piò  com'  era  ecc.  ;  a  pie  come  si 
trovava  li  dinanzi  alla  gran  torre. 

—  6.  se  gli  degna  ecc.  ;  si  degna  oppor- 
glisi. 

4'>.  8.  Non  pensando  ecc.  Questa  lotta  fra 
Orlando  e  Rodomonte  è,  in  gran  parte,  in- 
venzione dell'A.;  ma  in  qualcosa  ricorda 
Vlnnam.  u,  xvii,  42,  segg.  Ivi  Isolieri,  che 
guarda  un  ponte,  ingiuria  Sacripante,  il 
quale  vestito  da  pellegrmo,  lo  vuol  passare. 
Ambedue  vengono  alle  mani,  e  Sacripante, 
come  qui  Orlando,  offre  una  resistenza  ina- 
spettata. 

44.  1.  Fiordiligi.  V.  e.  XXtV,  51,  74. 


396 


ORLANDO  FURIOSO 


Orlando  s'attaccò  con  Rodomonte 
Che  lo  volea  gittar  ne  la  riviera. 
La  donna,  ch'avea  pratica  del  Conte, 
Subito  n'ebbe  conoscenza  vera; 
E  restò  d'alta  maraviglia  piena, 
De  la  follia  che  cosi  nudo  il  mena. 
45 

Fermasi  a  riguardar  che  fine  avere 
Debba  il  furor  dei  duo  tanto  possenti. 
Per  far  del  ponte  l'un  l'altro  cadere 
A  por  tutta  lor  forza  sono  intenti. 
Come  è  ch'un  pazzo  debba  si  valere  ? 
Seco  il  fiero  Pagaii  dice  tra'  denti  ; 
E  qua  e  là  si  volge  e  si  raggira, 
Pieno  di  sdegno  e  di  superbia  e  d'ira. 
46 

Con  l'una  e  l'altra  man  va  ricercando 
Far  nova  presa,  ove  il  suo  meglio  vede; 
Or  tra  le  gambe  or  fuor  gli  pone,  quando 
Con  arte  il  destro,  e  quando  il  manco  piede. 
Simiglia  Rodomonte  intorno  a  Orlando   ' 
Lo  stolido  orso  che  sveller  si  crede 
L'arbor  onde  è  caduto;  e  come  n'abbia 
Quello  ogni  colpa,  odio  gli  porta  e  rabbia. 
47 

Orlando,  che  l'ingegno  avea  sommerso, 
Io  non  so  dove,  e  sol  la  forza  usava. 
L'estrema  forza  a  cui  per  l'universo 
Nessuno  o  raro  paragon  si  dava, 
Cader  del  ponte  si  lasciò  riverso 
Col  Pagano  abbracciato  come  stava. 
Cadon  nel  fiume,  e  vanno  al  fondo  insieme 
Ne  salta  in  aria  l'onda,  e  il  lito  geme. 
48 

L'acqua  li  fece  distaccare  in  fretta. 
Orlando  è  nudo,  è  nuota  com'un  pesce: 
Di  qua  le  braccia,  e  di  là  i  piedi  getta, 
E  viene  a  proda;  e  come  di  fuor  esce, 
Correndo  va,  né  per  mirare  aspetta. 
Se  in  biasmo  o  in  loda  questo  gli  riesce. 
Ma  il  Pagan  che  da  l'arme  era  impedito. 
Tornò  più  tardo  e  con  più  affanno  al  lito. 
49 

Sicuramente  Fiordiligi  intanto 
Avea  passato  il  ponte  e  la  riviera, 
E  guardato  il  sepolcro  in  ogni  canto. 
Se  del  suo  Brandimarte  inseg:na  v'era. 
Poi  che  né  l'arme  sue  vede  né  il  manto, 
Di  ritrovarlo  in  altra  parte  spera. 
Ma  ritorniamo  a  ragionar  del  Conte, 
Che  lascia  a  dietro  e  torre  e  fiume  e  ponte. 
50 

Pazzia  sarà,  se  le  pazzie  d'Orlando 
Prometto  raccontarvi  ad  una  ad  una; 
Che  tante  e  tante  fur,  ch'io  non  so  quando 
Finir;  ma  ve  n'andrò  scegliendo  alcuna 


Solenne  ed  atta  da  narrar  cantando, 
E  eh' all' istoria  mi  parrà  opportuna; 
Né  quella  tacerò  miracolosa. 
Che  fu  ne'  Pirenei  sopra  Tolosa. 

Trascorso  avea  molto  paese  il  Conte, 
Come  dal  grave  suo  furor  fu  spinto: 
Et  a  fin  capitò  sopra  quel  monte. 
Per  cui  dal  Franco  è  il  Tarracon  distinto; 
Tenendo  tuttavia  volta  la  fronte 
Verso  là  dove  il  Sol  ne  viene  estinto: 
E  quivi  giunse  in  uno  angusto  calle. 
Che  pendea  sopra  una  profonda  valle. 
52 

Si  vennero  a  incontrar  con  esso  al  varca 
Duo  boscherecci  gioveni  eh'  inante 
Avean  di  legna  un  loro  asino  carco: 
E  perché  ben  s'accorsero  al  sembiante, 
Ch'avea  di  cervel  sano  il  capo  scarco, 
Gli  gridano  con  voce  minacciante, 
0  eh' a  dietro  o  da  parte  se  ne  vada, 
E  che  si  levi  di  mezzo  la  strada. 
53 

Orlando  non  risponde  altro  aqueldettr>,. 
Se  non  che  con  furor  tira  d'un  piede 
E  giunge  a  punto  l'asino  nel  petto 
Con  quella  forza  che  tutte  altre  eccede  ; 
Et  alto  il  leva  si,  ch'un  augelletto 
Che  voli  in  aria,  sembra  a  chi  lo  vede. 
Quel  va  a  cadere  alla  cima  d'un  colle, 
Ch'un  miglio  oltre  la  valle  il  giogo  estolle. 


49.  5.  il  manto;  la  sopravveste,  su  cui 
erano  ricamate  o  dipinte  le  insegne  proprie 
di  ciascun  cavaliere. 


50.  5.  atta  da  narr.  Forse  sono  da  sepa- 
rare, intendendo:  solenne  e  conveniente; 
cosi  da  potersi  narrare  cant.  Se  purè  non 
si  ha  la  fusione  di  due  costrutti  cosi  comune 
nell'A.:  scegliendo  una  pazzia  da  narrare  e. 
—  scegliendo  una  pazzia  atta  a  narrarsi  e. 
Il  costrutto  atto  da  narrar,  per  atto  a 
narrarsi  sarebbe  una  singolarità  notevole. 

51.  3.  quel  monte;  Idubeda  o  Subalda  nei 
Pirenei,  che  divide  la  Francia  dall'antica 
Tarragonese;  o  piuttosto  in  generale  i  Pi- 
renei, che  dividon  la  Francia  dalla  Spagna. 

—  4.  Tarracon,  Tarracone,  che  dal  latino 
Tarraconem  dovrebbe  significare  Tarra- 
goha  ;  ma  qui  per  contrapposizione  a  Fran- 
co, dovrebbe  significare  V  abitante  Clelia^ 
Tarragona,  il  Tarragonese.  É  più  proba- 
bile questa  seconda  interpretazione.  Coti' 
intese  anche  il  Pomari. 

—  6.  ne  viene  estinto  ;  è  spento,  si  spenge 
nel  mare;  come  sembra  all'apparenza. 

53.  S.  ginnge,  colpisce.  V.  e.  X,  104,  n.  7. 

—  4.  tutte  altre,  tutte  le  altre:  cfr.  e.  x, 
54,  n.  7. 

—  7.  cadere  alla  cima.  Poteva  dire  anche 
sulla  cima;  ma  cosi  avrebbe  avuto  la  mente 
sopra  tutto  alla  caduta  ;  con  alla  accenna, 
alla  distanza  percorsa. 


CANTO  XXIX 


397 


54 

ludi  verso  i  duo  gioveui  s'avventa, 
Dei  quali  un,  più  clie  senno,  ebbe  avventu- 
Che  da  la  balza  che  due  volte  trenta  [ra; 
Braccia  c;idea,  si  gittò  per  paura. 
A  mezzo  il  tratto  trovò  molle  e  lenta 
Una  macchia  di  rubi  e  di  verzura, 
A  cui  bastò  grattìargli  un  poco  il  volto: 
Del  resto,  io  mandò  libero  e  sciolto. 
55 

L'altro  s'attacca  ad  un  scheggion  ch'u- 
Fuor  de  la  roccia,  per  salirvi  sopra  ;  [selva 
Perché  si  spera,  s'alia  cima  arriva. 
Di  trovar  via  che  dal  pazzo  lo  cuopra, 
Ma  quel  nei  piedi  (che  non  vuol  che  viva) 
X-o  piglia,  mentre  di  salir  s'adopra; 
E  quanto  più  sbarrar  puote  le  braccia. 
Le  sbarra  si,  ch'in  duo  pezzi  lo  straccia; 
56 

A  quella  guisa  che  veggiàn  talora 
Farsi  d'uno  aerou,  t'arsi  d'un  pollo, 
ijuaudo  si  vuol  de  le  calde  interiora. 
Che  falcone  o  ch'astor  resti  satollo. 
Quanto  è  bene  accaduto  che  non  rauora 
Quel  che  fu  a  risco  di  tìaccarsi  il  collo! 
Ch'ad  altri  poi  questo  miracol  disse, 
Si  che  l'udi  Turpiuo  e  a  noi  lo  scrisse. 
57 

E  queste  et  altre  assai  cose  stupende 
Fece  nel  traversar  de  la  montagna. 
Dopo  molto  cercare,  al  fin  discende 
Verso  meriggie  alla  terra  di  Spagna; 
E  lungo  la  marina  il  camin  prende, 


Ch'intorno  a  Taracona  il  lito  bagna: 
E  come  vuol  la  furia  che  lo  mena, 
Pensa  farsi  uno  albergo  in  quella  arena, 
58 

Dove  dal  sole  alquanto  si  ricuopra; 
E  nel  sabbion  si  caccia  arrido  e  trito. 
Stando  cosi,  gli  venne  a  caso  sopra 
Angelica  la  bella  e  il  suo  marito, 
Ch'eran  (si  come  io  vi  narrai  di  sopra) 
Scesi  dai  monti  in  su  l'Ispano  lito.      [so, 
A  men  d'un  braccio  diagli  giunse appres- 
Perché  non  s'era  accorta  ancora  d'esso. 
59 

Che  fosse  Orlando,  nulla  le  sovviene: 
Troppo  è  diverso  da  quel  ch'esser  suole. 
Ha  indi  in  qua  che  quel  furor  lo  tiene, 
E  sempre  andato  nudo  all'ombra  e  al  sole. 
Se  fosse  nato  all'aprica  Siene, 
0  dove  Ammone  il  Garamaute  cole,    [eia, 
0  presso  ai  monti  onde  il  gran  Nilo  spic- 
Non  dovrebbe  la  carne  aver  più  arsiccia. 
60 

Quasi  ascosi  avea  gli  occhi  ne  la  testa, 
La  faccia  macra,  e  come  un  osso  asciutta, 


54.  1.  verso,  contro.  E  contro  asserisce 
il  Pigna  che  avesse  corretto  l'Ar.  Ma  verso 
ebbe  pure  il  significato  di  contro.  Dante, 
Inr'.  15,  5:  «vèr  lor  s'avventa»;  Pulci,  16, 
20  :  ■i  Verso  il  pagano  andò  con  gran  furore  ». 

—  4.  cadea,  scendeva.  Cosi  Dante,  Purg. 
12,  106:  «  Cosi  s'allenta  la  ripa  che  cade  ». 

—  5.  lenta  (lat.  lenta);  pieghevole.  Lati- 
nismo molto  amato  dagli  antichi. 

—  6.  rubi;  rovi:  (lat.  rubi);  altro  lati- 
nismo non  frequente.  Sannazzaro,  Arcad. 
p.  5:  «quale  pascendo  un  rubo». 

55.  3.  ai  spera.  Per  la  forma  riflessiva 
•cfr.  e.  v,  20,  n.  3. 

—  5.  che  non  vuol.  Il  che  è  relativo  di 
■quel.  Di  tali  spostamenti  abbonda  il  Furioso: 
cfr.  e.  IV,  51,  4;  xxvi,  62,  2. 

56.  1.  veggiàn,  veggiam.  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 

—  4.  falcone...  astor;  il    falcone   era  più  ! 
piccolo  dell'astore,  che  si  usava  per  caccia  j 
<li  grossi  volatili.  Quando  /"ancone  viene  con-  : 
frapposto  ad  altre  specie  di  uccelli  rapaci 
da  caccia,  s'intende  generalmente  del  falcon 
pellegrino.  V.  e.  xix,  48,  n.  I, 

—  8.  Tarpine.  V.  e.  xiii,  40,  n.  2. 

57.  4.  meriggie,  mezzogiorno.  Forma  e 
«iguifìcato  sono  frequenti  negli  antichi. 


59.  1.  nulla  le  sovviene.  Alcuni  intendono 
per  nulla  le  sovv.  che  ecc.  Meglio:  nulla 
le  richiama  a  mente.  In  questo  senso,  con 
poco  differente  costrutto,  l'usò  il  Bembo, 
Asol.  3:  «Bene  avete  fatto...  a  sovvenirci 
di  quello  ecc. 

—  3.  da  indi  in  qua  che.  Da  indi  in  qua 
è  usato  generalmente  in  modo  assoluto, 
non  in  relazione  col  che;  del  quale  uso  si 
cita  solamente  l'Ar. 

—  5.  Siene;  città  d'Egitto  ai  confini  d'E- 
tiopia; oggi  Assuan. 

—  6.  0  dove  Amm.  ecc.  I  Garamanti  erano 
un  popolo  della  Libia  inferiore.  Nell'oasi 
Ammonium  (El-Si\vah)  era  il  celebre  tem- 
pio di  Giove  Ammone.  Lucrezio,  ix,  511  : 
«  Ventura  erat  ad  templum  Libicis  quod 
gentibus  unum  luculti  Garamenteshabent». 
«  Hanno  i  garamenti  la  pelle  fosca  per  la 
propinquità  del  sole,  e  per  essere  il  loro 
paese  spogliato  d'alberi  e  d'ombre  >.  (For- 
nari). 

—  7.  ai  monti  ecc.  Le  sorgenti  del  Nilo 
eran  poste  dagli  antichi  alle  falde  di  monti 
immaginari,  che  chiamavano  monti  della 
Luna  in  Etiopia:  (cfr.  e.  xxxui,  109).  Noi 
sappiamo  che  il  Nilo  ha  origine  dal  lago 
vittoria, 

60.  1.  Quasi  ecc.  Dicono  che  1  particolari 
di  questa  descrizione  siano  eguali  a  quelli 
di  Fileno  disperato  per  amore,  nel  Filocolo 
del  Boccaccio  (lib.  ivj.  Confronta:  «Il  vide 
nel  viso  diventato  bruno  e  gli  occhi  rien- 
trati in  dentro,  che  appena  si  discernevano: 
ciascun  osso  spingeva  in  fuori  la  raggrin- 
zata pelle,  e  i  capelli  con  disordinato  rab- 


398 


ORLANDO  FURIOSO 


La  chioma  rabuffata,  orrida  e  mesta, 
La  barba  folta,  spaventosa  e  brutta. 
Non  più  a  vederlo  Angelica  fu  presta. 
Che  fosse  a  ritornar,  tremando  tutta: 
Tutta treraando,eempiendoil  cieldi  grida 
Si  volse  per  aiuto  alla  sua  guida. 
61 

Come  di  lei  s'accorse  Orlando  stolto, 
Per  ritenerla  si  levò  di  botto: 
Cosi  gli  piacque  il  delicato  volto. 
Cosi  ne  venne  immantinente  ghiotto. 
D'averla  amata  e  riverita  molto 
Ogni  ricordo  era  in  lui  guasto  e  rotto. 
Gli  corre  dietro,  e  tien  quella  maniera 
Che  terria  il  cane  a  seguitar  la  fera. 
62 

Il  giovine  che  '1  pazzo  seguir  vede 
La  donna  sua,  gli  urta  il  cavallo  adesso, 
E  tutto  a  un  tempo  lo  percuote  e  fiede, 
Come  lo  trova  che  gli  volta  il  dosso. 
Spiccar  dal  busto  il  capo  se  gli  crede: 
Ma  la  pelle  trovò  dura  come  osso. 
Anzi  via  più  ch'acciar;  ch'Orlando  nato 
Impenetrabile  era  et  affatato. 
63 

Come  Orlando  senti  battersi  dietro, 
Girossi,  e  nel  girare  il  pugno  strinse, 
E  con  la  forza  che  passa  ogni  metro. 
Feri  il  destrier  che  '1  Saracino  spinse. 
Ferii  sul  capo,  e  come  fosse  vetro, 
Lo  spezzò  si  che  quel  cavallo  estinse; 
E  rivoltosse  in  un  medesmo  instante 
Dietro  a  colei  che  gli  fuggiva  inante. 
64 

Caccia  Angelica  in  fretta  la  giumenta, 
E  con  sferza  e  con  spron  tocca  e  ritocca; 
Che  le  parrebbe  a  quel  bisogno  lenta. 
Se  ben  volasse  più  che  strai  da  cocca. 
De  l'annel  e'  ha  nel  dito,  si  rammenta, 


j  Che  può  salvarla,  e  se  lo  getta  in  bocca: 
j  E  l'annel,  che  non  perde  il  suo  costumt", 
:  La  fa  sparir  come  ad  un  sofl5o  il  lume. 
I  65 

0  fosse  la  paura,  o  che  pigliasse 
I  Tanto  disconcio  nel  mutar  l'annello, 
,  O  pur,  che  la  giumenta  traboccasse. 
Che  non  posso  affermar  questo  ne  quello  ; 
Nel  medesmo  momento  che  si  trasse 
L'annello  in  bocca,  e  celò  il  viso  bello. 
Levò  le  gambe,  et  usci  de  l'arcione, 
E  si  trovò  riversa  in  sul  sabbione. 
66 
Più  corto  che  quel  salto  era  dua  dita. 
Avviluppata  rimanea  col  matto. 
Che  con  l'urto  le  avria  tolta  la  vita; 
Ma  gran  ventura  l'aiutò  a  quel  tratto. 
Cerchi  pur,  ch'altro  furto  le  dia  aita 
D'un' altra  bestia,  come  prima  ha  fatto; 
Che  più  non  è  per  riaver  mai  questa 
Ch'  inanzi  al  Paladin  l'arena  pesta. 
67 
Non  dubitate  già,  ch'ella  non  s'abbia 
A  provedere;  e  seguitiamo  Orlando, 
In  cui  non  cessa  l' impeto  e  la  rabbia, 
Perché  si  vada  Angelica  celando. 
Segue  la  bestia  per  la  nuda  sabbia, 
E  se  le  vien  più  sempre  approssimando: 
Già  già  la  tocca,  et  ecco  l' ha  nel  crine, 
Indi  nel  freno,  e  la  ritiene  al  fine. 
68 
Con  quella  festa  il  Paladin  la  piglia, 
Ch'un  altro  avrebbe  fatto  una  donzella  : 
Le  rassetta  le  redini  e  la  briglia, 
E  spicca  un  salto,  et  entra  ne  la  sella; 
E  correndo  la  caccia  molte  miglia. 
Senza  riposo,  in  questa  parte  e  in  quella: 
Mai  non  le  leva  né  sella  né  freno. 
Né  le  lascia  gustare  erba  né  fieno. 


buffamente  occupavano  parte  del  dolente 
viso,  e  similmente  la  barba  grande  era  di- 
venuta rigida  e  attorta  ». 

—  3.  mesta,  che  induce  mestizia  in  chi 
la  vede.  Cosi  Dante  disse;  Inf.  xiii,  100, 
mesta  selva. 

62.  4.  Come  lo  tr.  che  ecc.  Brachilogia  che 
compirai  cosi:  lo  ferisce  cosi  come  lo  trova: 
e  lo  trova  in  tal  posizione  che  gli  volta  il 
dosso. 

—  5.  spiccar  se  gli  cr.;  si  crede  spiccar- 
gli. Col  solito  spostamento  del  pronome.  V. 
e.  I,  47,  n.  6. 

63.  3.  ogni  metro;  ogni  misura.  Dantk, 
Purg.  27,  51,  disse  incendio  senza  metro. 

64.  1.  giumenta.  V.  e.  xi,  10,  6. 

—  4.  da  cocca.  È  veramente  la  tacca  della 
freccia;  poi  anche  ciascuna  dell'estremità 
dell'arco,  dove  si  ferma  la  corda.  Qui  per 
estensione  intendi  l'orco  stesso. 


—  6.  getta.  Appropriatissimo  a  indicare 
la  fretta  e  la  foga. 

65.  2.  dJseoncio,  positura  sconcia.  È  bella 
estensione  di  significato,  che  l'A.  ha  dato  a. 
questa  parola,  che  significa  disagio. 

66.  1.  Piri  corto  che...  era.  Più  comune- 
mente col  congiuntivo  :  che  c/uel  salto  fosse 
stato  pili  corto  due  dita.  Questo  modo 
comunissimo  nella  nostra  lingua  si  spiega 
completando  il  pensiero:  bastava  che  quel 
salto  ecc. 

—  4.  a  quel  tratto,  quella  volta.  In  questo 
senso  l'A.  Sat.  3  e  Cassarla,  iv,  9.  Ma  in 
altri  scrittori  è  raro. 

67.  4.  P.  si  vada.  «  Perché  in  questo  luogo 
pose  in  vece  di  benché,  ad  imitazione  del 
Petr.  I,  son.  69;  il  quale  similmente  disse: 
«  che  perch'  io  viva  di  miir  un  no  scampa  » 

(FORNARl). 

—  7.  nel  crine,  pel  crine.  Questo  costrutto 
è  assai  amato  dall'Ar.  iv,  43,  1;  xxiii,  pi,  3. 


CANTO  XXIX 


301) 


69 
Volendosi  cacciare  oltre  una  fossa, 
Sozzopra  se  ne  va  con  la  cavalla. 
Non  nocqae  a  lui,  né  senti  la  percossa; 
Ma  nel  fondo  la  misera  si  spalla. 
Non  vede  Orlando,  come  trar  la  possa, 
E  finalmente  se  l'arreca  in  spalla, 
E  su  ritorna,  e  va  con  tutto  il  carco. 
Quanto  in  tre  volte  non  trarrebbe  un  arco, 

70 
Sentendo  poi  che  gli  gravava  troppo. 
La  pose  in  terra,  e  volea  trarla  a  mano: 
Ella  il  seguia  con  passo  lento  e  zoppo. 
Dicea  Orlando:  Camina;  e  dieea  in  vano. 
Se  l'avesse  seguito  di  galoppo, 
Assai  non  era  al  desiderio  insano. 
Al  fin  dal  capo  le  levò  il  capestro, 
E  dietro  la  legò  sopra  il  pie  destro  ; 

71 
E  cosi  la  strascina,  e  la  conforta 
Che  lo  potrà  seguir  con  maggior  agio. 
Qual  leva  il  pelo,  e  quale  il  cuoio  porta, 
Dei  sassi  ch'eran  nel  camin  malvagio. 
La  mal  condotta  bestia  restò  morta 
Finalmente  di  strazio  e  di  disagio. 
Orlando  non  le  pensa,  e  non  la  guarda  ; 
E  via  correndo  il  suo  camin  non  tarda. 


70.  8.  sopra  ;  un  poco  sopra  il  piede  de- 
stro. 

71.  1.  la  conforta.  Accenna  alle  parole, 
che  Orlando  nella  sua  follia  rivolgeva  alla 
bestia,  mostrandole  il  benefizio,  che  le  fa- 
ceva, strascinandola. 

—  5.  La  mal  condotta  b.  Intendono  comu- 
nemente: la  bestia  ridotta  a  mal  partito;  e 
l'ecano  a  confronto  la  stessa  espressione 
dei  e.  ]i,  24;  xi^  32;  xli,  91;  ma  qui  forse 
meglio  potrebbe  intendersi  :  la  bestia,  con- 
dotta da  Orlando  cosi  malamente. 

—  7.  non  le  pensa;  non  pensa  a  lei.  Con 
questo  verbo  le  particelle  pronominali  non 
sono  usate, 


Di  trarla,  anco  che  morta,  non  rimase,, 
Continoando  il  corso  ad  Occidente: 
E  tuttavia  saccheggia  ville  e  case, 
Se  bisogno  di  cibo  aver  si  sente; 
E  frutte  e  carne  e  pan,  pur  ch'egli  invase. 
Rapisce;  et  usa  forza  ad  ogni  gente  : 
Qual  lascia  morto,  e  qual  storpiato  lassa; 
Poco  si  ferma,  e  sempre  inanzi  passa. 
73 

Avrebbe  cosi  fatto,  ò  poco  manco. 
Alla  sua  Donna,  se  non  s'ascondea; 
Perché  non  discernea  il  nero  dal  bianco^ 
E  di  giovar,  noceudo,  si  credea. 
Deh  maledetto  sia  Tannello  et  anco 
Il  cavallier  che  dato  le  l'avea! 
Che  se  non  era,  avrebbe  Orlando  fatto 
Di  sé  vendetta  e  di  mill'altri  a  un  tratto. 
74 

Né  questa  sola,  ma  fosser  pur  state 
In  man  d'Orlando  quante  oggi  ne  sono; 
Ch'ad  ogni  modo  tutte  sono  ingrate, 
Né  si  trova  tra  loro  oncia  di  buono. 
Ma  prima  che  le  corde  rallentate 
Al  canto  disugual  rendano  il  suono, 
Fia  meglio  differirlo  a  un'altra  volta, 
Acciò  men  sia  noioso  a  chi  l'ascolta. 


72.  1.  non  rimase;  non  cessò.  V.  e.  n,  24; 
XIII,  7S. 

—  5.  invase;  invasi,  metta  in  vaso,  nello 
stomaco.  L'Ar.  l'usa  anche  nel  senso  pro- 
prio XXXVII,  67;  ma  è  antico  e  raro.  Buo- 
narroti, Fier.  3,  4,  4:  «Del  coperto  licor 
che  vi  s' invasa  ». 

73.  7.  Che  se  non  era,  il  quale  se  non  era, 
se  non  era  il  quale  anello.  Si  potrebbe  anche 
intendere:  che  se  non  era  esso.  Sottinten- 
dere il  pronome  è  uso  frequente  dell'A.;  ma 
qui  r  espressione  riuscirebbe  un  po'  dura. 

74.  5.  rallentate.  Intenderei:  Prima  che 
le  corde  rallentate  dal  dolore  di  certi  ri- 
cordi mandino  un  suono  molto  disuguale  a 
ciò,  che  ho  cantato  deUe  donne  in  principio 
del  canto  e  in  loro  lode'. 


CANTO  XXX 


1 


Quando  vincer  da  l'impeto  e  da  l'ira 
Si  lascia  la  ragion,  né  si  difende, 
E  che  '1  cieco  furor  si  inanzi  tira 
0  mano  o  lingua,  che  gli  amici  offende; 
Se  ben  di  poi  si  piange  e  si  sospira. 
Non  è  per  questo  che  l'error  s'emende. 
Lasso!  io  mi  doglio  e  aflBigo  in  van  di 
Dissi  per  ira  al  fin  de  l'altro  Canto,  [quanto 

1.  3.  E  che;  V.  e.  iv,  60,  n.  5. 

—  7.  affligo.  Forma  più  vicina  al  latino  e 


Ma  simile  son  fatto  ad  uno  infermo, 
Che  dopo  molta  pazienzia  e  molta,    [mo» 
Quando  centra  il  dolor  non  ha  piti  scher- 
Cede  alla  rabbia  e  a  bestemmiar  si  volta: 
Manca  il  dolor,  né  l'impeto  sta  fermo, 

usata  anche  da  altri  scrittori;  ma  special- 
mente in  rima. 

2.  5.  né  l'imp.  sta  f.;  neppur  l'impeto  ri- 
man  fermo,  ma  dà  indietro,  diminuisce, 
appena  manca  il  dolore. 


400 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  la  lingua  al  dir  mal  facea  si  sciolta; 
E  si  ravvede  e  pente,  e  n'ha  dispetto: 
Ma  quelc'hadetto,  noupiiò  far  non  detto 
3 
Ben  spero,  Donne,  in  vostra  cortesia 
Averda  voi  perdon,poi  ch'io  vel  chieggio 
Voi  scusarete,  che  per  frenesia, 
Vinto  da  l'aspra  passion,  vaneggio. 
Date  la  colpa  alla  nimica  mia,  [gio  : 

<Jhe  mi  fa  star,  ch'io  non  potrei  star  peg- 
E  mi  fa  dir  quel  di  ch'io  son  poi  gramo  : 
ballo  Idio,  s'ella  ha  il  torto  ;  essa,  s'io  l'amo. 
4  fdo; 

Non  men  son  fuor  di  me,  che  fosse  Orlan- 
E  non  son  men  di  lui  di  scusa  degno,  [do, 
■Ch'or  per  li  monti,  or  per  le  piaggie  erran- 
Scurse  in  gran  parte  di  Marsilio  il  regno, 
Molti  di  la  cavalla  strascicando 
Morta,  come  era,  senza  alcun  ritegno; 
Ma  giunto  ove  un  gran  fiume  entra  nel 
■Gli  fu  forza  il  cadavero  lasciare,      [mare 
5 
E  perché  sa  nuotar  come  una  lontra, 
Entra  nel  fiume,  e  surge  all'altra  riva. 
Ecco  un  pastor  sopra  un  cavallo  incontra. 
Che  per  abbeverarlo  al  fiume  arriva. 
Colui,  ben  che  gli  vada  Orlando  incontra, 
Perché  egli  è  solo  e  nudo,  non  lo  schiva. 
Vorrei  del  tuo  rouzin  (gli  disse  il  matto) 
Con  la  giumenta  mia  far  un  baratto. 
6 
Io  te  la  mostrerò  di  qui,  se  vuoi; 
Che  morta  là  su  l'altra  ripa  giace: 
La  potrai  far  tu  medicar  di  poi  : 
Altro  difetto  in  lei  non  mi  dispiace,  [puoi: 
Con  qualche  aggiunta  il  ronzin  dar  mi 
Smontane  in  cortesia,  perché  mi  piace. 
11  pastor  ride,  e  senz'altra  risposta 
Va  verso  il  guado,  e  dal  pazzo  si  scosta. 


Io  voglio  il  tuo  cavallo:  olà,  non  odi  ? 
Soggiunse  Orlando,  e  con  furor  si  mosse. 
Avea  un  baston  con  nodi  spessi  e  sodi 
Quel  pastor  seco,  e  il  Paladiu  percosse. 
La  rabbia  e  l'ira  passò  tutti  i  modi 
Del  Coute;  e  parve  fierpiii  che  mai  fosse. 
Sul  capo  del  pastore  un  pugno  serra,  [ra. 
Che  spezza  l'osso,  e  morto  il  caccia  in  ter- 
8 

Salta  a  cavallo,  e  per  diversa  strada 
Va  discorrendo,  e  molti  pone  a  sacco. 
Non  gusta  il  ronzin  mai  fieno  né  biada; 
Tanto  ch'in  pochi  di  ne  riraan  fiacco  : 
Ma  non  però  ch'Orlando  a  piedi  vada, 
Che  di  vetture  vuol  vivere  a  macco; 
E  quante  ne  trovò,  tante  ne  mise 
In  uso,  poi  che  i  lor  patroni  uccise. 

I      Capitò  al  fin  a  Malega,  e  più  danno 
!  Vi  fece,  ch'egli  avesse  altrove  fatto: 
Che,  oltre  che  ponesse  a  saccomanno 
Il  popol  si  che  ne  restò  disfatto. 
Né  si  potè  rifar  quel  né  l'altr'anno, 
Tanti  n'uccise  il  periglioso  matto. 
Vi  spianò  tante  case,  e  tante  accese, 
Che  disfe'  più  che  '1  terzo  del  paese. 
10 
Quindi  partito,  venne  ad  una  terra, 
Zizera  detta,  che  siede  allo  stretto 
Di  Zibeltarro,  o  vuoi  di  Zibelterra; 
Che  l'uno  e  l'altro  nome  le  vien  detto  : 


3.  3.  scusarete.  Per  questa  forma  di  fu- 
turo cfr.  e.  Ili,  2,  n.  6. 

—  5.  nimica  mia.  Può  benissimo  riferirsi 
ad  Alessandra  BenuccL  (cfr.  e.  I,  2,  5)  ;  per- 
ché anche  in  alcune  poesie,  dove  parla  cer- 
tamente di  lei,  si  lamenta  della  sua  altera 
sostenutezza  (eleg.  x  ;  Gap.  I  e  altrove),  che 
lo  fa  soffrire.  Ma  poiché  questo  canto  do- 
veva esser  già  composto,  quando  l'Ariosto 
s'innamorò  della  Benucci  (1513),  e  d'altra 
parte  la  stanza  è  strettamente  connessa  col 
resto,  possiamo  anche  credere  che  in  ori- 
gine fosse  scritta  per  altra  donna. 

—  7.  gramo,  dolente  (a.  a.  ted.  gram, 
crucciato). 

4.  6.  senza  ale.  ritejrn»;  senza  nulla,  che 
lo  rattenesse  ;  senza  ostacoli. 

6.  5.  aggiunta;  giunta.  Il  Galilei  giusta- 
mente osserva  :  «  Farmi  che,  per  esser  matto, 
Orlando  dica  troppe  parole,  e  piuttosto  da 
buffone  che  da  matto  ». 


7.  7.  serra,  assesta.  Berni,  /un.  7.  16: 
«  un  par  di  calci  serra  •».  Ed  è  vivo  ancora. 

8.  2.  Va  discorrendo;  va  correndo  qua  e  là 
per  diverse  strade  —  pone  a  sacco,  spoglia 
del  loro  avere.  Detto  di  persone  è  modo  as- 
sai singolare. 

—  6.  a  macco;  in  abbondanza.  Alcuni  in- 
tendono a  uso;  ma,  sebbene  sia  stato  usato 
pure  in  questo  senso,  qui  si  adatta  meglio 
il  primo.  È  voce  d'etimologia  incerta. 

9.  1.  Malega;  Malaga;  città  della  Spagna 
meridionale. 

—  3.  a  saccomanno,  a  sacco;  (ted.  sach- 
mann,  uomo  dal  sacco).  Propriamente  si 
dicevano  Saccomanni  quelli,  che  andavano 
dietro  gli  eserciti  portando  bagagli.  Poi  si 
usò  per  sacco  nelle  frasi  porre,  mettere  a 
saccomanno . 

—  4.  disfatto,  rovinato.  Dante,  Par.  16, 
disse  in  senso  affine  :  «  Udir  come  le  schiatte 
si  disfanno  ». 

10.  2.  Zizera.  Forse  la  moderna  Algeciras, 
non  molto  lontana  dallo  stretto  di  Gibilterra. 

_  3.  Zibeltarro,  Gibilterra  (dall'arabo  Ge- 
bel,  monte;  Tarik,  nome  d'un  antico  capo 
degli  Arabi.  Viene  dunque  a  dire  il  monte 
di  Tarik). 

—  4.  le  vien  d.  La  locuzione  dire  a  uiu 


CANTO  XXX 


401 


Ove  una  barca  che  sciogliea  da  terra, 
Vide  piena  di  gente  da  diletto, 
Che  sollazzando  all'aura  matutina 
Già  per  la  tranquillissima  marina. 

11  [ta; 
Comincio  il  pazzo  a  gridar  forte:  Aspet- 

Ché  gli  venne  disio  d'andare  in  barca. 
Ma  bene  in  vano  e  i  gridi  e  gli  urli  getta- 
Che  volentier  tal  merce  non  si  carca       ' 
■Per  l'acqua  il  legno  va  con  quella  frétta, 
Che  va  per  1  aria  irondine  che  varca 
Orlando  urta  il  cavallo  e  batte  e  stringe 
E  con  un  mazzafrusto  all'acqua  spinge.  ' 

12  [entre  ■ 
Forza  è  ch'ai  fin  nell'acqua  il  cavallo  ' 

Ch  in  van  contrasta,  e  spende  in  vano  ogni 
■D  •  ,  .  fopra: 

iiagua  1  genocchi,  e  poi  la  groppa  e  '1  ven- 
Indi  la  testa,  e  a  pena  appar  di  sopra,  [tre 
Tornare  a  dietro  non  si  speri,  mentre      ' 
La  verga  tra  l'orecchie  se  gli  adopra. 
Misero!  o  si  convien  tra  via  affogare 
0  nel  lito  African  passare  il  mare.    ' 
13 
Non  vede  Orlando  piti  poppe  né  sponde 
Che  tratto  in  mar  l'avean  dal  lito  asciutto- 
Che  son  troppo  lontane,  e  le  nasconde     ' 
Agli  occhi  bassi  l'alto  e  mobil  flutto: 
E  tuttavia  il  destrier  caccia  tra  l'onde; 


un  nome  è  ancora  viva  nella  lingua,  nel 
enso  di  chiamarlo  con  quel  nome.  Cosi 
un  ragazzo  dirà:  «  mamma,  i  miei  compagni 
mi  dicon  Balilla»;  ma  si  usa  generalmente 
per  i  nomignoli;  in  questo  luogo  invece  si 
dice  del  vero  nome. 

—  5.  sciogliea;  salpava.  V.  e.  x,  44,  n.  1. 

—  6.  gente  da  dil.  Il  Pulci  disse,  Mory. 
3,  40  :  «  gente  da  godere  ». 

—  7.  sollazzando.  È  frequentissimo,  anche 
in  prosa,  invece  del  riflessivo.  Berni,  Inn. 
15,46:  «Cantando  sollazzava  e  facea  fe- 
sta ». 

11.  6.  irondine  ;  (lat.  hirundo).  Non  co- 
mune. 

—  8.  mazzafrusto.  È  propriam.  un  mazzo 
di  fruste,  che  hanno  in  cima  palle  di  piombo  ■ 
e  sou  fermate  a  un  bastone.  Qui  però  seni-  i 
bra  che  significhi  un  grosso  bastone  :  e  in  j 
questo  senso  manca  nei  vocabolari 

12. 5.  mentre  ;  poiché.  Significato  frequente 
anche  in  prosa.    Segneri,    Cr.   I.   i,  3,   7; 
«Sarei  ben  stolido  a  dubitarne...  mentre  è  ■ 
infallibile  che  dalla  bocca  di  Dio  non  può  I 
uscire  menzogna  ».  i 

—  8.  nel  lito  Afr.  ecc.;  passare   il  mare 
approdando  nel  lito   af.   Brachilogia  fre- 
quente  nella  nostra  e  nelle  lingue  classiche.  ! 
Cosi  anclie  nel  e.  xii,  4,  4.  1 

13.  1.  poppe,  É  singolare.  V.  e,  ix,  84,  n. 
1.  Qui  poiipa  e  sponde  per  l' intera  nave.  I 

Ariosto  —  Papini 


Ch  andar  di  la  dal  mar  dispone  in  tutto. 
11  destrier,  d'acqua  pieno  e  d'alma  voto, 
finalmente  fini  la  vita  e  il  nuoto. 
14 
Andò  nel  fondo,  e  vi  traea  la  salma, 
be  non  si  tenea  Orlando  in  su  le  braccia. 
Mena  le  gambe,  e  l'una  e  l'altra  palma, 
E  soffia,  e  l'onda  spinge  da  la  faccia. 
Era  l'aria  soave,  e  il  mare  in  calma: 
E  ben  vi  bisognò  più  che  bonaccia; 
Ch  ogni  poco  che  '1  mar  fosse  più  sorto 
Restava  il  Paiadin  ne  l'acqua  morto. 
15 
Ma  la  Fortuna,  che  dei  pazzi  ha  cura, 
Del  mar  lo  trasse  nel  lito  di  Setta, 
In  una  spiaggia,  lungi  da  le  mura. 
Quanto  sarian  duo  tratti  di  saetta. 
Lungo  il  mar  molti  giorni  alia  ventura 
Verso  Levante  andò  correndo  in  fretta. 
Fm  che  trovò,  dove  tendea  sul  lito, 
Di  nera  gente  esercito  infinito. 
16 
Lasciamo  il  Paiadin  ch'errando  vada: 
Ben  di  parlar  di  lui  tornerà  tempo. 
Quanto,  Signore,  ad  Angelica  accada, 
Dopo  ch'usci  di  man  del  pazzo  a  tempo  ; 
E  come  a  ritornare  in  sua  contrada 
Trovasse  e  buon  navilio  e  miglior  tempo 
E  de  l'India  a  Medor  desse  lo  scettro, 
Forse  altri  canterà  con  miglior  plettro. 
17 
Io  sono  a  dir  tante  altre  cose  intento. 
Che  di  seguir  più  questa  non  mi  cale. 
Volger  convienimi  il  bel  ragionamento 
Al  Tartaro  che,  spinto  il  suo  rivale. 
Quella  bellezza  si  godea  contento, 
A  cui  non  resta  in  tutta  Europa  eguale, 
Poscia  che  se  n'  è  Angelica  partita, 
E  la  casta  IssabeJla  al  elei  salita. 
18 
De  la  sentenzia  Mandricardo  altiero, 
Ch'in  suo  favor  la  bella  donna  diede, 


I  —  6.  in  tutto,  assolutamente.  Petr.  Tr. 
Am.  2:  «  Che  in  tutto  è  orbo  chi  non  vede 
il  Sole  ». 

—  7.  d'alma;  di  flato,  di  lena. 

14.  1.  salma,  il  carico,  cioè  Orlando  V 
e.  X,  25,  n.  4. 

—  7.  ogni  poco.  .  pili.  V.  e.  vili,  10,  n.  1. 

15.  2.  Setta,  Ceuta,  città  di  Barberia. 

—  7.  tendea;  stava  attendato.  È  latinismo 
non  frequente.  Viro.  En.  2,  29  :  «hic  saevus 
tendebat  Achilles  ». 

16.  8.  Forse  altri,  ecc.  Forse  incitato  da 
questi  versi,  Vincenzo  Brusantini  (m.  circa 
1570)  scrisse  ì"  Angelica  Innamorata,  poema 
cavaUeresco  di  scarso  valore. 

17.  4.  spinto,  allontanato,  rimosso.  Questo 
significato  manca  nei  vocabolari. 


402 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  può  fruir  tutto  il  diletto  intero: 
Che  contra  lui  son  altre  liti  in  piede. 
L'nua  gli  muove  il  giovene  Ruggiero, 
Perché  l'aquila  bianca  non  gli  cede  ; 
L'altra  il  famoso  Re  di  Sericana, 
Che  da  lui  vuol  la  spada  Uurindaua. 
19 

S'affatica  Agramante,  né  disclorre, 
Né  Marsilio  con  lui,  sa  questo  intrico: 
Né  solamente  non  li  può  disporre 
Che  voglia  l'un  de  l'altro  esser  amico; 
Ma  che  Ruggiero  a  Mandricardo  tórre 
Lasci  lo  scudo  del  Troiano  antico, 
O  Gradasso  la  spada  non  gli  vieti. 
Tanto  che  questa  o  quella  lite  accheti. 

20  [vada 

Ruggier  non  vuol  ch'in  altra  pugna 
Con  lo  suo  scudo;  né  Gradasso  vuole 
Che,  fuor  che  contra  sé,  porti  la  spada 
Che  '1  glorioso  Orlando  portar  suole. 
Al  fin  veggiamo  in  cui  la  sorte  cada 
(Disse  Agramante),  e  nonsian  più  parole: 
Veggiàn  quel  che  Fortuna  ne  disponga, 
E  sia  preposto  quel  ch'ella  preponga. 
21 

E  se  compiacer  meglio  mi  volete. 
Onde  d'aver  ve  n'abbia  obligo  ogn'ora; 
Chi  de'  di  voi  combatter,  sortirete; 
Ma  con  patto,  eh'  al  primo  ch'esca  fuora, 
Amendue  le  querele  in  man  porrete; 
Si  che,  per  sé  vincendo,  vinca  ancora 
Pel  compagno  ;  e  perdendo  l'un  di  vui, 
Cosi  perduto  abbia  per  ambidui. 
22 

Tra  Gradasso  e  Ruggier  credo  che  sia 
Di  valor  nulla  o  poca  differenza  ; 
E  di  lor  qual  si  vuol  venga  fuor  pria, 
So  ch'in  arme  farà  per  eccellenza. 
Poi  la  vittoria  da  quel  canto  stia. 
Che  vorrà  la  divina  Providenza. 
Il  cavallier  non  avrà  colpa  alcuna. 
Ma  il  tutto  imputerassi  alla  Fortuna. 


18.  3.  fruir.  Ter  il  costrutto  cfr.  e.  xiii, 
14,  n.  8. 

19.  7.  non  gli  vieti,  non  gV  impedisca. 
Sottintendi  di  ritenere. 

—  8.  Tanto  ecc.;  finché,  con  la  condi- 
scendenza dell'uno  o  dell'altro,  Mandricar- 
do possa  sostenere  successivamente  le  due 
querele,  e  cosi  Agramante  possa  risolvere 
questo  intrigo  di  diflicoltà. 

20.  7.  Veggiàn,  veggiam.  V.  e.  IX,  43,  n.  8. 

—  '  8.  quel  ecc.  ;  vada  a  combattere  avanti 
agli  altri  quegli,  che  la  sorte  indichi  per  il 
primo. 

21.  2   d'aver,  da  aver.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

—  5.  le  querele.  V.  e.  v,  76,  n.  4. 

22.  4.  per  eccellenza;  eccellentemente. 
Modo  avverbiale  assai  comune. 


23 

Steron  taciti  al  detto  d'Agramante 
E  Ruggiero  e  Gradasso;  et  accordarsi 
Che  qualunque  di  loro  uscirà  inante, 
E  l'una  briga  e  l'altra  abbia  a  pigliarsi. 
Cosi  in  duo  brevi,  ch'avean  simigliante 
Et  ugual  forma,  L  nomi  lor  notarsi; 
E  dentro  un'urna  quelli  hanno  rinchiusi. 
Versati  molto,  e  sozzopra  confusi. 
24 

Un  semplice  fanciul  nell'urna  messe 
La  mano,e  prese  un  breve;  evenne  acaso 
Ch'in  questo  il  nome  di  Ruggier  si  lesse, 
Essendo  quel  del  Serican  rimaso. 
Non  si  può  dir  quanta  allegrezza  avesse, 
Quando  Ruggier  si  senti  trar  del  vaso, 
E  d'altra  parte  il  Sericano  doglia; 
Ma  quel  che  manda  il  ciel,  forza  è  cheto- 

25  [glia- 

Ogni  suo  studio  il  tìericano,  ogni  opra 
A  favorire,  ad  aiutar  converte. 
Perché  Ruggiero  abbia  a  restar  di  sopra; 
E  le  cose  in  suo  prò,  ch'avea  già  esperte. 
Come  or  di  spada,  or  di  scudo  si  cuopra, 
Qual  sien  botte  fallaci,  e  qual  sien  certe. 
Quando  tentar,  quando  schivar  fortuna 
Si  dee,  gli  torna  a  mente  ad  una  ad  una. 
26 
Il  resto  di  quel  di,  che  da  l'accordo 
E  dal  trar  de  le  sorti  sopravanza, 
E  speso  dagli  amici  in  dar  ricordo,  [sanza. 
Chi  a  l'un  guerrier  chi  all'altro,  come  è  u- 
U  popol,  di  veder  la  pugna  ingordo. 
S'affretta  a  gara  d'occupar  la  stanza: 
Né  basta  a  molti  inanzi  giorno  andarvi; 
Che  voglion  tutta  notte  anco  veggiarvi. 
27 
La  sciocca  turba  disiosa  attende 
Ch'  i  duobuoucavalliervenganoinprova; 
Che  non  mira  più  lungi  né  comprende 
Di  quel  eh' inanzi  agli  occhi  si  ritrova. 
Ma  Sobrino  e  Marsilio,  e  chi  più  intende, 

23.  8.  Versati,  voltati,  agitati.  Latinismo 
assai  raro.  Si  cita  solamente  l'esempio  d'una 
antica  traduz.  di  Boezio  :  «  Voltando  e  ver- 
sando loro  cuori  in  venenosi  desideri  ». 

24.  1.  semplice,  innocente.  Dante,  Purg. 
16,  88  :  «  L'anima  semplicetta,  che  sa  nulla». 

—  2.  venne  a  caso  ;  avvenne  per  caso. 

25.  4.  E  le  cose  ecc.;  e  secondo  che  gli 
dettava  l'esperienza,  gli  rammentava  le  cose 
che  a  lui  sarebbero  tornate  a  vantaggio, 
cioè  come  dovesse  coprirsi  ecc. 

26.  3.  dar  ricordo,  richiamare  alla  memo- 
ria gli  accorgimenti  del  duello. 

—  6.  la  stanza,  il  posto,  donde  vedere.  È 
un  significato  notevole,  non  citato  dai  vo- 
cabolari. 

—  8.  veggiarvi;  vegghiarvi,  vegliarvi.  V, 
e.  I,  41,  n.  1. 


CANTO  XXX 


40c 


E  vede  ciò  che  nuoce  e  ciò  che  giova, 
Biasma  questa  battaglia,  et  Agramante, 
Che  voglia  comportar  che  vada  inante. 
28 

Né  cessan  raccordargli  il  grave  danno 
Che  n'ha  d'avere  il  popol  Saracino, 
Mti'^ra  Ruggiero  o  il  Tartaro  tiranno, 
Quel  che  prefisso  è  dal  suo  fier  destino: 
D'un  sol  di  lor  via  pili  bisogno  avranno 
Per  contrastare  al  figlio  di  Pipino, 
Che  di  dieci  altri  mila  che  ci  sono, 
Tra'quai  fatica  è  ritrovare  un  buono. 

29  |ro; 

Conosce  il  Re  Agramante  che  gli  è  ve- 
lia non  può  pili  negar  ciò  e'  ha  promesso. 
Ben  prega  Mandricardo  e  il  buon  Ruggie- 
Che  gli  ridonin  quel  c'ha  lor  concesso;  (ro, 
E  tanto  pili,  che  '1  lor  litigio  è  un  zero, 
Né  degno  in  prova  d'arme  esser  rimesso  : 
E  s'in  ciò  pur  noi  vogliono  ubbidire, 
Voglino  almen  )a  pugna  differire. 
30 

Cinque  o  sei  mesi  il  singular  certame, 
0  meno  o  più  si  differisca,  tanto 
Che  cacciato  abbin  Carlo  del  reame. 
Tolto  lo  scettro,  la  corona  e  il  manto,  [me 
Ma  l'un  e  l'altro,  ancor  che  voglia  e  bra- 
11  Re  ubbidir,  pur  sta  duro  da  canto; 
Che  tale  accordo  obbrobrioso  stima 
A  chi  '1  consenso  suo  vi  darà  prima. 

31  [vano 

Ma  più  del  Re,  ma  più  d'ognun  ch'in- 
Spenda  a  placare  il  Tartaro  parole. 


28.  1.  raccordargli,  ricordargli.  È  forma 
antiquata  e  rara. 

—  2.  ha  d'avere  ;  ha  da  avere,  avrà.  Per 
il  senso  futuro  cfr.  e.  xv,  35,  n.  2. 

—  3.  tiranno,  signore.  Questo  è  il  primo 
significato  del  gl'eco  ti/rannos;  da  cui  il 
nostro. 

—  4.  Quel  che;  muoia  qualunque  dei  due, 
è  pi'estabifito  a  morire  dal  s.  f.  d. 

29.  6.  d.  in  prova  d'ar.  ecc.  ;  d.  d'  esser 
messo  di  nuovo  alla  prova  dell'arme.  Questo 
litigio  era  stato  messo  alla  prova  dell'arme 
un'altra  volta:  cfr.  Innamor.  Iir,  vi,  40. 
Avverti  la  ommissione,  tante  volte  notata, 
della  preposiz.  di,  e  il  costrutto  mettere  in 
■prova,  invece  del  più  comune  mettere  alla 
prova  :  ma  forse  su  questo  costrutto  ha 
agito  la  forma  iterativa  rimettere,  assu- 
mendo cosi  la  costruzione,  che  questo  verbo 
ha,  quando  significa  affidare  (rimettersi  in 
uno). 

—  8.  Voglino,  vogliano.  Forma  popolare 
ancor  viva  nel  volgo. 

30.  4.  Tolto:  Sottintendi  a  lid. 

—  6.  da  canto,  in  disparte;  non  volendo 
neppur  discuter  la  proposta.  V.  e.  xii,  21, 
n.  5. 


La  bella  figlia  del  Re  Stordilano 
Supplice  il  priega,  e  si  lamenta  e  duole: 
Lo  prega  che  consenta  al  Re  Africano, 
E  voglia  quel  che  tutto  il  campo  vuole; 
Si  lamenta  e  si  duci  che  per  lui  sia 
Timida  sempre  e  piena  d'augonia. 
32 
Lassa  !  (dicea)  che  ritrovar  poss'  io 
Rimedio  mai,  eh' a  riposar  mi  vaglia  ? 
S'or  centra  questo  or  quel  nuovo  disio 
Vi  trarrà  sempre  a  vestir  piastra  e  maglia. 
C  ha  potuto  giovare  al  petto  mio 
Il  gaudio  che  sia  spenta  la  battaglia 
Per  me  da  voi  coiitra  quell'altro  presa, 
Se  un'altra  non  niiuor  se  n'è  già  accesa? 

33  [ra 
Oimè!  ch'in  vano  i'  me  n'andava  altie- 

Ch'un  Re  si  degno,  un  cavallier  si  forte 
Per  me  volesse  in  perigliosa  e  fiera 
Battaglia  porsi  al  risco  de  la  morte: 
Ch'or  veggo  per  cagion  tanto  leggiera 
Non  meno  esporvi  alla  medesma  sorte. 
Fu  naturai  ferocità  di  core, 
Ch'a  quella  v'  instigò,  più  che  '1  mio  amore. 

34  [quello 
Ma  se  gli  è  ver  che  '1  vostro  amor  sia 

Che  vi  sforzate  di  mostrarmi  ogn'ora, 
Per  lui  vi  prego,  e  per  quel  gran  flagello 
Che  mi  percuote  l'alma  e  che  m'accora. 
Che  non  vi  caglia,  se  '1  candido  augello 
Ha  ne  lo  scudo  quel  Ruggiero  ancora. 
Utile  0  danno  a  voi  non  so  ch'importi; 
Che  lasci  quella  insegna,  o  che  la  porti. 
35 
Poco  guadagno,  e  perdita  uscir  molta 
De  la  battaglia  può,  che  per  far  sete. 
Quando  abbiate  a  Ruggier  l'aquila  tolta, 
Poca  mercé  d'un  gran  travaglio  avrete; 
Ma  se  Fortuna  le  spalle  vi  volta 
(Che  non  però  nel  crin  presa  tenete). 
Causate  un  danno,  ch'a  pensarvi  solo 


31.  8.  angonia,  agonia,  angoscia  mortale. 
È  forma  rara  anche  negli  antichi. 

32.  7.  quell'altro,  Rodomonte.  V.  e.  xxiv, 
111. 

34.  3.  Per  lui.  L'amore  è  personificato. 
Del  resto  il  Petr.  I,  son.  25,  riferi  lui  a 
tempo  ;  il  Boccaccio,  Nov.  49  a  falcone.  — 
flagello,  tormento,  che  mi  flagella  l'anima, 
dolore.  Lasca,  Oraz.  alla  Cr.  :  «  Gli  han  dato 
cosi  gran  flagello  e  tanta  pena  ». 

—  7.  importi,  arrechi.  Bembo,  Stor.  1, 
53:  «le  acque  grave  detrimento  importa- 
rono ».  Intendi  :  Io  non  so  che  a  voi  porti 
utile  o  danno  il  fatto  che  egli  lasci  o  porti 
quella  insegna. 

35.  C.  però  ;  peranco.  Cosi  il  Lasca,  che 
incomincia  in  tal  modo  la  prima  novella: 
«  Non  sono  però  molti  anni  passati  ». 


404 


ORLANDO  FURIOSO 


Mi  sento  il  petto  già  sparrar  di  duolo. 
36 

Quando  la  vita  a  voi  per  voi  non  sia 
Cara,  e  più  amate  un'aquila  dipinta, 
Vi  sia  alnien  cara  per  la  vita  mia: 
Non  sarà  l'uua  senza  l'altra  estinta. 
Non  già  morir  con  voi  grave  mi  fia  : 
.Sondi  seguirvi  in  vita  e  in  morte  accinta; 
Ma  non  vorrei  morir  si  mal  contenta, 
Come  io  morrò,  se  dopo  voi  son  spenta. 
37 

Con  tai  parole  e  simili  altre  assai, 
Che  lacrime  accompagnano  e  sospiri, 
Pregar  non  cessa  tutta  notte  mai, 
Terch'alla  pace  il  suo  amator  ritiri. 
E  quel,  suggeudo  da  gli  umidi  rai 
Quel  dolce  pianto,  e  quei  dolci  martiri 
13a  le  vermiglie  labra  più  che  rose, 
Lacrimando  egli  ancor,  cosi  rispose  : 
38 

Deh,  vita  mia,  non  vi  mettete  affanno. 
Deh  non,  per  Dio,  di  cosi  lieve  cosa;  [no 
Che  se  Carlo  e  '1  Re  d'Africa,  e  ciò  e'  han- 
Qui  di  gente  moresca  e  di  franciosa, 
8piegasson  le  bandiere  in  mio  sol  danno, 
Voi  pur  non  ne  dovreste  esser  pensosa. 
Ben  mi  mostrate  in  poco  conto  avere, 
Se  per  me  un  Ruggier  sol  vi  fa  temere. 
39 

E  vi  dovria  pur  rammentar  che,  solo 
(E  spada  io  non  avea  né  scimitarra), 
Con  untroncondilanciaa  ungrossostuolo 
D'armati  cavallier  tolsi  la  sbarra. 


—  S.  sparrar,  sparare,  aprire.  L'ediz.  del 
1516  e  del  1521,  come  anche  le  edizioni  più 
antiche  sono  concordi  in  questa  lezione  ; 
quelle  dal  1545  in  poi  corressero  sparar. 
La  doppia  venne  forse  per  influenza  dialet- 
tale e  fu  bene  accolta  dal  Poeta  ad  espri- 
mere con  più  efficacia  r  idea.  Cosi  usò  Ecco 
per  Eco;  annel  per  anel\  cavalliere  per 
cavaliere. 

36.  2.  amate.  Avverti  il  passaggio  dal  con- 
giunt.  sia,  all'indicat.  ;  quello  accenna  ad 
un  sentimento  che  non  si  vede  e  non  si  può 
accertare,  questo  al  fatto,  che  appar  mani- 
festo. 

—  6.  accinta...  di;  apparecchiata  a.  Il 
Tasso,  Ger.  10,  35,  1'  usò  pure  iu  tai  senso, 
ma  col  costrutto  più  comune:  «Ch'era  il 
suo  caro  al  dipartirsi  accinto  »  ;  e  si  usò 
;inche  senza  prepos.:  sotio  acciìita  accom- 
pagnarvi. 

:j.S.  2.  non;  no.  V.  e.  X,  49,  n.  8. 

—  7.  mi  ;  Uniscilo  ad  avere.  V.  e.  i,  47, 
n.  6. 

39.  ].  rammentare.  È  usato  impersonal- 
mente per  analogia  di  ricordare  ;  ma  i  vo- 
cabolari non  lo  citano. 

—  4.  tolsi  lasb.;  Feci  fuggire  dalla  sbarra, 


Gradasso,  ancorché  con  vergogna  e  duolo 
Lo  dica,  pure,  a  chi  '1  domanda,  narra 
Che  fu  in  Seria  a  un  castel  mio  prigioniero  ; 
Et  è  pur  d'altra  fama  che  Ruggiero. 
40 

Non  niega  similmente  il  Re  Gradasso, 
E  sallo  Isolier  vostro  e  Sacripante, 
Io  dico  Sacripante,  il  Re  Circasso, 
E  '1  famoso  Grifone  et  Aquilante, 
Cent' altri  e  più,  che  pure  a  questo  passo 
Stati  eran  presi  alcuni  giorni  inante, 
Macomettani  e  gente  di  battesrao. 
Che  tutti  liberai  quel  di  medesrao. 
41 

Non  cessa  ancor  la  maraviglia  loro 
De  la  gran  prova  eh'  io  feci  quel  giorno. 
Maggior,  che  se  l'esercito  del  Moro 
E  del  Franco  inimici  avessi  intorno. 
Et  or  potrà  Ruggier,  giovine  soro, 
Farmi  da  solo  a  solo  o  danno  o  scorno  ? 
Et  or  e' ho  Durindana  e  l'armatura 
D'Ettor,  vi  de' Ruggier  metter  paura? 

42  [io. 

Deh  perché  dianzi  in  prova  non  venni 
Se  far  di  voi  con  l'arme  iopotea  acquisto  ? 
So  che  v'avrei  si  aperto  il  valor  mio. 
Ch'avresti  il  fin  già  di  Ruggier  previsto. 


cioè  dal  luogo  che  essi  difendevano.  È  im- 
magine presa  dai  duelli,  che  si  facevano  in 
luoghi  cinti  e  chiusi  con  sbarre.  Per  il  fatto 
cfr.  e.  XIV,  .':ì9  segg. 

—  5.  Gradasso  ecc.  Maudricardo,  venuto 
in  poter  d'una  fata,  combatte  con  Gradasso, 
che  era  già  da  tempo  prigioniero  di  questa 
fata;  vintolo  e  superate  altre  ditììcili  prove, 
ottiene  da  essa  le  armi  di  Ettore  e  la  li- 
berazione di  Gradasso  e  degli  altri  prigio- 
nieri. Cosi  neìV Innamorato,  III,  i,  39,  47. 

—  8.  d'  altra  f.  ;  di  ben  altra  f.;  di  molto 
maggior  f.  Cosi  Boccaccio,  Nov.19:  «Altro 
avresti  detto  se  tu  m'  avessi  visto  a  Bolo- 
gna »;  ed  è  vivo  ancora  nella  nostra  lingua. 
Cfr.  e.  XXXIV,  72,  I. 

40.  2.  Isolier  vostro  ;  Perché  era  Spagnuolo 
come  DoraUce.  V.  e.  xiv,  li. 

—  8.  Che  ;  dipende  dai  verbi  ìion  niega, 
sallo  :  Gradasso  pure  non  nega,  e  lo  sa  Is. 
S.  Gr.  Aq.  e  cento   altri  e  più  ...,  che  io  li 

I  liberai  tutti  ecc. 

41.  5.  soro;  Si  diceva  dei  falconi  giovani 
ancora  di  prima  penna;  perciò  vale  ine- 
sijerto.  È  d'etunolog.  incerta:  il  LiUrè,  più 
giustamente  degli  altri,  lo  riporta  al  lat. 
saurus,  sauro;  per  il  colore  delle  penne 
dei  falconi  giovanetti. 

42.  1.  in  prova  n.  v.;  non  venni  alla  prova 
delle  armi,  non  provai  se  ecc.  V.  e.  iv,  68, 
n.  7. 

—  4.  avrssti,  avreste.  Forma  popolare 
ancor  viva  nel  volgo. 


CANTO  XXX 


405 


Asciugate  le  lacrime,  e  per  Dio 
Non  mi  fate  uno  augurio  cosi  tristo; 
E  siate  certa  che  '1  mio  onor  m' ha  spinto, 
Non  ne  lo  scudo  i.1  bianco  augel  dipinto. 
43 

Cosi  disse  egli;  e  molto  ben  risposto 
Gli  fu  da  la  mestissima  sua  donna, 
Che  non  pur  lui  mutato  di  proposto, 
Ma  di  luogo  avria  mossa  una  colonna. 
Ella  era  per  dover  vincer  lui  tosto, 
Ancor  ch'armato,  e  ch'ella  fosse  in  gonna; 
E  l'avea  indotto  a  dir,  se  '1  Re  gli  parla 
D'accordo  più,  che  volea  contentarla. 
44 

E  lo  facea;  se  non,  tosto  ch'ai  sole 
La  vaga  Aurora  fé'  l'usata  scorta. 
L'animoso  Ruggier  che  mostrar  vuole 
Che  con  ragion  la  bella  aquila  porta, 
Per  non  udir  più  d'atti  e  di  parole 
Dilaziou,  ma  far  la  lite  corta, 
Dove  circonda  il  popol  lo  steccato, 
Sonando  il  corno,  s'appresenta  armato. 
45 

Tosto  che  sente  il  Tartaro  superbo. 
Ch'alia  battaglia  il  suono  altier  lo  sfida, 
Non  vuol  più  de  l'accordo  intender  verbo, 
Ma  si  lancia  del  letto,  et  arme  grida; 
E  si  dimostra  si  nel  viso  acerbo. 
Che  Doralice  istessa  non  si  fida 
Di  dirgli  più  di  pace  né  di  triegua  : 
E  forza  è  infin  che  la  battaglia  segua. 
4G 

Subito  s'arma,  et  a  fatica  aspetta 
Da*  suoi  scudieri  i  debiti  servigi  : 
Poi  monta  sopra  il  buon  cavallo  in  fretta. 
Che  del  gran  difensor  fu  di  Parigi; 
E  vien  correndo  inver  la  piazza,  eletta 
A  terminar  con  l'arme  i  gran  litigi. 
Vi  giunse  il  Re  e  ia  corte  allora  allora; 
Si  eh' all' assalto  fu  poca  dimora. 


4:ì.  5.  era  per  dorer;  era  sul  punto  di  do- 
ver vincer  tosto. 

—  6.  Ancor  ch'ar.  È  reminiscenza  del  Pe- 
TP.ARCA  r,  madr.  4:  «Tu  (amore)  sei  ar- 
mato,, ed  ella  in  trecce  e  in  gonna». 

44.  1.  se  non;  se  non  che.  Modo  notevole, 
non  citato  dai  vocabolari.  Le  altre  due  ed. 
curate  dall' Ar.  avevano  se  non  che  come 
al  Sole.  Il  cambiamento  non  sembra  dei 
più  febei. 

—  5-6.  d'atti  e  di  p.  dil.;  dilazione  fatta 
per  atti,  come  gli  ordini  del  Re;  per  parole 
come  le  trattative  d'accordo. 

46.  4.  difensor...  di  Par.;  Orlando.  Briglia- 
doro  era  stato  lasciato  da  Orlando  alla  casa 
del  pastore  (xxiii,  116),  e  preso  poi  da  Man- 
dricardo  (xxiv,  115). 

—  S.  fu  poca  dim.;  per  l'assalto  vi  fu  poco 
indugio. 


47 
Posti  lor  furo  et  allacciati  in  testa 
I  lucidi  elmi,  e  date  lor  le  lance. 
Segue  la  tromba  a  dare  il  segno  presta. 
Che  fece  a  mille  impallidir  le  guance. 
Posero  l'aste  i  cavallieri  in  resta, 
E  i  corridori  punsero  alle  pance; 
E  venner  con  tale  impeto  a  ferirsi. 
Che  parve  il  ciel  cader,  la  terra  aprirsi. 

48 
Quinci  e  quindi  venir  si  vede  il  bianco 
Augel  che  Giove  per  l'aria  sostenne; 
Come  ne  la  Tessalia  si  vide  anco 
Venir  più  volte,  ma  con  altre  penne. 
Quanto  sia  l'uno  e  l'altro  ardito  e  franco, 
Mostra  il  portar  de  le  massiccie  antenne; 
E  molto  più,  ch'a  quello  incontro  duro 
Quai  torri  ai  venti,  o  scogli  all'onde  furo. 

49 
I  tronchi  fin  al  ciel  ne  sono  ascesi: 
Scrive  Turpin,  verace  in  questo  loco, 
Che  dui  0  tre  giù  ne  tornare  accesi, 
Ch'eran  saliti  alla  sfera  del  fuoco. 
I  cavallieri  i  brandi  aveano  presi: 


47.  3.  Segue  la  tr.  ;  dopo  ciò  vien  sonata 
la  tromba,  che  è  sollecita  a  dare  i  segnali 
d'  uso. 

48.  2.  Augel  che  G.;  l'aquila.  Giove  fu  rap- 
presentato in  moltissime  maniere  :  ed  anche 
sopra  un  carro  portato  da  aquile.  Cosi  lo 
dipinse  splendidamente  anche  Raffaello  d'Ur- 
bino; e  forse  a  quel  dipinto  pensava  l'A. 

—  4.  più  volte.  «  Disse  i3ù<  volte,  perché, 
seguendo  Viro.  Georg.  I,  490;  Ovid.  Met.  xv, 
S25;  Floro,  1,  7,  e  altri,  fu  di  sentimento 
che  nel  medesimo  luogo,  dove  segui  la  bat- 
taglia di  Cesare  con  Pompeo,  seguisse,  sei 
anni  dopo,  l'altra  d'Ottavio  e  Antonio  con 
Bruto  e  Cassio  »  (Barotti)  ;  mentre  questa 
avvenne  a  Filippi  nella  Macedonia,  quella  a 
Parsalo  neUa  Tessaglia.  L'errore  di  quegli 
antichi  scrittori  viene  spiegato  in  diversi 
modi,  che  qui  non  fa  al  caso  nostro  discu- 
tere. —  con  altre  penne.  L'aquila  di  Rug- 
gero era  bianca  argentea  precisamente  co- 
me le  aquile  Romane  da  Mario  fino  all'im- 
pero. D'allora  furono  auree.  Ma  l'Ar.  fu  qui 
inesatto,  perché  aveva  forse  la  mente  all'a- 
quila imperiale  del  medio  evo,  che  era 
nera.  Nei  Cinque  Canti,  iii,  73  si  dice  che 
Ruggero,  fatto  cristiano,  avea  preso  per 
insegua  «  l'uccel  bianco  e  il  nero  »;  cioè  al- 
l'aquila bianca  avea  unito  l' aquila  impe- 
riale. 

—  7.  E  molto  pili  che  ;  e  molto  più  lo  di- 
mostra il  fatto  che  ecc. 

49.  2.  Scr.  Turp.  V.  e.  XIII,  40,  n.  2. 

—  4.  sfera  del  fuoco;  Secondo  l'astrono- 
mia antica,  stava  fra  la  terra  e  il  cielo  della 
luna. 


406 


ORLANDO  FURIOSO 


E  come  quei  che  si  temeano  poco, 
Si  ritornavo  incontra;  e  a  prima  giunta 
Àmbi  alla  vista  si  ferir  di  punta. 
50 

Ferirsi  alla  visiera  al  primo  tratto; 
E  non  miraron,  per  mettersi  in  terra, 
Dare  ai  cavalli  morte;  eh'  è  mal'atto, 
Perch'essi  non  han  colpa  de  la  guerra. 
Chi  pensa  che  tra  lor  fosse  tal  patto. 
Non  sa  l'usanza  antiqua,  e  di  molto  erra: 
Senz'altro  patto  era  vergogna  e  fallo 
E  biasmo  eterno  a  chi  feria  il  cavallo. 
51 

Ferirsi  alla  visiera,  ch'era  doppia, 
Et  a  pena  anco  a  tanta  furia  resse. 
L'un  colpo  appresso  all'altro  si  raddoppia  : 
Le  botte,  pili  che  grandine,  son  spesse, 
Che  spezza  fronde  e  rami  e  grano  e  stoppia, 
E  uscir  in  vau  fa  la  sperata  messe. 
Se  Durindana  e  Balisarda  taglia. 
Sapete,  e  quanto  in  queste  mani  vaglia. 
52 

Ma  degno  di  sé  colpo  ancor  non  fanno, 
Si  l'uno  e  l'altro  ben  sta  su  l'avviso. 
Usci  da  Mandricardo  il  primo  danno, 
Per  cui  fu  quasi  il  buon  Ruggiero  ucciso. 
D'uno  di  quei  gran  colpi  che  far  sanno, 
Gli  fu  lo  scudo  per  mezzo  diviso, 
E  la  corazza  apertagli  di  sotto  ; 
E  fin  sul  vivo  il  crudel  brando  ha  rotto. 


—  8.  vista;  visiera.  Cosi  pure  uel  e.  xli,  86. 

50.  2.  n.  miraron...  dare;  non  volsero  la 
loro  mira  a  dare.  È  una  osservazione  del- 
l'A.  per  riprovare  l'usanza,  di  cui  qui  ap- 
presso. 

—  5.  tal  patto  ;  chi  pensa  che  non  mi- 
rassero ai  cavalli,  non  già  per  generosità, 
ma  per  un  patto  esplicito  fatto  avanti  fra 
loro.  Nel  Quattrocento  e  nel  Cinquecento 
si  era  introdotta  l'usanza  che  nei  capitoli 
del  duello  si  stabiliva  se  poteva  o  non  poteva 
colpirsi  il  cavallo  dell'  avversario.  L' A.  ri- 
prova tale  usanza. 

—  7.  Senz'altro  patto,  senz' alcun  patto; 
senza  bisogno  d'alcun  patto.  Cosi  usò  sema 
il  Boccaccio.  .Yor.  99:  «  Io  ho  assai  offesi 
gl'Iddìi...  senza  volerli  ora  con  la  morte 
d'un  altro  innocente  offenderli  ».  Di  altro 
per  alcuno,  cfr.  e  xxiii,  68,  n.  1. 

51.  i.  anco  ;  anche  cosi,  anche  doppia. 

—  I.  grandine  ecc  Viugil.  En.  5,  158: 
«  Quam  multa  grandine  nimbi  Culminibus 
crepitant,  sic  densis  ictibus  heros  ». 

—  7.  taglia;  Il  verbo  è  al  sing.  perché 
queste  due  cose  sono  considerate  dal  Poeta 
come  un  tutto  insieme,  nei  loro  effetti.  V. 
FORNACIAKI,  S.,  p.  302. 

.52.  5.  D'uno,  da  uno.  V.  e.  v,  10,  n.  5.  — 
sanno,  questi  due  guerrieri. 

—  7.  dì  sotto:  sotto  lo  scudo. 


53  [petto, 

L'aspra  percossa  agghiacciò  il  cor  nel 
Per  dubbio  di  Ruggiero,  ai  circostanti. 
Nel  cui  favor  si  conoscea  lo  affetto 
Dei  pili  inchinar,  se  non  di  tutti  quanti. 
E  se  Fortuna  ponesse  ad  effetto 
<iuel  che  la  maggior  parte  vorria  inanti, 
(jjà  Mandricardo  saria  morto  o  preso  : 
Si  che  'Isuocolpohatuttoil campo  offeso. 
54 

Io  credo  che  qualche  Agnol  s' interpose 
Per  salvar  da  quel  colpo  il  Cavalliero. 
Ma  ben  senza  pili  indugio  gli  rispose, 
Terribil  pili  che  mai  fosse,  Ruggiero. 
La  spada  in  capo  a  Mandricardo  pose; 
Ma  si  lo  sdegno  fu  subito  e  fiero, 
Vj  tal  fretta  gli  fé',  ch'io  men  l'incolpo 
Se  non  mandò  a  ferir  di  taglio  il  colpo. 
55 

Se  Balisarda  lo  giungea  pel  dritto. 
L'elmo  d'Ettorre  era  incantato  in  vano. 
Fu  si  del  colpo  Mandricardo  afflitto, 
Che  si  lasciò  la  briglia  uscir  di  mano. 
D'andar  tre  volte  accenna  a  capo  fitto, 
Mentre  scorrendo  va  d'intorno  il  piano 
Quel  Brigliador  che  conoscete  al  nome, 
Dolente  ancor  de  le  mutate  some. 
56 

Calcata  serpe  mai  tanto  non  ebbe, 
Né  ferito  leon,  sdegno  e  furore. 
Quanto  il  Tartaro,  poi  che  si  riebbe 
Dal  colpo  che  di  sé  lo  trasse  fuore. 
E  quanto  l'ira  e  la  superbia  crebbe. 
Tanto  e  più  crebbe  in  lui  forza  e  valore. 
Fece  spiccare  a  Brigliadoro  un  salto 
Verso  Ruggiero,  e  alzò  la  spada  in  alto. 
57 

Levossi  in  su  le  staffe,  et  all'elmetto 
SegnoUi,  e  si  credette  veramente 


53.  6.  T.  inanti,  vori*ebbe  piuttosto,  prefe- 
rirebbe. 

54.  7.  t.  fretta  gli  fé';  lo  fece  tanto  affret- 
tare. È  diverso  dal  far  fretta  nel  senso  di 
stimolare  a  far  presto.  In  questo  secondo 
senso  è  frequente;  nel  primo  non  è  neppur 
citato  dai  vocabolari.  —  men,  non.  È  il  lat. 
!?iiuMs.  CiCEU.  1,  Div.  11  :^«  Nonnunquam 
quae  praedicta  sunt  niinus  eveniunt  ».  È  un 
esempio  notevole  di  quest'  uso  nella  nostra 
lingua;  giacché  i  due  esempi  citati  del  Ghe- 
rardini  rientrano,  in  qualche  modo,  nell'uso 
del  comparativo,  la  cui  idea  manca  assolu- 
tamente qui. 

55.  2.  era  ine.  in  t.  V.  st.  59,  6. 

56.  1-2.  Sono  comparazioni  del  Boiardo, 
Inn.  I,  vili,  37  :  «  Non  è  leon  ferito  più  spia- 
cevole. Né  serpe  calpestata  tanto  ria  ». 

57.  2.  SegnoUi;  gli  segnò,  gli  mirò.  Nel 
e.  XXIV,  101:  «segna  alla  testa».  Il  Berui 


CANTO  XXX 


407 


Partirlo  a  quella  volta  fin  al  petto: 
Ma  fu  di  lui  Ruggier  più  diligente,  [fetto, 
Che  pria  che  '1  braccio  scenda  al  duro  ef- 
Gli  caccia  sotto  la  spada  pungente, 
E  gli  fa  ne  la  maglia  ampia  finestra, 
Che  sotto  difendea  l'ascella  destra. 
58 

E  Balisarda  al  suo  ritorno  trasse 
Di  fuori  il  sangue  tiepido  e  vermiglio, 
E  vietò  a  Durindana  che  calasse 
Impetuosa  con  tanto  periglio; 
Ben  che  fin  su  la  groppa  si  piegasse 
Ruggiero,  e  per  dolor  strignesse  il  ciglio: 
E  s'elmo  in  capo  avea  di  peggior  tempro, 
Gli  era  quel  colpo  memorabil  sempre. 
59 

Ruggier  non  cessa,  e  spinge  il  suo  eaval- 
E  Mandricardo  al  destro  fianco  trova,  [lo, 
Quivi  scelta  finezza  di  metallo, 
E  ben  condutta  tempra  poco  giova 
Centra  la  spada  che  non  scende  in  fallo. 
Che  fu  incantata  non  per  altra  prova, 
Che  per  far  eh' a'  suoi  colpi  nulla  vaglia 
Piastra  incantata  et  incantata  maglia. 

60  [me 

Taglionne  quanto  ella  ne  prese,  e  insie- 
Lasciò  ferito  il  Tartaro  nel  fianco. 
Che  '1  ciel  bestemmia,  e  di  tant'ira  freme. 
Che  '1  tempestoso  mare  è  orribil  manco. 
Or  s'apparecchia  a  por  le  forze  estreme: 
Lo  scudo  ove  in  azzurro  è  l'augel  bianco. 
Vinto  da  sdegno,  si  gittò  lontano, 
E  messe  al  brando  e  l'una  e  l'altra  mano. 
61 

Ah  (disse  aluiRuggier), senza  più  basti 
A  mostrar  che  non  merti  quella  insegua. 
Ch'or  tu  la  getti,  e  dianzi  la  tagliasti  ; 
Né  potrai  dir  mai  più  che  ti  convegna. 
Cosi  dicendo,  forza  è  ch'egli  aitasti 


l'usò  col  complemento  diretto  :  Ina.  21,16: 
«  E  dove  lo  segnò  ». 

—  3.  a  quella  volta.  Spesso  l'Ar.  usò,  come 
rasarono  altri,  specialmente  il  Pulci  (Tt/or. 
10,64:  26,  7;  26,  5  ecc.l  a  questa  volta;  al 
qual  modo  è  analogo  questo. 

—  8.  Che;  Riferiscilo  a  inaglia,  e  inten- 
di :  gli  fa  ampia  tinestra  nella  maglia  e  pre- 
cisamente in  quella  parte,  che  di  sotto  di- 
fendeva l'ascella  destra. 

.59.  2.  trova,  colpisce.  Pulci,  Movg.  12,32: 
«  E  in  su  lo  scudo  basso  lo  trovava  ».  E  pure 
in  prosa  :  Firenzuola,  as.  166:  «  E  trovan- 
domi... con  un  buon  bastone  ». 

—  6.  fu  incantata  ecc.  V.  e.  vii,  76,  n.  1. 

60.  5.  por,  impiegare. 

61.  3.  la  tagliasti;  V.  st.  52.  6.  L'averla 
tagliata  su  lo  scudo  di  Ruggero  è  come  un 
cattivo  augurio  per  Mandricardo. 

—  5.  Cosi  dicendo  ;  mentre  diceva  queste 
cose,  Mandricardo  gli  calava  addosso  Du- 


Con  quanta  furia  Durindana  vegna; 
Che  si  gli  grava  e  si  gli  pesa  in  fronte. 
Che  più  leggier  potea  cadervi  un  monte  : 
I  62 

E  per  mezzo  gli  fende  la  visiera; 
;  Buon  per  lui,  che  dal  viso  si  discosta: 
I  Poi  calò  su  l'arcion  che  ferrato  era, 
j  Né  lo  difese  averne  doppia  crosta: 
I  Giunse  al  fin  su  l'arnese,  e  come  cera 
!  L'aperse  con  la  falda  sopraposta  ; 
E  feri  gravemente  ne  la  coscia 
Ruggier,  si  ch'assai  stette  aguarir  poscia. 
63 
De  l'un,  come  de  l'altro,  fatte  rosse 
Il  sangue  l'arme  avea  con  doppia  riga; 
Tal  che  diverso  era  il  parer,  chi  fosse 
Di  lor,  ch'avesse  il  meglio  in  quella  briga. 
Ma  quel  dubbio  Ruggier  tosto  rimosse 
^  Con  la  spada  che  tanti  ne  castiga: 
j  Mena  di  punta,  e  drizza  il  colpo  crudo, 
'  Onde  gittato  avea  colui  lo  scudo. 
64 
Fora  de  la  corazza  il  lato  manco, 
E  di  venire  al  cor  trova  la  strada; 
Che  gli  entra  più  d'un  palmo  soprail  fian- 
Si  che  convien  che  Mandricardo  cada  |co, 
D'ogni  ragion  che  può  ne  l'augel  bianco, 
0  che  può  aver  ne  la  famosa  spada, 
E  de  la  cara  vita  cada  insieme. 
Che,  più  che  spada  e  scudo,  assai  gli  pre- 
65  [me. 

Non  mori  quel  meschin  senza  vendetta; 
Ch'a  quel  medesmo  tempo  che  fu  colto; 
La  spada,  poco  sua,  menò  di  fretta. 
Et  a  Ruggier  avria  partito  il  volto, 


rindana.  —  attasti,  senta;  assaggi:  «quasi 
toccfii  col  senso,  giacché  tutti  i  sensi  ridu- 
consi  al  tatto  »  (To.mmaseo). 

62.  2.  dal  V.  si  disc;  Poiché  la  spada  colpi 
con  la  punta;  e,  per  la  parabola  che  do- 
vette fare,  si  scostò  subito  dal  corpo  di 
Rugg. 

—  4.  averne;  Il  ìie  è  pleonastico.  V.  e.  il, 
4,  1.  —  crosta;  lastra  di  ferro  molto  grossa 
(doppia)  che  lo  incrostava. 

—  5.  arnese  ;  V.  e.  xxvii,  78,  n.  5. 

—  6.  falda;  V.  e.  xxix,  1,  n.  5. 

63.  8.  Onde  ecc.;  da  quella  parte,  onde 
ecc.;  cioè  dalla  parte  sinistra. 

64.  4-5.  cada  d'o.  r.;  perda  ogni  ragion. 
Bembo  Lett.  2:  «Io  non  cadrò  delia  ragion 
mia».  E  per  analogia l'A.  fece  poi  l'espres- 
sione: «cader  della  vita». 

65.  3.  poco  sua;  non  sua.  Cosi  i  Latini 
usarono  parum  invece  di  ìion  ad  attenuare 
una  negazione.  Orazio,  Od.  I,  12:  «Tujja- 
rum  castis  inimica  mittes  Fulmina  lucis  ». 
Ma  qui  è  molto  notevole  coU'agg.  posses- 
sivo. 


408 


ORLANDO  FURIOSO 


'/,i.--U^  4*^' 


Se  già  Ruggier  non  gli  avesse  intercetta 
Prima  la  forza,  e  assai  del  vigor  tolto. 
Di  forza  e  di  vigor  troppo  gli  tolse 
Dianzi,  che  sotto  il  destro  braccio  il  colse. 
66 

Da  Mandricardo  fu  Ruggier  percosso 
Nel  punto  ch'egli  a  lui  tolse  la  vita  ; 
Tal  ch'un  cerchio  di  ferro,  anco  che  grosso, 
E  uua  cuffia  diacciar  ne  fu  partita. 
Durindana  tagliò  cotenna  et  osso, 
E  nel  capo  a  Ruggiero  entrò  dua  dita. 
Ruggier  stordito  in  terra  si  riversa, 
E  di  sangue  un  ruscel  dal  capo  versa. 
67 

Il  primo  fu  Ruggier  ch'andò  per  terra; 
E  di  poi  stette  l'altro  a  cader  tanto. 
Che  quasi  crede  ognun  che  de  la  guerra 
Riporti  Mandricardo  il  pregio  e  il  vanto: 
E  Doralice  sua  che  con  gli  altri  erra, 
E  che  quel  di  più  volte  ha  riso  e  pianto, 
Dio  ringraziò  con  mani  al  ciel  supine, 
Ch'avesse  avuta  la  pugna  tal  fine. 
68 

Ma  poi  ch'appare  a  manifesti  segni 
Vivo  chi  vive,  e  senza  vita  il  morto. 
Nei  petti  de'  fautor  mutano  regni, 
Di  là  mestizia,  e  di  qua  vien  conforto. 
I  Re,  i  Signori,  i  Cavallier  pili  degni, 
Con  Ruggier  ch'a  fatica  era  risorto, 
A  rallegrarsi  et  abbracciarsi  vanno, 
E  gloria  senza  fine  e  onor  gli  danno. 


69 


—  5.  intercetta;  diminuita.  É  estensione 
di  significato,  assai  notevole. 

—  8.  dianzi  che  ;  dianzi  quando.  La  Cru- 
sca non  cita  quest'avverbio  di  tempo,  tra 
gli  altri  che  si  uniscono  al  che\  eppure  è 
ancora  vivo  nell'uso. 

66.  3.  cerchio  ;  il  cerchio  di  ferro,  che  gi- 
rava intorno  all'elmo,  e  che  serviva  come  di 
base  alla  callotta  di  esso,  rendendolo  più 
forte. 

—  4.  cuffia;  un  armatura  della  testa,  che, 
per  Io  più,  si  portava  sotto  l'elmo,  e  anche 
sola  da  guerrieri  di  poco  conto.  V.  e.  xxv, 
13,  6. 

—  6.  dua.  Questa  forma  è  sempre  usata 
dall'Ar.  per  il  nuischile;  due  volte  l'usa  per 
nome  femminile  al  plurale,  ma  maschile  al 
singolare  (xiii,  "5;  xvii,  lOS,  dua  miglia; 
XII,  69,  1,  forse  per  errore,  dua  sr/uadre). 
Cfr.  e.  1,  16,  n.  2. 

67.  4.  pregio,  premio.  Cioè  la  spada  e  l' in- 
segna. V.  e.  XVII,  97,  n.  6. 

—  7.  mani...  supine  ;  È  immagine  già  usata 
dai  Greci  e  dai  Latini.  Oraz.  Od.  3,  23: 
«  Coelo  supinas  si  tuleris  manus  ».  Nei  riti 
pagani,  se  si  invocavano  gli  dei  inferi,  le 
mani  si  voltavano  verso  la  terra;  se  gli  dei 
marini,  al  mare,  se  i  celesti,  al  cielo. 

68.  3.  mutano  regni  ;  mutano  luogo.  Sog- 
getto sono  i  seguenti  mestizia  e  conforto. 


Ognun  s'allegra  con  Ruggiero,  e  sente 
Il  raedesmo  nel  cor,  e'  ha  ne  la  bocca. 
Sol  Gradasso  il  pensiero  ha  differente 
Tutto  da  quel  che  fuor  la  lingua  scocca. 
Mostra  gaudio  nel  viso,  e  occultamente 
Del  glorioso  acquisto  invidia  il  tocca; 
E  maledice  o  sia  destino  o  caso. 
Il  qual  trasse  Ruggier  prima  del  vaso. 
70 

Che  dirò  del  favor,  che  de  le  tante 
Carezze  e  tante,  affettuose  e  vere,       [te, 
Che  fece  a  quel  Ruggiero  il  Re  Agraman- 
Senza  il  qual  dare  al  vento  le  bandiere 
Né  volse  muover  d'Africa  le  piante. 
Né  senza  lui  si  fidò  in  tante  schiere  ? 
Or  che  del  Re  Agricane  ha  spento  il  seme, 
Prezza  più  lui,  che  tutto  il  mondo  insieme. 
71 

Né  dì  tal  volontà  gli  uomini  soli 
Eran  verso  Ruggier,  ma  le  donne  anco. 
Che  d'Africa  e  di  Spagna  fra  gli  stuoli 
Eran  venute  al  tenitorio  Franco. 
E  Doralice  istessa,  che  con  duoli 
Piangea  l'amante  suo  pallido  e  bianco, 
Forse  con  l'altre  ita  sarebbe  in  schiera, 
Se  di  vergogna  un  duro  fren  non  era. 
72 

Io  dico  forse,  non  ch'io  ve  l'accerti. 
Ma  potrebbe  essur  stato  di  leggiero  : 
Tal  la  bellezza,  e  tali  erano  i  merti, 
1  costumi  e  i  sembianti  di  Ruggiero. 
Ella,  per  quel  che  già  ne  siamo  esperti, 
Si  facile  era  a  variar  pensiero, 
Che  per  non  si  veder  priva  d'amore, 
Avria  potuto  in  Ruggier  porre  il  core. 


70.  4.  Senza  il  qual.  Questa  fatale  neces- 
sità di  Ruggero  per  l'impresa  era  stata  di- 
mostrata ad  Agramante  dal  vecchio  re  So- 
brino  (Innam.  Il,  i,  70  segg.)  e  ricorda  la 
fatalità  di  Achille  per  la  presa  di  Troia. 

—  7.  d.  re  A...  il  s.;  Mandricardo,  figlio  di 
Agricane.  —  ha  spento.  Se  il  sogg.  è  Agram., 
spento  h  predicato:  Ora  che  Ayram.si  trova 
ad  avere,  a  vedersi  ìuorto  M.  Ma  forse  me- 
glio e  con  minore  sforzo  intenderai  :  Ora 
che  Ruggero  ha  spento  M. 

"li.  2.  potrebbe  esser  st.;  ma  quel  che  dico, 
che  cioè  ella  avesse  questa  voglia,  può  es- 
sere avvenuto  facilmente. 

—  5.  p.  q.  eh.  n.  siamo  esp.  ;  per  quello 
che  di  essa,  sul  conto  di  essa  abbiamo  espe- 
rimentato. É  traduzione  della  forma  depo- 
nente latina  exi^erti  sumus;  e  latino  è  an- 
che il  costrutto  col  complemento  diretto 
che:  (experiri  aliquid).  Dante  l'usò  coH'au- 
siliare  essere  ma  non  col  compi,  dir.  Par. 
1,  30:  «Questo  superbo  volle  essere  esperto 
Di  sua  potenza  ». 


CANTO  XXX 


409 


73 

Per  lei  buono  era  vivo  Mandricardo: 
Ma  che  ne  volea  far  dopo  la  morte  ? 
Proveder  le  convieu  d'un  che  gagliardo 
Sia  notte  e  di  ne'  suoi  bisogni,  e  forte. 
Non  era  stato  intanto  a  venir  tardo 
Il  più  perito  medico  di  corte. 
Che  di  Kuggier  veduta  ogni  ferita, 
Già  l'avea  assicurato  de  la  vita. 
74 

Con  molta  diligenzia  il  Re  Agramante 
Fece  colcar  Ruggier  ne  le  sue  tende; 
Che  notte  e  di  veder  sei  vuole  inante: 
Si  l'ama,  si  di  lui  cura  si  prende. 
Lo  scudo  al  letto  e  l'arme  tutte  quante, 
Che  furdi  Mandricardo,  il  Re  gli  appende; 
Tutte  le  appende,  eccetto  Durindana 
Che  fu  lasciata  al  Re  di  Sericana. 

75  [no 

Con  l'armeTaltre  spoglie  a  Ruggier  so- 
Date  di  Mandricardo,  e  insieme  dato  [no, 
Gli  èBrigliador,  quel  destrier  belloebuo- 
Che  per  furore  Orlando  avea  lasciato. 
Poi  quello  al  Re  diede  Ruggiero  in  dono; 
Che  s'avvide  ch'assai  gli  saria  grato. 
Non  più  di  questo;  che  tornar  bisogna 
A  chi  Ruggiero  in  van  sospira  e  agogna. 
76 

Gli  amorosi  tormeuti  che  sostenne 
Bradamante  aspettando,  io  v'  ho  da  dire. 
A  Montalbano  Ippalca  a  lei  rivenne, 
P  nuova  le  arrecò  del  suo  desire. 
Prima,  di  quanto  di  Frontin  le  avvenne 
Con  Rodomonte,  l'ebbe  a  riferire; 
Poi  di  Ruggier,  che  ritrovò  alla  fonte 
Con  Ricciardetto  e  frati  d'Agrismonte  : 
77 

E  che  con  esso  lei  s'era  partito 
Con  speme  di  trovare  il  Saracino, 
E  punirlo  di  quanto  avea  fallito 
D'aver  tolto  a  una  donna  il  suo  Frontino; 

73.  2.  che  ne  voi.  f.  O  è  una  riflessione 
del  Poeta  «  se  fosse  rimasta  fedele  a  un 
morto,  cosa  avrebbe  voluto  farne?»,  o  è  da 
intendere  il  volea,  per  potea,  come  si  usa 
ancora  nei  dialetti  meridionali  «  che  ne  vo- 
glio fai'e  io  di  questa  cosa  ?  ». 

—  3.  Preveder...  d'nn;  provvedersi  d'un. 
La  forma  semplice  per  la  riflessiva  non  è 
citata  dai  vocabolari. 

74.  2.  colcar;  coricare.  V.  e.  xi,  42,  a.  4. 

75.  1.  l'altre  sp.  Era  costume  nei  duelli 
antichi,  che  armi,  spoglie,  cavalli  del  vinto 
passavano  al  vincitore. 

7fi.  4.  desire; personadesiderata.  L'astrat- 
to per  il  concretò. 

—  7.  alla  fonte.  V.  e.  xxvi,  29,  30. 

—  8.  Agrismonte.  Per  questo  nome  cfr. 
XXV,  71  segg.  —  i  frati  ;  Aldighiero,  Mala- 
gigi,  Viviauo,  del  castello  d'Agrismonte. 

77.  4.  D'aver  t.;  Può  dipendere   da  avea 


E  che  '1  disegno  poi  non  gli  era  uscito, 
Perché  diverso  avea  fatto  il  camino  : 
La  cagione  anco,  perché  non  venisse 
A  Montalban  Ruggier,  tutta  le  disse; 

78 
E  riferille  le  parole  a  pieno, 
Ch'  in  sua  scusa  Ruggier  le  avea  commes- 
Poi  si  trasse  la  lettera  di  seno,  [se: 

Ch'egli  le  die,  perch'ella  a  lei  la  desse. 
Con  viso  più  turbato,  che  sereno, 
Prese  la  carta  Bradamante,  e  lesse; 
Che,  se  non  fosse  la  credenza  stata 
Già  di  veder  Ruggier,  fora  più  grata. 

79  [ce 

L'aver  Ruggiero  ella  aspettato,  e,  in  ve- 
Di  luì,  vedersi  ora  appagar  d'un  scritto, 
Del  bel  viso  turbar  l'aria  le  fece 
Di  timor,  di  cordoglio  e  di  despitto. 
Baciò  la  carta  diece  volte  e  diece. 
Avendo  a  chi  la  scrisse  il  cor  diritto. 
Le  lacrime  vietar,  che  su  vi  sparse. 
Che  con  sospiri  ardenti  ella  non  l'arse. 

80 
Lesse  la  carta  quattro  volte  e  sei, 
E  volse  ch'altretante  l'imbasciata 
Replicata  le  fosse  da  colei 
Che  l'una  e  l'altra  avea  quivi  arrecata, 
Pur  tuttavia  piangendo:  e  crederei 
Che  mai  non  si  saria  più  racchetata. 
Se  non  avesse  avuto  pur  conforto 
Di  rivedere  il  suo  Ruggier  di  corto. 

81 
Termine  a  ritornar  quindici  o  venti 
Giorni  avea  Ruggier  tolto,  et  affermato 
L'avea  ad  Ippalca  poi  con  giuramenti 
Da  non  temer  che  mai  fosse  mancato. 
Chi  m'assicura,  oimè  !  de  gli  accidenti 
(Ella  dicea),  e'  han  forza  in  ogni  lato. 
Ma  ne  le  guerre  più,  che  non  distorni 
Alcun  tanto  Ruggier,  che  più  non  torni  ? 


fallito^  ed  è  costrutto  comune  :  ma  può  an- 
che dipendere  da  punirlo,  ed  essere  cosi 
epesegesi  del  di  quanto. 

—  5.  uscito,  riuscito  a  buon  effetto.  Cosi 
spesso  nel  Furioso. 

78.  7.  Che  se  ecc.;  la  quale  carta  sarebbe 
stata  più  gradita,  se  già  non  fosse  stata  in 
lei  la  credenza  di  veder  Rugg. ;  credenza, 
che  ora  veniva  delusa. 

79.  4.  despitto;  dispetto.  È  forma,  che 
troviamo  già  in  Dante,  Inf.  10,  36. 

—  7.  Le  lacrime  ecc.  Su  queste  esagera- 
zioni e  ricercatezze  cfr.  e.  i,  41,  u.  1.  —  vie- 
tar... che  non.  V.  C.  v,  53,  n.  1. 

80.  8.  di  corto  ;  fra  breve.  V.  e.  i,  63,  n.  3. 
SI.  1.  Termine,  tempo.  V.  e.  xiii,  47,  n.  2. 

—  7.  che.  Dipende  da  mi  assicura  :  chi 
mi  assicura,  che  alcuno  degli  accidenti, 
e'  han  ecc.  non  distorni  ecc.  Avverti  col 
Raina  che  Ruggero  non   ha  l'esaltamento 


410 


ORLANDO  FURIOSO 


82 

Oimè  !  Ruggiero,  oiraè  !  chi  avria  creduto 
Ch'avendoti  amato  io  più  di  me  stessa, 
Tu,  più  di  me,  non  ch'altri,  ma  potuto 
Abbi  amar  gente  tua  inimica  espressa  ? 
A  chi  opprimer  dovresti,  doni  aiuto; 
Chi  tu  dovresti  aitare,  è  da  te  oppressa. 
Non  so  se  biasmo  o  laude  esser  ti  credi, 
Ch'ai  premiar  e  al  punir  si  poco  vedi. 
83 

Fu  morto  da  Troian  (non  so  se  '1  sai) 
Il  padre  tuo;  ma  fin  ai  sassi  il  sanno  : 


di  Tristano  e  di  Lancellotto,  né  per  l'amore 
di  Bradamaute  dimentica  altre  cure  e  i  suoi 
doveri  di  cavaliere.  In  Bradamaute  al  con- 
trario l'amore  diventa  supremo  sentimento, 
come  conviene  a  donna  gentile.  Quest'amore 
è  condotto  con  finissima  analisi  psicologica. 
82.  7-S.  Non  so  se  ecc.  È  luogo  non  facile. 
Generalmente  intendono:  «  Non  so  se  tu 
creda  che  questa  maniera  di  conixiortarti 
possa  esserti  ascritta  a  biasimo,  o  non  piut- 
tosto a  lode  ».  Ma  è  evidente  che  Ruggero 
credeva  dovesse  essergli  ascritta  a  lode  ; 
per  ciò  il  dubbio  di  Bradamaute  sarebbe 
strano.  Intenderai,  molto  meglio:  «  Non  so 
se  tu  creda  esser  per  te  biasimo  o  lode  que- 
sto ;  che  cioè  vedi  cosi  poco  nel  premiare 
e  nel  punire.  Ossia:  questo  tuo  premiare  e 
punire  a  rovescio  non  so  se  tu  lo  creda  una 
prova  di  lealtà  e  quindi  ragione  di  lode  per 
te,  o  non  piuttosto  tu  lo  ritenga  una  trista 
necessità  del  momento,  che  ti  procura  un 
rimorso,  e  quindi  è  degna,  anche  per  tuo 
giudizio,  di  biasimo.  Dunque  il  v.  S  è  la 
proposizione  soggettiva  dell'  infinito  esser 
del  V.  7.  Secondo  la  prima  interpretazione 
il  che  starebbe  per  jjoiché. 

—  8.  al  premiar  s,  p.  t.  ;  nel  premiar, 
quanto  al  premiar  ecc.,  hai  si  poco  accorgi- 
mento. Cosi  il  Petr.  IV  canz.  4:  «Poco  ve- 
dete e  parvi  veder  molto  ».  —  Per  il  signifi- 
cato della  prepos.  al,  confronta,  p.  es.,  que- 
sto e  simili  modi,  che  ogni  padre  ha  sentito 
sulle  labbra  dei  propri  figli  :  «  Stamani  alla 
geografia  mi  son  fatto  onore;  ma  alla  tra- 
duzione dal  latino  mi  son  fatto  canzonare  ». 

85.  1.  Fn  morto  ecc.  La  storia  di  Riccieri 
0  Ruggero  di  Risa  era  già  nella  tradizione 
cavalleresca;  cfr.  e.  xxxvi,  60,  n.  1  ;  ma  se- 
condo questa  Troiano  non  ebbe  alcuna  parte 
nell'impresa  d'Italia.  E  quindi,  probabil- 
mente, un'aggiunta  dell'Ar. 

—  :i.  fin  a' sassi  ecc.  Per  l'espressione 
cfr.  e.  II,  2S,  n.  8.  Come  ha  saputo  Brada- 
maute questa  storia  di  Ruggero  ?  L'  aveva 
detta  Sobrino  in  piena  adunanza,  dinanzi  ad 
Agramante  (Innam.  Il,  i,  70);  e  tal  fama, 
trattandosi  d'un  insigne  guerriero,  poteva 
esser  corsa  anche  fra  i  cristiani. 


E  tu  del  figlio  di  Troian  cura  hai 
Che  non  riceva  alcun  disnor  né  danno. 
E  questa  la  vendetta  che  ne  fai, 
Ruggiero?  e  aqueiche  vendicato  l'hanno, 
Rendi  ta)  premio,  che  del  sangue  loro 
Me  fai  morir  di  strazio  e  di  martore  ? 
84 

Dicea  la  Donna  al  suo  Ruggiero  absente 
Queste  parole  et  altre,  lacrimando, 
Non  una  sola  volta,  ma  sovente. 
Ippalca  la  venia  pur  confortando. 
Che  Ruggier  servarebbe  interamente 
Sua  fede,  e  ch'ella  l'aspettasse,  quando 
Altro  far  non  potea,  fin  a  quel  giorno 
Ch'avea  Ruggier  prescritto  al  suo  ritorno. 
85 

I  conforti  d' Ippalca,  e  la  speranza 
Che  degli  amanti  suole  esser  compagna, 
A.lla  tema  e  al  dolor  tolgon  possanza 
Di  far  che  Bradamaute  ogn'ora  piagna. 
In  Moutalban,  senza  mutar  mai  stanza, 
Voglion  che  fin  al  termine  rimagna, 
Fin  al  promesso  termine  e  giurato. 
Che  poi  fu  da  Ruggier  male  osservato. 

86  [se. 

Ma  ch'egli  alla  promessa  sua  mancas- 
Non  però  debbe  aver  la  colpa  affatto  ; 
Ch'una  causa  et  un'altra  si  lo  trasse. 
Che  gli  fu  forza  preterire  il  patto. 
Convenne  che  nel  letto  si  colcasse, 
E  più  d'un  mese  si  stesse  di  piatto 

—  6.  a  quei  ecc.,  a  Carlo  Magno  e  alla 
sua  famiglia,  che  han  vendicato  su  Agra- 
mante, discendente  di  Agolante,  la  morte  di 
Ruggero  di  Risa,  padre  di  questo  Ruggero. 

7-8.  del  sangue  1.  me.;  me,  che  sono  del 
loro  sangue,  della  famiglia  di  Chiaramente; 
a  cui  appartengono  Oi'lando,  Rinaldo  e  al- 
tri, che  furono  i  principali  guerrieri  contro 
i  Mori.  O  anche  :  me,  che  sono,  nella  prima 
origine,  dello  stesso  sangue  di  Carlo  Magno, 
che  ha  vendicato  in  questa  guerra  il  sangue 
di  Ruggero.  Migliore  la  prima  iuterpretaz. 

84.  6.  quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3, 

85.  6.  Voglion,  i  conforti  e  la  speranza. 

86.  1.  Ma  ch'egli;  ma  perch' egli. 

—  3.  trasse,  distolse.  Il  Boccaccio  1'  ha 
in  questo  senso,  ma  col  compi.  Nov.  38  : 
«  Acciò  che  esse  da  cosi  fatto  servigio  noi 
traessero  ». 

—  4.  preterire  il  p.;  oltrepassare  il  ter- 
mine pattuito.  Alcuni  intendono:  non  osser- 
vi re;  ma  questo  significato,  oltre  ad  esser 
singolare  come  l'altro,  non  ha  il  riscontro 
nell'uso  latino  (praeterire,  passar  oltre) 
come  l'altro  ha. 

—  6.  di  piatto;  nascosto.  Espressione  fre- 
quente come  avverbio,  ma  rara  come  ag- 
gettivo. Vedine  due  altri  esempi  nel  e.  xxxii, 
79,  4;  xxxvi,  55,  4.  E  Pulci,  Morg.  11,  2: 
«  Perché  consenti  tu  eh'  io  stia  di  piatto?  ». 


CANTO  XXX 


411 


In  dubbio  di  morir:  si  il  dolor  crebbe 
Dopo  la  pugna  che  col  Tartaro  ebbe.   ' 

87 
L'innamorata  giovane  l'attese 
Tutto  quel  giorno,  e  desiollo  in  vano, 
Né  mai  ne  seppe,  fuor  quanto  ne  'ntese 
Ora  da  Ippalca,  e  poi  dal  suo  germano. 
Che  le  narrò  che  Ruggier  lui  difese, 
K  Malagigi  liberò  e  Viviano. 
Questa  novella,  ancor  ch'avesse  grata, 
Tur  di  qualche  amarezza  era  turbata: 

88 
Che  di  Marfisa  in  quel  discorso  udito 
L'alto  valore  e  le  bellezze  avea: 
Udi  come  Ruggier  s'era  partito 
Con  esso  lei,  e  che  d'andar  dicea 
Là  dove  con  disagio  in  debol  sito, 
Mal  sicuro  Agraraante  si  tenea. 
Si  degna  compagnia  la  Donna  lauda, 
Ma  non  che  se  a'allegri,  o  che  l'applauda. 

89 
Xé  picciolo  è  il  sospetto  che  la  preme  ; 
Che  se  Marfisa  è  bella,  come  ha  fama, 
K  che  fin  a  quel  di  sien  giti  insieme, 
È  maraviglia  se  Ruggier  non  l'ama. 
Pur  non  vuol  creder  anco,  e  spera  e  teme; 
E  '1  giorno  che  la  può  far  lieta  e  grama, 
Misera  aspetta;  e  sospirando  stassi, 
Da  Montalban  mai  non  movendo  i  passi. 

90 
Stando  ella  quivi,  il  Principe,  il  Signore 
Del  bel  castello,  il  primo  de'  suoi  frati 
(Io  non  dico  d'etade,  ma  d'onore; 
Chef  di  lui  prima  duo  n'erano  nati), 
Rinaldo,  che  di  gloria  e  di  splendore 
Gli  ha,  come  il  sol  le  stelle,  illuminati, 
(iiunseal  castello  un  giorno  insù  la  nona; 
Né,  fuor  ch'un  paggio,  era  con  lui  persona. 

91 
Cagion  del  suo  venir  fu,  che  da  Brava 
Ritornandosi  un  di  verso  Parigi, 
Come  v'  ho  detto  che  sovente  andava 
Per  ritrovar  d'Angelica  vestigi, 
Avea  sentita  la  novella  prava 
Del  suo  Viviano  e  del  suo  Malagigi, 
Ch'eran  per  esser  dati  al  Maganzese; 
E  perciò  ad  Agrismonte  la  via  prese: 


87.  2.  Tutto  quel  fifiorno,  tutto  quel  giorno, 
che  R.  avea  stabilito  per  la  sua  venuta. 

—  3.  Né  mai;  durante,  cioè,  quei  venti 
giorni  di  aspettazione  —  fuor  quanto,  all'in- 
fuori  di  quanto,  eccetto  quanto.  È  modo  fre- 
ijucnte  negli  scrittori  e  ancor  vivo. 

88.  4.  Con  esso  1.  V.  e.  XXI,  49,  U.  1. 

89.  3.  E  che  ;  e  se.  V.  0.  IV,  60,  n.  5. 

90.  4.  duo;  Guicciardo  o  Guiscardo,  e 
Alardo. 

—  7.  in  su  la  nona.  V.  e.  vili,  19,  n.  6. 

91.  3.  come  T'ho  detto;  V,  c.  XXVII,  ,n. 

—  8.  ad  A.  1.  V.  pr.  Comunemente  si  dice 


92 

Dove  intendendo  poi  ch'eran  salvati, 
E  gli  avversari  lor  morti  e  distrutti, 
E  Marfisa  e  Ruggiero  erano  stati. 
Che  gli  aveano  a  quei  termini  ridutti  ; 
E  suoi  fratelli  e  suoi  cugin  tornati 
A  Montalbano  insieme  erano  tutti  ; 
Gli  parve  un'  ora  un  anno  di  trovarsi 
Con  esso  lor  là  dentro  ad  abbracciarsi. 
93 

Venne  Rinaldo  a  Montalbano,  e  quivi 
Madre,  moglie  abbracciò,  tìgli  e  fratelli, 
E  i  cugini  che  dianzi  eran  captivi  ; 
E  parve,  quando  egli  arrivò  tra  quelli, 
Dopo  gran  fame  irondine  ch'arrivi 
Col  cibo  in  bocca  ai  pargoletti  augelli  : 
E  poi  ch'un  giorno  vi  fu  stato  o  dui. 
Partissi,  e  fé'  partire  altri  con  lui. 
94 

Ricciardo,  Alardo,  Ricciardetto, e  d'essi 
Figli  d'Anione,  il  più  vecchio  Guicciardo, 
Malagigi  e  Vivian,  si  furon  messi 
In  arme  dietro  al  Paladin  gagliardo. 
Bradaraante  aspettando  che  s'appressi 
Il  tempo  ch'ai  disio  suo  ne  vien  tardo. 
Inferma,  disse  agli  fratelli,  ch'era; 
E  non  volse  con  lor  venire  in  schiera. 

95  [ma, 

E  ben  lor  disse  il  ver,  ch'ella  era  infer- 
Ma  non  per  febbre  o  corporal  dolore  : 
Era  il  disio  che  l'alma  dentro  inferma, 
E  le  fa  alterazion  patir  d'amore. 
Rinaldo  in  Montalban  più  non  si  ferma, 
E  seco  mena  di  sua  gente  il  fiore. 
Come  a  Parigi  appropinquosse,  e  quanto 
Carlo  aiutò,  vi  dirà  l'altro  Canto. 


prender  la  via  per  o  verso  un  luogo.  Ma, 
sebbene  non  comune,  questo  dell'Ar.  è  co- 
strutto elegante. 

92.  7.  di  trovarsi.  Il  costrutto  è  ancora 
vivo  con  questa  e  simili  espressioni  :  mi 
j)ar  milVanni  di  fare;  mi  pare  ogn'ora 
mille  di  fare  ecc.  Forse  tali  espressioni, 
siguificando  desidero  vivamente,  ne  hanno 
preso  anche  il  costrutto. 

—  8.  Con  esso  lor,  con  lor.  V.  e.  xxi,  49, 
n.  1. 

93.  2.  Madre,  moglie.  La  madre  era  Beatrice 
figlia  del  duca  Namo,  la  moglie  era  Clarice 
sorella  di  Ugone  di  Bordeau. 

94.  1.  Ricciardo.  Questo  Ricciardo  non  ap- 
pare negli  antichi  poemi  cavallereschi,  dove 
i  figliuoli  d'.A.mone  sono  quattro:  Guicciar- 
do, -Ciardo,  Rinaldo  e  Ricciardetto. 

95.  3.  inferma;  rende  inferma.  Nell'uso 
transit.  non  è  comune,  ma  fu  usato  dal 
Boccaccio  e  da  altri. 

—  4.  alterazion...  d'amore  ;  una  alterazione, 
un  turbamento,  che  vien  dall'amore. 


412 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO    XXXI 


1 

Che  dolce  più,  che  più  giocondo  stato 
Saria  di  quel  d'un  amoroso  core  ? 
Che  viver  più  felice  e  più  beato, 
Che  ritrovarsi  in  servitù  d'Amore  ? 
Se  non  fosse  l'uom  sempre  stimulato 
Da  quel  sospetto  rio,  da  quel  timore, 
Da  quel  martir,  da  quella  frenesia, 
Da  quella  rabbia  detta  gelosia. 
2 

Però  ch'ogni  altro  amaro,  che  si  pone 
Tra  questa  soavissima  dolcezza, 
È  un  augumento,  una  perfezione, 
Et  è  un  condurre  Amore  a  più  finezza. 
L'acque  parer  fa  saporite  e  buone 
La  sete,  e  il  cibo  pel  digiun  s'apprezza: 
Non  conosce  la  pace  e  non  l'estima 
Chi  provato  non  ha  la  guerra  prima. 

3  [de 

Se  ben  non  veggon  gli  occhi  ciò  che  ve- 
Ognora  il  core,  in  pace  si  sopporta. 
Lo  star  lontano,  poi  quando  si  riede, 
Quanto  più  lungo  fu,  più  riconforta. 
Lo  stare  in  servitù  senza  mercede. 
Pur  che  non  resti  la  speranza  morta. 
Patir  si  può;  che  premio  al  ben  servire 
Pur  viene  al  fin,  se  ben  tarda  a  venire. 
4 

Gli  sdegni,  le  repulse,  e  finalmente 
Tutti  i  martir  d'Amor,  tutte  le  pene 
Fan  per  lor  rimembranza,  che  si  sente 
Con  miglior  gusto  un  piacer  quando  viene. 
Ma  se  l'infernal  peste  una  egra  mente 
Avvien  ch'infetti,  ammorbi  et  avvelene; 
Se  ben  segue  poi  festa  et  allegrezza. 
Non  la  cura  l'amante  e  non  l'apprezza. 
5 

Questa  è  la  cruda  e  avvelenata  piaga 
A  cui  non  vai  liquor,  non  vale  impiastro, 
Né  murmurc,  né  imagiue  di  Saga, 

1.  1.  che  d.  pili  ecc.  ;  quale  stato  più  dolce, 
quale  più  giocondo  s.  Che  per  quale  vedilo 
nel  e.  vili,  A-i,  8;  xni,  3,  7,  dove  troverai  la 
nota. 

3.  1.  Se  ben  ecc.  ;  sebbene,  essendo  lon- 
tani, gli  occhi  non  vedano  la  persona  amata. 

—  5.  in  s.  8.  mercede;  in  servitù  d'amore 
senza  averne  compenso.  • 

4.  5.  l' infernal  peste,  la  gelosia.  —  egra, 
malata  d'amore. 

5.  3.  mnrmure.  Latinismo  non  frequente, 
neppure   in  poesia.  È  il   pronunziar  som- 


Ne  vai  lungo  osservar  di  benigno  astro, 
Ne  quanta  esperienzia  d'arte  maga 
Fece  mai  l'inventor  suo  Zoroastro: 
Piaga  crudel  che  sopra  ogni  dolore 
Conduce  l'uom  che  disperato  muore. 
fi 

Oh  incurabil  piaga  che  nel  petto 
D'un  amator  si  facile  s'imprime 
Non  men  per  falso,  che  per  ver  sospetto  ! 
Piaga  che  l'uom  si  crudelmente  opprime, 
Che  la  ragion  gli  offusca  e  l'intelletto, 
E  lo  tra  fuor  de  le  sembianze  prime  ! 
Oh  iniqua  gelosia,  che  cosi  a  torto 
Levasti  a  Bradamante  ogni  conforto! 
7 

Non  di  questo  eh' Ippalca  e  che '1  fratello 
Le  avea  nel  core  amaramente  impresso, 
Ma  dico  d'un  annunzio  crudo  e  fello, 
Che  le  fu  dato  pochi  giorni  appressx). 
Questo  era  nulla  a  paragon  di  quello 
Ch'io  vi  dirò,  ma  dopo  alcun  digresso. 
Di  Rinaldo  ho  da  dir  primieramente, 
Che  ver  Parigi  vien  con  la  sua  gente. 
8 

Scontrare  il  di  seguente  in  ver  la  sera 


messamente  parole  (magiche)  —  imaglne; 
cfr.  e.  vili,  14.  n.  7.  —  Saga  (iat.  saga);  in- 
cantatrice,  strega. 

—  4.  benigno  astro.  V.  e.  Ili,  15,  dove  ab- 
biamo le  osservate  stelle. 

—  5.  ar.  maga;  a.  magica.  Petrarca,  i, 
son.  69:  «  arti  maghe  ». 

—  6.  Zoroastro.  Petrarca,  Tr.  Fama, 
2,  125:  -1- dov'è  Zoroastro  che  fu  dell'arte 
magica  inventore».  L'A.  aveva  certo  pre- 
sente il  luogo  del  Petr.;  infatti  usò  qui  an- 
che le  stesse  rime.  Zoroastro  fu  re  de'  Bat- 
triani  (e.  600  a.  a.  C),  e  fu  creduto  inventore 
delle  arti  magiche,  che  però  esistevano  già  • 
prima. 

—  7.  sopra  og.  d.  ;  più  d'ogni  altro  dol. 

—  8.  che;  al  punto  che.  Cosi  nel  e.  xxiv, 
89,  7. 

6.  6.  lo  tra  fuor  ecc.,  lo  sfigura,  gli  fa 
mutar  sembianza. 

7.  1.  di  questo;  annunzio. 

—  5.  Questo.  Riferiscilo  al  questo  del  pri- 
mo verso.  E  avverti  che  il  questo  si  rife- 
risce al  più  lontano,  quello  al  più  vicino; 
e  di  ciò  cfr.  e.  xxix,  21,  n.  8. 

8.  1.  Scontrare  ecc.  (e.  xxx,  93-4).  Que- 
st'  episodio  è  tolto  dall' Ancroia.  Ivi  Guidon 


CANTO  XXXI 


413 


Un  cavallier  cli'avea  uua  donna  al  fianco, 
Con  scudo  e  sopravesta  tutta  nera,     [co. 
Se  non  che  per  traverso  ha  un  fregio  bian- 
Sfidò  alla  giostra  Ricciardetto,  ch'era 
Dinanzi,  e  vista  avea  di  guerrier  franco  : 
E  quel,  che  mai  nessun  ricusar  volse, 
Girò  la  briglia  e  spazio  a  correr  tolse. 
9 

Senza  dir  altro,  o  più  notizia  darsi 
De  l'esser  lor,  si  vengono  all'incontro. 
Rinaldo  e  gli  altri  cavallier  fermarsi 
Per  veder  come  seguiria  lo  scontro. 
Tosto  costui  per  terra  ha  da  versarsi, 
Se  in  luogo  fermo  a  mio  modo  lo  incontro 
(Dicea  tra  sé  medesmo  Ricciardetto); 
Ma  contrario  al  pensier  segui  l'effetto: 
10 

Però  che  lui  sotto  la  vista  offese 
Di  tanto  colpo  il  cavalliero  istrano, 
Che  Io  levò  di  sella,  e  lo  distese 
Pili  di  due  lance  al  suo  destrier  lontano. 
Di  vendicarlo  incontinente  prese 
L'assunto  Alardo,  e  ritrovossi  al  piano 
Stordito  e  male  acconcio:  si  fu  crudo 
Lo  scontro  lìer,  che  gli  spezzò  lo  scudo. 


Selvaggio,  venuto  in  Francia,  va  a  Montal- 
bano  per  combatter  con  Rinaldo.  Non  tro- 
vando lui,  combatte  e  abbatte  gli  altri  tre 
figli  d' Amone  senza  darsi  a  conoscere. 
Passa  quindi  a  Parigi,  s' incontra  con  Ri- 
naldo e  fa  con  lui  aspra  battaglia,  senza 
che  nessuno  sia  vincitore.  Infine  gli  si  dà 
a  conoscere  e  si  fa  gran  festa  in  corte. 
Questo  episodio  dunque  appartiene,  nel 
fondo,  al  ciclo  Carolingio,  ma  le  circostanze 
narrate  dall'Ar.,  come  le  maraviglie  dei  ca- 
valieri per  il  loro  valore,  il  loro  riconosci- 
mento, l' incontro  fortuito,  ecc.  sono  del 
ciclo  Brettone. 

—  2.  una  donna;  Aleria.  V.  e.  xx,  80, 
segg. 

—  8.  e  spazio  ecc.  ;  e  prese  nel  campo 
lo  spazio  sufficiente  per  lanciarsi  di  corsa 
all'assalto  dell'avversario. 

9.  1.  pili  notizia;  altra  notizia.  Cioè  1' u- 
nica  notizia  che  l'uno  dette  all'altro,  fu  la 
sfida  fatta  e  accettata.  Cosi  è  da  intendere 
il  pili  come  nel  e.  xvii,  25;  xx,  122;  xxiv, 
113;  e  non  nel  senso  di  alcuna  notizia, 
come  certi  fanno  senza  ragione. 

—  2.  all'incontro;  Pili  spesso  all'incon- 
tra :  vale  semplicemente  incontro  ed  è 
poetico. 

—  5.  versarsi,  rovesciarsi  a  terra.  Ver- 
sare usò  VAy.  per  riversare,  rovesciare, 
gettare  a  terra,  st.  53,  7  ;  69,  7. 

—  6.  fermo,  resistente  al  colpo. 

10.  7.  male  acconcio;  più  coiiiunem.  ìiial- 
concio. 


11 

Guicciardo  pone  incontinente  in  resta 
L'asta,  che  vede  i  due  germani  in  terra, 
Benché  Rinaldo  gridi  :  Resta,  resta 
Che  mia  convieu  che  sia  la  terza  guerra: 
Ma  l'elmo  ancornouhaallacciatointesta; 
Si  che  Guicciardo  al  corso  si  disserra; 
Né  più  degli  altri  si  seppe  tenere, 
E  ritrovossi  subito  a  giacere. 
12 

Vuol  Ricciardo,  Viviano  e  Malagigl, 
E  r  un  prima  de  l'altro  essere  in  giostra: 
Ma  Rinaldo  pon  line  ai  lor  litigi  : 
Ch'  inanzi  a  tutti  armato  si  dimostra, 
Dicendo  loro:  È  tempo  ire  a  Parigi; 
E  saria  troppo  la  tardanza  nostra, 
S' io  volesse  aspettar  lìn  che  ciascuno 
Di  voi  fosse  abbattuto  ad  uno  ad  uno. 
13 

Dissel  tra  sé,  ma  non  che  fosse  inteso; 
Che  saria  stato  agli  altri  ingiuria  e  scorno! 
L'uno  e  Taltro  del  campo  avea  già  preso, 
E  si  faceano  incontra  aspro  ritorno. 
Non  fu  Rinaldo  per  terra  disteso, 
Cile  valea  tutti  gli  altri  ch'avea intorno; 
Le  lance  si  fiaccar,  come  di  vetro. 
Né  i  cavallier  si  piegar  oncia  a  dietro. 
14 

L'uno  e  l'altro  cavallo  in  guisa  urtosse. 
Che  gli  fu  forza  in  terra  a  por  le  groppe. 
Baiardo  immantinente  ridrizzosse. 
Tanto  ch'a  pena  il  correre  interroppe. 
Sinistramente  si  l'altro  percosse, 


11.  2.  che;  uniscilo  a  incontanente. 

12.  5.  E  tempo  ire;  è  tempo  (laudare. 

—  6.  troppo,  troppa.  Abbiamo  già  più 
volte  notata  nel  Fur.  la  sconcordanza  del 
participio  passato  col  soggetto  (cfr.  e.  v,  58, 
n.  5):  analoga  ad  essa  è  la  sconcordanza 
dell'aggettivo  predicativo  col  soggetto  come 
qui  e  nel  e.  xlii,  82,  2.  Il  Bemho,  Prose,  HI, 
11,  cita  per  quest'  uso  due  luoghi  del  Boc- 
caccio :  «  Fu  ogni  cosa  di  rumore  e  di  pian- 
to l'ipieno  ».  «  Ogni  cosa  pieno  di  neve  e 
di  ghiaccio  ». 

—  7.  volesse,  volessi.  L'Ar.  usò  questa 
teriniuaz.  in  e  sei  volte.  L' usarono  non  di 
rado  e  Dante  e  il  Pulci  e  il  Berni  e  altri. 
Il  Salvint,  Avvert.  1,  14,  dice:  «Io  rima- 
nesse, per  rimanessi,  nel  quale  ai  nostri 
tempi  più  che  la  plebe  incorrono  i  lette- 
rati ». 

13.  8.  oncia,  misura  della  larghezza  d'un 
pollice.  Dante,  Inf.  30,  83. 

14.  2.  gì.  f.  f.  a  por.  Più  comune  il  co- 
strutto col  semplice  infinito,  o  con  la  prep. 
di,  o  con  la  cong.  che.  La  Crusca  cita  un 
es.  di  costrutto  con  per,  nessuno  con  a. 

—  5.  percosse.  In  senso  neutro,  batté, 
urtò  :  sottint.  in  terra.  Gli   esempi  che  si 


414 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  la  spalla  e  la  scliena  insieme  roppe. 
Il  cavallier  clic  '1  destrier  morto  vede, 
Lascia  le  staffe,  et  è  subito  in  piede. 
15 

Et  al  figlio  d'Amen,  che  già  rivolto 
Tornava  a  lui  con  la  man  vuota,  disse  :     I 
Signore,  il  buon  destrier  che  tu  m'hai  tolto,  1 
Perché  caro  mi  fu  mentre  che  visse, 
Mi  faria  uscir  del  mio  debito  molto. 
Se  cosi  invendicato  si  morisse: 
Si  che  vientene,  e  fa  ciò  che  tu  puoi; 
Perché  battaglia  esser  convien  tra  noi. 
IG 

DisseRinaldoalui:  Se 'Idestriermorto, 
E  non  altro  ci  de'  porre  a  battaglia. 
Un  de'  miei  ti  darò,  piglia  conforto. 
Che  men  del  tuo  non  crederò  che  vaglia. 
Colui  soggiunse:  Tu  sei  mal  accorto. 
Se  creder  vuoi  che  d'un  destrier  mi  caglia. 
Ma  poi  che  non  comprendi  ciò  ch'io  voglio, 
Ti  spiegherò  più  chiaramente  il  foglio. 
17 

Vo'  dir  che  mi  parria  commetter  fallo, 
Se  con  la  spada  non  ti  provassi  anco, 
E  non  sapessi  s' in  quest'altro  ballo 
Tu  mi  sia  pari,  o  se  più  vali  o  manco. 
Come  ti  piace,  o  scendi,  o  sta  a  cavallo: 
Pur  che  le  man  tu  non  ti  tegna  al  fianco, 
lo  son  contento  ogni  vantaggio  darti: 
Tanto  alla  spada  bramo  di  provarti. 
18 

Rinaldo  molto  non  lo  tenne  in  lunga, 
E  disse:  La  battaglia  ti  prometto; 
E  perché  tu  sia  ardito,  e  non  ti  punga 
Di  questi,  e'  ho  d'intorno,  alcun  sospetto, 


citano  dai   vocabol.   son   tutti  col  comple- 
mento. 

15.  2.  con  la  man  v.  Era  costume  che  i 
cavalieri,  rotta  la  lancia,  tornavano  ad  as- 
saltarsi con  la  spada.  Rinaldo,  vedendo  ca- 
duto r  avversario ,  non  mise  mano  alla 
spada,  che  cosi  voleva  la  cortesia. 

—  8.  b.  esser  conv.;  conviene  che  sia  bat- 
taglia tra  noi.  È  il  costrutto  infinitivo  la- 
tino, di  cui  vedi  la  nota  4,  e.  i,  48.  Dante, 
Piirg.  31,  5  :  «  a  tanta  accusa  Tua  confes- 
sion  conviene  esser  congiunta  ». 

16.  3.  Un  de'  miei.  I  cavalieri  andavano 
con  più  cavalli  di  ricambio,  condotti  dagli 
scudieri. 

—  4.  non  crederò  ;  Il  futuro  indica,  come 
il  condizionale,  un  certo  riserbo  nell'asser- 
zione. V.  FOR.XACiAia,  Sint.  181. 

—  8.  il  foglio  ;  le  cose.  Cinque  Canti,  i,  28  : 
«Ma  per  aprirti  chiaramente  il  foglio». 
Tale  metafora  usò  già  Uantk,  Par.  \t,  121  ; 
2,  78. 

18.  1.  n.  1.  tenne  in  1.  Tenere  in  lunga 
o  per  la  lunga  dissero  gli  antichi  per  te- 
nere a  bada  con  ciance. 


Andranno  inanzi  fin  ch'io  gli  raggiunga; 
Né  meco  resterà  fuor  ch'un  valletto 
Che  mi  tenga  il  cavallo:  e  cosi  disse, 
Alla  sua  compagnia  che  se  pe  gisse. 
19 

La  cortesia  del  Paladin  gagliardo 
Commendò  molto  il  cavalliero  estrano. 
Smontò  Rinaldo,  e  del  destrier  Baiardo 
Diede  al  valletto  le  redine  in  mano: 
E  poi  che  più  non  vede  il  suo  stendardo. 
Il  qual  di  lungo  spazio  è  già  lontano. 
Lo  scudo  imbraccia  e  stringe  il  brando  fie- 
E  sfida  alla  battaglia  il  Cavalliero.     [ro, 
20 

E  quivi  s'incomincia  una  battaglia 
Di  ch'altra  mai  non  fu  più  fiera  in  vista. 
Non  crede  l'un  che  tanto  l'altro  vaglia, 
Che  troppo  lungamente  gli  resista. 
Ma  poi  che  '1  paragon  ben  gli  ragguaglia. 
Né  l'un  de  l'altro  più  s'allegra  o  attrista; 
Pongon  l'orgoglio  et  il  furor  da  parte. 
Et  al  vantaggio  loro  usano  ogn'arte. 
•21 

S'odon  lor  colpi  dispietati  e  crudi 
Intorno  rimbombar  con  suono  orrendo. 
Ora  i  canti  levando  a'  grossi  scudi. 
Schiodando  or  piastre,  e  quando  maglie 

[aprendo. 
Né  qui  bisogna  tanto  che  si  studi 
A  ben  ferir,  quanto  a  parar,  volendo 
Star  l'uno  a  l'altro  par;  ch'eterno  danno 
Lor  può  causar  il  primo  error  che  fanno. 
22 

Durò  l'assalto  un'ora,  e  più  che  '1  mezzo 
D'un'altra;  et  era  il  sol  già  sotto  l'onde, 
Et  era  sparso  il  tenebroso  rezzo 
De  l'orizon  fin  all'estreme  sponde; 
Né  riposato,  o  fatto  altro  intermezzo 
Aveano  alle  percosse  furibonde 
Questi  guerrier,  che  non  ira  o  rancore, 
Ma  tratto  all'arme  avea  disio  d'onore. 


19.  5.  jl  suo  stend.  Con  Rinaldo  non  erano 
andati  solo  i  fratelli  e  i  cugini,  ma  anche 
una  schiera  di  vassalli  col  loro  vessillo. 

20.  2.  in  vista,  a  vedersi.  Esempio  note- 
vole, perché  tutti  quelli  citatisi  riferiscono 
a  persona  e  significano  all'aspetto.  Più  op- 
portunamente si  può  confrontare  con  que- 
sto quel  di  Dante,  Par.  9,  68:  «  Preclara 
cosa  mi  si  fece  in  vista  »  :  è  un  fiammella  che 
diviene  preclara  a  vedersi  da  Dante. 

—  0.  de  l'altro  pili,  più  dell'altro. 

—  8.  al  vantaggio;  per  il  vantaggio.  B0(  - 
CACCIO,  Nov.  32:  «le  quali  (busse)  egli  vi 
diede  a  mie  cagioni  ». 

21.  3.  canti,  le  cantonate, 

22.  3.  rezzo;  buio.  Cosi  nel  e.  v,  53,  3. 

—  4.  orizon.  Le  parole  in  onte  derivate 
dal  greco  si  troncarono  spesso  nel  verso: 
Caron,  Feton,  Acheron. 


CANTO  XXXI 


415 


23 

Rivolve  tuttavia  tra  sé  Rinaldo 
Chi  sia  l'estrano  cavallier  si  forte, 
Che  nou  pur  gli  sta  coutra  ardito  e  saldo, 
Ma  spesso  il  mena  a  risco  de  la  morte; 
E  già  tanto  travaglio  e  tanto  caldo 
Gli  ha  posto,  che  del  fin  dubita  forte; 
E  volentier,  se  con  suo  onor  potesse, 
Vorria  che  quella  pugna  rimanesse. 
24 

Da  l'altra  parte  il  cavallier  estrano, 
Che  similmente  non  avea  notizia 
Che  quel  fosse  il  Signor  di  Montalbano, 
Quel  si  famoso  in  tutta  la  milizia, 
Che  gli  avea  incontra  con  la  spada  in  ma- 
Condotto  cosi  poca  inimicizia,  [no 
Era  certo  che  d'uom  di  più  eccellenza 
Non  potesson  dar  Tarme  esperienza. 
25 

Vorrebbe  de  l'impresa  esser  digiuno, 
Ch'avea  di  vendicare  il  suo  cavallo; 
E  se  potesse  senza  biasmo  alcuno. 
Si  trarrla  fuor  del  periglioso  ballo. 
Il  mondo  era  già  tanto  oscuro  e  bruno, 
Che  tutti  1  colpi  quasi  ivano  in  fallo. 
Poco  ferire,  e  men  parar  sapeano; 
Ch'a  pena  in  man  le  spade  si  vedeauo. 
26 

Fu  quel  da  Montalbano  il  primo  a  dire 
Che  far  battaglia  non  denno  allo  scuro, 
Ma  quella  indugiar  tanto  e  differire, 
Ch'avesse  dato  volta  il  pigro  Arturo; 
E  che  può  intanto  al  padiglion  venire. 


23.  4.  risco.  V.  c.  VI,  81,  n.  8. 

—  5-6.  t.  e.  gli  ha  posto  ;  gli  ha  dato  tanto 
caldo,  tanta  fatica:  (L'  effetto  per  la  causa). 
Porre  per  dare  non  è  frequente.  Si  cita  un 
esempio  dalle  Coll.  dei  SS.  PP.  «  Perdo- 
nami che  io  ti  puosi  questa  fatica  ». 

—  8.  rimanesse,  cessasse.  Rimanere  per 
cessare  è  usato  anche  nei  e.  ii,  21;  xiii, 
78;  ma  col  complemento  (  di  seguir,  di 
trarre).  Qui  è  usato  assolutamente  ;  come 
l'usarono  Dante,  il  Boccaccio  e  altri.  Vil- 
lani, 5,  29,  2  :  «  Il  detto  suono  rimase  ». 

24.  5.  Che  gli  avea  ecc.;  cui  cosi  poc_a 
inimicizia  avea  condotto  a  combattere  con- 
tro di  lui. 

25.  1.  Vorrebbe  ecc.  Dante,  Inf.  28,  87  : 
«Vorrebbe  di  vedere  esser  digiuno».  Per 
r  espressione  avere  imiiresa  cfr.  e.  xvii, 
104,  n.  1. 

26.  4.  il  pigro  Arturo  ;  (  greco  arktos, 
orsa;  ura,  coda);  è  la  stella  che  si  trova 
alla  coda  della  costellazione  dell'  Orsa.  Pi- 
gilo è  epiteto  Ovidiano;  Metam.  2,  138;  ed 
è  cosi  detto,  perché,  essendo  vicino  al  polo, 
ha  il  movimento  più  tardo  delle  altre  stelle. 
V.  0.  XX,  82,  n.  3. 


Ove  di  sé  nou  sarà  men  sicuro, 
Ma  servito  onorato  e  ben  veduto, 
Quanto  in  loco  ove  mai  fosse  venuto. 

27 
Non  bisognò  a  Rinaldo  pregar  molto; 
Che  '1  cortese  Baron  tenne  lo  'nvito. 
Ne  vanno  insieme  ove  il  drappel  raccolto 
Di  Montalbano  era  in  sicuro  sito. 
Rinaldo  al  suo  scudiero  avea  già  tolto 
Un  bel  cavallo  e  molto  ben  guernito, 
A  spada  e  a  lancia  ad  ogni  prova  buono, 
Et  a  quel  cavallier  fattone  dono. 

28 
Il  guerrier  peregrin  conobbe  quello 
Esser  Rinaldo,  che  venia  con  esso; 
Che  prima  che  giungessero  all'ostello. 
Venuto  a  caso  era  a  nomar  sé  stesso: 
E  perché  l'un  de  l'altro  era  fratello. 
Si  sentir  dentro  di  dolcezza  oppresso, 


—  6.  Ove  di  sé  ecc.;  ove  non  sarà  meno  si- 
curo  di  sé  stesso,  cioè  della  propria  per- 
sona, di  quanto  sia  mai  stato  sicuro  in  al- 
cun luogo.  E  avverti  che  il  secondo  termine 
della  comparazione  è  sottinteso,  e  deve  ri- 
levarsi da  ciò,  che  segue.  Insomma  abbiamo 
qui  la  fusione  di  due  costrutti  compara- 
tivi, uno  di  minoranza,  l'altro  d'eguaglian- 
za, con  un  solo  secondo  termine. 

27.  2.  Che;  poiché.  —Baron;  vale  uomo 
di  gran  qualità.  V.  e.  ii,  21,  n.  5. 

—  4.  sicuro  sito;  luogo  appartato,  sicuro 
da  sorprese  dei  nemici,  come  conveniva 
per  passarvi  la  notte. 

28.  3.  ostello;  Qui  in  senso  lato  luogo 
dove  si  trovava  raccolto  il  drappello.  É 
estensione  di  significato  assai  notevole. 

—  6.  Si  sentir.  Cosi  legge  1'  edizione  del 
1532  e  le  più  antiche  e  autorevoli  edizioni. 
Nell'ediz.  del  '16  è  differente  quasi  tuttala 
stanza  e  vi  si  legge  :  «  E  perch'egli  era  a 
lui  frate  germano.  Senti  che  la  pietà  trovò 
le  strade  D'entrar  nel  petto  e  intenerirgli  il 
core,  E  lacrimò  per  gaudio  e  per  amore  ». 
Nell'ediz.  del  '21  si  baia  stanza  ridotta  come 
al  presente,  ma  si  legge  senti,  lacrimò.  Per- 
ché l'A.  introdusse  poi  il  plurale?  Alcuni 
suppongono  che  il  Poeta,  facendoli  piangere 
ambedue,  volesse  far  comprendere  che  nel- 
r  uno  era  ragionato,  neh'  altro  istintivo  il 
sentimento  di  fratellanza.  Per  un  poeta  ro- 
manzesco mi  pare  una  sottigliezza  poco  pro- 
babile. Io  intendo  che  vi  sia  un  accenno  an- 
ticipato agli  e/Tetti  del  racconto,  che  segue 
nelle  tre  stanze  appresso;  quasi  dica:  E 
perché  l'un  dell'altro  era  fratello,  cq??ì e 
apparve  loro  e  apparirà  al  lettore  dal  se- 
guente racconto,  perciò  si  sentirono  il 
cuore  oppresso  di  dolc.  e  tocco  di  p.  a.  — 
Il  singolare  avrebbe  dimostrato,  sema  nes- 
suna  ragione,  la  commozione  degli  affetti 


416 


ORLANDO  FURIOSO 


E  di  pietoso  affetto  tocco  il  core; 
E  lacrimar  per  gaudio  e  per  amore. 
29 

Questo  guerriero  era  Guidon  Selvaggio, 
Che  dianzi  con  Marfisa  e  Sansonetto 
E  figli  d'Olivier  molto  viaggio 
Avea  fatto  per  mar,  come  v'  ho  detto. 
Di  uou  veder  piuttosto  il  suo  lignaggio 
Il  fellon  Pinabel  gli  avea  interdetto, 
Avendol  preso,  e  a  bada  poi  tenuto 
Alla  difesa  del  suo  rio  statuto. 
30 

Guidon,  che  questo  esser  Rinaldo  udio. 
Famoso  sopra  ogni  famoso  duce, 
Ch'  avuto  avea  più  di  veder  disio, 
Che  non  ha  il  cieco  la  perduta  luce, 
Con  molto  gaudio  disse:  0  Signor  mio, 
Qual  fortuna  a  combatter  mi  conduce 
Con  voi  che  lungamenteho  amato  et  amo, 
E  sopra  tutto  il  mondo  onorar  bramo? 
31 

Mi  partorì  Costanza  ne  le  estreme 
Ripe  del  mar  Eusino:  io  son  Guidone, 
Concetto  de  lo  illustre  inclito  seme, 
Come  ancor  voi,  del  generoso  Amone. 
Di  voi  vedere  e  gli  altri  nostri  insieme 
Il  desiderio  è  del  venir  cagione; 
E  dove  mia  intenzion  fu  d'onorarvi, 
Mi  veggo  esser  venuto  a  ingiuriarvi. 
32 

Ma  scusimi  appo  voi  d'un  error  tanto, 
Ch'  io  non  ho  voi  né  gli  altri  conosciuto; 
E  s'emendar  si  può,  ditemi  quanto 
Far  debbo,  eh'  in  ciò  far  nulla  rifiuto. 
Poi  che  si  fu  da  questo  e  da  quel  canto 
De'  complessi  iterati  al  fin  venuto. 
Rispose  a  lui  Rinaldo:  Non  vi  caglia 
Meco  scusarvi  più  de  la  battaglia: 
33 

Che  per  certificarne  che  voi  sete 
Di  nostra  antiqua  stirpe  un  vero  ramo, 
Dar  miglior  testimonio  non  potete. 
Che  '1  gran  valor  ch'in  voi  chiaro  provia- 
Se  più  pacifiche  erano  e  quiete  [mo. 


solo  in  Guidone.  Vedi  tali  anticipaz.  sopra 
alle  st.  12-13,  e  e.  xxxvi,  lS-19.  Mala  scon- 
cordanza del  participio  è  cosi  forzata  che 
ritent^-o  il  luogo  errato;  da  correggere, 
sulla  ediz.  del  '21,  senti. 

29.  4.  come  v'ho  d.  ;  e.  XX,  92;  xxil,  05. 

31.  1.  Costanza;  e.  xx,  6-7. 

32.  4.  in  ciò  far;  per  ciò  far.  In  come  con- 
wiunzioue  indicante  /Ine  si  ha  nelle  espres- 
sioni comuni:  fare  una  cosa  in  vanta<rgio, 
in  onore  ecc.  di  alcuno.  V.  e.  xxi,  18,  2. 

—  6.  complessi,  abbracciamenti  :  è  il  lat. 
complexus.  —  sì  fu...  venuto.  Forma  im- 
personale imitata  dal  latino  ventum  est, 
ventum  erat.  Non  comune,  neppure  in 
poesia. 


Vostre  maniere,  mal  vi  credevamo; 
Che  la  damma  non  genera  il  leone, 
Né  le  colombe  l'aquila  o  il  falcone. 
34 
Non,  per  andar,  di  ragionar  lasciando, 
Non  di  seguir,  per  ragionar,  lor  via. 
Vennero  ai  padiglioni;  ove  narrando 
Il  buon  Rinaldo  alla  sua  compagnia 
Che  questo  era  Guidon,  che  disiando 
Veder,  tanto  aspettato  aveano  pria. 
Molto  gaudio  apportò  ne  le  sue  squadre; 
E  parve  a  tutti  assimigliarsi  al  padre. 
35 
Non  dirò  l'accoglienze  che  gli  fero 
Alardo,  Ricciardetto  e  gli  altri  dui; 
Che  gli  fece  Viviano  et  Aldigiero, 
E  Malagigi,  frati  e  cugin  sui; 
Ch'ogni  Signor  gli  fece  e  cavallicro; 
Ciò  ch'egli  disse  a  loro,  et  essi  a  lui: 
Ma  vi  concluderò  che  finalmente 
Fu  ben  veduto  da  tutta  la  gente. 
36 
Caro  Guidone  a'  suoi  fratelli  stato 
Credo  sarebbe  in  ogni  tempo  assai; 
Ma  lor  fu  al  gran  bisogno  ora  più  grato. 
Ch'esser  potesse  in  altro  tempo  mai. 
Poscia  che  '1  nuovo  sole  incoronato 
Del  mare  usci  di  luminosi  rai, 
Guidon  coi  frati  e  coi  parenti  in  schiera 
Se  ne  tornò  sotto  la  lor  bandiera. 
37 
Tanto  un  giorno  et  un  altro  se  n'andaro, 
Che  di  Parigi  alle  assediate  porte 
A  men  di  dieci  miglia  s'accostare 
In  ripa  a  Senna;  ove  per  buona  sorte 
Grifone  et  Aquilante  ritrovaro, 
I  duo  guerrier  da  l'armatura  forte: 
Grifone  il  bianco,  et  Aquilante  il  nero 
Che  partorì  Gismonda  d'Oliviero. 
38 
Con  essi  ragionava  una  donzella, 

33.7-8.  il  leone,  Vaquila,  il  falcone  sono 
soggetti. 

34.  1-2.  Non,  per  and.  Dante,  Purg.  24,  1  : 
«  Né  il  dir  r  andar  né  l' andar  lui  più  lento 
Facea  ». 

—  5.  ohe  disiando  v.  ;  cui  des.  v. 

—  8.  E  parve.  Il  soggetto  è  Guidone. 

35.  S.  Fu  ben  ved.;  fu  ben  ricevuto;  fu 
visto  con  piacere. 

36.  3.  al  g.  b. ;  nel  gr.  bis.:  a  per  in  è 
frequentissimo  nella  nostra  lingua. 

—  8.  Se  ne  tornò  ecc.  ;  Dal  suo  padi- 
glione, dove  la  sera  si  era  ritirato  a  ripo- 
sare, tornò  ora  a  ritrovare  i  parenti  e  i 
fratelli,  mettendosi  in  schiera  con  loro  sotto 
lo  stesso  vessillo. 

37.  G.  da  l'arm.  f.  Era  fatta  per  incanto: 
cfr.  Innam.  I,  xxni,24,  26;  Fur.  xvii,  70. 

—  8.  Gismonda.  V.  e  xv,  72,  73. 


CANTO  XXXI 


417 


Non  già  di  vii  condizione  in  vista, 
Che  di  sciaraito  bianco  la  gonnella 
Fregiata  intorno  avea  d'aurata  lista; 
Molto  leggiadra  in  apparenza  e  bella. 
Fosse  quantunque  lacrimosa  e  trista: 
E  mostrava  ne'  gesti  e  nel  sembiante 
Di  cosa  ragionar  molto  importante. 
39 

Conobbe  i  cavallier,  come  essi  lui, 
Guidon,  che  fu  con  lor  pochi  di  inanzi; 
Et  a  Rinaldo  disse:  Eccovi  dui 
A  cui  van  pochi  di  valore  inanzi; 
E  se  per  Carlo  ne  verran  con  nui. 
Non  ne  staranno  i  Saracini  inanzi. 
Rinaldo  di  Guidon  conferma  il  detto. 
Che  l'uno  e  l'altro  era  guerrier  perfetto. 
40 

Gli  avea  riconosciuti  egli  non  manco; 
Però  che  quelli  sempre  erano  usati, 
L'un  tutto  nero,  l'altro  tutto  bianco 
Vestir  su  l'arme,  e  molto  andare  ornati. 
Da  l'altra  parte  essi  conobbero  anco 
E  salutar  Guidon,  Rinaldo  e  i  frati: 
Et  abbracciar  Rinaldo  come  amico, 
Messo  da  parte  ogni  lor  odio  antico. 
41 

S'ebbero  un  tempo  in  urta  e  in  gran  di- 

[spetto 
Per  Truffaldin,  che  fora  lungo  a  dire; 


38.  3.  sciamito  (  forse  dal  greco  hexa, 
sei;  e  ìuitos,  filo:  tessuto  iu  sei  licci).  I  no- 
stri scrittori  lo  qualilicarono  con  diversi 
aggettivi  :  ì;i7oso,  assurro,  rosso,  verde  ec. 
Era  una  stoffa  pesante  di  qualità  fina;  ma 
non  si  può  determinare  più  esattamente. 

—  4.  aurata  lista;  la  balza. 

—  6.  F.  (inantunqne.  Vedi,  per  questa  in- 
versione, e.  XVI,  n.  4, 

—  7-8.  mostrava...  di  e.  ragion.;  mostrava 
di  ragionar  di  cosa  ecc.  Abbiamo  1'  omis- 
sione notata  al  e.  ii,  72,  3. 

39.  2.  fu  con  lor:  C.  XXII. 

40.  4.  Vestir  su  l'ar.  ;  portare  sull'arme 
una  soprav>esta.  —  molto  and.  orn.;  avere 
cioè  sulla  sopravvesla  fregi  e  ricami.  Nella 
st.  78  si  dice  di  Bradamante  «  che  sopra- 
vesta avea  ricca  et  ornata,  A  tronchi  di 
cipressi  ricamata  ». 

41.  1.  S'  ebb.  in  urta.  Qualcuno  la  dice 
espressione  Lombarda  o  Ferrarese;  ma,  in 
ogni  caso,  dev'  essere  entrata  nella  lingua 
molto  presto,  perché  fu  usata  da  altri  an- 
tichi, per  es.  dal  Serdonati  nei  Proverbi, 
ed  è  poi  diventata  comune.  —  Questa  stanza, 
che  manca  nella  prima  edizione,  fu  ag- 
giunta nell'edizione  del  1521. 

—  2.  Per  Truffaldin.  È  un  personaggio 
deir/nua?>ì.  Ivi  I,  xxvi,  si  dice  che  Truf- 
faldino, re  di  Baldocco,  era  nella  rocca  di 
Albracca,  alla  difesa  d'Angelica,  con  Aqui- 

AUIOSTO    —    PAriNM 


Ma  quivi  insieme  con  fraterno  affetto 
S'accarezzar,  tutte  obliando  l'ire. 
Rinaldo  poi  si  volse  a  Sansonetto, 
Ch'era  tardato  un  poco  più  a  venire, 
E  lo  raccolse  col  debito  onore, 
A  pieno  instrutto  del  suo  gran  valore. 
42 

Tosto  che  la  donzella  più  vicino 
Vide  Rinaldo,  e  conosciuto  l'ebbe 
(Ch'uvea  notizia  d'ogni  paladino). 
Gli  disse  una  novella  che  gì'  increbbe  ; 
E  cominciò:  Signore,  il  tuo  cugino 
A  cui  la  Chiesa  e  l'alto  Imperio  debbe, 
(Juel  già  si  saggio  et  onorato  Orlando, 
È  fatto  stolto  e  va  pel  mondo  errando. 
43 

Onde  causato  cosi  strano  e  rio 
Accidente  gli  sia,  non  so  narrarte. 
La  sua  spada  e  l'altr'arine  ho  vedute  io. 
Che  per  li  campi  avea  gittate  e  sparte; 
E  vidi  un  cavallier  cortese  e  pio 
Che  le  andò  raccogliendo  da  ogni  parte; 
E  ])oi  di  tutte  quelle  un  arbuscello 
Fé',  a  guisa  di  trofeo,  pomposo  e  bello. 
44 

Ma  la  spada  ne  fu  tosto  levata 
Dal  fìgliuol  d'Agricane  il  di  medesmo. 
Tu  puoi  considerar  quanto  sia  stata 
Gran  perdita  alla  gente  del  battesmo 
L'essere  un'altra  volta  ritornata 
Durindana  in  poter  del  Paganesmo. 
Né  Brigliadoro  men,  ch'errava  sciolto 
Intorno  all'arme,  fu  dal  Pagan  tolto. 
45 

Son  pochi  di  ch'Orlando  córrer  vidi 
Senza  vergogna  e  senza  senno,  ignudo. 
Con  urli  spaventevoli  e  con  gridi: 
Ch'è  fatto  pazzo  in  somma  ti  conchiudo; 
E  non  avrei,  fuor  ch'a  questi  occhi  fidi. 
Creduto  mai  si  acerbo  caso  e  crudo. 


laute,  Grifone  e  altri,  quando  questa  ròcca 
fu  assalita  da  Mariìsa  e  da  Rinaldo.  Questi, 
preso  Truffaldino,  lo  legò  alla  coda  del  ca- 
vallo a  dispetto  di  quelli  che  stavano  alla 
difesa  con  lui,  specialmente  di  Aquilante  e 
Grifone.  A  questo  luogo  si  riferisce  l'A. 

—  6.  era  tardato.  Tardare  si  coniuga, 
anche  nell'  uso  moderno,  con  1'  ausiliare 
essere  ed  avere  ugualmente. 

—  7.  raccolse,  accolse.  V.  e.  vii,  9,  n.  3. 
42.  3.  notizia;  conoscenza;    come  nel  e. 

VI,  9,  1. 

—  6.  debbe;  deve,  è  debitore.  Caro,  Lett. 
2,  325  :  «  Sono  astretto  a  satisfare  a  quelli, 
a  chi  debbo  io  (sono  debitore)  ». 

44.  4.  gente  del  b.  ;  i  Cristiani.  È  espres- 
sione assai  singolare:  nel  e.  xxx,  40:  gente 
di  battesmo. 

—  5.  un'altra  v.  Prima  era  d'Almonte: 
(e.  XIV,  43). 

27 


418 


ORLANDO  FURIOSO 


Poi  narrò  che  lo  vide  giii  dal  ponte 
Abbracciato  cader  con  Rodomonte. 
46 

A  qualunque  io  non  creda  esser  nimico 
D'Orlando  (soggiungea),  di  ciò  favello; 
Acciò  ch'alcun  di  tanti,  a  ch'io  lo  dico, 
Mosso  a  pietà  del  caso  strano  e  fello, 
Cerchi  o  a  Parigi  o  in  altro  luogo  amico 
Ridurlo,  fin  che  si  purghi  il  cervello. 
Ben  so,  se  Brandimarte  n'avrà  nuova, 
Sarà  per  farne  ogni  possibil  prova. 
47 

Era  costei  la  bella  Fiordiligi, 
Più  cara  a  Brandimarte,  che  sé  stesso; 
La  qual,  per  lui  trovar,  venia  a  Parigi: 
E  de  la  spada  ella  soggiunse  appresso, 
Che  discordia  e  contesa  e  gran  litigi 
Tra  il  Sericano  e  '1  Tartaro  avea  messo; 
E  ch'avuta  l'avea,  poi  che  fu  casso 
Di  vita  Mandricardo,  al  fin  Gradasso. 
48 

Di  cosi  strano  e  misero  accidente 
Rinaldo  senza  fin  si  lagna  e  duole; 
Né  il  core  intenerir  men  se  ne  sente. 
Che  soglia  intenerirsi  il  ghiaccio  al  sole: 
E  con  disposta  et  immutabil  mente, 
Ovunque  Orlando  sia,  cercar  lo  vuole, 
Con  speme,  poi  che  ritrovato  l'abbia, 
Di  farlo  risanar  di  quella  rabbia. 
49 

Ma  già  lo  stuolo  avendo  fatto  unire, 
Sia  volontà  del  cielo  o  sia  avventura, 
Vuol  fare  i  Saracin  prima  fuggire, 
E  liberar  le  Parigine  mura. 
Ma  consiglia  l'assalto  difl"erire 
(Che  vi  par  gran  vantaggio)  a  notte  scura, 
Ne  la  terza  vigilia  o  ne  la  quarta, 


45.  7,  giii  dal  ponte.  V.  e.  xxix,  44. 

46.  6.  si  purghi  il  e.  ;  si  chiarisca.  È  e- 
spressione  tolta  dalle  acque,  che,  torbide, 
si  purgano  e  diventano  limpide. 

47.  7-S.  casso  di  vita  (lat.  cassus,  vuoto); 
privo  di  V.  Dante,  Inf.  30,  15,  1'  usa  asso- 
lutamente senza  complemento,  nello  stesso 
senso:  «Si  che  insieme  col  regno  il  re  fu 
casso  ». 

48.  5.  e.  disposta  ecc.  con  risoluta  e  imm. 
mente,  con  animo  risoluto  e  imm.^on  si  cita 
quest'  uso  assoluto   con  questo  significato. 

49.  5.  consiglia,  si  consiglia,  delibera.  É 
un  esempio  notevole,  perché  è  molto  più 
chiaro  e  spiccato  di  quello  che  la  N.  Cr.  cita 
nel  par.  U.  Generalm.  in  questo  senso  si  usa 
la  forma  riflessiva. 

—  6.  vi;  in  questa  cosa,  in  questo  ri- 
tardo appare  un  gran  vantaggio. 

—  7.  Ne  lat.  vigilia.  I  ialini  dividevano 
le  12  ore  della  notte  in  quattro  vigilie.  Vi- 
gilia poi  era  lo  spazio  di  tre  ore,  quanto 
durava  il  soldato  in  sentinella.  Questo  modo 


Ch'avrìi  l'acqua  di  Lete  il  Sonno  sparta. 

50 
Tutta  la  gente  alloggiar  fece  al  bosco, 
E  quivi  la  posò  per  tutto  '1  giorno: 
Ma  poi  che  '1  sol,  lasciandoli  mondo  fosco. 
Alla  nutrice  antiqua  fé'  ritorno. 
Et  orsi  e  capre  e  serpi  senza  tosco 
E  l'altre  fere  ebbene  il  cielo  adorno, 
Che  state  erano  ascose  al  maggior  lampo, 
Mosse  Rinaldo  il  taciturno  campo: 

51       „ 
E  venne  con  Grifon,  con  Aquilante, 
Con  Vivian,  con  Alardo  e  con  Guidone, 
Con  Sansonetto,  agli  altri  un  miglio  inan- 
A  cheti  passi  e  senza  alcun  sermone,  [te, 
Trovò  dormir  l'ascolta  d'Agramante: 
Tutta  l'uccise,  e  non  ne  fé'  un  prigione. 
Indi  arrivò  tra  l'altra  gente  Mora, 
Che  non  fu  visto  né  sentito  ancora. 


d' indicare  le  ore  della  notte  fu  usato  poi 
anche  da'  nostri,  specialmente  nel  linguag- 
gio militare.  Ma  qui  l'A.  deve  averlo  usato 
a  indicare  semplicemente  le  ore  singole 
della  notte,  e  non  lo  spazio  di  tre  ore;  in- 
fatti la  terza  e  quarta  vigilia,  secondo  i 
Latini,  cadrebbero  da  mezzanotte  alle  tre 
e  dalle  tre  alle  sei  :  invece  nella  stanza  se- 
guente si  dice  che  Rinaldo  mosse  contro  i 
nemici  al  principiare  della  notte:  e  nella 
stanza  80  si  dice  che  Agramante  era  nel 
primo  sonno.  Dunque  Rinaldo  voleva  as- 
salire nella  terza  o  quarta  ora  di  notte. 
É  questo  un  uso  molto  notevole,  che  la  Cru- 
sca terrà  certo  presente. 

—  8.  che;  quando. 

50.  2.  la  posò;  la  riposò;  la  fece  ripo- 
sare. In  questo  senso  si  cita  il  solo  esempio 
dell'Ar. 

—  4.  AUh  nntr.  ant.  Vedasi  la  nota  2  del 
e.  xvii,  129,  e  4  del  e.  xxxii,  4. 

—  5.  orsi  ecc.;  Le  costellazioni  dell'Orsa, 
del  Capricorno,  del  Serpente  ecc. 

—  6.  ebbene,  ebbero.  Forma  popolare 
ancor  viva  nel  volgo  Toscano. 

—  7.  m.  lampo;  maggior  lume;  il  sole. 
Dante  e  il  Petrarca  usarono  la  forma  lampa. 

51.  5.  Trovò  dorm.  l'a.  ;  trovò  1' ascolta  di 
Agramante  dormire.  O  deve  sottintendersi 
la  prep.  a:  {trovò  a  dorm.ire);  o,  meglio: 
trovò  che  l'as.  d'Agr.  dormiva  :  con  co- 
strutto derivato  dal  lat.  invenio  (trovare), 
che  si  usa,  oltre  che  col  participio  {invenit... 
dormientem)  anìche  talvolta  coli' infinito. 
—  ascolta;  Più  comunemente  scolta  (da  a- 
scottare). 

—  8.  Che,  in  modo  che  —  né  s.  ancora. 
Intenderei  Vancora  come  V  anco  notato  al 
e.  XVI,  36,  8;  non  fu  visto  e  neppure  sen- 
tito. 


CANTO  XXXI 


419 


52 
Del  campo  d' Infedeli  a  prima  giunta 
La  ritrovata  guardia  all'improviso 
Lasciò  Einaldo  si  rotta  e  consunta, 
Ch'un  sol  non  ne  restò,  se  non  ucciso. 
Spezzata  che  lor  fu  la  prima  punta, 
I  Saracin  non  l'avean  più  da  riso; 
Che  sonnolenti,  timidi  et  inerrai 
Poteano  a  tai  guerrier  far  pochi  schermi. 

53 
Fece  Rinaldo  per  maggior  spavento 
Dei  Saracin,  al  mover  de  l'assalto, 
A  trombe  e  a  corni  dar  subito  vento, 
E,  gridando,  il  suo  nome  alzar  in  alto. 
Spinse  Baiardo,  e  quel  non  parve  lento; 
Che  dentro  all'alte  sbarre  entrò  d'un  salto, 
E  versò  cavallier,  pestò  pedoni, 
Et  atterrò  trabacche  e  padiglioni. 

54 
Non  fu  si  ardito  tra  il  popol  Pagano, 
A  cui  non  s'arricciassero  le  chiome. 
Quando  senti  Rinaldo  e  Montalbano 
Sonar  per  l'aria,  il  formidato  nome. 
Fugge  col  campo  d'Africa  l'Ispano, 
Né  perde  tempo  a  caricar  le  some; 
Ch'aspettar  quella  furia  più  non  vuole, 
Ch'aver  provata  anco  si  piagne  e  duole. 

55 
Guidon  lo  segue,  e  non  fa  raen  di  lui; 
Né  men  fanno  i  duo  figli  d'Oliviero, 
Alardo  e  Ricciardetto  e  gli  altri  dui: 
Col  brando  Sansonetto  apre  il  sentiero: 
Aldigiero  e  Vivian  provar  altrui 
Fan  quanto  in  arme  l'uno  e  l'altro  è  fiero. 
Cosi  fa  ognun  che  segue  lo  stendardo 
Di  Chiaramonte,  da  guerrier  gagliardo. 

56 
Settecento  con  lui  tenea  Rinaldo 
In  Montalbano  e  intorno  a  quelle  ville, 


52.  1.  d'Infedeli,  degli  iufed.  V.  e.  il,  15, 
n.  8.  Costruisci  :  A  prima  giunta  (appena 
arrivato),  R.  lasciò  si  rotta  e  e.  la  guardia 
del  campo  degli  infed.,  ritrovata  (colta)  al- 
l' improvviso,  che  ecc. 

—  5.  la  pr.  punta;  l'avanguardia. 

53.  3.  dar  vento;  Più  comunemente  dar 
flato. 

—  4.  alzare  in  alto;  gridare  a  gran  voce. 

—  6.  sbarre;  i  ripari  del  campo. 

—  7.  versò;  rovesciò:  cfr.  st.  9,  5. 

—  8.  trabacche;  V.  e.  vii,  35,  n.  4. 

54.  4.  formidato.  temuto  (lat.  formidatus). 
Il  Monti  lo  dice  vocabolo  magnifico  nobi- 
lissimo: il  formidato  nome  è  apposizione 
di  Rinaldo  e  Montalbano. 

—  8.  av.  proT...  si  piagne;  si  lamenta  an- 
che di  averla  solo  provata.  Dante  Purg.  19, 
59:  «  Che  sola  sovra  noi  ornai  si  piagne  >. 

56.  1.  Settecento.  Questo,  nei  romanzi  ita- 
liani, è  il  numero  di  rigore  per  la  schiera 


Usati  a  portar  l'arme  al  freddo  e  al  caldo. 
Non  già  più  rei  de  i  Mirmidon  d'Achille.' 
Ciascun  d'essi  al  bisogno  era  si  saldo. 
Che  cento  insieme  non  fuggian  per  mille; 
E  se  ne  potean  molti  sceglier  fuori. 
Che  d'alcun  dei  famosi  eran  migliori. 
57 

E  se  Rinaldo  ben  non  era  molto 
Ricco  né  di  città  né  di  tesoro, 
Facea  si  con  parole  e  con  buon  volto, 
E  ciò  ch'avea,  partendo  ognor  con  loro, 
Ch'un  di  quel  numer  mai  non  gli  fu  tolto 
Per  offerire  altrui  più  somma  d'oro. 
Questi  da  Montalban  mai  non  rimove. 
Se  non  lo  stringe  un  gran  bisogno  altrove. 
58 

Et  or,  perch'abbia  il  Magno  Carlo  aiuto. 
Lasciò  con  poca  guardia  il  suo  castello. 
Tra  gli  African  questo  diappel  venuto, 
(Questo  drappel  del  cui  valor  favello, 
Ne  fece  quel  che  del  gregge  lanuto 
Sul  Falanteo  Galeso  il  lupo  fello, 
O  quel  che  soglia  del  barbato,  appresso 
Il  barbaro  Cinifio,  il  leon  spesso. 


di   Rinaldo   come   per   quella   di   Orlando 
20,600.  —  con  lui;    con  sé.  V.  e.  iv,  6,  n.  3. 

—  4.  pili  rei,  peggiori,  meno  valorosi. 
Reo  si  usò  non  di  rado  per  di  cattiva  'jua- 
lità;  cosi  il  Sacchetti  disse  rei  pollastri  e 
l'Alberti  reo  coltello.  In  tal  senso  l'usa 
qui  l'A.  —  Mirmidoni  {gc.  ^fl/rmidon,  branco 
di  formiche)  erano  i  soldati  di  Achille,  di- 
scesi, secondo  il  mito,  dalle  formiche. 

—  7.  E  se  ne  p.  ecc.  E  si  potevano  sce- 
gliere, dà  quella  schiera,  molti,  che  erano 
più  prodi  di  qualche  famoso  cavaliere. 

57.  1.  se...  ben;  sebbene.  Figura  di  tmesi 
già  notata  al  e.  xv,  82  e  altrove. 

—  6.  Per  offerire  a.  ;  sebbene  altri  offe- 
risse. V.  e.  XV,  69,  n.  6.  —  altrui;  General- 
mente si  usa  solo  nei  complementi;  ma  gli 
antichi  l'usarono  non  di  rado  anche  nel 
soggetto:  Pulci,  Morg.  22,  23:  «E  che  più 
altro  se  ne  porta  altrui  ?»  E  anche  in  prosa; 
Bocc.  Fiamm.,  7,  8:  «  .wvegna  che  altrui 
tenga  che  ella  ecc.  ». 

—  7.  Questi  ;  Si  riferisce  ai  soldati  di 
Rinaldo. 

58.  6.  Falanteo  Gal.  Tutto  il  luogo  è  ispi- 
rato da  Orazio,  Od.  ii,  6:  «Dulce  pellitis 
ovibus  Galaesi  Flumen  et  reguata  petam 
Laconi  Rura  Phalanto  ».  11  Galeso  è  un  tìu- 
micello  presso  Taranto,  città  fondata  da 
una  colonia  Spartana  condotta  da  Falanto. 
Era  luogo  famoso  per  belle  pecore. 

—  7.  barbato.  È  epiteto,  che  davano  alle 
capre  i  Latini,  Catullo  ha  barbatus  hir- 
culus;  Virgilio,  Geor.  3,  311:  «  (Pastores) 
barbas...  Cinyphii  tondent  birci  ».  11  Cinifio 
è,  secondo  Tolomeo,  un  fiume  dell'Affrica, 


420 


ORLANDO  FURIOSO 


59 

Carlo,  ch'avviso  da  Rinaldo  avuto 
Avea  che  presso  era  a  Parigi  giunto, 
E  che  la  notte  il  campo  sproveduto 
Volea  assalir,  stato  era  in  arme  e  in  punto: 
E,  quando  bisogni),  venne  in  aiuto 
Coi  Paladini;  e  ai  Paladini  afrgiuiito 
Avea  il  figliuol  del  ricco  Moiiodante, 
Di  Fiordiligi  il  lido  e  saggio  amante: 
60 

Ch'ella  più  giorni  per  si  lunga  via 
Cercato  avea  per  tutta  Francia  in  vano. 
Quivi  all'  insegne  che  portar  solia^ 
Fu  da  lei  conosciuto  di  lontano. 
Come  lei  Brandimarte  vide  pria, 
Lasciò  la  guerra,  e  tornò  tutto  umano, 
E  corse  ad  abbracciarla;  e  d'amor  pieuo, 
Mille  volte  baciolla  o  poco  meno. 
61 

De  le  lor  donne  e  de  le  lor  donzelle 
Si  tìdar  molto  a  quella  antica  etade. 
Senz'altra  scorta  andar  lasciano  quelle 
Per  piani  e  monti  e  per  strane  contrade; 
Et  al  ritorno  Than  per  buone  e  belle, 
Nt-  mai  tra  lor  suspizione  accade. 
Fiordiligi  narrò  quivi  al  suo  amante. 
Che  fatto  stolto  era  il  Signor  d'Anglante. 
62 

Brandimarte  si  strana  e  ria  novella 
Credere  ad  altri  a  pena  avria  potuto; 
Ma  lo  credette  a  Fiordiligi  bella, 
A  cui  già  maggior  cose  avea  creduto. 
Non  pur  d'averlo  udito  gli  dice  ella. 
Ma  che  con  gli  occhi  proprii  l' ha  veduto  ; 
C  ha  conoscenza  e  pratica  d'Orlando, 
Quanto  alcun  altro;  e  dice  dove  e  quando: 
63 

E  gli  narra  del  ponte  periglioso, 
Che  Rodomonte  ai  cavallier  difende. 
Ove  un  sepolcro  adorna  e  fa  pomposo 
Di  sopraveste  e  d'arme  di  chi  prende. 
Narra  e'  ha  visto  Orlando  fur'ioso 
Far  cose  quivi  orribili  e  stupende; 


non  ancora  riconosciuto,  famoso  per  belle 
capre. 

59.  G.  Coi  paladini.  Nel  canto  xxvii,  32,  ha 
detto  che,  eccetto  Uggieri  e  Oliviero,  «  i  pa- 
ladini fur  presi  tutti  quanti  ».  Qui  dunque 
abbiamo  una  dimenticanza  dell'  A. 

—  7.  il  flgl.  d.  r.  Mon.;  Brandimarte, 
marito  amantissimo  della  sua  Fiordiligi. 
V.  e.  vili,  88,  n.  7. 

60.  5.  Come...  pria:  come  prima,  appena 
che.  È  il  lat.  ut  jn-imum.  Boccaccio,  Nov. 
15:  «Come  prima  addormentato  ti  fossi, 
saresti  stato  ammazzato  ». 

63.  2.  difende;  impedisce;  vieta.  V.  e.  xiv, 
7,  n.  3;  e  ii,  34,  n.  6;  e  xxvii,  77,  n.  8. 

—  C.  stupende;  generalmente  vale:  che 
inducono  stupore  per  bellezza  o  bontà; 


Che  nel  fiume  il  Pagan  mandò  riverso 
Con  gran  periglio  di  restar  summerso. 

64  [to 

Brandimarte,  che  '1  Conte  amava,  quan- 
Si  può  compagno  amar,  fratello  o  tiglio, 
Disposto  di  cercarlo  e  di  far  tanto, 
Non  ricusando  affanno  né  periglio, 
Che  per  opra  di  medico  o  d'incanto 
Si  ponga  a  quel  furor  qualche  consiglio. 
Cosi  come  trovossi  armato  in  sella. 
Si  mise  in  via  con  la  sua  donna  bella. 
65 

Verso  la  parte  ove  la  Donna  il  Conte 
Avea  veduto,  il  lor  camin  drizzaro, 
Di  giornata  in  giornata,  fin  ch'ai  ponte 
Che  guarda  il  Re  d'Algier,  si  ritrovare. 
La  guardia  ne  fé'  segno  a  Rodomonte, 
E  gli  scudieri  a  un  tempo  gli  arrecare  [to 
L'arme  e  il  cavallo;  e  quel  si  trovò  in  pun- 
Quando  fu  Brandimarte  al  passo  giunto. 
66 

Con  voce  qual  conviene  al  suo  furore, 
Il  Saracino  a  Brandimarte  grida: 
Qualunque  tu  ti  sia,  che,  per  errore 
Di  via  0  di  mente,  qui  tua  sorte  guida, 
Scendi  e  spogliati  l'arme,  e  fanne  onore 
Al  gran  sepolcro,  inanzi  ch'io  t'uccida, 
E  che  vittima  all'ombre  tu  sia  offerto; 
Ch'io  '1  farò  poi,  né  te  n'avrò  alcun  merlo. 
67 

Non  volse  Brandimarte  a  quell'altiero 
Altra  risposta  dar,  che  de  la  lancia. 
Sprona  Batoldo,  il  suo  gentil  destriero, 
E  inverso  quel  con  tanto  ardir  si  lancia, 
Che  mostra  che  può  star  d'animo  fiero  • 
Con  qual  si  voglia  al  mondo  alla  bilancia: 
E  Rodomonte,  con  la  lancia  in  resta, 


ma  qui  sou  cose,  che  inducono  \xì\  pauroso 
stupore.  È  significato  notevole,  che  manca 
nei  vocabolari. 

64.  6.  consiglio,  rimedio.  Villani,  2,  24  : 
«  Mettano  consiglio  e  riparo  a  simili  casi  ». 

66.  8.  Ch'  io  ecc.;  che  se  non  lo  fai  tu 
spontaneamente,  lo  farò  poi  io  atterran- 
doti ;  e  non  te  ne  avrò  nessuna  gratitudine. 
Suir  espressione  aver  merlo  cfr.  e.  v,  14, 
n.  5. 

67.  2.  de  la  1.;  con  la  lancia.  Di  per  con 
è  frequente  nella  nostra  letteratura,  V.  e. 
XXV,  5,  n.  5. 

—  3.  Batoldo.  Era  il  cavallo  di  Barigac- 
cio,  che  Brandimarte  uccise.  Innamor. 
II,  XXI,  24,  47,  48. 

—  5.  d' animo  f.  ;  per  animo  fiero,  quanto 
a  fierezza  d'  animo.  K  complemento  di  li- 
mitazione. V.  e.  VII,  10,  n.  6. 

—  6.  stare...  alla  bilancia;  stare...  alla 
pari.  L' immagine  della  bilancia  fu  usata 
spesso  e  in  vari  costrutti  dall' Ar.  xi.i,  69; 
xxni,  77;  XXVI,  77. 


CANTO  XXXI 


421 


Lo  stretto  ponte  a  tutta  briglia  pesta. 
68 

Il  suo  destrier  ch'avea  continuo  uso 
D'andarvi  sopra,  e  far  di  quel  sovente 
Quando  uno  e  quando  un  altro  cader  giuso, 
Alla  giostra  correa  sicuramente. 
L'altro,  del  corso  insolito  confuso, 
Venia  dubbioso,  timido  e  tremeute. 
Trema  anco  il  ponte,eparcaderneronda. 
Oltre  che  stretto  e  che  sia  senza  sponda. 
69 

I  cavallier,  di  giostra  ambi  maestri, 
Che  le  lance  avean  grosse  come  travi, 
Tali  qual  tur  nei  lor  ceppi  silvestri, 
Si  dieron  colpi  non  troppo  soavi. 
Ai  lor  cavalli  esser  possenti  e  destri 
Non  giovò  molto  agli  aspri  colpi  e  gravi; 
Che  si  versar  di  pari  ambi  sul  ponte, 
E  seco  i  signor  lor  tutti  in  un  monte. 
70 

Nel  volersi  levar  con  quella  fretta 
Che  lo  spronar  de' fianchi  insta  e  richiede, 
L'asse  del  ponticel  lor  fu  si  stretta, 
Che  non  trovaro  ove  fermare  il  piede; 
Si  che  una  sorte  uguale  arabi  li  getta 
Ne  l'acqua;  e  gran  rimbombo  al  ciel  ne 

[riede. 
Simile  a  quel  ch'usci  del  nostro  fiume. 
Quando  ci  cadde  il  mal  rettor  del  lume. 
71 

I  duo  cavalli  andar  con  tutto  '1  pondo 
Dei  cavallier,  che  steron  fermi  in  sella, 
A  cercar  la  riviera  insin  al  fondo. 
Se  v'era  ascosa  alcuna  Ninfa  bella. 
Non  è  già  il  primo  salto  né  '1  secondo. 
Che  giù  del  ponte  abbia  il  Pagano  in  quel- 
Onda  spiccato  col  destriero  audace;    [la 
Però  sa  ben  come  quel  fondo  giace. 


68.  6.  tremente,  tremante;  latinismo  non 
frequente. 

—  8.  Oltre  che...  sia.  Per  il  congiunt.  cfr. 
e.  v[,  79,  u.  1. 

69.  3.  Tali  ecc.  ;  cioè  senza  essere  state 
punto  assottigliate. 

—  7.  si  versar,  si  rovesciarono.  V.  st. 
&,  n.  5. 

70.  2.  insta;  sollecita.  È  un  uso  transitivo, 
che  l'A.  tolse  dai  Latiui.  Plauto  Pcen.  4, 
2:  «tantum  eum  instat  exitii  ». 

—  6.  ne  riede.  Dice  riede,  torna,  rife- 
rendosi a  quel  primo  rumore,  che  sali  al 
cielo  nella  caduta  di  Fetonte.  Fors' anche: 
essi  cadono  giù  e,  invece  di  loro,  torna  su 
e  sale  lino  al  cielo  un  gran  rimbombo. 

—  S.  mal  rett.  ;  cattivo  reggitore  del 
sole.  Fetonte  cadde  nel  Po  :  cfr.  e.  in,  34. 
3.  —  Nell'uso  popolare  si  tronca  spesso 
l'aggettivo  malo  :  inai  punto,  mal  marito, 
'mal  vezzo,  inai  senso  ecc. 

71.  8.  giace,  si  trova,  sta.  La  Crusca  cita 


72 
Sa  dove  è  saldo,  e  sa  dove  è  più  molle; 
Sa  dove  è  l'acqua  bassa,  e  dove  è  l'alta: 
Dal  fiume  il  capo  e  il  petto  e  i  fianchi 
T7.  D       1-  [estolle, 

t,  Brandimarte  a  gran  vantaggio  assalta. 
Brandiraarte  il  corrente  in  giro  folle: 
Nela  sabbiai!  destrier, che '1  fondo  smalta, 
Tutto  si  ficca,  e  non  può  riaversi, 
Con  risco  di  restarvi  ambi  sommersi. 
73 

L'onda  si  leva  e  li  fa  andar  sozzopra, 
E  dove  è  più  profonda  li  trasporta. 
Va  Brandimarte  sotto,  e  '1  destrier  sopra. 
Fiordiligi  dal  ponte  atìlitta  e  smorta 
E  le  lacrime  e  i  voti  e  i  prieghi  adopra: 
Ah  Rodomonte,  per  colei  che  morta 
Tu  riverisci,  non  esser  si  fiero, 
Ch'affogar  lasci  un  tanto  cavalliero  ! 
74 

Deh,  cortese  Signor,  s'unqua  tu  amasti, 
Di  me,  ch'amo  costui,  pietà  ti  vegna. 
Di  farlo  tuo  prigion,  per  Dio,  ti  basti; 
Che  s'orni  il  sasso  tuo  di  quella  insegna. 
Di  quante  spoglie  mai  tu  gli  arrecasti. 
Questa  fia  la  più  bella  e  la  più  degna. 
E  seppe  si  ben  dir,  ch'ancor  che  fosse 
Si  crudo  il  Re  pagan,  pur  lo  commosse: 
75 

E  fé'  che  '1  suo  amator  ratto  soccorse. 
Che  sotto  acqua  il  destrier  tenea  sepolto, 
E  de  la  vita  era  venuto  in  forse, 
E  senza  sete  avea  bevuto  molto. 
Ma  aiuto  non  però  prima  gli  porse, 
Che  gli  ebbe  il  brando,  e  di  poi  l'elmo  tolto. 
De  l'acqua  mezzo  morto  il  trasse,  e  porre 
Con  molti  altri  lo  fé'  ne  la  sua  torre. 


questo  luogo,  come  un  uso  singolare;  ma 
è  analogo  a  quel  di  Dante,  Inf.  II,  114:  «  K 
il  Carro  tutto  sovra  il  Coro  giace  »  e  il  carro 
di  Boote  si  troi-a  tutto  dalla  parte  di  Nord- 
ovest, donde  spira  il  vento,  detto  Coro. 

72.  5.  il  corrente,  la  corrente.  K  soggetto. 
Parlando  di  acque  l'usarono  gli  antichi 
ben  raramente  al  maschile. 

—  (5.  smalta,  copre.  In  un  senso  aflìne 
l'usò  il  Petrarca,  Gap.  yel  cor  pien  d'ama- 
rissima  dolcezza:  «  Dico  Appio  Claudio  e 
Catulo,  che  smalta  II  pelago  di  sangue  ».  Av- 
verti che  il  relativo  che  si  riferisce  a  sabbia, 
non  a  cavallo,  come  stranamente  crede  K 
Tommaseo,  che  male  dichiara:  il  destriero, 
che  rompe  il  fondo.  (V.  Smaltare). 

74.  4.  che  s'orni  ecc.  ;  che  se  orni;  poiché 
se  tu  orni  ecc. 

75.  5.  non  prima,...  che  ebbe.  Prima,  pre- 
ceduto da  negazione  e  seguito  da  che,  si 
costruisce  egualmente  con  l'indie,  e  col 
congiuntivo. 


422 


ORLANDO  FURIOSO 


76 
Fu  ne  la  Donna  ogni  allegrezza  spenta, 
Quando  prigion  vide  il  suo  amante  gire; 
Ma  di  questo  pur  meglio  si  contenta, 
Che  di  vederlo  nel  fiume  perire. 
Di  sé  stessa,  e  non  d'altri,  si  lamenta. 
Che  fu  cagion  di  farlo  ivi  venire. 
Per  averli  narrato  ch'avea  il  Conte 
Riconosciuto  al  periglioso  ponte. 

77 
Quindi  si  parte,  avendo  già  concetto 
Di  menarvi  Rinaldo  paladino, 
O  il  Selvaggio  Guidone,  o  iiansonetto, 
0  altri  de  la  corte  di  Pipino, 
In  acqua  o  in  terra  cavallier  perfetto 
Da  poter  contrastar  col  Saracino  ; 
Se  non  più  forte,  almen  più  fortunato 
Che  Brandimarte  suo  non  era  stato. 

•78 
Va  molti  giorni,  prima  che  s'abbatta 
In  alcun  cavallier  ch'abbia  sembiante 
D'esser  come  lo  vuol,  perché  combatta 
Col  Saracino  e  liberi  il  suo  amante. 
Dopo  molto  cercar  di  persona  atta 
Al  suo  bisogno,  un  le  vien  pur  avante. 
Che  sopravesta  avea  ricca  et  ornata, 
A  tronchi  di  cipressi  ricamata. 

79 
Chi  costui  fosse,  altrove  ho  da  narrarvi, 
Che  prima  ritornar  voglio  a  Parigi, 
E  de  la  gran  sconfitta  seguitarvi, 
Ch'  a'  Mori  die  Rinaldo  e  Malagigi. 
Quei  che  fuggirò,  io  non  saprei  contarvi, 
Né  quei  che  tur  cacciati  ai  fiumi  Stigi. 


76.  3.  meglio,  più.  In  questo  senso  mei/Ho 
è  molto  familiai-e  agli  antichi  e  assai  fre- 
quente anche  oggi. 

77.  1.  avendo...  concetto;  avendo  stabilito. 
G.  Villani,  7,  120,  4:  «  Ei-a  couceputo  per 
l'arcivescovo  di  Pisa...  di  cacciare  il  giu- 
dice Nino  ».  Quesl'  avventura  è  calcala  so- 
pra una  simile  dell'  Innam.  I,  xi.  Ivi  Bran- 
dimarte è  rimasto  in  poter  di  Dragontina: 
Fiordiligi  corre  in  cerca  di  chi  lo  aiuti  e, 
trovato  Rinaldo,  ve  lo  conduce. 

4.  di  Pipino,  di  Carlomagno  figlio  di  Pi- 
pino. Cosi  nel  e.  xxxvii,  17,  dice  Maia  in- 
vece di  suo  figlio  Mercurio;  e  Dante,  Par. 
fi,  144,  ha  Maia  e  Dione  per  indicare  Mer- 
curio e  Venere,  che  sono  di  esse  respetti- 
vamente  figliuoli. 

5.   In  acqua  e  in  t.  ecc.    Espressione 

simile  vedila  nel  e.  xiii.  Vi,  6:  «gente  va- 
lorosa all'acqua  e  all'  armi  ». 

79.  1.  ho  da  narr.  ;  vi  narrerò.  V.  e.  xv, 
35,  u.  2. 

—  3,  segnitarvl  ;  continuarvi  a  dire.  V. 
e.  n,  76,  n.  8. 

—  'j.  Malagigi.  Ciò  è  chiarito  dalla  stan- 
za b6. 


Levò  a  Turpino  il  conto  l'aria  oscura. 
Che  di  contarli  s'avea  preso  cura. 
80 

Nel  primo  sonno  dentro  al  padiglione 
Dormia  Agramante;  e  un  cavallier  lo  de- 
Dicendogli  che  fia  fatto  prigione,       [sta, 
Se  la  fuga  non  è  via  più  che  presta. 
Guarda  il  Re  intorno,  e  la  confusione 
Vede  dei  suoi  che  van  senza  far  testa 
Chi  qua  chi  là  fuggendo  inermi  e  nudi, 
Che  non  han  tempo  di  pur  tor  gli  scudi. 
81 

Tutto  confuso  e  privo  di  consiglio 
Si  facea  porre  indosso  la  corazza. 
Quando  con  Falsiron  vi  giunse  il  figlio 
Grandonio,  e  Balugante,  e  quella  razza; 
E  al  Re  Agramante  mostrano  il  periglio 
Di  restar  morto  o  preso  in  quella  piazza, 
E  che  può  dir,  se  salva  la  persona, 
Che  Fortuna  gli  sia  propizia  e  buona. 
82 

Cosi  Marsilio  e  cosi  il  buon  Sobriuo, 
E  cosi  dicon  gli  altri  ad  una  voce, 
Ch'  a  sua  distruzYon  tanto  è  vicino. 
Quanto  a  Rinaldo  il  qual  ne  vien  veloce; 
Che  s'aspetta  che  giunga  il  Paladino 
Con  tanta  gente,  e  un  uom  tanto  feroce, 
Render  certo  si  può  ch'egli  e  i  suo'  amici 
Rimarran  morti,  o  in  man  de  gli  nimici. 
83 

Ma  ridur  si  può  in  Arli  o  sia  in  Narbona 


—  7.  Levò...  il  conto;  impedi  il  conto. 
Levare  il  conto  significa  generalm.  fare 
il  conto.  È  strano  che  il  Tommaseo  citi 
questo  esempio  per  questo  significato;  e 
che  la  N.  Crusca,  scartando  l'esempio,  non 
abbia  avuto  cura  di  rilevare  a  parte  l'altro 
uso  sinsolarissimo,  che  non  registra.  Quan- 
to a  Turpino  cfr.  e.  xni,  50.  K  chiaro  lo 
scherzo. 

80.  4.  via  più  ch.  p.  È  modo  superlativo 
e  vaie  molto  più  che  presta,  prestissima. 
Boccaccio,  Aov.  29:  «  La  gentildonna  vie 
più  che  contenta,  quelle  grazie  ecc.». 

81.  4.  q.  razza.  Non  è  chiaro:  intendono: 
e  altri  di  quella  razza,  cioè  altri  pagani; 
ma  r  aggiunta  di  altri  è  arbitraria.  Inten- 
do: e  i  parenti,  la  razza,  di  questi  no- 
minati  ;  cioè  Marsilio,  che  era  fratello  di 
Falsiroue  e  di  Balugante,  Follicene  bastardo 
del  re  ecc. 

—  6.  piazza,  luogo.  K  un  francesismo 
antico  nella  nostra  letteratura.  Petrarca, 
Tr.  F.  2:  «E  'n  poca  piazza  fé' mirabil 
cose  ». 

82.  6.  e  un  uom  ecc.  È  io  stesso  Rinaldo: 
più  chiaramente  :  con  tanta  gente  e  con 
tanta  ferocia.. 

83.  1.  Ma  ridur  ecc.  Questo  far  testa  dopo 
una  sconfitta  è  una  novità,  che  fa  onore  ai 


CANTO  XXXI 


423 


Con  quella  poca  gente  e'  ha  d'intorno; 
Che  runa  e  l'altra  terra  è  forte  e  buona 
Da  mantener  la  guerra  pili  d'un  giorno: 
E  quando  salva  sia  la  sua  persona, 
Si  potrà  vendicar  di  questo  scorno, 
Kifacendo  l'esercito  in  un  tratto, 
Onde  al  fin  Carlo  ne  sarà  disfatto. 
84 

Il  Re  Agramante  al  parer  lor  s'attenne, 
Ben  che  'J  partito  fosse  acerbo  e  duro. 
Andò  verso  Arli,  e  parve  aver  le  penne, 
Per  quel  camin  che  più  trovò  sicuro. 
Oltre  alle  guide,  in  gran  favor  gli  venne, 
Che  la  partita  fu  per  l'àer  scuro. 
Ventimila  tra  d'Africa  e  di  Spagna 
Fur,  eh'  a  Rinaldo  uscir  fuor  de  la  ragna. 
85 

Quei  ch'egli  uccise,  e  quei  che  i  suoifra- 

[telli, 
Quei  che  i  duo  figli  del  Signor  di  Vienna, 
Quei  che  provaro  empi  nimici  e  felli 
I  settecento  a  cui  Rinaldo  accenna, 
E  quei  che  spense  Sansonetto,  e  quelli 
Che  ne  la  fuga  s'affogaro  in  Senna, 
Chi  potesse  contar,  conteria  ancora 
Ciò  che  sparge  d'Aprii  Favonio  e  Flora. 
86 

Istima  alcun  che  Malagigi  parte 
Ne  la  vittoria  avesse  de  la  notte; 
Non  che  di  sangue  le  campagne  sparte 
Fosser  per  lui,  né  per  lui  teste  rotte; 
Ma  che  gì'  infernali  angeli  per  arte 
Facesse  uscir  da  le  tartaree  grotto,   . 

sentimenti  militari  dell'A.  I  romanzieri  po- 
polari conducevan  le  guerre  con  ingenuità 
faiiciullescH.  É  poi  scelto  a  proposito  Arli, 
che  la  tradizione  indicava  luogo  di  sangui- 
nose lotte  fra  Cristiani  e  Saraceni;  alle 
quali  rannodava  i  numerosi  sepolcri,  che 
facevano  tutto  il  loco  varo;  (Dante,  laf., 
9,  15).  V.  e.  XXXIX,  72. 

—  8.  Onde  ...  ne;  d.il  quale  esercito  .  . . 
sarà  disfatto.  Come  si  vede  il  ne  è  pleo- 
nastico. 

8-J.  5.  in  g.  favor  g.  v.  ;  gli  riuscì  a  grande 
utile  che  la  partenza  (la  partita)  fu  in  ore 
notturne. 

—  6.  Che  la  partita  ecc.  È  proposizione 
soggettiva. 

85.  2.  Signor  di  V.;  Oliviero;  i  cui  figli 
sono  Aquilante  e  Grifone. 

—  i.  accenna;  comanda.  Bellissima  ini- 
magiue  per  indicare  che  un  suo  cenno  è 
un  comando.  Cosi  pure  nel  cap.  I:  «Chi 
negasse  seguir  quel  ch'egli  accenna». 

—  8.  Ciò  che  sp.  ecc.  ;  i  Mori,  che  Zeffiro 
(Favonio)  e  Flora  spargono. 

86.  1.  Istima  ecc.  Cosi  neW  Innam.  II, 
XXII,  Malagigi  aveva  tratto  in  campo  schie- 
re infernali. 


E  con  tante  bandiere  e  tante  lance, 
Ch'insieme  più  non  ne  porrian  due  France: 
87 

E  che  facesse  udir  tanti  metalli, 
Tanti  tamburi  e  tanti  varii  suoni, 
Tanti  anitriri  in  voce  di  cavalli, 
Tanti  gridi  e  tumulti  di  pedoni. 
Che  risonare  e  piani  e  monti  e  valli 
Dovean  de  le  longinque  regioni; 
Et  ai  Mori  con  questo  un  timor  diede. 
Che  li  fece  voltare  in  fuga  il  piede. 
88 

Non  si  scordò  il  Re  d'Africa  Ruggiero, 
Ch'era  ferito  e  stava  ancora  grave. 
Quanto  potè  più  acconcio  s'un  destriero 
Lo  fece  por,  ch'area  l'andar  soave; 
E  poi  che  l'ebbe  tratto  ove  il  sentiero 
Fu  più  sicuro,  il  fé'  posare  in  nave, 
E  verso  Arli  portar  commodamente, 
Dove  s'avea  a  raccòr  tutta  la  gente. 
89 

Quei  ch'aRinaldo  e  a  Carlo  dier  le  spal- 
fFur,  credo,  centomila  o  poco  manco),  [le 
Per  campagne,  per  boschi  e  monte  e  valle 
Cercaro  uscir  di  man  del  popol  Franco; 
Ma  la  più  parte  trovò  chiuso  il  calle, 
E  fece  rosso  ov'era  verde  e  bianco. 
Cosi  non  fece  il  Re  di  Sericana, 
Ch'avea  da  lor  la  tenda  più  lontana. 
90 

Anzi,  come  egli  sente  che  '1  Signore 
Di  Montalbano  è  questo  che  gli  assalta. 


87.  1.  metalli;  trombe.  Cosi  il  T.\sso, 
Ger.  9,  21  :  «  Dan  liato  allora  ai  barbari 
metalli»;  e  cosi  i  Latini  usavano  aes. 

—  o.  anitriri.  È  l' infinito  anitrire  (più 
comunemente  annitrire  o  nitrire)  usato 
sostantivamente  Davanz.vti,  Gcrman.,  'iV.>: 
«  IO  osservano   gli   anitriri  e  gli  sbuffari  ». 

—  6.  longinque,  lontane  Latinismo  non 
frequente. 

—  8.  li  fece.;.  V.  il  p.  Non  intendere  li 
per  a  loro  come  porterebbe  il  costrutto  più 
comune  ;  ma  come  soggetto  dell'in,  voltare: 
(fece  che  essi  voltassero  in  f.  il  piede)  e 
questo  è  costrutto  popolare  ancora  in  uso. 

88.  3.  acconcio,  comodo,  agiato.  BUONAR- 
ROTI, Fier.  51,  2:  «ma  questa  gloria  Basta 
al  vivere  acconcio?  » 

—  4.  soave,  pari,  senza  scosse.  V.  e.  xix, 
81,  n.  1. 

89.  5.  la  più  parte  di  quei  centomila,  che 
fuggirono,  trovarono  i  Cristiani,  e  perirono 
quasi  tutti:  solamente  ventimila  riuscirono 
a  salvarsi  in  Arli. 

—  7.  il  re  di  S.;  Gradasso. 

90.  2.  questo,  questi.  Cosi  1'  usarono  il 
Boccaccio,  il  Petrarca  e  altri.  Petk.  3'r. 
Arn.  3:  «  Vedi  il  padre  di  questo  e  vedi 
l'avo  ». 


424 


ORLANDO  FURIOSO 


Gioisce  di  tal  giubilo  nel  core, 
Che  qua  e  là  per  allegrezza  salta. 
Loda  e  ringrazia  il  suo  sommo  Fattore, 
Che  quella  notte  gli  occorra  tant'alta 
E  si  rara  avventura  d'acquistare 
Baiardo,  quel  destrier  che  non  ha  pare. 
91 

Avea  quel  Re  gran  tempo  desiato 
(Credo  ch'altrove  voi  l'abbiate  letto) 
D'aver  la  buona  Durindana  a  lato, 
E  cavalcar  quel  corridor  perfetto. 
E  già  con  più  di  centomila  armato 
Era  venuto  in  Francia  a  questo  effetto; 
E  con  Rinaldo  già  sfidato  s'era 
Per  quel-cavallo  alla  battaglia  fiera: 
92 

E  sul  lito  del  mar  s'era  condutto 
Ove  dovea  la  pugna  diffinlre; 
Ma  Malagigi  a  turbar  venne  il  tutto, 
Che  fé'  il  cugin,  mal  grado  suo,  partire, 
Avendol  sopra  un  legno  in  mar  ridutto. 
Lungo  saria  tutta  l' istoria  dire. 
Da  indi  in  qua  stimò  timido  e  vile 
Sempre  Gradasso  il  Paladin  gentile. 
93 

Or  che  Gradasso  esser  Rinaldo  intende 
Costui  ch'assale  il  campo,  se  n'allegra. 
Si  veste  l'arme,  e  la  sua  Altana  prende, 
E  cercando  lo  va  per  l'aria  negra: 
E  quanti  ne  riscontra,  a  terra  stende; 
Et  in  confuso  lascia  afflitta  et  egra 
La  gente  o  sia  di  Libia  o  sia  di  Francia: 
Tutti  li  mena  a  un  par  la  buona  lancia. 
94 

Lo  va  di  qua  di  là  tanto  cercando, 
Chiamando  spesso,  e  quanto  può  più  forte, 
E  sempre  a  quella  parte  declinando, 
Ove  più  folte  son  le  genti  morte, 


—  6.  s.  occorra;  gli  si  presenti. 

91.  1.  Avea  ecc.  ciò  appare  daWJnnam. 
I,  I,  4;  V,  7  segg.  donde  VA.  riassume  i  par- 
ticolari della  slida  tra  Rinaldo  e  Gradasso, 
e  dell'intervento  di  Malagigi,  che,  volendo 
condurre  Rinaldo  ad  Angelica  innamorata 
di  lui,  lo  trasse  con  inganno  sopra  una  nave 
quando  ancora  Gradasso  non  era  giunto 
sul  luogo  stabilito  al  combattimento. 

93.  3.  Alfana;  V.  e.  il,  50. 

—  8.  li  mena,-  li  conduce  a  un  pari  ;  a 
uno  stesso  punto,  cioè  alla  morte.  Forse 
anche  li  tratta,  come  Danti-;  disse,  //?/. 
27:  «menai  lor  arte»  e  il  Villani,  7,  5S, 
1  :  •«  menare  un  tradimento  »  per  trattare 
con  altri  di  un  tradimento  da  coìnpiere. 

94.  3.  declinando,  piegando.  Negli  esempi, 
che  si  citano,  vi  è  sempre  l'idea  di  deviare 
dalla  direzione  principale;  idea,  che  qui 
manca  assolutamente.  Per  ciò  questo  luogo 
è  molto  notevole. 


Ch'ai  fin  s'incontra  in  lui  brando  per  bran- 
Poi  che  le  lancio  loro  ad  una  sorte       [do 
Eran  salite  in  mille  scheggio  rotte 
Sin  al  carro  stellato  de  la  Notte. 

95 
Quando  Gradasso  il  Paladin  gagliardo 
Conosce,  e  non  perché  ne  vegga  insegna. 
Ma  per  gii  orrendi  colpi  e  per  Baiardo, 
Che  par  che  sol  tutto  quel  campo  tegna; 
Non  è,  gridando,  a  improverargli  tardo 
La  prova  che  di  sé  fece  non  degna: 
Ch'ai  dato  campo  il  giorno  non  comparse, 
Che  tra  lor  la  battaglia  dovea  farse. 

96 

Soggiunse  poi:  Tu  forse  avevi  speme, 

Se  potevi  nasconderti  quel  punto. 

Che  non  mai  più  per  raccozzarci  insieme 

Fossimo  al  mondo:  or  vedi  eh'  io  t'  ho 

[giunto. 
Sie  certo,  se  tu  andassi  ne  l'estreme 
Fosse  di  Stige,  o  fossi  in  cielo  assunto, 
Ti  seguirò,  quando  abbi  il  destrier  teco, 
Ne  l'alta  luce,  e  giù  nel  mondo  cieco. 

97 
Se  d'aver  meco  a  far  non  ti  dà  il  core, 
E  vedi  già  che  non  puoi  starmi  a  paro, 
E  più  stimi  la  vita  che  l'onore. 
Senza  periglio  ci  puoi  far  riparo, 
Quando  mi  lasci  in  pace  il  corridore; 
E  viver  puoi,  se  si  t'è  il  viver  caro: 
Ma  vivi  a  pie;  che  non  merti  cavallo, 
S'  alla  cavalleria  fai  si  gran  fallo. 

98 
A  quel  parlar  si  ritrovò  presente 
Con  Ricciardetto  il  cavallier  Selvaggio; 


—  5.  brando  p.  br.;  brando  contro  brando. 
È  espressione  foggiata  sull'altra  del  e.  i, 
61  :  testa  per  testa.  V.  e.  xxxvii,  49,  8. 

—  0.  ad  nna  sorte,  ad  uno  stesso  modo. 
V.  e.  vili,  75,  n.  4. 

—  8.  al  carro  s.  d.  N.  Virgilio,  En.  5, 
721  :  «  Et  Nox  atra  poluin  bigis  subvecta  te- 

I  nebat  ». 

j       95.  5.   improverargli,    rimproverargli.  V. 
'  e.  I,  29,  n.  7. 

I  —  7.  al  dato  campo;  al  campo  stabilito. 
«  Il  loco  sia  nel  lito  appresso  il  mare  »  (Imi. 
I,  V,  12). 

96.  2.  quel  punto;   j^llora.  È  modo  anche 
più  notevole  dell'altro,  a  quel  punto,  no- 
tato al  e.  xxvii,  87,  6. 
I       —    5.  Sie,  sii.  V.  e.  Xlii,  52,  n.  2. 
j       —   6.  Fosse  di  St.  Lo  Stige  veniva  imma- 
i  ginato  dagli  antichi  ora  come  un  fiume,  ora 
]  come  una  morta  palude.  Qui  il  plurale  fosse 
I  sta  per  il  sing.  ;  o  anche  accenna  ai  sette 
i  giri  che,  secondo  alcuni,  faceva. 
!        9V.  8.  fai  s.  g.  fallo;  fai  si  gran  torto.  In 
questo  senso  si  cita  dai  vocabolari  il  solo 
I  esempio  dell'Ar. 


CANTO  XXXI 


425 


E  le  spade  ambi  trassero  ugualmente, 
Per  far  parere  il  Serican  mal  saggio. 
Ma  Rinaldo  s'oppose  immantinente, 
E  non  pati  che  se  gli  fesse  oltraggio, 
Dicendo  :  Senza  voi  dunque  non  sono 
A  chi  m'oltraggia  per  risponder  buono? 
99 

Poi  se  ne  ritornò  verso  il  Pagano, 
E  disse:  Odi,  Gradasso;  io  voglio  farte, 
Se  tu  m'ascolti,  manifesto  e  piano 
Ch'io  venni  alla  marina  a  ritrovarle  : 
E  poi  ti  sosterrò  con  l'arme  in  mano, 
Che  t'avrò  detto  il  vero  in  ogni  parte; 
E  sempre  che  tu  dica,  mentirai. 
Ch'alia  cavalleria  mancass'io  mai. 
100 

Ma  ben  ti  priego  che  prima  che  sia 
Pugna  tra  noi,  che  pianamente  intenda 
La  giustissima  e  vera  scusa  mia. 
Acciò  ch'a  torto  pili  non  mi  ripenda; 
E  poi  Boiardo  al  termine  di  pria 
Tra  noi  vorrò  eh'  a  piedi  si  contenda 
Da  solo  a  solo  in  solitario  lato, 
Si  come  a  punto  fu  da  te  ordinato. 
101 

Era  cortese  il  Re  di  Sericana^ 
Come  ogni  cor  magnanimo  esser  suole; 
Et  è  contento  udir  la  cosa  piana, 
E  come  il  Paladin  scusar  si  vuole. 
Con  lui  ne  viene  in  ripa  alla  fiumana, 


98.  8.  per  risp.  bnono;  buono  a  rispondere. 
Buono  si  costruisce  con  a  da  i^ev:  la  Cru- 
sca, che  avverte  ciò,  cita  esempi  delle  pri- 
me due  costruV.ioni,  e  non  della  terza,  che 
è  la  più  rara. 

99.  6.  Che  t'avrò;  che  t'ho  detto  il  vero, 
affermando  che  venni  alla  marina  a  ritro- 
varti. Questo  futuro  è  forse  prodotto  dal- 
l'attrazione dell'altro  ti  sosterrò,  poiché, 
trattandosi  non  di  cosa  dubbiosa,  nel  rjual 
caso  si  metterebbe  il  futuro  (vedrai  che  io 
ti  avrò  detto  il  vero  =  spero  che  compren- 
derai che  io  ti  ho  detto  il  vero)  ma  di  cosa 
certa,  sarebbe  regolare  il  passato. 

—  7.  E  sempre  ecc.  Costruisci  :  e  men- 
tirai sempre  che  tu  dica.  Per  l'inserzione 
della  proposizione  principale  nella  dipen- 
dente cfr.  e.  XI,  27,  5;  xiii,  18,  6. 

100.  1-2  che...  che.  Su  questa  ripetizione 
del  che  cfr.  e.  v,  27,  n.  7. 

—  5.  al  termine  ;  ai  termini,  alle  con- 
dizioni. Il  plurale  è  più  comune.  Le  condi- 
zioni sono  neìV  lìinam.  I,  v,  8-12:  «Io 
senz'  alfana  e  tu  senza  Baiardo  :  Che  la 
virtude  d' ogni  cavaliero  Si  disuguaglia  as- 
sai per  il  destriero  ».  «  Il  loco  sia  nel  lito 
appresso  al  mare...  E  denno  andar  soletti 
e  senza  scorta  ». 

101.  5.  alla  fiumana,  alla  Senna. 


Ove  Rinaldo  in  semplici  parole 
Alla  sua  vera  istoria  trasse  il  velo, 
E  chiamò  in  testimonio  tutto  '1  cielo: 

102 
E  poi  chiamar  fece  il  figliuol  di  Buovo, 
L'uom  che  di  questo  era  informato  a  pie- 
Ch'a  parte  a  parte  replicò  di  nuovo    [no; 
L'incanto  suo,  né  disse  più  né  meno. 
Soggiunse  poi  Rinaldo:  Ciò  eh'  io  provo 
Col  testimonio,  io  vo'  che  l'arme  sieno, 
Che  ora  e  in  ogni  tempo  che  ti  piace, 
Te  n'abbiano  a  far  prova  più  verace. 

103 
Il  Re  Gradasso,  che  lasciar  non  volle 
Per  la  seconda  la  querela  prima, 
Le  scuse  di  Rinaldo  in  pace  tolle. 
Ma  se  son  vere  o  false  in  dubbio  stima. 
Non  tolgon  campo  più  sul  lito  molle 
Di  Barcellona,  ove  lo  tolser  prima; 
Ma  s'accordaro  per  l'altra  matina 
Trovarsi  a  una  fontana  indi  vicina: 

104 
Ove  Rinaldo  seco  abbia  il  cavallo 
Che  posto  sia  communemente  in  mezzo: 
Se  '1  Re  uccide  Rinaldo  o  il  fa  vassallo. 
Se  ne  pigli  il  destrier  senz'altro  mezzo; 
Ma  se  Gradasso  è  quel  «he  faccia  fallo, 
Che  sia  condotto  all'ultimo  ribrezzo, 
O,  per  più  non  poter,  che  gli  si  renda, 
Da  lui  Rinaldo  Durindana  prenda. 

10."} 
Con  maraviglia  molta  e  più  dolore 
(Come  v'  ho  detto)  avea  Rinaldo  udito 
Da  Fiordiligi  bella,  ch'era  fuore 
De  r  intelletto  il  suo  cugino  uscito. 


102.  1.  il  flgliuol  di  B.,  Malagigi. 

—  5-8.  Ciò...  te  n'abbiano.  Avverti  l'ana- 
coluto: regolarmente:  di  ciò  ch'io  provo 
col  testimonio  voglio  che  siano  l'arme  che 
ti  abbiano  a  far  prova  p.  v. 

103.  2.  Per  la  s.  ecc.  ;  per  questa  seconda 
questione  della  veracità  di  R.,  non  volle 
lasciar  la  prima  del  cavallo. 

—  4.  in  dubbio  stima;  dubita.  È  modo 
non  citato  dai  vocabolari. 

104.  2.  communemente,  in  comune.  Il  Vil- 
lani disse,  6,  QH:  «pagare  comunemente  >- 
e  il  Guicciardini  S.  /.,  2;  «  possedere  comu- 
nemente ». 

—  4.  senz'altro  m.  ;  senz'  altro  intervallo 
di  tempo.  La  locuzione  non  è  frequente,  ma 
ha  altri  esempi.  Segni,  St.  1,  290:  «Nel 
qual  mezzo,  eh'  ei  (lo  stato)  si  rimuta  (nel 
qual  tempo,  che  passa  mentre  lo  stato  si 
rimuta)  ». 

—  6.  Che,  cosicché.  —  all'a.  ribrezzo;  al 
freddo  della  morte.  Dante,  Inf.  17,  8,  disse 
«  ribrezzo  della  quartana  »,  il  freddo  della 
febbre  quartana. 


426 


ORLANDO  FURIOSO 


Avea  de  Tarme  inteso  anco  il  tenore, 
E  del  litigio  che  n'era  seguito;  [do 

E  ch'in  somma  Gradasso  avea  quel  bran- 
Ch'omò  di  mille  e  mille  palme  Orlando. 
106 

Poi  che  furon  d'accordo,  ritornosse 
Il  Re  Gradasso  ai  servitori  sui; 
Ben  che  dal  Paladiu  pregato  fosse, 
Che  ne  venisse  ad  alloggiar  con  lui. 
Come  fu  giorno,  il  Re  pagano  armosse; 
Cosi  Rinaldo;  e  giunsero  ambedui, 
Ove  dovea  non  lungi  alla  fontana 
Combattersi  Baiardo  e  Durindana. 
107 

De  la  battaglia  che  Rinaldo  avere 
Con  Gradasso  dovea  da  solo  a  solo, 
Parean  gli  amici  suoi  tutti  temere; 
E  inanzi  il  caso  ne  faceano  il  duolo. 
Molto  ardir,  molta  forza,  alto  sapere 
Avea  Gradasso;  et  or  che  del  figliuolo 
Del  gran  Milone  avea  la  spada  al  fianco. 
Di  timor  per  Rinaldo  era  ognun  bianco. 
108 

E  pili  degli  altri  il  frate  di  Viviano 
Stava  di  questa  pugnaiu  dubbio  e  in  tema. 
Et  anco  volentier  vi  porria  mano 
Per  farla  rimaner  d'effetto  scema: 
Ma  non  vorria  che  quel  da  Montalbano 
iSeco  venisse  a  inimicizia  estrema  ; 


Ch'anco  avea  di  quell'altra  seco  sdegno. 
Che  gli  turbò,  quando  il  levò  sul  legno. 
109 

Ma  stiano  gli  altri  in  dubbio,  in  tema, 
[in  doglia; 
Rinaldo  se  ne  va  lieto  e  sicuro. 
Sperando  ch'ora  il  biasrao  se  gli  teglia. 
Ch'avere  a  torto  gli  parca  pur  duro; 
Si  che  quei  da  Pontieri  e  d'Altafoglia 
Faccia  cheti  restar,  come  mai  furo. 
Va  con  baldanza  e  sicurtà  di  core 
Di  riportarne  il  trionfale  onore. 

110  (to 

Poi  clieTun  quinci, cl'altroquindigiun- 
Fu  quasi  a  un  tempo  in  su  la  chiara  fonte, 
S'accarezzaro;  e  fero  a  punto  a  punto 
Cosi  serena  et  amichevol  fronte. 
Come  di  sangue  e  d'amistà  congiunto 
Fosse  Gradasso  a  quel  di  Chiaramente. 
ìMa  come  poi  s'andassero  a  ferire, 
Vi  voglio  a  un'altra  volta  differire. 


105.  5.  de  l'arme...  il  tenore;  dell'a.  la  no- 
tizia; le  notizie  riguardanti  a  Durindana. 
Boccaccio,  Ninfale  93:  «Che  mai  non  se 
ne  seppe  alcun  tenore  ». 

106.  s.  Combattersi;  contrastarsi  colle 
armi.  Cosi  spesso. 

108.  1.  il  frate  di  V.;  Malagigi. 


109.  1.  pur  duro;  il  quale  biasimo,  sebbeu 
gli  sembrasse  d'  averlo  a  torto,  pur  gli  pa- 
reva duro. 

—  5.  Pontieri  e  Alt.  Due  castelli  dei  Ma- 
ganzesi,  {Inn.  I,  ii,  51),  i  quali  erano  nemici 
suoi  e  di  tutta  la  casa  di  Chiaramonte; 
perciò  invidiosi  e  maledici. 

—  6.  come  mai  furo,  come  non  furono 
mai  per  altre  dimostrazioni  simili.  Mai,  in 
senso  ne;;ativo,  non  è  raro  né  negli  scrit- 
tori né  neir  uso  parlato. 

110.  3.  S'accarezzare  ;  Si  fecero  compli- 
menti. È  frequente  negli  scrittori.  —  a  pnn- 
to  a  punto...  come  ;  preci safiente,  proprio 
come  di  sangue  ecc.  L' espressione  raddop- 
piata acquista  maggior  forza. 


CANTO   XXXII 


Sovviemmi  che  cantare  io  vi  dovea 
(Già  lo  promisi,  e  poi  m'usci  di  mente) 
D'una  sospizion  che  fatto  avea 
La  bella  donna  di  Ruggier  dolente, 
De  l'altra  più  spiacevole  e  più  rea, 
E  di  più  acuto  e  venenoso  dente, 
Che,  per  quel  ch'ella  udi  da  Ricciardetto, 
A  devorare  il  cor  l'entrò  nel  petto. 


1.  2.  m'uaci  di  mente.  Artifizio  che  i  poeti 
romanzeschi  usano  talvolta  per  riattaccare 
una  narrazione  interrotta.  V.  Inn.  Ili,  v. 
.18.  La  promessa  è  al  e.  xxxi,  7. 

—  5.  De  l'altra;  questo  nuovo  sospetto 
era  più  spiacevole  di  quello,  che  la  assali 
per  il  racconto  di  Ricciardetto.  V.  e.  xx.x, 
87,  88. 


Dovea  cantarne,  et  altro  incominciai. 
Perché  Rinaldo  in  mezzo  sopravenne; 
E  poi  Guidon  mi  die  che  fare  assai. 
Che  tra  camino  a  bada  uu  pezzo  il  tenne. 
D'una  cosa  in  un'altra  in  modo  entrai, 
Che  mal  di  Bradamante  mi  sovvenne. 
Sovvienmene  ora,  e  vo' narrarne  inanti 
Che  di  Rinaldo  e  di  Gradasso  io  canti. 

o 

Ma  bisogna  anco,  prima  ch'io  ne  parli. 
Che  d'Agramaute  io  vi  ragioni  un  poco, 


2.  4.  tra  camino,  nel  cammino,  durante 
il.  e.  Nel  e.  XVI,  15,  2,  tra  via;  nel  e.  xvi, 
tra  campagna:  Inn.  Ili,  in,  32:  «  tra  cam- 
mino ». 

—  6.  mal,  non.  V.  e.  i,  57,  u.  1. 


CANTO  XXXII 


427 


Ch'avea  ridntte  le  reliquie  in  Arli, 
Che  gli  restar  del  gran  notturno  fuoco; 
Quandoa  raccòr  lo  sparso  campo, e  a  darli 
Soccorso  e  vettovaglie  era  atto  il  loco: 
L'Africa  incontra,  e  la  Spagna  ha  vicina, 
Et  è  in  sul  fiume  assiso  alla  marina. 
4 

Per  tutto  '1  regno  fa  scriver  Marsilio 
Gente  a  piedi  e  a  cavallo, e  trista  e  buona. 
Per  forza  e  per  amore  ogni  navilio 
Atto  a  battaglia  s'arma  in  Barcellona. 
Agraraante  ogni  di  chiama  a  concilio; 
Né  a  spesa  né  a  fatica  si  perdona. 
Intanto  gravi  esazioni  e  ispesse 
Tutte  hanno  le  città  d'Africa  oppresse. 
.5 

Egli  ha  fatto  offerire  a  Rodomonte, 
Perché  ritorni  (et  impetrar  noi  puote), 
Una  cugina  sua,  figlia  d'Almonte, 
E  '1  bel  regno  d'Oran  dargli  per  dote. 
Non  si  volse  l'altier  muover  dal  ponte, 
Ove  tant'arme,  e  tante  selle  vote 
Di  quei  che  son  già  capitati  al  passo, 
Ha  ragunate,  che  ne  cuopre  il  sasso. 
G 

Già  non  volse  Martìsa  imitar  l'atto 
Di  Rodomonte:  anzi  com'ella  intese 
Ch'Agramante  da  Carlo  era  disfatto, 
Sue  genti  morte,  saccheggiate  e  prese, 
-E  che  con  pochi  in  Arli  era  ritratto. 
Senza  aspettare  invito,  il  camin  prese; 
Venne  in  aiuto  de  la  sua  corona, 
E  l'aver  gli  proferse  e  la  persona; 
7 

E  gli  menò  Brunello,  e  gli  ne  fece 
Libero  dono,  il  qual  non  avea  offeso. 
L'avea  tenuto  dieci  giorni,  e  diece 
Notti  sempre  in  timor  d'essere  appeso: 
E  poi  che  né  con  forza  né  con  prece 


3.  -1.  fuoco;  incendio  di  guerra.  Viugilio, 
En.  1,  570:  «tanta  incendia  belli». 

—  5.  Quando;  poiché:  come  spesso.  V. 
e.  I,  IS,  n.  3. 

—  8.  assiso,  situato.  Fu  usato  anche  in 
prosa,  sebbene  non  sia  frequente.  Arli  (Ar- 
les)  è  sul  Rodano  a  poca  distanza  dal  mare. 

4.  1.  scriver;  coscrivere,  arruolare.  La- 
tinismo comune  anche  in  prosa. 

—  2.  trista;  di  cattiva  qualità.  Si  disse 
spesso  di  cose;  i-aram,  di  persone  :  e.  xxxi, 
1,  56  n.  4. 

—  3.  Per  f.  e  per  amore,  più  comun.  o 
per  amore.  La  Crusca  non  cita  che  questo 
secondo  modo. 

5.  4.  dargli;  di  dargli.  Dipende  da  of- 
frire.   V.  e.  I,  J,  n.  1. 

6.  —  Le  stanze  6-9,  che  mancano  nella 
prima  edizione,  sono  aggiunte  già  nell'  edi- 
zione del  2L 

7.  5.  con  forza  ecc.  né  per  mezzo  di  armi 


Da  nessun  vide  il  patrocinio  preso, 
In  si  sprezzato  sangue  non  si  volse 
Bruttar  l'altiere  mani,  e  lo  disciolse. 
8 

Tutte  l'antique  ingiurie  gli  remesse, 
E  seco  in  Arli  ad  Agramante  il  trasse. 
Ben  dovete  pensar  che  gaudio  avesse 
11  Re  di  lei  ch'ad  aiutarlo  andasse: 
E  del  gran  conto,  ch'egli  ne  facesse, 
Volse  che  Brunel  prova  le  mostrasse: 
Che  quel,  di  ch'ella  gli  avea  fatto  cenno, 
Di  volerlo  impiccar,  fé' da  buon  senno. 
9 

Il  manigoldo,  in  loco  inculto  et  ermo, 
Pasto  di  corvi  e  d'avoltoi  lasciollo, 
Ruggier,  ch'un'altra  volta  gli  fu  schermo, 
E  che  '1  laccio  gli  avria  tolto  dal  collo, 
La  giustizia  di  Dio  fa  ch'ora  infermo 
S'è  ritrovato,  et  aiutar  non  puollo: 
E  quando  il  seppe, era  già  il  fatto  occorso; 
Si  che  restò  Brunel  senza  soccorso. 
10 

Intanto  Bradamante  iva  accusando 
Che  cosi  lunghi  sian  quei  venti  giorni. 
Li  quai  finiti,  il  termine  era,  quando 
A  lei  Ruggiero  et  alla  Fede  torni. 
A  chi  aspetta  di  carcere  o  di  bando 
Uscir,  non  par  che'l  tempo  piti  soggiorni 
A  dargli  libertade,  o  de  l'amata 
Patria  vista  gioconda  e  disiata. 
11 

In  quel  duro  aspettare  ella  talvolta 
Pensa  eh'  Eto  e  Piròo  sia  fatto  zoppo, 

né  per  preghiere  (V.   e.   xxvii,  93,  5)  nes- 
suno venne  a  difenderlo. 

8.  ì.  remesse,  rimesse,  perdonò.  Frequen- 
te anche  in  prosa. 

—  7.  Che,  ecc.,  poiché  fece  da  senno  ciò, 
che  Marfisa  aveva  accennato,  cioè  di  volerlo 
impiccare. 

I  9.  L  manigoldo;  antic.  per  boia,  carne- 
fice: etimologia  incerta. 

I        —    3.  un'altra    volta;   neìV  Jnn.   II,   xxi, 

i  42  segg.  Brunello  accusato  dell'uccisione  di 
Bardulasto  è  mandato  alla  forca;  Ruggero, 
che  lo  vede  passare,  lo  mette   m  libertà  e 

I  lo  difende  innanzi  ad  Agramante;  poiché 
egli  stesso,  Ruggero,  ha  ucciso  Bard. 

'  10.  1.  accusaado  ecc.  ;  andava  accusando, 
rimproverando  quei  venti  giorni,  perché 
fossero  cosi  lunghi.  È  una  delle  solite  in- 
versioni. 

—  3.  il  termine,  il  tempo,  quando  Rugg. 
dovea  tornare  a  lei.  Termine  per  temiìo 
e.  XIII,  47,  n.  2. 

—  6.  soggiorni,  indugi.  Cosi  nel  e.  xxvi, 
66,  1. 

—  8.  vista.  È  omesso  l'articolo.  V.  e.  ii, 
15,  n.  8.  ,        ■ 

11.   2.  Da  qui  in  avanti  l'A.  ha  imitato 


42S 


ORLANDO  FURIOSO 


O  sia  la  ruota  guasta;  eh' a  dar  volta 
Le  par  che  tardi,  oltr'  all'usato,  troppo. 
Pili  luiiìjo  di  quel  giorno  a  cui,  per  molta 
Fede,  nel  cielo  il  giusto  Ebreo  fe'intoppo; 
Pili  de  la  notte  ch'Ercole  produsse, 
Parca  lei  ch'ogni  notte,  ogni  di  fiisse. 
1-2 

Oh  quante  volte  da  invidiar  le  diero 
E  gli  orsi  e  i  ghiri  e  i  sonnacchiosi  tassi  ! 
Che  quel  tempo  voluto  avrebbe  intero 
Tutto  dormir,  che  mai  non  si  destassi, 
Né  potere  altro  ndir,  tìn  che  Ruggiero 
Dal  pigro  sonno  lei  non  richiamassi. 
Ma  non  pur  questo  non  può  far,  ma  ancora 
Non  può  dormir  di  tutta  notte  un'ora. 
13 

Di  qua,  di  là  va  le  noiose  piume 
Tutte  premendo,  e  mai  non  si  riposa. 
Spesso  aprir  la  finestra  ha  per  costume. 
Per  veder  s'anco  di  Titou  la  sposa 
Sparge  dinanzi  al  matutino  lume 
11  bianco  giglio  e  la  vermiglia  rosa: 
Non  meno  ancor,  poi  che  nasciuto  è  '1  gior- 
Brama  vedere  il  ciel  di  stelle  adorno,  [no, 
14 

Poi  che  fu  quattro  o  cinque  giorni  ap- 
II  termine  a  finir,  piena  di  spene   [presso 


assai  da  vicino  la  Fiammetta  e  il  Filostrato 
del  Boccaccio;  e  anche  alcuni  luoghi  della 
seconda  Eroide  di  Ovidio,  deW  Inìiam.  e 
del  Bret.  Noteremo  volta  per  volta  i  ri- 
scontri. A  Troilo  nel  Filostrato  sembra  più 
lungo  del  solito  il  tempo,  che  egli  aspetta 
la  sua  amante  Griselda.  —  Eto,  Pìròo.  Erano 
due  dei  quattro  cavalli  aggiogati  al  carro 
del  sole.  —  la  ruota,  il  carro  del  sole. 

—  6.  il  giusto  Ebreo;  Giosuè,  che,  se- 
condo la  Bibbia,  fermò  il  sole  per  aver 
tempo  di  sbaragliare  completamente  i  ne- 
mici, che  gli  impedivano  il  racquisto  di 
Palestina  —  fé  intoppo,  fermò. 

—  7.  Ere.  produsse;  La  notte,  che  dette 
al  mondo  (produsse)  Ercole.  La  notte,  in  cui 
Ercole  nacque,  fu  protratta  a  tre  notti  da 
Giunone,  perciié  nascesse  prima  Euristeo. 
Altri  intende  della  notte,  in  cui  fu  generato 
Ercole,  che  fu  pur  tripla  delle  altre. 

12.  2.  gli  orsi.  Dice  Plinio  S.  N.  8,  36: 
«  tam  gravi  sonino  premuntur  ut  ne  vul- 
neribus  quidem  excitari  queant  ». 

—  4.  che;  sicché. 

—  6.  richiamassi.  Questa  terminazione 
della  terza  persona  fu  comune  anche  in 
prosa.  V.  e.  II,  40,  n.  8. 

13.  4.  anco,  ancora  ;  se  ancora  spunta 
V  aurora. 

—  7.  nasciuto,  nato.  E  forma  rarissima 
anche  negli  antichi. 

14.  1-2.  Poiché  ecc.  Poiché  il  tempo  sta- 


Stava  aspettando  d'ora  in  ora  il  messo 
Che  le  apportasse:  Ecco  Ruggier  che  viene. 
Montava  sopra  un'alta  torre  spesso. 
Ch'i  folti  boschi  e  le  campagne  amene 
Scopria  d'intorno,  e  parte  de  la  via 
Onde  di  Francia  a  Montalban  si  già. 
15 

Se  di  lontano  o  splendor  d'arme  vede, 
0  cosa  tal,  eh' a  cavallier  simiglia. 
Che  sia  il  suo  disiato  Ruggier  crede, 
E  rasserena  i  begli  occhi  e  le  ciglia: 
Se  disarmato  o  viandante  a  piede. 
Che  sia  messo  di  lui  speranza  piglia; 
E  se  ben  poi  fallace  la  ritrova. 
Pigliar  nou  cessa  una  et  un'altra  nuova. 
16 

Credendolo  incontrar,  talora  arraossì, 
Scese  dal  monte,  e  giù  calò  nel  piano: 
Né  lo  trovando,  si  sperò  che  fossi 
Per  altra  strada  giunto  a  Montalbano; 
E  col  disir  con  ch'avea  i  piedi  mossi 
Fuor  del  castel,  ritornò  dentro  in  vano: 
Né  qua,  né  là  trovoUo;  e  passò  intanto 
Il  termine  aspettato  da  lei  tanto. 
17 

Il  termine  passò  d'uno,  di  dui. 
Di  tre  giorni,  di  sei,  d'otto  e  di  venti; 
Né  vedendo  il  suo  sposo,  né  di  lui 
Sentendo  nuova,  incominciò  lamenti 
Ch'avrian  mosso  a  pietà  nei  regni  bui 


bilito  fu  di  quattro  o  cinque  giorni  vicino 
a  finire  :  ossia  :  poiché  mancavano  quattro  o 
e.  g.  alla  line.  Per  il  complemento  di  tempo, 
senza  prep.  cfr.  Fornaciari,    Sint.  p.  334. 

—  5.  Montava  ecc.  Fiammetta  montava 
nella  più  eccelsa  parte  della  casa,  per  ve- 
dere quanto  il  sole,  sopra  V  orizzonte  le- 
vato, avesse  del  nuovo  giorno  passato 
{Fiainm.  3). 

—  7.  Scopria,  lasciava  vedere.  Cosi  nel 
e.  XVII,  120,  5. 

15.  5.  Se  disarmato  ecc.;  Se  vede  un  viai;- 
dante  a  cavallo  ma  disarmato,  o  pure  un 
viandante  a  piede,  crede  ecc.  Ricorda  che 
i  messi  di  cavalieri  o  di  alti  personaggi  an- 
davano a  cavallo,  ma  disarmati  e  con  al 
collo  un  corno,  per  avvisare  della  loro  pre- 
senza e  una  tasca  (e.  i,  68)  per  lettere  e 
messaggi. 

—  S.  Pigliar,  pigliarne.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 
Anche  Troilo  {FU.  8,  35-36)  scorge  la  sua 
donna  in  ogni  persona,  che  vede  lontana. 

16.  3.  si  sperò,  sperò  ;  come  al  e.  v,  23,  3. 
—  fossi,  fosse.  V.  e.  II,  40,  n.  8, 

17.  1-4.  Il  termine  ecc.  Filostr.  7, 16  :  «  Ma 
il  terzo  e  il  quarto*  il  quinto  e  il  sesto  giorno 
Dopo  il  decimo  di  già  trapassato,  Sperando 
e  non  sperando  il  suo  ritorno  Da  Troilo  fu 
con  sospiri  aspettato  ». 


CANTO  XXXII 


429 


Quelle  Furie  crinite  di  serpenti  ; 
E  fece  oltraggio  a' begli  occhi  divini, 
Al  bianco  petto,  all'aurei  crespi  crini. 
18 

Dunque  fia  ver  (dicea)  che  mi  convegna 
Cercare  un  che  mi  fugge  e  mi  s'asconde? 
Dunque  debbo  prezzare  un  che  mi  sdegna? 
Debbo  pregar  chi  mai  non  mi  risponde? 
Patirò  che  chi  m'  odia,  il  cor  mi  tegna? 
Un  che  si  stima  sue  virtù  profonde, 
Che  bisogno  sarà  che  dal  ciel  scenda 
Immortai  Dea  che  '1  cor  d'amor  gli  accen- 
19  [da? 

Sa  questo  altier  ch'io  l'amo  e  ch'io  l'ado- 
Né  mi  vuol  per  amante,  né  per  serva,  [ro, 
11  crudel  sa  che  per  lui  spasmo  e  moro, 
E  dopo  morte  a  darmi  aiuto  serva. 
E  perché  io  non  gli  narri  il  mio  martòro 
Atto  a  piegar  la  sua  voglia  proterva. 
Da  me  s'  asconde,  come  aspide  suole. 
Che,  per  star  empio,  il  canto  udir  non  vuole. 
20 

Deh  ferma.  Amor,  costui  che  cosi  sciolto 
Dinanzi  al  lento  mio  correr  s'affretta; 
O  tornami  nel  grado  onde  m'hai  tolto, 


—  6.  Quelle  Furie  ecc.  Ovidio,  Met.  10, 
349  ;  le  dice  *atro  crinitas  angue  sorores  »  ; 
Da.nte  inf.  9,  41  :  «  Serpentelli  e  ceraste  a- 
vean  per  crine  ». 

18.  6.  Un  che  ecc.  È  messo  assolutamente  : 
il  costrutto  intero  sarebbe:  e  patirò  che 
mi  faccia  tutto  questo  uno,  che  stima  le  sue 
virtù  cosi  prof.,  che  sarà  necessario  scenda 
una  dea  per  accendergli  il  cuore. 

19.  4.  serva,  serba,  aspetta.  Boccaccio, 
Nov.  20  :  «  Le  perdonanze  e  i  digiuni  ser- 
barmi a  far  quando  sarò  vecchia  ». 

—  7.  come  aspide  ecc.  Fu  antico  pregiu- 
dizio che  i  serpenti  si  ammaliassero  col 
canto,  e  che  ponessero  un  orecchio  a  terra 
e  la  coda  nell'altro  per  non  udire.  Nel  salmo 
57:  «  Tamquam  aspidis  surdae  et  obturan- 
tis  aures  suas  ne  audiat  vocem  incantau- 
tis  ».  La  similitudine  piacque  al  Boccaccio 
(Lab.  d'Ani.)  al  Boiai-do  [Inn.  Il,  xvir,  52, 
e  poi  air  Agostini. 

—  8.  per  star  empio,  per  mantenersi  em- 
pio e  crudele. 

20.  1.  Deh  ferma  ecc.  È  rifacimento  di  un 
pensiero  del  Petrarca,  I  son.  6:  «  Costei  che 
'n  fuga  è  volta  E  de'  lacci  d'amor  leggera 
e  sciolta  Vola  dinanzi  al  lento  correr  mio  ». 
Il  Petrarca  corre  lento  sulla  via  della  virtù, 
perché  è  trattenuto  da  amore  in  lotta  con 
la  ragione,  mentre  Laura,  libera  dall'amore, 
gli  fugge  sicura  e  spedita  su  quella  via; 
Bradamante  invece  vede  fuggire  Ruggero 
lontano  da  lei,  perché  è  libero  dall'amore, 
mentre  essa,  impigliata  nei  lacci  amorosi, 
non  può  correre  spedita  per  conto  suo  dove 


Quando  né  a  te  né  ad  altri  era  suggetta  ! 
Deh,  come  è  il  mio  sperar  fallace  e  stolto. 
Ch'in  te  con  prieghi  mai  pietà  si  metta; 
Che  ti  diletti,  anzi  ti  pasci  e  vivi 
Di  trar  dagli  occhi  lacrimosi  rivi! 
21 

Ma  di  che  debbo  lamentarmi,  ahi  lassa! 
Fuor  che  del  mio  desire  irrazionale? 
Ch'alto  mi  leva,  e  si  ne  l'aria  passa. 
Ch'arriva  in  parte  ove  s'abbrucia  l'ale; 
Poi  non  potendo  sostener,  mi  lassa 
Dal  ciel  cader:  né  qui  finisce  il  male; 
Che  le  rimette,  e  di  nuovo  arde:  ond'io 
Non  ho  mai  fine  al  precipizio  mio. 
22 

Anzi  via  pili  che  del  disir,  mi  deggio 
Di  me  doler,  che  si  gli  apersi  il  seno; 
Onde  cacciata  ha  la  ragion  di  seggio, 
Et  ogni  mio  poter  può  di  lui  meno. 
Quel  mi  trasporta  ognor  di  male  in  peggio. 
Né  lo  posso  frenar,  che  non  ha  freno: 
E  mi  fa  certa  che  mi  mena  a  morte. 
Per  ch'aspettando  il  mal  neccia  più  forte. 
23 

Deh  perché  voglio  anco  di  me  dolermi  ? 
Ch'error, senon  d'amarti, unqua commes- 
Che  maraviglia,  se  fragili  e  infermi     [si? 
Feminil  sensi  fur  subito  oppressi? 
Perché  dovev'io  usar  ripari  e  schermi, 
Che  la  somma  beltà  non  mi  piacessi, 


vuole,  ma  è  costretta  a  seguire  lui  che  la 
fugge.  È  un  concetto  sottile  e  non  bello  né 
chiaro,  come  quel  del  Petrarca. 

—  S.  Di  trar;  Dipende  veramente  da  ti 
diletti  ;  poi  per  zeugma  vi  sono  uniti  gli 
altri  due  verbi. 

21.  2.  desire  irraz,;  è  il  desiderio  di  ria- 
vere colui,  che,  secondo  le  notizie  avute  e 
la  conferma  dei  fatti,  non  le  apparteneva 
più.  Il  desiderio  amoroso  è  razionale  quando 
è  corrisposto. 

-  4.  in  parte,  ove  ecc.;  arriva  tanto  alto, 
diventa  cosi  intenso  e  si  ardente  da  bru- 
ciarmi r  anima,  sicché  poi  disillusa,  ne  re- 
sto abbattuta  e  vinta.  Per  dir  ciò  prende 
l' immagine  dal  mito  d' Icaro,  che,  volendo 
andare  lant'  alto,  ebbe  strutta  la  cera  che 
univa  le  ali  fattegli  dal  padre  Dedalo  e  cadde 
miseramente. 

22.  7-8.  E  mi  fa  certa  ecc.  E  mi  annunzia 
la  certezza  della  mia  morte,  perché  questa 
terribile  attesa  mi  renda  più  penosa  la  vita 
che  mi  resta.  Quando  sappiamo  che  una 
malattia  è  mortale  comincia  infatti  l'ago- 
nia dell'anima. 

23.  3.  infermi,  deboli.  Petrarca,  iv,  canz. 
2:  «Con  l'altre  schiere  travagliate  e  in- 
ferme ». 

—  6.  Che,  perché.  —  piacessi,  piacesse. 
V.  e.  X,  31,  G 


430 


ORLANDO  FURIOSO 


Gli  alti  sembianti  e  le  saggie  parole? 
Misero  è  ben  chi  veder-scliiva  il  sole. 
2i 

Et  oltre  al  mio  destino,  io  ci  fui  spinta 
Da  le  parole  altrui  degne  di  fede. 
Somma  felicità  mi  fu  dipinta, 
Ch'esser  dovea  di  questo  amor  mercede. 
Se  la  persuasione,  oiraé!  fu  finta, 
Se  fu  inganno  il  consiglio  che  mi  diede 
Merlin,  posso  di  lui  ben  lamentarmi, 
Ma  non  d'amar  Ruggier  posso  ritrarrai. 
25 

Di  Merlin  posso  e  di  Melissa  insieme 
Dolermi,  e  mi  dorrò  d'essi  in  eterno; 
Che  dimostrare  i  frutti  del  mio  seme 
Mi  fero  dagli  spirti  de  lo  'nferno, 
Per  pormi  sol  con  questa  falsa  speme 
In  servitù:  né  la  caglon  dlscerno, 
Se  non  ch'erano  forse  invidiosi 
De  i  miei  dolci,  sicuri,  almi  riposi. 
26 

Si  l'occupa  il  dolor,  che  non  avanza 
Loco,  ove  in  lei  conforto  abbia  ricetto: 
Ma,  mal  grado  di  quel,  vien  la  speranza, 
E  vi  vuole  alloggiare  in  mezzo  il  petto, 
Rifrescandole  pur  la  rimembranza 
Diquelch'alsuopartirl'haRuggier  detto: 
E  vuol,  centra  il  parer  degli  altri  atì'etti, 
Che  d'ora  in  ora  il  suo  ritorno  aspetti. 
27 

Questa  speranza  dunque  la  sostenne, 
Finito  i  venti  giorni,  un  mese  appresso; 
Si  che  il  dolor  si  forte  non  le  tenne, 
Come  tenuto  avria,  l'animo  oppresso. 
Un  di  che  per  la  strada  se  ne  venne, 
Che  per  trovar  Ruggier  solca  far  spesso, 
Novella  udi  la  misera,  ch'insieme 
Fé' dietro  all'altro  ben  fuggir  la  speme. 


28  fne 

Venne  a  incontrare  un  cavallier  Guasco- 
Che  dal  campo  African  venia  diritto, 
Ove  era  stato  da  quel  di  prigione, 
Che  fu  inanzi  a  Parigi  il  gran  conflitto. 
Da  lei  fu  molto  posto  per  ragione, 
Fin  che  si  venne  al  termine  prescritto. 
Domandò  di  Ruggiero,  e  in  luì  fermosse; 
Né  fuor  di  questo  segno  più  si  mosse. 
29 

Il  cavallier  buon  conto  ne  rendette. 
Che  ben  conoscea  tutta  quella  corte: 
E  narrò  di  Ruggier,  che  contrastette 
Da  solo  a  solo  a  Mandricardo  forte; 
E  come  egli  l'uccise,  e  poi  ne  stette 
Ferito  più  d'un  mese  presso  a  morte: 
E  s'era  la  sua  istoria  qui  conclusa, 
Fatto  avria  di  Ruggier  la  vera  escusa. 
30 

Ma  come  poi  soggiunse,  una  donzella 
Esser  nel  campo,  nomata  Marfisa, 
Cile  men  non  era,  che  gagliarda,  bella, 
Né  meno  esperta  d'arme  in  ogni  guisa; 
Che  lei  Ruggiero  amava,  e  Ruggier  ella; 
Ch'egli  da  lei,  ch'ella  da  lui  divisa 
Si  vedea  raro,  e  ch'ivi  ogn'uno  crede 
Che  s'abbiano  tra  lor  data  la  fede; 
31 

E  che,  come  Ruggier  si  faccia  sano, 
Il  matrimonio  publicar  si  deve; 
E  ch'ogni  Re,  ogni  Principe  pagano 
Gran  piacere  e  letizia  ne  riceve; 
Che  de  l'uno  e  de  l'altro  sopra  umano 
Conoscendo  il  valor,  sperano  in  breve 
Far  una  razza  d'uomini  da  guerra 
La  più  gagliarda  che  mai  fosse  in  terra; 


24.  5,  Se  la  persuas.  ecc.  Se  la  persuasione 
in  cui  fui  tratta  fu  ingannevole,  perché  pro- 
dotta ili  me  dall'  inganno  di  Merlino. 

—  7.  Merlin;  V.  e.  III. 

—  8.  d'amar,  da  amar.  V.  e,  v,  10,  n.  5. 

26.  4.  Ti  ;  in  lei.  I  due  complementi  di 
luogo  di  questo  verso  corrispondono  a  loco 
e  in  lei  del  secondo.  —  in  mezzo  il;  V.  e. 
VI,  23,  n.  8. 

—  5.  Rifrescandole.  Per  la  forma  cfr.  e.  xt, 
11,  n.  1. 

27.  2.  Finito  i  v.  g.  Per  la  sconcordanza 
cfr.  e.  IX,  3-^.  n.  1.  Intendi:  un  mese  dopo 
finiti  i  venti  giorni. 

—  7.  insieme;  nello  stesso  tempo  che  u- 
diva  la  novella. 

—  s.  dietro  all'a.  b.  ;  dietro  agli  altri  beni, 
che  se  n'  erano  già  andati,  fece  fuggire  an- 
che la  speranza  ultimo  bene  rimastole.  Non 
intendere,  come  alcuni  fanno,  ben  per  av- 
verbio. 


28.  1.  un.  e.  Onascone.  Forse  l'A.  sceglie 
per  questa  circostanza  un  Guascone,  perché 
i  Guasconi  avean  fama  di  ciarloni  e  amplifi- 
catori. Nella  Fiammetta  (V)  è  un  servitore, 
che  riferisce  a  Fiammetta  come  Panfilo  è 
innamorato  d'  un'  altra  donna  bellissima, 
eccitando  cosi  la  sua  disperata  gelosia. 

—  4.  Che  ;  è  correlativo  di  quel  di  del  v. 
precedente. 

—  5.  fu  molto  p.  p.  r.  fu  fatto  molto  ra- 
gionare, fu  incitato  molto  a  parlare.  È  modo 
affine  a  quel  di  Brunetto  L.  Tes.  22,  46: 
«  B  'l  misi  a  ragione  (lo  trassi  a  ragionare) 
di  quei  quattro  elementi». 

—  6.  al  term.  pr.;  al  punto,  che  ella  si 
era  prefisso  come  scopo  del  ragionamento. 

—  8.  segno  ;  punto  Stabilito,  prefisso. 
Non  si  allontanò  più  da  questo  termine  rag- 
giunto, cioè  da  questo  argomento. 

29.  3.  contrastette  ;  stette  contro,  resiste. 
È  forma,  che  non  par  citata  dai  vocabo- 
lari. E  pure  è  ben  differente  da  contrastò. 

30.  4.  d'  arme  in  o.  g.  ;  in  ogni  guisa  d'ar- 
me; in  ogni  specie  d'arme. 

31.  8.  L'  edizione  del  15;'.2  seguita  dal  Mo- 


CANTO  XXXII 


431 


32  [senza 

(Crede.a  il  Gnascoii  quel  che  dicea,  non 
Cagion;  che  ne  l'esercito  de' Mori 
Opinione  e  universal  credenza, 
E  publico  parlar  n'era  di  fuori. 
I  molti  segni  di  benivolenza 
Stati  tra  lor  facean  questi  romori; 
Che  tosto,  0  buona  o  ria,  che  la  fama  esce 
Fuor  d'una  bocca,  in  infinito  cresce. 
33 
L'esser  venuta  a'  Mori  ella  in  aita 
Con  lui,  né  senza  lui  comparir  mai, 
Avea  questa  credenza  stabilita; 
Ma  poi  l'avea  accresciuta  pur  assai. 
Ch'essendosi  del  campo  già  partita. 
Portandone  Brunel,  come  lo  contai. 
Senza  esservi  d'alcuno  richiamata. 
Sol  per  veder  Ruggier  v'era  tornata. 
3i 
Sol  per  lui  visitar,  che  gravemente 
Lauguìa  ferito,  in  campo  venuta  era 
Non  una  sola  volta,  ma  sovente; 
Vi  stava  il  giorno  e  si  partia  la  sera: 
E  molto  più  da  dir  dava  alla  gente. 
Ch'essendo  conosciuta  cosi  altiera. 
Che  tutto  '1  mondo  a  sé  le  parca  vile, 
Solo  a  Ruggier  fosse  benigna  e  umile)  ; 


rali  e  quella  del  1516,  riprodotta  dal  Gian- 
nini, han  punto  alla  fine  di  questa  stanza; 
ma  giustamente  altri  editori  mettono  il  pun- 
to e  virgola,  chiudendo  fra  parentesi  le  tre 
stanze  seguenti,  perché  il  Come  della  st.  30 
si  riattacca,  per  la  sintassi,  al  come  della 
st.  35;  e  i  versi  2-4  della  stessa  st.  35  conten- 
gono la  proposizione  principale  delle  stanze 
30,  31.  Il  Morali,  che  ha  messo  i  due  punti 
alla  fine  della  st.  5  e.  xxxvi,  mentre  l'ediz. 
antiche  hanno  il  punto,  doveva,  credo,  cor- 
reggere anche  questo  luogo. 

32.  3.  Opinione...  credenza.  La  credenza, 
secondo  il  Tommaseo,  è  men  ferma  dell' ojji- 
nione;  è  opinione  non  ancor  bene  lìssata. 
Cosi  pure  al  e.  xli,  23,  1. 

—  6.  romori,  fama,  dicerie:  lat.  rumor. 

33.  5.  Che  ;  il  fatto  che  ecc. 

—  7.  d'ale,  da  alcuno.  V.  e.  v,  n.  10,  5. 

—  8.  Sol  per  veder  R.  Veramente  alla 
stanza  6  dice  che  Marfìsa  andò  per  offrire 
il  suo  aiuto  ad  Agr.  ;  ma  forse  qui  avviene 
ciò  che  spesso  nell'  A.;  cioè  il  pensiero  inde- 
terminato alla  fine  di  una  stanza,  si  deter- 
mina nella  stanza  seguente.  Questo  verso  8 
dunque  va  unito  e  completato  col  verso  3 
della  st.  seg.  e  cosi  vien  tolta  ogni  coutra- 
dizione  :  Marfìsa  era  tornata  sovente  al 
campo  per  veder  R.,  ma  la  prima  volta  vi 
tornò  per  aiutare  Agramante. 

34.  7.  a  se:  in  confronto  a  sé:  cosi  al  e. 
XLiii,  13i,  e  Dante  Purg.  11,  106:  «È  più 
corto  Spazio  all'eterno   che  un  mover  di 


35  [io, 

Come  il  Guascon  questo  affermò  per  ve- 
Fu  Bradamante  da  cotanta  pena, 
Da  cordoglio  assalita  cosi  fiero, 
Che  di  quivi  cader  si  tenue  a  pena. 
Voltò,  senza  far  motto,  il  suo  destriero, 
Di  gelosia,  d'ira  e  di  rabbia  piena; 
E,  da  sé  discacciata  ogni  speranza. 
Ritornò  furibonda  alla  sua  stanza: 
36 

E  senza  disarmarsi,  sopra  il  letto. 
Col  viso  volta  in  giù,  tutta  si  stese, 
Ove  per  non  gridar,  si  che  sospetto 
Di  sé  facesse,  i  panni  in  bocca  prese; 
E  ripetendo  quel  che  l'avea  detto 
TI  cavalliero,  in  tal  dolor  discese, 
Che  più  non  lo  potendo  softerire. 
Fu  forza  a  disfogarlo,  e  cosi  a  dire: 
37 

Misera!  a  chi  mai  più  creder  debb'io? 
Vo'  dir  ch'ogn'uno  è  perfido  e  crudele. 
Se  perfido  e  crudel  sei,  Ruggier  mio, 
Che  si  pietoso  tenni  e  si  fedele. 
Qual  crudeltà,  qual  tradimento  rio 
Unqua  s'udi  per  tragiche  querele. 
Che  non  trovi  minor,  se  pensar  mai 
Al  mio  merlo  e  al  tuo  debito  vorrai? 
3» 

Perché,  Ruggier,  come  di  te  non  vive 
Cavallier  di  più  ardir,  di  più  bellezza, 
Né  che  a  gran  pezzo  al  tuo  valore  arrive. 
Né  a'tuoi  costumi,  né  a  tua  gentilezza; 
Perché  non  fai  che,  fra  tue  illustri  e  dive 
Virtù,  si  dica  ancor  ch'abbi  fermezza? 
Si  dica  ch'abbi  invìolabil  fede? 


ciglia   Al  cerchio,  che  più  tardi  in  cielo  è 
torto  >.  Uso  simile  è  al  e.  xiii,  70,  l. 

36.  3-4.  sospetto...  facesse,  desse  sospetto. 
È  il  latino  suspicionem  facere  ;  ma  è  modo 
raro  auche  fra  i  Latini.  I  vocabolari  non 
citano  questa  locuzione. 

—  5.  ripetendo,  seco  stessa.  —  l'avea,  le 
avea.  v.  e.  vn,  .35,  n.  8. 

—  8.  f.  f.  a  disfog.  ecc.;  fu  forza  disfo- 
garlo. La  prep.  a  in  questa  e  simili  espres- 
sioni (sentire  a  dire,  udire  a  gridare  ecc.) 
è  d'  uso  dialettale.  Ma  qui  1'  espressione  è 
anche  più  ardita,  perché  l' inlinito  è  sog- 
gettivo. 

37.  6.  tragiche  qner.;  trngici  lamenti; 
ossia  tragedie.  Qui  senti  i  ricordi  classici 
di  Medea  tradita  da  Giasone,  di  Arianna 
tradita  da  Teseo  ecc. 

38.  3.  a  gran  pezzo  ;  a  gran  distanza. 
Casa,  Lett.  250  :  «  K  non  1'  avrei  potuto  scri- 
ver cosi  bene  a  un  gran  pezzo  ». 

—  5.  dive,  eccellenti,  quasi  degne  di  un 
essere  soprannaturale.  È  il  solo  esempio  fra 
i  citati,  che  abbia  questo  significato  netto, 
senza  relazione  a  cose  divine. 


432 


ORLANDO  FURIOSO 


A  chi  ogn' altra  virtù  s'inchina  e  cede. 

39  [la, 

Non  sai  che  non  corapar,  se  non  v'è  quel- 
Alcun  valore,  alcun  nobil  costume? 
Come  né  cosa  (e  sia  quanto  vuol  bella) 
Si  può  vedere  ove  non  splenda  lume. 
Facil  ti  fu  ingannare  una  donzella 
Di  cui  tu  signor  eri,  idolo  e  nume, 
A  cui  potevi  far  con  tue  parole 
Creder  che  fosse  oscuro  e  freddo  il  sole. 

40 
Crudel,  di  che  peccato  a  doler  t'hai. 
Se  d'uccider  chi  t'ama  non  ti  penti? 
Se  '1  mancar  di  tua  fé'  si  leggier  fai. 
Di  ch'altro  peso  il  cor  gravar  ti  senti? 
Come  tratti  il  nimico,  se  tu  dai 
A  me,  che  t'amo  si,  questi  tormenti? 
Ben  dirò  che  giustizia  in  ciel  non  sia, 
S'a  veder  tardo  la  vendetta  mia. 

41 
Se  d'ogn' altro  peccato  assai  più  quello 
De  l'empia  ingratitudine  l'uom  grava, 
E  per  questo  dal  ciel  l'angel  più  bello 
Fu  relegato  in  parte  oscura  e  cava; 
E  se  gran  fallo  aspetta  gran  flagello. 
Quando  debita  emenda  il  cor  non  lava; 
Guarda  ch'aspro  flagello  in  te  non  scenda, 
Che  mi  se'ingrato,  e  non  vuoi  farne  emen- 

42  [da. 
Di  furto  ancora,  oltre  ogni  vizio  rio. 

Di  te,  crudele,  ho  da  dolermi  molto. 
Che  tu  mi  tenga  il  cor,  non  ti  dico  io; 
Di  questo  io  vo'che  tu  ne  vada  assolto  : 
Dico  di  te  che  t'eri  fatto  mio, 
E  poi  centra  ragion  mi  ti  sei  tolto. 
Renditi,  iniquo,  a  me;  che  tu  sai  bene 
Che  non  si  può  salvar  chi  l'altrui  tiene. 

43  [voglio, 
Tu  m' hai,  Ruggier,  lasciata  :  io  te  non 

Né  lasciarti  volendo  anco  potrei; 


—  8.  A  chi,  a  cui.  V.  e.  vii,  60,  n.  2. 

39.  1.  non  compar,  non  comparisce,  non 
fa  buona  mostra,  come  nel  e.  xvii,  30,  1. 

—  5.  Facil  ti  fu.  BoccACno,  Fianim.  5: 
«  Or  non  pensavi  tu  quanto  poco  di  gloria 
ti  seguiva  ad  ingannare  una  giovane,  la 
quale  di  te  si  fidava?...  Io  credetti  non  meno 
agli  dei  da  te  giurati  che  a  te  ».  Ovid.  Er. 
2,  63  :  «  Fallere  credentem  non  est  operosa 
puellam  Gloria  ». 

40.  1.  a  dol.  t'hai,  ti  dorrai.  V.  e.  xv, 
35,  n.  2. 

—  3.  fai,  stimi.  È  frequente  negli  scrit- 
tori e  vive  ancora.  Beum,  43,  54:  «  ed  oggi 
ho  mostro...  Che  non  son  nato  come  tu  mi 
fai». 

41.  3.  l'angel  p.  bello,  Lucifero. 

42.  5-6.  Dico  ecc.  Boccaccio,  Fiamm.  5: 
«Non  ti  ricorda  che  più  che  una  volta  la 
cosa  obbligata  non  si  può  obbligare?» 


I  Ma  per  uscir  d'affanno  e  di  cordoglio. 
Posso  e  voglio  finire  i  giorni  miei. 
Di  non  morirti  in  grazia  sol  mi  doglio; 
Che  se  concesso  m'avessero  i  Dei 
Ch'io  fossi  morta,  quando  t'era  grata, 
Morte  non  fu  giammai  tanto  beata. 

44 
Cosi  dicendo,  di  morir  disposta. 
Salta  del  letto,  e  di  rabbia  infiammata 
Si  pon  la  spada  alla  sinistra  costa; 
Ma  si  ravvede  poi  che  tutta  è  armata. 
Il  miglior  spirto  in  questo  le  s'accosta, 
E  nel  cor  le  ragiona:  0  donna  nata 
Di  tant'alto  lignaggio,  adunque  vuoi 
Finir  con  si  gran  biasmo  i  giorni  tuoi? 

45 
Non  è  meglio  ch'ai  campo  tu  ne  vada, 
Ove  morir  si  può  con  laude  ogn'ora? 
Quivi,  s'avvien  ch'inanzi  a  Ruggier  cada, 
Del  morir  tuo  si  dorrà  forse  ancora: 
Ma  s'a  morir  t'avvien  per  la  sua  spada, 
Chi  sarà  mai  che  più  contenta  mora? 
Ragione  è  ben  che  di  vita  ti  privi. 
Poi  eh' è  cagion  eh'  in  tanta  pena  vivi. 

46 
Verrà  forse  anco  che  prima  che  muori 
Farai  vendetta  di  quella  Marfisa 
Che  t'ha  con  fraudi  e  disonesti  amori, 
Da  te  Ruggiero  alienando,  uccisa. 
Questi  pensieri  parveno  migliori 
Alla  donzella;  e  tosto  una  divisa 


44.  1.  Cosi  ecc.  Anche  Florio  nel  Filocolo 
e  Troilo  nel  Filostrato,  presi  da  gelosia,  si 
propongono  di  morire;  ma  non  vi  sonori- 
scontri  particolari  di  pensiero  e  d' imma- 
gine. 

—  4.  si  ravvede,  si  avvede,  si  accorge. 
Cosi  nel  e.  xlv,  7S,  1;  ma  non  si  citano  che 
questi  due  esempì. 

—  5.  Il  m.  spirto;  l'angelo  custode,  che 
è  per  noi  lo  spirito  migliore  di  tutti  gli  al- 
tri. Cosi  nel  e.  xiv,  73,  6  angelo  migliore, 
dove  troverai  anche  l'altra  interpretazione 
del  Fornari. 

45.  5.  s'  a  morir  t'  avvien.  Io  intenderei  : 
se  a  morir  V  avvieni;  e  quest'  uso  ha  per- 
fetto riscontro  in  quel  del  Boccaccio,  Nov. 
83:  «  ovunque  con  persona  a  parlar  s'avve- 
niva ».  Ma  può  esservi  anche  un  costr.  eguale 
a  quello  della  st.  30,  8. 

—  7.  ti  privi.  Il  soggetto  è  Ruggero. 

46.  1.  Verrà,  avverrà.  Boccaccio,  Nov.  28  : 
«  E  per  ventura  veime  che  la  donna  ecc.  ». 
—  muori,  muoia.  Cosi  l'A.  l'usò  nel  e.  xxxvi, 
32,  6,  come  usò  segui  per  segua  (xui,  47, 
7);  ruggi  per  rugga  (xix,  79,  7)  dove  tro- 
verai le  note  e  i  raffronti  ;  e  sono  tutte  for- 
me di  congiuntivo. 

—  5.  parveno,  pxarvero.  È  terminazione 
popolare,    viva   ancora  nel  volgo  Toscano. 


CANTO  XXXTT 


433 


Si  fe'su  l'arme,  che  volea  inferire 
Disperazione  e  voglia  di  morire. 
47 

Era  la  sopraveste  del  colore 
In  che  rimau  la  foglia  che  s'imbianca 
Quando  del  ramo  è  tolta,  o  che  l'umore, 
Che  facea  vivo  l'arbore,  le  manca. 
Ricamata  a  tronconi  era,  di  fuore. 
Di  cipresso  che  mai  non  si  rinfranca, 
Poi  c'ha  sentita  la  dura  bipenne: 
L'abito  al  suo  dolor  molto  convenne. 
48 

Tolse  il  destrier  ch'Astolfo  aver  solon, 
E  quella  lancia  d'or,  che,  sol  toccando, 
Cader  di  sella  i  cavallier  facea. 
Perché  la  le  die  Astolfo,  e  dove  e  quando, 
E  da  chi  prima  avuta  egli  l'avea, 
Non  credo  che  bisogni  ir  replicando. 
Ella  la  tolse,  non  però  sapendo 
Che  fosse  del  valor  ch'era,  stupendo.- 
49 

Senza  scudiero  e  senza  compagnia 
Scese  dal  monte,  e  si  pose  in  camino 
Verso  Parigi  alla  più  dritta  via, 
Ove  era  dianzi  il  campo  Saracino; 
Che  la  novella  ancora  non  s'udia, 
Che  l'avesse  Rinaldo  paladino, 
Aiutandolo  Carlo  e  Malagigi, 
Fatto  tór  da  l'assedio  di  Parigi. 
50 

Lasciati  avea  i.Cadurci  e  la  cittade 


47.  3.  0  che  ;  o  quando.  V.  e.  iv,  CO,  n.  '\ 
—  Le  stanze  47-18  nella  prima  edizione  si 
trovano  dopo  la  prima  stanza  31  del  e.  35, 
che  in  quella  è  il  canto  3i. 

—  5.  di  fuore;  È  espressione  puramente 
descrittiva.  Infatti  la  sopravveste  non  po- 
teva esser  rican^^ta  che  di  fuori.  È  pur  da 
credere  che  i  tronchi  di  cipresso  fossero 
anche  la  divisa  sull'armi,  di  cui  alla  line 
della  stanza  precedente. 

—  6.  che  mal  n.  s.  r.  ;  che  mai  non  ri- 
mette polloni.  Nota  il  Bolza,  ma  non  cita 
il  luogo,  che  l'A.  allude  qui  al  fatto  ricor- 
dato anche  da  Plinio  :  «  Cupressus,  quae 
excisa  renasci  non  solet  ». 

48.  4.  la  le  die  ;  glie  la  die.  È  colloca- 
zione insolita  e  da  evitare. 

—  6.  Non  credo  ecc.  Tutto  ciò  è  detto  al 
e.  XXIII,  14-15. 

—  S.  Che  fosse  ecc.  ;  che  fosse  del  valore 
stupendo  che  era,  dei  quale  era.  V.  e.  xiii, 
37,  5. 

49.  3.  alla  p.  d.  via;  Si  pose  in  cammino 
per  la  via  p.  diritta.  Nel  e.  i,  23,  5  abbiamo 
«  mettersi  alla  via  »  ;  là  vedrai  la  nota. 

50.  1.  Cadnrci;  antico  popolo  della  Gallia. 
Oggi  Quercy;  città  princip.  Cahors.  —  Da 
questa  stanza  alla  st.  59  del  canto  seguente  è 
giunta  fatta  per  l'ediz.  del  153?. 


Di  Caorse  alle  spalle,  e  tutto  '1  monte 
Ove  nasce  Dordona,  e  le  contrade 
Scopria  di  Monferrante  e  di  Clarraonte: 
Quando  venir  per  le  raedesme  strade 
Vide  una  donna  di  benigna  fronte. 
Ch'uno  scudo  all'arcione  avea  attaccato; 
E  le  venian  tre  cavallieri  a  lato. 
51 

Altre  donne  e  scudier  venivano  anco, 
Qual  dietro  e  qual  dinanzi,  in  lunga  schie- 
Domandò  ad  un  che  lepassò  da  fianco,  [ra. 
La  figliola  d'Amon,  chi  la  donna  era: 
E  quel  le  disse:  Al  Re  del  popol  Franco 
Questa  donna,  mandata  messaggiera 
Fin  di  là  dal  polo  Artico,  è  venuta 
Per  lungo  mar  da  l'isola  Perduta. 
52 

Altri  Perduta,  altri  ha  nomata  Islanda 
L'isola,  donde  la  Regina  d'essa, 
Di  beltà  sopra  ogni  beltà  miranda, 
Dal  ciel  non  mai,  se  non  a  lei,  concessa, 
Lo  scudo  che  vedete,  a  Carlo  manda; 
Ma  ben  con  patto  e  condizione  espressa. 
Ch'ai  miglior  cavallier  lo  dia,  sectindo 
Il  suo  parer,  ch'oggi  si  trovi  al  mondo. 

53 
,  Ella,  come  si  stima,  e  come  in  vero 
E  la  più  bella  donna  che  mai  fosse; 
Cosi  vorria  trovare  un  cavalliero 
Che  sopra  ogu'altro  avesse  ardire  e  posse  : 
Perché  fondato  e  fìsso  è  il  suo  pensiero, 
Da  non  cader  per  cento  mila  scosse. 
Che  sol  chi  terrà  in  arme  il  primo  onore. 
Abbia  d'esser  suo  amante  e  suo  signore. 
54 

Spera  ch'in  Francia,  alla  famosa  corte 
Di  Carlo  Magno,  il  cavallier  si  trovo, 
Che  d'esser  più  d'ognaltro  ardito  e  forte 
Abbia  fatto  veder  con  mille  prove. 
I  tre  che  son  con  lei  come  sue  scorte, 


—  2.  M  monte:  il  monte  d'Oro  nell'Au- 
vergne. 

—  4.  Monferr.  Clarm.  ;  «  due  terre  nell'Au- 
vergne,  vicinissime,  che  furono  unite  in 
una  al  tempo  di  Luigi  XIII  e  fanno  ora  la 
città  di  Clermont-Ferrand  »  (Casella). 

—  6.  una  donna.  Le  donne  messaggere 
erano  molto  in  uso  nei  romanzi  della  Ta- 
vola Rotonda,  specialmente  inviate  da  altre 
donne. 

52.  1.  Altri  Perduta.  Cosi  detta,  perché 
era  quasi  perduta  in  mari  lontani  e  poco 
conosciuti.  Si  cominciò  a  conoscere  circa 
il  secolo  vili. 

—  3.  miranda,  (lat.  miranda)  ammira- 
bile. Riferiscilo  a  regina. 

53.  8.  d'esser,  da  esser.   V.  e.  v,  10,  n.  5. 

54.  5.  con  lei;  con  la  messaggera;  ma 
non  è  chiaro  ;  perché  finora  il  soggetto  è 
stato  la  regina. 


Ariosto  —  Papini 


aS 


434 


ORLANDO  FURIOSO 


Re  sono  tutti,  e  dirovvi  anco  dove:  [uno, 
Uno  in  Svezia,  uno  in  Gozia,  in  Norvegia 
Che  pochi  pari  in  arme  hanno  o  nessuno. 

55 
Questi  tre,  la  cui  terra  non  vicina, 
Ma  raen  lontaua  è  all'isola  Perduta, 
Detta  cosi,  perché  quella  marina 
Da  pochi  naviganti  è  conosciuta. 
Erano  amanti,  e  son,  de  la  Regina, 
E  a  gara  per  raoglier  l'hanno  voluta; 
E  per  aggradir  lei  cose  fatt'  hanno, 
Che,  fin  che  giri  il  ciel,  dette  saranno. 

56 
Ma  né  questi  ella,  né  alcun  altro  vuole. 
Ch'ai  mondo  in  arme  esser  non  creda  il 

[primo. 
Ch'abbiate  fatto  prove,  lor  dir  suole, 
In  questi  luoghi  appresso,  poco  istimo. 
E  s'un  di  voi,  qual  tra  le  stelle  il  sole, 
Fra  gli  altri  duo  sarà,  ben  lo  sublimo; 
Ma  non  però,  che  tenga  il  vanto  parme 
Del  miglior  cavallier  ch'oggi  port'arme. 

57  [ro 

A  Carlo  Magno,  il  quale  io  stimo  e  ono- 
Pel  più  savio  Signor  ch'ai  mondo  sia, 
Son  per  mandare  un  ricco  scudo  d'oro, 
Con  patto  e  condiziou  ch'esso  lo  dia 
Al  cavalliero,  il  quale  abbia  fra  loro 
Il  vanto  e  il  primo  onor  di  gagliardia. 
Sia  il  cavalliero  o  suo  vassallo  o  d'altri, 
Il  parer  di  quel  Re  vo'  che  mi  scaltri. 


_  7.  Gozia;  «il  Gotland,  ora  provincia 
della  Svezia,  che  si  vuole  prendesse  il  nome 
(lai  Goti,  perché  loro  antichissima  abita- 
zione »  (Casella).  «  La  Danimarca,  il  cui  re 
prende  ancora  il  titolo  di  re  dei  Goti  »  (Mo- 
llai). L'  opinione  del  Casella  era  già  stata 
esposta  dal  Bolza  e  quella  del  Molini  è  ac- 
colta dal  Camerini.  Ma  se  ricordiamo  che 
il  Gotland  si  chiamava  anticamente  Gothia, 
sembrerà  più  probabile  la  prima  opinione. 
La  Danimarca  è  detta  nel  Furioso  Dani- 
smarca  e  Dazia. 

55.  -i.  men  lontana,  delle  altre  terre. 

—   7.  aggr.  lei;  aggr.  a  lei,  gradire  a  lei. 

56.  6.  lo  sublimo;  lo  lodo,  lo  celebro. 
Cosi  nel  e.  xxxvin,  27;  invece  nel  e.  iii,  59, 
4,  significa  levare  in  alto.  Si  cita  solo  un 
esempio  di  Ristoro  Canigiani  (sec.  xiv);  ma 
la  N.  Crusca  a  suo  tempo  non  dimenticherà 
l'Ariosto. 

57.  8.  mi  scaltri  ;  mi  scaltra,  scaltrisca. 
Dante,  Purg.  20,  usò  pure  la  forma  regol. 
scaltro  invece  di  scaltrisco.  Qui  abbiamo  un 
cong.  come  nella  st.  46.  Il  Tommaseo  registra 
la  forma  scaltrare;  ma  non  cita  che  que- 
sto esempio,  che,  confrontato  coi  congiun- 
tivi simili,  non  può  derivarsi  che  da  scal- 
trire:  cfr.  e.  xiii,  17,  n.  7.  Crede  il  Fornari 
che  l'A.  abbia  preso  ispirazione  a  questo 


58 

Se,  poi  che  Carlo  avrà  lo  scudo  avuto, 
E  l'avrà  dato  a  quel  si  ardito  e  forte, 
Che  d'ogn' altro  megliore  abbia  creduto, 
Che'n  sua  si  trovi  o  in  alcun' altra  corte, 
Uno  di  voi  sarà,  che  con  l'aiuto 
Di  sua  virtù  lo  scudo  mi  riporte; 
Porrò  in  quello  ogni  amore,  ogni  disio; 
E  quel  sarà  il  marito  e'I  signor  mio. 
59 

Queste  parole  han  qui  fatto  venire 
Questi  tre  Re  dal  mar  tanto  discosto; 
Che  riportarne  lo  scudo,  o  morire 
Per  man  di  chi  l'avrà,  s'hanno  proposto, 
Ste'  molto  attenta  Bradamante  a  udire 
Quanto  le  fu  da  lo  scudier  risposto; 
lì  qual  poi  l'entrò  inanzi,  e  cosi  punse 
Il  suo  cavallo,  che  i  compagni  giunse. 
60 

Dietro  non  gli  galoppa  ne  gli  corre 
Ella;  ch'adagio  il  suo  camin  dispensa, 
E  molte  cose  tuttavia  discorre. 
Che  son  per  accadere:  e  in  somma  pensa 
Che  questo  scudo  in  Francia  sia  per  porre 
Discordia  e  rissa  e  nimicizia  immensa 
Fra' Paladini  et  altri,  se  vuol  Carlo 
Chiarir  chi  sia  il  miglior,  e  a  colui  darlo. 
61 

Le  preme  il  cor  questo  pensier  ;  ma  molto 
Più  le  lo  preme  e  strugge  in  peggior  guisa 
Quel  eh'  ebbe  prima,  di  Ruggier,  che  tolto 
Il  suo  amor  le  abbia,  e  datolo  a  Marfisa. 
Ogni  suo  senso  in  questo  è  si  sepolto, 
Che  non  mira  la  strada,  né  divisa 


luogo  dal  seguente  fatto.  Morto  Luigi  XII 
di  Francia,  Enrico  Vili  d' Inghilterra  ri- 
chiese che  la  vedova,  sua  sorella,  tornasse 
a  lui;  ma  Francesco  I,  che  avrebbe  do- 
vuto perdere  cosi  la  terza  parte  delle  en- 
trate reali  che  a  lei  perveniva,  rispose  al 
re  che  mandasse  in  Francia  suoi  cavalieri, 
che  con  Tarme  gli  conquistassero  la  so- 
rella. Enrico  accettò  e  promise  al  cavaiier 
vincitore  sua  sorella  in  isposa.  Venne  iti 
Francia  un  cavaliere  Britanno,  vinse  i  ca- 
valieri Francesi  ed  ebbe  in  isposa  la  prin- 
cipessa Maria.  Ma  e  al  fatto  e  all'  ispirazio- 
ne, che  ne  avrebbe  tolta  l'A.,  manca  buon 
fondamento  di  verità. 

59.  2.  dal  m.  t.  d.;  dal  mare,  che  ven- 
gono da  un  mare  tanto  lontano.  Beum,  Inn. 
G,  45:  «Albracca...  Che  è  discosta  al  Cat- 
talo una  giornata  ». 

—  7.  r  entrò  In.  ;  le  andò  avanti,  si  al- 
lontanò da  lei.  Cosi  Dante,  Purg.  24,  100: 
«  E  quando  innanzi  a  noi  si  entrato  fue  ». 

60.  2.  dispensa,  fa  Cosi  nel  e.  xxxviii, 
88,  6,  e  nel  e.  xv,  28,  5.  In  questo  senso 
non  si  cita  che  questo  luogo  dell' A. 

61.  6.  divisa,  pensa,  disegna.  È  signifi- 
cato frequente. 


CANTO  XXXII 


435 


Ove  arrivar,  né  se  troverà  inanzi 
Commodo  albergo,  ove  la  notte  stanzi. 
62 

Come  nave,  che  vento  da  la  riva, 
0  qualch' altro  accidente  abbia  disciolta 
Va  di  nocchiero  e  di  governo  priva 
Ove  la  porti  o  meni  il  fiume  in  volta; 
Cosi  l'amante  giovane  veniva 
Tutta  a  pensare  al  suo  Ruggier  rivolta, 
Ove  vuol  Rabican;  che  molte  miglia 
Lontano  è  il  cor  che  de' girar  la  briglia. 
63  [tergo 

Leva  al  fin  gli  occhi,  e  vede  il  sol  che  '1 
Avea  mostrato  alle  città  di  Bocco, 
E  poi  s'era  attufifatto,  come  il  mergo. 
In  grembo  alla  nutrice  oltr'  a  Marocco  : 
E  se  disegna  che  la  frasca  albergo 
Le  dia  ne' campi,  fa  pensier  di  sciocco; 
Che  soffia  un  vento  freddo,  e  l'aria  grieve 
Pioggia  la  notte  le  minaccia  o  nieve. 
64 

Con  maggior  fretta  fa  movere  il  piede 
Al  suo  cavallo;  e  non  fece  via  molta, 
Che  lasciar  le  campagne  a  un  pastorvede. 
Che  s'avea  la  sua  gregge  inanzi  tolta. 
La  donna  lui  con  molta  instanzia  chiede 
Che  le  'nsegni  ove  possa  esser  raccolta 


62.  3.  di  governo  pr.;  priva  di  chi  la  in- 
dirizzi, di  chi  regga  il  timone:  governo 
dunque  sta  per  timoniere.  Ma  può  anche 
intendersi  senza  timone;  poiché  nelle  pic- 
cole barche,  quando  stan  ferme  a  riva,  si 
suol  levare  il  timone,  che  si  rimette  poi  alla 
partenza. 

—  1.  meni...  in  volta;  aggiri,  la  porti 
qua  e  là  in  balia  della  corrente. 

—  8.  il  cor;  l'animo;  ma  qui  T animo 
preso  dal  sentimento  dell'  amore. 

63.  1-2.  Leva  ecc.;  Leva  gli  occhi  e  vede 
che  il  sole  avea  già  passato  le  città  della 
Mauritania,  (dove  regnò  Bocco  suocero  e 
alleato  di  Giugurta,  e  finalmente  suo  tra- 
ditore; 106  a.  C.)  ossia  volgeva  al  tramonto. 

—  3.  mergo  ;  (lat.  Mergiis)  uccello  aqua- 
tico, detto  anche  smergo. 

—  4.  In  gr.  alla  nutrice;  in  gr.  a  Teti  mo- 
glie dell'Oceano  e  dea  del  mare.  Da  alcuni 
fu  confusa  con  Teti  moglie  di  Peleo  e  madre 
di  Achille.  Qui  sta  per  il  mare  stesso.  Viro. 
Georg.  4,  382,  dice  l'Oceano  patrem  rerum, 
secondo  l'antica  idea  di  Talete,  rinnovata 
in  certo  modo  dai  Nettunisti,  che  dall'  ac- 
qua avessero  origine  e  nutrimento  tutte  le 
cose. 

—  6.  pensier  di  s.  ;  più  comunemente  : 
pensier  da  sciocco. 

64.  4.  gregge.  Di  genere  femminile  1'  usa- 
rono il  Boccaccio  e  altri;  ma  è  raro  anche 
negli  antichi.  Pulci,  Morg.  1,  62:  «Ecco 
apparir  una  gran  gregge  al  passo  Di  porci  ». 


0  ben  0  mal;  che  mal  si  non  s'alloggia. 
Che  non  siapeggio  star  fuori  alla  pioggia. 

65 

Disse  il  pastore:  Io  non  so  loco  alcuno 
Ch'io  vi  sappia  insegnar,  se  non  lontano 
Più  di  quattro  o  di  sei  leghe,  for  ch'uno 
Che  si  chiama  la  rocca  di  Tristano. 
Ma  d'alloggiarvi  non  succede  a  ognuno; 
Perché  bisogna,  con  la  lancia  in  maup, 
Che  se  l'acquisti,  e  che  se  la  difenda 
Il  cavallier  che  d'alloggiarvi  intenda. 
G6 

Se,  quando  arriva  un  cavallier,  si  trova 
Vota  la  stanza,  il  castellan  l'accetta  ; 
Ma  vuol,  se  sopravien  poi  gente  nuova, 
I  Ch'uscir  fuori  alia  giostra  gli  prometta. 
Se  non  vien,  non  accade  che  si  mova: 
Se  vien,  forza  è  che  l'arme  si  rimetta, 
E  con  lui  giostri,  e  chi  di  lor  vai  meno. 
Ceda  r  albergo  et  esca  al  ciel  sereno. 

67  [tratto 

Se  duo,  tre,  quattro  o  pili  guerrieri  a  un 
Vi  giungon  prima,  in  pace  albergo  v'han- 
E  chi  di  poi  vien  solo,  ha  peggior  patto,  [no  ; 
Perché  seco  giostrar  quei  più  lo  fanno. 
Cosi,  se  prima  un  sol  si  sarà  fatto 
Quivi  alloggiar,  con  lui  giostrar  vorranno 

1  duo,  tre,  quattro  o  più  che  verran  dopo; 
Si  che  s'avrà  valor,  gli  fia  a  grande  uopo. 

68 

Non  men,  se  donna  capita  o  donzella. 
Accompagnata  o  sola  a  questa  rocca, 
E  poi  v'arrivi  un'altra,  alla  più  bella 
L'albergo,  et  alla  men  star  di  fuor  tocca. 
Domanda  Bradamante  ove  sia  quella; 
E  il  buon  pastor  non  pur  dice  con  bocca, 
Ma  le  dimostra  il  loco  anco  con  mano. 
Da  cinque  o  da  sei  miglia  indi  lontano. 
69  [te. 

La  donna,  ancor  che  Rabican  ben  trot- 
Sollecitar  però  non  lo  sa  tanto 
Per  quelle  vie  tutte  fangose,  e  rotte 
Da  la  stagion  ch'era  piovosa  alquanto, 


65.  2.  sappia,  possa.  Esempio  più  spic- 
cato di  quello  citato  dal  Gherardini  :  Sal- 
viNi,  Disc.  ac.  1,  190:  «Senza  l'amicizia, 
compagnia  d' uomini  sussistere  non  sa- 
prebbe ». 

—  7.  se  la  dif.;  la  rocca  di  Tristano, 

67.  4.  quei  pili;  quei,  che  sono  in  mag- 
gior numero;  più  è  dunque  usato  sostan- 
tivamente. 

—  S.  gli  f.  a.  g.  uopo;  gli  sarà  molto  gio- 
vevole, dovendo  combattere  con  un  mag- 
gior numero.  S'intende  che  uno  combatteva 
successivamente  coi  singoli  nemici. 

68.  4.  alla  men.  Sottint.  bella. 

—  8.  Da  cinque  ecc.;  circa  cinque  ecc. 
V.  e.  XIII,  32,  n.  7. 


436 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  prima  arrivi,  chela  cieca  uotte 
Fatt'abbia  oscuro  il  mondo  in  ogni  canto. 
Trovò  chiusa  la  porta;  e  a  chi  n'avea 
La  guardia,  disse,  ch'alloggiar  volea. 
70 

Rispose  quel,  ch'era  occupato  il  loco 
Da  donne  e  da  gnerrier  che  venner  dianzi, 
E  stavano  aspettando  intorno  al  fuoco. 
Che  ^sta  fosse  lor  la  cena  inanzi. 
Per  ìm  non  credo  l'avrà  fatta  il  cuoco, 
S'ella  v'è  ancor,  né  l'han  mangiata  inanzi 
(Disse  la  donna):  Or  va,  che  qui  gli  atten- 
Chesorusanza,e  di  servarla  intendo,  [do; 
71 

Parte  la  guardia,  e  porta  l'imbasciata 
Là  dove  i  cavallier  stanno  a  grand'agio. 
La  qual  non  potè  lor  troppo  esser  grata, 
Ch'all'aer  li  fa  uscir  freddo  e  malvagio; 
Et  era  una  gran  pioggia  incominciata. 
Si  levan  pure,  e  piglian  l'arme  adagio: 
Restano  gli  altri;  e  quei  non  troppo  in  fret- 
Escono  insieme  ove  la  donna  aspetta.    |ta 
72 

Eran  tre  cavallier  che  valean  tanto, 
Che  pochi  al  mondo  valean  più  di  loro; 
Et  eran  quei  che'l  di  medesmo  a  canto 
Veduti  a  quella  messaggiera  foro; 
Quei  ch'in  Islanda  s'avean  dato  vanto 
Di  Francia  riportar  lo  scudo  d'oro: 
E  perché  avean  meglio  i  cavalli  punti. 
Prima  di  Bradamaute  erano  giunti. 

Di  loro  in  arme  pochi  eran  migliori, 
Ma  di  quei  pochi  ella  sarà  ben  l'nna; 
Ch'a  nessun  patto  rimaner  di  fuori 
Quella  notte  intendea  molle  e  digiuna. 
Quei  dentro  alle  finestre  e  ai  corridori 
Miran  la  giostra  a  lume  de  la  luna 
Che  mal  grado  de'nugoli  lo  spande, 
E  fa  veder,  benché  la  pioggia  è  grande. 
74 

Come  s'allegra  un  bene  acceso  amante 


69.  5.  cieca  notte;  oscura  notte.  Dante, 
Jnf.  10,  58:  »  cieco  carcere  ». 

71.  4.  malvagio;  (etimolog.  incerta);  con- 
traino,  molesto.  \el  e.  xxxiii,  66,  8:  cielo 
malvagio;  e  Dante, /n/".  34,  95:  cammino 
'malvagio. 

—  0.  Si  1.  pure;  pure  si  levan. 

73.  2.  runa.  Comunemente  senza  ar- 
ticolo. BocrACCio,  Nov.  21:  «  Lavorando 
r  un  di  appresso  l'altro  ». 

—  5.  corridori,  corridoi.  È  forma  ancora 
viva  in  Toscana.  Probabilmente  accenna  ai 
loggiati,  che  jiiravano  intorno  al  castello; 
coperti,  ma  ai)erti  dinanzi.  —  Quei  dentro  ; 
quei  di  dentro,  che  erano  dentro. 

—  6.  a  lume:   al  lume.  v.  e.  ii,  15,  n 
Le  notti  che  vi  è  la  luna,  anche  se  vi  sono 
le  nuvole,  la  luce  è  maggiore. 


Ch'ai  dolci  frutti  per  entrar  si  trova, 
Quando  al  fin  senta  dopo  indngie  tante, 
Clie  '1  taciturno  chiavistel  si  muova: 
Cosi  voloutarosa  Bradamante 
Di  far  di  sé  coi  cavallieri  prova, 
S'allegrò  quando  udi  le  porte  aprire. 
Calare  il  ponte,  e  fuor  li  vide  uscire. 
75 

Tosto  che  fuor  del  ponte  i  guerrier  vede 
Uscire  insieme  o  con  poco  intervallo, 
Si  volge  a  pigliar  campo,  e  di  poi  riede 
Cacciando  a  tutta  briglia  il  buon  cavallo, 
E  la  lancia  arrestando,  che  le  diede 
Il  suo  cugin,  che  non  si  corre  in  fallo. 
Che  fuor  di  sella  è  forza  che  trabocchi. 
Se  fosse  Marte,  ogni  guerrier  che  tocchi. 
7G 

Il  Re  di  Svezia,  che  primier  si  mosse. 
Fu  primier  anco  a  rivei'sciarsi  al  piano; 
Con  tanta  forza  l'elmo  gli  percosse 
L'asta  che  mai  non  fu  abbassata  in  vano. 
Poi  corse  il  Re  di  Gozia,  e  ritrovosse 
Coi  piedi  in  aria  al  suo  destrier  lontano. 
Rimase  il  terzo  sotto  sopra  volto. 
Ne  l'acqua  e  nel  pantau  mezzo  sepolto. 
77 

Tosto  ch'ella  ai  tre  colpi  tutti  gli  ebbe 
Fatto  andar  coi  piedi  alti  e  i  capi  bassi, 
Alla  ròcca  ne  va,  dove  aver  debbe 
La  notte  albergo;  ma  prima  che  passi, 
V'è  chi  la  fa  giurar  che  n'uscirebbe, 
Sempre  ch'a  giostrar  fuori  altri  chiamassi. 
Il  Signor  di  là  dentro,  che  '1  valore 
Ben  n'ha  veduto,  le  fa  grande  onore. 
78 

Cosi  le  fa  la  donna  che  venuta 
Era  con  quelli  tre  quivi  la  sera. 
Come  io  dicea,  da  l'isola  Perduta, 
Mandata  al  Re  di  Francia  messaggiera. 
Cortesemente  a  lei  che  la  saluta. 
Si  come  graziosa  e  aftabil  era, 
Si  leva  incontra,  e  con  faccia  serena 
Piglia  per  mano,  e  seco  al  fuoco  mena. 
79 

La  donna,  cominciando  a  disarmarsi, 


74.  3.  indngie.  Per  questa  forma  cfr.  o. 
XII,  40,  n.  4. 

—  4.  muova.  Il  congiunt.  indica  l' animo 
ancora  incerto  su  ciò  che  avviene. 

75.  6.  che  non  si  e.  in  fallo;  la  quale  lan- 
cia n')u  si  corre  in  fallo.  Per  1' espi-essioiie 
correr  la  lancia  cfr.  e.  iv,  22,  n.  4. 

—  7.  Che,  poiché. 

77.  2.  Fatto.  Fer  la  sconcordanza  cfr.  e. 
IX,  32,  n.  1. 

—  6.  chiamassi,    chiamasse.  V.  e.  Il,  40, 


8.     n. 


78.  iJ 
I,  21,  n. 


Piglia  p.  m.;  la  piglia  p.  m.  V.  e. 


CANTO  XXXII 


437 


iS'avea  lo  scudo  e  di  poi  l'elmo  tratto; 
Quando  una  cuffia  d'oro,  in  che  celarsi 
Soieauo  i  capei  lunghi  e  star  di  piatto, 
Usci  con  l'elmo;  onde  caderon  sparsi 
Giù  per  le  spalle,  e  la  scoprirò  a  un  tratto, 
E  la  feron  conoscer  per  donzella. 
Non  men  che  fiera  in  arme,  in  viso  bella. 
80 

Quale  al  cader  de  le  cortine  suole 
Parer  fra  mille  lampade  la  scena. 
D'archi,  e  di  più  d'una  superba  mole. 
D'oro  e  di  statue  e  di  pitture  piena; 
O  come  suol  fuor  de  la  nube  il  sole 
Scoprir  la  faccia  limpida  e  serena: 
Cosi,  l'elmo  levandosi  dal  viso. 
Mostrò  la  donna  aprisse  il  paradiso. 
81 

Già  8on  cresciute,  e  fatte  lunghe  in  modo 
Le  belle  chiome  che  tagliolle  il  Frate, 
Che  dietro  al  capo  ne  può  fare  un  nodo, 
Benché  non  sian  come  son  prima  state. 
Che  Bradamante  sia,  tien  fermo  e  sodo 
(Che  ben  l'avea  veduta  altre  fiate), 
Il  Signor  de  la  ròcca;  e  più  che  prima 
Or  l'accarezza,  e  mostra  farne  stima. 

82  [sto  I 

Siedono  al  fuoco,  e  con  giocondo  e  oue-  i 
Ragionamento  dan  cibo  all'orecchia,  j 
Mentre,  per  ricreare  ancora  il  resto 
Del  corpo,  altra  vivanda  s'apparecchia. 
La  donna  all'oste  domandò  se  questo  ! 
Modo  d'albergo  è  nuova  usanza o  vecchia,  > 
E  quando  ebbe  principio,  e  chi  la  pose;  j 
E  '1  cavalliero  a  lei  cosi  rispose  :  i 


79.  3.  cuffia  d'oro;  cuffia  di  fili  d'oro. 

—  4.  di  piatto;    nascosti.  V.  e.  xxx,  SO, 

n.  6. 

80.  1-i.  Quale  ecc.  Certo  la  comparazione 
è  ispirata  da  Ovidio  Met.  3,  111-114:  «  Sic 
ubi  toUuntur  festis  aulaea  theatris  Surgere 
signa  solent  placidoque  educta  tenore  Tota 
patent  imoque  pedes  in  margine  ponunt  »; 
ma  chi  ben  guardi,  quella  dell' A.  è  tutta 
diversa  e  allude  piuttosto  alle  splendide  rap- 
presentazioni sceniche,  che  erano  tanto  in 
uso  ai  suoi  tempi  alia  corte  di  Ferrara 
e  altrove. 

—  8.  Mostrò  ;  parve  che  la  donna  aprisse 
il  p.  Credo  che  mostrò  sia  qui  usato  im- 
personalmente come  spesso  negli  antichi. 
Boccaccio,  Corbacc.  219;  «mostra  che  tu 
creda  (pare  che  tu  cr.)  »  :  Villani,  11,29,3: 
«  come  mostra  che  voi  vogliate  fare  ».  Di 
uso  personale  con  proposizione  dipendente 
non  si  citano  esempi  ;  ma  è  ancor  vivo  nel 
parlar  comune:  cosi  diremmo  :  *  masticavi 
che  tu  volessi  o  di  voler  far  tante  cose. 

81.  2.  che  t.  il  Frate;  per  curarle  una  fe- 
rita ricevuta  nel  capo  dal  pagano  Marta- 
sino  :  Innam.  Ili,  v,  45;  vm,  51. 

82.  5.  oste,  ospite.  V.  e.  xvii,  71,  n.  3. 


83 

Nel  tempo  che  regnava  Fieramente, 
Clodìone,  il  figliuolo,  ebbe  una  amica 
Leggiadra  e  bella  e  di  maniere  conte, 
Quant' altra  fosse  a  quella  etade  antica; 
La  quale  amava  tanto,  che  la  fronte 
Non  rivolgea  da  lei  più,  che  si  dica 
Che  facesse  da  Ione  il  suo  pastore; 
Perch'avea  ugual  la  gelosia  all'amore. 
84 

Qui  la  tenea ,  che  '1  luogo  avuto  in  dono 
Avea  dal  padre,  e  raro  egli  n'uscia: 
E  con  lui  dieci  cavallier  ci  sono, 
E  dei  miglior  di  Francia  tutta  via. 
Qui  stando,  venne  a  capitarci  il  buono 

83.  1.  Fieramente.  È  personaggio  storico, 
che  s' incontra  spesso  nei  romanzi  della 
Tavola  Rotonda.  Alcuni  lo  dicono  figlio  di 
Marcomir  V;  e  il  primo  a  condurre  i  Fran- 
chi al  di  qua  dal  Reno  (120-427  d.  C).  Che 
sia  vissuto  al  tempo  di  Artù  e  di  Tristan-^ 
(sec.  vi)  è  anacronismo  dei  romanzieri.  La 
forma  più  comune  del  nome  è  Faramondo. 

—  3.  conte,  gentili,  ornate  (lat.  comptus). 
Fran(\  da  Harbeh.  ;  Kec/i/.  d.  donne,  296: 
«  Bella  e  conta  è  l'andatura  >♦. 

—  7.  Ione,  Io.  Questa  parola  in  latino 
.si  declinò  Io,  lus,  e  anche  Io,  lonis;  donde 
questa  forma.  Dice  la  favola  che  Io,  fan- 
ciulla, fu  trasformata  da  Giove  in  una  gio- 
venca e  data  da  Giunone  in  custodia  ad 
Argo,  pastore  dai  cento  ocelli. 

84.  4.  tutta  via;  inoltre,  anche.  Son  dieci 
e  inoltre  dei  migliori  di  Francia.  Berni, 
Inn.  43,  34:  «A  caso  andò  a  cader  in  un 
fossato  E  tre  garzon  con  esso  tuttavia  ». 

—  5.  il  buono;  il  forte.  V.  e.  xv,  15,  n.  3. 
—  Questo  racconto  è  composto  con  elementi 
tolti  da  due  romanzi,  il  B>-et  e  il  Guiron- 
Si  dice  nel  Bret  che  Tristano,  figlio  del  re 
Meliadus,  e  nipote  del  re  Marco  di  Corno- 
vaglia,  cavalcando  un  giorno  con  Dynadan, 
incontra  alcuni  pastori,  che,  domandati  dove 
si  possa  albergare,  indicano  un  sontuoso 
palazzo;  ma  per  entrarvi  occorre  vincere 
in  giostra  i  padi-oni.  1  cavalieri  combat- 
tono, vincono  ed  entrano;  ma  poco  dopo  so- 
praggiungono altri  due  ,  che  combattono 
con  Tristano  e  Dynadan.  La  pugna  viene 
interrotta  e  Tristano  col  suo  compagno 
vogliono  partirsi.  —  Nel  Guiron  Guiron  e 
Danayn  arrivano  con  una  donzella  a  una 
torre.  Per  entrarvi  occorre  vincere  gli  estra- 
nei se  vi  sono;  se  non  vi  sono  estranei  si 
entra,  ma  bisogna  combattere  con  quelli, 
che  possono  arrivare.  Guiron  e  Danayn  vi 
trovano  due  cavalieri,  che  da  loro  sono 
battuti  e  cacciati;  quindi  dal  padrone  della 
torre  sanno  che  1'  usanza  el)be  origine  da 
Uuterpandragon,  che,  venutovi  un  giorno 
e  trovatovi  un  cavaliere  estraneo,  non  fu 


438 


ORLANDO  FURIOSO 


Tristano,  et  una  donna  in  compagnia, 

Liberata  da  lui  poch'ore  inante, 

Che  traea  presa  a  forza  un  fier  gigante. 

85 
Tristano  ci  arrivò  che  '1  sol  già  volto 
Avea  le  spalle  ai  liti  di  Siviglia; 
E  domandò  qui  dentro  esser  raccolto, 
Perché  non  c'è  altra  stanza  a  dieci  miglia. 
Ma  Clodion,  che  molto  amava,  e  molto 
Era  geloso,  in  somma  si  consiglia 
Che  forestier,  sia  chi  si  voglia,  mentre 
Ci  stia  la  bella  donna,  qui  non  entre. 

86 
Poi  che  con  lunghe  et  iterate  preci 
Non  potè  aver  qui  albergo  il  Cavalliero; 
Or  quel  che  far  con  prieghi  io  non  ti  feci, 
Che  '1  facci  (disse),  tuo  mal  grado,  spero. 
E  sfidò  Clodion  con  tutti  i  dieci 
Che  tenea  appresso  ;  e  con  un  grido  altiero 
Se  gli  offerse  con  lancia  e  spada  in  mano 
Provar  che  discortese  exs  e  villano; 

87 
Con  patto,  che  se  fa  che  con  lo  stuolo 
Suo  cada  in  terra,  et  ei  stia  in  sella  forte, 
Ne  la  rocca  alloggiar  vuole  egli  solo, 
E  vuol  gli  altri  serrar  fuor  de  le  porte. 
Per  non  patir  quest'onta,  va  il  figliuolo 
Del  Re  di  Francia  a  rischio  de  la  morte; 
Ch'aspramente  percosso  cade  in  terra, 
E  cadon  gli  altri,  e  Tristan  fuor  li  serra. 

88 
Entrato  ne  la  rócca,  trova  quella 
La  qual  v'ho  detta  a  Clodion  si  cara, 
E  ch'avea,  a  par  d'ognaltra,  fatto  bella 
Natura,  a  dar  bellezze  cosi  avara. 
Con  lei  ragiona:  intanto  arde  e  martella 
Di  fuor  r  amante  aspra  passione  amara  : 


dal  padrone  ospitato,  perché  allora  il  luogo 
era  piccolo  e  non  bastava  per  due.  Uut. 
chiede  di  combattere  col  cavaliere  estraneo, 
ma  ne  è  vinto.  Il  giorno  appresso,  partito 
il  suo  vincitore,  Unterpandragon  può  en- 
trare e  ottiene  dal  padrone  che  stabilisca  la 
legge  ancora  vigente.  —  Dopo  narrato  ciò 
è  imbandita  a  Guiron  una  cena;  poi  è  man- 
dato a  riposare,  ma  agitato  dall'  amore  non 
dorme.  La  mattina,  usciio  egli  e  il  compa- 
gno, s'incontrano  coi  due  che  avean  dovuto 
dar  loro  luogo  la  sera  avanti,  e  che  ora  si 
vorrebbero  vendicare;  ma  poi  si  calmano 
e  van  tutti  insieme. 

85.  4.  stanza,  alloggio.  Boccaccio,  Nov. 
93:  «  di  stanza  si  procacciassero. 

—  6.  in  somma  si  consiglia;  brevemente 
delibera.  V.  e.  xxx,  49,  n.  5.  Il  Bolza  spiega 
in  somma  cosi:  dopo  avervi  alquanto 
pensato.  Ma  in  somm,a  accenna  sempre  a 
brevità  nell'  agire.  I  vocabolari  non  danno 
un  senso,  che  faccia  al  caso  nostro. 


Il  qual  non  differisce  a  mandar  prieghi 
Al  cavallier,  che  dar  non  gli  la  nieghi. 

89  [ze, 

Tristano,  ancor  che  lei  molto  non  prez- 
Né  prezzar,  fuor  ch'Isotta,  altra  potrebbe  ; 
Ch'altra  né  ch'ami  vuol  né  che  accarezze 
La  pozion,  che  già  incantata  bebbe; 
Pur,  perché  vendicarsi  de  l'asprezze 
Che  Clodion  gli  ha  usate,  si  vorrebbe, 
Di  far  gran  torto  mi  parria  (gli  disse) 
Che  tal  bellezza  del  suo  albergo  uscisse. 
90 

E  quando  a  Clodion  dormire  incresca 
Solo  alla  frasca  e  compagnia  domandi, 
Una  giovane  ho  meco  bella  e  fresca, 
Non  però  di  bellezze  cosi  grandi. 
Questa  sarò  contento  che  fuor  esca, 
E  ch'ubbidisca  a  tutti  i  suoi  comandi; 
Ma  la  più  bella,  mi  par  dritto  e  giusto. 
Che  stia  con  quel  di  noi  ch'è  più  robusto. 
91 

Escluso  Clodione  e  mal  contento. 
Andò  sbuffando  tutta  notte  in  volta. 
Come  s'a  quei  che  ne  l'alloggiamento 
Dormiano  ad  agio,  fesse  egli  l'ascolta; 
E  molto  più,  che  del  freddo  e  del  vento. 
Si  dolca  de  la  donna  che  gli  è  tolta. 
La  matina  Tristano  a  cui  n'encrebbe, 
Gli  la  rendè;  donde  il  dolor  fin  ebbe. 
92 

Perché  gli  disse,  e  lo  fé' chiaro  e  certo. 
Che  qual  trovolla,  tal  gli  la  rendea: 
E  benché  degno  era  d'ogni  onta  in  merto 
De  la  discortesia  ch'usata  avea. 
Pur  contentar  d'averlo  allo  scoperto 
Fatto  star  tutta  notte  si  volea: 
Né  l'escHsa  accettò,  che  fosse  Amore 
Stato  cagion  di  cosi  grave  errore; 
93 

Ch'Amor  de'  far  gentile  un  cor  villano, 


89.  2.  Isotta,  moglie  del  re  Marco  di  Cor- 
novaglia.;  amata  da  Tristano.  Mentre  la  con- 
duceva  dall'Irlanda  in  Cornovaglia  sposa  •  ;• 
allo  zio  Marco,  egli  bevve  inavvedutamente 
un  filtro  amoroso,  che  la  madre  di  lei  aveva 
preparato  per  lo  sposo. 

—  6.  si  vorrebbe  ;  La  ragione  di  questo 
congiuntivo  la  trovi  nella  st.  92.  Vorrebbe 
vendicarsi,  ma  finisce  con  un  atto  di  gene- 
rosità. 

90.  2.  alla  frasca,  a  cielo  "scoperto.  La 
N.  Crusca  cita  la  locuzione  con  un  es.  di 
G.  Pitti,  Vita  d'Ant.  Giacomini:  non  cita 
l'Ariosto. 

91.  4.  l'ascolta,  la  scolta.  V.  e.  xxx,  51, 
n.  8. 

92    1.  chiaro,  sicuro.  V.  e.  li,  60,  n.  1. 

—  3.  in  merto,  in  gastigo.  Cosi  Dante, 
Inf.  31,  93:  «Ond'egli  ha  cotal  merto». 

93.  1,  Amor  ecc.  È  il  vecchio  concetto 


CANTO  xxxn 


439 


E  non  far  d'un  gentil  contrario  effetto. 
Partito  che  si  fu  di  qui  Tristano, 
Clodion  non  ste'  molto  a  mutar  tetto: 
Ma  prima  consegnò  la  rocca  in  mano 
A  un  cavallier  che  molto  gli  era  accetto, 
Con  patto  ch'egli  e  chi  da  lui  venisse, 
Quest'uso  in  albergar  sempre  seguisse: 
94  [sanza 

Che  '1  cavallier  ch'abbia  maggior  pos- 
E  la  donna  beltà,  sempre  ci  alloggi; 
E  chi  vinto  riraan,  voti  la  stanza, 
Dormasul prato,  o  altrove  scendaepoggi. 
E  finalmente  ci  fé' por  l'usanza 
Che  vedete  durar  fin  al  di  d'oggi. 
Or,  mentre  il  cavallier  questo  dicea, 
Lo  scalco  por  la  mensa  fatto  avea. 
95 

Fatto  l'avea  ne  la  gran  sala  porre, 
Di  che  non  era  al  mondo  la  più  bella; 
Indi  con  torchi  accesi  venne  a  tórre 
Le  belle  donne,  e  le  condusse  in  quella. 
Bradamante,  all'entrar,  con  gli  occhi  scor- 
E  similmente  fa  l'altra  donzella;         [re, 
E  tutte  piene  le  superbe  mura 
Veggon  di  nobilissima  pittura. 
96 

Di  si  belle  figure  è  adorno  il  loco, 
Che  per  mirarle  oblian  la  cena  quasi; 
Ancor  che  ai  corpi  non  bisogni  poco. 
Pel  travaglio  del  di  lassi  rimasi; 
E  lo  scalco  si  doglia,  e  doglia  il  coco. 
Che  i  cibi  lascin  raffreddar  nei  vasi. 
Pur  fu  chi  disse:  Meglio  fia  che  voi 
Pasciate  prima  il  ventre,  e  gli  occhi  poi. 
97 

S'erano  assisi,  e  porre  alle  vivande 
Voleano  man,  quando  il  Signor  s'avvide 
Che  l'alloggiar  due  donneèunerror  gran- 

[de: 
L'una  ha  da  star, l'altra  convien  che  snide. 
Stia  la  pili  bella,  e  la  men  fuor  si  mande 
Dove  la  pioggia  bagna,  e  '1  vento  stride. 
Perché  nonvi  son  giunte  amendue  a  un'ora, 
L'una  ha  a  partire,  e  l'altra  a  far  dimora. 
98 

Chiama  duo  vecchi,  e  chiama  alcune  sue 
Donne  di  casa,  a  tal  giudizio  buone; 
E  le  donzelle  mira,  e  di  lor  due 
Chi  la  più  bella  sia,  fa  paragone. 


già  espresso  dal   Guinizelli    nella  sua  can- 
zone: «  A  cor  gentil  ripara  sempre  amore  ». 

—  7.  da  lui  venisse,  discendesse  da  lui  ;  i 
suol  discendenti. 

94.  5.  finalmente;  insomma,  a  dir  breve. 

—  8.  scalco,    (tedesco  schalk,   servo)   il 
servo  che  nei  pranzi  trincia  la  carne. 

95.  1.  Fatto  ecc.,  fatta.  Per  la   sconcor- 
danza cfr.  st.  77,  n.  1,  e  Fornac,  S.  p.  310. 

97.  3.  è  un  error  gr.;  di  fronte  alla  legge 
stabilita:  cfr.  st.  6S. 


Finalmente  parer  di  tutti  fue, 
Ch'era  più  bella  la  figlia  d'Amone  ; 
E  non  men  di  beltà  1'  altra  vincea, 
Che  di  valore  i  guerrier  vinti  avea. 
99 

Alla  donna  d'Islanda,  che  non  sanza 
Molta  sospizion  stava  di  questo. 
Il  Signor  disse:  Che  serviàn  l'usanza, 
Non  v'ha,  Donna,  a  parer  se  non  onesto. 
A  voi  convien  procacciar  d'altra  stanza, 
Quando  a  noi  tutti  è  chiaro  e  manifesto 
Che  costei  di  bellezze  e  di  sembianti, 
Ancor  ch'inculta  sia,  vi  passa  inanti. 
100 

Come  si  vede  in  un  momento  oscura 
Nube  salir  d'umida  valle  al  cielo, 
Che  la  faccia  che  prima  era  si  pura, 
Cuopre  del  sol  con  tenebroso  velo; 
Cosi  la  Donna  alla  sentenzia  dura 
Chefuorlacacciaoveèlapioggiae'lgielo, 
Cangiar  si  vide,  e  non  parer  più  quella 
Che  fu  pur  dianzi  si  gioconda  e  bella. 
101 

S'impallidisce,  e  tutta  cangia  in  viso; 
Che  tal  sentenza  udir  poco  le  aggrada. 
Ma  Bradamante  con  un  saggio  avviso, 
Che  per  pietà  non  vuol  che  se  ne  vada. 
Rispose:  A  me  non  par  che  ben  deciso, 
Né  che  ben  giusto  alcun  giudicio  cada. 
Ove  prima  non  s'oda  quanto  nieghi 
La  parte  o  affermi,  e  sue  ragioni  alleghi. 
102 

Io  eh' a  difender  questa  causa  toglio, 
Dico,  0  più  bella  o  men  ch'io  sia  di  lei, 
Non  venni  come  donna  qui,  né  voglio 
Che  sian  di  donna  ora  i  progressi  miei. 
Ma  chi  dirà,  se  tutta  non  mi  spoglio. 
S'io  sono  0  s'io  non  son  quel  eh' è  costei^ 
E  quel  che  non  si  sa,  non  si  de'dii'^;     ' 
E  tanto  men,  quando  altri  n'ha  a  patire. 
103  [me 

Ben  son  degli  altri  ancor,c'hanno  le  chio- 
Lunghe,  com'io;  né  donne  son  per  questo. 
Se  come  cavallier  ia  stanza,  o  come 


99.  3.  serviàn,  serviam,  serbiamo.  V.  e.  ix, 
13,  ti.  8. 

—  5.  procacciar  d' alt.  Il  costrutto  più 
frequente  è  procacciarsi  una  cosa.  Bru- 
netto, Tes.  :  «  (Lo  struzzo)  vasseue  a  pro- 
cacciare di  sua  pastura  ». 

—  6.  Quando;  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

101.  1.  S'impallidisce.  La  forma  riflessiva, 
rara  negli  antichi,  fu,  dopo  l'Ariosto,  amata 
dal  Metastasio,  dal  Monti  e  da  altri. 

—  4.  Che.  È  relativo  di  Bradamante. 

102.  4.  i  progressi  m.;  il  mio  modo  di  pro- 
cedere ;  i  miei  atti.  Cosi  il  Machiavelli, 
Lett.  15,  88:  «  lu  tutti  i  suoi  progressi  non 
si  vede  cosa  che  offenda  o  che  sia  repren- 
sibile ». 


440 


ORLANDO  FURIOSO 


Donna  acquistata  m'abbia,  è  manifesto. 
Perché  dunque  volete  darmi  nome 
Di  donna,  se  di  maschio  è  ogni  mio  gesto? 
La  legge  vostra  vuol  che  ne  sian  spinte 
Donne  da  donne,  e  non  da  guerrier  vinte. 
104  [re, 

Poniamo  ancor,  che,  come  a  voi  pur  pa- 
lo donna  sia  (che  non  però  il  concedo), 
Ma  che  la  mia  beltà  non  t'osse  pare 
A  quella  di  costei;  non  però  credo 
Che  mi  vorreste  la  mercé  levare 
Ili  mia  virtù,  se  ben  di  viso  io  cedo. 
/Perder  per  men  beltà  giusto  non  parmi 
/  Quel  c'ho  acquistato  per  virtù  con  l'armi. 
105 

E  quando  ancor  fosse  l'usanza  tale. 
Che  chi  perde  in  beltà,  ne  dovesse  ire; 
Io  ci  vorrei  restare,  o  bene  o  male 
Che  la  mia  ostiuazion  dovesse  uscire. 
Per  questo,  che  contesa  diseguale 
È  tra  me  e  questa  donna,  vo'inferire 
Che  contendendo  di  beltà,  può  assai 
Perdere,  e  meco  guadagnar  non  mai. 
106 

E  se  guadagni  e  perdite  non  sono 
In  tutto  pari,  ingiusto  è  ogni  partito: 
Si  eh'  a  lei  per  ragion,  si  ancor  per  dono 
Speziai,  non  sia  l'albergo  proibito. 
E  s'alcuno  di  dir  che  non  sia  buono 
E  dritto  il  mio  giudizio  sarà  ardito, 


103.  6.  gesto,  opera.  V.  e.  i,  4,  n.  5. 

104.  2.  che.  È  relativo  di  io. 

105.  3-4.  bene  o  male...  uscire;  aver  buono 
o  cattivo  effetto.  È  locuzione  non  registrata 
dai  vocabolari. 

—  7.  contendendo  ecc.  ;  se  si  fa  questione 
di  beltà,  essa  non  è  in  condizioni  eguali  con 
me,  perché,  se  è  meno  bella,  perde  per  la 
legge  vigente,  se  è  più  bella,  perde  perché 
io  son  cosi  forte,  da  farmi  ragione  col  bran- 
do. Sicché  essa  non  guadagnerebbe  giam- 
mai. 

106.  3.  SI  ancor  p.  d.  Bradam.  aggiunge 
alla  ragione  la  preghiera. 


Sarò  per  sostenergli  a  suo  piacere, 
Che  '1  mio  sia  vero,  e  falso  il  suo  parere. 
107 

La  figliuola  d'Amon  mossa  a  pietade. 
Che  questa  gentil  donna  debba  a  torto 
Esser  cacciata  ove  la  pioggia  cade. 
Ove  né  tetto,  ove  né  pure  è  un  sporto, 
Al  signor  de  l'albergo  persuade 
Con  i-agion  molte  e  con  parlare  accorto, 
Ma  molto  più  con  quel  ch'ai  fin  concluse, 
Che  resti  cheto,  e  accetti  le  sue  scuse. 
108 

Qual  sotto  il  più  cocente  ardore  estivo, 
Quando  di  ber  più  desiosa  è  l'erba, 
Il  fior  ch'era  vicino  a  restar  privo 
Di  tutto  quell'umor  ch'in  vita  il  serba, 
Sente  1'  amata  pioggia  e  si  fa  vivo; 
Cosi,  poi  che  difesa  si  superba 
Si  vide  apparecchiar  la  messaggiera. 
Lieta  e  bella  tornò,  come  prim'era. 
109 

La  cena,  stata  lor  buon  pezzo  avante. 
Né  ancor  pur  tocca,  al  fin  godersi  in  festa, 
Senza  che  più  di  cavalliero  errante 
Nuova  venuta  fosse  lor  molesta. 
La  goder  gli  altri,  ma  non  Bradamante, 
Pure,  all'usanza,  addolorata  e  mesta; 
Che  quel  timor,  che  quel  sosp^^tto  ingiusto. 
Che  sempre  avea  nel  cor,  le  toUea  il  gu- 
110  [sto. 

Finita  ch'ella  fu  (che  saria  forse 
Stata  più  lunga,  se  '1  desir  non  era 
Di  cibar  gli  occhi),  Bradamante  sorse, 
E  sorse  appresso  a  lei  la  messaggiera. 
Accennò  quel  Signore  ad  un  che  corse, 
E  prestamente  allumò  molta  cera, 
Che  splender  fé'  la  sala  in  ogni  canto. 
Quel  che  segui  dirò  ne  l' altro  canto. 

—  8.  sia.  Il  cong.  indica  che  ciò  è  detto 
secondo  la  mente  di  Brad.;  quasi  dica:  gli 
sosterrò  che  il  mio  parere,  a  tnio  giudizio, 
è  vero  e  il  suo  è  falso. 

107.  4.  sporto;  una  tettoia  qualunque, 
che  ripari  dalla  pioggia. 


CANTO  XXXIII 


Timagora,  Parrasio,  Polignoto, 


1.  1.  Questa  descrizione  del  padiglione 
ricorda  la  loggia  istoriata  del  giardino  di 
Febosilla  Inn.  Il,  xxv,  '12  sgg.  ;  ma  là  il 
Boiardo  ritrae  le  glorie  di  quattro  principi 
Estensi;  qui  l'A.  si  leva  più  alto  a  senti- 
menti patriottici.  Inoltre  il  Boiardo  la  dice 


Protogene,  Timante,  Apollodoro, 
Apelle,  più  di  tutti  questi  noto, 

fatta  coi  mezzi  naturali,  per  l'A.  il  padi- 
glione è  opera  di  demoni.  In  un  frammento 
di  84  ottave  (Opere  minori  I,  pag.  125  ed. 
Polidori),  che  doveva  tenere  il  luogo  della 
sala,  Ta.  aveva  descritto  lo  scudo  istoriato 
d'Ullauia,  ispirandosi  allo  scudo  d'Enea.  In 


CANTO  XXXIII 


MI 


E  Zeusi,  e  gli  altri  ch'a  quei  tempi  foro; 
Di  quai  la  fama  (mal  grado  di  Cloto, 
Che  spense  i  corpi  e  dipoi  l'opre  loro) 
Sempre  starà,  fin  che  si  legga  e  scriva, 
Mercé  de  gli  scrittori,  al  mondo  viva: 
2 

E  quei  che  furo  a'  nostri  di,  o  sono  ora, 
Leonardo,  Andrea  Mantegna,Gian  Bellino, 
Duo  Dossi,  e  quel  ch'a  par  sculpe  e  colora, 
Michel,  più  che  mortale,  Angel  divino; 
Bastiano,  Rafael,  Tizian  ch'onora  [bino; 
Non  men  Cador,  che  quei  Venezia  e  Ur- 
E  gli  altri  di  cui  tal  l'opra  si  vede, 
Qual  de  la  prisca  età  si  legge  e  crede; 
3 

Questi  che  noi  veggiàn  pittori  e  quelli 
Che  già  mille  e  mill'anni  in  pregio  furo, 
Le  cose  che  son  state,  coi  pennelli 
Fatt'hanno,  altri  sull'asse,  altri  sul  muro. 
Non  pero  udiste  antiqui,  né  novelli 
Vedeste  mai  dipingere  il  futuro: 
E  pur  sì  sono  storie  anco  trovate. 
Che  son  dipinte  inanzi  che  siau  state. 


questo  scudo  aveva  ritratto  le  guerre  e 
le  devastazioni  d' Italia  dalla  traslazione 
della  sede  imperiale  da  Roma  a  Bisanzio  ; 
ma  forse  ritenendo  quella  descrizione  troppo 
vasta  per  uno  scudo  e  troppo  noiosa  per  il 
lettore,  mutò  pensiero.  —  Timagoraecc.  Tut- 
ti questi  son  celebri  pittori  greci  vissuti 
nel  IV  secolo  av.  C. 

—  5.  Cloto.  Qui  sta  per  le  Parche  (Cloto 
Lachesi  Atropo)  dalle  quali  dipendeva  la 
vita  dei  mortali.  —  di  qnai,  dei  quali.  V.  e. 
Il,  15,  n.  8. 

2.  2.  Leonardo  da  Vinci  (1452-1519)  fu  in- 
gegno quasi  universale;  pittore  eccellente 
ardi  di  gareggiare  con  Michelangelo.  A. 
Mantegna  (1431-1506)  principale  rappresen- 
tante della  scuola  pittorica  padovana.  Gio- 
vanni Bellini,  detto  Giamhellini  (1426-1516) 
fu  il  fondatore  della  vecchia  scuola  vene- 
ziana. Doaso  Dossi  (1479-1512)  e  suo  fratello 
Giambattista  (m.  1545)  celebri  pittori  ferra- 
resi ;  specialm.  il  primo.  Micìielangelo  Buo- 
narroti di  Caprese  presso  Firenze  (1475- 
1564).  Lazzaro  Sebastiano  (Bastiano);  fu 
pittore  veneziano  negligente,  volle  gareg- 
giar con  Raffaello;  ebbe  la  protezione  di 
Michelangelo.  Ra/faello  Santi  o  Sanzio 
d'Urbino  (1483-1520)  Tiziano  Vecetlio  di 
Pieve  di  Cadoi-e  (1477-1576). 

—  3.  a  par;  al  par.  Sull'omissione  del- 
l'art, cfr.  e.  II,  15,  n.  8. 

3.  2.  già  mille  e  m.  a  ;  già  da  mille  e  mille 
a.;  già  da  molti  anni  V.  e.  i,  26,  n.  8;  xxii, 
8,  48. 

—  5.  udiste;  udiste  dire  che  antichi  di- 
pingessero ecc. 


t      Ma  di  saperlo  far  non  si  dia  vanto 
i  Pittore  antico,  né  pittor  moderno; 
'  E  ceda  pur  quest'arte  al  solo  incanto, 
I  Del  qual  trieman  gli  spirti  de  lo  'nferno. 
La  sala  ch'io  dicea  ne  l'altro  Canto, 
Merlin  col  libro,  o  fosse  al  lago  Averuo, 
O  fosse  sacro  alle  Nursine  grotte. 
Fece  far  dai  demonii  in  una  notte. 
5 
Quest'arte,  con  che  i  nostri  antiqui  fenno 
Mirande  prove,  a  nostra  etade  è  estinta. 
Ma  ritornando  ove  aspettar  mi  denno 
Quei  che  la  sala  hanno  a  veder  dipinta, 
Dico  ch'a  uno  scudier  fu  fatto  cenno. 
Ch'accese  i  torchi:  onde  la  notte  vinta 
Dal  gran  splendor  si  dileguò  d'intorno; 
Né  pili  vi  si  vedria,  se  fosse  giorno. 
6 
Quel  Signor  disse  lor:  Vo'  che  sappiate 
Che  de  le  guerre,  che  son  qui  ritratte. 
Fin  al  di  d'oggi  poche  ne  son  state  ; 
E  son  prima  dipinte,  che  sian  fatte. 
Chi  l'ha  dipinte,  ancor  l'ha  indovinate. 
Quando  vittoria  avran,  quando  disfatte 
In  Italia  saran  le  genti  nostre. 
Potrete  qui  veder  come  si  mostre. 
7 
Le  guerre  ch'i  Franceschi  da  far  hanno 
Di  là  da  l'Alpe,  o  bene  o  mal  successe, 
Dal  tempo  suo  fino  al  millesim'anno, 


4.  4.  Del  qual  ecc.  Agli  incanti  nou  pos- 
sono resistere  e  debbono  obbedire  anche  a 
loro  dispetto  i  demoni. 

—  7.  f.  sacro  ;  fosse  stato  consacrato.  V. 
e.  III,  22.  Presso  il  lago  Averne  era  la  grotta 
della  Sibilla  Cumana;  e  in  una  grotta  del 
territorio  di  Norcia  (lat.  Nursia)  si  credette 
nel  M-E.  che  abitasse  la  stessa  Sibilla  dive- 
nuta una  fata  potentissima.  Si  riteneva  che 
quivi  andassero  i  maghi  a  consacrare  i  li- 
bri degli  incanti. 

5.  2.  è  estinta.  Qui  l' A.  scherza,  e  mostra 
di  non  credere  alla  magia;  alla  quale  però 
si  credeva  ancora  da  molti  ai  tempi  dell'A. 
e  dipoi. 

—  3.  a.  mi  denno;  penso  che  mi  aspetti- 
no. Uno  dei  sensi  comuni  e  ancor  vivi  del 
verbo  dovere. 

6.  5.  ancor;  anche,  inoltre:  non  solo  le 
ha  dipinte,  ma  le  ha  anche  indovinate. 

—  6-8.  Quando  ecc.  Costruisci:  Potrete 
qui  veder  come  si  mostri,  potrete  qui  veder 
dimostrato  quando  le  genti  nostre  avran 
vittoria  ecc. 

7.  3.  Dal  tempo  suo  ecc.  Espressione  am- 
bigua, che  però  è  dichiarata  da  quello  che 
segue,  e  vale:  per  lo  spazio  di  mille  anni 
(500-1500)  a  cominciare  dal  tempo  di  Mer- 
lino. 


442 


ORLANDO  FURIOSO 


Merlin  profeta  in  questa  sala  messe; 
Il  qiial  mandato  fu  dal  Re  Britanno 
Al  Franco  Re  ch'a  Marcomir  successe: 
E  perché  lo  mandassi,  e  perché  fatto 
Da  Merlin  fu  il  lavor,  vi  dirò  a  un  tratto. 
8 

Re  Fieramente,  che  passò  primiero 
Con  l'esercito  Franco  in  Gallia  il  Reno, 
Poi  che  quella  occupò,  facea  pensiero 
Di  porre  alla  superba  Italia  il  freno. 
Faceal  perciò,  che  più  '1  Romano  Impero 
Vedea  di  giorno  in  giorno  venir  meno: 
E  per  tal  causa  col  Britanno  Arturo 
Volse  far  lega;  ch'ambi  a  un  tempo  furo. 
9 

Artur,  ch'impresa  ancor  senza  consiglio 
Del  profeta  Merlin  non  fece  mai, 
Di  Merlin,  dico,  del  Demonio  figlio, 
Che  del  futuro  antivedeva  assai, 
Per  lui  seppe,  e  saper  fece  il  periglio 
A  Fieramente,  a  che  di  molti  guai 
Porrà  sua  gente,  s'entra  ne  la  terra 
Ch'Apennin  parte,  e  il  mare  e  l'Alpe  serra. 
10 

Merlin  gli  fé'  veder  che  quasi  tutti 
Gii  altri  che  poi  di  Francia  scettro  avran- 
O  di  ferro  gli  eserciti  distrutti,  [no, 

O  di  fame  o  di  peste  si  vedranno; 
E  che  brevi  allegrezze  e  lunghi  lutti, 


—  5.  dal  Re  Br.  ;  da  Artù  fu  mandato  a  Fa- 
ramondo. 

—  7.  mandassi;  mandasse.  V.  e.  ii,  40, 
n.  8. 

—  ^.  a  un  tratto;  in  uno  stesso  tempo. 

8.  1.  Fieramente;  più  comun.Faramondo, 
figlio  del  capitano  dei  Franchi  Marcomiro, 
è,  secondo  alcune  fonti,  il  primo  re  de'Fran- 
chi  Salii  (420-427),  che  condusse  il  suo  po- 
polo dalla  destra  sulla  sinistra  del  Reno. 
È  più  fondata  V  opinione  che  il  primo  re 
de'  Franchi  sia  stato  Teodeniero,  ma  que- 
sta materia  è  ancora  avvolta  nelle  tenebi'e. 

—  3.  facea  pensiero.  Tutto  ciò  che  segue 
in  questa  ottava  è  invenzione  dell'A. 

—  8.  ambi  a  un  tempo  f.  Invece  Arturo  è 
posteriore  più  d'un  secolo. 

9.  3.  del  demonio  figlio.  Cosi  vien  detto 
nel  favoloso  libro  di  Merlino;  e  nel  romanzo 
del  Lancellot  du  Lac  cap.  I,  si  legge  «  com- 
ment  Merlin  fut  engendré  dung  diable  ». 

—  5-6.  il  periglio...  a  che  di  m.  g.  Costrui- 
sci :  il  periglio  di  molti  guai,  a  che  egli 
porrà  sua  gente  ecc.  È  una  delle  inversioni 
più  ardite  fra  le  molte,  che  si  trovano  nel 
Furioso.  Vedine  altri  notevoli  esempi  nei 
e.  vi,  31,  6;  XIV,  51,  4;  122,  8;  xv.  29,  6; 
xxiii,  58,  1;  XXIX,  23,  5,  xxxvii,  27,  7-s  ecc. 

—  8.  Ch'Apennin  ecc.  reminiscenza  del 
v.  del  Petr.  «  ch'Apennin  parte  e  il  mar  cir- 
conda e  l'Alpe  », 


Poco  guadagno  et  infinito  danno 
Riporteran  d'Italia;  che  non  lice 
Che  '1  Giglio  in  quel  terreno  abbia  radice. 
11 

Re  Fieramonte  gli  prestò  tal  fede, 
Ch'altrove  disegnò  volger  l'armata: 
E  Merlin,  che  cosi  la  cosa  vede. 
Ch'abbia  a  venir,  come  se  già  sia  stata, 
Avere  a  prieghi  di  quel  Re  ai  crede 
La  sala  per  incanto  istoriata. 
Ove  dei  Franchi  ogni  futuro  gesto, 
Come  già  stato  sia,  fa  manifesto. 
12 

Acciò  chi  poi  succederà,  comprenda 
Che,  come  ha  d'acquistar  vittoria  e  onore, 
Qualor  d'Italia  la  difesa  prenda 
Incontra  ogn'altro  Barbaro  furore; 
Cosi,  s'avvien  eh'  a  danneggiarla  scenda. 
Per  porle  il  giogo  e  farsene  signore. 
Comprenda,  dico,  e  rendasi  ben  certo 
Ch'  oltre  a  quei  monti  avrà  il  sepulcro  a- 
13  [perto. 

Cosi  disse;  e  menò  le  donne  dove 
Incomincian  l'istorie:  e  Singiberto 
Fa  lor  veder,  che  per  tesor  si  muove, 
Che  gli  ha  Maurizio  Imperatore  offerto. 
Ecco  che  scende  dal  monte  di  Giove 
Nel  pian  dal  Lambro  e  dal  Ticino  aperto. 
Vedete  Eutar,  che  non  pur  l'ha  respinto. 
Ma  volto  in  fuga  e  fracassato  e  vinto. 
14 

Vedete  Clodoveo,  ch'a  più  di  cento 
Mila  persone  fa  passare  il  monte. 

10.  8.  '1  Giglio.  V.  e.  I,   16,  n.  8. 

11.  2.  armata,  esercito.  L'usò  prima  il 
Pulci,  Mora.  22,  125;  poi  il  Lippi  il  Fon- 
TEGUERRi  e  altri. 

—  5.  a  prieghi;  ai  pr.  V.  e.  ii,  15,  n.  8. 

12.  —  É  una  stanza  altamente  patriottica, 
che  fa  riscontro  all'ultimo  cap  del  Pi-in- 
cipe  del  Machiavelli. 

—  2.  ha  d'acquist.  ;  lia  da  acquistar,  acqui- 
sterà. V.  e.  V,  97,  n.  2,  e  xv,  35,  n.  2. 

13.  2.  Singiberto  (535-575).  Si  divise  coi 
due  fratelli  il  regno  dei  Franchi  ed  ebbe 
l'Austrasia  e  alcune  altre  parti;  ma  non 
scese  mai  in  Italia;  e  l'A.  gli  attribuisce  per 
errore  fatti,  che  appartengono  a  Childeber- 
to  (st.  15),  che  fu  mosso  dall'  imperatoi-e 
Maurizio  contro  i  Longobardi  e  fu  sconfìtto 
da  Autari  (Kutari). 

—  5.  monte  di  Giove;  il  gran  San  Ber- 
nardo, detto  anche  in  francese  Mont  Joux, 
e  in  lat.  mons  Jovis.  Nell'Aspromonte  è 
detto  monjeu  (Casella). 

—  G.  Lambro;  afli.  di  sinistra  del  Po. 

14.  1.  Clodoveo.  Qui  pure  l'A.  sbaglia.  Clo- 
doveo non  scese  in  Italia.  Fu  Clotario  III, 
che  fu  chiamato  da  Rertarido  contro  Gri- 
moaldo,  già  duca  di  Benevento,  ma  allora 


CANTO  XXXIII 


443 


Vedete  il  Dnca  là  di  Benevento, 
Che  con  numer  dìspar  vien  loro  a  fronte. 
Ecco  tìnge  lasciar  ralloggiamento, 
E  pon  gli  aguati:  ecco,  con  morti  et  onte, 
Al  vin  Lombardo  la  gente  Francesca 
Corre;  e  riraan  come  la  lasca  all'esca. 
15 

Ecco  in  Italia  Childiberto  quanta 
Gente  di  Francia  e  capitani  invia: 
Né  più  che  Clodoveo,  si  gloria  e  vanta 
Ch'abbia  spogliata  o  vinta  Lombardia: 
Che  la  spada  del  ciel  scende  con  tanta 
Strage  de'  suoi,  che  n'è  piena  ogni  via, 
Morti  di  caldo  e  di  profluvio  d'alvo; 
Si  che  di  dieci  un  non  ne  torna  salvo. 
16 

Mostra  Pipino,  e  mostra  Carlo  appresso. 
Come  in  Italia  un  dopo  l'altro  scenda, 
E  v'abbia  questo  e  quel  lieto  successo. 
Che  venuto  non  v'è  perché  l'offenda; 


re  dei  Longob.  Venne  per  Provenza  fino  ad 
Asti.  Grimoaldo  ivi  lo  fermò  e,  stando  ac- 
campato, finse  un  pànico  generale  e  una 
fuga  de' suoi,  lasciando  nel  campo  il  baga- 
glio e  gran  quantità  di  vini  e  di  cibi.  I  Fran- 
cesi si  dettero  a  gozzovigliare  e,  mentre  nel 
fitto  della  notte  dormivano,  furon  sorpresi 
e  pochi  ne  scamparono.  (V.  Paolo  Diacono. 
Historia  Lanpobardorum). 

—  6.  con  morti.  Paolo  Diacono  nota  e- 
spressamente  che  Grimoaldo  aveva  menato 
via  tutti  gli  uomini  (Op.  cit.  libr.  5,  3).  Che 
cosa  dunque  vuol  dire  con  mprtiì  e  iaoUve 
come  si  legano  le  due  idee  con  morti  ed 
onte?  Noi  non  possiamo  riscontx-ar  l'esat- 
tezza della  lezione,  perché  questo  luogo 
nelle  altre  ediz.  curate  dall' A.  manca  ;  per 
ciò  potremmo  supporvi  un  errore  e  legge- 
re con  miglior  senso  con  motti  ed  onte. 

—  8.  la  lasca  all'  esca.  Paranomasia  si- 
mile a  quelle  di  Dante  più  volte  volto,  canto 
canta. 

13.  1.  Childiberto,  o  Childeberto  II  re  de' 
Franchi  (570-596)  venne  più  volte  in  Italia 
per  abbattere  la  potenza  Longobarda,  ec- 
citato e  sussidiato  anche  dall'  imperatore 
Maurizio.  Autari,  di  cui  parla  la  st.  13,  non 
lo  fracassò  e  non  lo  vinse,  ma  prima  con 
doni,  poi  ritirandosi  nelle  piazze  forti,  lo 
lasciò  indugiare  intorno  a  Modena  e  Par- 
ma; finalmente  per  caldo  e  per  dissente- 
ria (profluvio  d'alvo),  cominciata  una  gran- 
de mortalità  fra  i  suoi,  Childeb.  se  ne  andò 
per  l'Adige. 

16. 1.  Pipino  ecc.  Pipino  venne  contro  Astol- 
fo penultimo  re  dei  Longob.,  in  aiuto  di  papa 
Stefano  II,  Carlomaguo  soccorse  Adriano  I 
contro  Desiderio  (il  successor)  e  Leone  III 
nelle  sommosse,  che  gli  si  levaron  contro 
in  Roma  stessa  (e  al  papa  il  suoonor  rende). 


Ma  l'uno,  acciò  il  Pastor  Stefano  oppresso, 
L'altro  Adriano,  e  poi  Leon  difenda:  [de 
L'un  doma  Aistulfo,  e  l'altro  vince  e  pren- 
II  successore,  e  al  Papa  il  suo  onor  rende. 
17 

Lor  mostra  appresso  un  giovene  Pipino, 
Che  con  sua  gente  par  che  tutto  cuopra 
Da  le  Fornaci  al  lito  Pelestino; 
E  faccia  con  gran  spesa  e  con  lung'opra 
Il  ponte  a  Malamocco,  e  che  vicino 
Giunga  a  Rialto,  e  vi  combatta  sopra. 
Poi  fuggir  sembra,  e  che  i  suoi  lasci  sotto 
L'acque;  che  '1  ponte  il  vento  e  '1  mar  gli 
18  [ha  rotto 

Ecco  Luigi  Borgognon,  che  scende 
Là  dove  par  che  resti  vinto  e  preso, 
E  che  giurar  gii  faccia  chi  lo  prende. 
Che  pili  da  l'arme  sue  non  sarà  offeso. 
Ecco  che  '1  giuramento  vilipende; 
Ecco  di  nuovo  cade  al  laccio  teso; 
Ecco  vi  lascia  gli  occhi,  e  come  talpe 
Lo  riportano  i  suoi  di  qua  da  l'Alpe. 
19 

Vedete  un  Ugo  d'Arli  far  gran  fatti, 


17.  I.  un  giovene  Pipino.  Secondo  una  tra- 
dizione, della  quale  oggi  si  dubita,  Pipino 
tìglio  di  Carlomaguo  e  re  d' Italia,  volendo 

[  sottometter  Venezia,  occupò  (810)  la  sponda 
dell'  Adriatico  dalle  Fornaci,  cioè  dalla  foce 
del  Po  detta  di  Fossone,  fino  a  quella  parte 
del  Lido  conosciuta  adesso  col  nome  di  lit- 
torale  di  Palesirina,  che  dal  porto  di  Chiog- 
gia  va  fino  a  quello  di  Malamocco.  Poi  con 
un  ponte   di  barche    a  Malamocco   assali 

j  Rialto  (l' isola  maggioi-e  di  Venezia).  Rot- 
togli il  ponte  dalle  burrasche,  toccò  una 
grave  sconfitta. 

—  2.  par.  Si  ricordi  che  si  tratta  di  una 
pittura:  dunque  non  cuopre,  ma  par  che 
cuopra.  Cosi  negli  altri  luoghi  simili. 

18.  1.  Luigi  Borgognon.  Lodovico  III  di 
Borgogna,  sceso  in  Italia  per  prenderne  il 
regno,  fu  vinto  e  fatto  prigioniero  da  Beren- 
gario I,  che  gli  diede  la  libertà  a  patto  che 
non  tornasse  più  in  Italia:  avendo  esso  rotto 
la  data  fede,  fu  preso  da  Berengario,  fatto 
accecare  e  rimandato  in  Borgogna  (905). 

—  7.  talpe.  Ésing.  come  in  Dante,  Purg. 
17,  3.  La  talpa  ha  occhi  piccolissimi,  spesso 
coperti  da  una  membrana  palpebi'ale,  ma 
sente  la  luce  e  la  distingue  dall'  oscurità  ; 
talvolta  ha  pure  una  apertura  palpebrale. 

19.  1.  Ugo  d'Arli.  A  Berengario  I  fu  op- 
posto dai  partiti  avversi  Rodolfo  II  re  di 
Borgogna,  che  si  fece  coronar  re  d'Italia  ; 
ma  morto  Berengario  (924),  contro  Rodolfo 
fu  chiamato  Ugo  conte  di  Provenza  (d'Arli) 
(925),  che,  temendo  la  rivalità  di  Berenga- 
rio II,  gh  tese  insidie  e  lo  costrinse  a  fug- 
gire alla  corte  di  Ottone  imperatore.  Di  là 


444 


ORLANDO  FURIOSO 


E  che  d'Italia  caccia  i  Berengari; 
E  due  0  tre  volte  gli  ha  rotti  e  disfatti, 
Or  dagli  Unni  rimessi,  or  dai  Bavàvi. 
Poi  da  più  forza  è  stretto  di  far  patti 
Con  rinimico,  e  non  sta  in  vita  guari; 
Né  guari  dopo  lui  vi  sta  l'erede, 
E  '1  regno  intero  a  Berengario  cede. 
20 

Vedete  un  altro  Carlo  che  a'  conforti 
Del  buon  Pastor  fuoco  in  Italia  ha  messo  ; 
E  in  due  fiere  battaglie  ha  duo  Re  morti, 
Manfredi  prima,  e  Coradino  appresso. 
Poi  la  sua  gente,  che  con  mille  torti 
Sembra  tenere  il  nuovo  regno  oppresso. 
Di  qua  e  di  là  per  la  città  divisa, 
Vedete  a  un  suon  di  vespro  tutta  uccisa. 
21 

Lor  mostra  poi  (ma  vi  parea  intervallo 


tornò'  nel  945  e  trovò  disposti  gli  animi, 
aperte  le  porte;  e  «lasciando  regnar  di 
nome  Ugo  e  Lotario,  governa  egli  »  (Balro, 
S.  104).  —  far  gran  fatti.  «  Fu  principe  tristis- 
simo per  costumi  e  pessime  arti,  ma  ebbe 
larghe  vedute  e  mano  molto  vigorosa  nel 
governo  d'Italia»  (Canti;,  S.  ^.  voi.  5, 166). 

—  2.  caccia  i  Berengari.  Qui  l'A.  confonde 
il  primo  e  il  secondo  Berengario.  Ugo  non 
ebbe  che  fare  col  primo,  che  era  già  morto- 
quando  egli  venne  in  Italia,  e  non  cacciò 
ma,  insidiandolo,  fece  che  fuggisse  d' Italia 
Kereng.  II. 

—  3.  E  due  0  tre  volte  ecc.  Continua  la 
confusione.  Berengario  II  una  sola  volta 
venne  contro  Ugo  e  non  fu  disfatto. 

—  4.  Unni...  Bavari.  Le  soldatesche  degli 
imperatori  tedeschi  Arnolfo  e  ottone,  dei 
quali  r  uno  favori  Bereug.  I,  l' altro  Be- 
reng.  II. 

—  5.  Poi  da  pili  forza  ecc.  Alla  dieta  che 
si  tenne  in  Milano  in  favore  di  Bereug.  II 
(945),  Ugo  si  contentò  di  mandare  il  tiglio 
Lottarlo  a  implorare  per  sé  il  regno  :  dopo 
due  anni  ritornò  in  Provenza,  raccoman- 
dando a  Berengario  il  giovine  re  suo  figlio, 
e  mori  nel  947.  Poco  dopo  mori  Lottario, 
forse  fatto  avvelenare  da  Berengario,  che 
aspettava  il  regno  d' Itaha. 

—  s.  cede;  passa;  latinismo,  icedit).  che 
la  Nuova  Crusca  non  cita. 

20.  1.  nn  altro  Carlo.  Carlo  d'Angiò  chia- 
mato da  Clemente  IV  (detto  per  ironia  il 
buon  pastore)  ruppe  a  Benevento  Manfredi, 
a  Tagliacozzo  Corradino  (che  non  fu  ucciso 
in  battagha,  ma  preso  a  tradimento  e  deca- 
pitato a  Napoli).  Divenne  re  di  Napoli  e  di 
Sicilia  (1266-1282).  Colla  rivoluzione  del  Ve- 
spro (1282)  fu  cacciato  dalla  Sicilia. 

—  7.  divisa;  dispersa  (la  sua  gente)  dalla 
rivoluzione  del  Vespro  Siciliano. 

21.  1.  vi  parea,  vi  appariva.  Dante,  Inf.  18^ 
117:  «  Che  non  parea  s'era  laico  o  cherco  ». 


Di  molti  e  molti,  non  ch'anni,  ma  lustri) 
Scender  dai  monti  un  capitano  Gallo, 
E  romper  guerra  ai  gran  Visconti  illustri; 
E  con  gente  Francesca  a  pie  e  a  cavallo 
Par  ch'Alessandria  intorno  cinga  e  lustri  ; 
E  che  '1  Duca  il  presidio  dentro  posto, 
E  fuor  abbia  l'agnato  un  po'  discosto; 
22 

E  la  gente  di  Francia  mal  accorta, 
Tratta  con  arte  ove  la  rete  è  tesa. 
Col  conte  Armeniàco,  la  cui  scorta 
L'avea  condotta  all'infelice  impresa. 
Giaccia  per  tutta  la  campagna  morta. 
Parte  sia  tratta  in  Alessandria  presa: 
E  di  sangue  non  men  che  d'acqua  grosso, 
Il  Tanaro  si  vede  il  Po  far  rosso. 
2.3 

Un,  detto  della  Marca,  e  tre  Angioini 
Mostra  l'un  dopo  l'altro,  e  dice:  Questi 


—  3.  nn  e.  Gallo;  il  conte  d'Armagnac 
(detto  dai  cronisti  latini  Armeniacus).  Chia- 
mato da' Fiorentini,  guerreggiò  contro  G. 
Galeazzo  visconti.  Mentre  era  all'  assedio 
di  Castellazzo,  pensò  d'andare  con  un  pugno 
d'armati  a  riconoscere  Alessandria  e  a  pro- 
vocare il  presidio  per  trarlo  fuori,  dispei-an- 
do  altrimenti  d'  espugnare  la  città  fortissi- 
ma ;  ma  appunto  sotto  .Aless.  fu  rotto  e  uc- 
ciso (1391)  dal  capitano  di  ventura  Jacopo 
Dal  Verme  al  soldo  dei  Visconti. 

—  4.  gran  Visconti  illustri.  Giangaleazzo 
fu  tristissimo  principe,  ma  fece  fiorire  le 
finanze,  fu  splendido  nelle  feste,  favori 
lettere  e  arti,  fu  amico  degli  Estensi  ;  l'A. 
n'avea  abbastanza  per  chiamarlo  grande  e 
illustre. 

—  6.  lustri;  vada  perlustrando;  osser- 
vando. Latinismo  usato  in  altro  senso  nel 
canto  III,  2.  3. 

—  7.  '1  Duca.  C  è  anacronismo,  parchi^ 
Gian  Galeazzo  ottenne  il  titolo  di  duca  solo 
nel  1395:  inoltre  non  era  il  Visconti  in  Ales- 
sandria; ma  le  sue  milizie. 

—  8.  1'  agnato.  Il  Dal  Verme  fece  appo- 
stare segretamente  300  lance  scelte,  che  do- 
veano  riuscire  ai  fianchi  e  alle  spalle  dei 
nemici:  quando  egli  ebbe  assaliti  i  Francesi 
e  li  ebbe  stancati  in  battaglia,  questi  armati 
freschi  piombarono  loro  addosso  e  li  fini- 
rono  (V.    AMMIRATO,   St.  fior.   3). 

23.  1.  Un  detto  ecc.  Giacomo  di  Borbone, 
conte  delle  Marche,  fu  sposato  dalla  regina 
di  Napoli  Giovanna  II  (1415);  volendo  essere 
re  di  fatto  e  non  di  nome,  suscitò  malumori 
e  dovè  fuggire  in  un  monastero.  —  tre  An- 
gioini. Poco  dopo,  invitato  da  un  geloso  fa- 
vorito della  regina,  venne  Luigi  III  d'Angiò 
(1417);  ma  fu  sconfitto:  pretesero  pure  al 
regno  di  Napoli  suo  fratello  Renato  e  il 
figlio  di  questi  Giovanni,  ma  furono  sopraf- 
fatti da  Alfonso  e  da  Ferdinando  d'Aragona. 


CANTO  XXXIII 


445 


À  Bruci,  a  Dauni,  a  Marsi,  a  Salentiui 
Vedete  come  son  spesso  molesti. 
Ma  né  de' Franchi  vai  né  de'Latini 
Aiuto  si,  ch'alcun  di  lor  vi  resti: 
Ecco  li  caccia  fuor  del  regno,  quante 
Volte  vi  vanno,  Alfonso,  e  poi  Ferrante. 
24 

Vedete  Carlo  ottavo,  che  discende 
Da  l'Alpe,  e  seco  ha  il  fior  di  tutta  Francia  ; 
Che  passa  il  Liri  e  tutto  '1  regno  prende 
Senza  mai  stringer  spada  o  abbassar  lan- 

[cia, 
Fuor  che  lo  scoglio  ch'a  Tifeo  si  stende 
Hu  le  braccia,  sul  petto  e  sulla  pancia; 
Che  del  buon  sangue  d'Avalo  al  contrasto 
La  virtù  trova  d' Inico  del  Vasto. 
25 

Il  Signor  della  rócca,  che  venia 
Quest'istoria  additando  a  Bradamante, 
Mostrato  che  l'ebbe  Ischia,  disse:  Pria 
Ch'a  vedere  altro  più  vi  meni  avante, 

10  vi  dirò  quel  ch'a  me  dir  solia 

11  bisavolo  mio,  quand'io  era  infante, 
E  quel  che  similmente  mi  dicea 

Che  da  suo  padre  udito  anch'esso  avea, 


—  :ì.  Bruci;  Bruzzi,  popoli  della  Calabria  ; 
Dauni,  pop.  della  Puglia  ;  Marsi,  pop.  dell'A- 
bruzzo; Salentiui,  pop.  della  Terra  d'Otran- 
to. Sono  nomi  antichi,  che  l'A.  pone  per 
significare  tutto  il  Napoletano. 

—  5.  de'  Latini,  degli  Italiani  parteggianti 
pei  Francesi.  Cosi  Dante,  Inf.  xxii,  65: 
«  Conosci  tu  alcun  che  sia  latino^.-». 

24.  3.  Liri,  fiume  che  bagna  le  Provincie 
di  Aquila,  Roma,  Caserta:  nell'ultima  parte 
prende  il  nome  di  Garigliano. 

—  4.  Senza  mai  ecc.  È  noto  che  Carlo  Vili 
conquistò  l'Italia  senza  colpo  ferire.  (V. 
Guicciardini,  S.  /.  lib.  II). 

—  5.  Fuor  che  lo  scoglio  ecc.  Ferdinando, 
a  cui  il  padre  Alfonso  avea  rinunziato  il 
regno,  tradito  dai  sudditi,  che  bramavano 
i  Francesi,  e  da  Gianiacopo  Trivulzio  che 
passò  dalla  loro  parte,  si  riparò  nell'isola 
d'Ischia  con  pochi  fidati;  Carlo  VIII  non 
riusci  ad  espugnare  questo  scoglio  difeso 
mirabilmente  da  Inico  d'Avalos  marchese 
del  Vasto,  che  ne  era  a  guardia  (1525)  (Guic- 
ciARD.  S.  /.  lib.  II,  2).  —  La  favola  antica 
diceva  che  sotto  lo  scoglio  d' Ischia  fosse 
sepolto  Tifeo  gigante,  che  fece  guerra  a 
Giove;  alla  quale  fantasia  dettero  origine  i 
fenomeni  vulcanici  dell'  Isola. 

—  7-8.  Che  ecc.;  poiché  trova  al  contra- 
sto, gli  resiste,  la  virtù  d' Inico  del  Vasto, 
del  buon  sangue  d'Avalo.  Avverti  l'inver- 
sione strana. 

25. 7.  similmente;  Modifica  anch'esso  ave- 
va udito. 


2(j 

E  '1  padre  suo  da  un  altro,  o  padre  o 
Avolo,  e  l'un  da  l'altro,  sin  a  quello  [fosse 
Ch'a  udirlo  da  quel  proprio  ritrovosse, 
Che  l'imagini  fé'  senza  pennello. 
Che  qui  vedete  bianche,  azzurre  e  rosse; 
Udi  che,  quando  al  Re  mostrò  il  castello 
Ch'or  mostro  a  voi  su  quest'altiero  scoglio, 
Gli  disse  quel  ch'a  voi  riferir  voglio. 
27 

Udi  che  gli  dicea  ch'in  questo  loco 
Di  quel  buon  cavallier  che  lo  difende 
Con  tanto  ardir,  che  par  disprezzi  il  fuoco 
Che  d'ognintorno  e  sino  al  faro  incende, 
Nascer  debbe  in  quei  tempi,  o  dopo  poco 
(E  ben  gli  disse  l'anno  e  le  calende) 
Un  cavalliero  a  cui  sarà  secondo 
Ogu' altro  che  sin  qui  sia  stato  al  mondo. 
28 

Non  fu  Nireo  si  bel,  non  si  eccellente 
Di  forze  Achille,  e  non  si  ardito  Ulisse, 
Non  si  veloce  Lada,  non  prudente 
Nestor,  che  tanto  seppe  e  tanto  visse, 
Non  tanto  liberal,  tanto  clemente, 
L'antica  fama  Cesare  descrisse; 
Che  verso  l'uom,  ch'in  Ischia  nascer  deve, 
Non  abbia  ogni  lor  vanto  a  restar  lieve. 
'    29 

E  se  si  gloriò  l'antiqua  Creta, 
Quando  il  nipote  in  lei  nacque  di  Celo, 

26.  G.  Odi.  Il  Soggetto  è  quello  {ch'a  udir- 
lo da  quel  proprio  ritrovosse)  del  v.  3. 

27.  2.  Di  quel  buon  cavallier.  Da  Inico  nac- 
que Alfonso  marchese  del  Vasto;  su  cui 
vedi  le  note  delle  st.  28  e  2V'  e.  xv,  e  i  grandi 
elogi,  che  fan  di  lui  altri  letterati,  in  Tira- 
boschi,  Istor.  lett.  VII,  77-79. 

—  3.  fuoco  ;  la  guerra  che  ardeva  in  tutto 
il  Napoletano. 

—  5.  in  quei  tempi  ecc.  Nacque  nel  1503 
e  mori  nel  1546. 

—  7.  sarà  secondo  ecc.  Il  Giovio,  Et.  Vir. 
bello  ili.  335,  dice  di  lui:  «  Idem  mortali  uni 
foìinosissimef  ei  foi-tissime  ducimi,  qui 
cunctos  saeeuli  nostri  triiiìnphales  du- 
ces  magnitudine  animi  et  perpetuo  libera- 
litatis  splendore  superasti  ». 

—  6.  le  calende;  il  mese:  è  esempio  forse 
unico.  I  nostri  antichi  lo  usarono  più  volte 
in  senso  latino  per  il  primo  del  mese. 

28.  1.  Nireo.  Il  più  bello  di  tutti  i  Greci 
dopo  Achille  (lliad.  1.  ii).  V.  la  nota  pre- 
cedente. 

—  3.  Lada,  veloce  corriere  di  Alessandro 
Magno  (Catullo  carme  55). 

—  5.  liberal  ...  clemente.  È  noto  che  Ce- 
sare fece  larghi  donativi  ai  soldati  e  ai  cit- 
tadini poveri,  e  perdonò  a  tutti  i  suoi  ne- 
mici. 

29.  2.    il  nip.    di  Celo.  Giove  figlio  di  Sa- 


446 


ORLANDO  FURIOSO 


Se  Tebe  fece  Ercole  e  Bacco  lieta, 
Se  si  vantò  dei  duo  gemelli  Delo; 
Né  questa  isola  avrà  da  starsi  cheta, 
Che  uon  s'esalti,  e  non  si  levi  in  cielo. 
Quando  nascerà  in  lei  quel  gran  Marchese 
Ch'avrà  si  d'ogni  grazia  il  ciel  cortese. 

30 
Merlin  gli  disse,  e  replicogli  spesso. 
Ch'era  serbato  a  nascere  all'etade, 
Che  più  il  Romano  Imperio  saria  oppresso, 
Acciò  per  lui  tornasse  in  libertade. 
Ma  perché  alcuno  de'  suoi  gesti  appresso 
Vi  mostrerò,  predirli  non  accade. 
Cosi  disse;  e  tornò  all'istoria,  dove 
Di  Carlo  si  vedean  l'inclite  prove. 

31 
Ecco  (dicea)  si  pente  Ludovico 
D'aver  fatto  in  Italia  venir  Carlo  ; 
Che  sol  per  travagliar  l'emulo  antico 
Chiamato  ve  l'avea,  non  per  cacciarlo: 
E  se  gli  scuopre  al  ritornar  nimico 
Con  Veneziani  in  lega,  e  vuol  pigliarlo. 
Ecco  la  lancia  il  Re  animoso  abbassa, 
Apre  la  strada,  e,  lor  mal  grado,  passa. 

32 
Ma  la  sua  gente  ch'a  difesa  resta 
Del  nuovo  regno,  ha  ben  contraria  sorte; 
Che  Ferrante,  con  l'opra  che  gli  presta 


turno  e  nipote  di  Urano  o  Celo,  nacque  in 
Creta. 

—  4.  duo  gemelli.  Apollo  e  Diana  nati  in 
Delo  da  Latona. 

—  5.  Né,  neppure.  V.  e.  ii,  ■11,  n.  4.  — 
cheta,  che  non  s'  esalti  ;  quieta  senza  esal- 
tarsi, quieta  si  che  non  si  esalti,  che  non 
levi  al  cielo  la  propria  gloria. 

30.  3.  il  Romano  Imperio  ecc.  L'impero 
da  Carlo  Magno  in  poi  si  appellò  sempre 
romano  e  anche  sacro!  —  oppresso;  gra- 
vato; specialmente  dalle  lotte  lunghe  e  dif- 
fìcili con  Francesco  I,  alle  quali  il  poeta 
allude  certamente  anche  per  dar  risalto  al 
re  Francese,  il  cui  valore  e  le  cui  virtù 
principesche  ammirava.  V.  st.  '18,  segg. 

—  6.  non  accade,  non  importa. 

31.  1.  Ludovico:  il  Moro,  che  aveva. chia- 
mato Carlo  vili  in  Italia. 

—  3.  l'emulo  antico  ;  il  re  di  Napoli,  che 
volea  travagliato  non  cacciato  dal  regno  ;  e 
meno  ancora  che  vi  si  stabilissero  i  Fran- 
cesi. 

—  8.  Apre  la  strada.  Accenna  alla  batta- 
taglia  di  Fornovo,  dove  Carlo  Vili  con  ar- 
dimento e  astuzia  passò  fra  l'esercito  della 
Lega. 

32.  3.  Ferrante.  Ferdinando  II  coli'  aiuto 
del  marchese  di  Mantova,  G.  Francesco 
Gonzaga,  e  dei  Veneziani,  batté  ad  Atella  i 
F'rancesi  rimasti  nel  Napoletano,  e  coman- 
dati da  Montpensier. 


Il  Signor  Mantuan,  torna  si  forte, 
Ch'in  pochi  mesi  non  ne  lascia  testa, 
O  in  terra  o  in  mar,  che  non  sia  messa  a 

[morte: 
Poi  per  un  uom  che  gli  è  conf  raude  estinto. 
Non  par  che  senta  il  gaudio  d'aver  vinto. 

33 
Cosi  dicendo,  mostragli  il  Marchese 
Alfonso  di  Pescara,  e  dice:  Dopo 
Che  costui  comparito  in  mille  imprese 
Sarà  più  risplendente  che  piropo. 
Ecco  qui  ne  l'insidie  che  gli  ha  tese 
Con  un  trattato  doppio  il  rio  Etiòpo, 
Come  scannato  di  saetta  cade 
Il  miglior  cavallier  di  quella  etade. 

34 
Poi  mostra  ove  il  duodecimo  Luigi 
Passa  con  scorta  italiana  i  monti  ; 
E,  svelto  il  Moro,  pon  la  Fiordaligi 
Nel  fecondo  terren  già  de'  Visconti: 
Indi  manda  sua  gente  pei  vestigi 


—  7.  per  nn  nom;  Alfonso  d'Avalos,  padre 
del  celebre  marchese  di  Pescara;  il  quale 
corruppe  un  moro,  (il  rio  Etiopo)  perché 
introducesse  gli  Aragonesi  nel  Castel  Nuovo 
di  Napoli  tenuto  dai  Francesi  :  ma  il  moro 
patteggiò  anche  con  questi  (con  un  trattato 
doppio)  ;  e,  fatto  venire  una  notte  a  parla- 
mento il  march.  Alfonso,  lo  uccise  con  una 
freccia  nella  gola. 

34.  1.  Poi  mostra  ecc.  dopo  Carlo  Vili, 
Luigi  XII  e  le  sue  imprese  a  danno  dell'Ita- 
lia. Volle  riprendere  il  milanese  al  Moro  e, 
cattivatasi  l'amicizia  dei  Veneziani  e  del 
Papa,  scese  con  un  esercito  condotto  da 
Gianiacopo  Trivulzio  (scorta italiana)  e  vinse 
il  Moro,  che  fuggi  in  Germania  (1199).  Mi- 
lano avrebbe  potuto  resistere,  se  non  vi  era 
il  tradimento,  di  cui  alla  st.  36. 

—  3.  svelto  il  Moro.  Il  Moro  aveva  nello 
stemma  un  gelso  o  moro  :  di  qui  l'imma- 
gine. —  Fiordaligi  V.  e.  xiv,  8. 

—  5.  Indi  manda  ecc.  Luigi  XII  per  toglier- 
si il  regno  di  Napoli  tramò  una  frode  con 
Ferdinando  il  Cattolico,  il  quale  doveva  fin- 
gere di  sostenere  il  re  di  Napoli  Federigo  II; 
poi,  giunti  i  Francesi,  insieme  combatterlo. 
Cosi  fecero.  Ma  dopo  poco  tempo  i  due  tra- 
ditori non  andarono  d'accordo  e  i  Francesi 
furon  battuti  da  Consalvo  di  Cordova  prima 
a  Seminara  e  alla  Cirignola  (Puglia),  poi 
sul  Garigliano  (1503).  Avverti  che  qui,  trat- 
tandosi di  pitture,  non  abbiamo  la  conti- 
nuità della  storia,  ma  quadri  dei  fatti  prin- 
cipali. Quivi  dunque  si  vedevano  i  Francesi 
al  Garigliano  (1503)  intenti  a  gettareil  ponte 
e  passare  (GuicciARDrar,  S.  I.  lib.  0  cap.  2), 
mentre  Cousalvo  si  opponeva:  e  un  altro 
quadro  appresso  rappresentava  la  disfatta 
che  ebbero  i  Francesi  stessi  su  quel  fiume, 


I 


CANTO  XXXIII 


447 


Di  Carlo,  a  far  sul  Garigliano  i  ponti; 
La  quale  appresso  andar  rotta  e  dispersa 
Si  vede,  e  morta,  e  nel  fiume  suramersa. 
35 

Vedete  in  Puglia  non  minor  macello 
De  l'esercito  Franco  in  fuga  volto; 
E  Consalvo  Ferrante  Ispano  è  quello 
Che  due  volte  alla  trappola  l'ha  colto. 
E  come  qui  turbato,  cosi  bello 
Mostra  Fortuna  al  re  Luigi  il  volto 
Nel  ricco  pian  che,  fin  dove  Adria  stride, 
Tra  l'Apennino  e  l'Alpe  il  Po  divide. 
36 

Cosi  dicendo,  sé  stesso  riprende       [to; 
Che  quel  ch'avea  a  dir  prima,  abbia  lascia- 
E  torna  a  dietro,  e  mostra  uno  che  vende 
Il  Castel  che  '1  Signor  suo  gli  avea  dato: 
Mostra  il  perfido  Svizzero  che  prende 
Colui  ch'a  sua  difesa  l' ha  assoldato; 
Le  quai  due  cose  senza  abbassar  lancia, 
Han  dato  la  vittoria  al  Re  di  Francia. 
37 

Poi  mostra  Cesar  Borgia  col  favore 
Di  questo  Re  farsi  in  Italia  grande; 
Ch'ogni  baron  di  Roma,  ogni  Signore 
Suggietto  a  lei  par  ch'in  esilio  raande. 
Poi  mostra  il  Re  che  di  Bologna  fuore 
Leva  la  Sega,  e  vi  fa  entrar  le  Giande, 


Poi  come  volge  i  Genovesi  in  fuga 
Fatti  ribelli  e  la  città  suggiuga. 
38 

Vedete  (dice  poi)  di  gente  morta 
Coperta  in  Giaradadda  la  campagna. 
Par  ch'apra  ogni  cittade  al  Re  la  porta, 
E  che  Venezia  appena  vi  rimagna. 
Vedete  come  al  Papa  non  comporta 
Che,  passati  ì  confini  di  Romagna, 
Modana  al  duca  di  Ferrara  toglia; 
Né  qui  si  fermi,  e  '1  resto  tòr  gli  voglia: 
39 

E  fa  all'  incontro  a  lui  Bologna  tórre; 
Che  v'entra  la  Bentivola  famiglia. 
Vedete  il  campo  de'  Francesi  porre 
A  sacco  Brescia,  poi  che  la  ripiglia; 
E  quasi  a  un  tempo  Felsina  soccorre. 


mentre  cercavano  di  passarlo  per  recare 
aiuti  in  Napoli.  La  disfatta  toccata  in  Pu- 
glia, e  che  precedette  quella  del  Garigliano, 
era  rappresentata  in  un  altro  quadi'o  li 
presso. 

35.  5.  E  come  qui  ecc.  Dice,  ili  generale, 
che,  mentre  nell'  impresa  di  Napoli  Luigi  Xlf 
fu  sfortunato,  fu  invece  assai  fortunato  nel 
Milanese  <nella  ricca  pianura  del  Po,  com- 
presa fra  l'Appennino  l'Alpe  e  l'Adriatico). 

36.  —  Questa  stanza  parla  di  fatti,  che 
sono  antecedenti  alla  presa  del  Napoletano 
e  si  riferiscono  alla  conquista  del  Milanese, 
di  cui  alla  st.  31. 

—  3.  nno  che  vende.  Bernardino  da  Corte, 
che  cedette,  per  oro,  ai  Francesi  il  castello 
di  Milano. 

—  5.  il  perfido  Svizzero.  Lodovico  il  Moro 
nel  1500  ritornò  di  Germania,  e  con  merce- 
nari Svizzeri  tentò  di  riconquistare  il  du- 
cato, ma  i  suoi  soldati,  col  pretesto  di  non 
voler  battersi  contro  altri  Svizzeri  tenuti 
dai  Francesi,  lo  tradirouo  e  lo  consegnarono 
al  nemico. 

37.  1.  Cesare  Borgia,  ebbe  da  Luigi  XII  il 
titolo  di  duca  e  aiuti  a  levar  di  mezzo  i 
signorotti,  che  teuevan  parte  dello  Stato 
pontificio  (Baron  di  Roma). 

—  4.  a  lei,  a  Roma. 

—  0.  Leva  la  Sega.  Il  re  di  Francia  dette 
aiuto  a  papa  Giulio  II  per  cacciare  da  Bo- 
logna i  Bentivoglio  (1506)  (che  aveano  nel- 


1'  arme  una  sega)  e  stabilirvi  l'autorità  pa- 
pale (una  quercia  con  ghiande  d'oro  era 
nello  stemma  di  Giulio  II  Della  Rovere). 

—  7.  1  Genovesi  ;  prima  sojjgètti  agli  Sfor- 
za, passano,  colla  conquista  di  Milano,  sotto 
i  Francesi;  pur  reggendosi  a  repubblica. 
Ma  le  discordie  fra  nobili  e  popolo  spin- 
sero le  cose  al  punto,  che  questo  si  sollevò, 
chiese  aiuti  al  papa,  e  elesse  a  suo  capo  un 
tal  Paolo  da  Novi.  Luigi  XII  accorse  e  colle 
armi  sottomise  la  città  (1507). 

38.  2.  Giaradadda  ;  paese  fra  l' Adda  e 
roglio;  vi  avvenne  la  famosa  battaglia  d'A- 
gnadello  dei  Francesi  contro  i  Veneziani 
(U  maggio  1509). 

—  5.  non  comporta;  non  permette.  Il  sog- 
getto è  il  re  di  Fr.  Dante,  Par.  25,  63: 
«  E  la  grazia  di  Dio  ciò  gli  comporti  ».  È 
vivo  ancora.  —  Papa  Giulio  II,  ostilissimo  al 

j  duca  di  Ferrara,  aveagli  tolto  i  suoi  pos- 
sessi di  Romagna  (1510),  poi  Carpi,  Modena 
i  (18  ag.  1510)  e  altre  terre,  e  si  avviava  alla 
I  conquista  di  Ferrara.  I  Francesi  aiutarono 
!  il  duca  prima  debolmente,  poi,   comandati 
I  dal  Trivulzio,  più  efiìcacemente:  ritolsero  al 
I  papa  molte  terre  e  anche  Bologna,  dove  ri- 
i  misero  i  Bentivogli  (22  maggio  1511);  Mode- 
!  na  fu  data  in  deposito  all'  Imperatore,  che 
!  più  tardi  la  restituì  al  duca  di  Ferrara. 
I       —  8.  Né  q.  s.  f.  Questo  verso  è  legato  un 
i  po'  liberamente  a  quel  che  precede.  Inten- 
di :  gli  vieta  che  non  si  fermi  qui  ;  cioè  di 
continuare  i  suoi  progetti  e  di  torgli  il  re- 
sto, come  era  sua  intenzione. 

39.  4.  A  sacco  Brescia.  Brescia  si  era  ribel- 
lata ai  Francesi  per  le  loro  prepotenze:  ma 
fu  da  loro  presa  e  messa  a  sacco  (1512, 
18  febbr.). 

j  — -  5.  Felsina.  Fu  il  primitivo  nome  di 
{  questa  città  etrusca;  che  poi.  sembra  dai 
!  Galli  Boi,  fu  detta  Bononia,  Bologna.  — 
!  «  Ricuperata  Brescia...  (Gastone  di  Fois)  de- 
!  liberò  d'andare  contro  all'esercito  de'colle- 


448 


ORLANDO  FURIOSO 


E  '1  campo  Ecclesiastico  scompiglia: 
E  l'uno  e  l'altro  poi  nei  luoghi  bassi  • 
Par  si  riduca  del  lito  de'  Chiassi. 

40  [grossa 

Di  qua  la  Francia,  e  di  là  il  campo  in- 
La  gente  Ispana;  e  la  battaglia  è  grande. 
Cader  si  vede,  e  far  la  terra  rossa 
La  gente  d'arme  in  amendua  le  bande. 
Piena  di  sangue  uman  pare  ogni  fossa: 
Marte  sta  in  dubbio  u'  la  vittoria  maude. 
Per  virtù  d'un  Alfonso  alfin  si  vede 
Che  resta  il  Franco  e  che  l' Ispano  cede; 
41 

E  che  Ravenna  saccheggiata  resta: 
Si  morde  il  Papa  per  dolor  le  labbia, 
E  fa  da'  monti  a  guisa  di  tempesta. 
Scendere  in  fretta  una  Tedesca  rabbia. 
Ch'ogni  Francese,  senza  mai  far  testa, 
Di  qua  da  l'Alpe  par  che  cacciat' abbia, 
E  che  posto  un  rampollo  abbia  del  Moro 
Nel  giardino,  onde  svelse  i  Gigli  d'oro. 
42 

Ecco  torna  il  Francese:  eccolo  rotto 
Da  l'infedele  Elvezio  ch'in  suo  aiuto 
Con  troppo  rischio  ha  il  giovine  condotto, 
Del  quale  il  padre  avea  preso  e  venduto. 
Vedete  poi  l'esercito,  che  sotto 
La  ruota  di  Fortuna  era  caduto. 
Creato  il  novo  Re,  che  si  prepara 
De  l'onta  vendicar,  ch'ebbe  a  Novara: 


I  43 

ì      E  con  migliore  auspizio  ecco  ritorna. 

I  Vedete  il  re  Francesco  inanzi  a  tutti. 
Che  cosi  rompe  a'  Svizzeri  le  corna. 
Che  poco  resta  a  non  gli  aver  distrutti: 
Si  che  '1  titolo  mai  più  non  gli  adorna, 

j  Ch'usurpato  s'avran  quei  villan  brutti, 
Che  domator  de'  Principi  e  difesa 
Si  nomeran  de  la  Cristiana  Chiesa. 

j  44 

}     Ecco,  mal  grado  de  la  lega,  prende 
Milano,  e  accorda  il  giovene  Sforzesco. 

j  Ecco  Borbou  che  la  città  difende 
Pel  Re  di  Francia  dal  furor  Tedesco. 

i  Eccovi  poi,  che,  mentre  altrove  attende 

i  Ad  altre  magne  imprese  il  Re  Francesco, 

;  Né  sa  quanta  superbia  e  crudeltade 
Usino  i  suoi,  gli  è  tolta  la  cittade. 
45 
Ecco  un  altro  Francesco  eh'  assimiglia 
Di  virtù  all'avo,  e  non  di  nome  solo; 


gali,  il  quale  partendosi  dalle  mura  di  Bo- 
logna, si  era  fermato  nel  Bolognese  »  Guic- 
ciardini S.  I.  lib.  10,  e.  4. 

—  7.  E  l'uno  e  l'altro:  i  Francesi  e  i  pon- 
tifici con  gli  Spaguuoli  si  ridussero  poi  a 
Chiassi  o  Classe  presso  Ravenna,  dove  se- 
gui la  famosa  battaglia  (11  aprile  1512). 

40  7.  Per  virtii  d'un  Alf.  V.  e.  XIV,  3,  n. 
4,  5,  6, 

41.  4.  una  Tedesca  rabbia;  un  esercito  di 
Svizzeri  condotti  dal  cardinale  di  Sion,  i 
quali  cacciarono  i  Francesi  dalla  Lombar- 
dia e  vi  ristabilirono  Massimiliano  Sforza, 
figliuolo  di  Lodovico  (1512  giugno).  L'astrat- 
to rabbia  per  gente  rabbiosa  usò  già  Dante, 
Purff,  XI,  113:  «La  rabbia  fiorentina,  che 
superba  Fu  a  quel  tempo  si  com'era  è 
putta  ».  E  forse  e'  è  un  ricordo  della  tede- 
scarabbia  del  Petrarca,  Canz.  Italia  mia. 

42.  1.  Ecco  ecc.  I  Francesi  tornano,  con- 
dotti dal  La  Tremouille  e  dal  Trivulzio,  ma 
son  battuti  dagli  Svizzeri  a  Novara  (1513, 
C  giugno).  Il  giovane  che  conduce  al  suo 
soldo  trli  Svizzeri  è  Massimiliano  Sforza. 

—  7.  il  novo  re  ;  Francesco  I  (eletto  re 
nel  1515)  vince  a  Marignaiio  gli  Svizzeri 
(14  sett.  1515),  e  vendica  la  sconfitta  toccata 
a  Novara  dai  Francesi. 

—  5-8.  l'esercito  ecc.  Vedete  1'  esercito, 
che  era  caduto  s.  1.  r.  d.  fort.,  vedetelo  che 


sì  prepara,  creato  il  nuovo  re,  a  vendicarsi 
de  l'onta  ecc.  Vendicare  per  vendicarsi 
l'abbiamo  auche  nel  e.  xlv,  16,  4.  Non  ci- 
tasi dai  vocabolari  quest'  uso  notevole. 

43.  5.  '1  titolo  ecc.  Gli  Svizzeri  portavano 
allora  scritto  nel  loro  gonfalone:  Domato- 
res  princiiJUtn.  Amatores  iustitiae.  Defen- 
sores  Sanctae  Romanae  Ecclesiae  (.Mura- 
tori ;  Ann.  ad  ann.). 

44.  1.  Ecco  ecc.  Francesco  I,  vinti  gii 
Svizzeri  a  Marignano,  entrò  in  Milano;  e 
lo  Sforza  dovette  capitolare  e  rinunziare 
ai  suoi  Stati  (accorda  la  presa  di  Milano) 
in  favore  del  re  di  Francia,  cui  non  avea 
potuto  resistere  l'esercito  della  Lega  (Papa, 
Imperatore,  Firenze,  Ferd.  d'Aragona). 

—  3.  Ecco  Borbon,  Dopo  Marignano,  ai 
primi  del  1516,  Francesco  ritornò  in  Fran- 
cia, lasciando  suo  luogotenente  a  Milano  il 
duca  Carlo  di  Borbone.  Intanto  per  ripren- 
dere il  Milanese  venne  (1516)  l'imperatore 
Massimiliano,  a  cui  il  Borbone  resistette; 
sicché  l'imperatore,  avendo  rinunziato  al- 
l'impresa, se  ne  tornò  in  patria. 

—  5.  altrove  attende.  Nel  1521  gli  impe- 
riali aveano  portato  le  armi  in  Francia 
stessa,  dove  il  re  era  perciò  trattenuto; 
inoltre  era  minacciato  da  Enrico  Vili  d'In- 
ghilterra. 

—  8.  gli  è  tolta  la  e.  ;  dalle  armi  impe- 
riali e  pontificie  collegate  (1521).  I  milanesi 
stanchi  del  mal  governo  francese  (super- 
bia e  crudeltate)  contribuirono  a  questa 
vittoria  dei  collegati  e  al  ristabilimento  della 
casa  Sforza. 

45.  1.  Francesco  II  Sforza,  figlio  di  Lodo- 
vico il  Moro  e  nipote  del  grande  France- 
sco, che  di  capitano  di  ventura  divenne 
duca  di  Milano.  Mentre  il  Lautrec  era  an- 


CANTO  XXXIII 


449 


Che,  fatto  uscirne  i  Galli,  si  ripiglia 
Col  favor  de  la  Chiesa  il  patrio  suolo. 
Francia  anco  torna,  ma  ritien  la  briglia, 
Né  scorre  Italia,  come  suole,  a  volo; 
Che  '1  buon  Duca  di  Mantua  sul  Ticino, 
Le  chiude  il  passo,  e  le  taglia  il  camino. 

46 
Federico,  ch'ancor  non  ha  la  guancia 
De'  primi  fiori  sparsa,  si  fa  degno 
Di  gloria  eterna,  ch'abbia  con  la  lancia. 
Ma  più  con  diligeuzia  e  con  ingegno, 
Pavia  difesa  dal  furor  di  Francia, 
E  del  Leon  del  mar  rotto  il  disegno. 
Vedete  duo  Marchesi,  ambi  terrore 
Di  nostre  genti,  ambi  d'Italia  onore; 
47 
Ambi  d'un  sangue,  ambi  in  un  nido  nati. 
Di  quel  Marchese  Alfonso  il  primo  è  figlio, 
Il  qual  tratto  dal  Negro  negli  aguati 
Vedeste  il  teiTen  far  di  sé  vermiglio. 
Vedete  quante  volte  son  cacciati 


Cora  intorno  a  ]SIilano  e  a  Pavia  per  rito- 
gliersi queste  città  perdute  l'anno  prece- 
dente, Fr.  Sforza,  sostenuto  dalle  armi  dei 
collegati,  rientrò  in  Milano.  Il  popolo  ne  fece 
gran  festa,  ma  più  papa  Leone,  che  ordinò 
perfino  grandi  feste  in  Roma.  (V.  Murat. 
A7in.). 

—  3.  fatto  uscirne.  Veramente  erano  già 
usciti,  ma  tenevano  assediata  Milano  per 
riconquistarla.  —  fatto;  e.  ix,  32,  n.  1. 

—  5.  torna;  torna  indietro  per  fuggire, 
come  avea  fatto  altre  volte;  ma  questa 
volta  trovò  un  impedimento  a  Pavia,  dove 
teneva  forte  guarnigione  il  Marchese  di 
Mantova. 

—  7.  buon  duca  di  M.  Federigo  II  Gonzaga, 
il  primo  che  portò  il  titolo  di  duca,  confe- 
ritogli da  Carlo  V  nel  1530,  fu  protettore  di 
letterati  e  artisti  e  gran  capitano.  Nel  1522, 
quando  avea  22  anni,  sostenne  con  grande 
accorgimento  e  valore  la  fortezza  di  Pavia 
contro  il  Lautreo  e  contro  i  Veneziani  al- 
leati dei  Francesi. 

46.  2.  si  fa  degno:  è  stimato  degno.  In- 
terpretando cosi  è  chiaro  il  seguente  con- 
giuntivo: che  abbia,  perché  abbia;  il  quale 
indica  clie  questo  fatto  d' armi  è,  nella  mente 
dei  suoi  estimatori,  fondamento  della  gloria 
del  Gonzaga. 

—  6.  del  Leon  del  mar;  di  Venezia  poten- 
tissima in  mare,  e  alleata,  in  questa  guerra, 
con  Francia. 

—  7.  duo  Marchesi.  Il  Marchese  del  Vasto 
e  il  Marchese  di  Pescara,  cugini,  si  segna- 
larono spesso  in  queste  guerre,  special- 
mente alla  Bicocca,  e  a  Pavia,  contribuendo 
alla  vittoria  degli  imperiali. 

47.  3.  dal  Negro.  V.  st.  35. 


D'Italia  i  Franchi  pel  costui  consiglio. 
L'altro  di  si  benigno  e  lieto  aspetto 
Il  Vasto  signoreggia,  e  Alfonso  è  detto. 
48 

Questo  è  il  buon  cavallier  di  cui  dicea, 
Quando  l'isola  d'Ischia  vi  mostrai, 
Che  già  profetizzando  detto  avea 
Merlino  a  Fieramonte  cose  assai: 
Che  differire  a  nascere  dovea 
Nel  tempo  che  d'aiuto  più  che  mai 
L'afflitta  Italia,  la  Chiesa  e  l'Impero 
Contra  ai  barbari  insulti  avria  mistiero. 
49 

Costai  dietro  al  cugin  suo  di  Pescara 
Con  l'auspicio  di  Prosper  Colonnese, 
Vedete  come  la  Bicocca  cara 
Fa  parere  all'Elvezio  e  più  al  Francese. 
Ecco  di  nuovo  Francia  si  prepara 
Di  ristaurar  le  mal  successe  imprese. 
Scende  il  re  con  un  campo  in  Lombardia; 
Un  altro,  per  pigliar  Napoli,  invia. 
50 

Ma  quella  che  di  noi  fa,  come  il  vento 
D'arida  polve,  che  l'aggira  in  volta. 
La  leva  fin  al  cielo,  e  in  un  momento 
A  terra  la  ricaccia,  onde  l'ha  tolta; 
Fa  ch'intorno  a  Pavia  crede  di  cento 
Mila  persone  aver  fatto  raccolta 
Il  Re,  che  mira  a  quel  che  di  man  gli  esce, 
Non  se  la  gente  sua  si  scema  o  cresce. 
51 

Cosi  per  colpa  de'  ministri  avari, 
E  per  bontà  del  Re  che  se  ne  fida. 
Sotto  l'insegne  si  raccoglion  rari, 

—  6.  pel  costui  cousiglio  ;  per  iì  suo  ac- 
corgimento in  guerra.  Infatti  contribuì  più 
volte  alla  disfatta  dei  Francesi. 

49.  3.  la  Bicocca.  Castello  a  tre  miglia  da 
Milano;  dove  Prospero  Colonna  comandante 
degli  imperiali  si  era  fortificato  e  dove  ruppe 
i  Francesi  comandati  dal  Lautrec,  e  gli  Sviz- 
zeri. Si  dice  che  3000  di  questi  restassero 
sul  campo  e  altrettanti  Francesi  (22  aprile 
1522). 

—  7.  Scende  il  re.  Francesco  I,  volendo  ri- 
prendere il  Milanese,  viene  con  un  forte 
esercito  (1524)  e  ne  manda  una  parte,  sotto 
il  comando  del  Duca  d'Albania,  alla  conqui- 
sta del  regno  di  \apoli. 

50.  1.  Ma  quella,  la  fortuna. 

—  7.  quel  che  di  man  ecc.  «  Il  re  France- 
sco nella  Certosa  di  Pavia  attendendo  so- 
lamente a  vani  piaceri  e  divertimenti  senza 
curarsi  di  assistere  alle  rassegne  dei  solda- 
ti, si  credeva  d'avere  un  gran  numero  di 
combattenti,  e  veramente  li  pagava,  come 
se  li  avesse  ;  ma  per  negligenza  dei  mini- 
stri e  frode  dei  capitani,  mancanti  di  molto 
eran  tutte  le  compagnie»  (  Ml"r.at.,  Ann. 
ad  ann.). 


AUJOSTO 


L'a 


450 


ORLANDO  FURIOSO 


Quando  la  notte  il  campo  all'arme  grida, 
Che  si  vede  assalir  dentro  i  ripari 
Dal  sagace  Spagnuol,  che  con  la  guida 
Di  duo  del  sangue  d'Avalo  ardiria 
Farsi  nel  Cielo  e  ne  lo  'nferno  via. 
52 

Vedete  il  meglio  de  la  nobiltade 
Di  tutta  Francia  alla  campagna  estinto. 
Vedete  quante  lance  e  quante  spade 
Han  d'ognintorno  il  Re  animoso  cinto  : 
Vedete  che  '1  destrier  sotto  gli  cade; 
Né  per  questo  si  rende,  o  chiama  vinto-, 
Ben  ch'a  lui  solo  attenda,  a  lui  sol  corra 
Lo  stuol  nimico,  e  non  è  chi  '1  soccorra. 
53 

Il  Re  gagliardo  si  difende  a  piede, 
E  tutto  de  l'ostil  sangue  si  bagna: 
Ma  virtù  al  fine  a  troppa  forza  cede. 
Ecco  il  Re  preso,  et  eccolo  in  Ispagna: 
Et  a  quel  di  Pescara  dar  si  vede, 
Et  a  chi  mai  da  lui  non  si  scompagna, 
A  quel  del  Vasto,  le  prime  corone 
Del  campo  rotto  e  del  gran  Re  prigione. 
54 

Rotto  a  Pavia  l'un  campo  e  l'altro  ch'era, 
Per  dar  travaglio  a  Napoli,  in  camino. 
Restar  si  vede,  come,  se  la  cera 
Gli  manca  o  l'olio,  resta  il  lumicino. 
Ecco  che  '1  Re  ne  la  prigione  Ibera 
Lascia  i  figliuoli,  e  torna  al  suo  domino: 
Ecco  la  a  un  tempo  egli  in  Italia  guerra; 
Ecco  altri  la  fa  a  lui  ne  la  sua  terra. 


51.  6.  con  la  guida  ecc.  Nella  battaglia  di 
Pavia  (24  febbr.  1525)  il  Marchese  di  Pescara 
fu  veramente  l'Achille  dell'armata  cesarea; 
e  fu  coadiuvato  dal  cugino  Alfonso. 

53.  1.  il  re  gagliardo.  Frano.  I  fece  vera- 
mente prodigi  di  valore  in  quella  battaglia. 

54.  1.  l'altro,  che  era  giunto  nello  Stato 
romano,  avvenuto  il  disastro  di  Pavia,  si 
sciolse  e  il  Duca  d'Albania  tornò  in  Francia. 

—  6.  Lascia  i  figlinoli.  Francesco  I  fu  li- 
berato da  Carlo  V,  sotto  alcuni  patti,  per 
il  cui  mantenimento  dette  ostaggi  due  dei 
suoi  figliuoli. 

—1  8.  altri  ecc.  Non  trovo  a  chi  l'A.  vo- 
glia determinatamente  alludere.  Alcuni  in- 
tendono Arrigo  viri  di  Inghilterra,  ma  egli 
in  questo  tempo  (1525-1528)  fu  amico  colle- 
gato di  Francesco  I  (Hume,  St.  d'ingh.  V, 
cap.  30).  Né  altre  molestie  ebbe  la  Francia  ; 
anzi  il  re  si  dette,  trascurando  gli  atTari, 
ai  sollazzi  e  ai  piaceri.  Se  non  vi  è  una 
inesattezza,  condonabile  al  cumulo  e  alla 
confusione  degli  avvenimenti  in  ([uesto  pe- 
riodo, si  potrebbe  intendere  della  guerra 
morale  che  Carlo  V  faceva  a  Francesco  I, 
intimandogli  il  mantenimento  del  trattato 
di  Madrid,  mentre  invece  il  re  di  Francia 
si  univa  alla  Santa  Lega  contro  la  Spagna,  | 


'  55 

Vedete  gli  omicidii  e  le  rapine 
In  ogni  parte  far  Roma  dolente; 

\  E  con  incendi  e  stupri  le  divine 

I  E  le  profane  cose  ire  ugualmente. 

!  Il  campo  de  la  Lega  le  mine 

'  Mira  d'appresso,  e '1  pianto  e  '1  grido  sente, 
E  dove  ir  dovria  innanzi,  torna  in  dietro, 

I  E  prender  lascia  il  successor  di  Pietro. 

I  56 

!     Manda  Lotrecco  i  I  Re  con  nuove  squadre 

j  Non  più  per  fare  in  Lombardia  l'impresa. 
Ma  per  levar  de  le  mani  empie  e  ladre 
11  capo  e  l'altre  membra  de  la  Chiesa; 
Che  tarda  si,  che  trova  al  Santo  Padre 
Non  esser  più  la  libertà  contesa. 
Assedia  la  cittade  ove  sepolta 
E  la  Sirena,  e  tutto  il  regno  volta. 
57 
Ecco  l'armata  imperiai  si  scioglie 
Per  dar  soccorso  alla  città  assediata; 


e  inviava  (un  po' tardi  invero)  un  esercito 
(1526),  che  aiutasse  i  collegati.  Sappiamo 
che  la  lentezza  di  questi  aiuti  e  la  debolezza 
del  duca  d' Urbino,  capo  dell'esercito  della 
Lega,  dette  agio  al  Borbone  di  fare  il  sacco 
di  Roma. 

55.  1.  Vedete  ecc.  Si  accenna  al  sacco  di 
Roma  (1527).  Il  poeta,  che  in  questo  brano 
non  colpisce  mai  Carlo  V,  non  si  perita  di 
pai'lare  di  questa  infamia  del  sacco  di  R., 
perché  è  noto  che  Carlo  V  finse  ipocrita- 
mente di  averne  avuto  dolore;  vesti  a  lutto 
e  ordinò  preghiere  per  la  liberazione  del 
papa,  prigioniero  dell'esercito. 

—  5.  il  campo  della  Lega,  tra  Papa,  Ve- 
nezia, Francia,  a  cui  aderirono  altri  prin- 
cipi italiani  (1526). 

—  7.  torna  indietro.  L'esercito  della  Lega 
era,  al  principio  del  sacco  di  Roma,  in  To-' 
scana,  ma  ei-a  stato  inviato  Guido  Rangone 
per  soccorrere  la  città:  egli,  arrivato  alle 
porte  e  saputa  la  invasione  degli  imperiali, 
si  ritirò  a  Otricoli.  L'  esercito  della  Lega 
poi  barcamenò,  sempre  a  poca  distanza  da 
Roma,  ma  non  si  risolvette  mai  a  tentarne 
l'occupazione. 

56.  1.  manda  L.  ecc.  Il  re  di  Francia,  d'ac- 
cordo col  re  d'Inghilterra  Enr.  vili,  risolve 
di  dare  aiuto  a  Roma;  e  manda  Lautrec 
col  titolo  di  Capitano  generale  della  Lega 
(giugno  1527);  egli  però  s'indugia  tanto  in 
Lombardia,  che  Carlo  V  dette  ordine  di  li- 
berare il  pontefice;  e  Lautrec  allora  si  di- 
resse su  Napoli  (dove  secondo  la  fav.  è  se- 
polta la  sirena  Partenope). 

—  S.  volta;  volta  da  parte  imperiale  a 
parte  francese  ;  volge  a  favore  dei  Francesi. 

57.  I.  si  scioglie.  V.  e.  xix,  41.  L'armata 
imper.  salpò  (si  sciolse)  da  Posillipo,  per 


CANTO  xxxm 


451 


Et  ecco  il  Doria  che  la  via  le  toglie, 
E  l'ha  nel  mar  sommersa,  arsa  e  spezzata. 
Ecco  Fortuna  come  cangia  voglie. 
Sin  qui  a'  Francesi  si  propizia  stata; 
Che  di  febbre  gli  uccide,  e  non  di  lancia, 
Si  che  di  mille  un  non  ne  torna  in  Francia. 
58 

La  sala  queste  et  altre  istorie  molte, 
'     Che  tutte  saria  lungo  riferire. 
In  varii  e  bei  colori  avea  raccolte; 
Ch'era  ben  tal  che  le  potea  capire. 
Tornano  a  rivederle  due  e  tre  volte, 
Né  par  che  se  ne  sappiano  partire; 
E  rileggon  più  volte  quel  ch'in  oro 
Si  vedea  scritto  sotto  il  bel  lavoro. 
59 

Le  belle  donne,  e  gli  altri  quivi  stati 
Mirando  e  ragionando  insieme  un  pezzo, 
Fur  dal  Signore  a  riposar  menati; 
Ch'onorar  gli  osti  suoi  molt'era  avvezzo. 
Già  sendo  tutti  gli  altri  addormentati, 
Bradamante  a  corcar  si  va  da  sezzo; 
E  si  volta  or  su  questo  or  su  quel  fianco; 
Né  può  dormir  sul  destro,  né  sul  manco. 
60 

Pur  chiude  alquanto  appresso  all'alba  i 
E  di  veder  le  pare  il  suo  Ruggiero,  [lumi, 
Il  qual  le  dica:  Perché  ti  consumi, 
Dando  credenza  a  quel  che  non  è  vero? 
Tu  vedrai  prima  all'erta  andare  i  fiumi, 
Ch'ad  altri  mai,  ch'a  te,  volga  il  pensiero. 
S'io  non  amassi  te,  né  il  cor  potrei 


andare  contro  8  galee  di  Filippino  Doria, 
che  era  intorno  a  Salerno  e  che  impediva 
l'avvicinarsi  di  navi,  che  portassero  viveri 
agli  assediati.  Voleva  tirare  il  Doria  in  alto 
mare  a  combattere,  ma  il  Doria  la  attra- 
versò e  ruppe. 

—  3.  il  Doria;  Filippino  Doria,  con  alcune 
navi,  che  per  suo  conto  aveva  in  mare  suo 
zio  Andrea  Doria,  il  quale  militava  pei  Fran- 
cesi. 

—  7.  Che  di  febbre  ecc.;  cangia  voglie, 
poiché  gli  uccide  ecc.  L'esercito  che  asse- 
diava Napoli  fu  colto  dalla  peste  e  dalla 
malaria;  e  di  25000  uomini  si  ridussero  a 
4000.  Cosi  l'assedio  cessò:  e  questi  resti,  ri- 
tiratisi ad  A  versa,  perii'ono  quasi  tutti  di 
stento  e  di  malattie.  L'A.  dunque  è  esattis- 
simo anche  qui,  come  in  tutto  il  resto  di 
questo  brano  storico. 

58.  8.  Si  vedea  ecc.  le  iscrizioni,  che  sotto 
ciascun  quadro  si  vedevano. 

59.  4.  osti;  ospiti.  V.  e.  xvii,  71,  n.  3, 
dove  oste  significa  colui  che  dà  ospitalità. 
Così  il  Boccaccio,  Nov.  92:  «Messer  Ghino, 
di  cui  voi  siete  oste».  —  onorar...  avvezzo; 
avvezzo  ad  onorar. 

60.  7.  il  cor;  sott.  mio,  clie  si  rileva  dal 
miei  del  v,  seg. 


Né  le  pupille  amar  degli  occhi  miei. 
61 

E  par  che  le  suggiunga  :  Io  sou  venuto 
Per  battezzarmi  e  far  quanto  ho  promesso  ; 
E  s'io  son  stato  tardi,  m'ha  tenuto 
Altra  ferita,  che  d'amore,  oppresso. 
Fuggesi  in  questo  il  sonno,  né  veduto 
E  pili  Ruggier  che  se  ne  va  con  esso. 
Rinova  allora  i  pianti  la  donzella, 
E  ne  la  niente  sua  cosi  favella: 

62  [questo 

Fu  quel  che  piacque,  un  falso  sogno;  e 
Che  mi  tormenta,  ahi  lassa!  è  un  veggiar 
Il  ben  fu  sogno  a  dileguarsi  presto;  [vero. 
Ma  non  è  sogno  il  martire  aspro  e  fiero. 
Perché  or  non  ode  e  vede  il  senso  desto 
Quel  ch'udire  e  veder  parve  al  pensiero? 
A  che  condizione,  occhi  miei,  sete. 
Che  chiusi  il  ben,  e  aperti  il  mal  vedete? 
63 

Il  dolce  soniid  mi  promise  pace; 
Ma  l'amaro  veggiar  mi  torna  in  guerra: 
Il  dolce  sonno  è  ben  stato  fallace; 
Ma  l'amaro  veggiare,  oimè!  non  erra. 
Se  '1  vero  annoia,  e  il  falso  si  mi  piace, 
Non  oda  o  vegga  mai  pili  il  vero  in  terra: 
Se '1  dormir  mi  dà  gaudio,  e  il  veggiar  guai, 
Possa  io  dormir  senza  destarmi  mai. 
64 

0  felice  animai  ch'un  sonno  forte 
Sei  mesi  tien  senza  mai  gli  occhi  aprire! 
Che  s'assimigli  tal  sonno  alla  morte. 
Tal  veggiare  alla  vita,  io  non  vo'  dire; 
Ch'a  tutt'altre  contraria  la  mia  sorte 
Sente  morte  a  veggiar,  vita  a  dormire: 
Ma  s'a  tal  sonno  morte  s'assimiglia. 
Deh,  Morte,  or  ora  chiudimi  le  ciglia! 
65 

De  l'orizonte  il  sol  fatte  avea  rosse 
L'estreme  parti,  e  dileguate  intorno 
S'eran  le  nubi,  e  non  parca  che  fosse 
Simile  all'altro  il  cominciato  giorno; 
Quando  svegliata  Bradamante  armosse 
Per  fare  a  tempo  al  suo  camin  ritorno, 


61.  3.  tardi,  tardo.  Di  tardi  come  agget- 
tivo si  citano  esempi  della  vita  di  S.  31. 
Maddalena  e  delle  Favole  d'Esopo,  non 
questo  dell' A  r. 

64.  1.  felice.  Uno  dei  molti  plur.  ine  della 
3'  declinaz.  che  usa  Ta.  sull'esempio  di  al- 
tri scrittori  ;  ma  il  solo  che  sia  maschile. 
Pur  negli  altri  scrittori  il  plurale  della  3' 
in  e  è  sempre  femminile.  Al  maschile  si 
cita  solo  Francesco  da  Barberino  150, 14: 
«  mettesi  a  far  li  suoi  falli  palese  ». 

—  3.  tal;  un  sonno  come  il  mio. 

—  5.  tutt'altre;  tutte  le  altre.  V.  e.  x, 
54,  7.  Petrarca  I,  canz.  14:  «  Fugge  tutt'al- 
tre persone  ». 


452 


ORLANDO  FURIOSO 


Rendute  avendo  grazie  a  quel  Signore 
Del  buono  albergo  e  de  l'avoto  onore. 
G6 
E  trovò  che  la  donna  messaggera 
Con  damigelle  sue,  con  suoi  scudieri 
Uscita  de  la  rocca,  venut'era 
Là  dove  Tattendean  quei  tre  guerrieri; 
Quei  che  con  l'asta  d'oro  essa  la  sera 
Fatto  avea  riversar  giù  dei  destrieri, 
E  che  patito  avean  con  gran  disagio 
La  notte  l'acqua  e  il  vento  e  il  ciel  mal- 

67  [vagio. 
Arroge  a  tanto  mal  ch'a  corpo  voto 

Et  essi  e  i  lor  cavalli  eran  rimasi, 
Battendo  i  denti  e  calpestando  il  loto: 
Ma  quasi  lor  pili  incresce,  e  senza  quasi 
Incresce  e  preme  più,  che  farà  noto 
La  raessaggiera  appresso  agli  altri  casi, 
Alla  sua  Donna,  che  la  prima  lancia 
Gli  abbia  abbattuti,  c'han  trovata  in  Fran- 

68  [eia. 
E  presti  0  di  moi'ire,  o  di  vendetta 

Subito  far  del  ricevuto  oltraggio, 
Acciò  la  messaggiera,  che  fu  detta 
Ullania,  che  nomata  più  non  aggio, 
La  mala  opinion  ch'avea  concetta 
Forse  di  lor,  si  tolga  del  coraggio, 
La  figliuola  d'Amen  sfidano  a  giostra. 
Tosto  che  fuor  del  ponte  ella  si  mostra. 

09 
Non  pensando  però  che  sia  donzella, 
Che  nessun  gesto  di  donzella  avea. 
Bradamante  ricusa,  come  quella 
Ch'in  fretta  già,  né  soggiornar  volea. 
Pur  tanto  e  tanto  fur  molesti,  ch'ella, 
Che  negar  senza  biasmo  non  potea. 
Abbassò  l'asta,  et  a  tre  colpi  in  terra 
Li  mandò  tutti  ;  e  qui  fini  la  guerra: 

70 
Che  senza  più  voltarsi  mostrò  loro 
Loutan  la  spalle,  e  dileguossi  tosto. 
Quei  che,  per  guadagnar  lo  scudo  d'oro. 
Di  paese  venian  tanto  discosto, 
Poi  che  senza  parlar  ritti  si  foro. 
Che  ben  l'avean  con  ogni  ardir  deposto, 

65.  8.  de  l'avuto  on.  ;  degli  onori  ohe  avea- 
le  fatto  il  Castellano. 

6G.  8.  il  ciel  malvagio.  V.  C.  XXXII,  71,  4. 

67.  1.  Arroge.  V.  e.  XXVII,  31,  n.  7. 

—  4.  quasi  ecc.  È  un  nuovo  aiteggiamen- 
to  dato  al  modo  popolare  :  quasi  e  sema 
quasi;  che  si  usa  cosi  senza  interruzione 
e  vale:  quasi  quasi. 

—  8.  Gli  abbia.  Il  cong.  indica  il  fatto 
come  un  pensiero  della  messaggera. 

68.  4.  pili;  altra  volta.  Cosi  nel  e.  xml, 
IGO,  3.  Non  mi  sembra  citato  dai  vocabo- 
lari questo  significato  notevolissimo. 

—  6.  coraggio;  core.  V.  e.  xviii,  32,  n.  4. 
70.  fi.  l'avean  ecc.;  avean  depostoli  par- 
lare, non  parlavano  più. 


I  Stupefatti  parean  di  maraviglia, 

I  Né  verso  Ullania  ardian  d'alzar  le  ciglia; 

I  71 

'      Che  con  lei  molte  volte  per  camino 
Dato  s'avean  troppo  orgogliosi  vanti: 
Che  non  è  Cavallier  né  Paladino 
Ch'ai  minor  di  lor  tre  durasse  avanti. 
La  donna,  perché  ancor  più  a  capo  chino 
Vadano,  e  più  non  sian  cosi  arroganti, 
Fa  lor  saper  che  fu  femina  quella, 
Non  paladin,  che  li  levò  di  sella. 

j  72 

I      Or  che  dovete  (diceva  ella),  quando 

\  Cosi  v'abbia  una  femina  abbattuti, 

'  Pensar  che  sia  Rinaldo  o  che  sia  Orlando, 
Non  senza  causa  in  tant'onore  avuti? 
S'un  d'essi  avrà  lo  scudo,  io  vi  domando 

;  Se  migliori  di  quel  che  siate  suti 
Centra  una  donna,  centra  lor  sarete? 
Noi  credo  io  già,  né  voi  forse  il  credete. 
73 

I      Questo  vi  può  bastar;'  né  vi  bisogna 
Del  valor  vostro  aver  più  chiara  prova: 
E  quel  di  voi  che  temerario  agogna 
Far  di  sé  in  Francia  esperienza  nuova, 

!  Cerca  giungere  il  danno  alla  vergogna 

I  In  che  ieri  et  oggi  s'è  trovato  e  trova; 

'  Se  forse  egli  non  stima  utile  e  onore, 
Qualor  per  man  di  taì  guerrier  si  muore. 

:  '^i 

Poi  che  ben  certi  i  cavallieri  fece 
Ullania,  che  quell'era  una  donzella. 
La  qual  fatto  avea  nera  più  che  pece 
La  fama  lor,  ch'esser  solca  si  bella; 
!  E  dove  una  bastava,  più  di  diece 
Persone  il  detto  confermar  di  quella: 
Essi  fur  per  voltar  l'arme  in  sé  stessi, 
Da  tal  dolor,  da  tanta  rabbia  oppressi. 

75 
[     E  da  lo  sdegno  e  da  la  furia  spinti, 
1  L'arme  si  spoglian,  quante  n'hanno  in  dos- 
I  Né  si  lascian  la  spada  onde  eran  cinti;  [so; 
I  E  del  caste!  la  gittano  nel  fosso: 


71.  3.  Che.  È  dichiarativo  dei  vanti:  si 
vantavano  che  non  è  cavali,  ecc. 

72.  1.  quando...  v'abbia;  O  il  quando  val^ 
poic/ié,-dUa.  latina  (V.  e.  i,  18,  n.  3);  e  il  cong. 
segue  l'esempio  di  qualche  scrittore  latino, 
che  cosi  adoperò  il  quando  (Tacito,  il.  3. 
78:  «  quando  validissimae  cohortes  a  Vitel- 
lio  descivisseut);  oppure  è  da  intendere  per 
se:  se  è  vero  che  cosi  vi  abbia  ecc.:  e  in 
tal  modo  avremmo  un  uso  puram.  italiano 
ed  è  una  piccante  ironia. 

7!}.  7.  Se  forse;  se  per  avventura.  V.  e. 
m,  68,  n.  1. 

—  8.  qualor...  si  mnore;  quando  uno  muo- 
re, può  morire.  Petr.,  I.  canz.9:  «qualor 
s' invia  Per  partirsi  da  noi  l'eterna  luce  ». 

75.  4.  nel  fosso;    che  cingeva  il  castello. 


CANTO  XXXIII 


453 


E  giuran,  poi  che  gli  ha  una  donna  vinti, 
E  fatto  sul  terreu  battere  il  dosso, 
Che,  per  purgar  si  grave  error,  staranno 
Senza  mai  vestir  l'arnie  intero  un  anno; 
76 
E  che  n'andranno  a  pie  pur  tuttavia, 

0  sia  la  strada  piana,  o  scenda  e  saglia; 
Né,  poi  che  l'anno  anco  finito  sia, 
Saran  per  cavalcare  o  vestir  maglia, 
8'altr'arme,  altro  destrier  da  lor  non  fìa 
Guadagnato  per  forza  di  battaglia. 
Cosi  senz'arme,  per  punir  lor  fallo. 
Essi  a  pie  se  n'andar,  gli  altri  a  cavallo. 

77 

Bradamante  la  sera  ad  un  castello 
Ch'alia  via  di  Parigi  si  ritrova, 
Di  Carlo  e  di  Rinaldo  suo  fratello, 
Ch'avean  rotto  Agramante,  udi  la  nuova. 
Quivi  ebbe  buona  mensa  e  buono  ostello  : 
Ma  questo  et  ogu'altro  agio  poco  giova; 
Che  poco  mangia  e  poco  dorme,  e  poco. 
Non  che  posar,  ma  ritrovar  può  loco. 
78 

Non  però  di  costei  voglio  dir  tanto. 
Ch'io  non  ritorni  a  quei  duo  cavaliieri 
Che  d'accordo  legato  aveano  a  canto 
La  solitaria  fonte  i  duo  destrieri. 
La  pugna  lor,  di  che  vo'  dirvi  alquanto, 
Non  è  per  acquistar  terre  né  imperi; 
Ma  perché  Durindana  il  più  gagliardo 
Abbia  ad  avere,  o  a  cavalcar  Baiardo. 

79  [nasse 

Senza  che  tromba  o  segno  altro  acceu- 
Quando  a  muover  s'avean,  senza  maestro 
Che  lo  schermo  e  '1  ferir  lor  ricordasse, 
E  lor  pungesse  il  cor  d'animoso  estro. 
L'uno  e  l'altro  d'accordo  il  ferro  trasse, 
E  si  venne  a  trovare  agile  e  destro. 

1  spessi  e  gravi  colpi  a  farsi  udire 
Ineominciaro,  et  a  scaldarsi  l'ire, 

80 
Due  spade  altre  non  so,  per  prova  elette 
Ad  esser  ferme  e  solide  e  ben  dure, 
Ch'a  tre  colpi  di  ([uei  si  fosser  rette, 


77.  2  alla  via,  su  l;i  via.  V.  e.  i,  23,  n.  5. 

—  S.  ritrovar...  loco;  ritrovar  posa  ;  sem- 
pre in  espressione  negativa.  È  bel  modo 
ancor  vivo. 

79.  I.  Senza  che  trcmba  ecc.  Non  era  un 
duello  regolare  colle  debite  formalità  del- 
l'araldo, che  desse  i segnali;  e  dei  padrini, 
che  ricordassero  gli  accorgimenti  della 
scherma  e  animassero,  come  solea  farsi,  i 
combattenti.  —  I  due  cavalieri  son  Rinaldo 
e  Gradasso:  cfr.  e.  xxxi,  HO. 

—  4.  estro;  furore  guerriero  (Tommaseo)  ; 
ma  cosi  l'auimo.so  sarebbe  superlluo.  Inten- 
di estro  per  sitinolo,  che  è  il  suo  significato 
etimologico  (gr.  oistros  =  assillo). 


Ch'erano  fuor  di  tutte  le  misure: 
Ma  quelle  tur  di  tempre  si  perfette, 
Per  tante  esperienze  si  sicure, 
Che  ben  poteano  insieme  riscontrarsi 
Con  mille  colpi  e  più,  senza  spezzarsi. 

81 
Or  qua  Rinaldo  or  là  mutando  il  passo 
Con  gran  destrezza,  e  molta  industria  et 

[arte, 
Fuggia  di  Durindana  il  gran  fracasso; 
Che  sa  ben  come  spezza  il  ferro  e  parte. 
Feria  maggior  percosse  il  Re  Gradasso; 
Bla  quasi  tutte  al  vento  erano  sparte: 
Se  coglieva  talor,  coglieva  in  loco 
Ove  potea  gravare  e  nuocer  poco. 

82 
L'altro  con  più  ragion  sua  spada  inchina, 
E  fa  spesso  al  Pagan  stordir  le  braccia; 
E  quando  ai  fianchi  e  quando  ove  confina 
La  corazza  con  l'elmo,  gli  la  caccia: 
Ma  trova  l'armatura  adamantina; 
Si  ch'una  maglia  non  ne  rompe  o  straccia. 
Se  dura  e  forte  la  ritrova  tanto, 
Avvien  perch'ella  è  fatta  per  incanto. 

83 
Senza  prender  riposo  erano  stati 
Gran  pezzo  tanto  alla  battaglia  fisi, 
Che  vòlti  gli  occhi  in  nessun  mai  de' lati 
Aveano,  fuor  che  nei  turbati  visi; 
Quando  da  un'altra  zuffa  distornati, 
E  da  tanto  furor  furon  divisi. 
Ambi  voltaro  a  un  gran  strepito  il  ciglio, 
E  videro  Baiardo  in  gran  periglio. 

84 

Vider  Baiardo  a  zulì'a  con  un  mostro 

Ch'era  più  di  lui  grande,  et  era  augello: 


30.  4.  fuor  di  tutte  le  misure;  smisurati, 
straordinari. 

81.  1.  mutando  il  passo.  V.  e.  II,  39,  7.  lì 
espressione  già  usata  dal  Boiardo,  Ina.  ii, 
v.  35. 

—  5.  Feria...  percosse;  dava...  percosse. 
Gir.  Cort.  «  Io  feritti  in  un  giorno  colpi  qua- 
ranta»: forse  dal  Francese:  sans  coup  ferir. 

—  S.  gravare:  danneggiare:  cosi  la  Cr. 
Quindi  il  gravare  si  riferisce  più  alle  armi, 
il  nuocere  alla  persona. 

82.  1.  ragion;  perizia  v.  e.  xviii,  48:  è  af- 
fine al  ratio  dei  Latini,  che  vale  metodo,  re- 
gola ecc. 

—  8.  fatta  per  incanto.  Questo  particolare 
è  aggiunto  dall'  Ar.;  poiché  neWInnaìn.  del 
Boiardo  l'armatura  di  Gradasso  non  è  in- 
cantata: anzi  ai  colpi  di  Orlando  (III,  vii, 
46,  50)  non  giova  riparo:  targa  e  usbergo 
va  in  pezzi;  vengono  tagliati  ìa.  gorgiera  e 
parte  del  camaglio,  il  cimiero,  il  coiipo,  il 
torchiane. 

83.  6.  da  tanto  furor  ecc.;  furono  distolti 
da  qiiesto  loro  furore. 


454 


ORLANDO  FURIOSO 


Avea  più  lungo  di  tre  braccia  il  rostro; 
L'altre  fattezze  avea  di  vipistrello; 
Avea  la  piuma  negra  come  inchiostro; 
Avea  l'artiglio  grande,  acuto  e  fello; 
Occhi  di  fuoco,  e  sguardo  avea  crudele; 
L'ale  avea  grandi,  che  parean  due  vele. 
.    85 

Forse  era  vero  augel;  ma  non  so  dove 
O  quando  un  altro  ne  sia  stato  tale. 
Non  ho  veduto  mai  né  letto  altrove, 
Fuor  ch'in  Turpin,  d'un  si  fatto  animale. 
Questo  rispetto  a  credere  rai  muove, 
Che  l'augel  fosse  un  diavolo  infernale 
Che  Malagigi  in  quella  forma  trasse, 
Acciò  che  la  battaglia  disturbasse. 
86 

Rinaldo  il  credette  anco,  e  gran  parole 
E  sconcie  poi  con  Malagigi  n'ebbe. 
Egli  già  confessar  non  glie  lo  vuole; 
E  perché  tór  di  colpa  si  vorrebbe. 
Giura  pel  lume  che  dà  lur.  e  al  sole. 
Che  di  questo  imputato  es.ser  non  debbe. 
Fosse  augello  o  demonio,  il  mostro  scese 
Sopra  Baiardo,  e  con  l'artiglio  il  prese. 
87 

Le  redine  il  destrier  ch'era  possente. 
Subito  rompe,  e  con  sdegno  e  con  ira 
Contra  l'augello  i  calci  adopra  e  '1  dente; 
Ma  quel  veloce  in  aria  si  ritira: 
Indi  ritorna,  e  con  l'ugna  pungente 
Lo  va  battendo,  e  d'ognintorno  aggira. 
Baiardo  offeso,  e  che  non  ha  ragione 
Di  schermo  alcun,  ratto  a  fuggir  si  pone. 
88 

Fugge  Baiardo  alla  vicina  selva, 
E  va  cercando  le  più  spesse  fronde. 
Segue  di  sopra  la  pennuta  belva 
Con  gli  occhi  fisi  ove  la  via  seconde; 
Ma  pure  il  buon  destrier  tanto  s'inselva, 
Ch'ai  fin  sotto  una  grotta  si  nasconde. 


85.  4.  in  Turpin.  V.  e.  xni,  10. 

—  5.  rispetto:  motivo.  Cosi  nel  e.  vin. 
21:  ed  è  ancora  comune  nell'uso. 

86.  2.  E  sconcie.  I  romanzi  popolari  usa- 
vano spesso  insulti  triviali:  vedine  esempi 
anche  neW Imiamor. ,  I,  i,  18,  40;  e  Fur. 
XII,  39. 

—  5.  pel  lume  ecc.  Alcuni  intendono  Dio; 
ma  credo  che  qui  VA.  abbia  messo  questa 
espressione  in  doppio  senso,  per  non  far 
Malagigi  spergiuro.  Rinaldo  dunque  intese 
Dio;  Mal.  intese  dire  la  luce,  che  accende  il 
sole. 

87.  6.  aggira,  lo  aggira. 

—  7.  ragione  ;  via,  mezzo  :  è  il  ratio  dei 
latini  (argumentandi  ratio,  maniera  di 
ragionare). 

88.  4.  ove  la  via  sec.  ;  ove  Baiardo  tenga 
la  via,  seguiti  ad  andare.  È  significato  non 
registrato  dai  vocabolari. 


Poi  che  l'alato  ne  perde  la  traccia, 
Ritorna  in  cielo,  e  cerca  nuova  caccia. 

89 
Rinaldo  e  il  Re  Gradasso,  che  partire 
Veggono  la  cagion  de  la  lor  pugna, 
Restan  d'accordo  quella  differire 
Fin  che  Baiardo  salvino  da  l'ugna 
Che  per  la  scura  selva  il  fa  fuggire; 
Con  patto,  che  qual  d'essi  lo  raggiugna, 
A  quella  fonte  lo  restituisca. 
Ove  la  lite  lor  poi  si  finisca. 

90 
Seguendo,  si  partir  da  la  fontana. 
L'erbe  novellamente  in  terra  peste. 
Molto  da  lor  Baiardo  s'allontana;       [stc. 
Ch'ebbon  le  piante  in  seguir  lui  mal  pre- 
Gradasso,  che  non  lungi  avea  l'Altana, 
Sopra  vi  salse,  e  per  quelle  foreste 
Molto  lontano  il  Paladin  lasciosse. 
Tristo  e  peggio  contento  che  mai  fosse. 

91 
Rinaldo  perde  l'orme  in  pochi  passi 
Del  suo  destrier,  che  fé'  strano  viaggio; 
Ch'andò  rivi  cercando,  arbori  e  sassi, 
Il  più  spinoso  luogo,  il  più  selvaggio, 
Acciò  che  da  quella  ugna  si  celassi. 
Che  cadendo  dal  cielgli  facea  oltraggio. 
Rinaldo,  dopo  la  fatica  vana, 
Ritornò  ad  aspettarlo  alla  fontana, 

92 
Se  da  Gradasso  vi  fosse  condutto. 
Si  come  tra  lor  dianzi  si  convenne. 
Ma  poi  che  far  si  vide  poco  frutto. 
Dolente  e  a  piedi  in  campo  se  ne  venne. 
Or  torniamo  a  quell'altro,  al  quale  in  tutto 
Diverso  da  Rinaldo  il  caso  avvenne. 
Non  per  ragion,  ma  per  suo  gran  destino 
Senti  anitrire  il  buon  destrier  vicino; 

93 
E  lo  trovò  ne  la  spelonca  cava. 
Da  l'avuta  paura  anco  si  oppresso, 
Ch'uscire  allo  scoperto  uon  osava: 
Perciò  l'ha  in  suo  potere  il  Pagan  messo. 
Ben  de  la  convenzion  si  raccordava, 
Ch'alia  fonte  tornar  dovea  con  esso; 


89.  3.  differire;  di  dilTerire.  V.  e.  i,  4,  n.  1. 

90.  1.  seguendo...  1'  erbe.  Inversione  non 
bella;  ma  neli'A.  ve  ne  sono  anche  delle 
più  ardite  (xxxiii,  9,  6). 

—  6.  salse,  V.  e.  vi,  41,  n.  4. 

92.  1.  Se  da  Gr.;  sottint.  per  vedere  se: 
v.  e.  XII,  87,  n.  6. 

—  3.  si  vide:  vide  sé  fare  poco  frutto. 

—  4.  in  campo;  nel  campo  dei  Cristiani, 
donde  era  partito  (xxxi,  12,  93  segg.). 

—  7.  N.  per  ragion  ;  non  per  diritto  che 
avesse  a  questa  ventura. 

93.  4.  in  suo  p...  messo  ridotto  in  suo  po- 
tere. 


CANTO  XXXIII 


455 


Ma  non  è  più  disposto  d'osservarla, 
E  cosi  in  mente  sua  tacito  parla: 

94 
Abbial  chi  aver  lo  vuol  con  lite  e  guer- 
lo  d'averlo  con  pace  più  disio.  [ra; 

Da  l'uno  all'altro  capo  de  la  terra 
Già  venni  e  sol  per  far  Baiardo  mio. 
Or  ch'io  l'ho  in  mano,  ben  vaneggia  et  erra 
Chi  crede  che  depor  lo  volesse  io. 
Se  Rinaldo  lo  vuol,  non  disconviene. 
Come  io  già  in  Francia,  or  s'egli  in  India 

95  [viene- 

Non  raen  sicura  a  lui  fia  Sericana, 
Che  già  due  volte  Francia  a  me  sia  stata. 
Cosi  dicendo  per  la  via  più  piana 
Ne  venne  in  Arli,  e  vi  trovò  l'armata; 
E  quindi  con  Baiardo  e  Durindana 
Si  parti  sopra  una  galea  spalmata. 
Ma  questo  a  un'altra  volta  ;  ch'or  Gradas- 
Einaldo  e  tutta  Francia  a  dietro  lasso,  [so, 

A^oglio  Astolfo  seguir,  eh' a  sella  e  a 
A  uso  facea  andar  di  palafreno      [morso 
L'Ippogrifo  per  l'aria  a  si  gran  corso, 
Che  l'aquila  e  il  falcon  vola  assai  meno. 
Poi  che  de'  Galli  ebbe  il  paese  scorso 
Da  un  mare  all'altro,  e  da  Pirene  al  Reno, 
Tornò  verso  Ponente  alla  montagna 
Che  separa  la  Francia  da  la  Spagna. 
97 

Passò  in  Navarra,  et  indi  iu  Aragona, 
Lasciando  a  chi  '1  vtdea  gran  maraviglia. 
Restò  lungi  a  sinistra  Taracona, 
Biscaglia  a  destra,  et  arrivò  in  Castiglia. 
Vide  Gallizia  e  'I  regno  d'Ulisbona; 
Poi  volse  il  corso  a  Cordova  e  Siviglia: 
Né  lasciò  presso  al  mar  né  fra  campagna 
Città  che  non  vedesse  tutta  Spagna. 
98 

Vide  le  Gade,  e  la  mèta  che  pose 
Ai  primi  naviganti  Ercole  invitto. 


I, 


IV. 


94.  1.  e  sol  per  far  ecc.  V.  Jnn 

—  6.  volesse.  V.  e.  xxxi,  12,  u.  7. 

95.  2.  due  volte.  Xell'Or.  Innam.  Gradas- 
.so,  vinto  da  Astolfo,  parte  per  l'Affrica;  ri- 
torna poi  in  aiuto  di  Agramante. 

—  4.  l'armata;  d' .\gramante. 

—  6.  spalmata;  v.  e.  Xiii,  14. 

96.  1.  Astolfo.  V.  e.  XXII,  2S  e  xxiii,  9. 

—  6.  Da  un  mare  all'altro;  dal  Mediter- 
raneo alla  Manica. 

97.3.  Restò;  lasciò.  SEGNI,  St.  15,  383; 
«  (Il  Granduca)  restò  adunque  nell'  esercito 
intorno  a  Siena  ottomila  fanti  ». 

—  5.  il  regno  d'Clisb.;  il  regno  che  ha 
per  capitale  Lisbona,  il  Portogallo.  V.  e. 
xtv,  13,  n.  3. 

—  7.  fra  campagna.  V.  e.  xvi,  40. 

—  8.  che  ;  sicché. 

98.1.  le  Gade;  Cadice.  Usato  alla  latina 


Per  l'Africa  vagar  poi  si  dispose 
Dal  mar  d'Atlante  ai  termini  d'Egitto. 
Vide  le  Baleariche  famose, 
E  vide  Eviza  appresso  al  camin  dritto. 
Poi  volse  il  freno,  e  tornò  verso  Arzilla 
Sovra  '1  mar  che  da  Spagna  dipartilla. 
99 

Vide  Marocco,  Feza,  Orano,  Ippona, 
Algier,  Buzea,  tutte  città  superbe, 
C'hanno  d'altre  città  tutte  corona, 
Corona  d'oro,  e  non  di  fronde  o  d'erbe. 
Verso  Biserta  e  Tunigi  poi  sprona: 
Vide  Capisse  e  l'isola  d'Alzerbe, 
E  Tripoli  e  Bernicche  e  Tolomitta, 
Sin  dove  il  Nilo  in  Asia  si  tragitta. 
100 

Tra  la  marina  e  la  silvosa  schena 
Del  fiero  Atlante  vide  ogni  contrada. 
Poi  die  le  spalle  ai  monti  di  Carena, 


al  plur.  perché,  dice  Plinio  (S.  N.  3,  2),  fu- 
rono propriam.  due  isole  vicinissime  fra 
loro.  —  la  meta  ecc.  le  colonne  d'Ercole  allo 
stretto  di  Gibilterra. 

—  3.  vagar  si  dispose;  si  dispose  a  vagar. 

—  5.  Balear.  famose  ;  per  la  loro  fertilità 
e  ricchezza. 

—  6.  Eviza;  oggi  Iviza  o  Ivica,  una  delle 
Baleari  e  propriam.  delle  Pitinse.  Dopo  aver 
visto  in  generale  le  Baleari,  vide  in  appresso 
più  particolarmente  Eviza,  sempre  andando 
dritto.. 

—  7.  Arzilla,  Arzila  ;  città  marittima  nel 
Marocco  a  40  klm.  da  Tangeri,  sullo  stretto 
di  Gibilterra. 

99.  1.  Feza;  Fez;  Orano,  Oran;  Ipiwna, 
Bona;  Buzea,  Bugia.  Tutte  ciUh  della  costa 
settentr.  di  Affrica,  o  costa  di  Barberia. 

—  4.  Corona  d'oro.  Perché  le  città  minori 
portavano  in  queste  capitali  le  loro  ric- 
chezze. 

—  6.  Capisse;  Cabes.  Al-:erbe,  Gerbe  o 
Gerbi,  o  Zerbi,  isola  a  Sud  del  golfo  di  Cabes. 

—  7.  Bernicche;  Berenice  cirenaica;  og- 
gi :  Bengast.  —  Tolomitta;  Tolmeta  o  Tol- 
meita.  V.  e.  xviii,  165. 

—  8.  Sin  dove  ecc.  Alcuni  geografi  anti- 
chi, tra  cui  Erodoto,  Mela,  Plinio,  posero 
il  Nilo  come  confine  fra  l'Asia  e  l'.Affrica: 
cosi  le  bocche  di  destra  si  tragittano  iu 
Asia:  l'A.  dunque  vuol  dire:  sino  alle  boc- 
che del  Nilo. 

100.  3.  monti  di  Carena.  Cosi  gli  antichi 
chiamavano  quella  diramazione  dell'Atlan- 
te, che  divide  la  costa  di  Barberia  dall'Af- 
frica interna.  Astolfo  dal  Nilo  tornò  indie- 
tro, internandosi  un  po'  nell'Affrica,  fino 
alla  regione  di  Barca  (Cirenaica)  ;  e  per  in- 
ternarsi nell'Affrica  dovè  voltare  le  spalle 
ai  monti  di  Carena.  Arrivato  alla  Cirenaica 


456 


ORLANDO  FURIOSO 


E  sopra  i  Cirenei  prese  la  strada; 
E  traversando  i  campi  de  l'arena. 
Venne  a'  confin  di  Nubia  in  Albaiada. 
Rimase  dietro  il  cimiter  di  Batto, 
E'I  gran  tempio  d'Amou,  ch'oggi  è  disfatto. 
101 

Indi  giunse  ad  un'altra  Tremisenne, 
Che  di  Maumetto  pur  segue  lo  stilo. 
Poi  volse  agli  altri  Etiopi  le  penne, 
Che  centra  questi  son  di  là  dal  Nilo. 
Alla  città  di  Nubia  il  camin  tenue 
Tra  Dobada  e  Coalle  in  aria  a  filo. 
Questi  Cristiani  son,  quei  Saracini;     [ni. 
E  stan  con  l'arme  in  man  sempre  a'confi- 
102 

Senàpo  Tmperator  de  la  Etiopia, 
Ch'in  loco  tien  di  scettro  in  man  la  Croce, 


scende  nell'interno   dell'Affrica,   passando 
sul  deserto  di  Libia  (i  campi  dell'arena). 

—  4.  Cirenei  ;  la  Cirenaica  ;  oggi  regione 
di  Barca.  Fu  colonizzata  dai  Greci  e  fonda- 
tore della  colonia  fu  Batto,  che  avea  in  Ci- 
rene uno  splendido  monumento. 

—  6.  Albaiada;  forse  la  steppa  di  Baiuda 
in  Nubia.  Veramente  questa  si  trova  dentro 
alla  gran  curva  meridionale  del  Nilo,  e  per- 
ciò non  ai  confini  di  Nubia;  ma  chi  ha  vi- 
sto quanto  erano  confuse  le  carte  dell'Af- 
frica, che  si  avevano  nel  quattrocento,  re- 
sterà maravigliato  dell'esattezza  deil'A. 

—  7.  Rimase  ;  lasciò.  V.  st.  97,  n.  3. 

—  S.  tempio  d'Amon;  di  Giove  Ammone. 
V.  e.  XXIX,  59. 

101.  1.  Tremisenne.  Non  quella  di  Barbe- 
ria,  V.  e.  XIV,  28,  ma  una  Tremisenne  di 
Xubia.  Ho  trovato  segnata  questa  Tremi- 
senne in  un  gran  mappamondo  spagnuolo 
del  sec.  xv.  della  bibliot.  Estense,  dove  si 
trova  pure  segnata  la  città  di  Nubia  colla 
nota  che  ivi  regna  il  l'rete  Ianni,  cristiano 
fra  cristiani.  La  città  di  Xubia  è  collocata, 
in  questa  carta,  fra  Dobaya  e  Cnoad  (forse 
Coalle  deil'A.)  due  città,  che  restano  sulla 
stessa  linea.  (Per  ciò  Astolfo  andò  a  Jllo 
cioè  a  dritto  filo).  Questi  nomi  e  questi  luo- 
ghi nou  corrispondono  alla  realtà  ;  ma  l'A. 
non  poteva  saperne  più  de'  suoi  contempo- 
ranei. 

—  3.  altri  Etiopi.  Gli  antichi  intesero  per 
Etiopia  tutta  la  regione  meridionale  abitata 
dai  Neri,  sia  di  qua  che  di  là  dal  Nilo. 

—  7.  Cristiani  son.  Come  si  è  visto  alla 
st.  101,  1,  si  credeva  comunemente  nel  '400 
che  in  Nubia  fossero  cristiani,  e  cristiano 
fosse  il  Prete  Ianni.  Invece  fu  l' Abissinia, 
che  si  converti  al  cristianesimo  per  l'opera 
apostolica  di  S.  Fromenzio  (iv  sec.)  :  ma  poi 
traviò  dalla  ortodossia  abbracciando  l'ere-  [ 
sia  dei  Mouohsiti  (Cantù,  S.   U.,  VII,  367). 

102.  1.  Senapo.  Non  trovo  donde  l'A.  ab- 


j  Di  gente,  di  cittadi  e  d'oro  ha  copia 
'  Quindi  fin  là  dove  il  mar  Rosso  ha  foce; 
E  serva  quasi  nostra  Fede  propia. 
Che  può  salvarlo  da  l'esilio  atroce. 
Gli  è,  s'io  non  piglio  errore,  in  questo  loco 
Ove  al  battesmo  loro  usano  il  fuoco. 
103 
Dismontò  il  duca  Astolfo  alla  gran  corte 
Deutro  di  Nubia,  e  visitò  il  Senàpo. 
Il  castello  è  più  ricco  assai  che  forte, 
Ove  dimora  d'Etiopia  il  capo. 
Le  catene  dei  ponti  e  de  le  porte, 
Gangheri  e  chiavistei  da  piedi  a  capo, 
E  finalmente  tutto  quel  lavoro 
Che  noi  di  ferro  usiamo,  ivi  usan  d'oro. 
104 
Ancor  che  del  finissimo  metallo 
Vi  sia  tale  abondanza,  è  pur  in  pregio. 
Colonnate  di  limpido  cristallo 


bia  preso  questo  nome.  Marco  Polo  dice  che 
nel  loro  linguaggio  si  chiamava  Uiiecan. 
Molto  si  è  favoleggiato,  sin  dal  tempo  delle 
Crociate,  su  questo  Presto  o  Preteianni,  si- 
gnore cristiano  potentissimo  di  un'immensa 
oasi  in  mezzo  alle  regioni  degli  infedeli,  ora 
in  Asia  ora  in  Affrica;  santo  pontefice  (in 
loco  tien  di  scettro  in  man  la  croc^  pieno 
di  ogni  virtù.  A  introdurlo  nei  poemi  ca- 
vallereschi furon  primi  gli  Italiani.  Prima 
si  trova  ueir  Ugo  d'Aivernia;  dove  è  pure 
l'idea  ariostesca  che  in  prossimità  dell'E- 
tiopia si  trovi  il  paradiso  terrestre  e  la  boc- 
ca 4eir  inferno.  Nel  Guerrin  Meschino  si 
dice  delle  grandi  ricchezze  del  Presto  e  del 
tributo  pagatogli  dal  Sultano  d'Egitto.  L'A. 
però  fonde  questi  elementi  con  elementi 
classici.  .Senapo  è  superbo  come  Alessandro 
Magno,  che,  secondo  la  leggenda,  tentò  di 
giungere  al  paradiso  terrestre;  di  questa 
superbia  è  punito  come  Fineo  (v.  Argonaut. 
IV,  479  segg.)  che,  avendo  divulgato  agli 
uomini  gli  arcani  dei  numi,  divenne  cieco 
e  fu  perseguitato  dalle  arpie.  Calai  e  Zete, 
figli  di  Borea,  cacciarono  le  arpie  nelle  isole 
Strofadi. 

—  4.  ha  foce.  Allo  Stretto  di  Bab-el-Man- 
deb,  che  sembra  come  la  foce  del  Mar  Rosso. 

—  5.  qnasi  nostra  Fede.  È  cristiano,  ma  ere- 
tico. Essendo  però  in  buona  fede  può,  come 
battezzato,  salvarsi  dall'  inferno  (da  l'esilio 
atroce). 

—  8.  usano  il  fnoco.  «  Gli  cristiani  di  que- 
sta provincia  hanno  tre  segnali  nel  volto... 
e  si  fanno  col  ferro  caldo...  Poiché  son  bat- 
tezzati nell'acqua,  si  fanno  colali  segni  e 
dicono  che  è  òompimento  di  battesimo  » 
(Marco  Polo,  55-56). 

104.  3.  Colonnate;  ornate  di  colonne.  L'u- 
sò come  aggettivo  il  Sansovino  e  poi  il  Tas- 
soni, Pens.   10,   19:    «  i  portici  colonnati  ». 


CANTO  XXXIII 


457 


Son  le  gran  loggie  del  palazzo  regio. 
Fan  rosso,  biauco,  verde,  azuiTO  e  giallo 
Sotto  i  bei  palchi  im  reluceute  fregio. 
Divisi  tra  proporzionati  spazii, 
Rubin,  smeraldi,  zaffiri  e  topazii. 
105 

In  mura,  in  tetti,  in  pavimenti  sparte 
Eran  le  perle,  eran  le  ricche  gemme. 
Quivi  il  balsamo  nasce;  e  poca  parte 
N'ebbe  appo  questi  mai  Gerusalemme. 
Il  maschio  ch'anoi  vieu,  quindi  si  parte; 
Quindi  vien  l'ambra,  e  cerca  altre  ma- 

f  rem  me: 
Veugon  le  cose  insomma  da  quel  canto, 
Che  nei  paesi  nostri  vaglion  tanto. 
lOG 

Si  dice  che  '1  Soldan,  Re  de  l'Egitto, 
A  quel  Re  d;i  tributo,  e  sta  suggetto, 
Perch'è  in  poter  di  lui  dal  camin  dritto 


La  N.  Crusca  lo  ritiene  aggettivo,  ma  cita 
solamente  l'A.  Kou  mi  par  conveniente  in- 
tenderlo come  sostantivo,  perché  le  logge 
non  si  possono  dire  veramente  una  serie  di 
colonne. 

—  6.  palchi;  soffitti.  É  voce  ancor  viva 
neir  uso. 

105.  3.  balsamo.  Per  noi  oggi  è  nome  ge- 
nerico di  più  sostanze  balsamiche.  Gli  anti- 
chi intesero  il  succo  d' una  pianta  simile 
alla  vite,  che  nasceva  solo  in  Giudea.  Que- 
sto succo  colava  da  incisioni  fatte  nella  cor- 
teccia. V.  Plix.,  i".  N.  12,  51,  1  e  Tacito, 
St.  lib.  V,  5. 

—  4.  appo  questi  ;  in  confronto  a  questi 
abitanti  o  a  questo  re.  Novelle  antiche  ^\: 
«  semplice  persona  appo  lui  (in  confronto 
a  lui)  ».  —  mai,  sempre.  Gerusalemme  in 
confronto  di  questi  abitanti  ne  ebbe  sempre 
poca  parte.  Di  mal  per  sempre  vedi  altro 
esempio  spiccato  al  e.  xx,  62,  5,  e  la  nota 
ivi  appósta. 

—  6.  cerca  altre  maremme.  Anticamente 
l'ambra  non  si  aveva  che  raccogliendola 
sulla  spiaggia,  dove  era  rigettata  dalle  onde 
del  mare,  a  mano  a  mano  che  le  tempeste 
corrodevano  le  rocce  sabbiose  o  argillose 
che  la  contengono  a  pezzi.  Perciò  l'A.  dice 
che  di  là  viene  ad  altre  spiagge,  portata 
dal  commercio.  Di  mareìnma  per  marina, 
spiaggia  manna,  non  si  cita  esenii)io.  V. 
e.  XVII,  21,  7,  dove  ha  il  suo  significato  co- 
mune. 

106.  3.  Perch'  è  in  p.  ecc.  «  Egli  è  opinione 
che  possa  il  re  d'Etiopia  con  alcune  porte 
di  ferro  chiudere  il  Mio,  che  non  iscorra 
per  r  Egitto  e  indirizzare  il  corso  di  quello 
verso  il  Mar  Rosso,  il  che,  se  ciò  fosse,  po- 
trebbe far  morir  di  disagio  quella  nazione, 
couciosiaché...  diverrebbero  sterili  tutti  i 
campi  dell'  Egitto  (Lavezuola). 


Levare  il  Nilo,  e  dargli  altro  ricetto, 
E  per  questo  lasciar  subito  afflitto 
Di  fame  il  Cairo  e  tutto  quel  distretto. 
Senapo  detto  è  dai  sudditi  suoi: 
Gli  dician  Presto  o  Preteianni  noi. 
107 

Di  quanti  Re  mai  d'Etiopia  forcT 
Il  pili  ricco  fu  questi  e  il  più  possente; 
Ma  con  tutta  sua  possa  e  suo  tesoro. 
Gli  occhi  perduti  avea  miseramente. 
E  questo  era  il  minor  d'ogni  raartoro: 
Molto  era  più  noioso  e  più  spiacente, 
Che,  quantunque  ricchissimo  si  chiame, 
Cruciato  era  da  perpetua  fame. 
108 

Se  per  mangiare  o  ber  quello  infelice 
Venia  cacciato  dal  bisogno  grande. 
Tosto  appavia  l'infernal  schiera  ultrice, 
Le  monstruose  Arpie  brutte  e  nefande, 
Che  col  grifo  e  con  l'ugna  predatrice 
Spargeano  i  vasi,  e  rapiau  le  vivande; 
E  quel  che  non  capia  lor  ventre  ingordo, 
Vi  rimanea  contaminato  e  lordo. 
109 

E  questo,  percli'essendo  d'anni  acerbo, 
E  vistosi  levato  in  tanto  onore, 
Che,  oltre  alle  ricchezze,  di  più  nerbo 
Era  di  tutti  gli  altri,  e  di  più  core; 
Divenne,  come  Lucifer,  superbo, 
E  pensò  muover  guerra  al  suo  Fattore. 
Con  la  sua  gente  la  via  prese  al  dritto 
Al  monte  onde  esce  il  gran  fiume  d'Egitto. 
110 

Inteso  avea  che  su  quel  monte  alpestre, 
Ch'oltre  alle  nubi  e  presso  al  ciel  si  leva. 
Era  quel  Paradiso  che  terrestre 
Si  dice,  ove  abitò  già  Adamo  et  Eva. 
Con  camelli,  elefanti,  e  con  pedestre 
Esercito,  orgoglioso  si  moveva 
Con  gran  desir,  se  v'abitava  gente, 
Di  farla  alle  sue  leggi  ubbidiente. 
Ili 

Dio  gli  represse  il  temerario  ardire, 
E  jnandò  l'Angel  suo  tra  quelle  frotte, 
Che  cento  mila  ne  fece  morire, 
E  condannò  lui  di  perpetua  notte. 


—  7.  Senape.  Vedi  la  nota  1  st.  102.  Il 
Fornari  nota  «  I  suoi  Senapo  o  Giani,  cioè 
potente,  il  do  mandano  ». 

—  S.  Presto:  é  rantico  frane.  p)restre^ 
prov.  presteSy  spagu.  prestes^  prete. 

109.  !S.  onde  esce  ecc.  Già  nell'  Ugo  d'Ai- 
vernia  e  in  altri  poemi  si  trova  modificata 
l'idea  biblica  dei  quattro  fiumi  "che  nasce- 
vano dal  paradiso  terrestre  {Genesi  2)  :  vi 
si  trova  il  Nilo  invece  del  Giordano.  —  Que- 
sti monti,  donde  sorge  il  Nilo,  erano,  se- 
condo le  antiche  credenze,  i  monti  della 
Luna  in  Etiopia,  (vedi  e.  xxix,  59,^n.  7)  che 
sono,  come  si  comprende,  imaginarì. 


458 


ORLANDO  FURIOSO 


Alla  sua  mensa  poi  fece  venire 
L'orrendo  mostro  da  l'infernal  grotte, 
Che  gli  rapisce  e  contamina  i  cibi, 
Né  lascia  che  ne  gusti  o  ne  delibi. 
112 

Et  in  disperazion  continua  il  messe 
l'no  che  già  gli  avea  profetizzato 
Che  le  sue  mense  non  sariano  oppresse 
Da  la  rapina  e  da  l'odore  ingrato, 
Quando  venir  per  l'aria  si  vedesse 
Un  cavallier  sopra  un  cavallo  alato. 
Perché  dunque  impossibil  parea  questo, 
Privo  d'ogni  speranza  vivea  mestò. 
113 

Or  che  con  gran  stupor  vede  la  gente 
Sopra  ogni  muro,  e  sopra  ogni  alta  torre 
Entrare  il  cavalliero,  immantinente 
È  chi  a  narrarlo  al  Re  di  Nubia  corre, 
A  cui  la  profezia  ritorna  a  mente; 
Et  obliando  per  letizia  tórre 
La  fedel  verga,  con  le  mani  inante 
Vien  brancolando  al  cavallier  volante. 
114 

Astolfo  ne  la  piazza  del  castello 
Con  spaziose  ruote  in  terra  scese. 
Poi  che  fu  il  Re  condotto  inanzi  a  quello, 
Inginocchiossi,  e  le  man  giunte  stese, 
E  disse:  Angel  di  Dio,  Messia  novello. 
S'io  non  merto  perdono  a  tante  offese. 
Mira  che  proprio  è  a  noi  peccar  sovente, 
A  voi  perdonar  sempre  a  chi  si  pente. 
115 

Delmioerror  consapevole,non  chieggio 
Né  chiederti  ardirei  gli  antiqui  lumi: 
Che  tu  lo  possa  far,  ben  creder  deggio; 
Che  se'  de'  cari  a  Dio  beati  numi. 
Tibastiilgran  martir  ch'io  non  ci  veggio. 
Senza  ch'ogni  or  la  fame  mi  consumi. 
Almen  discaccia  le  fetide  Arpie, 
Che  non  rapiscan  le  vivande  mie: 
116 

E  di  raarmore  un  tempio  ti  prometto 
Edificar  de  l'alta  Regia  mia. 
Che  tutte  d'oro  abbia  le  porte  e  '1  tetto, 
E  dentro  e  fuor  di  gemme  ornato  sia; 


113.  6-7.  obliando  la  f.  v.  Quando  Fineo, 
in  Apollonio  e  V.  Fiacco,  sente  venire  Ca- 
lai e  Zete,  che  debbono  liberarlo,  prende 
la  verga  su  che  si  reggeva.  Avverti  come 
l'A.  ha  imitato  innovando  e  migborando, 
perché  la  grande  allegrezza  non  doveva  dar 
tempo  al  Senapo  di  pensare  alla  verga. 

114.  7.  Mira;  considera,  pensa.  Dante, 
Inf.  2  «Mirate  la  dottrina  che  s'asconde  ». 

115.  1.  numi;  santi  del  paradiso.  Nel  e. 
XXXIX,  45,  3  li  Gisse  Divi.  Già  Dante,  Par. 
13  :  «  Ruppe  '1  silenzio  ne'  concordi  numi  ». 

116.  2.  de  l'alta  ecc.;  della  mia  reggia  ti 
farò  un  tempio.  Marmore  è  latinismo  raro 
pur  négU  antichi, 


E  dal  tuo  santo  nome  sarà  detto, 
E  del  miracol  tuo  scolpito  fìa. 
Cosi  dicea  quel  Re  che  nulla  vede. 
Cercando  invan  baciare  al  Duca  il  piede. 
117 
Rispose  Astolfo:  Né  l'Angel  di  Dio, 
Né  son  Messia  novel,  né  dal  ciel  vegno; 
Ma  son  mortale  e  peccatore  anch'io. 
Di  tanta  grazia  a  me  concessa  indegno. 

10  farò  ogn'opra  acciò  che  '1  mostro  rio, 
Per  morte  o  fuga,  io  ti  levi  del  regno. 
S'io  il  fo,  me  non,  ma  Dio  ne  loda  solo. 
Che  per  tuo  aiuto  qui  mi  drizzò  il  volo. 

118 
Fa  questi  voti  a  Dio,  debiti  a  lui; 
A  lui  le  chiese  edifica  e  gli  altari. 
Cosi  parlando  andavano  ambidui 
Verso  il  castello  fra  i  Baron  preclari. 

11  Re  comanda  ai  servitori  sui, 
Che  subito  il  convito  si  prepari. 
Sperando  che  non  debba  essergli  tolta 
La  vivanda  di  mano  a  questa  volta. 

119 

Dentro  una  ricca  sala  immantinente 
Apparecchiossi  il  convito  solenne. 
Col  Senàpo  s'assise  solamente 
Il  Duca  Astolfo,  e  la  vivanda  venne. 
Ecco  per  l'aria  lo  stridor  si  sente. 
Percossa  intorno  da  l'orribil  penne: 
Ecco  venir  l'Arpie  brutte  e  nefande, 
Tratte  dal  cielo  a  odor  de  le  vivande. 
1-20 

Erano  sette  in  una  schiera,  e  tutte 
A'^olto  di  donne  avean  pallide  e  smorte. 
Per  lunga  fame  attenuate  e  asciutte. 
Orribili  a  veder  pili  che  la  morte. 
L'alaccie  grandi  avean,  deformi  e  brutte; 
Le  man  rapaci,  e  l'ugne  incurve  e  torte; 
Grande  e  fetido  il  ventre,  e  lunga  coda, 
Come  di  serpe  che  s'aggira  e  snoda. 
121 

Si  sentono  venir  per  l'aria,  e  quasi 


—  6.  del  mir.  t.  s.  f.  E  vi  farò  scolpii'e  in 
basso  rilievo  il  miracolo  da  te  compiuto. 

118.  4.  f.  i  Baron  ;  passando  tra  i  signori 
del  regno,  che  facevano  ala. 

—  8.  a  questa  volta.    V.  e.  XXX,  57,  n.  3. 

119.  8.  a  odor.  Manca  l'artic.  V.  e.  il,  15, 
n. 

120.  3.  attenuate.  V.  e.  il,  13,  n.  1.  Viro. 
En.  3,  218:  «Pallida  semper  ora  fame». 
Dante,  Inf.  13,  13.  Gli  antichi  le  dissero 
tre  o  quattro. 

—  7.  lunga  coda.  Questo  particolare  man- 
ca negli  antichi.  Si  trova  solo  una  coda 
d'uccello  data  qualche  volta  alle  arpie.  Non 
credere  ai  rimandi,  che  taluno  fa  al  Tasso, 
Ger.  4,  4  e  d.\V  Innainorato  II,  iv,  .56,  dove 
si  parla  di  code,  ma  non  affatto  d'  Arpie 
caudate. 


CANTO  XXXIII 


459 


Si  veggon  tutte  a  un  tempo  in  su  la  mensa 

Rapire  i  cibi,  e  riversare  i  vasi: 

E  molta  feccia  il  ventre  lor  dispensa, 

Tal  che  gli  è  forza  d'atturare  i  nasi; 

Che  non  si  può  patir  la  puzza  immensa. 

Astolfo,  come  l'ira  lo  sospinge, 

Contra  gli  ingordi  augelli  il  ferro  stringe. 

122 
Uno  sul  collo,  un  altro  su  la  groppa 
Percuote,  e  chi  nel  petto,  e  chi  ne  l'ala; 
Ma  come  fera  in  s'un  sacco  di  stoppa, 
Poi  langue  il  colpo,  e  senza  effetto  cala; 
E  quei  non  vi  lasciar  piatto  né  coppa 
Che  fosse  intatta;  né  sgombrar  la  sala 
Prima  che  le  rapine  e  il  fiero  pasto 
Contaminato  il  tutto  avesse  e  guasto. 

123 
Avuto  avea  quel  Ke  ferma  speranza 
Nel  Duca,  che  l'Arpie  gli  discacciassi; 
Et  or  che  nulla  ove  sperar  gli  avanza. 
Sospira  e  geme,  e  disperato  stassi. 
Viene  al  duca  del  corno  rimembranza, 
Che  suole  aitarlo  ai  perigliosi  passi; 
E  conchiude  tra  sé,  che  questa  via 
Per  discacciare  i  mostri  ottima  sia. 

124 
E  prima  fa  che  '1  Re  con  suoi  Baroni, 
JJi  caldk  cera  l'orecchia  si  serra, 
Acciò  che  tutti  come  il  corno  suoni. 
Non  abbiano  a  fuggir  fuor  de  la  teria. 
Prende  la  briglia  e  salta  su  gli  arcioni 
De  l'ippogrifo,  et  il  bel  corno  afferra; 
E  con  cenni  allo  scalco  poi  comanda 
Che  riponga  la  mensa  e  la  vivanda. 

125 
E  cosi  in  una  loggia  s'apparecchia 
(.'on  altra  mensa  altra  vivanda  nuova. 
Ecco  l'Arpie  che  fan  l'usanza  vecchia: 
Astolfo  il  corno  subito  ritrova. 


121.  5.  gli  è  f.  ;  egli  è  forza.  V.  e.  x,  10f>, 
n.  5.  —  atturare,  turare.  V.   e.  XV,  2S,   11.  3. 

—  7.  come  l'ira  ecc.  ;  poiché  l'ira  ecc.  È 
uso  ancor  vivo. 

l'2'2.  3.  fera,  colpisca.  V.  e.  xxvi,  73,  n.  7. 

123.  2.  discacciassi.  V.  C.  XXXll,    12,  n.  6. 

l'24.  2.  Di  calda  cera  ecc.  Cosi  Ulisse  fa 
turare  eoa  cera  gli  orecchi  dei  suoi,  perclié 
non  odano  le  sirene;  e  il  Boiardo  ii,  4,  31, 
dice  che  Orlando  a  questo  stesso  fine  si  em- 
pie le  orecchie  di  foglie  di  rosa. 

l'25.  4.  ritrova  ;  afferra.  Si  cita  questo  solo 
esempio  dell' A. 


Gli  augelli  che  non  han  chiusa  l'orecchia. 
Udito  il  suon,  non  puon  stare  alla  prova; 
Ma  vanno  in  fuga  pieni  di  paura, 
Né  di  cibo  né  d'altro  hanno  pili  cura. 
126 

Subito  il  Paladin  dietro  lor  sprona: 
'Volando  esce  il  destrier  fuor  de  la  loggia, 
E  col  Castel  la  gran  città  abandona, 
E  per  l'aria,  cacciando  i  mostri,  poggia. 
Astolfo  il  corno  tuttavolta  suona: 
Fuggon  l'Arpie  verso  la  zona  roggia, 
Tanto  che  sono  all'altissimo  monte 
Ove  il  Nilo  ha,  se  in  alcun  luogo  ha,  fonte. 
127 

Quasi  de  la  montagna  alia  radice 
Entra  sotterra  una  profonda  grotta. 
Che  certissima  porta  esser  si  dice 
Di  ch'alio  'nferno  vuol  scender  talotta. 
Quivi  s'è  quella  turba  predatrice, 
Come  in  sicuro  albergo,  ricondotta, 
E  giù  sin  di  Oocito  in  su  la  proda 
Scesa,  e  più  là,  dove  quel  suon  non  oda. 

128 
All'infernal  caliginosa  buca 
Ch'apre  la  strada  a  chi  abandona  il  lume, 
Fini  l'orribil  suon  l'inclito  Duca, 
E  fé'  raccórre  al  suo  destrier  le  piume. 
I\Ia  prima  che  jiiu  inanzi  io  lo  conduca, 
Per  non  mi  dipartir  dal  mio  costume, 
Poi  che  da  tutti  i  lati  ho  pieno  il  foglio, 
Finire  il  Canto,  e  riposar  mi  voglio. 


126.  6.  zona  roggia;  rossa,  torrida.  Dan- 
te, Inf.  11,  73,  disse  ror/gia  la  infuocata 
città  di  Dite.  Avverti  l'estensione  di  signi- 
ficato in  questo  esempio  dell' Ar. 

—  8.  se  in  alcun  luogo  ecc.  Accenna  a 
quella  incertezza  SLiUe  sorgenti  del  Nilo, 
che  agitò  gli  antichi.  Lucano  dice:  «et gens, 
si  qua  iacet,  nascenti  conscia  Nilo  ».  E  lo 
stesso  poeta  rappresenta  Cesare  pronto  a 
rinunziare  a  tutti  i  suoi  piani  di  grandezza 
per  la  soluzione  di  quel  problema. 

127.  4.  Di  eh'  ecc.;  di  chi.  Questa  elisione 
è  insolita  e  dura.  Vedine  altri  esempi  nel 
e.  XIX,  17,  6;  XXXVII,  10,  3. 

128.  2.  il  lume;  la  vita.  Qui  l'A.  segue 
l'idea  pagana,  che  buoni  e  cattivi  andasse- 
ro, doijo  morte,  all'inferno,  che  poi  si  di- 
videva negli  Elisi,  pei  buoni,  e  nel  Tartaro, 
pei  cattivi. 


460 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  XXXIV 


Oh  famelice,  inique  e  fiere  Arpie 
Ch'all'accecata  Italia  e  d'error  piena, 
Per  punir  lo.se  antique  colpe  rie, 
In  ogni  mensa  alto  giudicio  mena! 
Innocenti  fanciulli  e  madri  pie 
Cascan  di  fame,  e  veggon  ch'una  cena 
Di  questi  mostri  rei  tutto  divora 
Ciò  che  del  viver  lor  sostegno  fora. 
2 

Troppo  fallò  chi  le  spelonche  aperse. 
Che  già  molt'anjii  erano  state  chiuse; 
Onde  il  fetore  e  l'ingordigia  emerse, 
Ch'ad  ammorbare  Italia  si  diffuse. 
Il  bel  vivere  allora  si  summerse; 
E  la  quiete  in  tal  modo  s'escluse,    [fanni 
Ch'in  guerre,  iu  povertà  sempre  e  in  af- 
È  dopo  stata,  et  è  per  star  molt'anni: 
3 

Fin  ch'ella  un  giorno  ai  neghittosi  figli 
Scuota  la  chioma,  e  cacci  fuor  di  Lete, 
Gridando  lor:  Non  fia  chi  rassimigli 
Alla  virtù  di  Calai  e  di  Zete? 
Che  le  mense  dal  puzzo  e  dagli  artigli 
Liberi,  e  torni  a  lor  mondizia  liete? 
Come  essi  già  quelle  di  Fineo,  e  dopo 
Fé'  il  Paladin  quelle  del  Re  Etiope. 
4 

Il  Paladin  col  suono  orribil  venne 
Le  brutte  Arpie  cacciando  in  fuga  e  in 

[rotta, 
Tanto  ch'a  pie  d'un  monte  si  ritenne, 


1.  1.  famelice.  V.  e.  i,  41.  Qui  l'A.  si  volge 
con  ardore  patriottico  contro  gli  stranieri 
che,  come  arpie,  devastavano  l' Italia. 

2.  1.  chi.  Allude  specialmente  al  Moro,  a 
Alessandro  VI  e  a  Giulio  II,  che  chiama- 
rono in  Italia  gli  stranieri,  che  da  un  se- 
colo l'avevano  lasciata  quasi  tranquilla. 

—  3.  Onde;  dalle  quali  spelonche.  Qui  il 
signif.  metaf.  si  avvicina  al  proprio;  per- 
ché l'A.  considera  barbari  questi  invasori, 
e  spelonctie  le  loro  abitazioni. 

3.  2.  cacci;  li  cacci,  li  tragga  dall'oblio, 
in  cui  sono  sommersi. 

—  4.  Calai,  Zete;  figli  di  Borea  e  Orizia, 
che  liberarono  Fineo  dalle  Arpie. 

—  5.  Che.  Si  aspetterebbe  un  altro  chi, 
onde  abbiamo  qui  una  specie  di  sillessi, 
per  cui  il  che  si  riferisce  al  precedente  chi, 
quasi  fosse  uno  che. 

—  S.  Fé',  hberò.  V.  e.  xv,  52,  n.  7. 

4.  3.  Tanto  che,  fintanto  che.  Cosi  c.  XLiii, 


Ove  esse  erano  entrate  in  una  grotta. 
L'orecchie  attente  allo  spiraglio  tenne, 
E  l'aria  ne  senti  percossa  e  rotta 
Da  pianti  e  d'urli,  e  da  lamento  eterno; 
Segno  evidente  quivi  esser  lo  'nferno. 
f) 

Astolfo  si  pensò  d'entrarvi  dentro, 
E  veder  quei  c'hanno  perduto  il  gioruo, 
Ij  penetrar  la  terra  fin  al  centro, 
E  le  bolgie  infernal  cercare  intorno. 
Di  che  debbo  temer  (dicea)  s'io  v'entro? 
Che  mi  posso  aiutar  sempre  col  corno. 
Farò  fuggir  Plutone  e  Satanasso, 
E  '1  can  trifauce  leverò  dal  passo. 
G 

De  l'alato  destrier  presto  discese, 
E  lo  lasciò  legato  a  un  arbuscello: 
Poi  si  calò  ne  l'antro,  e  prima  prese 
Il  corno,  avendo  ogni  sua  speme  in  quello. 
Non  andò  molto  inanzi,  che  gli  ofi'ese 
Il  naso  e  gli  occhi  un  fumo  oscuro  e  fello, 
Pili  che  di  pece  grave  e  che  di  zolfo: 
Non  sta  d'andar  per  questo  inanzi  Astolfo. 
7 

Ma  quanto  va  pili  inanzi,  piti  s'ingrossa 
Il  fumo  e  la  caligine,  e  gli  pare 
Ch'andare  inanzi  più  troppo  non  possa; 
Che  sarà  forza  a  dietro  ritornare. 
Ecco,  non  sa  che  sia,  vede  far  mossa 
Da  la  vòlta  di  sopra,  come  fare 
Il  cadavero  appeso  al  vento  suole. 
Che  molti  di  sia  stato  all'acqua  e  al  sole. 
8 

Si  poco,  e  quasi  nulla  era  di  luce 
In  quella  affumicata  e  nera  strada, 


156,  xxxvii,  120,  1.  —    si  ritenne,  si  fermò. 
V.  e.  XXV,  7,  u.  6. 

—  5.  spiraglio;  apertura;  non  l'egistralo 
dai  vocab. 

—  7.  eterno.  In  questo  agg.  c'è  un'anti- 
cipazione; da  quel  lamento  che,  per  i  dan- 
nati, dura  eterno.  —  d'urli,  da  urli.  V.  e.  v, 
10,  n.  5. 

5.  8.  dal  passo  ;  dal  limitare,  come  è  nel- 
r  Eneide  lib.  vi.  Il  cane  trifauce  è  Cerbero. 

G.  8.  N.  sta  d'andar;  non  resta  d'  andar: 
i  e.  XXVI,  114,  n.  3. 

7.  5  far  mossa;  muoversi;  dondolarsi:  in 
questo  senso  non  è  registrato;  ma  forse  è 
un'  estensione  della  frase  :  fare  alcuna 
mossa,  movimento. 

—  8.  Che  molti  di  ecc.:  che  sia  cioè  di- 
ventato scheletrito  e  leggero. 


CANTO  XXXIV 


461 


Che  non  comprende  e  non  discerne  il  Duce, 
Chi  questo  sia  che  si  per  l'aria  vada; 
E  per  notizia  averne  si  conduce 
A  dargli  uno  o  duo  colpi  de  la  spada. 
Stima  poi,  ch'uno  spirto  esser  quel  debbia  ; 
Che  gli  par  di  ferir  sopra  la  nebbia. 
9 

AUor  senti  parlar  con  voce  mesta: 
Deh,  senza  fare  altrui  danno,  giù  cala! 
Pur  troppo  il  negro  fumo  mi  molesta, 
Che  dal  fuoco  infernal  qui  tutto  esala. 
11  Duca  stupefatto  allor  s'arresta, 
E  dice  all'ombra:  Se  Dio  tronchi  ogni  ala 
AI  fumo  si,  ch'a  te  più  non  ascenda, 
Non  ti  dispiaccia  che  '1  tuo  stato  intenda. 
10 

E  se  vuoi  che  di  te  porti  novella 
Nel  mondo  su,  per  satisfarti  sono. 
L'ombra  rispose:  Alla  luce  alma  e  bella 
Tornar  per  fama  ancor  si  mi  par  buono, 
Che  le  parole  è  forza  che  mi  svella 
Il  gran  desìr  c'ho  d'aver  poi  tal  dono, 
E  che  '1  mio  nome  e  l'esser  mio  ti  dica, 
Ben  che  '1  parlar  mi  sia  noia  e  fatica. 
11 

E  cominciò:  Signor,  Lidia  sono  io, 
Del  Ee  di  Lidia  in  grande  altezza  nata, 
Qui  dal  giudici©  altissimo  di  Dio 
Al  fumo  eternamente  condannata, 
Per  esser  stata  al  fido  amante  mio. 
Mentre  io  vissi,  spiacevole  et  ingrata. 
D'altre  infinite  è  questa  grotta  piena, 
Poste  per  simil  fallo  in  simil  pena. 

S.  3.  il  Duce  ;  il  duca.  Come  titolo  di  no- 
biltà non  è  registi",  nei  vocab. 

—  4.  Chi.  Non  intenderlo  per  che  aosa  : 
infatti  Astolfo  aveva  già  compreso  trattarsi 
di  persona,  come  apparisce  dalla  compa- 
razione del  cadavero,  che  rappresenta  l'im- 
pressione d' .Astolfo. 

—  6.  de  la  spada.  È  un  uso  affine  a  quello 
notato  nel  e.  xii,  S7,  n.  1. 

9.  6.  Se.  È  deprecativo.  V.  e.  vi,  30,  n.  8. 

10.  'i.  Tornar  per  fama  ecc.  Vedi,  per  que- 
sto desiderio,  Dante,  Iiif.  16,  82;  28,  91  e 
passini. 

11.  1.  Lidia.  In  questo  racconto  abbiamo 
un  palese  ricordo  della  novella  Boccaccesca 
di  Nastagio  degli  onesti;  dove  si  narra  d'una 
donna  punita  coli'  inferno,  perché  non  cor- 
rispose in  amore  il  suo  amante.  E  avverti 
che  come  Dante  pone  i  peccati  d'  amore  nel 
primo  girone,  cosi  qui  sono  posti  alla  bocca 
dell'  inferno.  Nei  particolari  è  rinnovato  un 
racconto  del  Guiron.  La  tiglia  del  re  di 
Norhombellande  ha  innamorato  di  sé  il  pro- 
de Febus  ;  che  vuol  prenderla  conquistando 
il  regno  di  Norhomb.  Il  padre  di  lei  manda 
la  figlia  a  placarlo,  ed  essa  va  ;  e  quantun- 
que l'odii,  cerca  di  lusingarlo.  Gli  impone 
le  più  pericolose  imprese,  che  egli  supera  ; 


12 

Sta  la  cruda  Anassàrete  più  al  basso. 
Ove  è  maggiore  il  fi^mo,  e  più  martire. 
Restò  converso  al  mondo  il  corpo  in  sasso, 
E  l'anima  qua  giù  venne  a  patire; 
Poi  che  veder  per  lei  l'afflitto  e  lasso 
Suo  amante  appeso  potè  solferire. 
Qui  presso  è  Dafne,  ch'or  s'avvede  quanto 
Errasse  a  fare  Apollo  correr  tanto. 
13 

Lungo  saria  se  gl'infelici  spirti 
De  le  temine  ingrate,  che  qui  stanno. 
Volesse  ad  uno  ad  uno  riferirti; 
Che  tanti  son,  ch'in  infinito  vanno. 
Più  lunj^o  ancor  saria  gli  uomini  dirti, 
A'  quai  l'essere  ingrato  ha  fatto  danno, 
E  che  puniti  sono  in  peggior  loco. 
Ove  il  fumo  gli  accieca,  e  cuoce  il  fuoco. 
14 

Perchè  le  donne  più  facili  e  prone 
A  creder  son,  di  più  supplicio  è  degno 
Chi  lor  fa  inganno.  Il'sa  Teseo  e  Giasone, 
E  chi  turbò  a  Latin  l'antiquo  regno: 
Sallo  ch'incontra  sé  il  frate  Absalone 
Per  Tamar  trasse  a  sanguinoso  sdegno; 
Et  altri  et  altre:  che  sono  infiniti, 
Che  lasciato  han  chi  moglie  e  chi  mariti. 

Ma  per  narrar  di  me  più  che  d'altrui, 
E  palesar  l'error  che  qui  mi  trasse, 
Bella,  ma  altiera  più,  si  in  vita  fui. 


ma  vedendosi  tante  volte  deluso  ne  ammala. 
Essa,  impietosita  al  fine,  va  per  confortarlo, 
e  lo  trova  morente.  Il  modello  del  Guiroa 
fu  l'Anassarete  d'  Ovidio,  (Metam.  14,  698), 
da  cui  pure  1'  A.  ha  tratto  alcuni  partico- 
lari. 

li.  1.  Anassàrete.  Fu,  secondo  le  favole, 
bellissima  fanciulla  di  Cipro;  amata  da  Ifi 
gli  si  mostrò  crudele.  Ifi  per  disperazione 
si  impiccò;  di  che  ella  godette.  Fu  dagli 
dei  per  pena  convertita  in  sasso. 

—  5.  per  lei.  È  complem.  di  appeso. 

—  7.  Dafne.  Figlia  del  fiume  Penco,  fug- 
gendo l'amore  di  Apollo  fu  trasformata  in 
lauro.  OviD.  Met.  1. 

13.  3.  Volesse,  volessi.  V.  e.  xxxi,  12,  n.  7. 

—  G.  essere  ingrato.  È  usato  assoluta- 
mente, perciò  non  concorda  con  uomini. 

14.  3.  Teseo,  Giasone,  Enea,  abbandona- 
rono rispettivamente  Arianna,  Medea,  Di- 
done. 

,  —  5.  Sallo  chi  ecc.  Ammone  figlio  di  Da- 
vid tradi  Tamar  sorella  d'Assalone,  che  per 

j  vendicarsi  lo  invitò  a  mensa  e  l'uccise.  Am- 

j  mone  e   Assaione   erauo  ambedue  figli  di 

:  David,  ma  di  madri  diverse. 

j  15.  3.  Bella  ecc.  Il  Galilei  corresse  «  Bella 
ed  altera  tanto  in  vita  fui»;  donde  non  si 

I  capisce  che  valore  attribuì  al  imi.  Il  Lavez- 


462 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  nou  so  s'altra  mai  mi  s'agguagliasse: 
Né  ti  saprei  beu  dir,  di  questi  dui 
S'ia  me  l'orgoglio  o  la  beltà  avanzasse  ; 
Quantunque  il  tasto  e  l'alterezza  nacque 
Da  la  beltà  eh'a  tutti  gli  occhi  piacque. 
IG  fliero 

Era  in  quel  tempo  in  Tracia  un  caval- 
Estimato  il  miglior  del  mondo  in  arme, 
Il  qual  da  più  d'un  testimonio  vero 
Di  singoiar  beltà  senti  lodarme: 
Tal  che  spontaneamente  fé'  pensiero 
Di  volere  il  suo  amor  tutto  donami  e, 
Stimando  meritar  per  suo  valore, 
Che  caro  aver  di  lui  dovessi  il  core. 
17 

In  Lidia  venne;  e  d'nn  laccio  più  forte 
Vinto  restò,  poi  che  veduta  m'ebbe. 
Con  gli  altri  cavallier  si  messe  in  corte 
Del  padre  mio,  dove  in  gran  fama  crebbe. 
L'alto  valore,  e  le  più  d'una  sorte 
Prodezze  che  mostrò,  lungo  sarebbe 
A  raccontarti,  e  il  suo  merto  infinito, 
Quando  egli  avesse  a  più  grato  uom  ser- 
.18  fvito. 

Pamfilia  e  Caria,  e  il  regno  de'  Cilici 
Pe:.-  opra  di  costui  mio  padre  vinse; 


zuola  intese:  «  Bella,  ma  più  altera  che  bel- 
la». E  con  questa  interpi'etazione  vide  fra 
il  verso  3  e  i  versi  5  e  6  palese  contra- 
dizione. Il  Romizi,  rispondendo  al  Lave- 
zuola,  dice  :  «  A  me  pare  naturale  questo 
confondersi  di  donna,  che  deve  confessarsi 
in  colpa  d'  alterezza  e  che  nou  può  lodarsi 
tanto  da  sé  della  propria  bellezza  senza  ap- 
parir troppo  vana  ».  Confesso  di  non  aver 
capito  la  mente  dell'insigne  commentatore. 
A  me  sembra  che,  intendendo  come  il  La- 
vezuola,  la  contradizione  sarebbe  evidente; 
e,  a  cosi  breve  distanza,  anche  stranissima. 
Invece  si  deve  intendere  ben  diversamente, 
dando  al  inù  il  significatù  dvinoì.tre^  di  più  : 
Io  fui  iu  vita  XI  betta,  ma  inoltre  ìi  altera 
Che  ecc.;  con  la  quale  interpreiazione  si  dà 
la  migliore  isposizione,  che  u  Lavezuola 
invocava  a  togliere  la  coutradizione,  e  si 
rimedia  al  duro  anacoluto,  come  voleva  fare 
il  Galilei.  Per  questo  signilicaio  di  più  con- 
fronta Boccaccio,  Noo.  70:  «.Ed  ancor  vi 
dico  più  che  quando  costui  mi  lascerà,  io 
non  intendo  per  ciò  di  mai  tornare  a  voi  ». 

16.  6.  il  suo  amor.  L' innaiTioi  anieiilo  per 
fama  è  frequente  negli  anticlii  racconti; 
famosi  gli  amori  di  Jaufré  RuJel,  di  Ger- 
bino. 

17.  2.  Vinto  (dal  lat.  vincire)  legato.  Si 
cita  con  questo  solo  esempio  dell'Ariosto. 

—  5-6.  le...  prodezze  di  più  d'una  maniera 
Inversione  freq.  neir.\r. 

18.  1.  Panfilia,  Caria,  Cilicia  erano  [irovin- 
cie  dell'Asia  Minore;  oggi  .\iiatoUa. 


Che  l'esercito  mai  contra  i  nemici, 
Se  non  quanto  volea  costui,  non  spinse. 
Costui,  poi  che  gli  parve  i  benefici 
Suoi  meritarlo,  un  df  coi  Re  si  strinse 
A  domandargli  in  premio  de  le  spoglie 
Tante  arrecate,  ch'io  fossi  sua  moglie. 
l'J 

Fu  repulso  dal  Re,  ch'in  grande  stato 
Maritar  disegnava  la  tiglluola, 
Nou  a  costui  che  cavallier  privato 
Altro  non  tien  che  la  virtude  sola: 
E  '1  padre  mio  troppo  al  guadagno  dato, 
E  all'avarizia,  d'ogni  vizio  scuola. 
Tanto  apprezza  costumi,  o  virtù  ammira, 
Quanto  l'asino  fa  '1  suon  de  la  lira. 
20 

Alceste,  il  cavallier  di  ch'io  ti  parlo 
(Che  cosi  nome  avea),  poi  che  si  vede 
Repulso  da  chi  più  gratitìcarlo 
Era  più  debitor,  commiato  chiede; 
E  lo  minaccia,  nel  partir,  di  farlo 
Pentii-,  che  la  figliuola  non  gli  diede. 
Se  n'andò  al  Re  d'Armenia,  emulo  antico 
Del  Re  di  Lidia,  e  capital  nemico; 
21 

E  tanto  stiraulò,  che  lo  dispose 
A  pigliar  l'arme,  e  far  guerra  a  mio  padre. 
Esso  per  l'opre  sue  chiare  e  famose 
Fu  fatto  capitan  di  quelle  squadre. 
Pel  Re  d'Armenia  tutte  le  altre  cose 
Disse  eh'  acquisteria:  sol  le  leggiadre 
E  belle  membra  mie  volea  per  frutto 
De  l'opra  sua,  vinto  ch'avesse  il  tutto. 
22 

Io  non  ti  potre'  esprimere  il  gran  danno 
Ch' Alceste  al  padre  mio  fa  in  quella  guer- 

(ra. 
Quattro  eserciti  rompe,  e  in  men  d'un  anno 
Lo  mena  a  tal,  che  non  gli  lascia  terra, 
Fuor  ch'un  Castel  ch'alte  pendici  fanno 
Fortissimo;  e  là  dentro  il  Re  si  serra 
Con  la  famiglia  che  più  gli  era  accetta, 
E  col  tesor  che  ttar  vi  puote  in  fretta. 
23 

Quivi  assedionne  Alceste;  et  in  non  mol- 
Termine  a  tal  disperazion  ne  trasse,  |to 
Che  per  buon  patto  avria  mio  padre  tolto. 
Che  moglie,  e  servaancor  me  gli  lasciasse 
Con  la  metà  del  regno,  s'indi  assolto 


—  6.  si  strinse  a;  si  accinse  a.  Si  cita  un 
es.  del  l^agiuoli,  non  questo  dell'.*. 

19.  8.  Quanto  l'asino  ecc.  lì  proverbio  an- 
tico: asinvs  ad  lyram  :  quanto  rasino  am- 
mira il  suon  della  1.  Per  l'  uso  del  verbo 
fare.  Cfr.  e.  xxiv,  16,  n.  2. 

20.  4.  era...  debitor,  dovev.3   V.  e.  v,  72,  3. 
23.  4.  che  . . .  gli  lasciasse;  di  lasciargli. 

V.  e.  1,  38,  n,  6. 

—  5.  assolto;  libero:  non  comune. 


CANTO  XXXIV 


463 


Restar  d'ogni  altro  danno  si  sperasse. 
Vedersi  in  breve  de  l'avanzo  privo 
Era  ben  certo,  e  poi  morir  captivo. 
24 

Tentar,  prima  ch'accada,  si  dispone 
Ogni  rimedio  che  possibii  sia; 
E  me,  che  d'ogni  male  era  cagione, 
Fuor  de  la  ròcca,  ov'era  Alceste,  invia. 
Io  vo  ad  Alceste  con  intenzione 
Di  dargli  in  preda  la  persona  mia, 
E  pregar  che  la  parte  che  vuol,  tolga 
Del  regno  nostro,  e  l'ira  in  pace  volga. 
25 

Come  ode  Alceste  ch'io  vo  a  ritrovarlo, 
Mi  viene  incontra  pallido  e  tremante: 
Di  vinto  e  di  prigione,  a  riguardarlo. 
Più  che  di  vincitore,  ave  sembiante. 
Io  che  conosco  ch'arde,  non  gli  parlo, 
Si  come  avea  giù  disegnato  inante  : 
Vista  l'occasion,  fo  pensier  nuovo 
Conveniente  al  grado  in  ch'io  lo  trovo. 
26 

A  maledir  comincio  l'amor  d'esso, 
E  di  sua  crudeltà  troppo  a  dolermi, 
Ch'iniquamente  abbia  mio  padre  oppresso 
E  che  per  forza  abbia  cercato  avermi; 
Che  con  più  grazia  gli  saria  successo 
Indi  a  non  molti  di,  se  tener  fermi 
Saputo  avesse  i  modi  cominciati, 
Ch'ai  Re  et  a  tutti  noi  si  furon  grati. 
27 

E  se  ben  da  principio  il  padre  mio 
Gli  avea  negata  la  domanda  onesta 
(Però  che  di  natura  è  un  poco  rio 

—    tì.  si  sperasse;  V.  e.  v,  20,  u.  3. 

25.  8.  grado  ;  condizione.  È  frequente  an- 
che in  prosa,  e  comune  in  alcune  locuz. 
Essere,  Sentirsi  in  grado,  mettere  o  met- 
tersi in  grado,  ecc. 

26.  5.  Che  eoo  p.  grazia.  Si  può  intendere  : 
La  qual  cosa  (cioè  avermi)  sarebbe  avve- 
nuta per  parte  mia  con  maggioi-e  e  più  gra- 
dita spontaneità.  Grada  nel  senso  di  spon- 
taneità  che  riesce  accetta  e  gradita  più 
della  concessione  forzata,  l'abbiamo  anche 
nel  e.  XLi,  55,  7;  e  il  che  nel  senso  di  la 
qual  cosa  vedilo  nel  e.  xxiv,  38,  15;  xxvni, 
37,  7,  enei  Petrarca i,  son.  17:  «  l^oria  smar- 
rire il  suo  naturai  corso.  Che  grave  colpa 
fla  d'ambeduo  noi».  —  Si  può  anche  inten- 
dere il  che  come  congiunzione  dipendente 
da  un  verbo  dico  da  rilevarsi  dal  comincio 
della  proposiz.  principale  :  e  gli  dico  che 
con  più  gradita  spontaneità  gli  sarebbe 
successo  d'avermi  ecc. 

27.  2.  negata  la  dom.  Domanda  si  usò  non 
di  rado  per  la  cosa  domandata  :  Boccaccio, 
Filocolo,  1,  14  :  «  A  me  la  mia  domanda  non 
negare  ». 

—  3.  rio,  ritroso,  severo.  Non  si  cita  che 
questo  esempio  dell'Ariosto. 


Né  mai  si  piega  alla  prima  richiesta), 
Farsi  per  ciò  di  ben  servir  restio 
Non  doveva  egli,  e  aver  l'ira  si  presta; 
Anzi,  ognor  meglio  oprando,  tener  certo 
Venire  in  breve  al  desiato  merto. 
28 
E  quando  anco  mio  padre  a  lui  ritroso 
Stato  fosse  io  l'avrei  tanto  pregato, 
Ch'avria  l'amante  mio  fatto  mio  sposo. 
Pur,  se  veduto  io  l'avessi  ostinato, 
Avrei  fatto  tal  opra  di  nascoso. 
Che  di  me  Alceste  si  saria  lodato. 
Ma  poi  ch'a  lui  tentar  parve  altro  modo, 

10  di  mai  non  l'amar  fisso  avea  il  chiodo. 

29 
E  se  ben  era  a  lui  venuta,  mossa 
Da  la  pietà  ch'ai  mio  padre  portava. 
Sia  certo  che  non  molto  fruir  possa 

11  piacer  ch'ai  dispetto  mio  gli  dava: 
Ch'era  per  far  di  me  la  terra  rossa, 
Tosto  ch'io  avessi  alla  sua  voglia  prava 
Con  questa  mia  persona  satisfatto 

Di  quel  che  tutto  a  forza  saria  fatto. 
30 

Queste  parole  e  simili  altre  usai. 
Poi  che  potere  in  lui  mi  vidi  tanto; 
E  '1  più  pentito  lo  rendei,  che  mai 
Si  trovasse  ne  l'eremo  alcun  Santo. 
Mi  cadde  a'  piedi,  e  supplicommi  assai, 
Che  col  coltel  che  si  levò  da  canto 
(E  volea  in  ogni  modo  ch'io  '1  pigliassi) 
Di  tanto  fallo  suo  mi  vendicassi. 
31 

Poi  ch'io  lo  trovo  tale,  io  fo  disegno 
La  gran  vittoria  in  sin  al  fin  seguire. 
Gli  do  speranza  di  farlo  anco  degno 
Che  la  persona  mia  potrà  fruire. 
S'emendando  il  suo  error,  l'antiquo  regno 


—  5.  Farsi  restio  di  s.  ;  farsi  ricalcitrante 
a  servir.  Generalmente  si  costruisce  con  a. 
Del  costrutto  con  di  non  si  cita  dai  voca- 
bolari alcun  esempio. 

—  7.  tener  certo.  Rileva  dal  contesto  un 
dovea. 

—  8.  merto  premio.  V.  e.  il,  16. —  Venir  ; 
di  venir. 

28.  8.  fisso  avea  il  eh.  Modo  popolare  vi- 
vissimo, che  vale  essere  ostinato. 

29.  3.  fruir  ecc.  V.,  perii  costrutto,  xiii, 
14,  8, 

30.  3.  '1  più  pentito...  che  ecc.  Abbiamo 
la  fusione  di  due  costrutti,  uno  superlativo 
e  uno  comparativo.  Lo  rendei  il  più  pentito 
uomo  che  mai  si  trovasse.  —  Lo  rendei 
più  pentito  di  quanto  si  trovasse  mai  pen- 
tito nell'eremo  alcun  santo.  L'A.  ama  spesso 
queste  fusioni.  V.  e.  ii,  6;  xxxv,  45  ecc. 

31.  3.  degno...  che  potrà;  degno  di  poter. 
È  forse  uno  speciale  atteggiamento  del  co- 
strutto latino:  dignus  ut  ecc. 


464 


ORLANDO  FURIOSO 


Al  padre  mio  farà  restituire; 
E  nel  tempo  a  venir  vorrà  acquistarme 
Servendo,  amando,  e  non  mai  piùper  arme. 
32 

Cosi  far  mi  promesse,  e  ne  la  rócca 
Intatta  mi  mandò,  come  a  lui  venni. 
Né  di  baciarmi  pur  s'ardi  la  bocca: 
Vedi  s'al  collo  il  giogo  ben  gli  tenni-, 
Vedi  se  bene  Amor  per  me  lo  tocca, 
Se  convien  che  per  lui  più  strali  impenni. 
Al  Re  d'Armenia  andò,  di  cui  dovea 
Esser  per  patto  ciò  che  si  preudea: 
33 

E  con  quel  miglior  modo  ch'usar  puote. 
Lo  priega  ch'ai  mio  padre  il  regno  lassi, 
Del  qual  le  terre  ha  depredate  e  vote, 
Et  a  goder  l'antiqua  Armenia  passi. 
Quel  Re,  d'ira  infiammando  ambe  le  gote, 
Disse  ad  Alceste,  che  non  vi  pensassi; 
Glie  non  si  volea  tòr  da  quella  guerra, 
Fin  che  mio  padre  avea  palmo  di  terra. 
34 

E  s'Alceste  è  mutato  alle  parole 
D'una  vii  feminella,  abbiasi  il  danno. 
Già  a'prieghi  esso  di  lui  perder  non  vuole 
Quel  ch'a  fatica  ha  preso  in  tutto  un  anno. 
Di  nuovo  Alceste  il  priega,  e  poi  si  duole 
Che  seco  effetto  i  prieyhi  suoi  non  fanno. 
All'ultimo  s'adira,  e  lo  minaccia 
Che  vuol,  per  forza  o  per  amor  lo  faccia. 
35 

L'ira  multiplicò  si,  che  li  spinse 
Da  le  male  parole  ai  peggior  fatti. 
Alceste  centra  il  Re  la  spada  strinse 
Fra  mille  ch'in  suo  aiuto  s'eran  tratti; 
E,  mal  grado  lor  tutti,  ivi  l'estinse; 
E  quel  di  ancor  gli  Armeni  ebbe  disfatti 
Con  l'aiuto  de'  Cilici  e  de'  Traci 
Che  pagava  egli,  e  d'altri  suoi  seguaci. 
30 

Seguitò  la  vittoria,  et  a  sue  spese. 
Senza  dispendio  alcun  del  padre  mio. 
Ne  rendè  tutto  il  regno  in  mcn  d'un  mese. 
Poi  per  ricompensarne  il  danno  rio, 
OltFalle  spoglie  che  ne  diede,  prese. 
In  parte,  e  gravò  in  parte  di  gran  fio 


32.  6.  impenni,  guarnisca  di  penne  ;  vedi 
se  è  necessario  che  amore  fabbrichi  ormai 
altri  strali  amorosi  da  colpirlo  ;  è  chiaro 
che  no.  Gli  strali  avevano  ad  una  estremità 
Jissate  alcune  penne,  che  servivano  a  man- 
tenerne la  direzione. 

SU.  &.  pensassi.  V.  e.  xxxil,  12,  n.  6. 

34.  8.  Che.  Si  rilevi  dal  minaccia  un  e 
dice,  ai  potrebbe  anche  intendere  :  Io  mi- 
naccia pei'ché. 

3.J.  5.  mal  grado  lor  t.  ;  v.  e.  xviii,  40,  n.  1. 

30. 1.  Seguitò  la  vittoria;  continuò  la  guer- 
ra vittoriosa.  La  vittoria  è  in  questa  espres- 
sione come  personificata.  V.  st.  31,  2. 

—  5-6.  prese  in  parte;  prese  parte  di  quel- 


Armenia  e  Cappadocia  che  confina, 
E  scórse  Ircania  fin  su  la  marina. 
37 

In  luogo  di  trionfo,  al  suo  ritorno. 
Facemmo  noi  pensier  dargli  la  morte. 
Restammo  poi,  per  non  ricever  scorno; 
Che  lo  veggian  troppo  d'amici  forte. 
Fingo  d'amarlo,  e  più  di  giorno  in  giorno 
Gli  do  speranza  d'essergli  consorte; 
Ma  prima  centra  altri  nimici  nostri 
Dico  voler  che  sua  virtù  dimostri. 
38 

E  quando  sol,  quando  con  poca  gente 
Lo  mando  a  strane  imprese  e  perigliose, 
Da  farne  morir  mille  agevolmente: 
Ma  lui  successer  ben  tutte  le  cose; 
Che  tornò  con  vittoria,  e  fu  sovente 
Con  orribil  persone  e  monstruose. 
Con  Giganti  a  battaglia  e  Lestrigoni, 
Ch'  erano  infesti  a  nostre  regioni. 
39 

Non  fudaEuristeomai,nonfumai  tanto 
Da  la  Matrigna  esercitato  Alcide 
In  Lerna,  in  Nèmea,  in  Tracia,  in  Eri- 
Alle  valli  d'Etolia,  alle  Numide,  [manto. 
Sul  Tevre,  su  l'Ibero,  e  altrove;  quanto 
Con  prieghi  finti  e  con  voglie  omicide 
Esercitato  fu  da  me  il  mio  amante. 
Cercando  io  pur  di  tórlomi  davante. 
40 

Né  potendo  venire  al  primo  intento, 
Vengone  ad  un  di  non  minore  effetto: 
Gli  fo  quei  tutti  ingiuriar,  ch'io  sento 
Che  per  lui  sono,  e  a  tutti  in  odio  il  metto. 
Egli  che  non  sentia  maggior  contento, 
Che  diibbidirmi,  senza  alcun  rispetto 


le  regioni  e  le  aggregò  alla  Lidia;  parte  le 
gravò  di  tributi. 

—  6.  fio  ;  triljuto.  Fio  in  antico  significò 
feudo  e  anche  tributo  feudale.  Villani  4, 
21  :  «  Assolve  tutti  i  baroni  da  fio  ». 

38.  4.  Ini  succ;  gli  successer.  Cosi  Dante, 
Inf.  8.  «  Ma  per  dar  lui  esperienza  piena  ». 

—  7.  Lestrigoni.  Popolo  selvaggio  antro- 
pofago, le  cui  sedi  son  messe  dalla  favola 
ora  in  Oriente  ora  in  .Sicilia  ora  nella  Cam- 
pania. V.  Odissea  lib.  10,  dove  combattono 
contro  i  compagni  di  Ulisse. 

39.  2.  Alcide;  Ercole  (figlio  di  Giove  e  di 
Alcmena,  che  aveva  per  marito  Anfitrione 
figlio  A' Alceo  )  compi  le  famose  12  fatiche 
comandategli  dal  fratello  Kuristeo  per  sug- 
gestione della  matrigna  Giunone  :  uccise 
r  idra  di  Lerna  -  strangolò  il  leone  Nemeo 

-  vinse  Diomede  re  di  Tracia  -  prese  il  cin- 
ghiale d'Erimanto  -  vinse  il  fiume  Acheloo 

-  uccise  il  gigante  Anteo  in  .affrica  (alle 
valli  Numide)  -  sul  Tevere  uccise  il  tiranno 
Lacinie  -  In  spagna  vinse  il  re  Gerione  to- 
gliendogli le  famose  bellissime  vacche. 


CANTO  XXXIV 


465 


Le  mani  ai  cenni  miei  sempre  avea  pronte, 

Senza  guardare  un  pili  d'un  altro  in  fronte. 

41 

Poi  che  mi  fu,  per  questo  mezzo,  avviso 
Spento  aver  del  mio  padre  ogni  nimico, 
E  per  lui  stesso  Alceste  aver  conquiso, 
Che  non  si  avea,  per  noi,  lasciato  amico  ; 
Quel  ch'io  gli  avea  con  simulato  viso 
Celato  fin  allor,  chiaro  gli  esplico: 
Che  grave  e  capitale  odio  gli  porto, 
E  pur  tuttavia  cerco  che  sia  morto. 
42 

Considerando  poi,  s'io  lo  facessi, 
Ch'in  publica  ignominia  ne  verrei 
(Sapeasi  troppo  quanto  io  gli  dovessi, 
E  crudel  detta  sempre  ne  sarei); 
Mi  parve  fare  assai,  ch'io  gli  togliessi 
Di  mai  venir  più  inanzi  agli  occhi  miei. 
Né  veder  né  parlar  mai  più  gli  volsi. 
Né  messo  udi',  né  lettera  ne  tolsi. 
43 

Questa  mia  ingratitudine  gli  diede 
Tanto  martir,  ch'ai  fin  dal  dolor  vinto, 
E  dopo  un  lungo  domandar  mercede, 
Infermo  cadde,  e  ne  rimase  estinto. 
Per  pena  ch'ai  fallir  mio  si  richiede. 
Or  gli  occhi  ho  lacrimosi,  e  il  viso  tinto 
Del  negro  fumo:  e  cosi  avrò  in  eterno  ; 
Che  nulla  redenzione  è  ne  l'Inferno. 
44 

Poi  che  non  parla  più  Lidia  infelice, 
Va  il  Duca  per  saper  s'altri  vi  stanzi: 
Ma  la  caligine  alta  ch'era  ultrice 
De  l'opre  ingrate,  si  gl'ingrossa  inanzi. 
Ch'andare  un  palmo^ol  più  non  gli  lice: 
Anzi  a  forza  tornar  gli  conviene,  anzi. 
Perché  la  vita  non  gli  sia  intercetta 
Dal  fumo,  i  passi  accelerar  con  fretta. 
45 

Il  mutar  spesso  de  le  piante  ha  vista 
Di  corso,  e  non  di  chi  passeggia  o  trotta. 
Tanto,  salendo  inverso  1'  erta,  acquista. 
Che  vede  dove  aperta  era  la  grotta; 
E  l'aria,  già  caliginosa  e  trista. 
Dal  lume  cominciava  ad  esser  rotta. 
Al  fin  con  molto  affanno  e  grave  ambascia 
Esce  da  l'antro,  e  dietro  il  fumo  lascia. 
46 

E  perché  del  tornar  la  via  sia  tronca 
A  quelle  bestie  c'han  si  ingorde  l'epe. 


41.  6.  esplico.  Dante,  Par.  6,  26,  disse 
replico,  supplico. 

—  8.  E  pur  tuttavia;  e  di  più  sempre  cer- 
co ecc.  Duuque  non  devi  unir  pur  con 
tuttavia. 

43.  S.  nulla  redenzione.  È  l'espressione  bi- 
blica: in  inferno  nulla  est  redemptio. 

45.  1.  il  mutar  d.  1.  p.;  il  mutar  dei  passi. 
V.  e.  II,  32,  n.  7. 

46.  2.  epe;  i  ventri:  cosi  Inf.  25,  82. 


Eaguna  sassi,  e  molti  ai'bori  tronca. 
Che  v'eran  qual  d'amomo  e  qual  di  pepe; 
E  come  può,  dinanzi  alla  spelonca 
Fabrica  di  sua  man  quasi  una  siepe: 
E  gli  succede  cosi  ben  quell'opra, 
Che  più  l'Arpie  non  torneran  di  sopra. 
47 

I!  negro  fumo  de  la  scura  pece. 
Mentre  egli  fu  ne  la  caverna  tetra, 
Non  macchiò  sol  quel  ch'apparia,  et  iufece; 
Ma  sotto  i  panni  ancora  entra  e  penetra: 
Si  che  per  trovare  acqua  andar  lo  fece 
Cercando  un  pezzo;  e  al  fin  fuor  d'una 
Vide  una  fonte  uscir  ne  la  foresta,  [pietra 
Ne  la  qual  si  lavò  dal  pie  alla  testa. 
48 

Poi  monta  il  volatore,  e  in  aria  s'alza 
Per  giunger  di  quel  monte  in  su  la  cima, 
Che  non  lontan  con  la  superna  balza 
Dal  cerchio  de  la  Luna  esser  si  stima. 
Tanto  è  il  desir  che  di  veder  lo  'ncalza. 
Ch'ai  cielo  aspira,  e  la  terra  non  stima. 
De  l'aria  più  e  più  sempre  guadagna; 
Tanto  ch'ai  giogo  va  de  la  montagna. 
49 

Zaffir,  rubini,  oro,  topazi  e  perle 
E  diamanti  e  crisoliti  e  iacinti 
Potriano  i  fiori  assimigliar,  che  per  le 
Liete  piaggie  v'avea  l'aura  dipinti: 
Si  verdi  l'erbe,  che  possendo  averle 
Qua  giù,  ne  foran  gli  smeraldi  vinti  ; 
Né  men  belle  degli  arbori  le  frondi, 
E  di  frutti  e  di  fior  sempre  fecondi. 
50 

Cantan  fra  i  rami  gli  augelletti  vaghi 
Azurri  e  bianchi  e  verdi  e  rossi  e  gialli. 
Murmuranti  ruscelli,  e  cheti  laghi 
Di  limpidezza  vincono  i  cristalli. 
Una  dolce  aura  che  ti  par  che  vaghi 


—  4.  amomo,  pepe.  Se  il  pepe  delle  Indie 
el'amomo  comune  sono  piante  erbacee,  l'a- 
momo  del  Malabar  e  il  pepe  di  Giaraaica 
sono  veri  alberi;  e  il  P.  livide  forse  pur  nei 
nostri  giardini,  dove  crescono  rigogliosi. 

47.  3.  infece;  infettò:  dall' iuus.  inflcere 
(lat.).  Fu  usato  solo  nel  passato  rem.  e  nel 
part.  pass,  (infètto),  non  in  altri  tempi. 

48.  2.  monte.  L' idea  del  Paradiso  terrestre 
in  Oriente  su  una  montagna  è  comune  nel 
M.  Evo;  sicché  deve  dirsi  sorella  non  figlia 
di  quella  dantesca;  però  in  alcuni  partico- 
lari r  A.  ha  avuto  presente  anche  Dante. 

—  4.  si  stima;  si  crede  generalmente. 

49.  1-8.  Tutta  questa  descriz.  del  par. 
terrestre  si  i-iseute  di  quella  dantesca. 

—  5.  possendo,  potendo.  V.  c.  xiv,  54, 
n.  7. 

50.  5.  Una  dolce  aura.  Dante,  Pury.  2S. 
«  Un'  aura  dolce  senza  mutamento  Avere 
in  sé». 


Ariosto  —  Papini 


30 


466 


ORLANDO  FURIOSO 


A  un  modo  sempre,  e  dal  suo  stil  non  falli 
Facea  si  l'aria  tremolar  d'intorno, 
Che  non  potea  uoiar  calor  del  giorno: 
ól 

E  quella  ai  fiori,  ai  pomi  e  alla  verzura 
Gli  odor  diversi  depredando  giva; 
E  di  tutti  faceva  una  mistura 
Che  di  soavità  l'alma  notriva. 
Surgea  un  palazzo  in  mezzo  alla  pianura, 
Ch'acceso  esser  parca  di  fiamma  viva: 
Tanto  splendore  intorno  e  tanto  lume 
Kaggiava,  fuor  d'ogni  mortai  costume. 
52 

Astolfo  il  suo  destrier  verso  il  palagio 
Che  più  di  trenta  miglia  intorno  aggira, 
A  passo  lento  fa  muovere  adagio, 
E  quinci  e  quindi  il  bel  paese  ammira; 
E  giudica,  appo  quel,  brutto  e  malvagio, 
E  che  sia  al  cielo  et  a  natura  in  ira 
Questo  ch'abitàn  noi  fetido  mondo: 
Tanto  è  soave  quel,  chiaro  e  giocondo. 
53 

Come  egli  è  presso  al  luminoso  tetto, 
Attonito  riman  di  maraviglia. 
Che  tutto  d'una  gemma  è  '1  muro  schietto, 
Più  che  carbonchio  lucida  e  vermiglia. 
O  stupenda  opra,  o  dedalo  architetto! 
Qual  fabrica  tra  noi  le  rassimiglia? 
Taccia  qualunque  le  mirabil  sette 
Moli  del  mondo  in  tanta  gloria  mette. 
54 

Nel  lucente  vestibulo  di  quella 
Felice  casa  un  Vecchio  al  Duca  occorre, 
Che  '1  manto  ha  rosso,  e  bianca  la  gonnella. 


—  6.  dal  s.  s.  non  falli  ;  non  si  allontani. 
Per  fallare  in  questo  senso  e  costrutto  si 
cita  solo  l'A. 

52.  2.  aggira;  gira.  L'usarono  anche  al- 
tri, ma  non  è  freq.  Giambullari,  St.  E.  64: 
«  E  vedesi  ch'ella  (città)  aggira  intorno  quin- 
dici miglia  ». 

—  5.  appo  quel;  in  confronto  a  quello. 

53.  3.  schietto;  Uscio.  Dante,  Inf.  13,  «non 
rami  schietti  ». 

—  5.  dedalo;  abile,  maraviglioso.  L'usa- 
rono i  Latini  :  Viro.  En.  7,  2S2,  ha  daedala 
Circe.  Poi  1'  usarono  il  Tasso,  il  Monti. 

—  7.  sette  moli.  Le  sette  maraviglie  del 
mondo.  È  notizia  che  ci  viene  dagli  antichi 
(V.  De  septe'in  orbis  ìniraculis  tradotto  dal 
greco  in  lat.  nel  1610  ;  e  Plinio,  S.  .V.  lib.  36): 
esse  erano:  Le  piramidi  -  i  giardini  pensili 
di  Babilonia  -  le  mura  di  Babilonia  -  il  Giove 
olimpico  di  Fidia  -  il  colosso  di  Rodi  -  il 
tempio  di  Diana  in  Efeso  -  La  tomba  di  Mau- 
solo.  Alcuni  facendo  una  sola  della  seconda 
e  terza  aggiunsero  il  palazzo  di  Ciro  re  de' 
Medi. 

54.  2.  occorre;  (lat.  occurrit),  si  presen- 
ta. V.  e.  XXVII,  41. 


Che  l'un  può  al  latte,  e  l'altro  al  minio  op- 

[porre 
I  crini  ha  bianchi,  e  bianca  la  mascella 
Di  folta  bai'ba  ch'ai  petto  discorre; 
Et  è  si  venerabile  nel  viso, 
Ch'un  degli  eletti  par  del  Paradiso. 
55 

Costui  con  lieta  faccia  al  Paladino, 
Che  riverente  era  d'arcion  disceso. 
Disse;  O  Baron  che  per  voler  divino 
Sei  nel  terrestre  paradiso  asceso: 
Come  che  né  la  causa  del  camino, 
Né  il  fin  del  tuo  desir  da  te  sia  inteso; 
Pur  credi  che  non  senza  alto  misterio 
Venuto  sei  da  l'Artico  emisperio. 
56 

Per  imparar  come  soccorrer  dei 
Carlo,  e  la  Santa  Fé  tór  di  periglio. 
Venuto  meco  a  consigliar  ti  sei 
Per  cosi  lunga  via  senza  consiglio. 
Né  a  tuo  saper,  né  a  tua  virtù  vorrei 
Ch'esser  qui  giunto  attribuissi,  o  figlio; 
Che  né  il  tuo  corno,  né  il  cavallo  alato 
Ti  valea,  se  da  Dio  non  t'era  dato. 
57 

Ragionerem  più  adagio  insieme  poi, . 
E  ti  dirò  come  a  procedere  hai; 
Ma  prima  vienti  a  ricrear  con  noi; 
Che  '1  digiun  lungo  de,'  noiarti  ormai. 
Continuando  il  Vecchio  i  detti  suoi, 
Fece  maravigliare  il  Duca  assai, 
Quando,  scoprendo  il  nome  suo,  gli  disse 
Esser  colui  che  l'Evangelio  scrisse. 
58 

Quel  tanto  al  Redentor  caro  Giovanni 


—  4.  l'nn...  l'altro,  riferiti  a  maschile  e 
femmin.  sono  d'uso  freq.;  cosi  pure  questi. .. 
quegli:  Tasso,  Ger.  xii  57,  di  Clorinda  e 
Tancr.  :  «  E  questi  e  quegli  allin  pur  si  ri- 
tira »  e  r  A.  e.  xxvii,  116,  8;  xvi,  6,  5,  dove 
puoi  vedere  la  nota.  —  opporre,  contrappor- 
re, mettere  a  riscontro.  È  significato  tolto 
daiV opponere  dei  Lat.:  i  nostri  vocab.  non 
lo  citano. 

—  6.  discorre,  scorre  (lat.  discurrit). 
5,).  s.  da  l'Artico  e.  Veramente  la  Nubia  è 

sempre  nell'emisfero  bor.  (artico);  ma  qui 
o  l'A.  intende  dire  che  questo  luogo  è  come 
segregato  dal  mondo  ;  o  per  emisperio  art. 
intende  semplicemente  le  parti  del  Setten- 
trione :  sei  venuto  dalle  parti  settentrionali 
del  mondo.  È  preferibile  la  prima  interpre- 
tazione. 

SI.  4.  senza  consiglio.  Unisci  a  Set  venu- 
to; e  vuol  dire:  Senza  che  tu  lo  volessi  e 
sapessi.  Dante,  Par.  20,  41  :  «  In  quanto  ef- 
fetto fu  del  suo  consiglio»;  e  cosi  spesso. 

—  6.  esser  qui  g.  ;  l'esser  qui  g.  L'omis- 
sione degli  articoli  è  frequentissima  nell'Ar. 

68.  1.    Giovanni  Evangelista.   Osserva  il 


CANTO  XXXIV 


467 


-  Per  cui  il  sermone  tra  i  fratelli  uscio, 
Glie  non  dovea  per  morte  finir  gli  anni; 
Si  che  fu  causa  che  '1  figliuol  di  Dio 
A  Pietro  disse:  Perché  pur  t'affanni 
S'iovo'  che  cosi  aspetti  il  venir  mio? 
Ben  che  non  disse:  Egli  non  de'  morire, 
Si  vede  pur  che  cosi  volse  dire. 
59 

Quivi  fu  assunto,  e  trovò  compagnia, 
Che  prima  Enoch,  il  Patriarca,  v'era; 
Eravi  insieme  il  gran  profeta  Elia, 
Che  non  han  vista  ancor  l'ultima  sera; 
E  fuor  de  l'aria  pestilente  e  ria 
Si  goderan  l'eterna  primavera. 
Fin  che  dian  segno  l'angeliche  tube, 
Che  torni  Cristo  in  su  la  bianca  nube. 
60 

Con  accoglienza  grata  il  eavalliero 
Fu  dai  Santi  alloggiato  in  una  stanza: 
Fu  provisto  in  un'altra  al  suo  destriero 
Di  buona  biada,  che  gli  fu  a  bastanza. 
De'  frutti  a  lui  del  Paradiso  diero. 
Di  tal  sapor,  ch'a  suo  giudicio,  sanza 
Scusa  non  sono  i  duo  primi  parenti, 
Se  per  quei  fur  si  poco  ubbidienti. 
61 

Poi  ch'a  natura  il  Duca  avventuroso 
Satisfece  di  quel  che  se  le  debbo, 
Come  col  cibo,  cosi  col  riposo, 
Che  tutti  e  tutti  i  commodi  quivi  ebbe; 
Lasciando  già  l'Aurora  il  Vecchio  sposo. 


Raina  che  è  fantasia  popolare  molto  antica, 
che  il  Paradiso  terr.  sia  il  ricovero  dei  sot- 
tratti alla  morte.  Enoch  ed  Elia  e  anche  S. 
Giov.  Evang.,  secondo  una  tradizione  assai 
diffusa,  ebbero  questo  privilegio.  Ma  è  que- 
sta la  prima  volta  che  S.  Giov.,  a  differenza 
di  Enoch  e  d'Elia,  si  mostra  ai  mortali. 

—  2.  Per  cui  ecc.  Qui  l'A.  traduce  parte 
di  quel  luogo  della  scrittura,  donde  venne 
la  tradizione  che  Giovanni  fosse  ancor  vivo 
(Evang.  S.  Giov.  21).  Gesù  apparso  ai  disce- 
poli predice  a  Pietro  il  martirio;  e  doman- 
dandogli questi  che  cosa  sarebbe  avvenuto 
di  Giovanni  (quem  diligebat  Jesus),  Gesù  ri- 
sponde; «  Si  eum  volo  manere  donec  ve- 
niam,  quid  ad  te?».  «Exiit  ergo  sermo  iste 
iuter  fratres,  quia  discipulus  ille  non  mo- 
ritur.  Et  non  dixit  ei  Jesus;  non  moritur; 
sed:  si  eum  volo  manere  donec  veniam, 
quid  ad  te?».  Il  verso  8:  Si  vede  pur  ecc. 
è  un  commento  che  l'A.,  seguendo  la  tra- 
dizione, fa  per  conto  suo,  ma  non  è  con- 
forme alla  i-etta  interpretazione  scritturale. 

59.  8.  Che  tornì  ecc.  Evang.  S.  Luca,  21; 
«Et  tane  videbuut  fìliuni  hominis  venieù- 
tem  in  nube  ». 

60.  3.  fu  provisto...  al  s.  d.  di  buona  b. 
V.  per  il  costrutto  e.  xxvi,  71,  ii.  1. 

61.  5.  Vecchio  sposo,  Titone. 


Ch'aiiccr  per  lungaetàmai  non  rincrebbe, 
Si  vide  incontra  ne  l'uscir  del  letto 
Il  discepol  da  Dio  tanto  diletto; 

62 
Che  lo  prese  per  mano,  e  seco  scorse 
Di  molte  cose  di  silenzio  degne; 
E  poi  disse:  Figliuol,  tu  non  sai  forse 
Che  in  Francia  accada,  ancor  che  tu  ne 

[vegue. 
Sappi  che  '1  vostro  Orlando,  perché  torse 
Dal  carain  dritto  le  commesse  insegne, 
E  punito  da  Dio,  che  piti  s'accende 
Centra  chi  egli  ama  piti,  quando  s'offende. 

63 
Il  vostro  Orlando,  a  cui  nascendo  diede 
Somma  possanza  Dio  con  sommo  ardire, 
E  fuor  de  l'uman  uso  gli  concede 
Che  ferro  alcun  non  lo  può  mai  ferire; 
Perché  a  dif'  sa  di  sua  santa  Fede 
Cosi  voluto  \  ha  constituire, 
Come  Sanso  :e  incontra  a'  Filistei 
Coustitui  a  difesa  degli  Ebrei  : 

04 
Renduto  ha  il  vostro  Orlando  al  suo 
Di  tanti  benefizi  iniquo  morto;    [Signore 
Che  quanto  aver  più  lo  dovea  in  favore, 
N'è  stato  il  fedel  popol  più  deserto. 
Si  accecato  l'avea  l'incesto  amore 

—  6.  l'incr.;  le  increbbe.  V,  e.  vii,  35, 
n.  8. 

63.  1.  scorse,  discorse.  È  diverso  dallo 
scorse  del  e.  xiv,  79,  dove  significa  scor- 
rere col  pensiero.  Quest'  altro  senso  non  è 
nei  vocabolari. 

—  2.  cose  di  silenzio  degne.  Forse  è  ispi- 
razione del  Dantesco;  «Parlando  cose  che 
il  tacere  è  bello  »,  Inf.  4,  101.  —  Di  molte, 
molte.  V.  e.  XXIX,  19,  n.  7. 

—  6.  le  commesse  insegne.  Al  e.  IX,  1.  6: 
«  E  della  santa  chiesa  difensore  ».  Il  potere 
e  r  autorità  datigli  per  combattere  i  nemici 
di  Dio  avea  volti  a  combattere  i  suoi  rivali 
in  amore. 

63.  5.  a  difesa  ecc.;  V.  e.  xxiv,  10. 

64.  1.  il  vostro  Ori.  Riprende,  per  la  sin- 
tassi, il  vostro  Ori.  della  st.  precedente. 

—  2.  ha...  in.  merto;  ha  reso  iniqua  ri- 
compensa; ossia  è  ingiustamente  ingrato. 
Vedi  la  stessa  locuzioue  nel  e.  v,  IJ,  5  e  la 
nota. 

—  3-4.  quanto..,  piti...  più.  Dante,  Purg. 
33,  81;  «Che  più  la  perde  quanto  più  s'aiu- 
ta?». Comunem.  al  Quanto  jjìù  corrisponde 
Tanto  più  :  quanto  più  Orlando  doveva  fa- 
vorire il  popolo  cristiano,  tanto  più  questo 
ne  è  stato  abbandonato.  —  aver...  in  favo- 
re; favorire,  proteggere.  Questa  locuzione 
non  è  registi'ata,  fra  le  tante,  dalla  Crusca. 

—  4.  deserto  ;  abbandonato. 

—  5.  incesto;  incestuoso;  ma  qui  vale  »?>t- 


468 


ORLANDO  FURIOSO 


D'una  Pagana,  ch'avea  già  sofferto  [ 

Due  volte  e  più  venire  empio  e  crudele,    ' 

Per  dar  la  morte  al  suo  cugin  fedele.        ; 

65  j 

E  Dio  per  questo  la  ch'egli  va  folle, 
Emostra  nudoilventre,ilpettoeil  fianco; 
E  l'intelletto  si  gli  offusca  e  folle, 
Che  non  può  altrui  conoscere,  e  sé  manco. 
A  questa  guisa  si  legge  che  volle  , 

Nabuccodonosòr  Dio  punir  anco,  j 

Che  sette  anni  il  mandò  di  furor  pieno,      j 
Si  che,  qual  bue,  pasceva  l'erba  e  il  fieno.  ; 
G6  i 

Ma  perch'assai  minor  del  Paladino, 
Che  di  Nabucco,  è  stato  pur  l'eccesso; 
Sol  di  tre  mesi  dal  voler  divino 
A  purgar  questo  error  termine  è  messo,     l 
Né  ad  altro  effetto  per  tanto  camino 
Salir  qua  su  t'ha  il  Redentor  concesso. 
Se  non  perché  da  noi  modo  tu  apprenda, 
Come  ad  Orlando  il  suo  senno  si  renda,     i 
67  ; 

Gli  è  ver  che  ti  bisogna  altro  viaggio     . 
Far  meco,  e  tutta  abbandonar  la  terra. 
Nel  cerchio  de  la  Luna  a  menar  faggio. 
Che  dei  pianeti  a  noi  più  prossima  erra; 
Perché  la  medicina  che  può  saggio 
Rendere  Orlando  là  dentro  si  serra.  ' 

Come  la  Luna  questa  notte  sia 
Sopra  noi  giunta,  ci  porremo  in  via.  i 

68 

Di  questo  e  d'altre  cose  fu  diffuso  | 

Il  parlar  de  l'Apostolo  quel  giorno. 
Ma  poi  che  '1  sol  s'ebbe  nel  mar  rinchiuso, 
E  sopra  lor  levò  la  luna  il  corno; 
Un  carro  apparecchiossi,  ch'era  ad  uso 
D'andar  scorrendo  per  quei  cieli  intorno: 


Quel  già  ne  le  montagne  di  Giudea 
Da'  mortali  occhi  Elia  levato  avea. 

69  [rossi 

Quattro  destrier  via  più  che  fiamma 
Al  giogo  il  santo  Evangelista  aggiunse; 
E  poi  che  con  Astolfo  rassettossi, 
E  prese  il  freno,  in  verso  il  ciel  li  punse. 
Rotando  il  carro,  per  l'aria  levossi, 
E  tosto  in  mezzo  il  fuoco  eterno  giunse; 
Che  '1  Vecchio  fé'  miracolosamente, 
Che,  mentre  Io  passar,  non  era  ardente. 
70 

Tutta  la  sfera  varcano  del  fuoco, 
Et  indi  vanno  al  regno  de  la  Luna. 
Veggon  per  la  più  parte  esser  quel  loco, 
Come  un  acciar  che  non  ha  macchia  al- 
E  lo  trovano  uguale,  o  minor  poco  [cuna; 
Di  ciò  ch'in  questo  globo  si  raguna, 
In  questo  ultimo  globo  de  la  terra, 
Mettendo  il  mar  che  la  circonda  e  serra. 
71 

Quivi  ebbe  Astolfo  doppia  maraviglia  ; 
Che  quel  paese  appresso  era  si  grande. 
Il  quale  a  un  picciol  tondo  rassimiglia 
A  noi  che  lo  miriam  da  queste  bande: 
E  ch'aguzzar  conviengli  ambe  le  ciglia. 
S'indi  la  terra  e  '1  mar  ch'intorno  spande. 
Discerner  vuol;  che  non  avendo  luce, 
L'imagin  lor  poco  alta  si  conduce. 
72 

Altri  fiumi,  altri  laghi,  altre  montagne 


puì'o;  dal  lat.  incestits,  che  ebbe  questo  | 
primo  significato.  Cicer.  11.  Filipp.  li:  in-  \ 
cesto  ore. 

—  6.  sofferto;  osato,  avuto  il  cuore  di.  In 
questo  senso  non  è  registrato  dai  vocabo- 
lari, ì 

—  7.  due  volte  e  p.  Le  due  volte  a  cui  si  j 
accenna,  sono  neh'  Innamor.  i,  xxvi  ;  ii,  ■ 
XX  :  il  più  è  un  particolare  aggiunto  dal- 
l'Ar.  —  venire,  divenire.  Cosi  nel  e.  i,  2,  ?,.  \ 

65.  4.  e  sé  manco  ;  e  neppur  sé.  Cosi  il  I 
BOCCACCIO,  Tes.  2,03,  usò  meno,  «  Né  sem- 1 
bianza  mutò  l'ardita  fronte,  Men  nel  suo  j 
cuor  si  mitigò  la  guerra  ».  | 

—  6.  Habnccodonoscr  per  i  suoi  peccati  fu  | 
privato  del  regno  e  «  mangiò  l'erba  come  j 
i  buoi  e  il  suo  corpo  fu  bagnato  dalla  ru- 
giada del  cielo,  tanto  che  il  pelo  gli  crebbe,  ! 
come  le  penne  alle  aquile  e  le  unghie  come 
agli  uccelli  »  Daniele,  4. 

66.  1.  del  Paladino  ;  dipende  da  Eccesso. 

67.  4.  più  prossima.  È  superlat.  relativo; 
e  manca  l'articolo.  V.  e.  ii,  15,  8. 


68. 8.  Elia  ecc.  V.  Re,  2,  2.  «  Ecco  un  carro 
di  fuoco  e  de'  cavalli  di  fuoco...  ed  Elia  sali 
al  cielo  in  un  turbo  ». 

C9.  3.  rassettossi;  si  fu  accomodato  sul 
carro.  Pulci,  Morg.  15,  28;  16,  64,  disse: 
Rassettarsi  neWarme;  e  Rassett.  in  sella. 

—  6.  il  fuoco  eterno,  la  sfera  del  fuoco, 
che,  secondo  gli  antichi,  era  fra  la  terra  e 
la  sfera  della  luna. 

70.  4.  Come  un  acc.  Dante  la  immagina 
come  una  nube  lucida,  spessa,  densa  e  po- 
lita come  un  diamante  (.Par.  2,  32). 

—  5.  uguale  o  m.  L'A.  segui  Plinio,  che 
nella  St.  N.  2,  11,  dice  la  terra  uguale  alla 
luna;  ma  gli  antichi  astronomi  avevano  già 
dimostrato  che  la  luna  è  molto  minore  della 
terra.  È  noto  che  è  19  volte  più  piccola. 

—  7.  ultimo  ;  per  rispetto  alle  altre  sfere 
celesti,  al  centro  delle  quali,  ferma,  si  cre- 
deva stesse  la  terra. 

71.  2.  Che;  è  congiunzione  dichiarativa  di 
ìnaraviglia.  —  appresso  ;  d'appresso,  da  vi- 
cino. 

—  6.  spande.;  si  spande.  Così  assoluta- 
mente non  è  molto  frequente;  si  cita  solo 
un  esempio  di  Pier  Crescenzi,  non  questo 
dell'Ar. 

72.  1.  Altri;  molto  maggiori:  V.  e.  xxx, 
39.  n.  8. 


CANTO  XXXIV 


469 


Sono  là  su,  che  non  son  qui  tra  noi; 
Altri  piani,  altre  valli,  altre  campagne, 
C'han  le  cittadi,  hanno  i  castelli  suoi. 
Con  case  de  le  quai  mai  le  più  magne 
Non  vide  il  Paladiu  prima  né  poi: 
E  vi  sono  ampie  e  solitarie  selve. 
Ove  le  Ninfe  ogu'or  cacciano  belve. 
73 
Non  stette  il  Duca  a  ricercare  il  tutto; 
Che  là  non  era  asceso  a  quello  effetto. 
Da  l'Apostolo  santo  fu  condutto 
In  un  vallon  fra  due  montagne  istretto, 
Ove  mirabilmente  era  ridutto 
Ciò  che  si  perde  o  per  nostro  difetto, 

0  per  colpa  di  tempo  o  di  Fortuna: 
Ciò  che  si  perde  qui,  là  si  raguna. 

74 

Non  pur  di  regni  o  di  ricchezze  parlo, 
In  che  la  ruota  instabile  lavora; 
Ma  di  quel  ch'in  poter  di  tòr,  di  darlo 
Non  ha  Fortuna,  intender  voglio  ancora. 
Molta  fama  è  là  su,  che,  come  tarlo, 
11  tempo  al  lungo  andar  qua  giù  divora: 
Là  su  infiniti  prieghi  e  voti  stanno. 
Che  da  noi  peccatori  a  Dio  si  fanno. 
75 

Le  lacrime  e  i  sospiri  degli  amanti, 
L'inutil  tempo  che  si  perde  a  giuoco, 
E  l'ozio  lungo  d'uomini  ignoranti, 
Vani  disegui  che  non  hau  mai  loco, 

1  vani  desidèri  sono  tanti. 

Che  la  più  parte  ingombran  di  quel  loco: 


—  4.  suoi,  loro. 

73.  5.  mirabilmente  ;  miracolosamente. 
Dante,  Purg.  25,  85:  «  Per  sé  stessa  cade 
Mirabilmente  all'  una  delle  rive  ». 

—  S.  Ciò  che  ecc.  «  Milton  descrivendo 
quel  suo  limbo  della  vanità  o  paradiso  dei 
pazzi  (Par.  peni.  3)  pose  un  verso  nel  quale 
si  mostra  quasi  invidioso  dell'Ar.  Sentiva, 
credo,  quanto  gli  restasse  al  di  sotto»  (Ca- 
sella). Il  luogo  suona  cosi:  «uè  come  va- 
neggiarono gli  antichi  (tutte  le  vanità  di 
questo  mondo)  volano  nella  luna,  la  quale 
è  più  verisimile  che  accolga  belle  schiere 
di  Santi  ». 

74.  2.  In  che  ecc.  ;  nei  quali  ha  gran  po- 
tere la  ruota  della  fortuna. 

—  6.  al  Inng.  and.  Oggi  comunemente  si 
omette  l'articolo  in  queste  espressioni  ;  ma 
gli  antichi  usarono  spesso  la  prepos.  articol. 
che  anche  oggi  può  servire  a  dar  dignità 
allo  stile.  Bocc,  Introda:.:  «al  vostro  iu- 
dicio  ».  Petr.  I,  son.  3.  «al  mio  parer  »  ecc. 
In  tutto  quésto  luogo  è  evidente  e  chiara 
l'allegoria  satirica. 

75.  2.  a  ginoco;  al  giuoco.  Solita  omis- 
sione dell'articolo:  cfr.  e.  ii,  15  n.  8. 

—  5.  sono  tanti  ;  È  il  verbo  di  tutti  i  sog- 
getti precedenti,  non  solo  di  desideri. 


Ciò  che  in  somma  qua  giù  perdesti  mai, 
Là  su  .salendo  ritrovar  potrai. 
76 

Passando  il  Paladin  per  quelle  biche. 
Or  di  questo  or  di  quel  chiede  alla  guida. 
Vide  un  monte  di  tumide  vesiche. 
Che  dentro  parca  aver  tumulti  e  grida; 
E  seppe  ch'eran  le  corone  antiche 
E  degli  Assiri  e  della  terra  Lida, 
E  de'  Persi  e  de'  Greci,  che  già  furo 
Incliti,  et  or  n'è  quasi  il  nome  oscuro. 
77 

Ami  d'oro  e  d'argento  appresso  vede 
In  una  massa,  ch'erano  quei  doni 
Che  si  fan  con  speranza  di  mercede 
Ai  Re,  agli  avari  Principi,  ai  Patroni. 
Vede  in  ghirlande  ascosi  lacci;  e  chiede, 
Et  ode  che  son  tutte  adulazioni. 
Di  cicale  scoppiate  imagine  hanno 
Versi  ch'in  laude  del  Signor  si  fanno. 
78 

Di  nodi  d'oro,  e  di  gemmati  ceppi 
Vede  c'han  forma  i  mal  seguiti  amori. 
V'erau  d'aquile  artigli;  e  che  fur,  seppi, 
L'autorità  ch'ai  suoi  danno  i  Signori. 
I  mantici  ch'intorno  hau  pieni  i  greppi, 
Sono  i  furai  dei  Principi  e  i  favori 


76.  1.  biche;  (a.  a.  tedesc.  biga,  mucchio) 
mucchi;  è  parola  vivissima  nel  contado  to- 
scano. 

—  6.  terra  Lida.  Il  regno  di  Lidia  fu  po- 
tentissimo; ultimo  i-e  Creso,  debellato  da 
Ciro  (VI  sec.  av.  Cr.). 

77.  7.  cicale  scoppiate:  scoppiate  per  trop- 
po cantare.  Il  cauto  della  cicala  è  inutile; 
cosi  il  canto  dei  poeti  cortigiani,  che  s'af- 
faticano tutta  la  vita  in  vano  a  celebrare  i 
lor  signori. 

78.  •>.  i  mal  segniti;  gli  amori  tutti,  acni 
si  va  dietro,  per  nostra  disgrazia,  cou  spre- 
co di  tempo  e  d'energia.  Altri  intende  mal 
riusciti.  Ma  l'amore  nel  concetto  del  Poeta 
(xxiVjl;  XXXI,  1  ecc.), anche  se  corrisposto, 
è  un  dolce  tormento,  è  un  laccio  d'oro;  se 
non  corrisposto  che  cosa  avrebbe  mai  d'au- 
reo e  di  gemmata  ? 

—  3.  seppi.  Alcuni,  come  il  Bolza,  lo  in- 
tendono per  seppe;  ma  di  tale  cambiamento 
non  vi  è  esempio  ;  né  1'  A.  poteva  pretendere 
d'essere  inteso.  È  prima  persona:  ed  è  na- 
turale che,  come  l'A.  ha  saputo  da  Turpino 
tutto  il  resto,  avrà  da  lui  saputo  anche 
questo. 

—  5.  greppi,  i  pendii  scoscesi  della  valle. 
Non  intendere,  come  alcuni,  la  pelle  con- 
fìtta fra  i  due  legni  del  mantice. 

—  6.  fumi;  gli  onori,  le  blandizie,  che  i 
Principi,  insieme  col  loro  favore,  danno  ai 
favoriti.  Questa  interpretaz.  è  confermata 
dalle  altre  ediz.  del  '16  e  del  '21  che  leggo- 


470 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  danno  un  tempo  ai  Ganimedi  suoi, 
Che  se  ne  van  col  fior  degli  anni  poi. 

79 
Ruine  di  cittadi  e  di  castella 
Stavan  con  gran  tesor  quivi  sozzopra. 
Domanda  e  sa  che  son  trattati,  e  quella 
Congiura  che  si  mal  par  che  si  cuopra. 
Vide  serpi  con  faccia  di  donzella, 
Di  monetieri  e  di  ladroni  l'opra: 
Poi  vide  bocce  rotte  di  più  sorti, 
Ch'era  il  servir  de  le  misere  corti. 

80 
Di  versate  minestre  una  gran  massa 
Vede,  e  domanda  al  suo  Dottor,  ch'impor- 
L'elemosina  è  (dice)  che  si  lassa         [te. 
Alcun,  che  fatta  sia  dopo  la  morte. 
Di  varii  fiori  ad  un  gran  monte  passa. 
Ch'ebbe  già  buono  odore,  or  putia  forte. 


no  «D'alcun  principe  son  fumi  e  favori  5^. 
«  De  li  Principi  son  fumi  e  favori».  L'espres- 
sione dar  del  fumo  a  uno  per  blandirlo, 
adularlo,  è  ancora  viva  e  comune. 

—  7.  ai  Ganimedi  suoi;  ai  loro  favoriti.  Per 
Ganim.  V.  e.  w,  47,  n.  5.  Questi  favori  si 
perdono  ,  col  venire  della  vecchiaia,  mule 
adatta  a  servir  nelle  corti. 

79.  4.  Congiura  ecc.  Gli  interpetri  trovano 
difficoltà  in  questo  passo,  dove  voorlion  ve- 
dere determinate  allusioni  politiche.  Ma 
forse  l'A.  usò  il  singolare  per  il  plurale,  e 
volle  dire  che  in  tutto  quel  mucchio  di  ro- 
vine erano  anche  quelle  congiure,  che  non 
riescono  a  celarsi  e  che  perciò  non  hanno 
effetto  e  sono  roba  perduta.  Quelle  che  si 
celano  e  vanno  al  fine  non  sono  qui.  I  trat- 
tati violati  producono  la  rovina  delle  città; 
le  congiure  scoperte  la  rovina  dei  castelli  e 
dei  loro  signori,  che  le  tramano. 

—  5.  serpi  ecc.  Qui  l'A.  lia  voluto  accen- 
nai'e  alle  arpie,  che  descrive  cosi  anche  al 
e.  xxxiii,  120.  Le  arpie  sono  celebri  per  la 
loro  rapacità. 

—  7.  bocce  rotte.  Come  la  boccia,  finché 
è  salda  si  serba  e  si  usa  a  qualche  cosa,  e 
quando  è  rotta  si  getta  nella  strada,  cosi 
chi  serve  nelle'corii  è  dimenticato  appena 
cessa  il  bisogno  del  suo  ser\izio. 

80.  L  versate,  rovesciati!  al  suolo. 

—  2.  eli' imporle,  che  si^juifichi. 

—  I.  che  fatta  sia;  che  debba  esser  fatta. 
Il  Romizi  intende  di  elemosine  che  gli  eredi, 
violando  il  testamento,  non  fanno:  io  credo 
che  si  tratti  di  elemosine,  die,  invece  di 
farle  in  vita,  mio,  giunto  a  morte,  ordina 
sian  fatte  dggli  eredi;  e  sono  poco  meri- 
torie, perché  fatte  per  paura  dell'  inferno 
e  per  onestare  una  vita  di  colpe.  Anche  il 
volgo  cristiano  dice:  vai  più  una  messa  in 
vita  che  cento  in  morte. 


Questo  era  il  dono  (se  però  dir  lece) 
Che  Constantino  al  buon  Silvestro  fece. 
81 

Vide  gran  copia  di  panie  con  visco. 
Ch'erano,  o  Donne,  le  bellezze  vostre. 
Lungo  sarà,  se  tutte  in  verso  ordisco 
Le  cose  che  gli  tur  quivi  dimostre; 
Che  dopo  mille  e  mille  io  non  finisco, 
E  vi  son  tutte  l'occorrenzie  nostre  : 
Sol  la  pazzia  non  v'è  poca  né  assai; 
Che  sta  qua  giti,  né  se  ne  parte  mai. 
82 

Quivi  ad  alcuni  giorni  e  fatti  sui. 
Ch'egli  già  avea  perduti,  si  converse; 
Che  se  non  era  interprete  con  lui. 
Non  discernea  le  forme  lor  diverse. 
Poi  giunse  a  (jnel  che  par  si  averlo  a  uni. 
Che  mai  per  esso  a  Dio  voti  non  férse; 
Io  dico  il  senno;  e  n'era  quivi  un  monte. 
Solo  assai  più,  che  l'altre  cose  conte. 
83 

Era  come  un  liquor  suttile  e  molle. 
Atto  a  esalar,  se  non  si  tien  ben  chiuso; 
E  si  vedea  raccolto  in  varie  ampolle, 
Qual  piti  qual  men  capace,  atte  a  quell'uso. 
Quella  è  maggior  di  tutte,  in  che  del  folle 
Signor  d'Anglante  era  il  gran  senno  in- 
E  fu  da  l'altre  conosciuta,  quando  [fuso; 


—  7.  dir;  sottint.  lo,  ciò.  È  come  un  chie- 
der venia  allo  scrupoloso  lettore. 

—  8.  Constantino.  Anche  al  tempo  dell'A.si 
credeva  da  qualcuno  alla  supposta  dona- 
zione fatta  da  Costantino  a  S.  Silvestro; 
quantunque  l'avesse  chiaramente  mostrata 
falsa  L.  Valla  «  De  falso  eredita  et  ementita 
Costantini  donatione  »  (lUO).  L'A.,  probabil- 
mente pel  ricordo  Dantesco,  finge  di  cre- 
derla (  Dante,  Par.  19,  115)  ;  ma  non  do- 
vette ignorare  il  lavoro  del  dotto  umanista. 
Cfr.  e.  XVII,  7S,  n.  1. 

SI.  6.  E  vi  son  ecc.  La  cong.  e  ha  valore 
di  poiché;  significato  chiarissimo  anche  in 
questo  luogo  del  Petrarca,  ti,  son.  2^>: 
♦  Non  posso,  e  (poiché)  non  ho  più  si  dolce 
lima,  Rime  aspre  e  f(jsche  far  soavi  e  chia- 
re ».  —  occorrenzie,  bisogni,  ciò  che  perdia- 
mo e  che  quindi  ci  viene  a  mancare. 

82.  3.  Che.  È  il  c/ie  usato  con  molta  li- 
liertà,  come  fa  il  popolo.  Verameule  è  re- 
lativo, ma  il  periodo  prende  poi  un'alti;i 
piega,  e  il  che,  diventato  superfluo,  dovrebbe 
cambiarsi  piuttosto  in  e.  Cosi  nel  e.  i,  05,  5. 

—  5.  averlo.  U  lo  è  pleonastico. 

—  0.  férse,  si  fero.  V.  ii,  42,  e.  n.  1. 

—  8.  conte,  conlate,  raccontate.  È  scor- 
ciamento popolare  non  raro  negli  anlicln 
scrittori. 

83.  1.  sottile  e  molle  ;  di  poca  consistenza 
e  delicato,  cosi  che  aU'aria  svaniva.  Molle 
riferito  a  lir/uore  è  uso  molto  notevole. 

—  7.  quando;  poiché.  V.  c.  I,  18,  3. 


CANTO  XXXIV 


471 


Avea  scritto  di  fuor:  senno  d'Orlando. 

84 
E  cosi  tutte  l'altre  avean  scritto  anco 
II  nome  di  color  di  chi  fu  il  senno. 
Del  suo  gran  parte  vide  il  Duca  franco; 
Ma  molto  più  maravigliar  lo  fenno 
Molti  ch'egli  credea  che  dramma  manco 
Non  dovessero  averne,  e  quivi  deano 
Chiara  notizia  che  ne  tenean  poco  ; 
Che  molta  quantità  n'era  in  quel  loco. 

85 
Altri  in  amar  lo  perde,  altri  in  onori. 
Altri  in  cercar,  scorrendo  il  mar,  ricchez- 
Altri  ne  le  speranze  de'  Signori,  [ze, 

Altri  dietro  alle  magiche  sciocchezze. 
Altri  in  gemme,  altri  in  opre  di  pittori. 
Et  altri  in  altro  che  più-d'altro  apprezze. 
Di  sofisti  e  d'astrologhi  i-accolto, 
E  di  poeti  ancor  ve  n'era  molto. 

86 
Astolfo  tolse  il  SUO;  che  gliel  concesse 
Lo  Scrittor  de  l'oscura  Apocalisse. 
L'ampolla  in  ch'era  al  naso  sol  si  messe, 
E  par  che  quello  al  luogo  suo  ne  gisse; 
E  che  Turpin  da  indi  in  qua  confesse 
Ch'Astolfo  lungo  tempo  saggio  visse; 
Ma  ch'uno  error  che  fece  poi,  fu  quello 
Ch' un' altra  volta  gli  levò  il  cervello. 


84.  3.  Duca  franco  ;  Alcuni  intendono  D. 
francese  ;  ma  l' Ar.  nell'ediz.  del  '32,  in  que- 
sto senso  adoprò  sempre  la  maiuscola:  qui 
col  Bolza  e  con  altri  intenderai  il  prode,  il 
yeneroxo  Duca.  Nel  e.  xx,  9,  è  chiamato  in- 
\ece  Duca  Iiìfjlese,  il  che  è  pure  una  prova 
contro  la  i)rima  interpretazione. 

—  6.  dénno,  dettero.  V.  e.  xvii,  63,  n.  5. 

—  8.  Che,  poiché. 

85.  4.  magiche  sciocchezze.  Nel  secolo  xv, 
XVI  e  XVII,  le  scienze  occulte  presero  gran- 
dissimo sviluppo  ed  ebbero  molti  proseliti. 
Si  ricordino  i  più  famosi  maestri:  Paracel- 
so (1493-1541);  Agrippa  (1486-1535);  Cardano 
da  Gallarate  (1501-76)  ecc.  Fa  onore  al  buon 
senso  dell'A.  questo  sorriso  su  quelle  scioc- 
chezze, a  cui  tanti  grandi  ingegni  crede- 
vano. 

86.  5.  E  che  T.   da  indi  ecc.  ;  e  pare  che 
T.,  quando  dice  che  Ast.  saggio  visse,  vo-  i 
glia  intendere  da  quel  tempo  in  avanti.  Su  | 
'i'urpiuo  cfr.  e.  xiii,  40,  n.  2.  j 

—  7.  Ma  che  ecc.;  Rileva  dal  contesto  uu 
verbo  all'indicativo:  ma  aggiunge  che  ecc. 
Questo  errore  immaginalo  dall'A.,  è  da  lui  ' 
dichiarato  nel  4°  dei  cinque  cauti.   Astolfo 
si  innamora  della  moglie  di  un  castellano  ' 
e  con  insidie  glie  la  toglie;  ne  è  punito  ca- 
dendo nei  lacci  di  Alcina,  che  lo  fa  ingoiare  i 
da  una  balena.  Forse  in  questo  tempo  l'A.  | 
aveva  abbozzato  anche  quel  lavoro,  j 


87 

La  più  capace  e  piena  ampolla,  ov'era 
Il  senno  che  solca  far  savio  il  Conte, 
Astolfo  toUe  ;  e  non  è  si  leggera, 
Come  stimò,  con  l'altre  essendo  a  monte. 
Prima  che  '1  Paladin  da  quella  sfera 
Piena  di  luce  alle  più  basse  smonte, 
Menato  fu  da  l'Apostolo  santo 
In  un  palagio  ov'era  un  fiume  a  canto; 
88 

Ch'ogni  sua  stanza  avea  piena  di  velli 
Di  lin,  di  seta,  di  coton,  di  lana. 
Tinti  in  vari  colori  e  brutti  e  belli. 
Nel  primo  chiostro  una  femina  cana 
Fila  a  uu  aspo  traea  da  tutti  quelli; 
Come  veggiàn  l'estate  la  villana 
Traer  dai  bachi  le  bagnate  spoglie, 
Quando  la  nuova  seta  si  raccoglie. 
89 

V'è  chi  finito  un  vello,  rimettendo 
Ne  viene  un  altro,  e  chi  ne  porta  altronde; 
Un'altra  de  le  filze  va  scegliendo 


87.  8.  ov'era...  a  canto.  Struttura  popolare; 
regolami,  accanto  al  quale  era  un  fiume. 

88.  1.  velli;  batuflfoli.  Fe/fó  propriamente 
è  la  lana  delle  pecore,  ma  anche  altri  l'usa- 
rono per  batuffolo  di  materia  da  filare. 
Crescenzi,  Agric.  5,  1,  12:  «  Prendi  un  vello 
di  lana  o  di  lino  ». 

—  2.  Di  lin  ecc.  Già  i  Latini  aveano  detto 
bianche,  nere,  purpureeìe  fila  delle  Parche 
a  indicare  la  vita  felice,  infelice  o  illustre 
degh  uomini:  l'A.  induce  maggior  novità, 
immaginando  anche  diversa  la  materia. 

—  4.  una  femina  cana;  canuta  (lat.  cana). 
Le  Parche,  secondo  la  mitologia,  sono  tre  ; 
una  fila,  la  seconda  torce  il  fuso  e  avvolge 
il  filo,  la  terza  lo  tronca.  Qualche  volta  se  ne 
trova  anche  una  sola;  non  mai  due.  Sembra 
che  qui  l'Ar.,  oltre  a  dar  novità  all'imma- 
gine prendendola,  non  da  chi  fila  ma  da  chi 
raccoglie  in  matasse  la  seta  (ex,  56,  n.4), 
abbia  anche  voluto  variare  il  mito  riducendo 
le  Parche  a  due:  cfr.  i  vv.  1-2  della  st.  se- 
guente. 

—  7.  bachi,  bachi  da  seta,  che  ano'  oggi 
in  Toscana  e  altrove  si  chiamano  semplice- 
mente bachi. 

89.  1-2.  chi...  e  chi.  Rappresentano  una 
sola  persona,  cioè  la  seconda  Parca,  o  due 
persone,  cioè  la  Morte  e  la  Natura  indicate 
più  sotto  '.  Tutto  il  contesto  avvalora  la  se- 
conda interpretazione.  Si  osservi  special- 
mente l'altra  del  v.  5,  st.  90,  che  sembra 
accennare  chiaramente  a  due  sole  Parche. 
La  Morte  dunque,  finito  un  vello,  ne  mette 
un  altro,  il  che  è  simbolo  del  fine  della  vita, 
la  Natura  porta  sempre  d'altra  parte  (al- 
tronde) uuovi  velli,  ossia  nuove  vite. 

—  3.  filze.  Nel  dialetto  Reggiano  si  dice 


472 


ORLANDO  FURIOSO 


Il  bel  dal  brutto  che  quella  confonde. 
Che  lavor  si  fa  qui,  ch'io  non  l'intendo? 
Dice  a  Giovanni  Astolfo;  e  quel  risponde: 
Le  Vecchie  son  le  Parche  che  con  tali 
Stami  filano  vite  a  voi  mortali. 
90 

Quanto  dura  un  de'  velli,  tanto  dura 
L'umana  vita,  e  non  di  più  un  momento. 
Qui  tien  l'occhio  e  la  Morte  e  la  Natura, 
Par  saper  l'ora  ch'un  debba  esser  spento. 
Sceglier  le  belle  fila  ha  l'altra  cura. 
Perché  si  tesson  poi  per  ornamento 
Del  Paradiso;  e  dei  più  brutti  stami 
Si  fan  per  li  dannati  aspri  legami. 
91 

Di  tutti  i  velli  ch'erano  già  messi 
In  aspo,  e  scelti  a  farne  altro  lavoro, 
Erano  in  brevi  piastre  i  nomi  impressi, 
Altri  di  ferro,  altri  d'argento  o  d'oro: 
E  poi  fatti  n"avean  cumuli  spessi, 


filza  per  matassa  (Catelani  :  Della  patria 
di  L.  A.  e  de'reggianismi  e  lombardismi 
del  medesimo). 

—  4.  Il  bel  dal  br.  La  prima  Parca  non 
distingue  il  bello  dal  brutto;  e  ciò  rappre- 
senta la  vita  naturale,  che  è  uguale  per 
tutti;  l'altra  Parca  presiede  agli  umani  de- 
stini, che  «on  differenti  secondo  la  differente 
vita  morale  di  ciascuno  di  noi:  cfr.  st.  90, 
4-6.  Avverti  quest'  ufHcio  tutto  nuovo,  che 
Ta.  assegna  a  una  delle  Parche. 

91.  2.  altro  lavoro;  ornamenti  del  para- 
diso o  legami  per  i  dannati. 

—  4.  Altri  di  ferro;  espressione  ellittica 
che  compirai  cosi:  altri  in  piastre  di  ferro 
ecc.  «  I  nomi  impressi  nei  diversi  metalli 
denotano  la  diversità  dei  costumi  e  del- 
l'opre. Per  la  qual  ragione  i  quattro  secoli 
vanno  designati  con  l'oro,  con  1'  argento, 
col  rame  e  col  ferro  »  (Foknari). 


De'  quali,  senza  mai  farvi  ristoro, 
Portarne  via  non  si  vedea  mai  stanco 
Un  Vecchio,  e  ritornar  sempre  per  anco. 
92 
Era  quel  Vecchio  si  spedito  e  snello, 
Che  per  correr  parea  che  fosse  nato; 
E  da  quel  monte  il  lembo  del  mantello 
Portava  pien  del  nome  altrui  segnato. 
Ove  n'andava,  e  perché  facea  quello, 
Ne  l'altro  Canto  vi  sarà  narrato, 
Se  d'averne  piacer  segno  farete 
Con  quella  grata  udienza  che  solete. 


—  6.  s.  ni.  farvi  ristoro.  Alcuni,  fra  cui  ul- 
timo il  Romizi,  intendono  :  senza  mai  rimet- 
tervene  altri.  Ma  di  grazia,  poiché  questo 
vecchio  rappresenta  il  tempo  e  poiché  al 
tempo  non  resta  che  gettare  in  Lete  il  nome 
e  la  memoria  di  chi  è  morto,  che  cosa  do- 
vrebbe mai  rimettere  in  quei  cumuli  di 
piastre  ?  che  cosa  può  riportare  il  tempo 
che  passa,  della  vita  dei  mortali  ?  Intendi 
dunque:  Sema  mai  prender  ristoro  di  que- 
sta faccenda.  La  locuzione  far  7'istoro,  non 
è  registrata  dai  vocabolari.  Forse  è  for- 
mata per  analogia  dell'  altra  far  sosta.  Vi 
per  iìi  questa  cosa  vedilo  pure  nel  e.  vn, 
2,  1  ;  e  vedi  la  nota. 

—  7.  Portarne;  a  o  di  portarne;  non  si 
vedeva  mai  stanco  di  portarne  via  e  di  ri- 
tornar sempre  p.  a. 

—  8.  ritornar  per  anco;  rit.  per  prenderne 
ancora.  Dante,  Jnf.2ì,30:  «  .Mettetel  sotto, 
ch'io  torno  per  anche». 

9'2.  4.  pien  del  n.  a.  s.  ;  pieno  di  piastre 
col  nome  altrui  ivi  segnato;  o  anche:  pieno 
dei  nomi  altrui  segnati  nelle  piastre. 

—  8.  grata.  V.  e.  xviii,  1,  n.  7.  «  Bacone 
nel  secondo  libro  de  Augmentis  scientia- 
rum,  loda  molto  questa  bella  allegoria  del 
tempo,  che  afìonda  in  Lete  i  nomi  degli 
uomini,  mentre  i  cigni,  ossia  gl'illustri  poe- 
ti, li  salvano  »  (Casella). 


CANTO  XXXV 


Chi  salirà  per  me,  Madonna,  in  cielo 


1.  1.  Madonna.  Che  qui  e  negli  altri  luo- 
ghi simiU  del  Poema  si  tratti  di  Alessandra 
Benucci  apparirà  certo  a  chi  pensi,  che  il 
Poeta  era  neli'ardoi*e  dei  primi  amori  con 
lei,  quando  dava  l'ultima  mano  al  Furioso 
(1513-16);  e  che  da  lei  stessa  forse  fu  tal- 
volta consigliato  nelle  minute  correzioni, 
che  vi  fece.  Come  supporre  che  Ella  potesse 


A  riportarne  il  mio  perduto  ingegno? 
Che,  poi  ch'usci  da' bei  vostri  occhi  il  telo 
Che  '1  cor  mi  fisse,  ognor  perdendo  vegno. 

in  quel  tempo  sospettare  in  lui  amore  per 
altra  donna?  Vedi  del  resto  e.  i,  2,  n.  5. 

—  2.  ingegno,  senno;  come  nel  e.  xxix, 
■17,  1. 

—  4.  fisse  (lat.  lixit),  trafisse.  E  forma 
assai  usata  dagli  antichi,  specialmente  in 
poesia;  cosi  pure  il  presente  figo  (xxvi, 
35,  7):  gli  altri  tempi  sono  più  rari. 


Canto  xxxv 


473 


Né  di  tanta  iattura  mi  querelo, 
Pur  che  non  cresca,  ma  stia  a  questo  se- 
Ch'io  dubito,  se  piti  si  va  scemando,  [gno  ; 
Di  venir  tal,  qual  ho  descritto  Orlando. 
2 

Per  riaver  l'ingegno  mio  m'è  avviso 
Che  non  bisogna  che  per  l'aria  io  poggi 
Nel  cerchio  de  la  Luna  o  in  Paradiso; 
Ché'l  mio  non  credo  che  tanto  alto  alloggi. 
Ne'  bei  vostri  occhi  e  nel  sereno  viso, 
Nel  sen  d'avorio  e  alabastrini  poggi 
Se  ne  va  errando;  et  io  con  queste  labbia 
Lo  còrrò,  se  vi  par  ch'io  lo  riabbia. 
3 

Per  gli  ampli  tetti  andava  il  Paladino 
Tutte  mirando  le  future  vite, 
Poi  ch'ebbe  visto  sul  fatai  molino 
Volgersi  quelle  ch'erano  già  ordite: 
E  scòrse  un  vello  che  più  che  d'or  tino 
Splender  parca;  né  sarian  gemme  trite, 
S'in  filo  si  tirassero  con  arte. 
Da  comparargli  alla  millesma  parte. 
4 

Mirabilmente  il  bel  vello  gli  piacque, 
Che  tra  infiniti  paragon  non  ebbe; 
E  di  sapere  alto  disio  gli  nacque. 
Quando  sarà  tal  vita,  e  a  chi  si  debbo. 
L'Evangelista  nulla  glie  ne  tacque: 
Che  venti  anni  principio  prima  avrebbe 
Che  coU'M  e  col  D  fosse  notato 
L'anno  corrente  dal  Verbo  incarnato. 
5 

E  come  di  splendore  e  di  beltade 
Quel  vello  non  avea  simile  o  pare; 
Cosi  saria  la  fortunata  etade 


3.  2.  le  fut.  vite;  cioè  i  velli,  che  erano 
ancora  da  filare  e  metter  sull'aspo. 

—  3.  fatai  molino,  fatale  aspo.  Più  co- 
munemente si  disse  muUuello,  ina  trovasi 
anche  quest'altra  forma:  se  ne  cita  un  solo 
esempio  dalla  Tipocosmia  del  Citolini. 

—  4.  ordite,  cominciate.  Petrarca,  Tr. 
Fama,  2,  121  :  «  Ma  Nino,  ond'  ogn'  istoria 
umana  è  ordita,  Dove  lasc'io?». 

4.  7.  coH'M  ecc.  Alcuni  computarono  gli 
anni  dall'  incarnazione,  invece  che  dalla 
nascita  di  Cristo.  Ippolito  d'Este,  a  cui  qui 
si  allude,  nacque  nel  1479  dalla  nascita  di 
Cristo  dunque  nel  USO  dall' incarnazione, 
ossia  20  anni  prima  del  MD.  L' idea  di  rap- 
presentar, con  lettere,  dei  numeri  gli  venne 
forse  da  Dante,  Par.  19,  129. 

—  8.  dal  V.  ine.  ;  è  il  modo  latino  a 
verbo  incarnato  invece  di  ab  incarna- 
tione  Verbi;  cosi  dycQS,i  post  Christuinnor 
tum  invece  di  post  nativitatem  Christi. 

a.  3.  etade,  vita,  che  dovea  filarsi  da 
questo  vello.  Cosi  intendo  col  Romizi.  Il 
Bolza  intende  tempo;  ma  ciò  non  si  accorda 
col   seguente   uscirne   (un  tempo,   un'  età, 


Che  dovea  uscirne,  al  mondo  singolare  ; 
Perché  tutte  le  grazie  inclite  e  rade, 
Ch'alma  natura,  o  proprio  studio  dare, 
O  benigna  Fortuna  ad  uomo  puote, 
Avrà  in  perpetua  et  infallibil  dote. 
6 
Del  Re  de'  fiumi  tra  l'altiere  corna 
Or  siede  umil  (diceagli)  e  piccol  borgo: 
Dinanzi  il  Po,  di  dietro  gli  soggiorna 
D'alta  palude  un  nebuloso  gorgo; 


j  che  viene  da  Ippolito?);  né  con  quello  che 
segue  ;  infatti   dei   versi  5-8  il  soggetto   è, 

!  non  già  Vetade,  ma  un  individuo.  Abbiamo 
dunque  un  uso   analogo   a  quel  di  Dante. 

I  Convivio  384  :  «  Certo  corso  ha  la  nostra 
età  (vita)».  E  il  Casa  disse.  Rime  I,  9: 
«  Io,  che  r  età  solea  viver  nel  fango  ». 

6.  1.  l'altiere  corna.  Virgilio  (Georg.  4, 
371)  dice  del  Po  :  «  gemina  auratus  taurino 
cornua  vultu  »  e  Georg.  1,  482  lo  dice  «  Flu- 
viorum  rex  Eridanus».  Qui  l'Ar.   parla  di 

1  Ferrara,  «  le  cui  mura  souo  dall'  Oriente  e 
da  mezzodì  dal  Po  bagnate  »  dice  il  Fornari  ; 
infatti  anticamente  passava  a  sud  di  Fer- 
rara un  ramo  secondario  del  Po  (Po  di  Fer- 

j  rara),  che  poi  si  divideva  in  altri  due  rami 
(Po  di  Primaro  e  Po  di  Volano).  Ora  il  Po 
non  ha  più  comunicazione  con  questi  rami, 
che  sono  soltanto  canali.   Dunque  Ferrara 

j  rimaneva  fra  il  ramo  principale  e  il  ramo 

j  .secondario,  che  partiva  dalla  Stellata,  come 
fra  due  corna. 

I       —   2.  nmil...  e  p.  borgo.  Sulle  umili  origini 

!  di  Ferrara  si  è  molto  favoleggiato.   Alcuni 

i  la  dissero  fondata  al  tempo  di  Attila,  da 
genti  che  fra  quelle  paludi  fuggivano  il  fu- 
rore di  lui  :  altri  asserì  che  fosse  fondata 
dagli  abitanti  di  Ferrariola  «  che  era  di  là 
dal  Po,  ove  ora  è  la  chiesa  di  S.  Giorgio  » 
(Fornari).  E  questo  sarebbe  avvenuto  nel 
433.  Ma  se  possiamo  ritenere  che  al  tempo 
di  Carlo  Magno  fosse  veramente  un  umile 
e  piccol  borgo,  non  possiamo  con  precisione 
stabilirne  le  origini  (cfr  e.  xliii,  61). 

—  3.  Dinanzi  il  Po  ecc.  Il  luogo  si  pre- 
senta non  chiaro,  perché  non  è  facile  sta- 
bilire il  significato,  che  han  qui  dinanzi  e 
di  dietro.  Ma  si  pensi  che  parla  S.  Giovanni 
dai  monti  della  Luna  in  Affrica,  perciò  di- 
nanzi vorrà  dire  la  parte  sud  est  della 
città,  che  era  bagnata  dal  Po,  come  abbiamo 
visto,  di  dietro  sarà  la  parte  nord  ovest, 
che  anticamente  era  terreno  paludoso  fin 
sotto  le  mura  della  città  stessa.  V.  e.  iii, 
48,  u.  3  ;  e  xliii,  61,  3). 

—  4.  gorgo.  È  qui  usato  per  acqua  sta- 
gnante, ma  profonda;  come  nel  e.  xliii,  61, 
3  :  «  E  ciò  eh'  è  intorno  è  tutto  stagno  e 
gorgo  ».  Più  comunemente  è  quella  profon- 
dità, che  fauno  i  mulinelli  delle  acque  cor- 


474 


ORLANDO  FURIOSO 


Che,  volgendosi  gli  anni,  la  pili  adorna 
Di  tutte  le  città  d'Italia  scorgo. 
Non  pur  di  mura  e  d'ampli  tetti  regi, 
Ma  di  bei  studi  e  di  costumi  egregi. 
7 
Tanta  esaltazione  e  cosi  presta, 
Non  fortuita  ò  d'avventura  casca; 
Ma  l'ha  ordinatali  ciel,  perché  sia  questa 
Degna  in  che  l'uom  di  ch'ioti  parlo,  nasca: 
Che,  dove  il  frutto  ha  da  venir,  s'inesta 
E  con  studio  si  fa  crescer  la  frasca; 
E  l'artefice  l'oro  affinar  suole, 
In  che  legar  gemma  di  pregio  vuole. 


Né  si  leggiadra  né  si  bella  veste  [gno; 
Unquaebbealtr'almainquel  terrestre  re- 
E  raro  è  sceso  e  scenderà  da  queste 
Sfere  superne  un  spirito  si  degno. 
Come  per  farne  Ippolito  da  Este 
N'have  l'eterna  niente  alto  disegno. 
Ippolito  da  Este  sarà  detto 
L'uomo  a  chi  Dio  si  ricco  dono  ha  eletto. 


renti.  Ma  già  i  Latini  usarono  gurges  pur 
nel  senso  dell'Ariosto. 

—  5.  Che,  il  qual  borgo. 

—  7.  regi,  nobili,  insigni.  Cosi  nel  e.  xiii, 
71,  3;  XL,  28,  tì. 

7.  2.  fortuita.  Anche  i  Latini  fecero  tal- 
volta questa  parola  parossitona:  Oraz.  Od. 
2,  15,  17.  —  d'avv.  casca.  Alcuni  intendono 
d'avventura  come  modo  avverbiale  per 
caso,  e  casca  per  avviene  ;  altri  intendono 
procede  dal  caso.  La  Crusca  fa  confusione 
ponendo  per  i  due  signilicati  del  verbo  ca- 
scare quest'unico  esempio.  Io  osservo  che 
d'avventura  non  può  esser  lo  stesso  di 
fortuita,  per  ciò  dovrà  significare  da.  Av- 
ventura, da  Fortuna:  e  intendo  il  luogo 
cosi:  non  avviene  a  caso  o  procede  dalla 
Fortuna,  cui  nel  Cinquecento  si  attribuiva 
tanta  forza  negli  avvenimenti  umani  e  che 
ben  differiva  dal  caso  (xr,,  65;  xxxiii,  50). 
Quanto  al  verbo  cadere  lo  interpreto  pro- 
cedere e  credo  che  si  adatti  a  fortuita  per 
zeugma.  Avventura  per  Fortuna  vedilo 
al  e.  .\xxi,  49,  2;  xlvi,  So,  ò. 

—  1.  Degna  in  che;  degna  elle  in  essa. 
Per  il  costrutto   latino   cfr.  e.  in,  27,  n.  1. 

8.  3--1.  E  raro  ecc.  «  Per  le  spere  superne 
intenderemo  i  corpi  delle  stelle...  donde 
vuole  Platone  cbe  i  spinti  umani  discen- 
dano, e  dopo  la  morte  in  esse  ritornino,  se 
qua  giù  avranno  puramente  vissuto  »  (Fou- 

NAK.1). 

—  6.  l'eterna  mente  ecc.  Il  disegno  del- 
l'eterna mente  non  si  riferisce  allo  spirito; 
che  le  anime,  secondo  Platone,  sono  create 
ab  eterno  da  Dio,  ma  all'  unione  del  corpo 
e  dello  spirito,  donde  nasce  l'uomo. 

—  8,  8i'  r.  dono.  È  la  leggiadra  e  bella 


Quegli  ornamenti  che,  divisi  in  molti, 
A  molti  basterian  per  tutti  oi-narli. 
In  suo  ornamento  avrà  tutti  raccolti 
Costui,  di  ch'hai  voluto  ch'io  ti  parli. 
Le  virtudi  per  lui,  por  lui  soffolti 
Saran  gli  studi  ;  e  s'io  vorrò  narrar  li 
Alti  suoi  merti,  alfin  son  si  lontano, 
Ch'Orlando  il  senno  aspetterebbe  in  vani). 

10 
Cosi  venia  l'imitator  di  Cristo 
Ragionando  col  Duca:  e  poi  che  tutte 
Le  stanze  del  gran  luogo  ebbono  visto, 
Onde  l'umane  vite  eran  condiitte. 
Sul  fiume  uscirò,  che  d'arena  misto 
Con  l'onde  discorrea  turbide  e  brutte; 
E  vi  trovar  quel  Vecchio  in  su  la  riva, 
Che  con  gl'impressi  nomi  vi  veniva. 

11 
Non  so  se  vi  sia  a  mente,  io  dico  quello 
Ch'ai  fin  de  l'altro  Canto  vi  lasciai. 
Vecchio  di  faccia  e  si  di  membra  snello, 
Che  d'ogni  cervio  è  più  veloce  assai. 
Degli  altrui  nomi  egli  si  empia  il  mantello  ; 
Scemava  il  monte  e  non  finiva  mai: 
Et  in  quel  fiume  che  Lete  si  noma, 
Scarcava,  anzi  perdea  la  ricca  soma. 

12 
Dico  che,  come  arriva  in  su  la  sponda 
Del  fiume,  quel  prodigo  Vecchio  scuote 
11  lembo  pieno,  e  ne  la  turbida  onda 
Tutte  lascia  cader  l' impresse  note. 
Un  numer  senza  fin  se  ne  profonda, 
Ch'un  minimo  uso  aver  non  se  ne  puotc; 


j  veste,  di  cui  si  parla  nel  primo  verso  della 

I  stanza.  —  a  chi,  a  cui. 

j       9.  5.  soffolti,  sorretti,  protetti.  Non  ebbe 

i  a  dire   [loi  cosi  nella  Sat.  2  vv.  85  segg., 

'  dove  invece  si  lamenta  della  miseria,  in  cui 

I  ha  lasciato  lui  e  lascia  in  generale  gli  stu- 

!  diosi  il  cardinale  Ippolito. 

i       —  6.  narrar  li.  Cosi  ha  rimato  nel  e.  xv, 

I  18;  xvii,  27,  e  altrove. 

I       lo.  1.  l'imit.  di  Cristo;   l'apostolo  S.  Gio- 

I  vanni.    8an    Paolo  disse:   »  imitatores  mei 

1  estote  sicut  ego  Cristi  ». 

—    4.  eran  condotte,  alla  Parca,  perché  le 
filasse  sull'aspo. 

11.  2.  vi  lasciai;  lasciai  ivi,  sulla  riva  del 
j  fiume.  Il  Poeta  veramente  non  dice  nell'al- 
I  tro  canto  che  il  vecchio  andasse  al  fiume; 
]  ma,  pur  non  dicendolo  egli,  il  vecchio  vi 
landò;  cosi  qui  Va.  può  dire  d'avere  in- 
!  terrotto  quel  canto  quando  il  vecchio  era 
!  sul  fiume. 

i       —   8.  perdea;  faceva  sparire:  perché  Pac- 
j  qua  era  torbida,  e  le  piastre  si  profonda- 
vano nella  rena. 

12.  6.  Che,  cosi  che, 


CANTO  XXXV 


475 


E  di  cento  mifrliaia  che  l'arena 
Sul  fondo  involve,  un  se  ne  serva  a  pena. 
13 

Lungo  e  d'intorno  quel  fiume  volando 
Givano  corvi  et  avidi  avoltori, 
Mulacchie  e  varii  augelli,  che  gridando 
Facean  discordi  strepiti  e  romori; 
Et  alla  preda  correau  tutti,  quando 
Sparger  vedean  gli  amplissimi  tesori: 
E  chi  nel  becco,  e  chi  ne  l'ugna  torta 
Ne  prende;  ma  lontan  poco  li  porta. 
14 

Come  vogliono  alzar  per  Taria  i  voli. 
Non  han  poi  forza  che  "1  peso  sostegna; 
Si  che  convien  che  Lete  pur  involi 
De'  ricchi  nomi  la  memoria  degna. 
Fra  tanti  augelli  son  duo  cigni  soli, 
Bianchi, Signor,  come  è  la  vostra  insegua. 
Che  vengon  lieti  riportando  in  bocca 
Sicuramente  il  nome  che  lor  tocca. 
15 

Cosi  contra  i  pensieri  empi  e  maligni 
Del  Vecchio  che  donar  li  vorria  al  fiume, 
Alcun  ne  salvan  gli  augelli  benigni: 
Tutto  l'avanzo  oblivion  consume. 
Or  se  ne  van  notando  i  sacri  cigni, 
Et  or  per  l'aria  battendo  le  piume. 
Fin  che  presso  alla  ripa  del  fiume  empio 
Ti-ovano  un  colle,  e  sopra  il  colle  un  teni- 
IG  [pio. 

Airimmortalitade  il  luogo  è  sacro, 
Ove  una  bella  Ninfa  giù  del  colle 


—  8.  un  se  ne  s.  a.  ;  Sono  i  nomi  che  non 
si  obliano  subito  interamente. 

13.  3.  Mulacchie;  dette  anche  monedule, 
sono  una  specie  di  corvi  (corvus  frugile- 
gus).  —  Tutti  questi  augelli  sono  i  corti- 
ijlan  geatili  di  cui  nella  st.  20,  5-8. 

—  6.  ampi,  tesori,  le  piastre  d'oro  e  d'ar- 
gento (e.  xxxiv,  91,  4). 

14.  1.  la  in.  degna:  la  m.  insigne:  degno 
cosi  assolutamente,  iu  questo  senso,  vedilo 
nel  e.  v,  S5,  1;  xv;  31,  1;  xxvir,  23,  4;  ecc. 
Sembra  che  vi  sia  anche  un  filo  d' ironia, 
come  puoi  rilevare  dalla  st.  21,  v.  4.  Male 
il  Romizi:  la  tnem.  che  pur  sembrerebbe 
deijna  di  durare. 

—  5.  duo  e.  soli;  Son  due  soli  a  indicare 
quanto  sieno  rari  i  grandi  poeti. 

—  tì.  1.  V.  insegna;  l'insegna  degli  Estensi 
era  un'aquila  bianca  iu  campo  azzurro. 

1,5.  4.  consume;  consuma:  dal  lat.  coìi- 
sumere.  Cosi  nel  e.  xlv,  37,  S  ;  xl,  (5.  È  ter- 
minazione antiquata,  rimessa  a  nuovo  dal- 
l'Ariosto e  usata  poi  anche  dall'Auguillara, 
Mei.  14,  223. 

—  7.  empio,  spietato;  come  nella  St.  22, 
4  ;  perché  non  risparmia  la  memoria  della 
maggior  parte  degli  uomini. 

16.  2.  Ove.  È  una  brachilogia  che  svolge- 


!  Viene  alla  ripa  del  Leteo  lavacro, 

I  E  di  bocca  dei  cigni  i  nomi  folle; 

i~E  qiiélli  affige  intorno  al  simulacro 
Ch'in  mezzoiltempio  una  colonna  estolle: 
Quivi  li  sacraje_n^fa_tal  governo, 

I  Ch.ejvili^Qòflj[ed£rj4ittnn^t^^ 

I  17 

Chi  sia  quel  Vecchio,  e  perché  tutti  al 
Senza  alcunfrutto  i  bei  nomi  dispensi,  [rio 
E  degli  augelli,  e  di  quel  luogo  pio 
Onde  la  bella  Ninfa  al  fiume  viensi, 
Aveva  4stolfo_di  saper  desio 
I  gran  mTsierre  gl'incogniti  sensi; 
E  domandò  tlTtiitte  queste  cose 
L  nonio  di  Dio,  clie  cosi  gli  fTspose: 
18 
Tu  dei  saper  che  non  si  muove  fronda 
L:i  giti,  che  segno  qui  non  se  ne  faccia. 
Ogni  effetto  convien  che  corrisponda 
In  terra  e  in  ciel,  ma  con  diversa  faccia.  jyi\ 
Quel^ Vecchio,  la  cui  baj-ba  il  petto  inon-\ ', 
Velóce  si  che  mai  niilla  rimpaccTta-  ffki,"  H 
Gli  cft'etti  pari  e  la  medesima  opra  u 

Che  '1  Tempo  fa  là  giii,  fa  qui  di  sopra. 
19 
Volte  che  son  le  fila  in  su  la  ruota. 
Là  giù  la  vita  umana  arriva  al  fine. 
La  fama  là,  qui  ne  riman  la  nota; 
Ch'immortali  sariano  ambe  e  divine 
Se  non  che  qui  quel  da  la  irsuta  gota, 
E  là  giù  il  Tempo  ogni  or  ne  fa  rapine. 
Questi  le  getta,  come  vedi,  al  rio; 
E  quel  l'immerge  ne  l'eterno  oblio. 
•20 
E  come  qua  su  i  corvi  e  gli  avoltori 
E  le  mulacchie  e  gli  altri  varii  augelli 
S'atìaticano  tutti  per  trar  fuori 
De  r  acqua  i  nomi  che  veggion  più  belli: 
Cosi  là  giù  ruffiani,  adulatori, 
Riitìou,  c_niedi,  accusatori,  e  quelli 
Che  viveno  alle  corti  e  che  vi  sono 
Più  grati  assai  che  '1  virtuoso  e  '1  buono, 

21 
E  son  chiamati  cortigian  gentili, 
Perché  sanno  imitar  l'asino  e  "1  ciacco; 


rai  cosi:  ove  è  una  ninfa  che  giù  dal  colle 
viene  ecc. 

—  5.  affige  (lat.  afiSgit)  :  oggi  più  comu- 
nemente afflgge.  —  simulacro,  della  J.mmor- 
talità,  cui  estolle  una  cotenna. 

17.  1-6.  Chi  sia  ecc.  Costruisci:  Astolfo 
avea  disio  di  sapere  chi  sia  q.  veccliio,  e 
percM  tutti  a.  r.  s.  a.  f.  i  b.  n.  d.,  e  i  gran 
misteri  e  gl'incogniti  sensi  degli  augelli  e 
di  q.  1.  p.  ecc. 

18.  4.  faccia,  aspetto,  apparenza  esteriore. 

19.  3.  la  nota,  il  nome  inciso. 

20.  6.  cinedo  (gr.  Kinaidos)  ;  giovane  uomo 
che  fa  copia  di  sé.  —  accusatori,  spie. 

•ì\.  2.  l'asino  e  il  e;  l'asino,   avvilendosi 


476 


ORLANDO  FURIOSO 


De'  lor  Signor,  tratto  che  n'abbia  i  fili 
La  giusta  Parfiar  anzi  Vxjiex©  e  Bacco, 
Questi  diTnfìoti  dico,  inerti  e  vili. 
Nati  solo  ad  empir  di  cibo  il  sacco. 
Portano  in  bocca  qualche  giorno  il  nome; 
Poi  ne  l'oblio  lascian  cader  le  some. 
22 

Ma  come  i  cigni  che  cantando  lieti 
Rendono  salve  le  medaglie  al  tempio; 
Cosi  gli  nomini  degni  da'  poeti 
Son  tolti  dall'oblio,  più  che  morte  empio. 
Oh  ben  accorti  Principi  e  discreti. 
Che  seguite  di  Cesare  T esempio, 
E  gli  scrittor  vi  fate  amici,  donde 
Non  avete  a  temer  di  Lete  l'onde! 
23 

Son,  come  i  cigni,  anco  i  poeti  rari. 
Poeti  che  non  sian  del  nome  indegni, 
Si  perché  il  ciel  degli  uomini  pleclari 
Non  paté  mai  che  troppa  copia  regni, 
Ì5Ì  per  gran  colpa  dei  iSignori  avari 
Che  lascian  mendicare  i  sacri  ingegni; 
Che  le  virtù  premendo  et  esaltando 
I  vizii,  caccian  le  buone  arti  in  bando. 
24 

Credi  che  Dio  questi  ignoranti  ha  privi 
De  lo  'ntelletto,  e  loro  offusca  mimi; 
Che  de  la  poesia  gli  ha  fatto  schivi, 
Acciò  che  morte  il  tutto  ne  consumi. 
Oltre  che  del  sepolcro  uscirian  vivi. 


Ancor  ch'avesser  tutti  i  rei  costumi, 
Pur  che  sapesson  farsi  amica  Cirra, 
Più  grato  odore  avriau  che  nardo  o  mirra. 
25 

Non  si  pietoso  Enea,  né  forte  Achille 
Fu,  come  è  fama,  né  sT  fiero  Ettm^re; 
E  ne  son  stati  e  mille  e  mille  e  mille 
Che  lor  si  puon  TTDn  verità  anteporre; 
Ma  i  donati  palazzi  o  le  gran  ville 
Dai  descendenti  lor,  gli  ha  fatto  porre 
In  questi  senza  fin  sublimi  onori 
Da  l'onorate  man  degli  scrittori. 
26 

Non  fu  si  santo  né  benigno  Augusto, 
Come  la  tuba  di  "VjrgiH.Q.  suonjt: 
L'aver  avuto  in  poesia  buon  gusto 
La  proscrizione  iniqua  gli  perdona. 
Nessun  sapria  se  Neron  fosse  ingiusto, 
Né  sua  fama  saria  forse  men  buona, 
Avesse  avuto  e  terra  e  ciel  nimici. 
Se  gli  scrittor  sapea  tenersi  amici. 
27 

Omero  Agamennòn  vittorioso, 
E'Tè'  1  l'roian  parer  vili  et  inerti; 
E  che  Penelopea  fida  al  suo  sposo 
Dai  Prochi  mille  oltraggi  avea  softerti. 
E  se  tu  vuoi  che  '1  ver  non  ti  sia  ascoso, 
Tutto  al  contrario  l'istoria  converti: 
Che  i  Greci  rotti,  e  che  Troia  vittrice. 


sotto   la  prepotenza  dei   signori,  il  ciacco 
(porco)  secondando  i  vizi  loro. 

—  5.  Questi  di  eh'  io  ecc.  Riprende  i  sog- 
getti, che  sono  nei  vv.  5,  6  della  st.  prece- 
dente. 

22.  4.  p.  che  m.  empio;  spietato  più  che 
morte,  perché,  mentre  questa  uccide  la  vita 
ilei  corpo,  quello  uccide  la  vita  dello  spirito 
in  questo  mondo. 

—  '>.  discreti,  assennati.  V.  e.  xxiii,  116, 
n.  2. 

—  6.  Cesare  ;  Cesare  Augusto,  che  favori 
i  letterati,  e  da  loro,  come  da  Virgilio  e  da 
Orazio,  ebbe,  secondo  l'Ar.,  fama  immortale. 

^^  2.  i  lami.  Non  intenderei,  come  in 
generale  fanno,  i  lumi  dello  intelletto,  per- 
ché, mentre  prima  ha  detto  che  Dio  li  ha 
privi  d'intelletto,  qui  con  poca  coerenza 
direbbe  che  han  l' intelletto,  ma  oll'uscato. 
Intendo  diinqliF'^M  Occhi  per  vedèTT-4»-  glo- 
ria  di  coloro,  che  i  grandi  poeti  han  cele- 
brato. 

—  f^  Che.  Non  intenderlo  per  perché, 
come  fanno  alcuni;  che  non  darebbe  senso: 
dipende  da  credi.  Sarebbe  più  chiaro  con 
un  e:^  chejlellMjjQ£slajSCC.  —  gli  ha  fat- 
to. È  noto  che  quando  nei  tempi  composti 
con  l'ausiliare  avere,  il  participio  è  richia- 
mato dalle  particelle  pronominali  lo  li  le  ecc., 
che  precedono,   deve  accordarsi  con  l' og-  I 


getto.  È  dunque  in  questo  luogo  dell'Ar. 
un'  eccezione,  non  frecjfiente,  alla  regola. 
(FORNACiARi,  Sint.  p.  310). 

—  6.  Ancor  che  ecc.  Questo  verso  re- 
stringe il  concetto  espresso  nell'ultimo  della 
st.,  dopo  il  quale,  costruendo,  lo  porrai. 

—  7.  Cirra;  Città  marittima  della  Focide, 
che  serviva  di  porto  alla  vicina  Delfo,  dove 
era  il  tempio  d'Apollo.  Qui  per  Apollo  stesso. 
Cosi  Dante,  Par.  1,  36.  —  Questa  conside- 
razione del  Poeta  non  è  veramente  molto 
lodevole;  ed  ebbe  ragione  l'Alfieri  a  ribat- 
terla con  un  sonetto  che  termina  dicendo 
come  il  poeta,  che  celebra  un  tristo,  «  nel 
lodarlo  merca  a  sé  vergogna  Né  dell'  infa- 
mia a  lui  può  dramma  tórre». 

2.).  6.  Dai  discendenti  ;  uniscilo  a  donati. 
—  gli  ha  fatto.  V.  la  nota  al  v.  3  della  st. 
■i\,  per  la  sconcordanza  del  participio  con 
r  oggetto.  Per  il  verbo  al  singolare  cfr. 
e.  XX,  82,  n.  8. 

26.  1.  La  proscrizione,  che  Ottaviano  fece 
quando  era  triumviro  con  Antonio  e  Crasso, 
nella  quale  peri  anche  Cicerone.  —  gli  per- 
dona; gli  fa  perdonare.  K  significato  che 
manca  nei  vocabolari  ;  ed  è  molto  notevole. 

27.  3.  Penelopea,  Penelope.  Cosi  Dante, 
Purg.  1,  9.  Calliopea. 

—  4.  Prochi.  Più  comunemente  proci.  Cfr. 

e.   XXVII,    107. 

—  7.  Che  i  Greci  ecc.  Dione  Grisostomo 


CANTO  XXXV 


A7\ 


E  che  Penelopea  fu  meretrice. 

28 
Da  l'altra  parte  odi  che  fama  lascia 
Elissa,  ch'ebbe  il  cor  tanto  pudico; 
Che  riputata  viene  una  bag:ascia, 
Solo  perché  Maron  non  le  fu  amico. 
Non  ti  maravigliar  ch'io  n'abbia  ambascia, 
E  se  di  ciò  ditìusamente  io  dico. 
Gii  scottori_jjiio,  e  fo  il  debito  mio; 
Ch'ai  vòsTrómondo  fui  scrittore  anch'io. 

29 
E  sopra  tutti  gli  altri  io  feci  acquisto 
Che  gon  mi  mio  levar  tempo  né  morte  : 
E  b'en  convenne  al  mio  lodato  Cristo 
Rendermi  guidardon  di  si  gran  sorte. 
Duolmi  di  quei  che  sono  al  tempo  tristo, 
Quando  la  cortesia  chiuso  ha  le  porte; 
Che  con  pallido  viso  e  macro  e  asciutto 
La  notte  e  '1  di  vi  picchiai!  senza  frutto. 

30 
Si  che,  continuando  il  primo  detto, 
Sono  i  jxQgti-»-^flLstudiosi  pochi: 
Che  dove  non  han  pasco  né-ri££tto, 
Insin  le  fere  abbandonanoli  loclii^ 
-^s"i  fliiiélldO'irVecchió^benedetto 
Gli  occhi  infiammò,  che  parveno  duo  fuo- 
Poi  volto  al  Duca  con  un  saggio  riso  [chi  ; 


retoi'e  (120  circa  a.  C.)  sostenne  ciò  in  una 
delle  sue  orazioni,  come  altri  antichi,  Lico- 
frone,  Tzezes,  Pausania,  dissero,  per  amor 
di  paradosso,  che  Penelope  non  fu  donna 
onesta.  V.  Mazzoni,  Difesa  di  Dante  1,  3, 
12.  L'A.  trovando  comode  queste  opinioni 
per  il  suo  assunto,  se  le  appropria. 

28,  2.  Elissa.  È  il  nome  storico  di  Didone, 
la  quale  sarebbe  stata  chiamata  con  que- 
st'ultimo nome  siguilicante,  secondo  alcuni, 
Viragine,  secondo  altri.  Errante,  da'  Fe- 
nici poiché  ebbe  fondata  Cartagine.  Questa 
riabilitazione  di  Didone  fu  fatta  dal  Pe- 
trarca, Trionfo  delta  Castità,  IS:  «Taccia 
il  volgo  ignorante,  io  dico  Dido,  Che  studio 
d'onestade  a  morte  spinse.  Non  quel  d'Enea, 
com'  è  pubblico  grido  ». 

—  S.  fui  s.  anch'io;  scrisse  l'.-Vpocalisse 
e  il  vangelo. 

•29.  3.  E  ben  convenne  ecc.  E  fu  cosa  de- 
gna d'  un  Dio,  quale  si  conveniva  a  un  Dio, 
il  guiderdone  di  si  gran  qualità  (sorte), 
eh'  egli  mi  dette  per  le  lodi  fatte  di  lui.        ! 

—  5.  di  quei,  di  quegU  scrittori,  che  vi- 
vono a  questi  tempi  tristi. 

30.  1.  continuando  ecc.  Dante,  Inf.  IO, 
76:  «E  se,  continuando  il  primo  detto».      j 

—  3.  dove;  È  l'elativo  di  lochi;  abban-  ; 
donano  i  luoghi,  dove  ecc.  È  una  delle  tante  j 
e  dure  inversioni  del  Furioso.  ! 

—  6.  parveno  ;  parvero.  Forma  popolare  j 
ancor  viva  nella  plebe  toscana.  | 


Tornò  sereno  il  conturbato  viso; 
31 

Resti  con  lo  scrittor  de  l'Evangelo 
Astolfo  ormai,  ch'io  voglio  far  un  salto. 
Quanto  sia  in  terra  a  venir  fin  dal  cielo; 
Ch'io  non  posso  pii'i  star  su  l'ali  in  alto. 
Torno  alla  Donna,  a  cui  con  grave  telo 
Mosso  avea  gelosia  crudele  assalto. 
Io  la  lasciai  ch'avea  con  breve  guerra 
Tre  Re  gittati,  un  dopo  l'altro,  in  terra; 
32 

E  che  giunta  la  sera  ad  un  castello 
Ch'alia  via  di  Parigi  si  ritrova, 
D'Agramante  che  rotto  dal  fratello, 
S'era  ridotto  in  Arli,  ebbe  la  nuova. 
Certa  che  '1  suo  Ruggier  fosse  con  quello. 
Tosto  ch'apparve  in  ciel  la  luce  nuova, 
Verso  Provenza,  dove  ancora  intese 
Che  Carlo  lo  seguia,  la  strada  prese. 
33 

Verso  Provenza  per  la  via  più  dritta 
Andando,  s'incontrò  in  una  donzella. 
Ancor  che  fosse  lacrimosa  e  afllitta, 
Bella  di  faccia  e  di  maniere  bella. 
Questa  era  quella  si  d'amor  trafitta 
Per  lo  figli uol  di  Mouodante,  quella 
Donna  gentil  ch'avea  lasciato  al  ponte 
L'amante  suo  prigion  di  Rodomonte. 
34 

Ella  venia  cercando  un  cavalliero, 
Ch'a  far  battaglia  usato,  come  lontra, 
In  acqua  e  in  terra  fosije,  e  cosi  fiero. 
Che  lo  potesse  al  Pagan  porre  incontra. 
La  sconsolata  amica  di  Ruggiero, 
Come  quest'altra  sconsolata  incontra. 
Cortesemente  la  saluta,  e  poi 
Le  chiede  la  cagion  dei'dolor  suoi. 
35 

Fiordiligi  lei  mira,  e  veder  parie 
Un  cavallier  ch'ai  suo  bisogno  tìa; 
E  comincia  del  ponte  a  ricontarle, 
Ove  impedisce  il  Re  d'Algier  la  via; 
E  ch'era  stato  appresso  di  levarle 


—  8.  Tornò  ecc.  Si  può  intendere  :  il  Santo 
cambiò  in  sereno  il  e.  v.;  e  questo  signifi- 
cato del  verbo  tornare  abbiamo,  per  esem- 
pio, nel  Petrarca,  ii,  canz.  S:  «Il  pianto 
d'Eva  in  allegrezza  torni  ».  Ma  si  può  an- 
che intendere:  Poi  il  conturbato  viso,  es- 
sendosi volto  al  Duca  con  un  saggio  riso, 
tornò  sereno. 

"ì.  3.  in  terra  a  v.;  a  venire  in  terra. 

—  7.  Io  la  lasciai;  e.  xxxiir,  70-77. 

a».  1-4.  E  che  g.  ecc.  I  primi  quattro  versi 
di  questa  st.  sono  quasi  eguali  ai  primi 
quattro  della  st.  77  e.  xxxiii. 

33.  6.  f.  di  Monodante;  Brandimarte.  E  la 
donna  è  Fiordiligi.  V.  e.  xxxi,  78. 

35.  3.  ricontarle.  V.  e.  IX,  85,  u.  6. 

—  5,  era  st,  ap.  d.  1.;  ei*a  stato  sul  punto 


478 


ORLANDO  FURIOSO 


L'amante  suo:  non  che  pili  forte  sia: 
Ma  sapea  darsi  il  Saracino  astuto 
Col  ponte  stretto  e  con  quel  fiume  aiuto. 
36 

Se  sei  (dicea)  si  ardito  e  si  cortese, 
Come  ben  mostri  l'uno  e  l'altro  in  vista, 
Mi  vendica,  per  Dio,  di  chi  mi  prese 
Il  mio  Signore,  e  mi  fa  gir  si  trista; 
O  consigliami  al  meno,  in  che  paese 
Possa  io  trovare  un  ch'a  colui  resista, 
E  sappia  tanto  d'arme  e  di  battaglia, 
Che  '1  fiume  e  '1  ponte  al  Fagan  poco  vaglia. 
37 

Oltre  che  tu  farai  quel  che  conviensi 
Ad  uom  cortese  e  a  cavalliero  errante, 
In  beneficio  il  tuo  valor  dispensi 
Del  pili  fedel  d'ogni  fedele  amante. 
De  l'altre  sue  virtù  non  appartiensi 
A  me  narrar;  che  sono  tante  e  tante. 
Che  chi  non  n'ha  notizia,  si  può  dire 
Che  sia  del  veder  privo  e  de  l'udire. 
38 

La  magnanima  I>onna,  a  cui  fu  grata 
Sempre  ogni  impresa,  che  può  farla  degna 
D'esser  con  laude  e  gloria  nominata, 
Subito  al  ponte  di  venir  disegna: 
Et  ora  tanto  pili,  ch'è  disperata,       [gna; 
Vien  volentier,  quando  anche  a  morir  ve- 
Che  credendosi,  misera!  esser  priva 
Del  suo  Ruggiero,  ha  in  odio  d'esser  viva. 
39 

Per  quel  ch'io  vaglio,  giovane  amorosa, 
Rispose  Bradamante,  io  m'offerisco 
Di  far  l'impresa  dura  e  perigliosa. 
Per  altre  cause  ancor,  ch'io  preterisco; 
Ma  più,  che  del  tuo  amante  narri  cosa 
Che  narrar  di  pochi  uomini  avvertisco. 
Che  sia  in  amor  fedel;  ch'a  fé  ti  giuro 
Ch'in  ciò  pensai  ch'ogn'un  fosse  pergiuro. 


di  toglierle  per  sempre  Brandimarte,  la- 
sciandolo affogare:  invece  poi  lo  soccorse 
e  si  contentò  di  tenerlo  prigione:  e.  xxxi, 
75.  Il  Panizzi  e  il  Caniei'iiii  sottilizzano  in 
modo  da  render  difficile  questo  facilissimo 
luogo.  Il  Barotti  intende  il  senso,  ma  non 
dichiara,  spiegando  :  poco  mancò  non  fosse 
cagione  della  morte  del  suo  amante. 

39.  4.  preterisco  (lat.  praeterire)  passo  in 
silenzio.  V.  e.  xxii,  t. 

—  5.  pili  che;  più  perché.  V.  e.  27,  8; 
C6,  5;  v,  16,  5,  ecc. 

—  G.  narrar  avvertisco,  osservo,  noto  nar- 
rar, che  si  narra  ecc.  Gli  antichi  usarono 
più  volentieri  la  forma  avvertisco;  noi  pre- 
feriamo la  più  breve  avverto. 

—  7.  Che  sia  ;  cbe  cioè  sia.  Il  cong.  indica 
la  cosa  riferita  da  Brad,  secondo  il  pensiero 
di  Fiordil.  —  a  fé  ;  in  fede  mia. 

8.  pergiuro  (lat.  periuru-s).   Cosi    nel 


40 
Con  un  sospir  quest'ultime  parole 
Fini,  con  un  sospir  ch'usci  dal  core; 
Poi  disse  :  Andiamo;  e  nel  seguente  sole 
Giunsero  al  fiume,  al  passo  pieu  d'orrore: 
Scoperte  da  la  guardia  che  vi  suole 
Farne  segno  col  corno  al  suo  Signore, 
Il  Pagan  s'arma;  e  quale  è  il  suo  costume: 
Sul  ponte  s'apparecchia  in  ripa  al  fiume  : 
41 

E  come  vi  compar  quella  guerriera, 
Di  porla  a  morte  subito  minaccia. 
Quando  de  l'arme,  e  del  destrier,  su  ch'ora, 
Al  gran  sepolcro  oblazìon  non  faccia. 
Bradamante  che  sa  l'istoria  ver.*. 
Come  per  lui  morta  Issabella  giaccia. 
Che  Fiordiligi  detto  le  l'avea. 
Al  Saraciu  superbo  rispondea: 
42 

Perché  vuoi  tu,  bestiai, che  gl'innocenti 
Facciano  penitenzia  del  tuo  fallo? 
Del  sangue  tuo  placar  costei  convienti  : 
Tu  l'uccidesti;  e  tutto  '1  mondo  sallo. 
Si  che  di  tutte  l'arme  e  guernimenti 
Di  tanti  che  gittati  hai  da  cavallo, 
Oblazione  e  vittima  più  accetta 
Avrà,  ch'io  te  l'uccida  in  sua  vendetta. 
43 

E  di  mia  man  le  fia  più  grato  il  dono. 
Quando,  come  ella  fu,  son  donna  anch'io: 
Né  qui  venuta  ad  altro  effetto  sono, 
Ch'a  vendicarla;  e  questo  sol  disio. 
Ma  far  tra  noi  prima  alcun  patto  è  buono. 
Che  '1  tuo  valor  si  compari  col  mio. 
S'abbattuta  sarò,  di  me  farai 
Quel  che  degli  altri  tuoi  prigion  fatt'hai: 
44 

Ma  s'io  t'abbatto,  come  io  credo  e  spero, 
Guadagnar  voglio  il  tuo  cavallo  e  l'armi; 


e.  XXXIX,  IG,  7;  xi.ii,  25.  Cavalca,  Espos. 
simb.  2,  13:  «  ruomo  pergiuro  e  sacrilego  ». 
40.  3.  seg.  sole,  seg.  giorno. 

—  8.  s'apparecchia.  Il  BarOtti,  il  Bolza, 
il  Romizi  preferirebbero  la  lezione  della  pri- 
ma ediz.  s'aiJpresenta.  E  perché?  s'appre- 
senta  dipinge  Rod.  in  aspettazione  passiva; 
s'apparecchia  lo  mostra  pronto  e  disposto 
alla  lotta.  Quindi  molto  più  efficace  t  la 
seconda  lezione. 

42.  8.  te  ruccida,  uccida  te  per  lei.  Re- 
golarmente, ma  non  elegantemente,  avrebbe 
dovuto  dire  le  ti  uccida.  Ma  con  ragione  il 
Nisiely  dice  questo  modo  oscuro  e  strano. 

43.  2.  Quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  G.  Che;  È  correlativo  di  prima  del  v. 
precedente  :  prima  che  il  tuo  valore  si  pa- 
ragoni al  mio  ;  prima  che  veniamo  al  pa- 
ragone delle  armi.  —  sì  compari,  si  para- 
goni. Oggi  del  verbo  comparare  si  usa  solo 
il  presente  e  i  tempi  composti. 


CANTO  XXXV 


479 


E  quelle  olìerir  sole  al  cimitero, 
E  tutte  l'altre  distaccar  da'  marmi; 
E  voglio  che  tu  lasci  ogni  guerriero. 
Rispose  Rodomonte:  Giusto  parmi 
Che  sia  come  tu  di';  ma  i  prigion  darti 
Già  non  potrei,  ch'io  non  gli  ho  in  queste 
45  [parti. 

Io  gli  ho  al  mio  regno  in  Africa  maiidati 
Ma  ti  prometto,  e  ti  do  ben  la  fede. 
Che  se  ra'avvien  per  casi  inopinati 
Che  tu  stia  in  sella,  e  ch'io  rimanga  a  pie- 
Faro  che  saran  tutti  Ifberati  [de, 
In  tanto  tempo,  quanto  si  richiede 
Di  dare  a  un  messo  ch'in  fretta  si  mandi 
A  far  quel  che,  s'io  perdo,  mi  comandi. 
46 

Ma  s'a  te  tocca  star  di  sotto,  come 
Più  si  conviene,  e  certo  so  che  tìa. 
Non  vo'  che  lasci  l'arme,  né  il  tuo  nome, 
Come  di  vinta,  sottoscritto  sia; 
Al  tuo  bel  viso,  a'  begli  occhi,  alle  chiome, 
Che  spirau  tutti  amore  e  leggiadria. 
Voglio  donar  la  mia  vittoria;  e  basti 
Che  ti  disponga  amarmi,  ove  m'odiasti. 
47 

Io  son  di  tal  valor,  son  di  tal  nerbo, 
Ch'aver  non  dei  d'andar  di  sotto  a  sdegno. 
Sorrise  alquanto,  ma  d'un  riso  acerbo 
Che  fece  d'ira,  più  che  d'altro,  seguo. 
La  Donna:  né  rispose  a  quel  superbo: 
Ma  tornò  in  capo  al  ponticel  di  legno, 
Spronò  il  cavallo,  e  con  la  lancia  d'oro 
Venne  a  trovar  quell'orgoglioso  Moro. 
48 

Rodomonte  alla  giostra  s'apparecchia: 
Viene  a  gran  corso;  et  è  si  grande  il  suono 
Che  rende  il  ponte,  ch'intronar  l'orecchia 
Può  forse  a  molti  che  lontan  ne  sono. 
La  lancia  d'oro  fé'  l'usanza  vecchia; 
Che  quel  Pagan,  si  dianzi  in  giostra  buono. 
Levò  di  sella,  e  in  aria  lo  sospese. 
Indi  sul  ponte  a  capo  in  giù  lo  stese. 
49 

Nel  trapassar  ritrovò  a  pena  loco 
Ove  entrar  col  destrier  quella  guerriera; 


44.  3.  cimitero,  tomba.  V.  e.  ili,  12. 

45.  tì.  In  t.  tempo,  in  termine  di  tanto  tem- 
po, dentro  quel  tempo  che  si  richiede  ecc. 

—  6-7.  q.  si  rich.  di  dare;  quanto  è  ne- 
cessario dare,  è  bisogno  di  dare. 

46.  S.  ti  disp.  amarmi,  ti  disp.  ad  am.  — 
ove,  mentre.  Petrarcv.  I,  son.  34:  «  m'ac- 
compagnate ov'io  vorrei  star  solo  ».  É  vivo 
ancora  nella  lingua. 

47.  7.  e.  1.  lancia  d'oro;  quella  che  fu  del- 
l'Argalia.  v.  e.  xxiii,  15. 

48.  6.  Che;  poiché. 

49.  2.  ove  entrar  ;  per  dove  passare.  Nella 
corsa  che  prendevano  nello  scontro,  sia  che 
la  lancia  si  rompesse,  sia  che  scavalcasse 


E  fu  a  gran  risco,  e  ben  vi  mancò  poco. 
Ch'ella  non  traboccò  ne  la  riviera: 
Ma  Rabicano,  il  quale  il  vento  e  '1  fuoco 
Concetto  avean,  si  destro  et  agii  era. 
Che  nel  margine  estremo  trovò  strada; 
E  sarebbe  ito  anco  su  'n  fìl  di  spada. 
50 

Ella  si  volta,  e  contra  l'abbattuto 
Pagan  ritorna;  e  con  leggiadro  motto. 
Or  puoi  (disse)  veder  chi  abbia  perduto, 
E  a  chi  di  noi  tocchi  di  star  di  sotto. 
Di  maraviglia  il  Pagan  resta  muto, 
Ch'una  donna  a  cader  l'abbia  condotto; 
E  far  risposta  non  potè  o  non  volle, 
E  fu  come  uom  pien  di  stupore  e  folle. 
51 

Di  terra  si  levò  tacito  e  mesto; 
E  poi  ch'andato  fu  quattro  o  sei  passi. 
Lo  scudo  e  l'elmo,  e  de  l'altre  arme  il  resto 
Tutto  si  trasse  e gittò  contra  i  sassi; 
E  solo  e  a  pie  fu  a  dileguarsi  presto: 
Non  che  di  commission  prima  non  lassi 
A  un  suo  scudier,  che  vada  a  far  l'effetto 
Dei  prigion  suoi,  secondo  che  fu  detto. 
52 

Partissi;  e  nulla  poi  più  se  n'intese. 
Se  non  che  stava  in  una  grotta  scura. 
Intanto  Bradamante  avea  sospese 
Di  costui  l'arme  all'alta  sepoltura; 
E  fattone  levar  tutto  l'arnese. 
Il  qual  dei  cavallieri,  alla  scrittura. 
Conobbe  de  la  corte  esser  di  Carlo; 
Non  levò  il  resto,  e  non  lasciò  levarlo. 
5.3 

Oltr'a  quel  del  fìgliuol  di  Monodante, 
V'è  quel  di  Sansonetto  e  d'Oliviero, 
Che  per  trovare  il  Principe  d'Anglante, 
Quivi  condusse  il  più  dritto  sentiero. 
Quivi  fur  presi,  e  furo  il  giorno  inante 
Mandati  via  dal  Saracino  altiero: 
Di  questi  l'arme  fé'  la  Donna  torre 
Da  l'alta  mole,  e  chiuder  ne  la  torre. 

l'avversario,  i  cavalieri  non  potevano  arre- 
starsi, ma  passavano  l'uno  da  una  parte 
l'altro  dall'altra.  Bradamante  trovò  lo  stretto 
passo  del  ponte  occupato  dal  cavallo  di  Ro- 
domonte e  poi  da  lui  stesso;  sicché  ebbe 
appena  uno  stretto  passo  sul  margine  del 
ponte. 

—  5.  il  vento  e  '1  f.  V.  e.  xv,  40. 

—  G.  Concetto  avean,  av.  generato.  Cosi 
nel  e.  xxxvi,  60.  In  tal  senso  è  citato  solo 
questo  secondo  esempio  dell'Ar. 

50.  7.  non  potè;  La  Principe  ha.  può  te. 
V.  e.  vili,  52,  n.  4. 

51.  7.  a  f.  l'effetto,  a  eseguire  l'opera- 
zione dei  prigionieri  già  fissata,  cioè  a  li- 
berare i  prigionieri.  Vedi  per  l'espressione 
e.  IX,  13,  n.  8. 

5*2.  8.  n.  lasciò  lev.  ;  dai  suoi  scudieri. 


480 


ORLANDO  FURIOSO 


54 
Tutte  l'altre  lasciò  pender  dai  sassi, 
Che  fiir  spogliate  ai  cavallier  Pagani. 
V'eran  l'arme  d'un  Re,  del  quale  i  passi 
Per  Frontalatte  mal  tur  spesi  e  vani  : 

10  dico  l'arme  del  Re  de'  Circassi, 
Che  dopo  lungo  errar  per  colli  e  piani. 
Venne  quivi  a  lasciar  l'altro  destriero; 
E  poi  senz'arme  andossene  leggiero. 

55 
S'era  partito  disarmato  e  a  piede 
Quel  Re  pagan  dal  periglioso  ponte. 
Si  come  gli  altri  ch'eran  di  sua  Fede, 
Partir  da  sé  lasciava  Rodomonte. 
Ma  di  tornar  più  al  campo  non  gli  diede 

11  cor;  ch'ivi  apparir  non  avria  fronte; 
Che  per  quel  che  vantossi,  troppo  scorno 
Gli  saria  farvi  in  tal  guisa  ritorno. 

56 

Di  pur  cercar  nuovo  desir  lo  prese 
Colei  che  solo  avea  fìssa  nel  core. 
Fu  l'avventura  sua,  che  tosto  intese 
(Io  non  vi  saprei  dir  chi  ne  fu  autore) 
Ch'ella  tornava  verso  il  suo  paese: 
Onde  esso,  come  il  punge  e  sprona  Amore, 
Dietro  alla  pesta  subito  si  pone. 
Ma  tornar  voglio  alla  figlia  d'Amone. 
57 

Poi  che  narrato  ebbe  con  altro  scritto 
Come  da  lei  fu  liberato  il  passo; 
A  Fiordiligi  ch'avea  il  core  afflitto, 
E  tenea  il  viso  lacrimoso  e  basso. 
Domandò  umanamente  ov'ella  dritto 
Volea  che  fosse,  indi  partendo,  il  passo. 
Rispose  Fiordiligi:  11  mio  camino 
Vo'  che  sia  in  Arli  al  campo  Saracino; 
58 

Ove  navilio  e  buona  compagnia 
Spero  trovar  da  gir  ne  l'altro  lito: 
Ma  non  mi  fermerò  fin  ch'io  non  sia 


54.  2.  fnr  spogliate  ecc.  Si  disse,  a  imita- 
zione dei  Laiim:  spogliar  la  veste  a  uno; 
ma  non  il  passivo:  la  veste  fu  spogliata: 
neppure  dai  Latini.  È  questo,  credo,  uno 
degli  ardimenti  dell'Ai-.,  non  citato  dai  vo- 
cabolari. 

—  4.  P.  Frontalatte.  V.  e.  xxvii,  113.  Il 
cavaliere  è  Sacripante. 

55.  6.  fronte;  ardire,  coraggio.  Signifi- 
cato un  poco  differente  da'  due  rilevati  nel 
e.  XVII,  122,  n.  2. 

5!i.  2.  Colei,  Angelica. 

—  3.  Fu  l'ayv.  sna.  Fu  per  lui  fortuna  in- 
tendere ch'ella  ecc.,  perché  cosi  evitò  di 
andar  vagando  a  cercarla. 

—  7.  alla  pesta;  alla  traccia;  anche  al 
plurale.  Si  dice  più  comunemente  delle  be- 
stie. —  Di  Sacripante  non  si  parla  più  nel 
poema. 

68.  2.  nell'altro  lìto,  in  Affrica.      ' 


Venuta  al  mio  signore  e  mio  marito. 
Voglio  tentar,  perché  in  prigion  non  stia, 
Più  modi  e  più:  che,  se  mi  vien  fallito 
Questo  che  Rodomonte  t'ha  promesso, 
Ne  voglio  avere  uno  et  un  altro  appresso. 
59 
Io  m'offerisco  (disse  Bradamante) 
D'accompagnarti  un  pezzo  de  la  strada, 
Tanto  che  tu  ti  vegga  Arli  davante, 
Ove  per  amor  mio  vo'  che  tu  vada 
A  trovar  quel  Ruggier  del  Re  Agramante, 
Che  del  suo  nome  ha  piena  ogni  contrada; 
E  che  gli  rendi  questo  buon  destriero. 
Onde  abbattuto  ho  il  Saracino  altiero. 

60 
Voglio  ch'a  punto  tu  gli  dica  questo: 
Un  cavallier  che  di  provar  si  crede, 
E  fare  a  tutto  '1  mondo  manifesto 
Che  contra  lui  sei  mancator  di  fede; 
Acciò  ti  trovi  apparecchiato  e  presto, 
Questo  destrier,  perch'io  tei  dia,  mi  diede. 
Dice  che  trovi  tua  piastra  e  tua  maglia, 
E  che  l'aspetti  a  far  teco  battaglia. 
61 
Digli  questo,  e  non  altro;  e  se  quel  vuole 
Saper  da  te  ch'io  son,  di'  che  noi  sai. 
Quella  rispose  umana  come  suole: 
Non  sarò  stanca  in  tuo  servizio  mai 
Spender  la  vita,  non  che  le  parole  ; 
Che  tu  ancora  per  me  cosi  fatto  hai. 
Grazie  le  rende  Bradamante;  e  piglia 
Frontino,  e  le  lo  porge  per  la  briglia. 
62 
Lungo  il  fiume  le  belle  e  pellegrine 
Giovani  vanno  a  gran  giornate  insieme, 
Tanto  che  veggono  Arli,  e  le  vicine 
Rive  odon  risonar  del  mar  che  freme. 
Bradamante  si  ferma  alle  confine 
Quasi  de'  borghi  et  alle  sbarre  estreme. 
Per  dare  a  Fiordiligi  atto  intervallo, 
Che  condurre  a  Rnggier  possa  il  cavallo. 


59.  5.  q,  Rugg.  del  re  A.;  q.  R.  cavaliere 
del  R.  Agr. 

—  7.  rendi,  renda.  È  terminazione  fre- 
quente negli  antichi  per  la  seconda  persona 
del  cong.  della  seconda  coniugazione:  cosi 
leggili  per  legga;  dichi  per  dica  ecc. 

60.  7.  trovi,  prenda:    cfr.  e.  iv,  53,  n.  5. 
62.  1.  il  flnme.  Rodano. 

—  5.  confine  ;  Questo  plurale  femminile 
trovasi  nel  e.  xli,  21;  xxxvii,  81;  Cinque 
canti  II,  51;  e  spesso  néiV Innamorato;  II, 
vili,  60;  XV,  7;  xix,  55,  ecc. 

—  6.  alle  sbarre  estr.;  all'estremo  con- 
fine. È  ripetizione,  sotto  altra  forma,  del 
concetto  precedente.  Pucci  Centiloquio  61, 
27:  «  Poi  in  Calavra  sua  passò  la  sbarra  (il 
confine)  ». 

—  8.  Che;  Intenderei  perché:  opportuno 
interv.  di  tempo  perché  F.  possa  cond.  ecc. 
Può  essere  anche  relat.  a  Fiord. 


CANTO  XXXV 


481 


63 
Vien  Fionliligi,  et  entra  nel  rastrello, 
Nel  ponte  e  nella  porta;  e  seco  prende 
Chi  le  fa  compagnia  fin  all' ostello 
Ove  abita  Ruggiero,  e  qnivi  scende; 
E,  secondo  il  mandato,  al  damigello 
Fal'imbasciata,  e  il  buon  Frontin  gli  ren- 
Indi  va,  che  risposta  non  aspetta,        de; 
Ad  eseguire  il  suo  bisogno  in  fretta. 

G-l: 

Euggier  riman  confuso  e  in  pensiergran- 
E  non  sa  ritrovar  capo  né  via  [de. 

Di  saper  chi  lo  sfide,  e  chi  gli  mande 
A  dire  oltraggio,  e  a  fargli  cortesia. 
Che  costui  senza  fede  lo  domande, 
O  possa  domandar  uomo  che  sia, 
Non  sa  veder  né  imagìnare;  e  prima, 
Ch'ogn'altro  sia  che  Bradamante,  istima. 
65 

Che  fosse  Rodomonte,  era  più  presto 
Ad  aver,  che  fosse  altri  opinione; 
E  perché  ancor  da  lui  debba  udir  questo. 
Pensa,  né  imaginar  può  la  cagione. 
Fuor  che  con  lui,  non  sa  di  tutto  '1  resto 
Del  mondo,  con  chi  lite  abbia  e  tenzone. 
In  tanto  la  donzella  di  Dordona 
Chiede  battaglia  e  forte  il  corno  suona. 
66  [te 

Vien  la  nuova  a  Marsilio  e  ad  Agraraan- 
Ch'un  cavallier  di  fuor  chiede  battaglia. 
A  caso  Serpentin  loro  era  avante. 
Et  impetrò  di  vestir  piastra  e  maglia, 
E  promesse  pigliar  questo  arrogante. 
Il  popol  venne  sopra  la  muraglia; 
Né  fanciullo  restò,  né  restò  veglio. 
Che  non  fosse  a  veder  chi  fesse  meglio. 
67 

Con  ricca  sopravesta  e  bello  arnese 
Serpentin  da  la  Stella  in  giostra  venne. 
Al  primo  scontro  in  terra  si  distese: 
Il  destrier  aver  parve  a  fuggir  penne. 
Dietro  gli  corse  la  Donna  cortese, 
E  per  la  briglia  al  Saracin  lo  tenue, 
E  disse:  Monta,  e  fa  che  '1  tuo  Signore 
Mi  mandi  un  cavallier  di  te  migliore. 

63.  1.  nel  rastrello.  V.  e.  vili,  3,  n.  6.  II  ra- 
strello chiudeva  l' imboccatura  del  ponte 
levatoio  sulla  fossa  di  cinta  delle  città. 

—  5.  al  damigello;  a  uno  dei  servi  di 
Ruggero.  —  gli  rende,  gli  consegna.  Si  disse 
specialmente  delle  lettere.  Caro,  2,  125: 
«  Tiberio   mi  ha  reso  la  lettera  di  V.  S.  ». 

04.  6.  domandar,  domandarlo. 

6.5.  1.  Che  fosse  ecc.  Era  più  presto,  più 
disposto  ad  avere  opinione  che  fosse  Ro- 
domonte, che  altri. 

ce.  6.  la  muraglia,  il  muro,  che  cingeva 
la  città. 

67.  2.  Serp.  da  la  Stella;  Stella  o  Estellaf; 
città  di  Spagna.  Innamor.  Il,  xxiii,  9: 
«Serpentin  de  la  Stella,  il  fier  garzone». 

Ariosto  —  Papini 


68 

Il  Re  African,  ch'era  con  gran  famiglia 
Sopra  le  mura  alla  giostra  vicino, 
Del  cortese  atto  assai  si  maraviglia. 
Ch'usato  ha  la  Donzella  a  Serpentino. 
Di  ragion  può  pigliarlo,  e  non  lo  piglia, 
Diceva,  udendo  il  popol  Saracino. 
Serpentin  giunge;  e  come  ella  comanda, 
Un  miglior  da  sua  parte  al.  Re  domanda. 
69 

Grandonio  di  Volterna  furibondo, 
Il  più  superbo  cavallier  di  Spagna, 
Pregando  fece  si,  che  fu  il  secondo. 
Et  usci  con  minacele  alla  campagna: 
Tua  cortesia  nulla  ti  vaglia  al  mondo; 
Che  quando  da  me  vinto  tu  rimagna. 
Al  mio  Signor  menar  preso  ti  voglio: 
Ma  qui  morrai,  s'io  posso,  come  soglio. 
70 

La  Donna  disse  lui:  Tua  villania 
Non  vo'  che  men  cortese  far  mi  possa. 
Ch'io  non  ti  dica  che  tu  torni  pria 
Che  sul  duro  terren  ti  doglian  l'ossa. 
Ritorna,  e  di'  al  tuo  Re  da  parte  mia. 
Che  per  simile  a  te  non  mi  son  mossa: 
Ma  per  trovar  guerrier  che '1  pregio  vaglia, 
Son  qui  venuta  a  domandar  battaglia. 

71  ' 

Il  mordace  parlare,  acre  et  acerbo 
Gran  fuoco  al  cor  del  Saracino  attizza; 
Si  che  senza  poter  replicar  verbo, 
Volta  il  destrier  con  colera  e  con  stizza. 
Volta  la  Donna,  e  contra  quel  superbo 
La  lancia  d'oro  e  Rabicano  drizza. 
Come  l'asta  fatai  lo  scudo  tocca, 
Coi  piedi  al  cielo  il  Saracin  trabocca.    • 
7-2 
Il  destrier  la  magnanima  guerriera 
Gli  prese,  e  disse:  Pur  tei  prediss'io. 
Che  far  la  mia  imbasciata  meglio  t'era. 
Che  de  la  giostra  aver  tanto  disio. 
Di'  al  Re,  ti  prego,  che  fuor  de  la  schiera 
Elegga  un  cavallier  che  sia  par  mio; 
Né  voglia  con  voi  altri  aftaticarme, 
Ch'avete  poca  esperienza  d'arme. 


68.  2.  famiglia,  famigliari,  il  seguito.  Cosi 
nel  e.  V,  76;  xxxiv,  22,  7. 

—  5.  può  pigi.  Il  vincitore  della  giostra 
poteva  prendere  il  vinto  e  le  cose  sue. 

—  6.  udendo,  mentre  il  popol  S.  udiva. 
Per  l'espressione  cfr.  e.  xii,  76,  u.  4. 

69.  8.  s' io  posso  ;  se  sono  potente. 

70.  3.  Ch'io  ecc.  ;  si  che  io  non  ti  dica 
che  tu  torni  ecc. 

—  6.  mossa.  Grandonio  nella  foga  dell'ira, 
non  avverte,  com'  è  naturale,  questo  fem- 
minile. 

—  7.  il  pregio  vaglia,  meriti,  valga  la 
pena,  si  disse  anche  maritare,  francare 
il  pregio, 

:ji 


482 


ORLANDO  FURIOSO 


73 

Quei  da  le  mura,  che  stimar  non  sanno 
Clii  sia  il  guerriero  iu  su  l'arcion  si  saldo, 
Quei  più  famosi  nominando  vanno, 
Che  tremar  li  fan  spesso  al  maggior  caldo. 
Che  Brandimarte  sia  molti  detto  hanuo: 
La  più  parte  s'accorda  esser  Rinaldo: 
Molti  su  Orlando  avrian  fatto  disegno; 
Ma  il  suo  caso  sapean  di  pietà  degno. 
74 

La  terza  giostra  il  figlio  di  Lanfusa 
Chiedendo,  disse:  Non  che  vincer  speri, 
Ma  perché  di  cader  più  degna  scusa 
Abbian,  cadendo  anch'io,  questi  guerrieri. 
E  poi  di  tutto  quel  ch'in  giostra  s'usa, 
yi  messe  in  punto  e  di  cento  destrieri 
Che  tenea  in  stalla,  d'un  tolse  l'elètta, 
Ch'avea il  correre  acconcio,  e  di  gran  fret- 
75  fta. 

Contra  la  Donna  per  giostrar  si  fece; 
Ma  prima  salutolla,  et  ella  lui. 
Disse  la  Donna:  Se  saper  mi  lece. 
Ditemi  in  cortesia,  chi  siate  vui. 
Di  questo  Ferraù  le  satisfece; 
Ch'usò  di  rado  di  celarsi  altrui. 
Ella  soggiunse:  Voi  già  non  rifiuto; 
Ma  avria  più  volentieri  altri  voluto. 
76 

E  chi?  Ferraù  disse.  Ella  rispose: 


73.  1.  stimar;  immaginar,  o  anche  indo- 
vinare. Cosi  nel  e.  xlii,  65,  5.  I  vocabolari 
non  citano  questo  significalo  assai  notevole. 

74.  1.  il  f.  d.  Lanf.,  Ferraù.  V.  e.  xxv,  7i. 

—  7.  tolse  l'eletta.  Più  comuuem.  fece 
l'eletta,  fece  la  scelta.  Non  si  cita  che  que- 
st'esempio delI'Ar. 

—  8.  e.  acconcio;  Forse  significa  bello: 
aveva  un  bel  trotto  e  veloce.  Non  si  trova 
questo  senso  spiccato  nei  vocabolari. 

;5.  4.  Ditemi  ecc.  Nei  romanzi  della  Ta- 
vola Rotonda  non  si  suol  domandare  il 
nome  che  dopo  la  battaglia:  e  spesso  i  ca- 
valieri si  rifiutano  di  dirlo.  Sicché  questo 
luogo  accenna  più  tosto  a  un  uso  del  ciclo 
carolingio.  Le  altre  circostanze,  come  te- 
nere il  cavallo  all'abbattuto  eoe  ,  apparten- 
gono al  ciclo  Brettone.  .Si  capisce  che  Bra- 
damante  domandali  nome,  perché,  venendo 
Ferraù  a  visiera  calata,  come  facevano  in 
generale,  vuole  accertarsi  che  non  sia  Rug- 
gero. Non  ebbe  bisogno  di  far  questo  con 
altri,  perché,  essendo  venuti  con  minacce  e 
villanie,  davan  sicuro  indizio  di  non  esser 
Ruggero.  F'erraù  invece  si  presenta  corte- 
semente salutando.  Dal  seguito  poi  si  ca- 
pisce che  Ella  ora  si  era  mostrata  colla  vi- 
siera alzata,  perché,  riconosciuta  come 
donna,  se  ne  riportasse  al  campo  d'Agra- 
mante  la  novella,  che  poteva  svegliare  la 
memoria  e  l'amore  di  Ruggero. 


Ruggiero;  e  a  pena  il  potè  proferire; 
E  sparse  d'un  color,  come  di  rose. 
La  bellissima  faccia  in  questo  dire. 
Soggiunse  al  detto  poi:  Le  cui  famoso 
Lode  a  tal  prova  m'han  fatto  venire. 
Altro  non  bramo,  e  d'altro  non  mi  cale. 
Che  di  provar  come  egli  in  giostra  vale. 
77 

Semplicemente  disse  le  parole 
Che  forse  alcuno  ha  già  prese  a  malizln. 
Rispose  Ferraù:  Prima  si  vuole 
Provar  tra  noi  chi  sa  più  di  milizia. 
Se  di  me  avvien  quel  che  di  molti  suole. 
Poi  verrà  ad  emendar  la  mia  tristizia 
Quel  gentil  cavallier  che  tu  dimostri 
Aver  tanto  desio  che  teco  giostri. 
78 

Parlando  tutta  volta  la  Donzella, 
Teneva  la  visiera  alta  dal  viso. 
Mirando  Ferraù  la  faccia  bella, 
Si  sente  rimaner  mezzo  conquiso; 
E  taciturno  dentro  a  sé  favella: 
Questo  un  angel  mi  par  del  paradiso; 
E  ancor  che  con  la  lancia  non  mi  tocchi, 
Abbattuto  son  già  da'  suoi  begli  occhi. 
79 

Preson  del  campo;  e, come  agli  altri  av- 
Ferraù  se  n'uscì  di  sella  netto,      [venne, 
Bradaraante  il  destrier  suo  gli  ritenne, 
E  disse:  Torna,  e  serva  quel  c'hai  detto. 
Ferraù  vergognoso  se  ne  venne, 
E  ritrovò  Ruggier  ch'era  al  conspetto 
Del  re  Agramante;  e  gli  fece  sapere 
Ch'alia  battaglia  il  cavallier  lo  chere. 
80 

Ruggier,  non  conoscendo  ancor  chi  fosse 
Chi  a  sfidar  lo  mandava  alla  battaglia, 
Quasi  certo  di  vincere,  allegrosse; 
E  le  piastre  arrecar  fece  e  la  maglia: 


76.  2.  potè.  La  Principe  ha  puote. 

—  6.  Lode,  opre  lodevoli.  V.  e.  xv,  2,  n.  \. 

77.  1-2.  Questa  è  una  riflessione  dell'Ai'.; 
e  contiene  niente  altro  che  uno  scherzo  ri- 
ferentesi  all'  ultimo  verso  della  st.  prece- 
dente. 

—  6.  tristizia  ;  insufllcienza.  Come  si 
dice  ttnsto  un  oggetto  di  cattiva  qualità, 
cosi  qui  tristizia  significa  cattiva  qualità 
del  guerriero. 

79.  3.  gli  ritenne,  come  il  gli  prese  della 
stanza  72,  significano  l'atto  stesso  che  essa 
fece  a  Serpentino:  cioè  ratteune  il  cavallo, 
che  vuoto  del  cavaliere  sarebbe  fuggito,  e 
lo  restituì  ai  cavalieri,  perché  vi  montassero 
di  nuovo. 

80.  1-2.  chi  fosse  chi  ;  chi  fosse  colui  che. 
Ma  SI  disse  e  si  dice  più  comunemente  cìii 
fosse  che. 

—  1.  le  piastre;  la  piastra:  cfr.  e.  i,  17, 
n.  :ì  ;  vi,  t-0,  n.  '.>. 


CANTO  XXXV 


483 


Né  l'aver  visto  alle  gravi  percosse, 
Che  gli  altri  sian  caduti,  il  cor  gli  smaglia. 


—   5.  alle  gr.  percosse  ;   È  complemento 
di  eran  caduti;  ma  è  inversione  non  bella. 


Come  s'armasse  e  come  uscisse,  e  quanto 
Poi  ne  segui,  Io  serbo  all'altro  Canto. 


è  romper  le  maglie  dell'armatura;   vedi 


—   6.   gli  smaglia;  gli  fiacca.  Smagliare  i  quindi  il  passaggio  al  senso  metaforico. 


CANTO  XXXVI 


4  [tese 

Couvieu  clie,  ovunque  sia,  sempre  cor- 
sia un  cor  gentil,  ch'esser  non  può  altri- 
Che  per  natura  e  per  abito  prese  [mente; 
Quel  che  di  mutar  poi  non  è  possente; 
Convien  che,  ovunque  sia,  sempre  palese 
Un  cor  villan  si  mostri  similmente. 
Natura  inchina  al  male,  e  viene  a  farsi 

L'abito  poi  difficile  a  mutarsi. 
•> 

Di  cortesia,  di  gentilezza  esempi 
Fra  gli  antiqui  guerrier  si  vider  molti, 
E  pochi  fra  i  moderni  ;  ma  degli  empi 
Costumi  avvien  ch'assai  ne  vegga  eascolti 
In  quella  guerra,  Ippolito,  che  i  tempi 
Di  segni  ornaste  a  gli  niniici  tolti, 
E  che  traeste  lor  galee  captive 
Di  preda  cardie  allp  paterne  rive. 


1.  3.  Che;  perché. 

—  4.  n.  è  possente...  di  ecc.  Esser  po- 
tente o  possente  si  costruisce,  in  questo 
senso  di  potere,  con  di  con  a  e  anche  con  in. 

—  7.  Natura  inch.  ;  Natura  lo  inchina. 
Non  si  può  intendere  come  massima  gene- 
rale, ma  deve  riferirsi  al  cuore  villano, 
perché  sopra  ha  detto  che  natura  inchina 
a  cortesia  il  cuor  gentile  :  dunque  natura 
non  inchina  al  male  tutti  i  cuori,  ma  solo 
i  cuori  villani. 

2.  4.  ne  vegga  ecc.  Il  soggetto  è  io. 

—  5.  In  quella  g.;  Nella  guerra  contro  i 
Veneziani  (1509),  che  fini  con  la  battaglia 
della  Polesella  (22  dicembre),  nella  quale  il 
Cardinale  Ippolito  fece  prodigi  di  valore, 
prese  molte  navi  ai  nemici  e  pose  le  loro 
bandiere  (segni)  nel  duomo  di  Ferrara.  V. 
e.  IH,  57,  n.  5;  xl,  4,  n.  7.  —  che.  Non  in- 
tenderlo nella  quale  ;  perché  non  nella 
guerra  si  ornano  i  templi,  delle  bandiere 
prese  ecc.;  ma  dopo  la  guerra:  intendilo  per 
quando  ;  prendendo  in  quella  guerra  come 
espressione  di  tempo.  Cosi  hai  l'uso  rego- 
lare del  che  nei  complementi  di  tempo. 

—  6.  segni,  bandiere.  V.  e.  xv,  23,  n.  1. 

—  7.  lor  galee.  Vedi  la  nota  7,  e.  xl,  4. 

—  8.  alle  paterne  r.  ;  alle  patrie  rive.  Pa- 
terno  per  patì-io  usarono  i  Latini  {Dii  pa- 


Tutti  gli  atti  crudeli  et  inumani 
Ch'usasse  mai  Tartaro  o  Turco  o  Moro, 
(Non  già  con  volontà  de'  Veneziani, 
Che  sempre  esempio  di  giustizia  foro), 
Usaron  l'empii  e  scelerate  mani 
Di  rei  soldati,  mercenari  loro. 
Io  non  dico  or  di  tanti  accesi  fuochi 
Ch'arson  le  ville  e  i  nostri  ameni  lochi: 
4 

Ben  che  fu  quella  ancor  brutta  vendetta, 
Massimamente  contia  voi,  ch'appresso 
Cesare  essendo,  mentre  Padua  stretta 
Era  d'assedio,  ben  sapea  che  spesso 
Per  voi  pili  d'una  tìamma  fu  interdetta, 


terni  per  da  patrii);   ma  di  sci-ittori  ita- 
liani non  trovo  citato  esempio. 

3.  1.  Tutti  gli  atti  ecc.  I  soldati  dei  Ve- 
neziani, specialmente  i  mercenari  Schia- 
voni,  nel  riconquistare  i  territori  perduti 
dopo  la  battaglia  di  Gliiaradadda  (14  mag- 
gio 1509)  e  nell'avanzarsi  contro  Ferrara, 
commettevano  ogni  nefandezza  (Murat.  a. 
Est.  II,  286).  Il  Giovio  poi  dice  che  dal  ba- 
stione, di  cui  alla  st.  5,  n.  8,  per  mezzo  di 
un  ponte  di  navi  quei  mercenari  scendevano 
nell'agro  Ferrarese  e  tutto  devastavano  con 
ferro  e  con  fuoco  {Vita  d'Alfonso  I). 

4.  1.  vendetta,  della  rotta  di  Ghiaradadda. 

—  2-3.  appresso  C.  essendo.  Nel  settembre 
del  1509,  essendo  i  Veneziani  fortificati  in 
Padova,  dove  li  teneva  assediati  l'impera- 
tore Massimiliano,  il  duca  .A.lfonso  mandò 
a  lui  in  aiuto  fanti  e  cavalli  sotto  il  comando 
del  Cardinale  Ippolito,  il  quale  co'  suoi  con- 
sigli miti  impedì  (pare)  che  si  commettes- 
sero dagli  imperiali  e  da'  suoi  nei  dintorni 
di  Padova  simili  eccessi  (Muratori,  a.  Est. 
Il,  286). 

—  4.  hen  sapea.  Intendi:  massimam.  con- 
tro voi,  il  quale  essendo  presso  Cesare, 
mentre  Padova  era  stretta  d'assedio,  que- 
sta Padova  ben  sapeva  che  spesso  ecc.  Av- 
verti l'andamento  saltuario  del  periodo,  fe- 
nomeno non  raro  nel  Furioso. 

—  5.  interdetta,  impedita.  Cosi  nel  e.  xx, 


484 


ORLANDO  FURIOSO 


E  spento  il  fuoco  ancor,  poi  che  fu  messo, 
Da  villaggi  e  da  templi,  come  piacque 
All'alta  cortesia  che  con  voi  nacque. 
5 
Io  non  parlo  di  questo  né  di  tanti 
Altri  lor  discortesi  e  crudeli  atti^» 
Ma  sol  di  quel  che  trar  dai  sassi  i  pianti 
Debbe  poter,  qual  volta  se  ne  tratti. 
Quel  di.  Signor,  che  la  famiglia  inanti 
Vostra  mandaste  là  dove  ritratti 
Dai  legni  lor  con  importuni  auspici 


S'erano  in  luogo  forte  gl'inimici, 
6 
Qual  Ettorre  et  Enea  sin  dentro  ai  flnt- 
Per  abbruciar  le  navi  Greche,  andaro;  fti, 
Un  Ercol  vidi  e  un  Alessandro,  indutti 


117,  8;  E  il  Petrarca,  i,  canz.  1:  «  Le  vive 
voci  m'erano  interditte». 

—  G-7.  spento...  da  Tillaggi.  «  Contenen- 
dosi anche  in  spento  l'idea  di  remozioue 
del  fuoco,  è  a  quest'idea  subordinato  il  co- 
strutto »  (Romizi). 

5.  4.  qnal  volta;  ogni  qual  volta.  V.  e.  v, 
9,  n.  S. 

—  h.  Quel  di  ecc.  Qui  comincia  il  periodo 
che  ha  il  suo  verbo  nel  vidi  della  st.  Seg. 
Tutti  i  principali  editori  e  annotatori  del 
Furiosa  [Ba.roi\.\,  Molini,  Casella,  Bolza,  Ro- 
mizi) metton  punto  al  fine  della  stanza,  e 
per  ciò  converrebbe  intendere  questo  luogo 
cosi:  intendo  dire  di  ciò  che  avvenne  quel 
di.  Ma  sottintender  tutto  ciò  è  molto  duro. 
Meglio  il  Morali,  seguito  dal  Panizzi,  dal 
Camerini  e  qualcun  altro,  mette  i  due  punti 
e  collega  questi  quattro  versi  con  quel  che 
segue.  L'edizioni  del  1516  e  del  1532  hanno  il 
punto,  ma,  quanto  a  punteggiatura,  le  anti- 
che edizioni  sono  spessissimo  difettose.  For- 
se il  criterio,  che  ha  spinto  il  Morali  a  cor- 
reggere questo  luogo,  doveva  guidarlo  pure 
nel  e.  xxxii,  st.  31,  8;  dove  il  punto  fer- 
mo guasta,  anche  più  che  qui,  l'andamento 
sintattico.  —  Il  fatto,  a  cui  qui  si  accenna, 
avvenne  il  30  novembre  1509  alla  Polesella, 
dove  i  Veneziani  avevano  costruito  due 
forti  bastioni  sulle  due  rive  del  Po  (Uwgo 
forte)  e  di  li,  usciti  dalle  navi,  combattevano 
(MuRAT.  Ant.  E.  II,  292).  —  la  famiglia;  qui 
certo  vuol  dire  il  vostro  seguito  d'armati: 
i  vostri  soldati.  11  Guicciardini  (S.  I.  8,  5), 
dice:  «  Raccolti  quanti inù  giovani  potette 
della  città  e  i  soldati,  che  continuamente 
concorrevano  agli  stijìendi  suoi,  mandò  al- 
l'improvviso ad  assaltare  il  bastione  (quello 
verso  Ferrara)  ».  Ed  ecco  dunque  che  cosa 
era  la  famiglia. 

—  7.  con  imp.  ausp.  È  espressione  e  im- 
magine derivata  da  Virgilio,  Georg.,  1, 
470,  dove  son  detti  importunae  volucres 
gli  uccelli  di  malaugurio,  che  predissero  la 
.morte  di  Cesare.  Intendono:  per  nostra 
sfortuna,  con  auguri  infausti  per  noi,  per- 
ché i  soldati  del  duca  di  Ferrara  furono 
quel  giorno  rotti  e  messi  in  fuga;  ma  l'e- 
spressione dell' Ar.  sarebbe  strana  ;  infatti 


gli  auguri  erano  fausti  o  infausti  per  colui, 
che  sotto  il  loro  influsso  operava:  dunque 
'  qui  dovremmo   avere   con  favorevoli  au- 
guri se  l'espressione  dovesse   riferirsi  al 
primo  successo  dei  Veneziani.  Io  invece  in- 
tendo :  si  ritirarono   nei   bastioni  per  loro 
sfortuna,  con   auguri  a  loro   sfavorevoli, 
'  perché,  sebbene  per  allora  fossero  disfatti 
i  Ferraresi,  pure  poco  appresso  il  Cardinale 
Ippolito  «  ritornò  con   parte  delle  genti  ad 
'  assaltare  il  bastione  e  avendo  con   1'  ucci- 
sione d'alcuni  di  loro  rimessi  (dietro  il  ba- 
stione) gl'inimici,  ch'erano  usciti  a  scara- 
i  mucciare,  occupò  e  fortiflcò  la  parte  pros- 
sima dell'argine,  in  modo   che,  senza  die 
gl'inimici  lo   sapessero  (perché  era  loro 
impedita  la  vista  appunto  del  bastione),  con- 
[  dusse  al  principio  della  notte  le  artiglierie 
I  in  sulla  ripa  opposita  all'armata;  e  distesele 
j  con  silenzio  grande,  cominciò  con  terribile 
I  impeto  a  percuoterla  »  (Guicciard.,  S.  /,  8, 
I  5  ).  Dunque  il  bastione  fu  proprio  la  causa 
I  della  loro  finale  disfatta  e  rovina,  e  per  ciò 
di  cattivo  augurio.  D'altra  parte  l'.\riosto, 
che  ha  altre  volte  celebrato  la  gloria  degli 
Estensi    per  il  fatto  della   Polesella,   come 
potrebbe  qui  rilevare  la  prima  disfatta  dei 
Ferraresi  e  non  parlare  piuttosto  della  loro 
vittoria  finale? 

C.  1.  Ettorre...  Enea.  Omero  nel  lib.  XV 
dell'  Iliade  dice  che  Ettore  e  i  più  forti 
Troiani  andarono  per  incendiare  le  navi 
greche,  ma  non  rileva  gesta  particolari  di 
Enea.  Forse  l'Ar.  lo  mise  accanto  ad  Et- 
tore in  omaggio  nWEìieide,  dove  Enea  ap- 
pare il  più  grande  eroe  troiano,  dopo  l'Et- 
tore, ómW Iliade.  E  avverti  inoltre  che  l'Et- 
tore Omerico  non  si  avanzaselo  lasciando 
indietro  gli  altri,  come  fecero  questi  due 
giovani,  ma  si  avanza  in  mezzo  ai  suoi. 

—  3.  Ercol...  Alessandro.  Ercole  Cantelmo, 
.Alessandro  Ferrumino  si  spinsero  per  zelo 
di  combattere  troppo  avanti,  e  il  secondo 
appena  scampò;  il  primo  «  giovane  di  gran- 
de aspettazione,  i  maggiori  del  quale  ave- 
vano già  dominato  nel  reame  di  Napoli  il 
Ducato  di  Sora,...  condotto  prigione  da  al- 
cuni soldati  .Schiavoni  in  su  una  galea,  e 
venuti  in  questione  di  chi  di  loro  dovesse 
esser  prigione,  gli  fu  da  uno  di  essi,  con 
inaudito  esempio  di  barbara  crudeltà  tron- 
cata la  testa»  (GuicriARDiNi,  5.  /.  8,  5).  In 
questi  particolari  si  accorda  il  Giovio,  e 
per  ciò  è  da  scartare  la  versione  del  Bem- 
bo, che  dice  come,  sdrucciolatogli  il  cavallo 


CANTO  XXXVI 


485 


Da  troppo  ardir,  partirsi  a  paro  a  paro, 
E  spronando  il  destrier,  passarci  tutti, 
E  1  nemici  turbar  fin  nel  riparo, 
E  gir  si  innanzi,  ch'ai  secondo  molto 
Aspro  fu  il  ritornare,  e  al  primo  tolto. 

7 
Salvossi  il  Ferruftin,  restò  il  Cantelmo. 
Che  cor,  duca  di  «ora,  che  consiglio 
Fu  allora  il  tuo,  che  trar  vedesti  l'elmo 
Fra  mille  spade  al  generoso  figlio, 
E  menar  presoanave,esopra  un  schehno 
Troncargli  il  capo?  Ben  mi  maraviglio 
Che  darti  morte  lo  spettacol  solo 
Non  potè,  quanto  il  ferro  a  tuo  figliuolo. 

8  [appreso 

Schiavon  crudele,  onde  hai  tu  il  modo 


sotto,  cadendo  il  giovane,  fu  dai  galeotti 
ucciso.  Il  Giovio  però,  a  differenza  del  Guic- 
ciardini, dell'Ar.  e  del  Bembo,  dice  che  fu 
portato  troppo  avanti  dal  cavallo  sfrenato. 
Ei  lo  chiama  Girolamo  non  Ercole.  —  vidi. 
È  chiaro  da  questo  luogo  che  l'Ariosto  si 
trovò  a  quel  fatto  d'arme.  Avverti  che  poco 
dopo  (il  16  dicembre)  fu  spedito  in  ambasce- 
ria a  Roma  (cfr.  canto  xl,  3);  perciò  non 
si  trovò  al  fatto  glorioso  della  Polesella  (22 
dicembre). 

—  4.  a  paro  a  paro  ;  insieme.  Dante,  Purg. 
21,  93  :  «  Venendo  teco  si  a  paro  a  paro  ». 

7.  2-6.  Che  cor  ecc.  Questa  movenza  fu 
imitata  dal  Monti  Bassv.  2,  130:  «  Che  cor. 
misero  Ugon,  che  sentimento  Fu  allora  il 
tuo  che  di  morte  vedesti  L'atro  vessillo 
volteggiarsi  al  vento?  »  —  duca  di  Sora,  il 
padre  del  Cantelmo. 

—  5.  menar,  menarlo.  —  a  nave,  alla 
nave.  —  schelmo,  o  scalmo  (gr.  xkalmóx)  è 
propriam.  la  caviglia,  a  cui  si  ferma  il  remo. 
Qui,  dicono  alcuni,  vale  bordo  delia  na ce, 
dove  sono  gli  scalmi.  Io  credo  che  proprio 
su  uno  scalmo  fatto  a  forcella,  incavato  sul 
bordo  stesso  della  nave,  si  appoggiasse  il 
collo  dell'infelice,  come   su   comodo  cippo. 

—  7.  lo  spettacol;  La  vicinanza  delle  due 
schiere  avversarie  era  tale,  che  il  padre 
dovette,  forse,  assistere  con  gli  occhi,  certo 
seguire  con  l' anima  ansiosa  tutti  i  mo- 
menti di  quel  tragico  fatto.  Il  corpo  dello 
sventurato  giovane,  redento  con  danari,  fu 
portato  a  Ferrara,  dove  dall'addolorato  pa- 
dre gli  fu  data  sepoltura. 

—  8.  potè.  L'ed.  del  1516  h&puote.—  a  tuo 
flgl.  Ricorda  che  regolarmente  si  omette 
l'articolo  nell'espressione  a  mio  figlio,  non 
neir  altra  a  mìo  figliuolo:  e  cfr.  Founa- 
tiARi,  Sint.  p.  132. 

8.  1.  Schiavoni.  Tutte  le  migliori  fonti  si 
accordano  nello  scagionare  di  questo  ec- 
cesso i  Veneziani,  attribuendolo  ai  loro  mer- 
cenari, specialmente  Schiavoni,  che  erano 
i  più  tìeri  e  crudeli. 


De  la  milizia?  In  qual  Scizia  s'intende 
Ch'uccider  si  debba  un.poi  ch'egli  è  preso. 
Che  rende  l'arme,  e  più  non  si  difende? 
Dunque  uccidesti  lui,  perché  ha  difeso 
La  patria?  Il  sole  a  torto  oggi  rispleude, 
Crudel  seculo,  poi  che  pieno  sei 
Di  Tiesti,  di  Tantali  e  di  Atrei. 
0 

Festi,  Barbar  crudel,  del  capo  scemo 
11  più  ardito  garzon,  che  di  sua  etade 
Fosse  da  un  polo  a  l'altro,  e  da  l'estremo 
Lito  degl'Indi  a  quello  ove  il  sol  cade. 
Potea  in  Antropofago,  in  Polifemo 
La  beltà  e  gli  anni  suoi  trovar  pietade, 
Ma  non  in  te,  più  crudo  e  più  fellone 
D'ogni  Ciclope  e  d'ogni  Lestrigone. 
10 

Simile  esempio  non  credo  che  sia 
Fra  gli  antiqui  guerrier,  di  quai  li  studi 
Tutti  fur  gentilezza  e  cortesia; 
Né  dopo  la  vittoria  erano  crudi. 
Bradamante  non  sol  non  era  ria 
A  quei  ch'avea,  toccando  lor  gli  scudi, 
Fatto  uscir  de  la  sella,  ma  tenea 
Loro  i  cavalli,  e  rimontar  Iacea. 
11 

Di  questa  donna  valorosa  e  bella 
Io  vi  dissi  dì  sopra,  che  abbattuto 


—  2.  in  q.  Scizia.  Scizia  è  qui  preso  per 
luogo  abitato  da  gente  crudele.  Plinio  di- 
pinge gli  uomini  della  Scizia  crudeli,  antro- 
pofagi,  non  dissimili  dalle  fiere,  clie  abita- 
vano quelle  vaste  solitudini  (li.  N.  lib.  VI, 
17).  —  s'intende,  si  ritiene  come  fermo  e 
stabilito. 

—  8.  Di  Tiesti  ecc.  Tieste  commise  ne- 
fandi, delitti  contro  il  fratello  Atreo,  che 
si  vendicò  facendone  a  pezzi  il  figliuolo  e 
dandoglielo  a  mangiare.  Tantalo  si  dice 
che  uccise  il  proprio  figlio  Pelope  e  lo  die  a 
mangiare  agli  Dei,  che  ospitava,  per  pro- 
vare se  ciò  conoscessero. 

9.  2.  di  sua  etade;  della  sua  età.  Aveva  22 
anni  ed  era  bellissuno  e  colto. 

—  5.  Antropofago.  È,  secondo  il  Boiardo, 
II,  XVIII,  37,  re  dei  Lestrigoni:  «  Questo 
avea  gli  occhi  rossi  come  un  drago  E  tutto 
di  gran  barba  il  viso  chiuso  ».  Secondo  O- 
mero  invece,  re  dei  Lestrigoni  è  Antifate 
(Odiss.  1.  10).  —  Polifemo.  Era  figlio  di  Net- 
tuno, era  ciclope  e  pur  esso  antropofago 
(Odissea,  lib.  9). 

—  8.  Lestrigone;  V.  e.  xxxv,  38,  n.  7. 

10.  2.  di  quai,  dei  quali.  V.  e.  II,  15,  n.  8: 
dei  quali  ogni  studio,  ogni  desiderio  fu  d'es- 
ser gentili  e  cortesi. 

—  6.  toccando,  colpendo.  V.  e.  ni,  68, 
u.  4. 

—  8.  rimontar  f.  ;  rimontar  li  facea.  V. 
e.  i,  21,  n.  7.  Questa  cortesia  è  frequente 
nei  romanzi  della  Tavola  rotonda. 


48^^ 


ORLANDO  FURIOSO 


Aveva  Serpentin  quel  da  la  Stella, 
Grandonio  di  Volterna  e  Ferrauto, 
E  ciascun  d'essi  poi  rimesso  in  sella; 
E  dissi  ancor  che  '1  terzo  era  venuto, 
Da  lei  mandato  a  disfidar  Rugjijlero, 
Là  dove  era  stimata  un  cavalìiero. 
12 

Ruggier  tenne  lo  'nvito  allegramente, 
E  l'armatura  sua  fece  venire. 
Or,  mentre  che  s'armava  al  Re  presente, 
Tornaron  quei  Signor  di  nuovo  a  dii*e 
Chi  fosse  il  cavallicr  tanto  eccellente. 
Che  di  lancia  sapea  si  ben  ferire; 
E  Ferrali,  che  parlato  gli  avea, 
Fu  domandato,  se  lo  conoscea. 
13 

Rispose  Ferrali:  Tenete  certo 
Che  non  è  alcun  di  quei  ch'avete  detto. 
A  me  parca,  ch'il  vidi  a  viso  aperto, 
Il  frate]  di  Rinaldo  giovinetto: 
Ma  poi  ch'io  n'ho  l'alto  valore  esperto, 
E  so  che  non  può  tanto-I  icciardetto, 
Penso  che  sia  la  sua  sortila,  molto 
(Per  quel  ch'io  n'odo)  a  lui  simil  di  volto. 
14 

Ella  ha  ben  fama  d'esser  forte  a  pare 
Del  suo  Rinaldo  e  d'ogni  Paladino; 
Ma,  per  quanto  io  ne  veggo  oggi,  mi  pare 
Che  vai  più  del  frate!,  più  del  cugino. 
Come  Ruggier  lei  sente  ricordare. 
Del  vermiglio  color  che  '1  matutino 
Hparge  per  l'aria,  si  dipinge  in  faccia, 
E  nel  cor  triema,  e  non  sa  che  si  faccia. 
15 

A  questo  annunzio,  stimulato  e  punto 
Da  l'amoroso  strai,  dentro  infiauimarse, 
E  per  l'ossa  senti  tutto  in  un  punto 
Correre  un  giaccio  che  'I  timor  vi  sparse, 
Timor  ch'un  nuovo  sdegno  abbia  consunto 
Quel  grande  amor  che  già  per  lui  si  l'arse. 
Di  ciò  confuso  non  si  risolveva. 
S'incontra  uscirle,  o  pur  restar  doveva. 
16 

Or  quivi  ritrovandosi  Marfisa, 


11.  4.  Ferrauto.  L'Ar.  altrove  sempre  Fer- 
rali ;  il  Boiardo  Ferraguto  ;  la  cronaca  del 
pseudo-Turpino  Ferracutus. 

—  5.  rimesso,  lasciato,   fatto  rimontare. 

—  8.  Là  dove  ecc.,  nel  cospetto  di  Agra- 
niante,  dove  da  esso  e  dal  suo  seguilo  si 
credeva  che  questo  guerriero  fosse  uu  uomo. 

13.  5.  esperto,  provato.  Cosi  nel  e.  xin, 
27,  3. 

—  8.  simil  di  volto.  V.  e.  xxv,  9. 

14.  3-4.  Mi  pare  che  vai.  L'indicativo  dopo 
il  verbo  parere  è  raro,  ma  lia  buoni  esempi 
anche  in  prosa:  Cavalca,  Esjj.  S.  2,  '41: 
«  mi  pare  che...  reputano  ». 

—  6.  matntino,  mattino.  V.  e.  iv,  10.  n.  6. 

15.  4.  giaccio.  V.  e.  i,  41,  n.  1. 


Che  d'uscire  alla  giostra  avea  gran  voglia, 
Et  era  armata,  perché  in  altra  guisa 
È  raro,  o  notte  o  di,  che  tu  la  coglia; 
Sentendo  che  Ruggier  s'arma,  s'avvisa 
Che  di  quella  vittoria  ella  si  spoglia 
Se  lascia  che  Ruggiero  esca  fuor  prima: 
Pensa  ire  inanzi,  e  averne  ilpregio  stima. 
17 

Salta  a  cavallo,  e  vien  spronando  in 
Ove  nel  campo  la  figlia  d' Amone    [fretta 
Con  palpitante  cor  Ruggiero  aspetta, 
Desiderosa  farselo  prigione; 
E  pensa  solo  ove  la  lancia  metta. 
Perché  del  colpo  abbia  minor  lesione. 
Marfisa  se  ne  vien  fuor  de  la  porta, 
E  sopra  l'elmo  una  Fenice  porta; 
18 

O  sia  per  sua  superbia,  dinotando 
Sé  stessa  unica  al  mondo  in  esser  forte, 
O  pur  sua  casta  intenzi'on  lodando 
Di  viver  sempre  mai  senza  consorte. 
La  figliuola  d'Amon  la  mira;  e  quando 
Le  fattezze  ch'amava,  non  ha  scorte, 
Come  si  nomi  le  domanda,  et  ode 
Esser  colei  che  del  suo  amor  si  gode. 
19 

0  per  dir  meglio,  esser  colei  che  crede 
Che  goda  del  suo  amor,  colei  che  tanto 
Ha  in  odio  e  in  ira,  che  morir  si  vede. 
Se  sopra  lei  non  vendica  il  suo  pianto. 
Volta  il  cavallo,  e  con  gran  furia  riede, 
Non  per  deslr  di  porla  in  terra,  quanto 
Di  passarle  con  l'asta  in  mezzo  il  petto, 
E  libera  restar  d'ogni  suspetto. 
20 

Forza  è  a  Marfisa  ch'a  quel  colpo  vada 
A  provar  se  '1  terreno  è  duro  o  molle; 
E  cosa  tanto  insolita  le  accada. 
Ch'ella  n'è  per  venir  di  sdegno  folle. 
Fu  in  terra  a  pena,  che  trasse  la  spada, 
E  vendicar  di  quel  cader  si  volle. 
La  figliuola  d'Amon  non  meno  altiera 


16.  4.  È  raro  ecc.  V.  e.  xvm,  99. 

—  8.  averne  il  pr.,  riportarne  il  premio. 
Qui  con  estensione  di  signilicato  riuscirne 
vittoriosa.  V.  e.  xvn,  97,  n.  6;  xi.ni,  55,  S. 

17.  8.  una  Fenice.  Il  Boiardo,  Inn.  I,  xviii, 
4,  le  dà  invece  per  cimiero  uu  drago  verde, 
che  getta  fuoco.  Ma  come  quello  conveniva 
alla  feroce  indomabile  natura  di  M.,  cosi  la 
Fenice  conviene  ai  nuovi  destini,  che  le  at- 
tribuisce l'Ar.  Per  la  Fenice  cfr.  e.  xxv,  97; 
XXVI,  3. 

19.  3.  morir  si  vede,  morir  si  sente.  B'io 
retti  S.  Fr.  125  ;  «  Veggendosi  S.  Francesco... 
venire  meno  ». 

—  7.  in  mezzo  il  p.;  Puoi  intendere:  pas- 
sarle il  petto  per  il  mezzo;  o  anche:  pas- 
sarle con  la  lancia  nel  mezzo  del  petto. 


CANTO  XXXVI 


487 


Gridò:  Che  fai?  tu  sei  mia  prigioniera. 
21 

Se  bene  uso  con  gli  altri  cortesia, 
Usar  teco,  Marfisa,  non  la  voglio, 
Come  a  colei  che  d'ogni  villania 
Odo  che  sei  dotata  e  d'ogni  orgoglio. 
Marfisa  a  quel  parlar  fremer  s'udia 
Come  un  vento  marino  in  uno  scoglio. 
Grida,  ma  si  per  rabbia  si  confonde. 
Che  non  può  esprimer  fuor  quel  che  ri- 
22  [sponde. 

Mena  la  spada,  e  più  ferir  non  mira 
Lei,  che  '1  destrier,  nei  petto  e  ne  lapancia  ; 
Ma  Bradamante  al  suo  la  briglia  gira, 
E  quel  da  parte  subito  si  lancia; 
E  tutto  a  un  tempo  con  isdegno  et  ira 
La  figliuola  d'Anion  spinge  la  lancia, 
E  con  quella  Marfisa  tocca  a  pena, 
Che  la  fa  riversar  sopra  l'arena. 
23 

A  pena  ella  fu  in  terra,  che  rizzosse,    , 
Cercando  far  con  la  spada  mal'opra: 
Di  nuovo  l'asta  Bradamante  mosse, 
E  Marfisa  di  nuovo  andò  sozzopra. 
Benché  possente  Bradamante  fosse, 
Non  però  si  a  Marfisa  era  di  sopra, 
Che  l'avesse  ogni  colpo  riversata; 
Ma  tal  virtù  ne  l'asta  era  incantata. 
24 

Alcuni  cavallieri  in  questo  mezzo. 
Alcuni,  dico,  de  la  parte  nostra, 
Se  n'erano  venuti  dove,  in  mezzo 
L'un  campo  e  l'altro  si  facea  la  giostra 
(Che  non  eran  lontani  un  miglio  e  mezzo). 
Veduta  la  virtù  che  '1  suo  dimostra; 
Il  suo  che  non  conoscono  altrimente 
Che  per  un  cavallier  de  la  lor  gente. 
25 

Questi  vedendo  il  generoso  figlio 
Di  Troiano  alle  mura  approssimarsi. 
Per  ogni  caso,  per  ogni  periglio 
Non  volse  sproveduto  ritrovarsi; 
E  fé'  che  molti  all'arme  dier  di  piglio, 
E  che  fuor  dei  ripari  appresentàrsi. 
Tra  questi  fu  Ruggiero,  a  cui  la  fretta 
Di  Marfisa  la  giostra  avea  intercetta. 


20.  8.  Che  fai?  ecc.  Scavalcato  il  nemico, 
questi  era,  per  legge  di  cavalleria,  posto 
fuori  di  combattimento.  E  la  giostra  era 
lìnita. 

21.  8.  non  può  ecc.;  non  può  esprimere 
chiaramente  con  parole  esplicite  {fuor) 
quello  che  risponde;  cioè  molte  parole  di 
risposta  restano  mozze  e  confuse,  per  l'ira, 
nella  sua  gola. 

22.  1.  mira;  ha  riguardo  :  cfr.  st.  51,  n.6. 

24.  0.  suo,  il  loro  cavaliere,  cioè  Brada- 
mante. V.  e.  xiH,  40,  n.  3. 

25.  1.  Questi  vedendo;  vedendo  Agramante 
questi  cavalieri  cristiani. 


26 
L'innamorato  giovene  mirando 
Stava  il  successo,  e  gli  tremava  il  core. 
De  la  sua  cara  moglie  dubitando; 
Che  di  Marfisa  ben  sapea  il  valore. 
Dubitò,  dico,  nel  principio,  quando 
81  mosse  l'una  e  l'altra  con  furore; 
Ma  visto  poi  come  successe  il  fatto, 
Restò  maraviglioso  e  stupefatto: 

27 
E  poi  che  fin  la  lite  lor  non  ebbe,  [tro; 
Come  avean  l'altre  avute,  al  primo  incon- 
Nel  cor  profundamente  gli  uè  'nerebbe. 
Dubbioso  pur  di  qualche  strano  incontro. 
De  l'una  egli  e  de  l'altra  il  ben  vorrebbe; 
Ch'ama  amendue  :  non  che  daporre  incon- 

[tro 
Sien  questi  amori:  è  l'un  fiamma  e  furore, 
L'alti'o  benivolenza  più  ch'amore. 

28 
Partita  volentier  la  pugna  avria, 
Se  con  suo  onor  potuto  avesse  farlo. 
Ma  quei  ch'egli  avea  seco  in  compagnia. 
Perché  non  vinca  la  parte  di  Carlo, 
Che  già  lor  par  che  superior  ne  sia, 
Saltan  nel  campo,  e  vogliono  turbarlo. 
Da  l'altra  parte  i  cavallier  Cristiani 
Si  fanno  innanzi,  e  son  quivi  alle  mani. 

29 
Di  qua,  di  là  gridar  si  sente  all'arme, 
Come  usati  eran  far  quasi  ogni  giorno. 
Montichi  è  apiè,  chi  non  è  armato  s'arme, 
Alla  bandiera  ognun  faccia  ritorno, 
Dicea  con  chiaro  e  bellicoso  carme 
Più  d'una  tromba  che  scorrea  d'intorno: 
E  come  quelle  svegliano  i  cavalli. 
Svegliano  i  fanti  i  timpani  e  i  taballi. 


26.  3.  moglie.  V.  e.  xvi,  14,  u.  7. 

—  8.  maravigliaso  ;  maravigliato.  V.  e.  x, 
90,  n.  7. 

27.  8.  L'altro  b.  L'Ar.  con  fino  accorgi- 
ineuto  prepara  la  grande  rivelazione  che 
Marfisa  è  sorella  di  Ruggero. 

28.  6.  nel  campo;  nel  campo  della  giostra 
e  vogliono  disturbarlo,  intervenendo. 

29.  5.  carme,  squillo,  suono.  Cosi  spesso 
i  poeti  con  significato  preso  dal  Carmen  dei 
Latini.  Tasso,  Ger.  20,  30:  «  E  canta  ia  più 
guerriero  e  chiaro  carme  Ogni  sua  tromba  ». 

—  S.  Svegliano.  L' ediz.  del  1532  legge 
svegliando,  che  piacque  meglio  al  Panizzi 
e  che  il  Morali  corresse  ritenendolo  errore 
di  stampa.  Il  Panizzi  spiega:  Più  d'una 
tromba  dicea:  monti  chi  è  a  pie  ecc.;  e  i 
timpani  lo  dicevano  svegliando  i  fanti  come 
le  trombe  svegliano  i  cavalli.  Mi  pare  che 
abbia  ragione  il  Panizzi.  —  taballi  o  tim- 
balli; «  Sono  due  strumenti  di  rame  in  fog- 
gia di  due  grandi  pentole  vestite  di  cuoio  e 
per  di  sopra  nel  largo  della  bocca  con  pelle 


488 


ORLANDO  FURIOSO 


30 

La  scaramuccia  fiera  e  sanguinosa, 
Quanto  si  possa  imagiuar,  si  mesce. 
La  donna  di  Dordona  valorosa, 
A  cui  mirabilmente  aggrava  e  iucresce 
Che  quel,  di  ch'era  tanto  disiosa. 
Di  por  Marti  sa  a  morte,  non  riesce; 
Di  qua,  di  là  si  volge  e  si  raggira, 
He  Ruggier  può  veder,  per  cui  sospira. 
31 

Lo  riconosce  all'aquila  d'argento. 
Ch'ha  nello  scudo  azzurro  il  giovinetto. 
Ella  con  gli  occhi  e  col  pensiero  intento 
Si  ferma  a  contemplar  le  spalle  e  '1  petto. 
Le  leggiadre  fattezze  e  '1  movimento 
Pieno  di  grazia;  e  poi  con  gran  dispetto, 
Iraaginaudo  ch'altra  ne  gioisse, 
Da  furore  assalita  cosi  disse: 
32 

Dunque  baciar  si  belle  e  dolce  labbia 
Deve  altra,  se  baciar  non  le  poss'  io? 
Ah  non  sia  vero  già  ch'altra  mai  t'abbk  ; 
Che  d'altra  esser  non  dei,  se  non  sei  mio. 
Pili  tosto  che  morir  sola  di  rabbia 
Che  meco  di  mia  man  mori,  disio; 
Che  se  ben  qui  ti  perdo,  almen  l'inferno 
Poi  mi  ti  renda,  e  stii  meco  in  eterno. 
33 

Se  tu  m'occidi,  è  ben  ragion  che  deggi 
Darmi  de  la  vendetta  anco  conforto; 
Che  voglion  tutti  gli  ordini  e  le  leggi. 
Che  chi  dà  morte  altrui,  debba  esser  morto. 
Néparch'aucoil  tuo  danno  il  mio  pareggi; 
Che  tu  mori  a  ragione,  io  moro  a  torto. 


Farò  morir  chi  brama,  cime!  ch'io  mora; 
Ma  tu,  crudel,  chi  t'ama  e  chi  t'adora. 
34 

Perché  non  dei  tu,  mano,  essere  ardita 
D'aprir  col  ferro  al  mio  nimico  il  core  ? 
Che  tante  volte  a  morte  m'ha  ferita 
Sotto  la  pace  in  sicurtà  d'Amore, 
Et  or  può  consentir  tornii  la  vita, 
Né  pur  aver  pietà  del  mio  dolore. 
Contraquesto  empioardisci,  animo  forte: 
Vendica  mille  mie  con  la  sua  morte. 
o5 

Gli  sprona  contra  in  questo  dir;  ma  pri- 
Guardati  (grida),  perfido  Ruggiero:  [ma. 
Tu  non  andrai,  s'io  posso,  de  la  opima 
Spoglia  del  cor  d'una  donzella  altiero. 
Come  Ruggiero  ode  il  parlare,  estima 
Che  sia  la  moglie  sua,  com'era  in  vero, 
[  La  cui  voce  in  memoria  si  bene  ebbe, 
Ch'in  mille  riconoscer  la  potrebbe. 
I  M 

Ben  pensa  quel  che  le  parole  deano 
Volere  inferir  più;  ch'ella  l'accusa 
Che  la  convenzion  ch'insieme  fenno, 
Non  le  osservava:  onde  per  farne  iscusa. 
Di  volerle  parlar  le  fece  cenno; 
Ma  quella  già  con  la  visiera  chiusa 
Venia  dal  dolor  spinta  e  da  la  rabbia, 
Per  porlo,  e  forse  ove  non  era  sabbia. 
I  ^7 

Quando  Ruggier  la  vede  tanto  accesa, 
Si  ristringe  ne  l'arme  e  ne  la  sella: 


da  tambui'o,  e  si  suonano  con  due  bacchet- 
te, battendo  con  esse  vicendevolmente  a 
tempo  or  sopra  T  uno  or  sopra  l' altro  di 
questi  strumeuti...  i  quali  anticamente  era- 
no per  lo  più  in  uso  tra'  Saraciui  siccome 
lo  sono  ancor  oggi...  L'uso  di  questo  stru- 
iiiento  passò  poscia  tra'  Cristiani  »  (  Redi, 
Annota^:,  al  Bacco  in  T.  v.  401). 

30.  4.  aggrava,  grava,  da  fastidio.  Cosi 
anche  altri,  alamanni,  Op.  1,  108:  »  Se  non 
t'  aggrava  il  riposarti  alquanto  ». 

—  8.  Se  Rnggier;  Sottintendi:  per  vedere 
se  Rugg.  ecc.  V.  e.  xii,  87,  n.  6. 

;52.  1.  dolce,  dolci.  V.  e.  xxxiii,  64,  n.  1. 

—  6.  mori,  mora,  muora.  K  congiunti- 
vo: cfr.  e.  XV,  S6,  n.  5,  e  meglio  e.  xxxii, 
16,  1. 

iHì.  1.  deggi,  deggia.  Vedi  la  nota  prece- 
dente. Avverti  che  qui  abbiamo  una  delle 
solite  sottigliezze:  se  tu  mi  uccidi  continua- 
mente coi  tormenti  d'amore,  è  giusta  che 
tu  mi  dia  il  conforto  della  vendetta,  e  che 
10  ti  uccida  in  battaglia. 

—  4.  chi  dà  morte  ecc.  Questa  massima 
ricorda  il  motto  :  «  Qui  gladio  ferit,  gladio 
perii  ». 


34.  4.  Sotto  la  pace;  non  in  guerra,  ma 
mentre  io  stava  tranquilla  sotto  la  guaren- 
tigia della  pace,  e  nella  sicurezza  che  mi 
prometteva  l'amore  stabilito  fra  noi. 

—  5.  consentir  tèrmi;  cons.  di  tormi. 

35.  3.  de  la  opima  ecc.  V.  e.  in,  30,  n.  6. 

—  6.  moglie.  V.  e.  xvi,  14,  n.  7.  Qui  pure 
vale  promessa  moglie. 

■  —  8.  in  mille,  tra  m.  È  uso  latino.  La 
X.  Crusca  non  par  che  lo  citi,  e  altri  citano 
solo  esempi  del  Trecento,  non  questo  del- 
l'Ariosto. Villani,  11,  135:  «non  avere  in 
noi...  carità  (fra  noi,  l'uno  per  l'altl-o)  ». 

36.  2.  Inferir  pili,  significare  di  più.  Rug- 
gero pensa  che  le  parole  di  Brad,  volevano 
significare  non  solo  che  non  riporterebbe 
quella  vittoria  su  lei,  ma  inoltre  che  essa 
lo  accusava  di  fede  mancata.  —  oh'  ella.  Il 
che  è  congiunzione  dipendente  da  inferire, 
e  la  proposizione,  che  segue,  è  oggettiva 
dichiarativa. 

—  8.  porlo  ecc.  Altrove  l'Ar.  (st.  37,  8;  e 
e.  xviii,  12)  usò  porre  in  terra  per  atter- 
rare; qui  dunque  abbiamo  il  principio  di 
questa  frase,  che  poi  si  arresta  per  reti- 
cenza; dando  luogo  a  un  altro  pensiero: 
per  porlo...  non  già  in  terra  sulla  sabbia, 
ma  nel  sepolcro,  dove  non  è  sabbia. 


CANTO  XXXVI 


489 


La  lancia  arresta;  ma  la  tien  sospesa, 
Piegata  in  parte  ove  non  nuoccia  a  quella. 
La  donna,  ch'a  ferirlo  e  a  fargli  offesa 
Venia  con  niente  di  pietà  rubella, 
Non  potè  sofferiv,  come  fu  appresso, 
Di  porlo  in  terra,  e  fargli  oltraggio  espres- 
38  [so. 

Cosi  lor  lancie  van  d'effetto  vote 
A  quello  incontro;  e  basta  bqji  s'Amore 
Con  l'un  giostra  e  con  l'altro,  e  gli  percuo- 
D'una  amorosa  lancia  in  mezzo  il  core,  [te 
Poi  che  la  donna  sofferir  non  puote 
Ui  far  onta  a  Ruggier,  volge  il  furore 
Che  l'arde  il  petto,  altrove;  e  vi  fa  cose 
Che  saran  tìn  che  giri  il  ciel,  famose. 
39 

In  poco  spazio  ne  gittò  per  terra 
Trecento  e  più  con  quella  lancia  d'oro  : 
Ella  sola  quel  di  vinse  la  guerra. 
Messe  ella  sola  in  fuga  il  popol  Moro. 
Kuggier  di  qua  di  là  s'aggira  et  erra 
'J'aiito,  che  se  le  accosta  e  dice:  Io  moro, 
S'io  non  ti  parlo;  oiniè!  che  t'ho  fatto  io, 
Che  mi  debbi  fuggire?  Odi,  per  Dio. 
40 

Come  ai  meridional  tiepidi  venti. 
Che  spirano  dal  mare  il  fiato  caldo. 
Le  nievi  si  disciolveno  e  i  torrenti 


37.  3.  sospesa,  non  appoggiata  fortemente 
alla  resta  :  cosi  il  colpo,  essendo  più  ela- 
stico, era  meno  nocivo.  E  inoltre  non  drizza 
il  colpo  al  petto  o  alla  lesta,  ma  in  parti 
meno  importanti. 

—  6.  di  pietà  rub.  È  costrutto  molto  a- 
malo  dall'Ariosto  Cfr.  e.  ix,  13,  n.  2;  v,  3; 
xxvii,  105. 

—  7.  potè.  L'ed.  del  151(i  ha  puote. 

38.  3-4.  e  gli  percuote  ecc.  Puoi  intendere  : 
«  e  percuote  a  lui  (all'uno  e  all'altro)  il 
cuore  proprio  nel  mezzo  con  amorosa  lan- 
cia ».  K  anche:  «e  percuote  loro  (oggetto) 
con  una  amorosa  lancia  in  mezzo  al  cuo- 
re ».  V.  e.  VI,  23,  n.  8. 

—  7.  l'arde  il  p,  ;  le  arde  il  p.  Cfr.  e.  vii, 
35,  n.  8. 

—  S.  giri  il  ciel;  girino  le  sfere  celesti.  \ 
Secondo  l'antico  sistema  planetario. 

39.  1.  In  p.  spazio  ;  in  poco  tempo.  Cosi  j 
nel  e.  xxvii,  3,  1.  j 

—  5.  erra;  va  qua  e  là  vagando  per  co-  j 
gliere  il  momento  opportuno  di  parlarle.     \ 

—  8.  debbi,  debba.  V.  st.  33,  u.  1. 

40.  1.  Come  ecc.  Ovidio,  Metani.  ;>,  660:  i 
«  Ulve  sub  adventum  spirau'is  lene  Favo-  j 
ni.  Sole  remollescit  quae  frigore  constitit  i 
unda  ».  I 

—  3.  disciolveno.  È  una  forma  derivata  dal 
sing.  clisciolve,  con  formazione  analoga  alla 
prima  coniugazione  (ama,  amano).  Se  ne 
hanno  moltissimi  esempi  negli  scrittori  di  | 


E  il  ghiaccio  che  pur  dianzi  era  si  saldo; 
Cosi  a  quei  prieghi,  a  quei  brevi  lamenti 
Il  cor  de  la  sorella  di  Rinaldo 
Subito  ritornò  pietoso  e  molle. 
Che  l'ira,  più  che  marmo,  indurar  volle. 
41 

Non  vuol  dargli,  o  non  puote,  altra  ri- 
Ma  da  traverso  sprona  Rabicano  [sposta; 
E  quanto  può  dagli  altri  si  discosta. 
Et  a  Ruggiero  accenna  con  la  mano. 
Fuor  de  la  moltitudine  in  reposta 
Valle  si  trasse  ov'era  un  piccol  piano 
Ch'in  mezzo  avea  un  boschetto  di  cipressi 
Che  parean  d'una  stampa  tutti  impressi. 
42 

In  quel  boschetto  era  di  bianchi  marmi 
Fatta  di  nuovo  un'alta  sepoltura. 
Chi  dentro  giaccia,  era  con  brevi  carmi 
Notato  a  chi  saperlo  avesse  cura. 
Ma  quivi  giunta  Bradamante,  parmi 
Che  già  non  pose  mente  alla  scrittura. 
Ruggier  dietro  il  cavallo  affretta  e  punge 
Tanto,  ch'ai  bosco  e  alla  donzella  giunge. 
43 

Ma  ritorniamo  a  Marfisa  che  s'era 
In  questo  mezzo  in  sul  desti'ier  rimessa, 
E  venia  per  trovar  quella  guerriera 
Che  l'avea  al  primo  scontro  in  terra  messa  ; 
E  la  vide  partir  fuor  de  la  schiera, 
E  partir  Ruggier  vide  e  seguir  essa; 
Né  si  pensò  che  per  amor  seguisse, 
Ma  per  finir  con  l'arme  ingiurie  e  risse. 
44 

Urta  il  cavallo,  e  vien  dietro  alla  pesta 
Tanto  ch'a  un  tempo  con  lor  quasi  arriva. 
Quanto  sua  giunta  ad  ambi  sia  molesta. 
Chi  vive  amando,  il  sa,  senza  ch'io  il  seri- 
Ma  Bradamante  offesa  più  ne  resta;  [va. 
Che  colei  vede  onde  il  suo  mal  deriva. 
Chi  le  può  tòr  che  non  creda  esser  vero 


lutti  i  secoli.  V.  Nannucci,  An.  cr.  p.  114. 
I/Ar.  ha  usato  questa  terminazione  in  otto 
luoghi,  se  non  in' inganno.  In  sei  il  Morali 
ha  corretto  la  e  in  o;  in  due  (questo  e  e. 
xxxix,  8,  1  )  ha  lasciato,  forse  per  svista, 
la  lezione  originale.  Poiché  l'  Ar.  ama  le 
forme  talvolta  meno  usate,  e  questa  ha  ot- 
timi esempì,  il  Morali  avrebbe  dovuto  la- 
sciarla in  ogni  luogo. 

—  3-4.  i  torrenti  e  il  gh.  È  una  figura 
di  endiadi;  intendi  dunque  il  ghiaccio  dei 
torrenti. 

42.  3.  carmi;  iscrizione.  V.  e.  xxiv,  57, 
n.  5. 

—  4.  a  chi  saperlo,  per  chi  di  saperlo. 

—  5.  panni,  opino,  penso.  Cosi  nel  e. 
XXIX,  39,  6.  Per  l'indicativo  dipendente  cfr. 
st.  11,  n.  3-1. 

43.  7.  seguisse;  la  seguisse. 

44.  7.  tòr  che  non;  impedire  che  non.  In 


490 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  l'amor  ve  la  sproni  di  Ruggiero  ? 
45 
E  perfido  Ruggier  di  nuovo  chiama. 
Non  ti  bastala,  perfido  (disse  ella), 
Che  tua  perfidia  sapessi  per  fama, 
Se  non  mi  facevi  auco  veder  quella? 
Di  cacciarmi  da  te  veggo  c'hai  brama: 
E  per  sbramar  tua  voglia  iniqua  e  fella, 

10  vo'  morir,  ma  sforzerommi  ancora 
Che  mora  meco  chi  è  cagion  ch'io  mora. 

46 
Sdegnosa  più  che  vipera,  si  spicca, 
Cosi  dicendo,  e  va  contra  Marfisa; 
Et  allo  scudo  l'asta  si  le  appicca 
Che  la  fa  a  dietro  riversare  in  guisa, 
Che  quasi  mezzo  l'elmo  in  terra  ficca; 
Né  si  può  dir  che  sia  colta  improvisa: 
Anzi  fa  incoutra  ciò  che  far  si  puote; 
E  pure  in  terra  del  capo  percuote. 

47 
La  figliuola  d'Amon,  che  vuol  morire 
0  dar  morte  a  Marfisa,  è  in  tanta  rabbia, 
Che  non  ha  mente  di  nuovo  a  ferire 
Con  l'asta,  onde  a  gittar  di  nuovo  l'abbia; 
Ma  le  pensa  dal  busto  dipartire 

11  capo  mezzo  fitto  ne  la  sabbia: 
Getta  da  sé  la  lancia  d'oro,  e  prende 
La  spada,  e  del  destrier  subito  scende. 

48 

Ma  tarda  è  la  sua  giunta;  che  si  trova 
Marfisa  incontra,  e  di  tanta  ira  piena 
(Poi  che  s'ha  vista  alla  seconda  prova 
Cader  si  facilmente  sull'arena). 
Che  pregar  nulla,  e  nulla  gridar  giova 
A  Ruggier  che  di  questo  avea  gran  pena: 
Si  l'odio  e  l'ira  le  guerriere  abbaglia, 
Che  fan  da  disperate  la  battaglia. 
49 

A  mezza  spada  vengono  di  botto; 
E  per  la  gran  superbia  che  l'ha  accese, 


questo  senso  togliere,  come  impedire,  si 
costruisce  con  la  negazione  che  non  e  an- 
che col  semplice  che. 

46.  3.  le  appicca,  le  mette. 

—  6.  improvisa;  improvvisamente.  L'ag- 
gettivo sta  per  l'avverbio. 

8.  del  capo,   col  capo.  È  uso   ancora 

vivo  ed  elegante. 

47.  3.  non  ha  mente,  non  pensa,  non  pone 
mente.  V.  e.  xii,  53,  n.  7.  —  ferire,  percuo- 
tere ;  e.  II,  76,  u.  3. 

—  4.  a  gittar...  l'abbia;  possa  gittarla. 
Significato  frequentissimo  del  verbo  avere, 
specialmente  nelPAnosto:  cfr.  e.  xvi,  18,  6; 
xvu,  38,  5;  XVIII,  76,  1,  ecc. 

—  5.  le  pensa...  dìpart.;  pensa  dipartirle. 

48.  3.  s'ha  vista...  cader;  s'è  vista  0.  L'au- 
siliare avere  in  quest'espressione  è  vera- 
mente duro. 

49.  1.  A  mezza  sp.  ;  alla  distanza  di  mezza 


Van  pure  innanzi,  e  si  son  già  sì  sotto 
Ch'altro  non  puon  che  venire  alle  prese. 
Le  spade,  il  cui  bisogno  era  interrotto, 
Lasciau  cadere,  e  cercan  nuove  off'ese. 
Prlega  Ruggiero  e  supplica  amendue. 
Ma  poco  frutto  han  le  parole  sue. 
50 
Quando  pur  vede  che  '1  pregar  non  vale, 
Di  partirle  per  forza  si  dispone: 
Leva  di  mano  ad  amendua  il  pugnale. 
Et  al  pie  di  un  cipresso  li  ripone. 
Poi  che  ferro  non  han  pili  da  far  male. 
Con  prieghi  e  con  minacele  s'interpone: 
Ma  tutto  è  in  van:  che  la  battaglia  fanno 
A  pugni  e  a  calci,  poi  ch'altro  non  hanno. 
51  [prende 

Ruggier  non  cessa:  or  l'una  or  l'altra 
Per  le  man,  per  le  braccia  e  la  ritira; 
E  tanto  fa,  che  di  Marfisa  accende 
Contra  di  sé,  quanto  si  può  più,  l'ira. 
Quella  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
All'amicizia  di  Ruggier  non  mira; 
Poi  che  da  Bradamante  si  distacca. 
Corre  alla  spada  e  con  Ruggier  s'attacca. 
52 
Tu  fai  da  discortese  e  da  villano, 
Ruggiero,  a  disturbar  la  pugna  altrui: 
Ma  ti  farò  pentir  con  questa  mano 
j  Che  vo'  che  basti  a  vincervi  ambedui. 
Cerca  Ruggier  con  parlar  molto  umano 
I  Marfisa  mitigar  ;  ma  contra  lui 
I  La  trova  in  modo  disdegnosa  e  fiera, 
Ch'un  perder  tempo  ogni  parlar  seco  era. 
53 
All'ultimo  Ruggier  la  spada  trasse. 
Poi  che  l'ira  anco  lui  fé'  rubicondo. 
Non  credo  che  spettacolo  mirasse 
Atene  o  Roma  o  luogo  altro  del  mondo, 
Che  cosi  a'  riguardanti  dilettasse. 
Come  dilettò  questo  e  fu  giocondo 
Alla  gelosa  Bradamante,  quando 
Questo  le  pose  ogni  sospetto  in  bando. 
54 
La  sua  spada  avea  tolta  ella  di  terra, 
E  tratta  s'era  a  riguardar  da  parte; 


spada;  a  corpo  a  corpo,  rinunziando  a  ogni 
accorgimento,  a  ogni  prudenza  di  battaglia. 

—  4.  puon,  possono.  V.  e.  x,  61,  n.  6. 

51.  6.  non  mira;  non  ha  riguardo.  Cosi 
nel  e.  XLiv,  2,  7;  o  anche  non  pensa  come 
nel  e.  XIV,  105,  3. 

52.  5.  Cerca  Engg.  ecc.  Contro  Marfisa  egli 
si  difende  con  lo  scudo  e  parando  i  colpi; 
e  intanto  procura  di  calmarla. 

53.  5.  a'  rig.  dilett.  Colla  preposiz.  a  il 
verbo  dilettare  non  è  oggi  comune,  ma 
non  è  morto  ancora.  Presso  gli  antichi  fu 
assai  frequente. 

—  7.  quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 


CANTO  XXXVI 


491 


E  le  parea  veder  che  '1  Dio  di  guerra 
Fosse  Ruggiero  alla  possanza  e  all'arte. 
Una  Furia  iufernal  quando  si  sferra 
Sembra  Marfisa,  se  quel  sembra  Marte. 
Vero  è  ch'uu  pezzo  il  giovene  gagliardo 
Di  non  far  il  poter  ebbe  riguardo. 
55 

Sapea  ben  la  virtù  de  la  sua  spada; 
Che  tante  esperienze  n'ha  già  fatto. 
Ove  giunge,  convien  che  se  ne  vada 
L'incanto,  o  nulla  giovi,  o  stia  di  piatto; 
Si  che  ritien  che  '1  colpo  suo  non  cada 
Di  taglio  0  punta,  ma  sempre  di  piatto. 
Ebbe  a  questo  Ruggier  lunga  avvertenza  ; 
Ma  perde  pure  un  tratto  la  pazienza; 
56 

Perché  Marfisa  una  percossa  orrenda 
Gli  mena  per  dividergli  la  testa. 
Leva  lo  scudo  che  '1  capo  difenda 
Ruggiero,  e  '1  colpo  in  su  l'aquila  pesta. 
Vieta  lo  'ncanto  che  lo  spezzi  o  fenda; 
Ma  di  stordir  non  però  il  braccio  resta: 
E  s'avea  altr'arme  che  quelle  d' Ettorre, 
Gli  potea  il  fiero  colpo  il  braccio  tórre: 
57 

E  saria  sceso  indi  alla  testa,  dove 
Disegnò  di  ferir  l'aspra  Donzella. 
Ruggiero  il  braccio  manco  a  pena  muove, 
A  pena  più  sostien  l'aquila  bella. 
Per  questo  ogni  pietà  da  sé  rimuove; 
Par  che  ne  gli  occhi  avvampi  una  facella: 
E  quanto  può  cacciar,  caccia  una  punta. 
Marfisa,  mal  per  te,  se  n'eri  giunta. 


.54.  5.  Una  Furia  ecc.  Questo  paragone  non 
è  fatto  in  grazia  dell'  odio  che  Bradamante 
le  porta,  ma  per  la  violenza  con  cui  Mar- 
fisa  suol  gettarsi  alla  guerra.  Nei  Cinque 
Canti  IV,  6,  Marfisa  è  pur  paragonata  a 
«Una  Furia  che  uscisse  dello  inferno». 

55.  1.  la  virtù  ecc.  Fu  fabbricata  da  Fa- 
lerina  (Innam.  II,  iv,  6):  «E  con  incanto 
fabbrica  una  spada  Che  tagliar  possa  ogni 
cosa  affatala  ». 

—  4.  di  piatto,  nascosto  ;  cfr.  e.  xxx,  86 
n.  6.  Intendi  :  conviene  che  l' incanto  si  na- 
sconda, non  apparisca  dinanzi  a  questa 
spada.  È  come  una  correzione  del  Se  ne 
vada  del  v.  3. 

—  5.  ritien  che  'I  colpo;  ritiene  il  colpo 
perché  non  cada  ecc.  È  un  iperbato. 

56.  J.  pesta,  batte,  va  a  battere.  Cosi  nel 
e.  X,  111,  2.  È  significato  non  registrato  dai 
vocabolari.  —  l'aquila  era  l'insegna  di  Rug^ 
gero;  cfr.  e.  xxvi,  9S,  n.  8;  e  xxx,  74,  5-7. 

—  6.  resta,  manca.  Altrove  l'Ar.  ha  re- 
star poco  che,  mancar  poco  che;  e.  xvii, 
125,;  XX,  130. 

57.  7.  caccia  una  p.;  caccia,  spinge  un 
colpo  di  punta,  una  puntata.  È  espressione 
ardita,  ma  molto  eflìcace,  che  nessun  voca- 
bolario registra. 


58 

Io  non  vi  so  ben  dir  come  si  fosse: 
La  spada  andò  a  ferire  in  un  cipresso, 
E  un  palmo  e  più  ne  l'arbore  cacciosse: 
In  modo  era  piantato  il  luogo  spesso. 
In  quel  momento  il  monte  e  il  piano  scosse 
Un  gran  tremuoto;  e  si  senti  con  esso 
Da  queir  avel  ch.'in  mezzo  il  bosco  siede. 
Gran  voce  uscir,  ch'ogni  mortale  eccede. 
59 

Grida  la  voce  orribile:  Non  sia 
Lite  tra  voi  :  gli  è  ingiusto  et  inumano 
Ch'alia  sorella  il  fratel  morte  dia, 
0  la  sorella  uccida  il  suo  germano. 
Tu,  mio  Ruggiero,  e  tu,  Marfisa  mia. 
Credete  al  mio  parlar  che  non  è  vano: 
In  un  medesimo  utero  d'un  seme 
Foste  concetti,  e  usciste  al  mondo  insieme. 
60 

Concetti  foste  da  Ruggier  secondo: 
Vi  fu  Galacìella  genitrice, 


58.  4.  In  modo  ecc.  Il  luogo  era  piantato 
cosi  fitto,  cosi  spesso  :  e  sottintendi  :  che 
bastò  sbagliare  di  poco  il  colpo  diretto  a 
Marfisa,  per  colpire  in  un  cipresso. 

—  8.  ch'ogni  m.  ecc.;  che  eccede  ogni 
voce  mortale. 

60.  1.  Concetti  ecc.;  generati.  Cosi  nel  e. 
XXXV,  49,  6.  —  Questo  riconoscimento  per 
mezzo  soprannaturale  è  comune  nei  ro- 
manzi popolari  Toscani.  Ruggero  e  Marfisa 
forse  erano  fratelli  anche  nella  mente  del 
Boiardo,  che  (Inn.  II,  i.  73)  parla  di  Ruggero 
e  di  una  bambina  nati  da  Galaciella  e  venuti 
alle  mani  di  Atlante;  e  inoltre  vela  di  mi- 
stero la  nascita  di  Marlìsa,  mentre  ne  fa  una 
donna  fortissima  degna  del  fratello  e  dell'  e- 
ducatore.  L'.\.  penetrò  forse  le  intenzioni  del 
Boiardo,  o  le  seppe  da  lui  stesso  nella  stretta 
familiarità,  che  si  dice  legasse  il  giovane 
Lodovico  al  Conte  di  Scandiano.  —  Del  resto 
di  questi  due  gemelli  tigli  di  Galaciella  par- 
lava già  la  tradizione  cavalleresca,  donde  tol- 
se il  Boiardo  tutta  la  storia  della  discendenza 
di  Ruggero  (Inn.  II,  i).  Ecco  in  breve  l'an- 
tica storia  di  Galaciella.  Era  figlia  del  re 
Agolante  e  sorella  d'Almonte  e  di  Troiano; 
guerriera  fortissima.  Venne  col  padi-e  e  col 
fratello  Almonte  all'assedio  di  Risa  (Reggio 
in  Calabria)  per  vendicare  ie  perdite  fatte 
dai  loro  antenati,  re  d'Affrica,  nella  guerra 
contro  i  Franchi.  Risa  era  difesa  da  Rìc- 
cieri,  re  di  Sicilia,  il  quale,  dal  Boiardo 
priiuaedall'Ar.  poi,  è  fatto  discendere,  per 
il  ramo  di  Clodovaco,  da  Astianatte  tiglio 
di  Ettore,  precisamente  come  per  il  ramo 
di  Costanzo  Cloro,  ne  è  fatta  discendere  la 
casa  di  Carlo  Magno.  Galaciella  combatte 
con  Riccieri,  è  vinta  e  fatta  prigioniera. 
Beltramo   fratello  di   Riccieri  se  ne  inna- 


492 


ORLANDO  FURIOSO 


I  cui  fratelli  avendole  dal  mondo 
Cacciato  il  genitor  vostro  infelice. 
Senza  guardar  ch'avesse  in  corpo  il  pondo 
Di  voi  ch'usciste  pur  di  lor  radice, 
La  fér,  perché  s'avesse  ad  aiì'ogare, 
S'un  debol  legno  porre  in  mezzo  al  mare. 
61 

Ma  Fortuna  che  voi,  benché  non  nati, 
Avea  già  eletti  a  gloriose  imprese. 
Fece  che  'l'iegno  ai  liti  inabitati 
Sopra  le  Sirti  a  salvamento  scese; 
Ove,  poi  che  nel  uìondo  v'ebbe  dati. 
L'anima  eletta  al  Paradiso  ascese; 
Come  Dio  volse  e  fu  vostro  destino  : 
A  questo  caso  io  mi  trovai  vicino. 
62 

Diedi  alla  madre  sepoltura  onesta, 
Qual  potea  darsi  in  si  deserta  arena; 
E  voi  teneri  avvolti  ne  la  vesta 
Meco  portai  sul  monte  di  Carena; 
E  mansueta  uscir  de  la  foresta 
Feci  e  lasciare  i  figli  una  leena, 
De  le  cui  poppe  dieci  mesi  e  dieci 
Ambi  nutrir  con  molto  studio  feci. 


mora,  ma  essa  ama  il  suo  vincitore  Ric- 
cieri  e  da  lui  è  sposata.  Beltramo  per  ven- 
detta mette  in  città  i  nemici,  ma  è  bruciato 
vivo  come  traditore.  Alcune  fonti  dicono 
che  fosse  bruciata  viva  anche  Galaciella, 
altre  invece  che  Almonte,  mosso  dall'amore 
fraterno,  la  trafugasse  in  Affrica.  Avverti 
come  l'Ar.  cambia  in  uu  fratricidio  la  pietà 
di  Ahnonte  (st.  60,  7-8),  forse  per  rendere 
più  odiosa  a  Ruggiero  e  a  Marlisa  la  stirpe 
d'Agolante  e  attirarli  più  facilmente  al  cri- 
stianesimo. ì>ie\V  Asì^romonte  si  dice  che 
Galaciella  ebbe  un  figlio  maschio  e  una  fem- 
mina. —  Con  questi  elementi  compose  il  Bo- 
iardo la  sua  storia,  a  cui  si  mantenne  fe- 
dele l'Ar.  ampliandola  e  colorandola. 

—  3. 1  e.  fratelli  ;  Secondo  TAr.  andarono 
all'assedio  di  Risa  Almonte  e  Troiano  (xxx, 
83,  1-2)  ;  ma  questi,  secondo  le  antiche  fonti 
cavalleresche,  non  vi  andò. 

61.  3-4.  che  '1  legno...  ai  liti...  scese.  Vie 
fusione  di  due  pensieri:  il  legno  approdò  e 
Galaciella  scese.  Quindi  più  che  un  uso  spe- 
ciale del  verbo  scendere  vedrei  qui  un  ar- 
dimento sintattico.  La  prova  di  ciò  si  ha 
nel  seguente  verso,  dove  il  soggetto  é  Ga- 
laciella. 

—  4.  Sirti;  due  insenature  sulla  costai 
di  Barberia,  dette  la  grande  e  la  piccola  i 
.sirte  (oggi  :  golfo  di  Sidra  e  golfo  di  Gabes). 

—  ,S.  nel  mondo  v.  e.  d.  Più  comunemente  i 
'lare  al  mondo.  Questo  modo  dell'  Ariosto  | 
non  par  citato  dai  vocabolari. 

(>'2.  1.  onesta,  onorata.  Latinismo  frequen- 
te ijionestus). 

—  6.  leena,  lionessa.  Latinismo  (leaena). 


63 

Un  giorno  che  d'andar  per  la  contrada 
E  da  la  stanza  allontanar  m'occorse, 
Vi  sopravenne  a  caso  una  masnada 
D'Arabi  (e  ricordarveue  de'  forse) 
Che  te,  Marfisa,  tolser  ne  la  strada; 
Ma  non  poter  Ruggier  che  meglio  corse. 
Restai  de  la  tua  perdita  dolente, 
E  di  Ruggier  guardian  più  diligente. 
64 

Ruggier,  se  ti  guardò,  mentre  che  visse, 
Il  tuo  Maestro  Atlante,  tu  lo  sai. 
Di  te  senti'  predir  le  stelle  fisse, 
Che  tra'  Cristiani  a  tradigion  morrai: 
E  perché  il  male  influsso  non  seguisse, 
Tenertene  lontan  m'affaticai; 
Né  ostare  alfin  potendo  alla  tua  voglia, 
Infermo  caddi,  e  mi  mori'  di  doglia. 
65 

Ma  innanzi  a  morte,  qui  dove  previdi 
Che  con  Marfisa  aver  pugna  dovevi, 
Feci  raccór  con  infernal  sussidi 
A  formar  questa  tomba  i  sassi  grevi; 
Et  a  Caron  dissi  con  alti  gridi: 
Dopo  morte  non  vo'  lo  spirto  levi 
Di  questo  bosco,  fin  che  non  ci  gingna 
Ruggier  con  la  sorella  per  far  pugna. 
66 

Cosi  lo  spirto  mio  per  le  belle  ombre 
Ha  molti  di  aspettato  il  venir  vostro: 
Si  che  mai  gelosia  più  non  t' ingombre, 
O  Bradamante,  ch'ami  Ruggier  nostro. 
Ma  tempo  è  ormai,  che  de  la  luce  io  sgom- 
E  mi  conduca  al  tenebroso  chiostro,  [bre, 


63.  2.  allontanar  m'occorse:  Regolarmente 
allontanarmi  m'occorse.  Forse  abbiamo  qui 
l'omissione  della  particella  per  non  ripe- 
terla due  volte,  come  nel  e  ii,  72,  3;  vi, 
31  ;  xvn,  92  ecc.  ;  ma  fors'anche  abbiamo  la 
forma  attiva  per  la  riflessiva  come  nel  e. 
XIV,  68,  7;  XXV,  43,  7;  xl,  43,  7.  L' una  e 
l'altra  interpretazione  dunque  è  ugualmente 
probabile. 

—  6.  non  poter;  Sottint.  togliere. 

64.  3.  senti'  pr.;  conobbi  le  stelle  fisse 
predir,  che  le  stelle  fìsse  predicevano.  In 
.senso  un  po'  diverso  l'usò  il  Petr.  i,  cauz. 
12  :  «Si  ricca  donna  dev'esser  contenta, S'al- 
tri vive  del  suo  eh'  ella  noi  senta  ». 

—  4.  Che  tra'  c.  Per  questa  predizione 
cfr.  e.  XLi  61,  segg. 

—  5.  il  male  infl.;  il  malo  infl.  V.  per 
r  espressione  e  per  il  pensiero  il  canto  iv, 
35,  n.  4. 

6G.  6.  al  ten.  chiostro;  all'inferno;  secon- 
do il  concetto  pagano  come  appare  dal  v.  5 
della  st.  precedente.  Qui  pure  come  nel  e. 
XXIX,  28,  si  usano,  con  molta  libertà,  non 
so  con  quanta  opportunità  e  chiarezza,  im- 
magini e  concetti  della  mitologia  classica. 


CANTO  XXXVI 


493 


Qui  si  tacque:  e  a  Marfisa  et  alla  figlia 
D'Amon  lasciò  e  a  Ruggier  gran  maravi- 

67  (glia. 

Riconosce  Marfisa  per  sorella 
Ruggier  con  molto  gaudio,  et  ella  lui; 
E  ad  abbracciarsi,  senza  offender  quella 
Che  per  Ruggiero  ardea,  vanno  ambidui: 
E  rammentando  de  l'età  novella 
Alcune  cose:  Io  feci,  io  dissi,  io  fui; 
Vengon  trovando  con  più  certo  effetto, 
Tutto  esser  ver  quel  c'ha  lo  spirto  detto. 

68 
Ruggiero  alla  sorella  non  ascose 
Quanto  avea  nel  cor  fissa  Bradamante; 
E  narrò  con  parole  affettuose 
De  le  obligazion  che  le  avea  tante  : 
E  non  cessò,  ch'in  grand'anior  compose 
Le  discordie  ch'insieme  ebbono  avaute ; 
E  fé',  per  segno  di  pacificarsi, 
Ch'umanamente  andaro  ad  abbracciarsi. 

69 
A  domandar  poi  ritornò  Marfisa 
Chi  stato  fosse,  e  di  che  gente  il  padre; 
E  chi  l'avesse  morto,  et  a  che  guisa, 
S'in  campo  chiuso,  o  fra  l'armate  squad  re  ; 
E  chi  commesso  avea  che  fosse  uccisa 
Dal  mar  atroce  la  misera  madre: 
Che,  se  già  l'avea  udito  da  fanciulla, 
Or  ne  tenea  poca  memoria  o  nulla. 

70 
Ruggiero  incominciò,  che  da'  Troiani 
Per  la  linea  d'Ettorre  erano  scesi: 


—  chiostro,  come  nel  e.  xix,78,  vale  senipli- 
cemente  luogo  chiuso. 

67.  7.  e.  p.  e.  effetto,  con  fatti  pia  certi, 
che  servono  loro  di  prova:  e.  vi,  7,  u.  5. 
Questi  fatti  mostrano  che  l'apparizione  d'A- 
tlante non  è  stata  un'allucinazione,  perciò 
sono  prove  più  certe  dell'apparizione  e  della 
rivelazione  d'Atlante  stesso. 

68.  2.  Quanto  ecc.;  quanto  egli  avea  fissa 
nel  cuore  Bradamante. 

—  5.  non  cessò  che;  non  cessò  finché.  V. 
e.  xni,  7.  n.  4. 

69.  4.  S'in  e.  chioso;  se  in  duello.  —  chiuso 
da  steccato.  È  espressione  tecnica. 

70.  1.  da'  Troiani  ecc.  Il  Boiardo,  Imi. 
Ili,  v,  18  segg.  fa  dire  da  Ruggero  a  Brada- 
mante tutta  questa  istoria;  che  cioè  i  Gre- 
ci, presa  Troia,  uccisero  tutti  i  prigioni. 
Cercarono  anche  Astianatte,  piccolo  figlio 
di  Ettore,  ma  esso  fu  trafugato  dalia  madre 
Andromaca,  sostituendolo  con  altro  bam- 
bino, che  fu  preso  e  ucciso.  Il  piccolo  Astia- 
natte fu  da  un  fedel  cavaliere  portato  in 
Sicilia,  ivi  crebbe  prode  in  armi  e  sposò  la 
regina  di  Messina.  Fece  guerra  ai  Greci  e 
ne  fu  ucciso.  I  Greci  presero  Messina  e  la 
giovane  sposa  fuggi  a  Reggio,  dove  partorì 
Polidoro.  Da  Polidoro  nacque  Polidante,  da 


Che  poi  che  Astianatte  de  le  mani 
Campò  d'Ulisse  e  da  li  aguati  tesi, 
Avendo  un  de' fanciulli  coetani 
Per  lui  lasciato,  usci  di  que' paesi; 
E  dopo  un  lungo  errar  per  la  marina 
Venne  in  Sicilia,  e  dominò  Messina. 
71 

I  descendenti  suoi  di  qua  dal  Faro 
Signoreggiar  de  la  Calabria  parte; 
E  dopo  pili  successioni  andaro 
Ad  abitar  ne  la  città  di  Marte. 
Pili  d'uno  Imperatore  e  Re  preclaro 
Fu  di  quel  sanguein  Roma  e  in  altra  parte, 
Cominciando  a  Costante  e  a  Costantino, 
Sino  a  Re  Carlo  figlio  dì  Pipino. 

72  [sti, 

Fu  Ruggier  primo,  e  Gianbaron  di  que- 
Buovo,  Rambaldo,  al  fin  Ruggier  secondo 
Che  fé',  come  d'Atlante  udir  potesti. 
Di  nostra  madre  l'utero  fecondo. 
De  la  progenie  nostra  i  chiari  gesti 
Per  l'istorie  vedrai  celebri  al  mondo. 
Segui  poi,  come  venne  il  Re  Agolante 
Con  Alraonte  e  col  padre  d'Agramante. 


questi  Floviano,  che  fu  padre  a  Clodovaco 
e  Costante.  Da  Costante  discese  il  ramo  di 
Carlo  Magno,  da  Clodovaco  il  ramo  di  Buovo. 
Dei  figli  di  Buovo  uno  dominò  in  Antona, 
uno  fu  Signore  di  Risa  e  fu  un  antenato  di 
Ruggero.  Quindi  Ruggero  narra  la  storia 
di  Galaciella  come  l'abbiamo  sopra  esposta 
alla  st.  60.  L'Ariosto  non  suppone  che  Rug- 
gero abbia  raccontato  ciò  a  Bradamante  nel- 
VOrlando  Innam.,  anzi  suppone  che  essa 
ne  avesse  qualche  notizia  d'altra  parte; 
infatti  nel  e.  xxx,  83  Bradamante,  rinfac- 
ciandogli la  sua  crudeltà  verso  chi  1'  ama, 
dice  •<  Fu  morto  da  Troian,  non  so  se  il 
sai,  Il  padre  tuo  ». 

—  3.  Astianatte.  Dionigi  di  Mileto,  Lo- 
gografo greco,  dice  che  Astianatte  fu  fatto 
schiavo  da  Pirro,  mentre  altri  dissero  (Ovio. 
Met.  13,  415)  che  Ulisse  lo  precipitò  dalle 
mura.  Il  Boiardo  e  r.\r.  composero  le  due 
tradizioni  in  una  nuova  idea. 

—  5-6.  Avendo  lasciato...  usci.  Si  attribuì* 
sce  a  lui  infante  ciò  che  fece  la  madre  e  il 
servo:  la  madre  sostituì  un  altro  fanciullo, 
il  servo  usci  con  Astianatte  da  Troia.  — 
Ini,  sé.  Cosi  e.  IV,  6,  3;  v,  45,  2  e  altrove. 

71.  6.  in  altra  parte,  a  Bisanzio  e  in 
Francia. 

—  7.  C.  e  a  Cost.  ;  coni,  da  Cost.  Questo  è 
il  costrutto  più  comune,  quando  è  indicato 
il  termine,  a  cui  l'azione  finisce. 

72.  3.  d'Atlante,  da  Atlante.  V.  e.  v,  10, 
n.  5. 

—  8.  col  p.  d'Agram.;  Troiano;  ma  vedi 
quanto  si  è  detto  alla  st.  CO,  n.  3. 


494 


ORLANDO  FURIOSO 


E  come  menò  seco  una  donzella 
Ch'era  sua  figlia  tanto  valorosa. 
Che  molti  Paladin  gittò  di  sella; 
E  di  Ruggiero  al  fin  venne  amorosa, 
E  per  suo  amor  del  padre  fu  ribella, 
E  battezzossi,  e  diveutògli  sposa. 
Narrò  come  Beltramo  ti-aditoi'e 
Per  la  cognata  arse  d'incèsto  amore; 
74 

E  che  la  patria  e  '1  padre  e  duo  fratelli 
Tradì,  cosi  sperando  acquistar  lei; 
Aperse  Risa  a  gli  nimici,  e  quelli 
Fér  di  lor  tutti  i  portamenti  rei: 
Come  Agolaute  e  i  figli  iniqui  e  felli 
Poser  Galaciella,  che  di  sei 
Mesi  era  grave,  in  mar  senza  governo, 
Quando  fu  tempestoso  al  maggior  verno. 
75 

Stava  Marfisa  con  serena  fronte 
Fisa  al  parlar  che  '1  suo  german  iacea: 
Et  esser  scesa  da  la  bella  fonte 
Ch'avea  si  chiari  rivi,  si  godea. 
Quinci  Mongrana,  e  quindi  Chiaramente, 


73.  1.  una  donzella,  Galaciella. 

—  4.  amorosa,  amante.  È  uso  antico  rin- 
novato forse  dair.w.  Si  citano  solamente 
esempi  del  Trecento. 

—  5.  del  padre...  rib.:  ribelle  al  padre. 
V.  e.  IX,  13.  n.  6. 

—  8.  incesto.  V.  e.  xxxiv,  64.  n.  5. 

74.  1.  dno  fratelli;  il  Boiardo  non  accenna 
che  a  Ruggero  secondo;  d'altro  fratello  di 
Beltramo  non  parla. 

—  4.  portamenti;  trattamenti:  fecero  di 
tutti  loro,  rei  trattamenti;  li  trattarono  ma- 
lamente. È  significato  ed  espressione  molto 
singolare,  che  i  vocabolari  non  registrano. 
Le  edizioni  del  '16  e  del  '21  leggono:  «  Feron 
di  lutti  portamenti  rei  »  lezione,  che  con- 
ferma la  data  interpretazione. 

—  6.  poser  Gal.  Il  Boiardo  invece:  «  Si 
pose  disperata  alla  marina»;  cioè  fuggi  da 
sé  stessa  per  mare. 

—  7.  senza  governo;  senza  timone  e  ti- 
moniere :  governo  significa  l' uno  e  l'altro. 
V.  e.  XXXII,  62,  n.  3. 

75.  4.  si  godea,  si  compiaceva.  Godere  è 
usato,  in  tutti  i  sensi,  con  le  particelle  pro- 
nominali o  senza  egualmente. 

—  5.  Quinci  M.  ecc.  Buovo  d' Antona  ha 
due  figli,  Sinibaldo  e  Guidone;  il  primo  fa 
edificare  il  castello  di  Mongrana,  da  cui  la 
sua  schiatta  prende  il  nome;  il  secondo  ha 
due  figli,  Chiaramoute  e  Bernardo.  Essendo 
Chiaramonte  morto  di  lo  anni,  Bernardo  ne 
prende  il  nome  per  sé  e  per  i  suoi  figli 
(Bolza).  Queste  due  case  avevano  dato  alla 
Francia  i  più  illustri  guerrieri,  come  Oli- 
viero, Grifone,  .^quilante;  Orlando,  Kinaldo, 
Bradamante. 


Le  due  progenie  derivar  sapea, 

Ch'ai  mondo  fur  molti  e  molt'anni  e  lustri 

Splendide,  e  senza  par  d'uomini  illustri. 

76 
Poi  che  '1  fratello  al  fin  le  venne  a  dire 
Che  '1  padre  d'Agramante  e  l'avo  e  '1  zio 
Ruggiero  a  tradigion  feron  morire, 
E  posero  la  moglie  a  caso  rio; 
Non  lo  potè  più  la  sorella  udire, 
Che  lo  'nterroppe,  e  disse:  Fratel  mio 
(Salva  tua  grazia),  avuto  hai  troppo  torto 
A  non  ti  vendicar  del  padre  morto. 

77 
Se  in  Almonte  e  in  Troian  non  ti  potevi 
Insanguinar,  ch'erano  morti  inante, 
Dei  figli  vendicar  tu  ti  dovevi. 
Perché,  vivendo  tu,  vive  Agramante? 
Questa  è  una  macchia  che  mai  non  ti  levi 
L)al  viso;  poi  che  dopo  offese  tante 
Non  pur  posto  non  hai  questo  re  a  morte, 
Ma  vivi  al  soldo  suo  ne  la  sua  corte. 

78 
Io  fo  ben  voto  a  Dio  (ch'adorar  voglio 
Cristo  Dio  vero,  ch'adorò  mio  padre) 


—  8.  e  senza  p.  d'n.  i.  Intenderei  :  e  illustri 
d'uomini,  per  uomini  senza  pari,  che  non 
avevano  eguali.  Cosi  avremmo  una,  e  non 
la  più  ardita,  delle  tante  inversioni,  fami- 
liari all'Ar.  Ma  si  può  anche  intendere:  e 
senza  eguale  {queste  progenie  non  ebbero 

i  l'eguale)  quanto  ad  uomini  illustri:  cosi 
j  (Vuom.  ili.  sarebbe  un  complemento  di  li- 
'  mitazione. 

I  76.  2.  '1  padre;  Troiano.  V.  st.  60,  n.  3. 
j  —  4.  caso,  pericolo.  Boccaccio,  Nov.  1: 
i  «  Veggendo  me  in  caso  di  morte  dir  cosi  >. 
;  Ed  è  ancora  comune  in  alcune  locuzioni, 
i  come  questa  del  Boccaccio. 

—  6.  Che  lo  'nt.  ;  la  quale  lo  'u. 

—  7.  Salva  t.  grazia.  ;  con  tua  buona  gra- 
zia. Non  si  cita  che  questo  esempio  dell'Ar. 

—  8.  del  padre  morto,  della  morte  del 
padre. 

77.  1-2.  in  A.  e  in  Tr...  insang.  ;  tinger  le 
mani  nel  sangue  di  A.  e  Tr.  Nel  e.  iv,  14  è 
costruito  con  la  prep.  di.  La  Crusca  rileva 
il  significato,  non  i  costrutti. 

—  5.  non  ti  levi,  non  ti  leverai.  Spesso 
abbiamo  notato  una  certa  libertà  nell'  uso 
de' tempi  (i,  81,  n.  3;  in,  71,  1);  ma  il  pre- 
sente per  il  futuro  è  enallage  ancora  co- 
munissima  nell'uso  popolare;  cosi  se  uno 
domandi  :  quando  ine  lo  dici  ?  l'altro  potrà 
rispondere:  non  te  dico  mai. 

—  8.  al  soldo  suo.  L'espressione  dovette 
suonare  un  po'  rude  per  Ruggero,  ma  era 
vero  che  egli,  specialmente  dal  giorno  che 
fu  ferito,  stava  nella  corte  d'Agramante 
alle  cure  di  lui,  quasi  al  suo  soldo  (xxx, 
74  segg.). 


CANTO  XXXVI 


495 


Che  di  questa  armatura  non  mi  spoglio, 
Fin  che  Ruggier  non  vendico  e  mia  madre. 
E  vo'  dolermi,  e  fin  ora  mi  doglio. 
Di  te,  se  più  ti  veggo  fra  le  squadre 
Del  Re  Agramante,  o  d'altro  signor  moro, 
Se  non  col  ferro  in  man  per  danno  loro. 
79 

Oh  come  a  quel  parlar  leva  la  faccia 
La  bella  Bradamante,  e  ne  gioisce! 
E  conforta  Ruggier,  che  cosi  faccia, 
Come  Marfisa  sua  ben  l'ammonisce; 
E  venga  a  Carlo  e  conoscer  si  faccia, 
Che  tanto  onora,  lauda  e  riverisce 
Del  suo  padre  Ruggier  la  chiara  fama, 
Ch'ancor  guerrier  senza  alcun  par  lo  ciiia- 
80  [ma. 

Ruggiero  accortamente  le  rispose 
Che  da  principio  questo  far  dovea; 
Ma  per  non  bene  aver  note  le  cose. 
Come  ebbe  poi,  tardato  troppo  avea. 
Ora,  essendo  Agramante  che  gli  pose 
La  spada  al  fianco,  farebbe  opra  rea 
Dandogli  morte,  e  saria  traditore; 
Che  già  tolto  l'avea  per  suo  Signore. 
81 

Ben,  come  a  Bradamante  già  promesse, 
Promettea  a  lei  di  tentare  ogni  via. 
Tanto  ch'occasione,  onde  potesse 


78.  3,  n.  mi  spoglio;  non  mi  spogliei'ò. 
V.  st.  77,  5.  «  Marfisa  parla  veramente  se- 
condo lo  spirito  del  medio  evo,  quando  l'uc- 
cisione d'un  parente  era  qup*i  un  sacro  le- 
gato di  vendetta  »  (Casella). 

—  5.  fin  ora,  fin  d'ora.  Dante,  Inf.  27, 
101  ;  «  Fin  or  t'  assolvo  ».  In  questo  senso 
si  disse  anche  fino  ad  ora. 

80.  5-6.  gli  pose  la  sp.  al  f.  Ciò  è  detto 
weW"  Innaìn.  II,  xxi,  51-52.  Ruggero,  ricor- 
dando ad  Agramante  un  suo  atto  valoroso 
e  generoso,  gli  chiede:  «  Fammi,  signor,  ti 
prego,  cavaliero  ».  E  Agramante  «  Con 
molta  festa  il  fece  cavaliero  ».  Chi  ornava 
cavaliero  un  altro  si  legava  con  lui  con 
una  parentela  spirituale,  sicché  il  nuovo  ca- 
valiero non  doveva  mai  per  veruu  caso  por- 
tare le  armi  contro  di  esso.  È  vero  che  Rug- 
gero era  Saracino  e  la  cavalleria  era  solo 
fra  cristiani,  ma  spesso  i  romanzieri  trat- 
tano i  cavalieri  saraciui  alla  stregua  dei 
cristiani.  Ruggero  poi,  essendo  d' origine 
cristiana  e  predestinato  a  ritornare  alla  sua 
religione,  è  sempre  un  perfetto  cavaliere. 

81.  3.  Tanto  che;  finché.  Cosi  nel  canto 
XXXIV,  1,  3;  XLiii,  15G,  7. 


Levarsi  con  suo  onor,  nascer  faria. 
E  se  già  fatto  non  l'avea,  non  desse 
La  colpa  a  lui,  ma  '1  Re  di  Tartaria, 
Dal  qual  ne  la  battaglia,  che  seco  ebbe, 
Lasciato  fu,  come  saper  si  debbe. 

82 

Et  ella  che  ogni  di  gli  venia  al  letto, 
Buon  testimou,  quanto  alcun  altro,  n'era. 
Fu  sopra  questo  assai  risposto  e  detto 
Da  l'una  e  da  l'altra  inclita  guerriera. 
L'ultima  conclusion,  l'ultimo  efi"etto 
È  che  Ruggier  ritorni  alla  bandiera 
Del  suo  Signor,  fin  che  cagion  gli  accada. 
Che  giustamente  a  Carlo  se  ne  vada. 
83 

Lascialo  pur  andar  (dicea  Marfisa 
A  Bradamante),  e  non  aver  timore; 
Fra  pochi  giorni  io  farò  bene  in  guisa. 
Che  non  gli  fia  Agramante  più  Signore. 
Cosi  dice  ella;  né  però  devisa 
Quanto  di  voler  fare  abbia  nel  core. 
Tolta  da  lor  licenzia  al  fin  Ruggiero 
Per  tornare  ^1  suo  Re  volgea  il  destriero; 
84 

Quando  un  pianto  s'udi  da  le  vicine 
Valli  sonar,  che  li  fé'  tutti  attenti. 
A  quella  voce  fan  l'orecchie  chine, 
Che  di  femina  par,  che  si  lamenti. 
Ma  voglio  questo  Canto  abbia  qui  fine, 
E  di  quel  che  voglio  io  siate  contenti; 
Che  miglior  cose  vi  prometto  dire, 
S'all'altro  Canto  mi  verrete  a  udire. 


—  6.  ma  '1  Re,  ma  al  re.  L'ediz.  del  1532 
ha  proprio  questa  elisione,  che  è  molto  no- 
tevole. Non  saprei  citarne  altro  esempio. 
Nell'altre  due  edizioni  la  stanza  è  differente. 

—  8.  Lasciato  ecc.;  Fu  lasciato  come  da 
lei  e  dagli  altri  si  deve  sapere  ;  cioè  fu  la- 
sciato gravemente  ferito. 

82.  5.  l'n.  effetto,  di  tanti  discorsi. 

—  7.  gli  accada,  gli  si  presenti.  Cosi  nel 
e.  XIX,  41,  4. 

—  8.  Che;  perché. 

83.  5.  devisa,  divisa,  indica,  mostra.  È 
forma  molto  singolare:  cfr.  e.  xxxvii,  62, 
8.  Per  il  significato  cfr.  Berni.  Inn,  29,  24; 
«il  luogo  gli  divisa». 

84.  3.  fan  l'or,  chine.  È  un'immagine  che 
dipinge  l'atto  di  piegarsi  sporgendo  il  capo 
verso  quei  rumori,  che  attirano  la  nostra 
curiosità. 

—  4.  Che;  è  relativo  di  voce. 


496 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  XXXVJT 


Se,  come  in  acquistar  qualch'altro  dono 
Che  senza  industria  uou  può  dar  Natura, 
Affaticate  notte  e  di  si  sono 
Con  somma  diligenzia  e  lunga  cura 
Le  valorose  donne,  e  se  con  buono 
Successo  n'  è  uscit'opra  non  oscura; 
Cosi  si  fosson  poste  a  quelli  studi 
Ch'  immortai  fanno  le  mortai  virtudi; 
2 

E  che  per  sé  medesime  potuto 
Avesson  dar  memoria  alle  sue  lode, 
Non  mendicar  da  gli  scrittori  aiuto. 
Ai  quali  astio  et  invidia  il  cor  si  rode. 
Che  '1  ben  che  ne  puon  dir,  spesso  è  ta- 

[ciuto, 
E  '1  mal,  quanto  ne  san,  per  tutto  s'ode; 
Tanto  il  lor  nome  sorgeria,  che  forse 
Viril  fama  a  tal  grado  unqua  non  sorse. 
3 

Non  basta  a  molti  di  prestarsi  l'opra 
In  far  l'un  l'altro  glorioso  al  mondo, 
Ch'anco  studiau  di  far  che  si  discuopra 
Ciò  che  le  donne  hanno  fra  lor  d'imnion- 
Non  le  vorrian  lasciar  venir  di  sopra,  [do. 
E  quanto  puon,  fan  per  cacciarle  al  fondo: 
Dico  gli  antiqui;  quasi  l'onor  debbia 
D'esse  il  lor  oscurar,  come  il  sol  nebbia. 

*  Tutto  questo  cauto  è  aggiunto  per  l'e- 
dizione del  1532  e  composto  nel  1531  ;  come 
si  rileva  dairacceniio  alla  moglie  di  Luigi 
Gonzaga  andatagli  sposa  appunto  in  que- 
st'anno. V.  st.  8,  n.  5. 

1.  1.  Se  eco.  In  questo  esordio  vi  sono 
molti  pensieri  simili  a  quelli  dell'esordio 
del  e.  XX.  —  dono,  dote,  buona  qualità,  che 
è  dono  della  Natura,  ma  aiutala  dalla  vo- 
lontà operosa. 

—  5.  e  se  con  buono  ecc.  Questo  se  in- 
tralcia il  periodo.  Più  chiaro  e  regolare  sa- 
rebbe senza. 

2.  1.  E  che;  e  se.  Per  questo  significato 
cfr.  e.  IV,  60,  n.  5. 

—  2.  sue,  loro.  V.  e.  xiii,  40,  n.  3.  — 
lode,  lodi,  opere  lodevoli.  V.  e.  xv,  2,  n.  1. 

—  3.  Non  mendicar;  e  avessero  potuto 
non  mendicar. 

—  5.  puon,  possono.  V,  e.  x,  61,  n.  G. 

3.  1.  prestarsi  l'opra.  «  É  detto  prover- 
l)iale  quando  due  si  difendono  o  laudano 
l'un  l'altro...  Appar  traslato  da  rustici  vi- 
cini, i  quali   vicendevolmente  s'  aiutano  » 

(FORNARl). 

—  I.  fra  lor,  in  mezzo  a  loro  ;  nel  loro 
celo. 


Ma  non  ebbe  e  non  ha  mano  né  lingua, 
Formando  in  voce,  o  descrivendo  in  carte 
(Quantunque  il  mal,  quanto  può,  accresce 
[e  impingua, 
E  minuendo  il  ben  va  con  ogni  arte), 
Poter  però,  che  de  le  donne  estingua 
La  gloria  si,  che  non  ne  resti  parte;  fga. 
Ma  non  già  tal,  che  presso  al  segno  giun- 
Né  ch'anco  se  gli  accosti  di  gran  lunga: 
5 

Ch'Arpalice  non  fu,  non  fu  Torairi, 
Non  fu  chi  Turno,  non  chi  Ettor  soccorse; 
Non  chi  seguita  da'  Sidonii  e  Tiri 
Andò  per  lungo  mare  in  Libia  a  porse; 
Non  Zenobia,  non  quella  che  gli  Assiri, 
I  Persi  e  gl'Indi  con  vittoria  scorse: 


4.  7.  presso  al  segno  ;  pr.  a  quel  segno,  a 
quell'altezza,  a  cui  meritamente  dovrebbe 
giungere.  La  stranezza  dell'espressione  di- 
pende appunto  dal  pensiero  incompleto.  Un 
fatto  simile  abbiamo  nel  e.  xiii,  62,  4,  dove 
r  espressione  toccherà  il  punto  del  bene 
vale:  toccherà  quel  punto  del  bene,  a  cui 
si  può  giungere;  cioè  il  punto  sommo. 

—  8.  anco;  pure.  V.  e.  xvi,  36,  n.  8. 

5.  1.  Arpalìce  ;  V.  e.  XX,  1,  n.  5.  —  Te- 
miri,  regina  de'  Massageti,  che  vinse  Ciro. 

—  2.  chi,  quella  che;  come  il  Petrarca, 
ir,  son.  70:  «Ma  chi  né  prima  simil  né  se- 
conda Ebbe  »  ;  Camilla,  che  combatté  per 
Turno,  Pentesilea,  regina  delle  Amazzoni, 
che  combatté  per  Troia. 

—  3.  seguita.  Bidone,  che  parti  da  Tiro 
accompagnata  daTirii  e  Sidonii  (Sidone  era 
città  Fenicia  in  Siria  soggetta,  come  Tiro, 
allo  stesso  re)  e  andò  in  Libia  a  fondarvi 
Cartagine.  Virgilio,  En.  I. 

—  5.  Zenobia,  bellissima  regina  dei  Pal- 
mireni,  combatté  prima  con  successo  contro 
i  Romani  al  tempo  dell'  imperatore  Aure- 
liano, ma  alfine,  vinta,  (272  d.  C.)  fu  fatta  pri- 
gioniera, e  condotta  al  trionfo  del  suo  vin- 
citore, che  poi  le  donò  una  villa  magnifica  a 
Tivoli.  —  quella  che  gli  A.  ecc.  è  Semiramide 
regina  degli  Assiri. 

—  6.  I  P.  e  gl'I...  scórse;  «  Benché  sola- 
mente gì'  Indiani  scorresse  con  vittoria, 
perciò  che  il  regno  degli  Assiri  e  de'  Persi 
ricevette  dal  morto  marito;  nondimeno  dir 
si  può  che  di  questi  non  meno  che  di  quelli 
si  potesse  appellare  vincitrice,  tenendo  sotto 
'1  freno  tanti  diversi  e  ferocissimi  popoli  e 
alle  volte  non  senz'arme  »  (Fornari). 


CANTO  XXXVIl 


497 


Non  fur  queste  e  poch'altre  degne  sole, 
Di  cui  per  arme  eterna  fama  vele. 
6 

E  di  fedeli  e  caste  e  saggie  e  forti 
Stato  ne  son,non  pur  in  Grecia  e  in  Roma, 
Ma  in  ogni  parte,  ove  fra  gl'Indi  e  gli  Orti 
De  le  Esperide  il  sol  spiega  la  chioma; 
De  le  quai  sono  i  pregi  a  gli  onor  morti, 
Si  ch'a  pena  di  mille  una  si  noma; 
E  questo, perché  avuto  hanno  ai  lor  tempi 
Gli  scrittori  bugiardi,  invidi  et  empi. 
7 

Non  restate  però,  donne,  a  cui  giova 
Il  bene  oprar,  di  seguir  vostra  via; 
Né  da  vostra  alta  impresa  vi  rimuova 
Tema  che  degno  onor  non  vi  si  dia: 
Che,  come  cosa  buona  non  si  trova 
Che  duri  sempre,  cosi  ancor  né  ria. 
Se  le  carte  sin  qui  state  e  gl'inchiostri 
Per  voi  non  sono,  or  sono  a'  tempi  nostri. 
8 

Dianzi  Marnilo  et  il  Pontan  per  vui 
Sono,  e  duo  Strozzi,  il  padre  e '1  figlio  stati: 
C  è  il  Bembo,  e'  è  il  Capei,  e'  è  chi,  qual  lui 
Vediamo,  ha  tali  i  cortigian  formati: 


C'  è  un  Luigi  Alaman;  ce  ne  son  dui, 
Di  par  da  Marte  e  da  le  Muse  amati. 
Ambi  del  sangue  che  regge  la  terra 
Che  1  Menzo  fende,  e  d'alti  stagni  serra. 

9  [to 

Di  questi  l'uno,  oltre  che  'I  proprio  istin- 


—  7-S.  degne...   di  cni.  V.  e  III,  27,  n.  1. 

6.  2.  Stato  n.  son.  Per  questa  sconcor- 
danza, che  si  legge  nelle  migliori  antiche 
edizioni  e  che  alcuni  a  torto  si  ostinano  a 
correggere,  vedi  e.  v,  58,  n.  5. 

—  4.  D.  Esperide,  d.  Esperidi.  Per  la 
forma  cfr.  e.  ix,  84,  n.  1.  Nelle  isole  Espe- 
ridi (del  Capo  Verde)  pose  la  favola  gli  orti 
delle  Esperidi.  Qui  dunque  dagli  Indi  agli 
or.  d.  E.  vuol  dire  da  oriente  a  occidente. 

—  5.  a  gli  on.;  cosi  l'ed.  del  1532.  Male  il 
Morali  corregge  e  gllon.-.  i  pregi  non  sono 
onorati,  sono  morti  agli  onori. 

7.  1.  giova,  piace:  è  il  lat.  iuvat. 

—  6.  né  ria,  neppure  ria.  V.  e.  li,  41,  n.  4. 

—  8.  Per  voi,  favorevoli  a  voi. 

8.  1.  Dianzi  ecc.  Questi  primi  quattro 
poeti  erano  già  morti  quando  l'A.  scriveva 
questo  canto.  Per  ciò  al  terzo  verso  dob- 
biamo sottintendei'e:  ora  C  è  il  Bembo  ecc. 
Michele  Marnilo  d'origine  greca,  insigne 
umanista,  mori  nel  1500.  L'Ar.  ha  una  bella 
poesia  latina  ad  Ercole  Strozzi  scrittagli  ap- 
pena ricevuta  la  trista  notizia  di  quella 
morte.  —  Pontan;  Giovanni  Pontano  (1126- 
1503)  anch'  egli  celebre  umanista  di  Cerreto 
di  Spoleto  :  visse  e  fiori  a  Napoli. 

—  2.  duo  Strozzi;  Tito  Vespasiano  Strozzi 
(m.  1505)  e  il  figlio  Ercole  (ucciso  a  tradi- 
mento 1508)  furono  assai  lodati  per  le  loro 
poesie  latine  e  volgari. 

—  3.  Bembo,  Pietro,  veneziano  (1470-1547) 
umanista,  storico  e  poeta  insigne.  —  il  Ca- 
pei, Bernardo  Cappello,  nobile  veneziano, 
amico  del  Bembo,  che  ne  apprezzava  mol- 


tissimo l'ingegno  poetico  (morto  1565).  — 
chi  ecc.  Baldassarre  Castiglione,  che  col 
suo  libro  II  Cortegiano  forma  i  cortigiani 
cosi  compiti  ed  eccellenti  com'  egli  era. 

—  5.  L.  Alamanni,  (1495-1556)  scrisse  con 
grande  eleganza,  elegie,  egloghe,  satire,  so- 
netti, iuni,  ecc.  :  è  specialmente  famoso  per 
il  poema  La  Coltivazione.  —  dui  ecc.  Uno  è 
certamente  Luigi  Gonzaga  da  Gazolo,  detto 
Rodomonte  per  la  sua  forza  e  il  suo  ardire 
(1500-1532, 3  dicembre).  «  Al  tempo  che  Roma 
fu  da'  soldati  tedeschi  messa  a  sacco,  essen- 
do Luigi  Gonzaga  imperiale,  vi  si  trovò  tra 
quelle  squadre  anch'esso.  11  perché  incorse 
allo  sdegno  di  Clemente  VII  di  tal  forma,  che 
egli,  cercando  di  fargli  ogni  danno,  tentò 
per  ogni  via  che  Isabella  figlia  del  signor 
Vespasiano  dalla  Colonna,  e  per  isposa  al 
Gonzaga  già  promessa,  non  andasse  al  suo 
marito,  ma  che  fusse  a  un  altro  maritata... 
Ultimamente  la  costanzia  della  donna   fu 

i  tale  che  vinse  ogni  impedimento  e  guerra, 
'  ond'ella  fu  lasciata  ire  (1531)  al  suo  primo 
j  sposo  »  (Foruari).  —  Sull'altro  non  son  d'ac- 
i  cordo  i  commentatori.   Alcuni  credono  col 
'  Fornari  che   sia  Luigi  Gonzaga  di  Castel- 
giuffredi;  «ma  da  lui  non   sappiamo   che 
fosser  coltivate  molto  le  lettere  »  (Tirabo- 
i  scHi  S.  L.,  VII,  1,  62).  E  l'Aifò,  che  nella  vita 
'  di   Luigi   Gonzaga   Rodomonte,   tratteggia 
pure  la  vita  di  lui,  dice  «  Se  non  fu  lette- 
rato non  disprezzò  tuttavia  chi  professava 
di  esserlo  ».  Altri  col  Molini  e  col  Bolza  ci-e- 
dono  che  sia  Francesco  Gonzaga,  ma  questi 
mori  nel  1719  ;  mentre  questo  canto  fu  scritto 
nel  1531.  —  ^■i  è  un  terzo  Luigi  Gonzaga  (m. 
1549)  figlio  di  Giampietro,  uomo  dottissimo 
e  così  reputato  nella  poesia  da  fare  scri- 
vere da  Pietro  Aretino,  malconteuto  per  la 
pochezza  d'  un  dono   ricevutone  :   «  se  voi 
sapeste  sì  ben  donare  come  sapete  ben  ver- 
sificare, Alessandro  e  Cesare  potrebbero  an- 
dare a  riporsi  »;  ma  che  fosse  prode  in  armi 
non  abbiamo  altra  testimonianza,  che  que- 
sti versi  dell'Ariosto,  se  a  lui  si  riferiscono, 
come  crede  l'Affò  nella  succitata  vita.  Però, 
tutto    ben    ponderato,  sembra   da   credere 
che   a    quest'ultimo   qui    si    riferisca   l'A- 
riosto. 

—  8.  Menzo,  Mincio.  V.  e.  xiii,  59,  n.  7. 
Questa  terra  è  Mantova,  che  siede  quasi 
nel  mezzo  d'  una  laguna  formata  dalle  ac- 
que del  Mincio. 

9.   1.  l'uno,  è  Luigi  da  Gazolo. 


Ariosto  —  Papini 


498 


ORLANDO  FURIOSO 


Ad  onorarvi  e  a  riverirvi  inchina, 

E  far  Parnasso  risonare  e  Cinto 

Di  vostra  laude,  e  porla  al  ciel  vicina; 

L'amor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto 

Per  minacciar  di  strazii  e  di  mina, 

Animo  ch'Issabella  gli  ha  dimostro, 

Lo  fa  assai  pili,  che  di  sé  stesso,  vostro  : 

10 
Si  che  non  è  per  mai  trovarsi  stanco 
Di  farvi  onor  nei  suoi  vivaci  carmi. 
E  s'altri  vi  dà  biasnio,  non  è  ch'anco 
Sia  più  pronto  di  lui  per  pigliar  l'armi. 
E  non  ha  il  mondo  cavallier  che  manco 
La  vita  sua  per  la  virtù  rispiarrai. 
Dà  insieme  egli  materia  ond'altri  scriva, 
E  fa  la  gloria  altrui,  scrivendo,  viva. 

11 
Et  è  ben  degno  che  si  ricca  donna, 
Ricca  di  tutto  quel  valor  che  possa 
Esser  fra  quante  al  mondo  portin  gonna, 
Mai  non  si  sia  di  sua  costanzia  mossa; 
E  sia  stata  per  lui  vera  colonna. 
Sprezzando  di  fortuna  ogni  percossa: 
Di  lei  degno  egli,  e  degna  ella  di  lui; 
Né  meglio  s'accoppiaro  unque  altri  dui. 

12 
Nuovi  trofei  pon  su  la  riva  d'Oglio; 

—  2.  inchina,  lo  inchina. 

—  3.  Parnasso...  Cinto;  l'uno  è  monte 
delle  Focide,  sacro  alle  Muse  (oggi  Liacu- 
7^a};  l'altro  è  monte  dell'  isola  di  Delo,  dove 
nacque  Apollo,  che  da  questo  fu  detto  Cintio. 

—  7.  Issabella.  V.  st.  S,  n.  5. 

10.  1.  per  m.  tr.  st.;  non  è  per  trovarsi 
mai  stanco,  non  si  troverà  certo  mai  stanco 
di  lodarvi,  perché  ha  nella  moglie  un  inci- 
tamento continuo  a  far  ciò. 

—  2.  vivaci,  che  vivranno.  È  significato 
latino.  OviD.  Ex.  P.  4,  8,  47:  «  Cai'mine  Ut 
vivax  virtus  expersque  sepulchri  Notiliam 
serae  posteritatis  hubet  ». 

—  3.  non  è  ch'anco  ;  non  è  neppure  chi  ecc. 
C/li  è  troncato  anche  nel  e.  xix,  47,  6;  e 
xxxm,  127,  4.  —  Per  il  significato  di  anco 
in  frase  negativa  cfr.  e.  xvi,  30,  n.  8. 

—  6.  rispiarmi  ;  risparmi.  É  forma  popolare 
ancora  vivissima  nel  volgo  Toscano. 

11.  1.  ricca.  «Allude  alla  dote  di  più  di 
ventimila  ducati,  che  con  questa  donna  a 
Rodomonte  veniva;  quantunque  l'Ariosto 
poi  rivolge  quel  titolo  di  ricca  ai  beni  del- 
l'animo per  darle  maggior  lode  e  più  sta- 
bile e  certa  »  (Fornari). 

—  7.  Di  lei  ecc.  Verso  e  concetto  simile 
è  al  e.  XLV,  81,  8. 

—  8.  unque,  e  unqua  (lat.  uìiquam)  mai. 

12.  1.  Nuovi  trofei;  li  dice  nuovi,  perché 
in  mezzo  a  ferri,  fuochi,  navi  e  ruote  vi 
si  vede  alcun  ben  scritto  foglio  ;  mentre  i 
comuni  trofei  sono  di  armi  soltanto  ;  e  ciò 
a  dimostrare  che  la  gloria   guerresca  si 


Ch'  in  mezzo  a  ferri,  a  fuochi,  a  navi,  a 

[ruote 
Ha  sparso  alcun  tanto  ben  scritto  foglio, 
Che  '1  vicin  fiume  invidia  aver  gli  puote. 
Appresso  a  questo  un  Ercol  Bentivoglio 
Fa  chiaro  il  vostro  onor  con  chiare  note, 
E  Renato  Trivulcio,  e  '1  mio  Gnidetto; 
E  '1  Molza,  a  dir  di  voi  da  Feho  eletto. 
13 
C  è  '1  Duca  de'  Carnuti  Ercol,  figliuolo 
Del  Duca  mio,  che  spiega  l'ali,  come 
Canoro  Cigno,  e  va  cantando  a  volo, 
E  fin  al  cielo  udir  fa  il  vostro  nome. 
C'è  il  mio  Signor  del  Vasto,  a  cui  non  solo 


unisce  in  lui  alla  letteraria.  —  riva  d'Oglio. 
Gazuolo  è  terra  posta  in  riva  all'Oglio. 

—  4.  Che  '1  vie.  f.  ecc.;  il  Mincio  può 
avere  invidia  all'Oglio,  cioè  Virgilio  può 
invidiare  il  Gonzaga.  O  è  una  delle  iperboli 
cosi  frequenti  nelle  adulazioni  di  quel  tem- 
po (Giammatteo  Toscano,  lodando  questo 
Gonzaga  in  un  epigramma,  scrisse:  «  Etru- 
scis  numeris  alter  Homerus  eras  »  Tiraho- 
scHi  S.  L.  VI,  61);  o  si  ha  da  intendere,  col 
Fornari,  del  doppio  valore  del  Gonzaga  nelle 
armi  e  nei  versi,  mentre  Virgilio  solo  nella 
poesia  fu  grande.  Egli  stesso,  il  poeta  ro- 
mano, confronta  sul  finire  della  Georgica 
la  gloriosa  opera  militare  di  Augusto  colla 
sua  modesta  vita  tutta  data  agli  studi;  e 
questa  chiama  dimessamente  ignobile  o- 
tium. 

—  5.  E.  Bentivoglio,  (1506-1573)  nipote  del 
duca  Alfonso,  amico  dell' .\riosto,  e  scrittore 
molto  felice  in  ogni  genere  di  poesia  ita- 
liana, ma  specialmente  nella  satira,  in  cui 
gareggia  con  l'Ariosto. 

—  7.  R.  Trivulcio,  di  Milano  «  ha  compo- 
sto in  ottava  rima  alcune  stanze  amorose  » 
(FoRNAE.1).  —  Guidetto,  Francesco  Guidetti, 
consolo  dell'Accademia  Fiorentina,  uno  dei 
collaboratori  alla  celebre  edizione  del  Boc- 
caccio del  1527  (v.  Manni,  Illustr.  al  Bocc. 
p.  042),  discreto  poeta,  che  alcuno,  non  so 
su  qual  fondamento,  crede  aver  giovato  al- 
l'Ariosto  nella  correzione  del  suo  poema. 

—  8.  Molza  Francesco  Maria  (1489-1544) 
modenese  è  uno  dei  migliori  lirici  petrar- 
chisti del  Cinquecento.  «  Portò  dalle  fasce 
lo  'ngegno  atto  e  disposto  alla  poetica  » 
(Fornari). 

13.  1.  Ercol;  figliuolo  del  duca  Alfonso, 
ebbe  il  titolo  di  duca  di  Chartres  (lat.  Car- 
nutex)  per  avere  sposata  Renata  di  Fran- 
cia. Il  Giraldi  (Dialogo  12)  lo  annovera  tra 
i  valorosi  poeti  di  quel  tempo  e  aggiunge 
che  fin  dall'  infanzia  soleva  scrivere  mera- 
vigliosamente in  poesia.  Mori  nel  1559. 

—  5.  Signor  del  Vasto,  Alfonso  d'AvalOS 
marchese  del  Vasto  di  cui  vedi  ciò  che  si 


CANTO  XXXVII 


499 


Di  dare  a  mille  Atene  e  a  mille  Rome 
Di  sé  materia  basta;  cli'anco  accenna 
Volervi  eterne  far  con  la  sua  penna. 
14 

Et  oltre  a  questi  et  altri  ch'oggi  avete, 
Che  v'hanno  dato  gloria  e  ve  la  danno, 
Voi  per  voi  stesse  dar  ve  la  potete; 
Poi  che  molte  lasciando  l'ago  e  '1  panno, 
Son  con  le  Muse  a  spegnersi  la  sete 
Al  fonte  d'Aganippe  andate  e  vanno; 
E  ne  ritornan  tai,  che  l'opra  vostra 
E  più  bisogno  a  noi,  eh'  a  voi  la  nostra. 
15 

Se  chi  sian  queste,  e  di  ciascuna  voglio 
Render  buon  conto,  e  degno  pregio  darle, 
Bisognerà  ch'io  verghi  più  d'un  foglio, 
E  ch'oggi  il  canto  mio  d'altro  non  parie  : 
E  s'a  lodarne  cinque  o  sei  ne  toglio, 
Io  potrei  l'altre  offendere  e  sdegnarle. 
Che  farò  dunque?  Ho  da  tacer  d'ognuna, 
O  pur  fra  tante  sceglierne  sol  una? 
16 

Sceglieronne  una;  e  sceglierolla  tale. 
Che  superato  avrà  l'invidia  in  modo, 
Che  nessun'altra  potrà  avere  a  male, 
Se  l'altre  taccio,  e  se  lei  sola  lodo. 
Quest'una  ha  non  pur  sé  fatta  immortale 
Col  dolce  stil  di  che  il  miglior  non  odo; 
Ma  può  qualunque,  di  cui  parli  o  scriva, 
Trar  del  sepolcro  e  far  ch'eterno  viva. 
17 

Come  Febo  la  candida  sorella 
Fa  più  di  luce  adorna,  e  più  la  mira. 
Che  Venere  o  che  Maia  o  ch'altra  stella 


dice  nel  e.  xv,  28,  n.  3  e  xxxiii,  4T.  Ad  av- 
valorare questo  luogo  dell'Ariosto,  cito  una 
lettera  del  Contile,  che  era  alla  corte  di 
lui:  «E  il  più  delle  volte  (parla)  di  poesia, 
dove  egli  ancora  mostra  bellissimo  inge- 
gno, come  alcune  sue  cose  ne  posson  far 
testimonio  »  (Leti.  1,  pag.  90).  Avverti  che 
i  due  luoghi  sopra  citati  e  questo,  dove  l'A. 
fa  l'elogio  d'Alfonso,  furono  scritti  per  l'e- 
dizione del  1532,  ossia  tutti  e  tre  nel  1531, 
come  abbiamo  avvertito  anche  nel  e.  xv,  2S, 
n.  3.  —  non  solo  ecc.  Costruisci:  a  cui  non 
basta  di  dare  di  sé  (dei  fatti  suoi,  coi  fatti 
suoi)  solamente  materia  a  mille  ecc. 

—  6.  a  mille  A.;  a  scrittori  com' ebbero 
Atene  e  Roma,  ma  in  numero  mille  volte 
maggiore.  —  Atene,  Ateni.  V.  e.  ix,  84,  n.  1. 

14.  6.  Aganippe;  celebre  fonte  sacra  alle 
Muse,  nel  monte  Elicona  in  Beozia. 

—  8.  È...  bisogno;  bisogna.  I  costrutti 
una  cosa  è  bisogno  o  è  a  bisogno  a  uno 
sono  fuori  dell'  uso,  ma  non  rari  presso  gli 
antichi. 

17.  3.  Maia ,  Mercurio ,  figlio  di  Maia. 
Cfr.  e.  XXXI,  77,  n.  4.  Dante,  Par.  22,  ìii: 


Che  va  col  cielo  o  che  da  sé  si  gira: 
Cosi  facondia  più  ch'all'altre,  a  quella 
Di  eh'  io  vi  parlo,  e  più  dolcezza  spira; 
E  dà  tal  forza  all'alte  sue  parole, 
Ch'orna  a'  di  nostri  il  ciel  d'un  altro  sole. 
18 

Vittoria  è  '1  nome  ;  e  ben  conviensi  a  nata 
Fra  le  vittorie,  et  a  chi,  o  vada  o  stanzi. 
Di  trofei  sempre  e  di  trionfi  ornata. 
La  vittoria  abbia  éeco,  o  dietro  o  inanzi. 
Questa  è  un'altra  Artemisia,  che  lodata 
Fu  di  pietà  verso  il  suo  Mausolo;  anzi 
Tanto  maggior,  quanto  è  più  assai  belf  o- 

[pra. 
Che  por  sotterra  un  uom,  trarlo  di  sopra. 
19 

Se  Laodamia,  se  la  moglier  di  Bruto, 
S'Arria,  s'Argia,  s'Evadne,  e  s'altre  molte 


«  circa  e  vicino  a  lui  Maia  e  Dione  »,  che 
sono  le  madri  di  Mercurio  e  di  Venere  e 
stanno  per  i  pianeti  di  questo  nome. 

—  4.  Che  ya  ecc.  ;  Le  Stelle  fìsse,  se- 
condo l'antica  astronomia,  stavano  confìtte 
e  ferme  nel  loro  proprio  cielo  e  •si  move- 
vano insieme  con  esso,  e  i  pianeti  avevano 
un  moto  loro  proprio  nella  propria  sfera, 
al  disotto  delle  stelle  tìsse.  Anche  queste 
avevano  lume  dal  sole. 

—  s.  ch'orna;  che  questa  donna  orna  ecc.; 
cioè:  essa  appare  a  noi  come  un  altro  sole. 

18.  1.  Vittoria  ecc.  Vittoria  Colonna  cele- 
bre poetessa  del  Cinquecento  (1490-1547); 
figlia  del  famoso  capitano  Fabrizio  e  mo- 
glie del  non  meno  famoso  Francesco  mar- 
chese di  Pescara,  presa  di  gran  dolore  per 
la  morte  del  marito,  di  lui  cantò  nella  mag- 
giore e  miglior  parte  delle  sue  rime. 

—  2.  vada  o  stanzi;  rimanga  nella  sua 
famiglia  o  entri  nell'altra,  che  l'accolse,  si 
trova  sempre  tra  le  vittorie.  Accenna  al 
padre  e  al  marito  celebri  guerrieri.  E  que- 
sto pure  credo  significhi  il  dietro  o  inansi 
del  V.  4:  dietro  riguardando  la  sua  fami- 
glia, inansi  riguardando  l'ardire  e  l' inge- 
gno militare,  pieno  di  speranza,  del  suo 
marito. 

—  5.  Artemisia,  regina  di  Caria,  che  al 
suo  marito  Mausolo  inalzò  un  celebre  mo- 
numento, che  fu  una  delle  sette  maraviglie 
del  mondo. 

—  8.  trarlo  di  sopra;  trarlo  dalla  tomba 
alla  luce   dell'  immortalità  e  della  gloria. 

19.  1-2.  Laodamia,  si  uccise  perii  dolore  del 
marito  Protesilao,  morto  nella  guerra  di 
Troia.  —  Porzia,  figlia  di  Catone  e  moglie  di 
Bruto  II  si  uccise  per  il  dolore  della  morte  di 
Bruto.  —  Arria,  essendo  stalo  il  marito  Peto 
condannato  a  morte  da  Claudio  Nerone  per 
una  congiura,  si  feri  a  morte  e  porse  al 
marito  il  ferro  stesso,  perché  s'  uccidesse 


500 


ORLANDO  FURIOSO 


Meritar  laude  per  aver  volato, 
Morti  i  mariti,  esser  con  lor  sepolte; 
Quanto  onore  a  Vittoria  è  più  dovuto. 
Che  di  Lete  e  del  rio  che  nove  volte    [te, 
L'ombre  circonda,  ha  tratto  il  suo  consor- 
Malgrado  de  le  Parche  e  de  la  Morte! 
20 

S'al  fiero  Achille  invidia  de  la  chiara 
Meonia  tromba  il  Macedonico  ebbe; 
Quanto,  invitto  Francesco  di  Pescara, 
Maggiore  a  te,  se  vivesse  or,  l'avrebbe I 
Che  si  casta  mogliere  e  a  te  si  cara 
Canti  l'eterno  onor  che  ti  si  debbe, 
E  che  per  lei  si  '1  nome  tuo  rimbombe, 
Che  da  bramar  non  hai  più  chiare  trombe. 
21 

Se  quanto  dir  se  ne  potrebbe,  o  quanto 
Io  n'ho  desir,  volessi  porre  in  carte, 
Ne  direi  lungamente;  ma  non  tanto, 
Ch'  a  dir  non  nerestasse  anco  gran  parte: 
E  di  Marfisa  e  dei  compagni  intanto 
La  bella  istoria  rimarria  da  parte, 
La  quale  io  vi  promisi  di  seguire, 
S'in  questo  Canto  mi  verreste  a  udire. 


(42  d.  C).  —  Argia  andò  cercando  il  corpo 
di  Polinice,  morto  nella  guerra  sotto  Tebe, 
per  seppellirlo,  e  pianse  poi  il  marito  per 
tutta  la  vita.  —  Evadne,  moglie  di  Capaneo, 
si  gittò  sul  rogo,  dove  ardeva  il  corpo  del 
marito. 

—  6.  del  rio  ecc.  lo  Stige,  che  secondo 
Virgilio  {Georg.  4,  4S0;  En.  6,  439)  gira 
nove  volte  attorno  all'abitazione  dei  morti  : 
«  novies  circumfusa  coercet».  Cfr.  e.  xxxi, 
96,  6,  dove  forse  il  plur.  fosse  a  ciò  si  ri- 
ferisce. 

20.  1-2.  S'al  fiero  A.  ecc.  «Giunto  Ales- 
sandro alla  famosa  tomba  Del  fero  Achille 
sospirando  disse  :  O  fortunato  che  si  chiara 
ti'omba  (poesia  d'Omero)  Trovasti  e  chi  di 
te  si  alto  scrisse  »  Petrarca,  I,  son.  135. 
Questi  versi,  che  hanno  ispirato  l'Ar.,  furono 
ispirati  al  Petrarca  dal  racconto,  che  tro- 
viamo di  questo  fatto  in  Plutarco  {Vita  di 
Alessandro  M.),  e  in  Cicerone,  che  lo  com- 
pendia nell'orazione  proArchia:  «Alexan- 
der cum  in  .Sigaeo  ad  Achillis  tuinulum 
adstitisset:  O  fortunate,  inquit,  adolescens, 
qui  tuae  virtutis  Homerum  praeconem  in- 
veneris  ■». 

—  2.  Meonia  tromba.  ;  il  cauto  d' Omero 
che  era  della  Meonia.  «  Tromba  traduce  il 
praeconeìn  (banditore)  di  Cicerone.  E  la 
tromba  si  dà  alla  musa  epica»  (Cardltci, 
Comm.  al  son.  del  Petr.). 

—  5.  mogliere.  Per  la  forma  cfr.  e.  xviii, 
53,  n.  7. 

21.  s.  Se...  mi  verreste;  Regolarmente  do- 
vrebbe dire  :  ve  mi  foste  venuti  a  udire. 
Avverti  però  per  questo  e  altri  simili  luo- 


Ora  essendo  voi  qui  per  ascoltarmi. 
Et  io  per  non  mancar  de  la  promessa. 
Serberò  a  maggior  ozio  di  provarmi 
Ch'ogni  laude  di  lei  sia  da  me  espressa; 
Non  perch'io  creda  bisognar  miei  carmi 
A  chi  se  ne  fa  copia  da  sé  stessa; 
Ma  sol  per  satisfare  a  questo  mio. 
Che  d'onorarla  e  di  lodar,  disio. 

23  [etate 

Donne,  io  conchiudo  in  somma,  ch'ogni 
Molte  ha  di  voi  degne  d'istoria  avute; 
Ma  per  invidia  di  scrittori  state 
Non  sete  dopo  morte  conosciute: 
Il  che  non  più  sarà,  poi  che  voi  fate 
Per  voi  stesse  immortai  vostra  virtute. 
Se  far  le  due  cognate  sapean  questo, 
Si  sapria  meglio  ogni  lor  degno  gesto. 
24 

Di  Bradamante  e  di  Marfisa  dico, 
Le  cui  vittoriose  inclite  prove 
Di  ritornare  in  luce  m'affatico; 
Ma  de  le  diece  mancanmi  le  nove. 
Queste  ch'io  so,  ben  volentieri  esplico; 
Si  perché  ogni  bell'opra  si  de',  dove 
Occulta  sia,  scoprir;  si  perché  bramo 
A  voi,  donne,  aggradir,  ch'onoro  et  amo. 
25 

Stava  Ruggier,  corn'  io  vi  dissi,  in  atto 
Di  partirsi,  et  avea  commiato  preso, 
E  dall'arbore  il  brando  già  ritratto. 
Che,  come  dianzi,  non  gli  fu  conteso; 


ghi  (XX,  31,  5)  che  sebbene,  per  lo  più,  si 
usi  il  cong.,  il  condizionale  ha  una  speciale 
ragione  di  essere.  Mentre  il  congiuntivo 
mette  in  stretto  rapporto  di  dipendenza  la 
protasi  e  1'  apodosi,  (Vi  promisi  che,  se  mi 
foste  venuti  a  udire  avrei  detto,  altrimenti 
no);  il  condizionale  invece  lascia  quasi  in- 
dipendenti i  due  pensieri  (io  avrei  detto  in 
ogni  modo;  e  di  ciò  vi  avvertii  nel  caso 
che  aveste  voluto  venire  a  udirmi).  Uso  ben 
dififerente  da  quello  notato  al  e.  xlvi,  42,  1. 
22.  2.  m.  de  la  prom.,  mancar  quanto  alla 
liromessa.   È  conqjlemento  di  limitazione. 

—  3-4.  provarmi  che  ecc.  ;  provarmi  a  e- 
sprimere  ogni  lode  di  lei.  L'espressione  è 
resa  dura  non  solo  dal  congiuntivo  invece 
dell'  iulìnito  (I,  38,  n.  6),  ma  anche  dalla 
forma  passiva. 

—  0.  se  ne  fa  copia,  se  ne  fa  abbondanza; 
fa,  produce  da  sé  stessa  in  suo  van^a^'gio 
abbondanza  di  carmi.  Nel  e.  ix  13,  2,  mer- 
canti e  corsari  fan  coiiia  (producono  ab- 
bondanza)  di  donzelle  nel  loro   paese. 

—  s.  lodar,  lodarla.  Per  1'  omissione  del 
pronome  cfr.  e  i,  27,  n.  7. 

24.  5.  esplico;  Cosi  Dante  disse  ì'epllco,  e 
supplico.  Par.  G,  91  ;  26,  94. 

25.  4.  non  gli  f.  e;  da  Atlante,  come  av- 


CANTO  XXXVII 


50i 


Quando  un  gran  pianto,  che  non  lungo 
Era  lontan,  lo  fé' restar  sospeso;    [tratto 
E  con  le  donne  a  quella  via  si  mosse, 
Per  aiutar,  dove  bisogno  fosse. 
26 

Spingonsiinanzi  evia  piùchiaroil  suon 
Viene,  e  via  più  son  le  parole  intese,  [ne 
Giunti  ne  la  vallea,  trovan  tre  donne 
Che  fan  quel  duolo,  assai  strane  in  arnese; 
Che  fin  all'ombilico  ha  lor  le  gonne 
Scorciate  non  so  chi  poco  cortese  : 
E  per  non  saper  meglio  elle  celarsi, 
Sedeano  in  terra,  e  non  ardian  levarsi. 
27 

Come  quel  figlio  di  Vulcan,  che  venne 
Fuor  de  la  polve  senza  madre  in  vita, 
E  Pallade  nutrir  fé'  con  solenne 
Cura  d'Aglauro  al  veder  troppo  ardita, 
Sedendo,  ascosi  i  brutti  piedi  tenne 
Su  la  quadriga  da  lui  prima  ordita; 
Cosi  quelle  tre  giovani  le  cose 
Scerete  lor  tenean,  sedendo,  ascose. 


venne  nel  e.  xxxvi,  58.  Ivi  non  è  detto  che 
Atlante  gli  impedi  di  ritirare  la  spada,  ma 
si  rileva  dal  contesto. 

26.  1.  suon  ne.  Cosi  Dante  usò  in  rima 
per  li  e  l'A.  e.  xxxiv,  49  pe?'  le. 

5-6.  ha  lor  le  g.  score.  Lo  sfregio  fatto 
a  UUania  e  alle  sue  compagne  era  in  uso 
nel  medio  evo;  e  tal  crudeltà  commise  an- 
che Alberico  da  Romano.  Xel  Bret  Tristano 
vede  una  donzella,  che  porta  uno  scudo 
istoriato  da  recarsi  alla  regina  del  reame 
di  Logres  da  parte  della  donna  del  Lago. 
Poco  dopo  la  messaggera  torna  piangendo 
e  dice  che  un  cavaliere  le  ha  tolto  lo  scudo. 
Tristano  Ja  conforta,  iusegue  il  fellone  e 
l'uccide.  Nella  Tavola  Rotonda  poi,  che 
riproduce  con  variazioni  questo  episodio,  è 
detto  che  la  donna  tornò  con  le  vesti  ta- 
gliate alla  cintura.  A  queste  fonti  ha  cer- 
tamente attinto  l'Ar. 

27.  \.  Come  q.  f.  ecc.  Erittouio  inventò 
i  cocchi  per  nascondere  i  suoi  piedi  di  serpe. 
Vulcano,  tentando  invano  violentare  Mi- 
nerva, sparse  in  terra  i  segni  delia  sua  vio- 
lenza; da  essi  uaccpie  Krittouio,  proles  xine 
tnatre  creata  (Ovid.  Met.  x,  144).  Il  Fan- 
ciullo fu  dato  da  Minerva  in  cura  ad  Aglauro 
col  divieto  d'aprire  il  cesto  in  che  era  chiuso. 

—  1.  d'Aglauro;  da  Aglauro  ^v,  10,  n.  5). 
Aglauro  infranse  il  divieto  di  Pallade,  e 
curiosa  volle  vedere  i  segreti  di  Erittonio 
e  perciò  fu  cambiata  in  pietra  di  paragone. 

—  6.  ordita,  cominciata  (lat.  ordior)  ;  la 
'luadriga  ebbe  principio  da  lui.  Petrarca, 
Tr.  F.,  2,  124:  «Ma  Nino  onde  ogni  stoi'ia 
umana  è  ordita  (comincia)  ». 

—  7-8.  le  cose  secreto  lor  ten.  ;  teneano 
secreta  le  e.  lor.  Inversione  dura. 


28 

Lo  spettacolo  enorme  e  disonesto 
L'una  e  l'altra  magnanima  guerriera 
Fé'  del  color  che  nei  giardin  di  Pesto 
Esser  la  rosa  suol  da  primavera. 
Riguardò  Bradamante,  e  manifesto 
Tosto  le  fu,  eh'  Ullania  una  d'esse  era, 
Ullania  che  da  l'Isola  Perduta 
In  Francia  messaggiera  era  venuta r 
29 

E  riconobbe  non  men  l'altre  due; 
Che,  dove  vide  lei,  vide  esse  ancora. 
Ma  se  n'andaron  le  parole  sue 
A  quella  de  le  tre,  ch'ella  piti  onora; 
E  le  dnmamla  chi  si  iniquo  fue, 
E  si  di  legge  e  di  costumi  fuora, 
Che  quei  segreti  agli  occhi  altrui  riveli, 
Che,  quanto  può,  par  che  Natura  celi. 
30 

Ullania  che  conosce  Bradamante, 
Non  meno  ch'alle  insegne,  alla  favella. 
Esser  colei  che  pochi  giorni  inante 
Avea  gittati  i  tre  gueiTier  di  sella; 
Narra  che  ad  un  Castel  poco  distante 
Una  ria  gente  e  di  pietà  ribella. 
Oltre  all'ingiuria  di  scorciarle  i  panni, 
L'avea  battuta,  e  fattol'altri  danni. 
.31 

Né  le  sa  dir  che  de  lo  scudo  sia, 
Né  dei  tre  Re  che  per  tanti  paesi 
Fatto  le  avean  si  lunga  compagnia: 
Non  sa  se  morti,  o  sian  restati  presi; 
E  dice  e'  ha  pigliata  questa  via. 
Ancor  ch'andare  a  pie  molto  le  pesi. 
Per  richiamarsi  de  l'oltraggio  a  Carlo, 
Sperando  che  non  sia  per  tolerarlo. 
32 

Alle  guerriere  et  a  Ruggier,  che  meno 
Non  han  pietosi  i  cor,  ch'audaci  e  forti, 
De'  bei  visi  turbò  1'  jier  sereno 
L'udire,  e  più  il  veder  si  gravi  torti: 
Et  obliando  ogn'altro  affar  che  avieno, 
E  senza  che  li  prieghi  o  che  li  esorti 
La  donna  afflitta  a  far  la  sua  vendetta, 
Piglian  la  via  verso  quel  luogo  in  fretta. 
33 

Di  comune  parer  le  sopraveste. 
Mosse  da  gran  bontà,  s'aveano  tratte, 
Ch'a  ricoprir  le  parti  meno  oneste 
Di  quelle  sventurate  assai  furo  atte. 
Bradamante  non  vuol  ch'Ullania  peste 

'28.  3.  Pesto,  città  della  Magna  Grecia, 
ora  disfatta,  della  quale  eran  famose  le  rose. 

—  4.  da  primavera,  in  primavera.  V.  e. 
XI,  65,  n.  2.  ^ 

30.  G.  di  pietà  rib.  V.  e.  IX,  13,  n.  6. 

31.  7.  richiamarsi;  lagnarsi,  dolersi. 

3"2.  3.  l'aer;  l'aspetto;  la  sembianza.  È 
d'uso  frequente  negli  antichi,  ma  già  nel 
Cinquecento  sa  d'arcaico. 


502 


ORLANDO  FURIOSO 


Le  strade  a  piè,ch'avea  a  piede  anco  fatte, 
E  se  la  leva  in  groppa  del  destriero; 
L'altra  Marfisa,  l'altra  il  buon  Ruggiero. 
34 

Ullania  a  Bradamante  che  la  porta, 
Mostra  la  via  che  va  al  Castel  più  dritta: 
Bradamante  all'  incontro  lei  conforta, 
Che  la  vendicherà  di  chi  1'  ha  afflitta. 
Lascian  la  valle,  e  per  via  lunga  e  torta 
Sagliono  un  colle  or  a  man  manca  or  ritta; 
E  prima  il  sol  fu  dentro  il  mare  ascoso. 
Che  volesser  tra  via  prender  riposo. 
35 

Trovaro  una  villetta  che  la  schena 
D'nn  erto  colle,  aspro  a  salir,  tenea; 
Ov'ebbou  buono  albergo  e  buona  cena. 
Quale  avere  in  quel  loco  si  potea. 
Si  mirano  d'intorno,  e  quivi  piena 
Ogni  parte  di  donne  si  vedea,         [stuolo 
Quai   giovani,   quai  vecchie;   e  in  tanto 
Faccia  non  v'apparia  d'uE  uomo  solo. 
3fi 

Non  più  a  Giason  di  maraviglia  denno, 
Né  agli  Argonauti  che  venian  con  lui 
Le  donne  che  i  mariti  morir  fenno 
E  i  figli  e  i  padri  coi  fratelli  sui. 
Si  che  per  tutta  l'isola  di  Lenno 
Di  viril  faccia  non  ai  vider  dui; 
Che  Ruggier  quivi,  e  con  chiRuggier  era 
Maraviglia  ebbe  all'alloggiar  la  sera. 
37 

Fero  ad  Ullania  et  alle  damigelle. 
Che  veuivan  con  lei,  le  due  guerriere 
La  sera  proveder  di  tre  gonnelle, 

34.  6.  or  a  m.  m.  or  ritta;  avendo  cioè 
il  colle  ora  a  mano  manca  ora  alla  dritta. 
K  ciò  è  detto  a  indicare  i  giri  che  la  torta 
via  faceva  per  rendere  meno  ripida  la  sa- 
lita. Manritta  e  marritta  dicesi  ancora 
l)er  ììiano  dritta,  xxirte  destra. 

35.  I.  una  villetta;  un  caseggiato,  un 
gruppo  di  case  in  aperta  campagna. 

36.  1.  denno,  dettero.  V.  e.  xvii,63,  il.  5. 

—  3.  Le  donne  ecc.  Giasone,  l'eroe  Tes- 
salo, che  fu  capo  della  spedizione  degli  Ar- 
gonauti nella  Colchide  alla  conquista  del 
vello  d'oro,  approdò  all' isola  di  Leinno, 
nella  quale  le  donne,  sdegnate  contro  i  ma- 
riti loro,  che  le  trascuravano  per  attendere 
alle  guerre,  uccisero  tnlti  gli  uomini.  Ri- 
mase solo  Toante,  salvato  dalla  pietà  della 
figlia  Isifile. 

—  4.  sui,  loro. 

—  7.  Che;  è  correlativo  di  più  del  v.  1. 
Avverti  poi  che  regolarmente  dovrebbe  se- 
guire il  modo  congiuntivo  :  che  Rugger 
maraviglia  avesse.  Cfr.  Fohnaciari,  Stnt. 
p.  380. 

37.  3.  proveder  ecc.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  V,  91,  n.  3. 


Se  non  cosi  polite,  almeno  intere. 
A  sé  chiama  Ruggiero  una  di  quelle 
Donne  ch'abitan  quivi,  e  vuol  sapere 
Ove  gli  uomini  sian,  ch'un  non  ne  vede; 
Et  ella  a  lui  questa  risposta  diede: 

38 
Questa  che  forse  è  maraviglia  a  voi. 
Che  tante  donne  senza  uomini  siamo, 
È  grave  intollerabil  pena  a  noi, 
Che  qui  bandite  misere  viviamo. 
E  perché  il  duro  esilio  più  ci  annoi. 
Padri,  figli  e  mariti,  che  si  amiamo, 
Aspro  e  lungo  divorzio  da  noi  fanno, 
Come  piace  al  crudel  nostro  tiranno. 

39 
Da  le  sue  terre,  le  quai  son  vicine 
A  noi  due  leghe,  e  dove  noi  siàn  nate. 
Qui  ci  ha  mandato  il  barbaro  in  confine, 
Prima  dì  mille  scorni  ingiuriate; 
Et  ha  gli  uomini  nostri,  e  noi  meschine 
Di  morte  e  d'ogni  strazio  minacciate. 
Se  quelli  a  noi  verranno,  o  gli  tìa  detto 
Che  noi  diàn  lor,  venendoci,  ricetto. 

40 

Nimico  è  si  costui  del  nostro  nome, 

Che  non  ci  vuol  più,  ch'io  vi  dico,  ap- 

I  presso, 
Né  eh'  a  noi  venga  alcun  de' nostri,  come 
L'odor  l'ammorbi  del  femineo  sesso. 
Già  due  volte  l'onor  de  le  lor  chiome 
S'  hanno  spogliato  gli  alberi  e  rimesso. 
Da  indi  in  qua  che  'I  rio  Signor  vaneggia 
Li  furor  tanto:  e  non  è  chi  '1  correggia; 

41 
Che  '1  popol  ha  di  lui  quella  paura 
Che  maggior  aver  può  l'uom  de  la  morte: 
Ch'aggiunto  al  mal  voler  gli  ha  la  natura 
Una  possanza  fuor  d'umana  sorte. 


—  4.  n.  COSI  polite;  non  molto  polite, 
eleganti.  Kd  è  esempio  molto  notevole,  per- 
ché in  tutti  (iiielli  che  si  citano  dai  vocabol. 
v'  è  un  senso  di  maraviglia  e  tuono  escla- 
mativo, che  qui  manca  affatto.  Per  esempio 
nota  la  differenza  con  questo  luogo  del 
Tasso,  Ger.  1,  49:  «Cosi  vien  sospiroso  e 
cosi  porta  Basse  le  ciglia  e  di  mestizia 
piene  >s  e  con  quel  dell'Ariosto  st.  47.  3. 

40.  3.  Né  ch'a  noi  ecc.  Rileva  dal  contesto 
un  vuol:  né  vuol  ch'a  noi  ecc. 

•—  6.  S'h.  spogliato.  Quando  il  verbo  usato 
riflessivamente  è  transitivo  ed  ha  il  proprio 
oggetto,  si  può  usare  anche  in  prosa  l'au- 
siliare avere  invece  di  essere;  ma  di  regola 
si  accorda  il  participio  con  l'oggetto.  For- 
naci ahi  S.  p.  ir)9. 

41.  id.  Che  maggior  ecc.;  quella  paura,  die 
un  uomo  può  aver  della  morte,  quando  ne 
teme  moltissimo. 

—  4.  f.  d'um.   sorte,  fuor  della  maniera 


CANTO  XXXVII 


503 


Il  corpo  suo  di  gigantea  statura 
È  pili,  che  di  cent'altri  insieme,  forte. 
Né  pur  a  noi  sue  suddite  è  molesto; 
Ma  fa  alle  strane  ancor  peggio  di  questo. 
42 

Se  l'onor  vostro,  e  queste  tre  vi  sono 
Punto  care,  ch'avete  in  compagnia. 
Più  vi  sarà  sicuro,  utile  e  buono 
Non  gir  pili  inanzi,  e  trovar  altra  via. 
Questa  al  Castel  de  l'uom  di  eh'  io  ragiono, 
A  provar  mena  la  costuma  ria        [danno 
Che  v'  ha  posta  il  crudel  con  scorno   e 
Di  donne  e  di  guerrier  che  di  là  vanno. 
43 

Marganor  il  fellou  (cosi  si  chiama 
Il  signore,  il  tiran  di  quel  castello). 
Del  qual  Nerone,  o  s'altri  è  ch'abbia  fama 
Di  crudeltà,  non  fu  più  iniquo  e  fello, 
Il  sangue  uman,  ma  '1  feminil  più  brama, 
Che  '1  lupo  non  lo  brama  de  l'agnello. 
Fa  con  onta  scacciar  le  donne  tutte 
Da  lor  ria  sorte  a  quel  castel  condutte. 
44 

Perché  quell'empio  in  tal  furor  venisse, 
Volson  le  donne  intendere  e  Ruggiero: 
Pregar  colei,  eh'  in  cortesia  seguisse. 
Anzi  che  cominciasse  il  conto  intero. 
Fu  il  Signor  del  castel  (la  donna  disse) 
Sempre  crudel,  sempre  inumano  e  fiero; 
Ma  tenne  un  tempo  ilcormalignoascosto, 
Né  si  lasciò  conoscer  cosi  tosto: 
45 

Che  mentre  duo  suoi  figli  erano  vivi, 
Molto  diversi  dai  paterni  stili, 
Ch'amavan  forestieri,  et  eran  schivi 


umana;   di  qualità  sovrumana.  V.  e.  viu, 
75,  n.  4. 

i'2.  6.  la  costuma  ria.   V.  e.  XIX,  66,  n.  6. 

43.  1.  Marganor.  K  nome  preso  dal  Jìret 
e  dal  Lancellot,  ma  in  questi  romanzi  è  un 
prode  e  leale  cavaliere. 

—  2.  il  tiran;  Troncamento  insolito  an- 
che in  poesia.  V.  e.  xvi,  7,  n.  4;  xix,  51, 
n.  8. 

—  5-6.  ma  il  fem.  piri  b.  ecc.  Osserva  qui 
la  unione  di  due  costrutti,  fatta  per  mezzo 
del  più  che  serve  per  due  confronti  :  brama 
il  sangue  umano,  e  inii  che  V  umano  in  ge- 
nere il  femminile  in  specie,  più  che  il  lupo 
non  brama  il  s.  de  l'ag.  Ma  questa  unione 
è  fatta  con  tanta  agilità,  che  appena  s'av- 
verte. 

44.  4.  il  conto;  il  racconto.  L'  usano  spe- 
cialmente gli  antichi  del  Dugento  e  Tre- 
cento. 

45.  2.  d.  p.  stili,  dallo  stile,  dal  costume 
paterno.  Cosi  usò  stile  nel  e.  xv,  90,  6. 
Stile  al  plurale  usò  il  Petrarca,  II,  son. 
44:  «  Né  dir  d'amore  in  stili  alti  e  ornati  ». 

—  3.  forestieri;  i  for. 


Di  crudeltade  e  degli  altri  atti  vili; 

Quivi  le  cortesie  fiorivan,  quivi 

I  bei  costumi  e  l'opere  gentili: 

Che  '1  padre  mai,  quantunque  avaro  fosse, 

Da  quel  che  lor  piacea  non  li  rimosse, 

46 
Le  donne  e  i  cavallier  che  questa  via 
Facean  talor,  venian  si  ben  raccolti, 
Che  si  partian  de  l'alta  cortesia 
Dei  duo  germani  inamorati  molti. 
Ameudui  questi  di  cavalleria 
Parimente  i  santi  ordini  avean  tolti: 
diandro  l'un,  l'altro  Tanacro  detto, 
Gagliardi,  arditi,  e  di  reale  aspetto. 

47 
Et  eran  veramente,  e  sarian  stati 
Sempre  di  laude  degni  e  d'ogni  onore, 
S' in  preda  non  si  fossino  si  dati 
A  quel  desir  che  nominiamo  amore; 
Per  cui  dal  buon  sentier  fur  traviati 
Al  labirinto  et  al  camin  d'errore; 
E  ciò  che  mai  di  buono  aveano  fatto, 
Restò  contaminato  e  brutto  a  un  tratto. 

48 
Capitò  quivi  un  cavallier  di  corte 
Del  Greco  Imperator,  che  seco  avea 
Una  sua  donna  di  maniere  accorte, 


46.  2.  raccolti,  accolti.  V.  e.  vii,  9,  u.  3. 

—  8.  Gagliardi,  arditi.  Il  Morali  stampa 
per  errore  :  gagliardi  e  arditi.  La  e  manca 
nell'ediz,  del  1532. 

47.  3.  SI  dati;  dati  tanto.  È  espressione 
ellittica  comunissima  ancora  nell'  uso:  com- 
pleta :  si  dati  come  veramente  si  dettero. 
E  anche  oggi  diremmo  :  sarebbe  più  ricco 
se  non  fosse  tanto  generoso:  e  anche:  sa- 
rebbe più  ricco  se  non  fosse  cosi  (tanto) 
generoso  (com'  è). 

—  6.  al  camin  d'errore,  al  cammino  del- 
l'errore; alla  via  dell'errore. 

48.  1.  Capitò  ecc.  Questa  storia,  come 
pure  il  principio  della  storia  di  Tanacro, 
sono  variante  d'  un  tema  comunissimo  nei 
romanzi  del  ciclo  Brettone.  Cosi  nel  Bret 
Tristano  ed  Isotta  capitano  in  una  torre, 
il  cui  padrone  ha  due  figli.  Uno  di  essi  s'in- 
namora d' Isotta,  vuol  rapirla  a  Tristano  e 
si  apposta  sul  suo  passaggio,  ma  è  ucciso. 
Veda  il  lettore  i  nuovi  elementi  Ariosteschi. 

—  3.  di  maniere  accorte.  Cosi  nel  C.  iv, 
72,  2.  11  Carducci  commentando  V  accorte- 
parole  del  Petrarca,  canz.  «  si  è  debile  il 
filo  »  dice:  —  Accorte  ha  oggidì  senso  noti 
cattivo,  ma  che  pare  alieno  da  cose  d'amo- 
i-e,  ove  non  c'entri  un  po'  di  civetteria.  Ma 
il  Petrarca  1'  ha  spesso  in  senso  gentile  e 
amoroso,  né  solo  egli  :  l'autore  delVIntellig. 
in  cosa,  ove  furberia  non  entra,  dice:  «  L'id- 
dìi chiamò  assai  pietosamente  Con  sue  pa- 
role assai  savie  ed  accorte  ».  Vocabolaristi 


504 


ORLANDO  FURIOSO 


Bella  quanto  bramar  più  si  potea. 
Cilandro  in  lei  s'inamorò  si  forte, 
Ctie  morir,  non  l'avendo,  gli  parea: 
Gli  parea  che  dovesse,  alla  partita 
Di  lei,  partire  insieme  la  sua  vita. 

49 
■  E  perché  i  prieghi  non  v'avriano  loco, 
Di  volerla  per  forza  si  dispose. 
Armossi,  e  dal  Castel  lontano  un  poco. 
Ove  passar  dovean,  cheto  s'ascose. 
L'usata  audacia  e  l'amoroso  faoco 
Non  gli  lasciò  pensar  troppo  le  cose: 
Si  che  vedendo  il  cavallier  venire, 
L'andò  lancia  per  lancia  ad  assalire. 
50 

Al  primo  incontro  credea  porlo  interra. 
Portar  la  donna  e  la  vittoria  in  dietro; 
Ma  '1  cavallier,  che  mastro  era  di  guerra, 
L'osbergo  gli  spezzò,  come  di  vetro. 
Venne  la  nuova  al  padre  ne  la  terra. 
Che  lo  fé'  riportar  sopra  un  feretro; 
E  ritrovandol  morto,  con  gran  pianto 
Gli  die  sepulcro  agli  antiqui  avi  a  canto. 
51 

Né  pili  però  né  manco  si  contese 
L'albergo  e  l'accoglienza  a  questo  e  a 

[quello. 
Perché  non  men  Tanacro  era  cortese. 
Né  meno  era  gentil  di  suo  fratello. 
L'anno  medesmo  di  lontan  paese 
Con  la  moglie  un  Baron  venne  al  castello, 
A  maraviglia  egli  gagliardo,  et  ella, 
Quanto  si  possa  dir,  leggiadra  e  bella; 
52 

Né  men  che  bella,  onesta  e  valoro.sa, 
E  degna  veramente  d'ogni  loda  : 
Il  cavallier,  di  stirpe  generosa. 
Di  tanto  ardir,  quanto  più  d'altri  s'oda. 
E  ben  convieiisi  a  tal  valor,  che  cosa 


o  altri  nulla  ci  dicono  che  faccia  al  caso. 
Da  questo  luogo  di  Dante,  Conv.  iv,  25, 
«  Dicere  che  la  nobile  natura  lo  suo  corpo 
abbellisca  e  faccia  compio  e  accorto,  non 
è  altro  dire  se  non  che  l'acconcia  a  perfe- 
zione d'ordine  »,  non  poti'ebbe  arguirsi  che 
accorto  avesse  anche  il  senso  del  decens 
lat.?  — 

—  5.  in  lei  s' in.  a  Innamorarsi  in  uno 
è  vivo  ancora  ed  è  bello,  perché  dice  T  in- 
tensità dell'affetto»  (Tommaseo). 

49.  8.  lancia  per  1.;  lancia  contro  lancia; 
avendo  lancia  contro  lancia.  Cosi  nel  canto 
XXXI,  91,  5,  «brando  per  brando»  e  nel 
e.  I,  61,  8,  abbiamo  in  significato  simile,  ma 
non  eguale,  «  testa  per  testa  ». 

rri.  2.  loda;  I^r  la  forma  cfr.  e  xv,  2, 
n.  1. 

—  1.  qnanto  più  d'a.  s'o.;  quanto  altri, 
di  cui  più  si  senta  parlare.  È  il  medesimo 
costrutto  notato  alla  st.  41,  2. 


Di  tanto  prezzo  e  si  eccellente  goda. 
Olindro  il  cavallier  da  Lungavilla; 
La  donna  nominata  era  Drusilla. 
53 

Non  men  di  questa  il  giovene  Tanacrc 
Arse,  che  '1  suo  fratel  di  quella  ardesse. 
Che  gli  fé'  gustar  fine  acerbo  et  acro 
Del  desiderio  ingiusto  eh'  in  lei  messe. 
Non  men  di  lui  di  violar  del  sacro 
E  santo  ospizio  ogni  ragione  elesse. 
Pili  tosto  che  patir  che  'i  duro  e  forte 
Nuovo  desir  lo  conducesse  a  morte. 
54 

Ma  perch'aveadinanzi  agli  occhi  il  tema 
Del  suo  fratel  che  n'era  stato  morto. 
Pensa  di  tórla  in  guisa,  che  non  tema 
Ch'  Olindro  s'abbia  a  vendicar  del  torto. 
Tosto  s'estingue  in  lui,  non  pur  si  scema 
Quella  virtù  su  che  solca  star  sorto; 
Che  non  lo  sommergean  dei  vizii  l'acque. 
De  le  quai  sempre  al  fondo  il  padre  giac- 
55  [que 

Con  gran  silenzio  fece  quella  notte 
Seco  raccor  da  vent'uomini  armati  ; 
E  lontan  dal  castel  fra  certe  grotte. 
Che  si  trovan  tra  via,  messe  gli  aguati. 
Quivi  ad  Olindro  il  di  le  strade  rotte 
E  chiusi  i  passi  fur  da  tutti  i  lati; 
E  ben  che  fé'  lunga  difesa  e  molta, 
Pur  la  moglie  e  la  vita  gli  fu  tolta. 
56 

Ucciso  Olindro,  ne  menò  captiva 
La  bella  donna,  addolorata  in  guisa, 


53.  3.  gli  fé  g.  ecc.;  pose  un  termine  pre- 
maturo e  crudele  al  desiderio  ingiusto,  che 
egli  concepì  per  lei  ;  ossia  :  fini  il  desiderio 
con  una  morte  crudele  e  prematura. 

54.  1.  il  tèma;  «  La  parola  tèma  significa 
soggetto,  argomento.  Pare  che  l' Ariosto 
mirasse  al  senso  cTOroscopo  o  Destino,  in 
cui  fu  presa  anche  delta  voce,  volendo  in- 
dicare che  Tanacro  avea  davanti  agli  occhi 
il  destino  del  fratello  ucciso;  oppure  la 
prese  nel  senso  di  lesione,  esempio  »  (Mo- 
llili). Cqsì  Suppositi,  Atto  V,  se.  0:  «questo 
mi  fia  tèma  e  regola  ».  Già  il  Monti  avvi- 
cinò i  due  esempi. 

—  6.  star  sorto,   slare  ancorato  contro  • 
le  burrasche  del  vizio.  Per  il  significato  cfr. 
e.  IV,  57,  11.  .5. 

—  7.  Che;  cosi  che.  V.  e.  i,  57,  u.  7. 

55.  2.  da  venti,  circa  venti. 

56.  1.  Ucciso  ecc.  Questa  seconda  parte 
del  racconto  è  un  rifacimento  e  un  amplia* 
mento  di  ciò  che,  sulle  tracce  di  Plutarco 
(fnlorno  alla  virtù  delle  donne),  dicono  il 
Barbaro  (De  re  uxoria,  2,  1)  e  il  Castiglione 
nel  Cortegiano  (1.  3.).  Il  Barbaro  racconta 
che  Sinalo  e  Siuorige,  signori  di  Gallia,  era- 
no intimi  amici,  binato  prese  in  moglie  Ca- 


CANTO  XXXVII 


505 


Ch'  a  patto  alcun  restar  non  volea  viva, 
E  di  grazia  chiedea  d'essere  uccisa. 
Per  morir  si  gittò  giù  d'una  riva 
Che  vi  trovò  sopra  un  vallone  assisa; 
E  non  potè  morir,  ma  con  la  testa 
Botta  rimase,  e  tutta  fiacca  e  pesta. 
57 

Altrimente  Tanacro  riportarla  ' 

A  casa  non  potè  che  s'una  bara. 
Fece  con  diligenzia  medicarla; 
Che  perder  non  volea  preda  si  cara. 
E  mentre  che  s'indugia  a  risanarla, 
Di  celebrar  le  nozze  si  prepara; 
Ch'aver  si  bella  donna  e  si  pudica 
Debbe  nome  di  moglie,  e  non  d'amica. 

58  [brama, 

Non  pensa  altro  Tanacro,  altro  non 
D'altro  non  cura,  e  d'altro  mai  non  parla. 
Si  vede  averla  offesa  e  se  ne  chiama 
In  colpa,  e  ciò  che  può,  fa  d'emendarla. 
*  Ma  tutto  è  invano:  quanto  egli  più  l'ama, 
^Quanto  più  s'affatica  di  placarla; 
Tant'ella  odia  più  lui,  tanto  è  più  forte 
Tanto  è  più  ferma  in  voler  porlo  a  morte. 
59 

Ma  non  però  quest'odio  cosi  ammorza 
La  conoscenza  in  lei,  che  non  comprenda 
Che,  se  vuol  far  quanto  disegna,  è  forza 
Che  simuli,  et  occulte  insidie  tend,a; 
E  che  '1  desir  sotto  contraria  scorza 
(Il  quale  è  sol,  come  Tanacro  offenda) 


nia,  Sinorige  se  ne  innamorò,  uccise  Sinato 
e  sposò  la  donna;  la  quale  si  Anse  lieta  di 
queste  nozze  per  vendicarsi.  Andati  nel 
tempio  di  Diana  per  consacrare  il  matri- 
monio, Cania  mesce  in  una  fiala  del  veleno, 
ne  beve  lei  e  ne  dà  a  bere  a  Sinorige.  Cania 
morente  si  rivolge  a  Diana  esprimendo  la 
sua  gioia  per  la  vendetta.  Nel  Cortegiano 
si  rivolge  anche  a  Sinato,  pregandolo  di 
accoglierla  seco. 

—  5.  riva,  ripa.  Cosi  Dante.  Inf.  17,  9: 
«  Ma  in  sulla  riva  non  trasse  la  coda  ».  V. 
e.  XIII,  46,  n.  7. 

—  6.  assisa;  posta.  Cosi  nel  xxxii,  3,  8; 
XLiv,  73,  3.  —  Ti,  in  quel  luogo,  dove  av- 
venne il  fatto. 

58.  3.  Si  vede  av.  ;  vede  sé  averla;  vede 
che  egli  1'  ha  off. 

—  4.  fa  d'  emendarla.  Intendo  :  fa  ciò  che 
può,  da  emendarla;  in  modo  da  emendarla. 
L'Ar.  apostrofa  spessissimo  il  da;  cfr.  e.  v, 
10,  n.  5.  Ma  potrebbe  anche  esservi  la  fu- 
sione di  due  costrutti  (ii,  (ì;  xvi,  46,  n.  2):  fa 
ciò  che  può  per  emendarla  —  fa  di  emen- 
darla. Fare  per  fare  iti  modo  è  comune  e 
si  costruisce  appunto  con  di. 

59.  5.  sotto  contr.  se  ;  sotto  apparenza 
diversa  dal  vero;  desiderio  d'amore  non 
d'offesa. 

—  6.  Il  quale  ;  Si  riferisce  a  desir.  Nota 


Veder  gli  faccia;  e  che  si  mostri  tolta 
Dal  primo  amore,  e  tutto  a  lui  rivolta. 
60 

Simula  il  viso  pace;  ma  vendetta 
Chiama  il  cor  dentro,  e  ad  altro  non  at- 
Molte  cose  rivolge,  alcune  accetta,  [tende. 
Altre  ne  lascia,  et  altre  in  dubbio  appende. 
Le  par  che  quando  essa  a  morir  si  metta. 
Avrà  il  suo  intento;  e  quivi  al  fin  s'appren- 
E  dove  meglio  può  morire,  o  quando,  [de. 
Che  '1  suo  caro  marito  vendicando  ? 
61 

Ella  si  mostra  tutta  lieta,  e  finge 
Di  queste  nozze  aver  sommo  disio; 
E  ciò  che  può  indugiarle,  a  dietro  spinge, 
Non  ch'ella  mostri  averne  il  cor  restio. 
Più  de  l'altre  s'adorna  e  si  dipinge: 


il  forzato  distacco.  —  come  T.  off.  Penso  che 
sia  propos.  predicativa,  e  il  come  sia  per 
che:  il  quale  è  solo  che  Tan.  offenda,  di 
offender  T.  (V.  e.  i,  38,  n.  6).  Regolarmente 
come  per  die  si  usa  coi  verbi  dire,  dichia- 
rare, mostrare,  conoscere,  comprendere 
e  simili.  Qui  dunque  avremmo  un  uso  sin- 
golare. Altrimenti  bisogna  supporvi  una 
brachilogia:  il  quale  è  solo  di  trovar  modo 
come  T.  off. 

—  8.  e  tutto.  Cosi  l'ediz.  del  1532  e  cosi 
le  pili  antiche  e  le  migliori.  rwMo  dunque 
è  avverbio  e  vale  interamente.  Cosi,  ma 
in  modo  meno  spiccato,  il  Boccaccio  Fi- 
locol.  2,  105,  citato  dal  Gherardini  :  «  Ac- 
ciocché non  paia  che  io  voglia  tutto  ogni 
cosa  fare  a  mia  maniera  ». 

60.  3.  rivolge,  seco  stessa,  nell'animo. 

—  4.  in  dubbio  appende,  sospende,  lascia 
in  dubbio.  È  immagine  non  chiara,  ed  è 
locuzione  non  citata  dai  vocabolari. 

—  5.  a  morir  si  metta;  a  morir  si  di- 
sponga. È  maniera  ardita  e  forse  nuova, 
ma  che  ha  riscontro  in  altre  simili,  come 
mettersi  al  brutto,  mettersi  al  buono,  al 
cattivo  ecc. 

—  6.  quivi,  a  ciò.  Non  trovo  nei  voca- 
bolari esempio  di  quivi  riferito  a  cosa, 
invece  che  a  luogo:  questo  quindi  è  molto 
notevole. 

—  7.  E  dove...  0  quando;  in  quale  altro 
luogo  e  in  quale  altro  tempo  potrà  morir 
meglio  che  qui,  e  ora  che  può  far  vendetta 
del  marito? 

61.  4.  Non  ch'ella  ecc.;  non  solamente 
ella  non  mostra  d'avere  il  e.  restio  di  que- 
sto ;  ma  spinge  addietro  ciò  che  può  ind. 
V.  e.  VII,  62,  n.  I.  Restio  di  è  costruzione 
usata  dall'Ar.  nel  e.  xxxiv,  27.  .E  sarà  più 
semplice  interpretare  cosi,  che  dare  al  ne 
il  significato  di  a  ciò. 

—  5.  Pili  de  l'altre  spose  novelle  :  si  abbi- 
glia più  di  quanto  sogliono  le  spose  novelle. 


506 


ORLANDO  FURIOSO 


Olindro  al  tutto  par  messo  in  oblio; 
Ma  che  sian  fatte  queste  nozze  vuole, 
Come  ne  la  sua  patria  far  si  suole. 
62 

Non  era  però  ver  che  questa  usanza 
Che  dir  volea,  ne  la  sua  patria  fosse: 
Ma,  perché  in  lei  pensier  mai  non  avanza, 
Che  spender  possa  altrove,  imaginosse 
Una  bugia,  la  qual  le  die  speranza 
Ui  far  morir  chi  '1  suo  signor  percosse: 
E  disse  di  voler  le  nozze  a  guisa 
De  la  sua  patria;  e  '1  modo  gli  devisa, 
63 

La  vedovella  che  marito  prende. 
Deve,  prima  (dicea)  eh'  a  lui  s'appresse, 
Placar  l'alma  del  morto  ch'ella  offende, 
Facendo  celebrargli  offici  e  messe, 
In  remissiou  de  le  passate  mende. 
Nel  tempio  ove  di  quel  son  l'ossa  messe; 
E  dato  fin  ch'ai  sacrificio  sia, 
Alla  sposa  l'annel  lo  sposo  dia: 
64 

Ma  ch'abbia  in  questo  mezzo  il  sacer- 
Sul  vino  ivi  portato  a  tale  effetto      [dote 
Appropriate  orazion  devote, 
Sempre  il  liquor  benedicendo,  detto; 
Indi  che  '1  fiasco  in  una  coppa  vote, 
E  dia  alli  sposi  il  vino  benedetto: 


Ci.  3.  Ma  perché  ecc.  Ma  perché  ella  era 
sempre  e  tutta  occupata  solo  in  quest'  ar- 
gomento e  in  questi  pensieri,  le  riuscì  in- 
ventare una  bugia  ecc.  Questo  è  detto  per 
dimostrare  che  l'amore  intenso  la  rese  in- 
dustre  e  acuta.  —  avanza.  È  metafora  tolta 
dall'uso  del  danaro,  come  puoi  vedere  dal 
seguente  spendere:  non  le  avanza  mai  un 
pensiero  da  spendere  per  altro  clie  per  Olin- 
dro; per  ciò  lungamente  pensando  riusci 
a  trovare  un'  opportuna  bugia. 

—  8.  devisa,  divisa,  dichiara.  V.  e.  xxxvi, 
83,  5. 

63.  7.  dato  fin  che...  sìa;  Più  regolarmen- 
te: dato  che  sia  line  al  sacntizio.  È  uso 
comunissimo, nella  nostra  lingua,  nelleprop. 
temporali  interporre  il  cìie  fra  il  participio 
passato  e  l'ausiliare  (essere  o  avere).  V. 
1<"0RNAC!AU1,   S.  p.  370. 

—  8.  dia.  O  è  imperativo  che  vale  deve 
dare;  o  bisogna  rilevare  dal  precedente 
(/^ue  del  v.  2  un  è  costume,  bisogna  o  si- 
mili. Quantunque  più  sem|)lice  la  prima  in- 
terpetrazione,  credo  la  seconda  più  confa- 
cente allo  stile  dell'Ar.  Dicasi  lo  stesso  dei 
congiuntivi  della  st.  seguente. 

64.  2.  a  tale  effetto,  per  tal  fine;  cioè 
perché  vi  sian  dette  sopra  le  rituali  pre- 
ghiere. 

—  4.  Sempre  il  1.  bened.,  sempre,  durante 
la  recita  delle  orazioni,  deve  benedirlo  con 
segni  di  croce  o  con  l'acqua  santa. 


Ma  portare  alla  sposa  il  vino  tocca, 
Et  esser  prima  a  porvi  su  la  bocca. 
65 
Tanacro,  che  non  mira  quanto  importe 
Ch'ella  le  nozze  alla  sua  usanza  faccia, 
Le  dice:  Pur  che  '1  termine  si  scórte 
D'essere  insieme,  in  questo  si  compiaccia. 
Né  s'avvede  il  meschin  ch'essa  la  morte 
D'  Olindro  vendicar  cosi  procaccia, 
E  si  la  voglia  ha  in  uno  oggetto  intensa. 
Che  sol  di  quello,  e  mai  d'altro  non  pensa. 
66 
Avea  seco  Drusilla  una  sua  vecchia, 
Che  seco  presa,  seco  era  rimasa. 
A  sé  chiamolla,  e  le  disse  all'orecchia. 
Si  che  non  potè  udire  uomo  di  casa: 
Un  subitano  tosco  m'apparecchia, 
Qual  so  che  sai  comporre,  e  me  lo  invasa; 
C  ho  trovato  la  via  di  vita  torre 
Il  traditor  figliuol  di  Marganorre. 
67 
E  me  so  come,  e  te  salvar  non  meno: 
Ma  differisco  a  dirtelo  più  ad  agio. 
Andò  la  vecchia,  e  apparecchiò  il  veneno, 
j  Et  acconciollo,  e  ritornò  al  palagio. 
Di  vin  dolce  di  Cundia  un  fiasco  pieno 
I  Trovò  da  por  con  quel  succo  malvagio, 
j  E  lo  serbò  pel  giorno  de  le  nozze; 
I  Ch'ornai  tutte  l' indugie  erano  mozze. 


65.  1.  non  mira;  non  scorge,  non  riesce 
a  penetrare.  È  simile,  non  uguale  a  quel 
di  Dante,  Inf.  9,  62:  «  Mirate  la  dottrina  che 
s'asconde  Sotto  il  velame  delli  versi  strani  ». 
—  quanto  importe,  che  importanza  abbia 
per  lui. 

—  7.  E  81  ecc.  Ed  ha  la  volontà  cosi  fis- 
samente rivolta  (intensa)  in  un  solo  og- 
getto, ad  una  sola  cosa.  Intenso  l'A.  usò 
in  questo  signilicato  pur  nella  Sat.  1,  186: 
■«  Non  aver  se  non  qui  la  voglia  intensa  ». 
E  il  Petrarca  I,  son.  199  :  «  In  quel  bel  viso  .. 
Fermi  eran  gli  occhi  desiosi  e  'ntensi  ». 
Purei  Latini  dal  verbo  intendo  ebbero  i 
due  participi  inte>itus  e  iìitensus.  —  I  versi 
7  e  8  possono  riferirsi  ugualmente  alla  sposa 
e  a  Tanacro:  nell'una  la  volontà  sarebbe' 
intenta  solo  alla  vendetta,  nell'  altro  solo 
al  possesso  della  donna:  e  l'uno  e  l'altra 
egualmente  hanno  1'  anima  occupata  d'  un 
solo  pensiero:  cfr.  st.  58,  1-2;  62,  3-4. 

66.  5.  subitano,  che  operi  subito.  Cosi  usò 
subitano  veleno  il  Firenzuola,  As.  294. 

—  6.  me  lo  invasa;  mettimelo  in  un  vaso. 
V.  e  XXIX,  72,  11.  5. 

—  7.  la  via  di  vita  t.  ;  manca  un  di  ;  la  via 
di  torre  di  vita.  V.  e.  n,  72,  n.  3. 

67.  6.  Trovò.  Il  soggetto  è  la  sposa;  ma 
bisogna  rilevarlo  dal  contesto.  Per  la  sin- 
tassi dovi-ebb'  essere  sempre  la  vecchia. 

—  8.  indngie;  indugi.  V.  e.  xn,  40,  n.  4. 


CANTO  XXXVII 


507 


fi8 

Lo  statuito  giorno  al  tempio  venne, 
Di  gemme  ornata  e  di  leggiadre  gonne; 
Ove  d'Olindro,  come  gli  convenne, 
Fatto  avea  l'arca  alzar  su  due  colonne. 
Quivi  l'officio  si  cantò  solenne: 
Trasseno  a  udirlo  tutti,  uomini  e  donne; 
E  lieto  Marganor  più  de  l'usato, 
Venne  col  figlio  e  con  gli  amici  a  lato. 
60 

Tosto  ch'ai  fin  le  sante  esequie  foro, 
E  fu  col  tosco  il  vino  benedetto, 
Il  sacerdote  in  una  coppa  d'oro 
Lo  versò,  come  avea  Drusilla  detto. 
Ella  ne  bebbe  quanto  al  suo  decoro 
.Si  conveniva  e  potea  far  l'effetto: 
Poi  die  allo  sposo  con  viso  giocondo 
Il  nappo;  e  quel  gli  fé'  apparire  il  fondo. 
70 

Renduto  il  nappo  al  sacerdote,  lieto 
Per  abbracciar  Drusilla  apre  le  braccia. 
Or  quivi  il  dolce  stile  e  mansueto 
In  lei  si  cangia  e  quella  gran  bonaccia. 
Lo  spinge  a  dietro,  e  gli  ne  fa  divieto. 


Ogni  indugio  veniva  mozzo,  tolto  via  dalla 
premura  di  Tauacro. 

68.  3.  come  gli  convenne.  Nessun  commen- 
tatore dice  una  parola;  ma  è  luogo  non  chia- 
ro. Intanto  il  £/;ì,  quantunque  potrebbe  anche 
riferirsi  alla  donna  (xi,  37,  .óì,  dovremo  ri- 
ferirlo a  un  maschile,  se  il  senso  io  per- 
mette: dunque  o  a  Olindro  o  a  Tanacro. 
Riferito  a  OUndro  sarà  un  perfetto  storico, 
come  abbiamo  nel  e.  xxvii,  52,  2  (Qual  si 
convenne  a  donna  ed  a  guerriera),  e  iu- 
tendei'emo  :  la  donna  avea  fatto  alzar  Parca 
d'  Olindro  sopra  due  colonne,  come  a  lui 
conveniva,  in  modo  a  lui  conveniente,  de- 
coroso. Ricordando  l'amore  delI'Ar.  per  gli 
arcaismi  potremmo  anche  intendere:  come 
la  donna  a  lui  in  suo  cuore  promise  per 
onorarlo  e  vendicarlo  insieme.  GUittonk, 
Rime,  1,  67:  «  Del  gran  dolcior,  che  al  boiio 
ha  Dio  convento  {convenuto,  promesso)  ». 
Riferendolo  a  Tanacro,  intenderemo:  dove 
Tanacro  avea  fatto  alzar  s.  d.  e.  V  arca  d'O. 
come  gli  fu  necessario  fare  per  compiacere 
la  sposa.  Questa  sarebbe  T  interpretazione 
più  confacente  al  contesto;  poiché  dar  tale 
ordine,  a  lui  più  che  alla  futura  sposa  si 
conveniva.  Farebbe  forse  ditlicoltà  supplire 
il  soggetto?  -Hai  vicino  il  raffronto.  Nella 
st.  precedente  il  trovò  è  nelle  medesime 
condizioni;  e  lo  stesso  vedrai  nel  e.  xx,  108, 
7.  —  Se  intendi  il  gli  per  le  ne  leverai  un 
senso  meno  chi;\ro  e  meno  conveniente. 

—  6.  Trasseno,  Trassero.  V.  e.  vii,  63, 
n.  8. 

69.  5.  q.  al  s.  decoro  ecc.;  ne  bevve  poco 
come  conviene  al  decoro  di  una  donna,  ma 
tanto  quanto  facesse  l'effetto. 


E  par  ch'arda  negli  occhi  e  ne  la  faccia; 
E  con  voce  terribile  e  incomposta 
Gli  grida:  Traditor,  da  me  ti  scosta. 
71 
Tu  dunque  avrai  da  me  solazzo  e  gioia, 
Io  lagrime  da  te,  martiri  e  guai  ? 

10  vo'  per  le  mie  man  ch'ora  tu  muoia: 
(Questo  è  stato  venen,  se  tu  noi  sai. 
Ben  mi  duol  e'  hai  troppo  onorato  boia. 
Che  troppo  lieve  e  facil  morte  fai; 
Che  mani  e  pene  io  non  so  si  nefande. 
Che  fosson  pari  al  tuo  peccato  grande. 

72 
Mi  duol  di  non  vedere  in  questa  morte 

11  sacrificio  mio  tutto  perfetto: 

Che  s'io  '1  poteva  far  di  quella  sorte 
Ch'era  il  disio,  non  avria  alcun  difetto. 
Di  ciò  mi  scusi  il  dolce  mio  consorte: 
Riguardi  al  buon  volere,  e  l'abbia  accetto; 
Che  non  potendo,  come  avrei  voluto, 

10  t'  ho  fatto  morir  come  ho  potuto. 

73 
E  la  punizion  che  qui,  secondo 

11  desiderio  mio,  non  posso  darti, 
Spero  l'anima  tua  ne  l'altro  mondo 
Veder  patire;  et  io  starò  a  mirarti. 
Poi  disse,  alzando  con  viso  giocondo 
I  turbidi  occhi  alle  superne  parti  : 
Questa  vittima,  Olindro,  in  tua  vendetta 
Col  bnon  voler  de  la  tua  moglie  accetta; 

74 
Et  impetra  per  me  dal  Signor  nostro 
Grazia,  ch'in  Paradiso  oggi  io  sia  teco. 
Se  ti  dirà  che  senza  merto  al  vostro 
Regno  anima  non  vien,  di' ch'io  l'ho  meco; 
Che  di  questo  empio  e  scelerato  mostro 
Le  spoglie  opime  al  santo  tempio  arreco. 
E  che  merti  esser  puon  maggior  di  questi, 
Spenger  si  brutte  e  abominose  pesti? 


70.  7.  incomposta:  Si  disse  spesso  della 
voce  per  indicare  eh'  è  fuori  dell'  ordinario, 
sia  per  forza  che  per  asprezza. 

71.  5.  t.  0.  boia;  la  donna  stessa;  {boia 
dal  gr.  brìeia,  aggett.  neutr.  plur.;  stringhe 
di  cuoio  bovino  da  stringere,  per  punizione, 
il  collo  agli  schiavi). 

—  6.  Che;  È  dipendente  da  mi  duol;  e 
cosi  credo  pure  del  che  del  v.  seguente.  La 
ripetizione  da  movimento  e  passione  a  que- 
sto luogo. 

72.  2.  tutto  perfetto;  fatto  cioè  con  quella 
crudeltà,  che  conveniva  a  te  ed  era  mio  de- 
siderio. 

73.  4.  Veder  patire.  Ha  per  complemento, 
diretto  la  punizione  del  v.  l. 

—  S.  Col  b.  voler  ecc.  ;  accetta  il  sacri- 
fizio qual  è,  ed  anche  il  buon  volere  di  tua 
moglie  che  fosse  ancor  più  crudele. 

74.  6.  1.  spoglie  op.  V.  e.  xiii,  3,  n.  6. 

—  7.  ohe,  quali.  V.  e.  xiii,  3,  n.  7. 


508 


ORLANDO  FURIOSO 


75 
Fini  il  parlare  insieme  con  la  vita; 
E  morta  anco  parea  lieta  nel  volto 
D'aver  la  crudeltà  cosi  punita 
Di  chi  il  caro  marito  le  avea  tolto. 
Non  so  se  prevenuta,  o  se  seguita 
Fu  da  lo  spirto  di  Tanacro  sciolto. 
Fu  prevenuta,  credo;  cli'eft'etto  ebbe 
Prima  il  veneno  in  lui,  perché  più  bebbe. 

7G 
Marganor  che  cader  vede  il  figliuolo, 
E  poi  restar  ne  le  sue  braccia  estinto, 
Fu  per  morir  con  lui,  dal  grave  duolo 
Ch'alia  sprovista  lo  trafisse,  vinto. 
Duo  n'ebbe  a  un  tempo, or  si  ritrova  solo: 
Due  temine  a  quel  termine  1'  han  spinto. 
La  morte  a  l'un  da  l'una  fu  causata; 
E  l'altra  all'altro  di  sua  man  l'ha  data. 

77 
Amor,  pietà,  sdegno,  dolore  et  ira. 
Disio  di  morte  e  di  vendetta  insieme 
Queir  infelice  et  orbo  padre  aggira. 
Che,  come  il  mar  che  turbi  il  vento,  freme. 
Per  vendicarsi  va  a  Drusilla,  e  mira 
Che  di  sua  vita  ha  chiuse  l'ore  estreipe; 
E  come  il  punge  e  sferza  l'odio  ardente, 
Cerca  offendere  il  corpo  che  non  sente. 

78 
Qual  serpe  che  ne  l'asta  ch'alia  sabbia 
La  tenga  fissa,  indarno  i  denti  metta; 
O  qual  mastin  ch'ai  ciottolo  che  gli  abbia 
Gittato  il  viandante,  corra  in  fretta, 
E  morda  in  vano  con  stizza  e  con  rabbia, 
Né  se  ne  voglia  andar  senza  vendetta; 
Tal  Marganor  d'ogni  mastin, d'ogni  angue 
Via  più  crudel,fa  centra  il  corpo  esangue. 

79 
E  poi  che  per  stracciarlo  e  farne  scem- 
Non  si  sfoga  il  fellon  né  disacerba,     jpio 
Vien  fra  le  donne  di  che  è  pieno  il  tempio, 
Né  più  l'una  de  l'altra  ci  riserba; 
Ma  di  noi  fa  col  brando  crudo  et  empio 
Quel  che  fa  con  la  falce  il  villan  d'erba. 
Non  vi  fu  alcun  ripar,  eh'  in  un  momento 
Trenta  n'uccise,  e  in-  feri  ben  cento. 

Egli  da  la  sua  gente  è  si  temuto, 
Ch'uomo  non  fu  ch'ardisse  alzar  la  testa. 


76.  4.  alla  sprov.;  improvvisamente. 

77.  1.  sdegno...  ira;  lo  sdegno  accenna  al 
disitrezzo  della  persona  o  della  cosa;  l'ira 
è  impeto  di  breve  furore. 

—  5.  mira,  vede.  V.  e.  xii,  S,  n.  8. 

—  7.  come,  poiché.  V.  e.  vi,  21,  n.  7. 

78.  7.  Tal,  cosi.  V.  e.  XLV,  40,  1. 

7!).  1.  per  str.;  per  quanto  la  stracci.  V. 
e.  XV,  69,  n.  6. 

—  4.  ci  riserba;  ci  risparmia.  Villani, 
12,  42:  «  Xou  riserbando  dignità»  e  Pucfi, 
Gentil.  :  «  Chiusi  ed  orti  e  Xepi  non  riserbo  ». 


Fuggon  le  donne  col  popol  minuto 
Fuor  de  la  chiesa,  e  chi  può  uscir,  non  re- 
Quel  pazzo  impeto  al  fin  fu  ritenuto  [sta. 
Dagli  amici  con  prieghi  e  forza  onesta, 
E  lasciando  ogni  cosa  in  pianto  al  basso. 
Fatto  entrar  ne  la  ròcca  in  cima  al  sasso 
81 

E  tuttavia  la  colera  durando. 
Di  cacciar  tutte  per  partito  prese  ; 
Poi  che  gli  amici  e  '1  popolo  pregando. 
Che  non  ci  uccise  a  fatto,  gli  contese  : 
E  quel  medesmo  di  fé'  andare  un  bando, 
Che  tutte  gli  sgombrassimo  il  paese; 
E  darci  qui  gli  piacque  le  confine. 
Misera  chi  al  Castel  più  s'avvicine  ! 
82 

Da  te  mogli  cosi  furo  i  mariti. 
Da  le  madri  cosi  i  figli  divisi. 
S'alcuni  sono  a  noi  venire  arditi, 
Noi  sappia  già  chi  Marganor  n'avvisi; 
Che  di  multe  gravissime  puniti 
N'  ha  molti,  e  molti  crudelmente  uccisi. 
Al  suo  castello  ha  poi  fatto  una  legge, 
Di  cui  peggior  non  s'ode  né  si  legge. 
83 

Ogni  donna  che  trovin  ne  la  valle, 
La  legge  vuol  (ch'alcuna  pur  vi  cade) 
Che  percuotan  con  vimini  alle  spalle, 
E  la  faccian  sgombrar  queste  contrade: 
Ma  scorciar  prima  i  panni,  e  mostrar  falle 
Quel  che  Natura  asconde  et  Onestade; 
E  s'alcuna  vi  va  ch'armata  scorta 
Abbia  di  cavailier,  vi  resta  morta. 


80.  6.  f.  onesta;  rispettosa.  Ricorda  il 
■parlando  onesto  di  Dante,  Inf.,  e.  10,  23. 

—  8.  Fatto  entrar;  10  retto  dal  fa  del  v. 
5;  ma  si  deve  rilevare  dal  contesto  un  nuo- 
vo soggetto  egli.  È  un  ardimento  anche  più 
notevole   di   quello   rilevato   alle   st.  67,  6; 

81.  4.  a  fatto;  tutte  quante.  Generalmente 
a  fatto  significa  senza  scelta  e  distinzione. 
Riferito  a  numero,  come  qui,  non  ha  nei 
vocabolari  esempil^en  chiari.  —  gli  conteac. 
Per  il  singolare  cfr.  e.  ix,  82,  n.  8.  Ma  qui 
pili  che  un  nuovo  esempio  da  aggiungere 
a  quelli,  è  forse  da  vedervi  l'azione  princi- 
pale di  popolo,  che  ha  fatto  dimenticare 
gli  amici. 

—  5.  andare  un  bando;  pubblicarsi  un 
bando,  un  avviso.  K  modo  molto  amato  da- 
gli antichi.  Sacchetti,  1,  288:  «  Per  alcun 
caso  convenne  andare  un  bando  ». 

—  7.  le  confine,  i  conlìni.  V.  e.  xxxv, 
62,  n.  5. 

82.  3.  venire,  di  venire. 

—  5.  multe;  Qui  forse  vale  pene.  V.  e. 
XXIII,  3,  n.  4. 

83.  2.  vi  cade;  vi  capita  per  sua  sventura. 
È  significato  ancor  vivo  e  bello. 


CANTO  XXXVII 


509 


84 

Quelle  e' hanno  per  scorta  cavallieri, 
Son  da  questo  nimico  di  pietate, 
Come  vittime,  tratte  ai  cimiteri 
Dei  morti  figli,  e  di  sua  man  scannate. 
Leva  con  ignominia  arme  e  destrieri, 
E  poi  caccia  in  prigion  chi  l'ha  guidate: 
E  Io  può  far;  che  sempre  notte  e  giorno 
Si  trova  più  di  mille  uomini  intorno. 
85 

E  dir  di  più  vi  voglio  ancora,  ch'esso, 
S'alcun  ne  lascia,  vuol  che  prima  giuri 
Su  l'ostia  sacra,  che  '1  femineo  sesso 
In  odio  avrà,  fin  che  la  vita  duri. 
Se  perder  queste  donne  e  voi  appresso 
Dunque  vi  pare,  ite  a  veder  quei  muri 
Ove  alberga  il  fellone,  e  fate  prova 
S' in  lui  più  forza  o  crudeltà  si  trova. 
86 

Cosi  dicendo,  le  guerriere  mosse 
Prima  a  pietade,  e  poscia  a  tanto  sdegno. 
Che  se,  com'era  notte,  giorno  fosse, 
Sarian  corse  al  castel  senza  ritegno. 
La  bella  compagnia  quivi  pososse; 
E  tosto  che  l'Aurora  fece  segno 
Che  dar  dovesse  al  sol  loco  ogni  stella, 
Kipigliò  l'arme  e  si  rimesse  in  sella. 
87 

Già  sendo  in  atto  di  partir  s'udirò 
Le  strade  risonar  dietro  le  spalle 
D'un  lungo  calpestio,  che  gli  occhi  in  giro 
Fece  a  tutti  voltar  giù  ne  la  valle: 
E  lungi  quanto  esser  potrebbe  un  tiro 
Di  mano,  andar  per  uno  istretto  calle 
Vider  da  forse  venti  armati  in  schiera, 
Di  che  parte  in  arcion,  parte  a  pied'era; 
88 

E  che  traean  con  lor  sopra  un  cavallo 


1  Donna  ch'ai  viso  aver  parca  molt'anni, 
]  A  guisa  che  si  mena  un  che  per  fallo 
;  A  fuoco  0  a  ceppo  o  a  laccio  si  condanni: 
j  La  qual  fu,  non  ostante  l' intervallo, 
j  Tosto  riconosciuta  al  viso  e  ai  panni. 
La  riconobber  queste  de  la  villa 
Esser  la  cameriera  di  Drusilla: 
89 
La  cameriera  che  con  lei  fu  presa 
Dal  rapace  Tanacro,  come  ho  detto, 
Et  a  chi  fu  di  poi  data  l' impresa 
Dì  quel  venen  che  fé'  '1  crudele  effetto. 
Non  era  entrata  ella  con  l'altre  in  chie.'<a; 
Che  di  quel  che  segui  stava  in  sospetto  : 
Anzi  in  quel  tempo  de  la  villa  uscita. 
Ove  esser  sperò  salva,  era  fuggita. 
90 
Avuto  Marganor  poi  di  lei  spia. 
La  qual  s'era  ridotta  in  Ostericche, 
Non  ha  cessato  mai  di  cercar  via 
Come  in  man  l'abbia,  acciò  l'abbruci   o 
E  finalmente  l'Avarizia  ria,      [impicche: 
Mossa  da  doni  e  da  proferte  ricche. 
Ha  fatto  ch'un  Baron,  ch'assicurata 
L'avea  iu  sua  terra, a  Marganor  l'ha  data: 
91 
E  mandata  glie  1'  ha  fin  a  Costanza 
Sopra  un  somier,  come  la  merce  s'usa, 
Legata  e  stretta,  e  toltole  possanza 
Di  far  parole,  e  in  una  cassa  chiusa: 
Onde  poi  questa  gente  l' ha  ad  istanza 
De  l'uom  ch'ogni  pietade  bada  sé  esclusa, 
Quivi  condotta  con  diseguo  ch'abbia 
L'empio  a  sfogar  sopra  di  lei  sua  rabbia. 
92 
Come  il  gran  fiume  che  di  Vèsulo  esce, 
Quanto  più  inanzi  e  versoilmardiscende, 
E  che  con  lui  Lambra  e  Ticin  si  mesce, 


84.  3,  cimiteri,  tombe.   V.  e.  ni,  12,  n.  1. 

85.  6.  vi  pare,  vi  par  bene,  vi  pare  op- 
portuno. Parere  come  i  corrispondenti  ver- 
bi latini  e  greci,  pigliano  talvolta  questo 
significato:  Dante,  Inf.  16,  90:  «Perché  al 
maestro  parve  di  partirsi  ».  Nota  che  pure 
il  costrutto  è  latino:  si  vobis  videtur  per- 
dere. 

86.  3.  fosse;  fosse  stato.  È  il  solito  pas- 
saggio da  un  tempo  a  un  altro,  che  ab- 
biamo tante  volte  notato.  V.  e.  i,  81,  n.  3. 

87.  1.  8' udirò;  udirò  a  sé;  udirono  riso- 
nare, dietro  le  loro  spalle,  le    strade  ecc. 

—  5-6.  un  tiro  di  mano.  Come  si  dice  un 
tiro  di  schioppo,  cosi  si  disse  un  tiro  di 
mano  per  indicare  ciò  che  più  completa- 
mente Dante  disse,  Purg.  3,  69:  «  Quanto 
un  buon  gittator  trarrla  con  mano»;  e 
l'Ar.  Il,  47,  8:  «Quanto  in  due  volte  si  può 
Irar  con  mano  ». 

—  7.  da  f.  venti,  circa  forse  venti.  V.  e. 
xiii,  32,  a.  7. 


88.  3.  A  guisa  che;  nel  modo  che,  come. 
Dante,  Conv.  215;  «  La  divina  virtù  a  guisa 
che  discende  nell'angiolo  discende  iu  lei  ». 

—  7.  villa;  V.  st.  35,  n.  1. 
S9.  3.  a  chi,  a  cui. 

—  6.  Che;  Forse  è  relativo  di  ella  del  v. 
precedente. 

90.  1.  spia;  indizio.  V.  e.  vir,  31,  n.  8. 

—  2.  Osterfcche.  Daxtk  Inf.  32,  26,  Oste- 
ric.  Tedesco  Oesterreic/i,  Austria. 

91.  3-4.  e  toltole e   in   u.  e.  chiusa.   È 

un'  endiadi  :  e  toltole  possanza  di  far  pa- 
role chiudendola  perciò  in  una  cassa. 

92.  1.  Vèsulo;  monte  Veso,  Monviso,  latin. 
Vesidus.  11  fiume  è  il  Po. 

—  3.  E  che  e.  lui  ecc.  Cosi  spiegherei 
questo  anacoluto:  dopo  il  v.  2  il  Poeta,  tra- 
scinato dal  quanto,  che  dà  all'orecchio 
r  illusione  d'  un  qtiando,  continua  come  se 
avesse  detto:  quando  più  innanzi  e  verso  il 
mar  discende  e  quando  (cfr.  e.  iv,  60,  n.  5) 
con  lui  il  Lambro  e  il  Ticino  si  m. 


510 


ORLANDO  FURIOSO 


Et  Adda  e  gli  altri  onde  tributo  prende, 
Tanto  più  altiero  e  impetiioso  cresce; 
Cosi  Ruggier,  quante  più  colpe  intende 
Ui  Marganor,  cosi  le  due  guerriere 
Se  gli  fan  contra  più  sdegnose  e  fiere. 
93 

Elle  fur  d'odio,  elle  fur  d' ira  tanta 
Contra  il  crude],  per  tante  colpe,  accese, 
Che  di  punirlo,  mal  grado  di  quanta 
Gente  egli  avea,  conclusìon  si  prese. 
Ma  dargli  presta  morte  troppo  santa 
Pena  lor  parve  e  indegna  a  tante  offese; 
Et  era  meglio  fargliela  sentire, 
Fra  strazio  prolungandola  e  martire. 
94 

Ma  prima  liberar  la  Donna  è  onesto. 
Che  sia  condotta  da  quei  birri  a  morte. 
Lentar  di  briglia  col  calcagno  presto 
Fece  a'  presti  destrier  far  le  vie  corte. 
Non  ebbon  gli  assaliti  mai  di  questo 
Uno  incontro  più  acerbo  né  più  forte; 
Si  che  hau  di  grazia  di  lasciar  gli  scudi 
E  la  Donna  e  l'arnese,  e  fuggir  nudi: 


93.  3.  mal  grado  ecc.;  a  dispetto  di  q.  g. 
E  diverso  da  quello  del  e.  xxvii,  17,  7. 

—  4.  conci,  si  prese;  si  concluse.  Comu- 
uem.  fare  conclusione,  venire  a  conci. 
L'Ar.  forse  ebbe  in  mente  ■prendere  una 
risoluzione;  di  qui  il  nuovo  modo. 

—  5.  tr.  santa;  tr.  mite.  Come  l'Ariosto 
potè  usarlo  in  questo  senso?  Forse  intese 
dire:  una  pena  cosi  mite,  quale,  non  gli 
uomini  comuni,  ma  i  santi,  sempre  pronti 
al  perdono,  gli  avrebbero  data.  —  O  forse 
un  supplizio  cosi  mite,  che,  in  confronto  a 
quello  che  Marg.  meritava,  sarebbe  conve- 
nuto a  un  santo. 

—  6.  indegna  a  t.  off.;  sproporzionata  a 
t.  off.  Nel  e.  XXVI,  97,  2,  abbiamo  indegna 
a  un  uomo  forte  per  sconveniente  a  un 
u.  f.  Del  primo  significato  non  fanno  parola 
i  vocabolari:  ed  è  sfuggito  anche  alla  N. 
Crusca. 

—  7-8.  Et  era  ecc.  «  Sentimenti  comuni 
al  medio  evo  quando  la  morte  pareva  poco 
per  i  colpevoli,  se  non  era  aggravata  con 
strazi  raffinati  »  (Casella). 

94.  1.  la  Donna,  di  cui  nella  st.  88. 

—  2.  birri;  Vroim&meniQ  sgìierri  di  po- 
lizia; (gr.  pìjrsùs,  rosso;  donde  mlt.  byr- 
rus  cappuccio  rosso,  che  questi  antichi  a- 
genti  portavano  e  che  dette  loro  il  nome). 

—  3.  e.  calcagno  presto,  col  cale,  pronto 
a  spronare. 

—  e.  né  pili  forte,  né  p.  nemico,  avverso. 
Petrai-.ca,  I,  canz.  10:  «Oh  mia  forte  ven- 
tura» che  il  Leopardi  spiega  fortuna  ne- 
mica. 

—  8.  l'arnese,  l'armatura  del  corpo.  V. 
e.  xxvii,  78,  n,  5.  —  fugg.  nudi;  nudi  del- 
l'armatura pesante  per  correre  più  veloci. 


95 
Si  come  il  lupo  che  di  preda  vada 
Carco  alla  tana,  e  quanto  più  si  erede 
D'esser  sicur,  dal  cacciator  la  strada 
E  da'  suoi  cani  attraversar  si  vede; 
Getta  la  soma,  e  dove  appar  raen  rada 
La  scura  macchia  inanzi, affretta  il  piede. 
Già  men  presti  non  fur  quelli  a  fuggire, 
Che  li  fusson  quest'altri  ad  assalire. 

96 
Non  pur  la  donna  e  l'arme  vi  lasciato, 
Ma  de'  cavalli  ancor  lasciaron  molti, 
E  da  rive  e  da  grotte  si  lanciaro. 
Parendo  lor  cosi  d'esser  più  sciolti. 
Il  che  alle  donne  et  a  Ruggier  fu  caro  ; 
Che  tre  di  quei  cavalli  ebbono  tolti 
Per  portar  quelle  tre  che  '1  giorno  d'ieri 
Feron  sudar  le  groppe  ai  tre  destrieri. 

97 
Quindi  espediti  segueno  la  strada 
Verso  r  infame  e  dispietata  villa. 
Voglion  che  seco  quella  vecchia  vada. 


95.  1-6.  Si  come  ecc.  Confronta  questa 
comparazione  con  quella  di  Sino  Italico, 
Puniche,  7,  71V-722:  «  Qual  dalla  fame  sti- 
molato azzanna  Dal  pastore  non  visto  il 
marzio  lupo  un'  agnelletta ....  ove  il  pastore 
Desto  a'  belati  gli  si  sbarri  incontro  Impau- 
rito la  spirante  preda  Dalle  fauci  profonde 
egli  rigetta  E  crucciato  sen  fugge  a  bocca 
aperta  (Occioni). 

—  4.  si  vede.  Nota  il  passaggio  dal  con- 
giuut.  vada  all'indie,  si  vede:  e  avverti 
che  r  indicai,  serve  a  dar' risalto  a  questa 
circostanza,  che  sarebbe  apparsa  seconda- 
ria col  verbo  al  congiuntivo. 

—  7.  Già;  certo.  Petrarca  i,  canz.  0, 
49:  «Già  di  voi  non  mi  doglio»,  dove  il 
Carducci  nota:  «  Ha  in  qualche  luogo  forza 
d'affermare  e  non  di  tempo». 

—  8.  li  fusson  ecc.  Li  va  unito  ad  assa- 
lire. Spostamento  già  molte  volte  notato; 
e.  I,  47,  n.  6.  —  fusson,  fossero.  È  forma 
popolare  viva  anche  oggi  nel  volgo  toscano 
accanto  alle  altre  fàsseno,  fósseno. 

96.  3.  rive,  ripe.  V.  e.  xiii,  42,  n.  7. 

—  4.  Parendo  ecc.  Questa  osservazione 
si  riferisce  al  secondo  verso;  lasciarono 
anche  i  cavalli,  pai'endo  loro  cosi  ecc.  Di 
tali  inversioni  abbiamo  notato  molti  esempi. 

—  0.  Che;  È  relativo. 

97.  1.  segueno.  Come  nella  prima  coniug. 
si  fece  da  ama,  amano,  cosi  nelle  altre  gli 
antichi:  G.  Cavalcanti  ha  pìaceno;  il  Bo- 
iardo IH,  II,  combatteno  (Nannucci.  An. 
cr.  pag.  111).  Il  Morali  per  errore  ha  stam- 
pato seguono;  ma  l'ediz.  del  '32  ha  se- 
gueno. Cfr.  e.  xxxix,  8,  n.  1. 

—  2.  villa,  il  borgo;  come  appare  più 
sotto. 


CANTO  XXXVII 


611 


Per  veder  la  vendetta  di  Drusilla. 
Ella  che  teme  che  non  ben  le  accada,  fla; 
Lo  niega  indarno,  e  piange  e  grida  e  stril- 
Ma  per  forza  Ruggier  la  leva  in  groppa 
Del  buon  Frontino,  e  via  con  lei  galoppa. 
98  [basso 

Ginnseno  in  somma  onde  vedeauo  al 
Di  molte  case  un  ricco  borgo  e  grosso, 
Che  non  serrava  d'alcun  lato  il  passo. 
Perché  né  muro  intorno  area  né  fosso. 
Avea  nel  mezzo  un  rilevato  sasso 
Ch'un'alta  ròcca  sosteuea  sul  dosso. 
A  quella  si  drizzar  con  gran  baldanza, 
Ch'esser  sapean  di  Marganor  la  stanza. 
99 

Tosto  che  son  nel  borgo,  alcuni  fanti 
Che  v'erano  alla  guardia  de  l'entrata, 
Dietro  chiudon  la  sbarra,  e  già  d'avanti 
Veggion  che  l'altra  uscita  era  serrata: 
Et  ecco  Marganorre,  e  seco  alquanti 
A  pie  e  a  cavallo,  e  tutta  gente  armata; 
Che  con  brevi  parole,  ma  orgogliose, 
La  ria  costuma  di  sua  terra  espose. 
100 

Marfisa,  la  qual  prima  avea  composta 
Con  Bradamante  e  con  Ruggier  la  cosa, 


—  5.  che  non  ben  le  acc.  Intenderei  il 
non  hene  come  eufemismo  per  male:  che 
le  accada  male,  qualche  male.  Più  duro  mi 
sembra  intendere:  che  non  bene  (non  per 
sua  fortuna)  le  accada  ciò  (di  esser  ricon- 
dotta presso  Marg.). 

—  7.  Ma.  Nota  lo  svolgersi  del  pensiero  : 
lo  nega  invano;  invano  dice  di  non  volere 
andare,  perché  essi  non  le  danno  ascolto; 
allora  essa  oppone  dei  fatti;  e  piange  e 
grida  e  strilla;  ma  Ruggero  oppone  fatti 
pili  risolutivi,  levandola  in  gr. 

98.  1.  Ginuseno,  giunsero.  Forma  popo- 
lare ancora  in  uso  nel  volgo  Toscano.  — 
in  somma;  in  breve.  V.  e.  xxxil,  85,  n.  2.  Il 
Bolza  e  il  Romizi  spiegano  forse  meno  bene 
da  ultimo,  in  fine. 

99.  1.  borgo;  È  la  borgata,  che  formava 
sempre  la  parte  esterna  dei  castelli  anti- 
chi; e  nel  mezzo,  in  luogo  elevato,  sorgeva 
la  rocca,  dove  abitava  il  signore.  V.  e.  ii, 
41,  n.  7. 

—  3.  Dietro  ecc.  Per  chiuderli  nel  borgo, 
in  modo  che  non  potessero  fuggire,  chiu- 
sero dietro  di  loro  la  porta  {la  sbarra,  con 
estensione  di  significato),  per  cui  erano  en- 
trati, mentre  altri  custodi  avean  già  chiusa 
l'altra  porta  in  fondo  al  borgo,  la  quale  era 
dinanzi  ai  guerrieri  che  si  avanzavano. 

—  «.  La  r.  costuma  V.  e.  xix,  66,  n.  6.  E 
per  questo  costume  st.  83. 

100.  1.  composta,  concordata.  Pulci,  Mor- 
gante,  27,  170:  «  Avea  con  Carlo  quel  segno 
composto  ».  E  non  è  raro  neppure  in  prosa. 


Gli  spronò  incontro  in  cambio  di  risposta  : 

E  com'era  possente  e  valorosa, 

8enza  ch'abbassi  lancia,  o  che  sia  posta 

In  opra  quella  spada  si  famosa. 

Col  pugno  in  guisa  l'elmo  gli  martella, 

Che  lo  fa  tramortir  sopra  la  sella. 

lOL 
Con  Marfisa  la  giovane  di  Francia 
Spinge  a  un  tempo  il  destrier,  né  Ruggier 
Ma  con  tanto  valor  corre  la  lancia,  [resta, 
Che  sei,  senza  levarsela  di  resta. 
N'uccide,  uno  ferito  ne  la  pancia, 
Duo  nel  petto,  un  nel  collo,  un  ne  la  testa: 
Nel  sesto  che  fuggia  l'asta  si  roppe. 
Ch'entrò  alle  schene  e  riusci  alle  poppe. 

102 
La  figliuola  d'Amon  quanti  ne  tocca 
Con  la  sua  lancia  d'or,  tanti  n'atterra: 
Fulmine  par,  che  '1  cielo  ardendo  scocca. 
Che  ciò  eh'  incontra,  spezza  e  getta  a  tar- 
li popol  sgombra,  chi  verso  la  ròcca,  [ra. 
Chi  verso  il  piano;  altri  si  chiude  e  serra, 
Chi  ne  le  chiese,  e  chi  ne  le  sue  case; 
Né,  fuor  che  morti ,  in  piazza  uomo  rimase. 

103 
Marfisa  Marganorre  avea  legato 
In  tanto  con  le  man  dietro  alle  rene, 
Et  alla  vecchia  di  Drusilla  dato, 
Ch'appagata  e  contenta  se  ne  tiene. 
D'arder  quel  borgo  poi  fu  ragionato, 
S'a  penitenzia  del  suo  error  non  viene: 
Levi  la  legge  ria  di  Marganorre, 
E  questa  accetti,  ch'essa  vi  vuol  porre. 

104 
Non  fu  già  d'ottener  questo  fatica; 
Che  quella  gente,  oltre  al  timor  ch'avea 


—  4.  E  com'  era;  e  poiché  era  ecc.  V.  e. 
v,  21,  n.  7. 

101.  8.  Ch'entrò;  la  quale  asta  entrò  ecc. 
—  alle  schene.  La  prepos.  a  serve  a  dar  ri- 
salto preciso  al  punto,  dove  la  lancia  entrò 
e  donde  usci:  entrò  di  dietro  proprio  nella 
schiena.  Entrò  nelle  o  per  le  sch.  accen- 
nerebbe a  quel  luogo  più  vagamente. 

102.  3.  il  cielo  ardendo,  mentre  il  cielo 
arde  per  il  lampo. 

--  4.  Che;  È  l'elativo  di  fulmine:  più 
chiaramente  e  che. 

103.  4.  Ch'appagata  ecc.  Puoi  intendere: 
Si  tiene  di  ciò  paga  e  contenta;  ma  anche: 
la  quale,  appagata  e  contenta,  si  tiene  di 
ciò,  va  orgogliosa  di  ciò.  Tenersi  d'  una 
cosa  per  andarne  lieto  e  orgonlioso  è  modo 
comunissimo  nella  nostra  lingua. 

—  7.  Levi.  O  è  congiuntivo  dipendente 
dal  se  non  del  v.  prec.  :  e  se  non  levi:  o 
è  imperativo.  Per  questa  seconda  interpre- 
tazione rafifronta  con  la  st.  63,  S. 

104.  I.  d'ottener  q.  fatica.  Più  comunem. 
ad,  ottener;  ma  spesso  di  per  a  usarono 


B12 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  più  faccia  Marfisa  che  non  dica, 
Ch'uccider  tutti  et  abbruciar  volea, 
Di  Marganorre  affatto  era  nimica 
E  de  la  legge  sua  crudele  e  rea. 
Ma  'J  popolo  facea,  come  i  più  fanno, 
Ch'ubbidiscon  più  a  quei  che  più  in  odio 
105  [hanno. 

Però  che  l'un  de  l'altro  non  si  fida, 
E  non  ardisce  conferir  sua  voglia, 
Lo  lascian  ch'un  banditìca.  un  altro  uccida, 
A  quel  l'avere,  a  questo  l'onor  toglia: 
Ma  il  cor  che  tace  qui,  su  nel  ciel  grida. 
Fin  che  Dio  e  Santi  alla  vendetta  invoglia; 
La  qual,  se  ben  tarda  a  venir,  compensa 
L'indugio  poi  con  punizione  immensa. 
106 

Or  quella  turba  d'ira  e  d'odio  pregna 
Con  fatti  e  con  mal  dir  cerca  vendetta. 
Com'è  in  proverbio,  ognun  corre  a  far  le- 
AH'arbore  che'l  vento  in  terra  getta,  [gna 
Sia  Marganorre  esempio  di  chi  regna; 
Che  chi  mal  opra,  male  al  fine  aspetta. 
Di  vederlo  punir  de'  suoi  nefandi 
Peccati,  avean  piacer  piccioli  e  grandi. 
107 

Jlolti  a  chi  fur  le  mogli  o  le  sorelle 
0  le  figlie  0  le  madri  da  lui  morte. 


gli  scrittori  di  tutti  i  tempi  ;  e  in  questa  e 
simili  locuzioni  è  vivo  ancora.  Boccaccio, 
Introd.  :  «  ed  i  più  di  tali  servigi  non  usati  ». 

—  4.  Ch'  ucc.  Il  che  è  relat.  di  Marf. 
lOò.  2.  conferir,  confidare.  Il  Tommaseo 

intende  comunicare,  far  partecipe,  citando 
per  il  significato  transitivo,  questo  solo  es. 
La  Crusca  non  lo  cita. 

—  3.  Lo  lasc.  ch'nn  b.;  lo  lascian  bandire 
uno.  V.  e.  I,  38,  n.  6. 

—  7-8.  se  ben  tarda  ecc.  Forse  l'Ar.  ebbe 
presente  la  sentenza  di  Valerio  Massimo,  1, 
1,  ext.  3  :  «  Lento  gradu  ad  vindictam  sui  di- 
vina procedit  ira,  tarditatemque  sùpplicii 
gravitate  pensat  ». 

106.  2.  con  mal  dir;  O  è  una  forma  sin- 
golare di  maledir,  o  è  dir  male  per  dir 
villania,  come  nel  Boccaccio,  Nov.  38: 
«  Molte  volte  ne  gli  disse  male  e  ne  '1  ga- 
stigò  ». 

—  3-4.  ognun  ecc.  È  un  proverbio  greco 
che  Erasmo  traduce  cosi  :  Unente  quivis 
Ugna  coUigit  arbore;  e  che  alcuni  com- 
mentatori citano  a  sproposito  (Romizi,  Fonti 
latine  dell'Ori.  Fur.  p.  174). 

—  6.  chi  mal  opra  ecc.  Il  Giusti  cita  (pag. 
84)  il  proverbio  Toscano  chi  mal  fa  mal 
aspetta;  l'altro  più  breve  suona  invece-co- 
munemente  chi  la  fa  raspetti;  ina  esiste 
anche  la  forma  chi  la  fa  t'aspetta;  nell'uso 
e  nella  letteratura.  E  vollero  significare  che 
chi  fa  male  sente  di  meritare  la  pena  e  di 
doversela  aspettare  come  un  fatto  certo  e 
inevitabile. 


Non  più  celando  l'animo  ribelle, 
Correan  per  dargli  di  lor  man  la  morte: 
E  con  fatica  lo  difeser  quelle 
Magnanime  guerriere  e  Ruggier  forte  ; 
Che  disegnato  avean  farlo  morire 
D'affanno,  di  disagio  e  di  martire. 
108 

A  quella  vecchia  che  l'odiava  quanto 
Femina  odiare  alcun  nimico  possa, 
Nudo  in  mano  lo  dier,  legato  tanto, 
Che  non  si  scioglierà  per  una  scossa; 
Et  ella  per  vendetta  del  suo  pianto, 
Gli  andò  facendo  la  persona  rossa 
Con  un  stimulo  aguzzo  ch'un  villano. 
Che  quivi  si  trovò,  le  pose  in  mano. 
109 

La  messaggiera  e  le  sue  giovani  anco. 
Che  quell'onta  non  son  mai  per  scordarsi, 
Non  s' hanno  più  a  tener  le  mani  al  fianco. 
Né  meno  che  la  vecchia,  a  vendicarsi. 
Ma  si  è  il  desir  d'offenderlo,  che  manco 
Viene  il  potere,  e  pur  vorrian  sfogarsi  : 
Chi  con  sassi  il  percuote,  chi  con  l'unge; 
Altra  lo  morde,  altra  con  gli  aghi  il  punge. 
110 

Come  torrente  che  superbo  faccia 
Lunga  pioggia  tal  volta  o  nievi  sciolte. 
Va  ruinoso,  e  giù  da'  monti  caccia 
Gli  arbori  e  i  sassi  e  i  campi  e  le  ricolte: 
Vien  tempo  poi,  che  l'orgogliosa  faccia 
Gli  cade,  e  si  le  forze  gli  son  tolte, 
Ch'un  fanciullo,  una  femina  per  tutto 
Passar  lo  puote,  e  spesso  a  piedeasciutto: 
IH 

Cosi  già  fu  che  Marganorre  intorno 
Fece  tremar,  dovunque  udiasi  il  nome; 
Or  venuto  è  chi  gli  ha  spezzato  il  corno 
Di  tanto  orgoglio,  e  si  le  forze  dome. 
Che  gli  puon  far  sin  a'  bambini  scorno. 


108.  4.  Che  ecc.  È  verso  quasi  uguale  a 
quel  del  e.  xv,  77,  4. 

—  7.  stimnlo.  È  un  pungolo,  col  quale  si 
incitano  buoi  e  cavalli  a  camminare. 

109.  3.  Non  s'  hanno  p.  a  t.;  non  hanno  da 
Viiersi  più  le  mani  sui  fianchi  (inoperose), 
né  hanno  meno  da  vendicarsi.  È  riferito 
come  pensiero  loro:  esse  pensano  che  non 
debbono  più  tenersi  ecc. 

—  7.  unge,  unghie.  V.  e.  T,  41,  n.  1. 

110.  4.  i  campi;  la  terra  dei  campi. 

—  6.  Gli  cade,  viene  abbassata,  umiliata. 

111.  1.  Già  fu;  Fu  già  tempo.  V.  e.  xii, 
44,  n.  7. 

—  3.  spezz.  il  corno.  È  modo  comune 
romper  le  corna  a  y,no  per  abbatterne 
l'orgoglio.  È  la  stessa  immagine,  ma  è  va- 
riata 1'  espressione. 

—  5.  sin  a'  bambini  ;  perfino  i  bambini. 
V.  e.  II,  28,  n.  8. 


CANTO  XXXVII 


513 


Chi  pelargli  la  barba  e  chi  le  chiome. 
Quindi  Ruggiero  e  le  donzelle  il  passo 
Alla  ròcca  voltar,  ch'era  sul  sasso. 
112 

La  die  senza  contrasto  in  poter  loro 
Chi  v'era  dentro,  e  cosi  i  ricchi  arnesi, 
Ch'  in  parte  messi  a  sacco,  in  parte  foro 
Dati  ad  Ullania  et  a'  compagni  offesi. 
Eicovrato  vi  fu  lo  scudo  d'oro, 
E  quei  tre  Re  ch'avea  il  tiranno  presi, 
Li  quai  venendo  quivi,  come  parrai 
D'avervi  detto,  erano  a  pie,  senz'armi: 
113 

Perché  dal  di  che  fur  tolti  di  sella 
Da  Bradaraante,  a  pie  sempre  eran  iti 
Senz'arme,  in  compagnia  de  la  Donzella, 
La  qual  venia  da  si  lontani  liti. 
Non  so  se  meglio  o  peggio  fu  di  quella. 
Che  di  lor  armi  non  fusson  guerniti. 
Era  ben  meglio  esser  da  lor  difesa; 
Ma  peggio  assai,  se  ne  perdean  l'impresa: 
114 

Perchó  stata  saria,  com'eran  tutte 
Quelle  ch'armate  avean  seco  le  scorte, 
AI  cimitero  misere  condutte 
Dei  duo  fratelli,  e  in  sacrificio  morte. 
Gli  è  pur  men  che  morir,  mostrar  le  brutte 
E  disoneste  parti,  duro  e  forte;  [ammorza 
E  sempre  questo  e  ogn'altro  obbrobrio 
Il  poter  dir  che  le  sia  fatto  a  forza. 


—  6.  Chi  pelargli.  Dipende  da  un  può  che 
deve  rilevarsi  dal  v.  preced.:  chi  può  pe- 
largli ecc.  Fors'  anche  è  infinito  storico  : 
chi  gli  pelava  la  barba  ecc.  Quantunque 
per  il  senso  sia  preferibile  questa  seconda 
iuterpretaz.,  per  l'andamento  sintattico  mi 
sembra  pi'eferibile  T  altra. 

113.  5.  se  m.  o.  p.  f.  di  quella  ;  se  fu  il 
meglio  o  il  peggio  di  lei,  se  avvenne  per  il 
meglio  o  per  il  peggio  dì  lei;  se  fu  meglio 
o  peggio  per  lei.  In  queste  tre  espressioni 
ti'ovi  appunto  i  due  costrutti  che  V  Ar.  ha 
fuso  in  uno,  cominciando  come  comincia 
la  terza  e  finendolo  come  finiscono  le  altre. 
Abbiamo  notato  più  volte  questo  fatto  sin- 
tattico nel  Furioso,  II,  6,  3;  xxvi;  46,  2; 
XXXV,  45,  7;  ecc. 

—  8.  se  ne  p.  l'impresa;  se  perdevano  la 
battaglia  (vi,  io,  S;  xvii,  104, 1)  per  lei;  in- 
trapresa per  lei. 

114.  3.  misere  condutte  ;  Regolarmente  mi- 
sera condutta.  Abbiamo  dunque  un'  attra- 
zione uguale  a  quella  notata  al  e.  xi,  27, 
n.  6;  xxiii,  4G,  7. 

—  .4.  morte;  uccise,  uccisa. 

—  8.  le,  a  Ullania  :  il  poter  dir  che  que- 
sta cosa  obbrobriosa  (obbrobrio)  di  sco- 
prirle il  corpo,  è  stata  fatta  a  lei  a  forza, 
per  forza. 


115 

Prima  ch'indi  si  partan  le  guerriere. 
Fan  venir  gli  abitanti  a  giuramento. 
Che  daranno  i  mariti  alle  mogliere 
De  la  terra  e  del  tutto  il  reggimento; 
E  castigato  con  pene  severe 
Sarà  chi  contrastare  abbia  ardimento. 
In  somma  quel  ch'altrove  è  del  marito, 
Che  sia  qui  de  la  moglie  è  statuito. 
116 

Poi  si  fecion  promettere  eh'  a  quanti 
Mai  verriau  quivi,  non  darian  ricetto, 
O  fosson  cavallieri,  o  fosson  fanti, 
Né  'ntrar  li  lascerian  pur  sotto  un  tetto, 
Se  per  Dio'  non  giurassino  e  per  Santi, 
0  s'altro  giuramento  v'  è  più  stretto, 
Che  sarian  sempre  de  le  donne  amici, 
E  dei  nimici  lor  sempre  nimici; 
117 

E  s'avranno  in  quel  tempo,  e  se  saranno. 
Tardi  o  piti  tosto,  mai  per  aver  moglie. 
Che  sempre  a  quelle  sudditi  saranno, 
E  ubbidienti  a  tutte  le  lor  voglie. 
Tornar  Marfisa,  prima  ch'esca  l'anno. 
Disse,  e  che  perdan  gli  arbori  le  foglie; 
E  se  la  legge  in  uso  non  trovasse, 
Fuoco  e  ruina  il  borgo  s'aspettasse. 
118 

Né  quindi  si  partir,  che  de  l'immondo 
Luogo  dov'era,  fi"r  Drusilla  torre, 
E  col  marito  in  uno  avel,  secondo 
Ch'ivi  potean  piti  riccamente  porre. 
La  vecchia  facea  in  tanto  rubicondo 
Con  lo  stiraulo  il  dosso  a  Marganorre: 
Sol  si  dolca  di  non  aver  tal  lena. 
Che  potesse  non  dar  triegua  alla  pena. 
119 

L'animose  guerriere  a  lato  un  tempio 
Videno  quivi  una  colonna  in  piazza. 
Ne  la  qual  fatt'avea  quel  tiranno  empio 
Scriver  la  legge  sua  crudele  e  pazza. 
Èlle,  imitando  d'un  trofeo  l'esempio. 
Lo  scudo  v'attaccaro  e  la  corazza 
Di  Marganorre,  e  l'elmo;  e  scriver  fenno 


115.  6.  contrastare,  opporsi.  V.  e.  xviii, 
57,  2. 

117.  1.  E  s'avr.;  E  se  avr. 

—  2.  Tardi  o  pili  tosto  ;  Più  comunemente 
tosto  o  tardi,  e  più  t.  o  pia  tar.  È  modo 
non  registrato  dai  vocabolari. 

—  5.  p.  eh'  esca  1'  anno  ;  prima  che  fini- 
sca l'a.  Skrdonati,  st.  16,  129:  «  Intanto  era 
uscito  l'autunno».  Non  si  cita  l'Ar. 

US.  1.  che,  finché.  V.  e.  iii,  7,  n.  4. 

119.  1.  a  lato  un  temp.  ;  a  1.  di  un  t.  Nes- 
sun vocabolario,  neppure  la  N.  Crusca  cita 
questo  costrutto,  ma  solo  a  lato  di. 

—  2.  Videno,  videro.  V.  st.  98,  n.  1. 

—  5.  l'esempio,  il   modello:  e.  xi,  22,  3. 


Ariosto  —  Papini 


33 


514 


ORLANDO  FURIOSO 


La  legge  appresso,  ch'esse  al  loco  dennu. 

120  I 

Quivi  s'indugiar  tanto,  che  Marfisa       | 
Fé'  por  la  legge  sua  ne  la  colonna, 
Contraria  a  quella  che  già  v'era  incisa 
A.  morte  et  ignominia  d'ogni  donna. 
Da  questa  compagnia  restò  divisa 
Quella  d'Islanda,  per  rifar  la  gonna; 
Che  comparire  in  corte  obbrobrio  stima. 
Se  non  si  veste  et  orna  come  prima. 

121 
Quivi  rimase  Ullauia;  e  Marganone 
Di  lei  restò  in  potere  :  et  essa  poi,    ' 
Perché  non  s'abbia  in  qualche  modo  a 

fsciorre, 
E  le  donzelle  un'altra  volta  annoi, 
Lo  fé'  un  giorno  saltar  giù  d'una  torre. 
Che  non  fa'  il  maggior  salto  a' giorni  suoi. 

—  S.  dénno,  dettero:  cfr.  e.  xvii,  63,  ii.  5. 
1>20. 1.  tanto  che,  fin  tanto  che.  V.  c.xxxiv, 

4,  n.  :'.. 

—  6.   Quella  d"I.;  la  donna   d'Islanda, 
lUlania. 

HI.  ù.  Che,  cosi  elle. 


Non  più  di  lei,  né  più  de'  suoi  si  parli; 
Ma  de  la  compagnia  che  va  verso  Arli. 
122 
Tutto  quel  giorno,  e  l'altro  fin  appresso 
L'ora  di  terza  andavo;  e  poi  che  furo 
(Giunti  dove  in  due  strade  è  il  camin  fesso 
(L'una  va  al  campo,  e  l'altra  d'Arli  al  mu- 

[i-o), 
Tornar  gli  amanti  ad  abbracciarsi, e  spes- 

[so 
A  tòr  commiato,  e  sempre  acerbo  e  duro. 
Al  fin  le  donne  in  campo,  e  in  Arli  è  gito 
Ruggiero;  et  io  il  mio  Cauto  ho  qui  finito. 


—  7.  Non  più  di  lei  ecc.  Al  castello  di 
Marganorre  scompaiono  Io  scudo  e  i  tre  re, 
né  se  ne  sa  più  nulla.  Forse  il  Poeta  aveva 
prima  un  piano  differente;  per  esempio  di 
farne  una  causa  di  discordia:  cfr.  canto 
xxxu,  60. 

li'2.  1-2  appresso  l'ora  d.  t. ;  dopo  l'ora 
di  terza;  tre  ore  prima  di  mezzodì.  V.  e. 
vili,  19,  n.  6. 

—  -1.  al  campo,  dei  Cristiani. 


CANTO  XXX Vili 


Cortesi  donne,  che  benigna  udienza 
Datea'miei  versi,  io  vi  veggo  al  sembian- 
Che  quest'altra  si  subita  partenza       [te, 
Che  fa  Ruggier  da  la  sua  fida  amante, 
Vi  dà  gran  noia,  e  avete  displicenza 
Poco  minor  ch'avesse  Bradamante  ; 
E  fate  anco  argumento  ch'esser  poco 
In  lui  dovesse  l'amoroso  fuoco. 
2 

Per  ogni  altra  cagion  ch'allontanato 
Centra  la  voglia  d'essa  se  ne  fnsse, 
Ancor  ch'avesse  più  tesor  sperato 
Che  Creso  o  Crasso  insieme  non  ridusse, 

1.  5.  displicenza  (lat.  displicentia).  È  la- 
tinismo raro  pur  negli  antichi. 

_  7.  fate...  argnmento;  argomentate.  È 
locuzione  mollo  usata  ed  elegante. 

2.  1-5.  Per  ogni  ecc.  Per  qualunque  altra 
ragione  se  ne  fosse  allontanato...  Io  cre- 
derei con  voi  che  non  fosse  penetrato  al 
suo  cuore  lo  str.  ecc.  Avverti  l'andamento 
popolare  della  sintassi  nel  primo  ver.so;  Per 
ogni  altra  ragion  che  (per  cui)  equivale 
appunto  a  Per  qualunque  altra  ragione. 

—  4.  Creso,  ricchissimo  i-e  di  Lidia.  — 
Crasso.  *  Egli  non  istimava  alcuno  ricco,  il 
quale  non  potesse  di  sue  sostanze  nutrire 
un  esercito  »  (Plutarco). 


Io  crederla  con  voi  che  penetrato 
Non  fosse  al  cor  lo  strai  che  lo  percusse; 
Ch'un  almo  gaudio,  un  cosi  gran  contento 
Non  potrebbe  comprare  oro  né  argento. 

Pur,  per  salvar  l'onor,  non  solamente 
D'escusa,  ma  di  laude  è  degno  ancora: 
Per  salvar,  dico,  in  caso  ch'altrimente 
Facendo,  biasmo  et  ignominia  fora: 
E  se  la  donna  fosse  renitente 
Et  ostinata  in  fargli  far  dimoia. 
Darebbe  di  sé  indizio  e  chiaro  segno 
0  d'amar  poco,  o  d'aver  poco  ingegno. 
4 

Che  se  l'amante  de  l'amato  deve 
La  vita  amar  più  de  la  propria,  o  tanto 
(Io  parlo  d'uno  amante  a  cui  non  lieve 


3.  1.  Pur,  per  s.  l'o.;  Pur,  essendosene 
allontanato  per  salvar  l' onor.  È  una  bra- 
chilogia. 

—  3.  Per  salvar  ecc.  Per  salvarlo,  dico, 
e  cioè  quando  (in  caso  che)  facendo  altri- 
menti, sarebbe  ecc.  Da  questa  spiegazione 
puoi  vedere  che  il  Poeta  passa  qui  a  una 
considerazione  generale;  quasi  dica:  Pur- 
ché tali  azioni  si  facciano  per  salvar  l'o- 
nore nel  caso  ecc.  E  allora  se  una  donna 
fosse  renitente  ecc. 

4.  2.  0  tanto,  quanto  la  propria.   Giusta- 


CANTO  XXXVIII 


515 


Colpo  d'Amor  passò  pili  là  del  manto); 
Al  piacer  tanto  pili,  ch'esso  riceve, 
L'onor  di  quello  antepor  deve,  quanto 
L'onore  è  di  più  pregio,  che  la  vita 
Ch'a  tutti  altri  piaceri  è  preferita. 

5 
Fece  Ruggiero  il  debito  a  seguire 
n  suo  Signor,  che  non  se  ne  potea, 
Se  non  con  ignominia,  dipartire; 
Che  ragion  di  lasciarlo  non  avea. 
E  s'Alraonte  gli  te'  il  padre  morire, 
Tal  colpa  in  Agramante  non  cadea; 
Ch'in  molti  effetti  avea  con  Ruggier  poi 
Emendato  ogni  error  dei  maggior  suoi. 

Farà  Ruggiero  il  debito  a  tornare 
Al  suo  Signore;  et  ella  ancor  lo  fece, 
Che  sforzar  non  lo  volse  di  restare, 
Come  potea,  con  iterata  prece. 
Ruggier  potrà  alla  donna  satisfare 
A  un  altro  tempo,  s'or  non  satisfece  : 
Ma  all'onor,  chi  gli  manca  d'un  momento, 
Non  può  in  cent'anni  satisfar  né  in  cento. 

7  \: 

Torna  Ruggiero  in  Arli,  ove  ha  ritratta 
Agramante  la  gente  che  gli  avanza. 
Bradamaute  e  Marfisa,  che  contratta 
Col  parentado  avean  grande  ami  stanza, 


mente  il   Xisiely  dice  questa  espressione 
oscura.  Cosi  nella  st.  51,  7. 

—  4.  pili  là  del  m.  È  immagine  del  Pi  - 
TRARCA,  I  canz.  1:  «Sentendo  il  crude!  di 
ch'io  ragiono  In  lin  allor  percossa  di  suo 
strale  Non  essermi  passata  oltre  la  gonna  ». 

—  5.  ch'esso  r.;  è  relativo  a  piacere. 

—  8.  Ch'  a  t.  a.;  la  quale  vita  è  poi  su- 
periore e  preferibile  a  tutti  gli  altri  piac. 
V.  e.  XXXIII,  64,  n.  5. 

ó.    1.  il  debito,  il  suo  dovere.  V.  e.  iv,  56,  8. 

—  2.  che;  Questo  e  l'altro  del  v.  4  pos- 
sono essere  relativi  a  Ruggero  e  anche 
congiunzioni.  V.  e.  ni,  6,  n.  6. 

—  5.  E  s'Alm.  Nel  e.  xxx,  83,  I,  l'Ar. 
dice  che  Ruggero  fu  morto  da  Troiano  : 
ma  là  e  qui  vuol  significare  in  genere  la 
famiglia  di  Agolante;  la  quale  assali  Risa. 

—  7.  effetti;  benefici.  Cosi  nel  e.  v,  72, 
1;  e  XLiv,  68,  6. 

6.  4.  e.  iterata  pr.  ;  pregando  e  ripregando. 
È  il  latino  iterata  prece. 

—  5.  satisfare.  Domina  l'idea  di  debito. 
Debito  verso  Bradamante  era  la  promessa 
fattaJe  e.  xxii,  34-35. 

—  7.  d'un  m.  ;  un  solo  momento.  La  prep. 
di  si  usa  spesso  a  indicare  un  termine  di 
tempo  o  di  luogo:  ha  tardato  di  quattro 
giorni;  si  allontanò  di  tre  miglia  ecc.  È 
frequente  nella  letteratura  e  nell'uso  vivo. 

1.  4.  Col  parentado.  É  un'espressione  mol- 
to abbreviata:  con  l' idea  del  futuro  paren- 


Andaro  insieme  ove  Re  Carlo  fatta 
La  maggior  prova  avea  di  sua  possanza. 
Sperando  o  per  battaglia  o  per  assedio, 
Levar  di  Francia  cosi  lungo  tedio. 
8 

Di  Bradamaute,  poi  che  conosciuta 
In  campo  fu,  si  fé'  letizia  e  festa  : 
Ogniun  la  riverisce  e  la  saluta; 
Et  ella  a  questo  e  a  quel  china  la  testa. 
Rinaldo,  come  ndi  la  sua  venuta. 
Le  venne  incontra  ;  né  Ricciardo  resta 
Né  Ricciardetto  od  altri  di  sua  gente, 
E  la  raccoglion  tutti  allegramente. 
9 

Come  s'intese  poi  che  la  compagna 
Era  Marfisa,  in  arme  si  famosa, 
Che  dal  Cataio  ai  termini  di  Spagna 
Di  mille  chiare  palme  iva  pomposa; 
Non  è  povero  o  ric£o  che  rimagna 
Nel  padiglion  :  la  turba  disiosa 
Vien  quinci  e  quindi,  e  s'urta,  storpia  e  pre- 
Sol  per  veder  si  bella  coppia  insieme,  [me 
10 

A  Carlo  riverenti  appresentàrsi. 
Questo  fu  il  primo  di  (scrive  Turpino) 
Che  fu  vista  Marfisa  inginocchiarsi; 
Che  sol  le  parve  il  figlio  di  Pipino 
Degno,  a  cui  tanto  onor  dovesse  farsi, 
Tra  quanti,  o  mai  nel  popol  Saracino 
O  nel  Cristiano,  Imperatori  e  Regi 
Per  virtii  vide  o  per  ricchezza  egregi. 
11 

Carlo  benignamente  la  raccolse, 
E  le  usci  incontra  fuor  dei  padiglioni; 
E  che  sedesse  a  lato  suo  poi  volse 
Sopra  tutti  Re,  Principi  e  Baroni. 
Si  die  licenzia  a  chi  non  se  la  tolse; 
Si  che  tosto  restaro  in  pochi  e  buoni. 
Restaro  i  Paladini  e  i  gran  Signori: 
La  vilipesa  plebe  andò  di  fuori. 
12 

Marfisa  cominciò  con  grata  voce: 
Eccelso,  invitto  e  glorioso  Augusto, 
Che  dal  mar  Indo  alla  Tirinzia  foce. 


tado.  Potrebbe  anche  accennare  alla  comu- 
nanza di  origine  che  Ruggero  di  Risa  avea 
con  Chiaramonte;  derivando  ambedue  da 
Ettore  troiano:  cfr.  e.  xxx  vi,  70.  —  ami- 
stanza.  Pulci,  5,  8,  8:  «  Per  parentado  an- 
tico ed  amistanza  ». 

S.    1.  Di  Br.;  per  Brad.  V.  e.  xiii,  33,  n.  3. 

—  8.  raccoglion,  accolgono.  V.  e.  vii,  9, 
n.  3. 

10.  5.  Degno  a  cui;  degno  che  a  lui.  V. 
e.  IH,  27,  n.  1. 

—  6.  Tra  quanti  o  mai;  Tra  quanti  mai 
o  nel  p.  Saracino  ecc.  Le  inversioni  sono 
molto  frequenti  nel  Nostro. 

12.  3.  a.  Tirinzia  f.  «  lo  stretto  di  Gibil- 
terra aperto,  secondo  la  favola,  da  Ercole, 


516 


ORLANDO  FURIOSO 


Dal  bianco  Scita  all'Etiope  adusto 
Riverir  fai  la  tua  candida  croce, 
Né  di  te  regna  il  pili  saggio  o  '1  più  giusto; 
Tua  fama,  ch'alcun  termine  non  serra. 
Qui  tratto  m'  ha  fin  da  l'estrema  terra. 
13 

E  per  narrarti  il  ver,  sola  mi  mosse 
Invidia,  e  sol  per  farti  guerra  io  venni  ; 
Acciò  che  si  possente  un  Re  non  fosse, 
Che  non  tenesse  la  legge  ch'io  tenni. 
Per  questo  ho  fatto  le  campagne  rosse 
Del  Cristian  sangue;  et  altri  fieri  cenni 
Era  per  farti  da  crudel  nimica, 
.Se  non  cadea  chi  mi  t'ha  fatto  amica. 

14  [dre 

Quando  nuocer  pensai  più  alle  tue  squa- 
lo trovo  (e  come  sia  dirò  più  adagio) 
Che  '1  buon  Ruggier  di  Risa  fu  mio  padre, 
Tradito  a  torto  dal  fratel  malvagio. 
Portommi  in  corpo  mia  misera  madre 
Di  là  dal  mare,  e  nacqui  in  gran  disagio. 
Nutrimmi  un  IMago  in  fin  al  settimo  anno, 
A  cui  gli  Arabi  poi  rubata  m'hanno; 
15 

E  mi  venderò  in  Persia  per  ischiava 
A  un  Re  che  poi  cresciuta  io  posi  a  morte; 
Che  mia  virginità  tur  mi  cercava. 
Uccisi  lui  con  tutta  la  sua  corte; 
Tutta  cacciai  la  sua  progenie  prava; 


che  si  disse  anche  Tirinzio  da  Tirinto  città 
dove  nacque  »  (Casella). 

—  4.  Dal  ì).  S.  ecc.;  dalla  Scizia  bianca 
di  neve  all'Etiopia  adusta  dal  sole. 

—  8.  da  Testrema  terra;  dall'estremità 
della  terra.  Veniva  dall'  India:  cfr.  e.  xviii, 
99,  n.  1.  Per  l'espressione  cfr.  e.  i,  24,  n.  6. 

i;j.  2.  Invidia;  C.  xvin,  133-34:  «  Marlìsa 
avuto  avea  lungo  desire  Al  paragou  dei 
Paladin  venire,  E  fare  esperienza  se  l'ef- 
fetto si  pareggiava  a  tanta  nominanza  ». 
Innamor.  I,  xx,  45. 

—  1.  legge,  religione. 

—  6.  cenni;  dimostrazioni,  altre  imprese 
che  mi  t'avrebbero  dimostrato  crudele  ne- 
mica. Dante,  Purg.  22,  27  :  «  Ogni  tuo  dir 
d'amor  m'  è  caro  cenno  ». 

—  8.  Se  non  cadea  ;  Se  non  accadeva.  La 
Crusca  non  cita  l'Ariosto,  ma  solo  un  es. 
del  Bartoli,  Vii.  di  S.  Ign.  1,  23:  «  (Dio)  fa 
cadere  tutte  le  cose  a'  tempi  loro  ».  —  chi; 
cosa  che.  Di  quest'uso  molto  amato  ibill'A. 
abbiamo  notato  già  altri  esempi  in  più  luo- 
ghi, ma  è  raro  negli  altri  scrittori.  Alcuni 
riferiscono  il  chi  a  persona,  o  a  Ruggero 
0  a  Bradamante  o  all'ombra  d'Atlante;  ma 
veramente  nessuno  di  essi  e  tutti  insieme 
han  contribuito,  con  la  rivelazione  di  fatti 
importantissimi  per  lei,  a  renderla  amica 
di  Carlo  Magno. 

14.  4.  Tradito  ecc.  V.  e.  xxxvi,  00  segg. 


E  presi  il  regno,  e  tal  fu  la  mia  sorte, 
Che  diciotto  anni  d'uno  o  di  duo  mesi 
Io  non  passai,  che  sette  regni  presi. 
IG 
E  di  tua  fama  invidiosa,  come 

10  t'ho  già  detto,  avea  fermo  nel  core 
La  grande  altezza  abbatter  del  tuo  nome: 
Forse  il  faceva,  o  forse  era  in  errore. 
Ma  ora  avvien  che  questa  voglia  dome, 
E  faccia  cader  l'ale  al  mio  furore, 
L'aver  inteso,  poi  che  qui  son  giunta, 
Come  io  ti  son  d'affinità  congiunta. 

17 
E  come  il  padre  mio  parente  e  servo 
Ti  fu,  ti  son  parente  e  serva  anch'io: 
E  quella  invidia,  e  quell'odio  protervo 

11  quale  io  t'ebbi  un  tempo,  or  tutto  oblio; 
Anzi  contra  Agramante  io  lo  riservo, 

E  contraogn'altro  che  sia  al  padre  o  al  zio 
Di  lui  stato  parente,  che  fur  rei 
Di  porre  a  morte  i  genitori  miei. 
18 

E  seguitò,  voler  Cristiana  farsi, 
E  dopo  ch'avrà  estinto  il  Re  Agramante, 
Voler,  piacendo  a  Carlo,  ritornarsi 
A  battezzare  il  suo  regno  in  Levante, 
Et  indi  contra  tutto  il  mondo  armarsi. 
Ove  Macon  s'adori  e  Trevigante; 
E  con  promission,  ch'ogni  suo  acquisto 
Sia  de  l'Imperio,  e  de  la  Fé  di  Cristo. 
19 

L'Imperator,  che  non  meno  eloquente 
Era,  che  fosse  valoroso  e  saggio, 
Molto  esaltando  la  Donna  eccellente, 
E  molto  il  padre  e  molto  il  suo  lignaggio, 
Rispose  ad  ogni  parte  umanamente, 
E  mostrò  in  fronte  aperto  il  suo  coraggio  ; 
E  conchiuse  ne  l'ultima  parola. 
Per  parente  accettarla  e  per  figliuola. 
20 

E  qui  si  leva,  e  di  nuovo  l'abbraccia, 
E,  come  figlia,  bacia  ne  la  fronte. 


10.  4.  0  forse  era  in  err.;  o  forse  era  in 
errore  credendo  di  farlo.  È  una  delle  so- 
lite  espressioni   abbreviate.  V.  st.  7,  n.  4. 

—  5.  che  questa  v.  dome;  avviene  die 
l'avere  inteso  ecc.  domi  questa  voglia  e 
faccia  cHder  l'a.  a.  m.  f.  L'edizione  del  '32 
legge  chi,  e  si  potrebbe  conservarlo,  inten- 
dendolo come  nel  v.  8  della  st.  13. 

—  8.  d'aff.  cong.  Infatti  Ruggero  di  Ris;i 
suo  padre  e  la  Casa  di  Carlomag-no  avevano 
per  ceppo  antico  Ettore  Troiano  :  cfr.  e 
XXXVI,  70;  e  la  nota  alla  st.  7,  4. 

18.  6.  Trevigante.  V.  c.  XII,  59,  n.  5. 

19.  5.  umanamente,  cortesemente  (lat.  hu- 
mane). 

—  6.  coraggio,  cuore.  V.  e.  xviii,  ,32,  u.  4. 

20.  1.  E  qui;  e  a  questo  punto,  allora.  È 
vivo  ancora  nella  nostra  lingua. 


CANTO  XXXVIII 


517 


Vengono  tntti  con  allegra  faccia 
Quei  di  Mongraiia  e  quei  di  Chiaramonte. 
Lungo  a  dir  fora,  quanto  onor  le  faccia 
Rinaldo,  che  di  lei  le  prove  conte 
Vedute  avea  pili  volte  al  paragone, 
Quando  Albraeca  assediar  col  suo  girone. 
21 

Lungo  a  dir  fora  quanto  il  giovinetto 
Guidon  s'allegri  di  veder  costei, 
Aquilante  e  Grifone  e  Sausonetto 
Ch'alia  città  crudel  furon  con  lei; 
Malagigi  e  Viviano  e  Ricciardetto, 
Ch'  all'  occision  de'Maganzesi  rei, 
E  di  quei  venditori  empii  di  Spagna 
L'aveano  avuta  si  fedel  compagna. 
22 

Apparecchiar  per  lo  seguente  giorno, 
Et  ebbe  cura  Carlo  egli  niedesmo. 
Che  fosse  un  luogo  riccamente  adorno, 
Ove  prendesse  MaVtìsa  battesmo. 
I  Vescovi  e  gran  chierici  d'intorno. 
Che  le  leggi  sapean  del  Cristianesnio, 
Fece  raccorre,  acciò  da  loro  in  tutta 
La  santa  Fé  fosse  Marfisa  instrutta. 
23 

Venne  in  pontificale  abito  sacro 
L'Arcivesco  Turpino  e  battizolla: 
Carlo  dal  salutifero  lavacro 
Con  cerimonie  debite  levoll '. 


—  4.  Q.  di  Mongrana  ecc.  V.  e.  xxxvi, 
75,  4.  Alla  casa  di  Mongrana  appartenevano, 
fra  i  più  celebri,  Oliviero,  Grifone  e  Aqui- 
lante. 

—  6.  pr.  conte,  le  prodezze  insigni. 

—  8.  (Jnando  ecc.;  quando  insieme  asse- 
diarono Albraeca  con  la  sua  fortezza  (giro- 
ne). Questo  leggesi  neìV Innamor.  I,  e.  xx. 
Rinaldo  avea  provato  il  valore  di  Marf.  an- 
che in  un  combattimento  accanito,  che  a- 
veva  avuto  eoa  lei.  Iniiam.  I,  xvii,  6,;; 
xviii,  7;  XIX,  32.  —  Girone,  circuito  di  mur.i, 
che  cingeva  le  ròcche,  e  cingeva  pure  la 
ròcca  d'Albracca. 

21.4.  alla  città  crud.  ;  alla  città  delle? 
donne  omicide:  e.  xix,  51  segg.  —  Sauso- 
netto era  in  Affrica  prigioniero  di  Rodo- 
monte; XXXV,  53;  XXXIX,  33.  È  una  delle 
molte  piccole  dimenticanze  dell' A. 

—  6.  Ch'airoccision  ecc.  V.  e.  xxvi,  S  segg. 

22.  1.  Apparecchiar.  Il  suo  complemento 
è:  ove  prendesse  ecc, :  apparecchiarono  il 
luogo  dove  ecc.;  e  Carlo  ebbe  e.  egli  me- 
desimo che  ecc. 

—  5.  I  Vesc.  e  gr.  Sull'  uso  dell'  articolo 
cfr.  e.  XXVII,  132,  n.  4. 

23.  2.  Arci  vesce,  arcivescovo.  È  forma 
rara  pur  negli  antichi. 

—  4.  levolla.  Levare  dal  fonte  battesi- 
male vale  tenere  a  battesimo,  far  da  pa- 
drino. 


Ma  tempo  è  ormai  ch'ai  capo  voto  e  niacro 
Di  senno  si  soccorra  con  l'ampolla. 
Con  che  dal  ciel  più  basso  ne  venia 
11  duca  Astolfo  sul  carro  d'Elia. 
24 

Sceso  era  Astolfo  dal  giro  lucente 
Alla  maggiore  altezza  de  la  terra. 
Con  la  felice  ampolla  che  la  mente 
Dovea  sanare  al  gran  mastro  di  guerra. 
Un'erba  quivi  di  virtù  eccellente 
Mostra  Giovanni  al  duca  d'Inghilterra: 
Con  essa  vuol  ch'ai  suo  ritorno  tocchi 
Al  Re  di  Nubia  e  gli  risani  gli  occhi; 
25 

Acciò  per  questi  e  per  li  primi  inerti 
Gente  gli  dia,  con  che  Biserta  assaglia. 
E  come  poi  quei  popoli  inesperti 
Arini  et  acconci  ad  uso  di  battaglia, 
E  senza  danno  passi  pei  deserti 
Ove  l'arena  gli  uomini  abbarbaglia, 
A  punto  a  punto  l'ordine  che  tegna. 
Tutto  il  Vecchio  santissimo  gl'insegna. 
26 

Poi  lo  fé'  rimontar  su  quello  alato 
Che  di  Ruggiero,  e  fu  prima  d'Atlante. 
Il  Paladin  lasciò,  licenziato 
Da  san  Giovanni,  le  contrade  sante;  - 
E  secondando  il  Nilo  a  lato  a  lato, 
Tosto  i  Nubi  apparir  si  vide  inante; 
E  ne  la  terra  che  del  regno  è  capo, 
Scese  da  l'aria  e  ritrovò  il  Senapo. 
27 

Molto  fu  il  gaudio,  e  molta  fu  la  gioia 
Che  portò  a  q«el  Signor  nel  suo  ritorno; 


—  7.  dal  e.  p.  basso;  dal  cielo  della  Luna, 
che  è  degli  altri  il  più  basso,  e  che  più 
sotto  chiama  il  u^>'0  (la  sfera)  lucente. 

24.  2.  Alla  m.  a.  d.  t.;  sulla  montagnadel 
paradiso  terrestre,  che  è  il  punto  più  alto 
della  terra. 

—  :!.  felice  a.;  salutifera  amp.:  Nel  e. 
XXIX,  24,  2,  si  ha  felice  liijuor.  In  questo 
senso  si  citano  solamente  questi  due  luoghi 
dell'  Ar. 

—  4.  g.  mastro,  d.  g.  Orlando. 

25.  1.  p.  li  pr.  morti  ;  acquistati  cacciando 
le  arpie. 

—  3-S.  E  come  ecc.  Costruisci:  il  vecchio 
santissimo  gli  insegna  come  armi  e  accon- 
ci ecc.;  come  passi  senza  danno  ecc.;  gli 
insegna  punto  per  punto  minutamente  l'or- 
dine che  deve  tenere  in  far  ciò;  insomma 
tutto  gli  insegna. 

28.  1.  q.  alato;  il  cavallo  alato.  È  notevole 
quest'  estensione  di  signilicato  che  abbiamo 
anche  nel  e.  xxxiii,  bS,  7. 

—  5.  a  lato  a  1.  ;  accosto  accosto,  vicino 
vicino;  molto  da  vicino. 

—  7.  capo;  capitale.  Nubia. 


518 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  ben  si  raccordava  de  la  noia 
Che  gli  avea  tolta,  de  l'Arpie,  d'intorno. 
Ma  poi  che  la  grossezza  gli  discuoia 
Di  quello  umor  che  già  gli  tolse  il  giorno, 
E  che  gli  rende  la  vista  di  prima. 
L'adora  e  cole,  e  come  un  Dio  sublima. 
■28 

Si  che  non  pur  la  gente  che  gli  chiede 
Per  muover  guerra  al  regno  di  Diserta, 
Ma  centomila  sopra  gli  ne  diede, 
E  gli  te'  ancor  di  sua  persona  ofi'erta. 
La  gente  a  pena,  ch'era  tutta  a  piede, 
Potea  capir  ne  la  campagna  aperta; 
Che  di  cavalli  ha  quel  paese  inopia 
Ma  d'elefanti  e  di  camelli  copia. 
29 

La  notte  inanzi  il  di  che  a  suo  camino 
L'esercito  di  Nubia  dovea  porse. 
Montò  su  rippogrifo  il  Paladino, 
E  verso  Mezzodì  con  fretta  corse, 
Tanto  clie  giunse  al  monte  che  l'Austrino 
Vento  produce,  e  spira  t   atra  l'Orse. 
Trovò  la  cava,  onde  per  stretta  bocca, 
Quando  si  desta,  il  furioso  scocca. 
30 

E  come  raccordògli  il  suo  maestro, 
Avea  seco  arrecato  un  utre  voto, 
Il  qua],  mentre  ne  l'antro  oscuro  alpestre. 


27.  3.  raccordava  ;  ricordava. 

—  5.  gli  discuoia;  gli  assottiglia  la  gros- 
sezza di  queir  umor,  che  già  ecc.  La  pu- 
pilla essendo  limpida  e  trasparente  sembra 
un  umore  sottile:  in  certe  cecità  la  mem- 
brana alterandosi  diventa  biancastra  e  li- 
vida, cosicché  pare  che  quel  primitivo  u- 
more  sia  divenuto  più  spesso  e  duro,  come 
una  pelle  (cuoio). 

—  7.  E  che;  Uniscilo  al  poi  del  v.  5. 

—  8.  sublima,  esalta:  cfr.  e.  xxxii,  56, 
n.  6;  e  osserva  che  qui  ha  un  siguiflcato 
olle  tiene  di  quello  e  dell'altro  al  e.  in,  59,  4. 

iS.  3.  sopra;  sopra  quella,  oltre  quella. 
Cosi  usò  sopra  il  Boccaccio,  Nov.  13:  «K 
molte  delle  altre  comperar   sopra  quelle». 

—  4.  E  gli  fé  ecc.  Intendi  che  si  offri 
d'  andare  egli  stesso  ;  e  di  fatto  vi  andò  : 
cfr.  e.  XLiv,  19,  5. 

29.  5.  Tanto  che,  finché.  V.  xxxvii,  120, 
n.  1.  —  a  monte.  «Intende  forse  dei  monti 
Lupata  o  di  altro  appartenente  a  quel  si- 
stema orografico,  che  i  geografi  cliiamaiio 
australe  »  (Casella).  —  Anstrino,  australe. 
Cosi  nel  e.  iv,  30  «  polo  austrino  ».  Il  vento 
australe  spira  verso  nord,  ossia  verso  le 
costellazioni  dell'Orsa  maggiore  e  minore. 

—  7.  la  cava;  la  caverna. 

30.  1-2.  un  utre.  Quest'idea  è  felice  pa- 
rodia di  Omero,  Odissea,  x,  1-100,  il  quale 
immagina  che  Eolo  dia  ad  Ulisse,  chiusi  in 
un  otre,  tutti  i  venti,  perché  non  impedis- 


Affaticato  dorme  il  fiero  Noto, 
Allo  spiraglio  pon  tacito  e  destro: 
Et  è  l'agnato  in  modo  al  vento  ignoto, 
Che,  credendosi  uscir  fuor  la  dimane, 
Preso  e  legato  in  quello  utre  rimane. 
31 

Di  tanta  preda  il  Paladino  allegro, 
Ritorna  in  Nubia,  e  la  medesma  luco 
Si  pone  a  caminar  col  popol  Negro, 
E  vettovaglia  dietro  si  conduce. 
A  salvamento  con  lo  stuolo  integro 
Verso  l'Atlante  il  glorioso  Duce 
Pel  mezzo  vien  de  la  minuta  sabbia. 
Senza  temer  che'l  vento  a  nuocer  gli  abbia. 
32 

E  giunto  poi  di  qua  dal  giogo  in  parte. 
Onde  il  pian  si  discuopre  e  la  marina, 
Astolfo  elegge  la  più  nobil  parte 
Del  campo,  e  la  meglio  atta  a  disciplina; 
E  qua  e  là  per  ordine  la  jiarte 
A  pie  d'un  colle,  ove  nel  pian  confina. 
Quivi  la  lascia,  e  su  la  cima  ascende 
In  vista  d'uom  eh'a  gran  pensieri  intende. 
33 

Poi  che,  inchinando  le  ginocchia,  fece 
Al  santo  suo  maestro  orazione. 
Sicuro  che  sia  udita  la  sua  prece, 
Copia  dì  sassi  a  far  cader  si  pone. 


sero  il  suo  ritorno  in  patria.  Qui  i  venti 
sono  rinchiusi;  perché  non  sollevino  le  sab- 
bie del  deserto.  V.  st.  39,  6. 

31.  2.  la  m.  luce;  lo  stesso  giorno.  Lvce 
per  giorno  usò  già  Dante,  canz.  7,  4'i: 
«  Cosi  foss'  ella  più  pietosa  donna  Ver  me 
che  chiamo  di  notte  e  di  luce  ». 

—  6.  Duce;  forse  qui  vale  Duca,  come 
nel  e.  XXXIV,  8,  3. 

32.  1.  di  qua  dal  giogo.  Il  Bolza,  che  ha 
descritto  questo  viaggio,  crede  che  Astolfo 
siasi  spinto  fino  all'estremità  occidentale 
dell'. atlante;  ma,  poiché  si  vede  che  il  Duca 
mirava  alla  capitalo  di  Agrainante,  a  Bi- 
serta,  non  si  capirebbe,  perché  avesse  fatto 
tanto  inutile  viaggio.  È  da  credere  invece, 
che,  giunto  alla  altezza  della  Tunisia,  abbia 
piegato  verso  Nord,  abbia  passato  i  monti 
e  siasi  avviato  verso  Biserta.  Si  ricordi  che 
l'Atlante  andava,  anche  per  gli  antichi,  fino 
al  capo  Bon.  Inoltre,  dicendo  che  Astolfo 
andava  verso  l'Atlante,  significa  in  gene- 
rale la  direzione  verso  ovest. 

—  5.  parte,  distribuisce. 

—  6.  A  p.  d'un  colle  ecc;  proprio  alle 
falde  di  un  colle,  dove  cioè  il  colle  si  sdraia 
nella  pianura. 

—  s.  intende;  mira,  si  volge,  volge  la 
mente. 

33.  2.  Al  santo,  a  San  Giovanni  evange- 
lista. 

—  4.  Copia  di  8.  Vi  è  una  bella  trasfor- 


CANTO  XXXVIII 


519 


Oh  quanto  a  chi  ben  crede  in  Cristo,  lece! 

I  sassi,  fuor  di  naturai  ragione 
Crescendo,  si  vedean  venire  in  giuso, 

E  formar  ventre  e  gambe  e  collo  e  muso: 
34 

E  con  chiari  anitrir  giù  per  quei  calli 
Venian  saltando,  e  giunti  poi  nel  piano 
Scuotean  le  groppe,  e  fatti  eran  cavalli. 
Chi  baio  e  chi  leardo  e  chi  rovano. 
La  turba  ch'aspettando  ne  le  valli 
SStava  alla  posta,  lor  dava  di  mano: 
Si  che  in  poche  ore  fur  tutti  montati: 
Che  con  sella  e  con  freno  erano  nati. 
35 

Ottanta  mila  cento  e  dua  in  un  giorno 
Fé',  di  pedoni,  Astolfo  cavallieri, 
Con  questi  tutta  scorse  Africa  intorno, 
Facendo  prede,  incendi  e  prigionieri. 
Posto  Agramante  avea  fin  al  ritorno 

II  Re  di  Fersa  e  '1  Re  degli  Algazeri, 
Col  Re  Branzardo  a  guardia  del  paese: 
E  questi  si  fér  centra  al  Duca  Inglese; 

36 
Prima  avendo  spacciato  un  suttil  legno 
Ch'a  vele  e  a  remi  andò  battendo  l'ali, 


mazione  del  mito  di  Deucalione  e  Pirra, 
che,  gettandosi  sassi  dietro  le  spalle,  pro- 
generarono uomini  e  donne:  Ovidio,  Met. 
1,   398-413.  —  a  far  cader;    giù  per  il  colle. 

34.  1.  anitrir,  anitriri.  v.  e.  xxxiii,  92, 
u.  8. 

—  4.  leardo  (antico  francese  liart  d'o- 
rigine ignota)  grigio  pomellato.  —  rovano,  o 
roano;  mantello  bigio,  con  criuiera  gambe 
e  coda  nera.  L'  etimologia  è  ignota. 

—  6.  1.  dava  di  mano;  li  afferrava. 

—  7.  fnr  t.  niont.;  forse  si  riferisce  a 
cavalli.  Quantunque  potrebbe  riferirsi  an- 
che a  uomini,  rilevando  questo  sostantivo 
da  turba.  E  dicesi  in  linguaggio  tecnico 
soldato  montato  quello  a  cavallo,  in  con- 
trapposizione al  soldato  a  piedi.  Vedi  que- 
sta espressione  nel  e.  vii,  3,  5. 

35.  J.  Ottanta  m.  ecc.  Queste  determina- 
zioni numeriche  (e.  xv,  4)  hanno  lo  scopo 
di  dar  colorito  storico  alla  narrazione: 
cfr.  e.  XIII,  40,  n.  2. 

—  6.  Il  re  di  Fersa  ecc.  «  Il  re  di  Fersa 
Folvo  anche  rimane  E  Bucifar  il  re  dell' Al- 
gazera  :  L'  uno  al  deserto  alle  terre  lonta- 
ne, E  l'altro  guarda  verso  la  riviera  »  «  Il 
vecchio  Branzardo  di  Bugea  (.^gl'amante) 
vuol  che  a  Biserta  in  suo  luogo  si  stea» 
{lìinamor.  II,  xxviii,  50-52). 

36.  1.  nn  suttil  legno;  un  legno  leggero, 
agile. 

—  2.  andò  b.  l'ali;  andò  veloce  come  vo- 
lando. Piacque  spesso  all'  Ariosto  (xviii, 
137;  xLiii,  52,  56)  e  ad  altri  scrittori  (Viro. 
En.  3,  520  ;  Dante,  Inf.  26,  125)  paragonare 


Ad  Agramante  avviso,  come  il  regno 
Patia  dal  Re  de' Nubi  oltraggi  e  mali. 
Giorno  e  notte  andò  quel  senza  ritegno, 
Tanto  che  giunse  ai  liti  Provenzali; 
E  trovò  in  Arli  il  suo  Re  mezzo  oppresso; 
Che  '1  campo  avea  di  Carlo  un  miglio  ap- 

37  [presso. 
Sentendo  il  Re  Agramante  a  che  peri- 

Per  guadagnare  il  regno  di  Pipino,  [glio. 
Lasciava  il  suo,  chiamar  fece  a  consiglio 
Principi  e  Re  del  popol  Saracino. 
E  poi  ch'una  o  due  volte  girò  il  ciglio 
Quinci  a  Marsilio  e  quindi  al  Re  Sobrino, 
I  quai  d'ognialtro  fur,  che  vi  venisse, 
I  duo  più  antiqui  e  saggi,  cosi  disse: 

38  [gna 
Quantunque  io  sappia  come  mal  conve- 

A  un  capitano  dir:  Non  mei  pensai. 
Pur  lo  dirò;  che  quando  un  danno  vegna, 
Da  ogni  discorso  uman  lontano  assai, 
A  quel  fallir  par  che  sia  escusa  degna; 
E  qui  si  versa  il  caso  mio;  ch'errai 
A  lasciar  d'arme  l'Africa  sfornita. 
Se  da  li  Nubi  esser  dovea  assalita. 
39 

Ma  chi  pensato  avria,  fuor  che  Dio  solo, 
A  cui  non  è  cosa  futura  ignota, 
Che  dovesse  venir  con  si  gran  stuolo 
A  farne  danno  gente  si  remota  ? 
Tra  i  quali  e  noi  giace  l'instabil  suolo 
Di  quella  arena  ognior  da  venti  mota. 
Pur  è  venuta  ad  assediar  Biserta, 
Et  ha  in  gran  parte  l'Africa  deserta. 
40 

Or  sopra  ciò  vostro  consiglio  chieggio: 
Se  partirmi  di  qui  senza  far  frutto, 
0  pur  seguir  tanto  l'impresa  deggio. 
Che  prigion  Carlo  meco  abbi  condutto; 

il  correr  delle  navi  al  volar   degli   uccelli. 
Omero  disse  i  remi  ali  delle  navi. 

—  3.  avviso;  li  apposizione  di  leijno.  Al 
Galilei  non  parve  abbastanza  chiaro  e  pro- 
pose «  A  dire  ad  Agramante  come  il  regno  ». 

37.  5.  poi  che...  girò.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  XIII,  74,  n.  1. 

38.  1-2.  come  mal  e.  ecc.  Valerio  Mas- 
simo, 8,  2,  2:  «  Scipio  Africanus  turpe  esse 
aiebat  in  re  militari  dicere:  non  putaram». 

—  6.  q.  si  versa;  iu  questo  consiste.  Co- 
munemente  senza  la  particella  si:  la  que- 

i  stione  versa  in  questo.  Forse  ha  agito  sul 

i  costrutto  il   versari  latino,   che   significa 

i  pure  essere.   Ciceuone,  8,  Phìl.  2:  «  lUi  in 

i  pace  versantur  »  sono,  stanno  in  pace. 

i       39.  6.  da  venti  mota,  da  v.  mossa.  Dante, 

I  Purg.  23,  19:  «  Cosi  di  retro  a  noi,  più  to- 

]  sto  mota  ». 

I       —   8.   deserta,    disertata,    guasta,    deva- 

i  stata.  Cosi  nel  e.  ni,  25,  1. 

j       40.  4.  abbi,  abbia.   Per   questa  termina- 

1  zione  cfr.  e.  xvii,  86,  n.  5. 


520 


ORLANDO  FURIOSO 


O  come  insieme  io  salvi  il  nostro  seggio, 
E  questo  imperiai  lasci  distrutto. 
S'alcun  di  voi  sa  dir,  priego  uol  taccia. 
Acciò  si  trovi  il  meglio,  e  quel  si  faccia. 
41 

Cosi  disse  Agramante;  e  volse  gli  occhi 
Al  Re  di  Spagna,  Che  gli  sedea  appresso, 
Come  mostrando  di  voler  che  tocchi 
Di  quel  c'ha  d'etto,  la  risposta  ad  esso. 
E  quel,  poi  che  surgendo  ebbe  i  ginocchi 
Per  riverenzia,  e  cosi  il  capo  flesso, 
Nel  suo  onorato  seggio  si  raccolse; 
Indi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse: 
42 

O  ben  0  mal  che  la  Fama  ci  apporti, 
Signor,  di  sempre  accrescereha  in  usanza. 
Perciò  non  sarà  mai  ch'io  mi  scontorti, 
0  mai  pili  del  dover  pigli  baldanza 
Per  casi  o  buoni  o  rei,  che  sieno  sorti: 
Ma  sempre  avrò  di  par  tema  e  speranza 
Ch'esser  debban  minori,  e  non  del  modo 
Che  a  noi  per  tante  lingue  venir  odo. 
43 

E  tanto  men  prestar  gli  debbo  fede, 
Quanto  più  al  verisimile  s'oppone. 
Ur  se  gli  è  verisimile,  si  vede, 
Ch'  abbia  con  tanto  numer  di  persone 
Posto  ne  la  pugnace  Africa  il  piede 
Un  Re  di  si  lontana  regione. 
Traversando  l'arene  a  cui  Cambise 


41.  G.  flesso,  piegato.  Del  participio  pas- 
sato non  si  cita  altro  esempio  elle  questo 
dell'Ar.  È  dal  verbo  flettere. 

42.  1.  0  ben  o  mal;  o  buone  o  cattive 
notizie. 

—  6.  avrò  d.  p.  tema  e  sp.;  avrò  tema 
che  sieno  minori  se  la  fama  sia  di  casi 
buoni  ;  avrò  speranza  che  siano  minori  se 
la  fama  sarà  di  casi  rei;  e  neh' un  caso  e 
neh'  altro  la  tema  e  la  speranza  si  bilance- 
ranno (del  par)  :  cioè  non  mi  lascerò  più 
lusingare  dalla  faina  di  casi  buojii  che  op- 
primere dalla  fama  di  casi  tristi. 

—  7.  del  modo;  di  quella  maniera,  che 
(come)  a  noi  li  odo  venire. 

4:5.  1.  gli,   alla   Fama.  V.  e.  xr,  37,  u..  5. 

—  3.  Or  se  gli  è  ecc.  ;  ora  si  vede,  si  com- 
prende facilmente  s'egli  è  verosimile  che 
con  tanto  numero  ecc. 

—  5.  pugnace  Africa;  bellicosa  Afr.  Qui 
Africa  è  presa  nel  senso  primitivo,  ristretto 
al  paese  adiacente  a  Cartagine,  conie  lo  u- 
sarono  per  primi  i_^Romani,  riferendosi  a 
questo  territorio,  "che  fu  lor  prima  pro- 
vincia. 

—  7.  a  cui  Cambise  ecc.  Cambise  re  di 
Persia  <^  ad  Ammonis  quoque  nobilissimuni 
templum  expugnanduni  exercitum  niittit, 
qui  tempestalibus  et  arenarum  molibus  op- 
pressus  interiit»  (iustino,  Hist.  1). 


Con  male  augurio  il  popol  suo  commise. 
44 

Crederò  ben,  che  sian  gli  Arabi  scesi 
Da  le  montagne,  et  abbian  dato  il  guasto, 
E  saccheggiato,  e  morti  uomini  e  presi. 
Ove  trovato  avian  poco  contrasto, 
E  che  Brauzardo  che  di  quei  paesi 
Luogotenente  e  Viceré  è  rimasto, 
Per  le  decine  scriva  le  migliaia. 
Acciò  la  scusa  sua  più  degna  paia. 
45 

Vo'  concedergli  ancor  che  sieno  i  Nubi 
Per  miracol  dal  ciel  forse  piovuti: 
O  forse  ascosi  venner  ne  le  nubi; 
Poi  che  non  far  mai  percamin  veduti. 
Temi  tu  che  tal  gente  Africa  rubi, 
Se  ben  di  più  soccorso  non  l'aiuti? 
Il  tuo  presidio  avria  ben  trista  pelle. 
Quando  temesse  un  popolo  si  imbelle! 
46 

Ma  se  tu  mandi  ancor  che  poche  navi. 
Pur  che  si  veggan  gli  stendardi  tuoi. 
Non  scioglieran  di  qua  si  tosto  i  cavi, 
Che  fuggiranno  nei  confini  suoi 
Questi,  o  sieu  Nubi  0  sieno  Arabi  ignavi, 
Ai  quali  il  ritrovarti  qui  con  noi. 
Separato  pel  mar  da  la  tua  terra, 
Ha  dato  ardir  di  romperti  la  guerra. 
47 

Or  piglia  il  tempo  che,  per  esser  senza 
Il  suo  nipote  Carlo,  hai  di  vendetta. 


—  8.  Con  male  ang.  Per  male  invece  di 
malo  cfr.  e.  iv,  85,  n.  4.  Per  il  fatto,  narra 
Giustino  che  «  offensus  superstitiouibus  At- 
gyptiorum,  Apis  caeterorumque  deorum  ae- 
des  dirui  iubet  ».  Questo  sacrilegio  fu  per 
lui  di  cattivo  augurio. 

44.  1.  gli  Arabi  ecc.  Agramante  lasciando 
Bucifar  a  guardia  della  riviera  di  Barberia 
aveva  detto  «  E  l' altro  guarda  verso  la  ri- 
viera Se  forse  qualche  genti  cristiane  Ov- 
ver  gli  Arabi  ti  donino  affanno  ».  É  noto 
che  gli  Arabi  sono  un  popolo  diverso  dai 
Mori  e  che  quelli,  essendo  nomadi  e  vivendo 
spesso  di  conquista  e  di  rapina,  dovevano 
essere  in  continua  nimicizia  con  questi. 

45.  5.  rubi,  derubi,  metta  a  sacco.  V.  e. 
XV,  58,  n.  8. 

—  7.  b.  trista  pelle,  ben  poco  valore,  sa- 
rebbe di  cattiva  qualità.  È  significato  non 
registrato  dai  vocabolari. 

4C.  1.  ancor  che  p.  n.  C'è  una  delle  solite 
inversioni,  cosi  frequenti  nell'Ar.,  e  non  già, 
come  pensa  alcuno,  un  significato  speciale 
di  ancor  che.  Intendi:  se  tu  mandi  navi, 
ancorché  poche,  ancorché  siano  poche. 

—  3.  cavi  (dalla  forma  spagnuola  cabo, 
propriam.  capo,  estremila  della  fune,  poi 
la  fune  stessa)  grosso  canapo  delle  navi. 

1       47.  1.  il  tempo,  P occasione  (lat.  (r/n^ws). 


CANTO  XXXVIII 


521 


Poi  ch'Orlando  non  c'è,  far  resistenza 
Non  ti  può  alcun  de  la  nimica  setta. 
Se  per  non  veder  lasci,  o  negligenza, 
L'onorata  vittoria  che  t' aspetta, 
Volterà  il  calvo,  ove  ora  il  crin  ne  mostra, 
Con  molto  danno  e  lunga  infamia  nostra. 
4S 

Con  questi  et  altri  detti  accortamente 
Llspauo  persuader  vuol  nel  concilio. 
Che  non  esca  di  Francia  questa  gente, 
Fin  che  Carlo  non  sia  spinto  in  esilio. 
Ma  il  Re  Sobrin  che  vide  apertamente 
Il  camino  a  che  andava  il  Re  Marsilio, 
Che  più  per  Tutil  proprio  queste  cose. 
Che  pel  commun  dieea,  cosi  rispose: 
49 

Quando  io  ti  confortava  a  stare  in  pace, 
Fosse  io  stato.  Signor,  falso  indovino  ; 
0  tu,  se  io  dovea  pure  esser  verace, 
Creduto  avessi  al  tuo  fedel  Sobrino, 
E  non  più  tosto  a  Rodomonte  audace, 
A  Marbalusto,  a  Alzirdo  e  a  Martasino, 
Li  qnali  ora  vorrei  qui  avere  a  fronte: 
Ma  vorrei  più  degli  altri  Rodomonte, 
50 

Per  rinfacciargli  che  volea  di  Francia 
Far  quel  che  si  faria  d'un  fragil  vetro, 
E  in  cielo  e  ne  lo  'nferuo  la  tua  lancia 


Cosi  nel  e.  J,  76,  5;  xviii,  75,  4.  Nella  ediz. 
del  1516  si  leggeva  «  Piglia  l'occasion  ». 

—  4.  setta.  Qui  ha  il  suo  proprio  sigui- 
licato.  Per  un  guerriero  Maomettano  il  cri- 
stianesimo non  doveva  essere  che  una  setta 
nemica. 

—  5.  per  non  veder;  per  poco  accorgi- 
mento. Cosi  nel  e.  xxx,  82,  S. 

—  '.  Volterà  il  calTo.  Il  Casella  lo  riferi- 
sce a  vittoria  e  spiega  ;  «  Confonde  la  For- 
tuna con  la  Vittoria,  perché  questa  è  data 
spesso  da  quella  ».  Altri  lo  riferiscono  a 
tempo;  e  cosi  avremmo  più  esatta  corri- 
spondenza col  motto  di  Dionisio  Catone: 
«Fronte  capillata,  post  est  occasio  calva»; 
(V.  e.  XVIII,  161,  n.  5.).  Il  riferimento  è,  a 
dir  vero  un  poco  lontano  ;  ma  abbiamo  nel 
Furioso  molti  distacchi  simili. 

48.  6.  Il  camino  a  eh.  a.;  dove  tendeva, 
dove  voleva  andare  a  riuscire;  a  qual  fine 
mirava. 

—  7.  per  l'ntil  pr. ,  per  domare  Carlo  M., 
che  era  per  lui  un  nemico  troppo  vicino. 

49.  2.  Fosse;    fossi.  V.  e.   xxxi,    12,  u.  7. 

—  5.  a  Rodom.  a  M.  a  A.  a  M.  Ciò  appare 
daW  Iniiam.  II,  i,  6ò;  45-51. 

50.  1.  volea  di  Francia  ecc.  Innam.  II, 
VI,  10,  v.  4.  «  Tutta  in  tre  giorni  la  (Francia) 
voglio  pigliare  ». 

—  3.  E  in  cielo  ecc.  Innam.  II,  i,  tó: 
«  In  cielo'e  nell'inferno  il  re  Agramante  Se- 
guirò sempre  e  passerogli  avante  ». 


Seguire,  anzi  lasciarsela  di  dietro; 
Poi  nel  bisogno  si  gratta  la  pancia 
Ne  l'ozio  immerso  abomiuoso  e  tetro: 
Et  io  che  per  predirti  il  vero  allora 
Codardo  detto  fui,  son  teco  ancora  ; 
51 

E  sarò  sempre  mai,  fin  eh'  io  finisca 
Questa  vita  ch'ancor  che  d'anni  grave. 
Porsi  incontra  ogni  di  per  te  s'arrisca 
A  qualunque  di  Francia  più  nome  have. 
Né  sarà  alcun,  sia  chi  si  vuol,  ch'ardisca 
Di  dir  che  l'opre  mie  mai  fosser  prave: 
E  non  han  più  di  me  fatto  né  tanto 
Molti  che  si  donar  di  me  più  vanto. 
52 

Dico  cosi,  per  dimostrar  die  quello 
Ch'io  dissi  allora,  e  che  ti  voglio  or  dire, 
Né  da  viltade  vien  né  da  cor  fello, 
Ma  d'amor  vero  e  da  fedel  servire. 
Io  ti  conforto  ch'ai  paterno  ostello. 
Più  tosto  cbe  tu  poi,  vegli  redire: 
Che  poco  saggio  si  può  dir  colui 
Che  perde  il  suo  per  acquistar  l'altrui. 
53 

S'acquisto  c'è,  tu'l  sai.  Trentadui  fummo 
Re  tuoi  vassalli  a  uscir  teco  del  porto: 
Or,  se  di  nuovo  il  conto  ne  rassumrao 
C'è  a  pena  il  terzo,  e  tutto  '1  resto  è  morto. 
Che  non  ne  cadan  più,  piaccia  a  Dio  sum- 
Ma  se  tu  vuoi  seguir,  temo  di  corto,  imo: 
Che  non  ne  rimarrà  quarto,  né  quinto; 
E  '1  miser  popol  tuo  tìa  tutto  estinto. 
54 

Ch'Orlando  non  ci  sia,  ne  aiuta;  ch'ove 


—  5.  si  gr.  la  pancia.  Espressione  volgare 
ancor  viva  e  comune  per  esprimere  indo- 
lenza. 

—  6.  tetro;  oscuro,  che  rende  oscuri. 

51.  3.  s"  arrisca  ;  L'Ar.  ed  altri  usarono 
più  volte  risco  per  risico,  donde  arriscare, 
piuttosto  che  da  arrisicare  per  sincope. 

—  7.  né  tanto,  quanto  me.  Cosi  nella 
st.  4,  2. 

52.  4.  d'amor,  da  amor.  V,  e.  v,  10,  n.  5. 

—  6.  poi,  puoi.  Cosi  anche  nel  e.  xlvi, 
106,  dove  il  Morali  mette  puoi.  •«  Poi  era 
scritto  dagli  antichi;  noi  puoi  »  (N'annucci, 
An.  Cr.,  p.  640.  —  vegli,  voglia.  V.  st.  40,  n.  1. 
—  redire  (lat.  redire)  ritornare:  Dante, 
Par.  18,  11,  ha  reddire. 

5:ì.  3.  rassummo;  rassommo,  assommo 
(da  rassuvimart^);  se  sommo  il  conto,  se 
faccio  la  somma.  Per  la  parola  e  per  il  si- 
gnificato si  cita  questo  solo  esempio  del- 
l'Ariosto.   • 

6.  di  corto.  Appartiene  alla  proposizione 
seguente:  temo  che  di  corto  (fra  breve)  non 
ne  rimarrà  ecc. 

—  7.  quarto  né  quinto.  Manca  l'articolo: 
il  quarto  né  il  quinto. 

54.  1.  ove  ecc.;  mentre  ora  siamo  pochi, 


522 


ORLANDO  FURIOSO 


Siàn  pochi,  forse  alcun  non  ci  saria. 
Ma  per  questo  il  periglio  non  rimuove, 
Se  ben  prolunga,  nostra  sorte  ria. 
Ecci  Rinaldo,  che  per  molte  prove 
Mostra  che  non  minor  d'Urlando  sia: 
C'è  il  suo  lignaggio,  e  tutti  i  Paladini, 
Timore  eterno  a' nostri  Saracini: 
55 

Et  hanno  appresso  quel  secondo  Marte 
(Ben  che  i  nimici  al  mio  dispetto  lodo), 
Io  dico  il  valoroso  Braudimarte, 
Xon  men  d'Orlando  ad  ogni  prova  sodo; 
Del  qual  provata  ho  la  virtude  in  parte, 
Parte  ne  veggo  all'altrui  spese  et  odo. 
Poi  son  pili  di  che  non  c'è  Orlando  stato; 
E  pili  perduto  abbiàn  che  guadagnato. 
56 

Se  per  a  dietro  abbiàn  perduto,  io  temo 
Che  da  qui  inanzi  perderèn  più  in  grosso. 
Del  nostro  campo  Mandricardo  è  scemo: 
Gradasso  il  suo  soccorso  n'ha  rimosso: 
Marfisa  n'ha  lasciata  al  punto  estremo. 


qualora  ci  fosse   stato   Orlando  non  ci  sa- 
rebbe rimasto  alcuno. 

—  4.  n.  sorte  ria.  È  soggetto. 

—  6.  Mostra  che...  sia,  mostra  di  essere. 
V.  e.  I,  38,  n.  6. 

55.  5.  provata  ho  ecc.  Forse  l' Ariosto 
pensava  e  voleva  riferirsi  a  quella  grande 
battaglia  sotto  le  mura  di  Parigi,  nella 
quale  Orlando  e  Brandimarte  fecero  contro 
i  Saracini  mirabili  prove  (Innam.  IH,  viii). 
Il  Poeta  finge  che  Sobrino  ignori  la  sorte 
di  Brandimarte,  che  era  stato  fatto  prigione 
da  Rodomonte  (xxxi,  75). 

—  7.  Poi  son  p.  di'.  Questo  luogo  non  è 
chiaro.  Si  può  iutendere:  poi  (inoltre)  se 
qualcuno  non  vuol  dare  a  Rinaldo  e  a  Bran- 
dimarte r  importanza  che  io  ho  data  loro, 
faccio  rillettere  che  Orlando  manca  da  più 
giorni;  eppure  (e)  abbiamo  in  questi  giorni 
più  perduto  che  guadagnato:  dunque  la 
mancanza  d'Orlando  non  è  troppo  grande 
vantaggio.  —  E  anche:  oltre  Rinaldo  essi 
hanno  ancora  Brandimarte,  che  vale  non 
meno  di  Orlando;  poiché  (poi)  son  più 
giorni  che  Orlando  manca,  eppure  abbiamo 
perduto  più  che  g.  Questo  prova  che  Ri- 
naldo e  Brandimarte  compensano  Orlando. 
—  Poi  per  poiché  Petrarca,  i  son.  49:  «  Ma 
poi  vostro  destino  a  voi  pur  vieta  D'essere 
altrove,  provvedete  almeno  ecc.  »;  e  per  «ìj- 
pure  è  frequente  nella  letteratura  e  comune 
ancora  nelP  uso.  È  preferibile  la  prima  in- 
terpretazione. 

—  8.  abhiàn,  abbiam.  V.  e.  ix,  43,  n.  8. 
.56.  2.  p.  in  grosso;  in  misura  maggioi'e. 

È  espressione  assai  usata  con  varie  sfuma- 
ture di  significato. 

—    5.  n'ha  lasciata,   n'  ha   lasciato.  Y.  e. 


E  cosi  il  Re  d'Algier,  di  cui  dir  posso. 
Che,  se  fosse  fedel,  come  gagliardo. 
Poco  uopo  era  Gradasso  o  Mandricardo. 
57 

Ove  sono  a  noi  tolti  questi  aiuti, 
E  tante  mila  son  dei  nostri  morti; 
E  quei  ch'a  venir  han,  son  già  venuti. 
Né  s' aspetta  altro  legno  che  n'apporti: 
Quattro  son  giunti  a  Carlo,  non  tenuti 
Manco  d'Orlando  o  di  Rinaldo  forti; 
E  con  ragion;  che  da. qui  sino  a  Battro 
Potresti  mal  trovar  tali  altri  quattro. 
58 

Non  so  se  sai  chi  sia  Guidon  Selvaggio 
E  Sansonetto  e  i  tìgli  d'Oliviero. 
Di  questi  fo  più  stima  e  più  tema  aggio, 
Che  d'ogni  altro  lor  Duca  e  Cavalliero, 
Che  di  Lamagnao  d'altro  stran  linguaggio 
Sia  contra  noi  per  aiutar  l' Impero: 
Bench'importa  anco  assai  la  gente  nuova 
Ch'  a'  nostri  danni  in  campo  si  ritrova. 
59 

Quante  volte  uscirai  alla  campagna. 
Tanto  avrai  la  peggiore,  o  sarai  rotto. 
Se  spesso  perde  il  campo  Africa  e  Spagna, 
Quando  siàn  stati  sedici  per  otto; 


VI,  3f,  n.  5.  Nell'ediz.  del  1516  e  del  1521  si 
leggeva  n^fia  lasciati.  Il  Panizzi  cosi  legge, 
ma  questa  bizzarra  attrazione  è  confer- 
mata da  altri  luoghi  citati  nel  e.  vi,  ed  è 
per  ciò  da  ritenere  autentica. 

—  8.  P.  uopo  era  G.;  faceva  poco  bi- 
sogno Gr. 

67.  1.  Ove,  mentre.  V.  e.  xxxv,  46,  8. 

—  2.  mila,  migliaia.  Mila  non  solo  si 
pone  dopo  un  aggettivo  numerale;  ma  an- 
che dopo  un  quantitativo,  specialmente  da- 
gli antichi,  e  trovasi  molti  mila,  molle, 
tante  mila  (Caro,  En.  12,  220). 

—  3.  E  quei  ecc.  E  tutti  quegli  aiuti,  che 
potevamo  avere,  sono  già  tutti  venuti. 

—  7.  a  Battro,  capit.  della  Battriana  pro- 
vincia della  Persia.  Qui  vuol  dire  da  ponente 
(dov'è  la  Fi-ancia)  all'oriente  (dove  è  Battro). 

58.  1.  Non  so  ecc.  Verso  non  bello  per 
troppi  monosillabi  e  per  troppe  s. 

—  7.  la  gente  nuova.  Accenna  agli  aiuti 
Scozzesi  e  Inglesi  condotti  da  Rinaldo. 

69.  2.  Tanto,  tante  volte.  I  vocabolari  ci- 
tano un  solo  esempio  della  Vita  di  Santa 
Maria  Maddalena,  53:  «Io  voglio  morire 
mille  volte,  se  tanto   potessi  risuscitare». 

—  4.  siàn,  siamo.  11  passo,  che  alcuni 
trovano  non  chiaro  e  imbrogliano  con  di- 
stinzioni e  sottigliezze,  è  chiarissimo:  se  il 
campo  d'Affr.  e  Spagna  perde  quando  sia- 
mo stati  sedici  contro  otto,  che  avverrà 
quando,  essendosi  unita  a  Francia  l' Ale- 
magna,  la  Scozia,  l'Inghilterra,  non  più  se- 


CANTO  XXXVIII 


523 


Che  sarà,  poi  ch'Italia  e  che  Lamagna 
Con  Francia  è  unita,  e  '1  popolo  Anglo  e 
E  che  sei  contra  dodici  saranno?  [Scotto  ; 
Ch'altro  si  può  sperar,  che  biasmo  e  dan- 
60  [no  ? 

La  gente  qui,  là  perdi  a  un  tempo  il  re- 

[gno, 
S'in  questa  impresa  pili  duri  ostinato  ; 
Ove,  s'al  ritornar  muti  disegno, 
L'avanzo  di  noi  servi  con  lo  stato. 
Lasciar  Marsilio  è  di  te  caso  indegno, 
Ch'ognun  te  ne  terrebbe  molto  ingrato  : 
Ma  e'  è  rimedio,  far  con  Carlo  pace; 
Ch'a  lui  deve  piacer,  se  a  te  pur  piace. 
61 

Pur  se  ti  par  che  non  ci  sia  il  tuo  onore, 


dici  si  troveranno  contro  otto,  ma  sei  (de' 
nostri)  contro  dodici  (cristiani)  ?  —  Ed  è 
chiaro  che  è  sempre  il  numero  dei  Saracini 
contrapposto  a  un  numero  di  cristiani. 

60.  3.  s'al  ritornar  m.  dis.;  Intenderei:  se 
muti  disegno  quanto  al  ritorno.  E  giacché 
prima  l'idea  era  di  disfare  ad  ogni  costo 
cario  Magno  (cfr.  innam.  II,  1,  63, 6-i),  ora  il 
disegno  dovrebb'essere  di  tornare  in  Africa. 
—  al.  in  questo  senso  vedilo  nel  Petrarca, 
canz.  «  Italia  mia,  benclié  il  parlar  sia  in- 
darno alle  plagile  mortali  (in  risguardo  alle 
piaghe  m.)».  Ma  è  un  uso  notevole  e  raro. 

—  4.  servi,  serbi  l'avanzo  di  noi,  quelli 
che  di  noi  ancora  avanzano. 

—  5.  caso.  La  Crusca  intende  atto,  e 
cita  questo  solo  esempio.  Io  vorrei  piut- 
tosto intendere  caso  nella  sua  comune  ac- 
cezione di  supposizione  :  la  supposizione 
che  tu  debba  lasciar  MarsiUo  nessuno  la 
farà,  perché  è  indegna  di  te,  ti  farebbe  di- 
sonore, giacché  ognuno  ti  taccerebbe  d'in- 
gratitudine. Caso  per  supiposizione  veddo 
nelle  frasi  comuni  facciamo  il  caso  che, 
nel  caso  che  (es.  Mi  sono  premunito  nel 
caso  che  uno  mi  attaccasse).  In  ogni  modo, 
anche  intendendolo,  come  la  Crusca,  per 
atto,  vi  è  r  idea  di  atto  che  per  avventura 
potesse  compiersi  da  Agramante. 

—  6.  Ch'ognun.  Intendendo  caso  per  atto, 
il  che  è  relativo  usato  liberamente  a  ino' 
del  popolo  e  il  ne  è  pleonastico:  del  quale 
ognun  te  ne  terrebbe  m.  in.  Intendendo 
caso  per  supiposizione,  il  che  sta  per  poi- 
ché. 

—  7.  C  è  r.  far;  e'  è  rimedio;  cioè  far 
con  C.  p. 

—  8.  Ch'alni  deve  p. ;  la  qual  pace  deve 
piacere  (suppongo  che  a  lui  piaccia)  se  ecc. 
Il  verbo  dovere,  in  questo  senso,  è  ancor 
vivo  neir  uso  :  <•  Questo  libro  deve  averlo 
pubblicato  il  tale  »;  cioè  credo,  e  son  quasi 
certo  lo  abbia  p.  il  t.  Vedine  altro  esempio 
nel  e.  XXXIII,  5,  3. 

61.  1.  non  ci  sia  il  t.  o.;  non  sia  salvo  in 


Se  tu  che  prima  offeso  sei,  la  chiedi; 
E  la  battaglia  più  ti  sta  nel  core. 
Che,  come  sia  tìn  qui  successa,  vedi; 
Studia  almen  di  restarne  vincitore: 
Il  che  forse  avverrà,  se  tu  mi  credi,     ^ 
Se  d'ogni  tua  querela  a  un  cavalliero  •) 
Darai  l'assunto;  e  se  quel  fìa  Ruggiero. 
62  [tale, 

Io  'I  so,  e  tu  '1  sai  che  Euggier  nostro  è 
Che  già  da  solo  a  sol  con  l'arme  in  mano, 
Non  men  d'Orlando  o  di  Rinaldo  vale, 
Né  d'alcun  altro  cavallier  Cristiano.   . 
Ma  se  tu  vuoi  far  guerra  universale; 
Ancor  che  '1  valor  suo  sia  sopraumano, 
Egli  però  non  sarà  pili  ch'un  solo. 
Et  avrà  di  par  suoi  contra  uno  stuolo. 

A  me  par,  sa  te  par,  ch'a  dir  si  mandi 
Al  Re  Cristian,  che  per  tìnir  le  liti, 
E  perché  cessi  il  sangue  che  tu  spandi 
Ogni  or  de'  suoi,  egli  de'  tuo'  infiniti  ; 
Che  contra  un  tuo  guerrier  tu  gli  domandi, 
Che  metta  in  campo  uno  dei  suoi  più  arditi  ; 
E  faccian  questi  duo  tutta  la  guerra, 
Fin  che  l'un  vinca,  e  l'altro  resti  in  terra: 
64 

Con  patto,  che  qual  d'essi  perde,  faccia 
Che'l  suo  Re  all'altro  Re  tributo  dia. 
Questa  coudizion  non  credo  spiaccia 
A  Carlo,  ancor  che  sul  vantaggio  sia. 
Mi  fido  si  ne  le  robuste  braccia 
Poi  di  Ruggier,  che  vincitor  ne  fia; 


questa  cosa  il  tuo  onore,   se   ecc.  È  modo 
vivissimo  ancora. 

—  4.  Che  ecc.  Questa  è  un' amara  rifles- 
sione di  Sobrino  per  sconfortarlo  e  sconsi- 
gliarlo dalla  battaglia. 

—  S.  l'assunto,  l'impresa  erano  espres- 
sioni tecniche  dei  duelli  e  dei  combatti- 
menti: quindi  i  modi  dar  l'assunto,  aver 
Vas.,  prender  Vass.  o  l'impresa  di  una 
querela  e  simili. 

Hi.  2.  Che  già,  che  certamente.  È  signi- 
ficato del  già  ancora  comune  nell'  uso.  Pk- 
TRARCA,  I,  son.  116:  «già  sol  io  non  in- 
vecchio ». 

63.  4.  infiniti.  Riferiscilo  tanto  a  suoi  che 
a  tuoi:  (che  tra  tutti  sono  infiniti). 

—  5.  Che.  Sulla  ripetizione  del  che  cfr. 
e.  v.  27,  n.  6. 

—  7.  tntta  la  g.;  tutta  quella  guerra,  che 
dovremmo  far  noi,  la  faccian  loro,  e  la 
facciano  in  modo  che  uno  resti  interamente 
oppresso. 

64.  1.  faccia,  produca,  con  la  sua  disfatta, 
l'effetto  che  ecc. 

-^  4.  sul  Tantaggio  sia;  abbia  vantaggio 
su  noi.  È  locuzione  non  citata  dai  vocabo- 
lari. 

—  5-6.  Mi  fido  si...  che  ecc.  Ho  tanta  fi- 
ducia nella  forza  di  Ruggero;  che  non  può 


524 


ORLANDO  FURIOSO 


E  ragion  tanta  è  da  la  nostra  parte, 
Che  vincerà,  s'avesse  incontra  Marte. 

65 
Con  questi  et  altri  più  efficaci  detti, 
Fece  Sobrin  si,  che'l  partito  ottenne; 
E  gl'interpreti  tur  quel  giorno  eletti, 
E  quel  di  a  Carlo  l'imbasciata  venne. 
Carlo  ch'avea  tanti  guerrier  perfetti, 
Vinta  per  sé  quella  battaglia  tenue, 
Di  cui  l'impresa  al  buon  Rinaldo  diede, 
In  ch'avea,  dopo  Orlando,  maggior  fede. 

6(5 
Di  questo  accordo  lieto  parimente 
L'uno  esercito  e  l'altro  si  godea; 
Che  '1  travaglio  del  corpo  e  de  la  mente 
'i'ntti  area  stanchi,  e  a  tutti  rincrescea. 
Ognun  di  riposare  il  rimanente 
De  la  sua  vita  disegnato  avea; 
Ognun  maledicea  l'ire  e  i  furori 
Ch'a  risse  e  a  gare  avean  lor  desti  i  cori. 

67 
Rinaldo  che  esaltar  molto  si  vede, 
Che  Carlo  iu  lui  di  quel  che  tanto  pesa, 
Via  più  ch'in  tutti  gli  altri,  ha  avuto  fede, 
Lieto  si  mette  all'onorata  impresa: 
Ruggier  non  stima;  e  veramente  crede 


essere  a  meno  che  egli  vinca:  la  mia  molta 
fiducia  mi  assicura  che  vincerà.  —  Dunque 
la  correlazione  non  è  né  potrebbe  essere 
tra  la  fiducia  di  Sobrino  e  la  vittoria  di 
Ruggero;  ma  fra  questa  e  il  presentimeuto, 
che  da  quella  fiducia  è  ingenerato.  Cosi 
diremmo  ;  ne  ho  tanta  paura  che  certo 
quella  disgrazia  accadrà:  cioè  la  paura  mi 
dà  il  presentimeuto  che  la  disgrazia  acca- 
drà. Potremmo  anche,  meno  bene,  dare  al 
si  il  significato  confermativo  {certainente, 
invero),  che  ha  spesso  negli  antichi,  e  che 
abbiamo  notato  nel  e.  xvi,  43,  n.  4,  e  allora 
il  che  del  v.  6,  sarebbe  pron.  i-elativo,  o 
congiunzione  dichiarativa  com'  era  nella 
prima  ediz.  «  Io  mi  confido  iu  le  robuste 
braccia,  Poi  di  R.  cbe  vinc.  ne  f.  ». 

G5.  2.  il  partito  ottenne;  ottenne  che  fosse 
accett.  il  part.;  la  proposta.  Nel  e.  xx,  54,  8 
l'espressione  è  passiva:  il  parere  si  ot- 
tenne, il  parere  suo,  ciò  che  a  lui  pareva 
bene,  fu  da  lui  ottenuto. 

—   8.  In  eh',  in  chi;  in  cui. 

«C.  2.  si  godea,  si  compiaceva  di  questo 
accordo  l'uno  esercito  e  l'a.,  ugualmente 
lieto.  ^j'A  Crusca  in  questo  senso  non  cita 
nessun  esempio  della  forma  riflessa,  che 
rende  la  forma  latina  deponente  e  accenna 
con  pi'oprietà  l'intimo  sentimento. 

67.  2.  Che  C.  Può  essere  congiunzione  di- 
chiarativa: e  vede  che  Carlo  ecc.;  e  può 
essere  anche  nel  senso  di  poiché.  —  di 
quel;  quanto  a  quel.  È  complem.  di  limi- 
tazione: va,  10,  n.  6. 


Che  contra  sé  non  potrà  far  difesa: 
Che  suo  pari  esser  possa  non  gli  è  avviso. 
Se  ben  in  campo  ha  Mandricardo  ucciso. 
68  [to 

Ruggier  da  l'altra  parte,  ancor  che  mol- 
Onor  gli  sia  che  '1  suo  Re  l'abbia  eletto, 
E  pel  miglior  di  tutti  i  buoni  tolto, 
A  cui  commetta  un  si  importante  efifetto; 
Pur  mostra  affanno  e  gran  mestizia  in  vol- 
Non  per  paura  che  gli  turbi  il  petto;  [to. 
Che  non  eh' un  sol  Rinaldo,  ma  non  teme 
Se  fosse  con  Rinaldo  Orlando  insieme: 
69 

Ma  perché  vede  esser  di  lui  sorella 
La  sua  cara  e  fidissima  consorte, 
Ch'ognior  scrivendo  stimola  e  martella, 
Come  colei  ch'è  ingiuriata  forte. 
Or  s'alle  vecchie  offese  aggiunge  quella 
I  Centrare  in  campo  a  porle  il  frate  a  morte, 
■Se  la  farà,  d'amante,  cosi  odiosa, 
Ch'a  placarla  mai  più  fia  dura  cosa. 
70 

Se  tacito  Ruggier  s'affligge  et  ange 
De  la  battaglia  che  mal  grado  prende. 
La  sua  cara  moglier  lacrima  e  piange. 
Come  la  nuova  indi  a  poche  ore  intende. 
Batte  il  bel  petto,  e  l'auree  chiome  frange, 
E  le  guancie  innocenti  irriga  e  offende; 
E  chiama  con  ramarichi  e  querele 
Ruggiero  ingrato,  e  il  suo  destìn  crudele. 
71 

D'ogni  fin  che  sortisca  la  contesa, 
A  lei  non  può  venirne  altro  che  doglia. 
Ch'abbia  a  morir  Ruggiero  in  questa  im- 

[presa, 


—  8.  Se  ben...  ha.  V.  e.  xvi,  2,  n.  4. 

SS.  4.  A  cui  commetta;  affinché  a  lui  com- 
metta; lo  ha  scelto  per  affidargli  ecc.  La 
proposizione  relativa  invece  della  finale  è 
uso  latino,  passato  abbondantemente  nella 
nostra  lingua.  —  effetto;  di  finire  la  guerra. 

—  7.  Che  non  eh'  un  s.  R.;  poiché  non 
dico  che  tema  un  sol  R.,  ma  non  teme  ecc. 
Su   quest'espressione   vedi  e.  vii,«62,  n.  1. 

69.  3-4,  Ch'ognior  ecc.,  la  quale,  scriven- 
dogli, continuamente  lo  stimola  a  farsi  cri- 
stiano e  lo  martella,  lo  rimprovera,  della 
sua  ostinazione  a  durare  con  Agramante, 
come  colei  che  si  sente  ingiuriata  forte- 
mente da  questo  suo  contegno,  e  come  a- 
mante  e  come  cristiana. 

—  7.  odiosa.  Qui  è  attivo:  che  odia, 
come  nel  e.  xliv,  55,  2.  È  già  nel  Cavalca, 
Vit.  SS.  PP-  2,  250:  «  Due  chierici  scellerati 
insieme  odiosi  (che  si  odiavano  1' un  l'al- 
tro)»; e  in  altri  scritti  del  Trecento. 

—  8.  Ch'a  placarla  ecc.  Sul  costrutto  cfr. 
FORNACiARi,  Sint.  p.  199. 

70.  1.  ange  (lat.  angitur),  s'angustia. 

—  3.  moglier,  mogliere.  V.  e.  xvni,  53, 
n.  7  e  XVI,  14,  u.  7. 


CANTO  XXXYIII 


525 


Pensar  non  vuol;  che  par  clie  '1  cor  le  to- 

felia. 
Quando  anco,  per  punir  più  d'una  offesa, 
La  ruina  di  Francia  Cristo  voglia, 
Oltre  che  sarà  morto  il  suo  fratello, 
Seguirà  un  danno  a  lei  pili  acerbo  e  fello: 
72  [no 

Che  non  potrà,senonconbiasmoe  scor- 
E  nimicizia  di  tutta  sua  gente, 
Fare  al  marito  suo  mai  più  ritorno. 
Si  che  lo  sappia  ognun  publicamente, 
Come  s'avea  pensando  notte  e  giorno, 
Più  volte  disegnato  ne  la  mente: 
E  tra  lor  era  la  promessa  tale, 
Che'l  ritrarsi  e  il  pentir  più  poco  vale. 
73 

Ma  quella  usata  ne  le  cose  avverse 
Di  non  mancarle  di  soccorsi  fidi. 
Dico  Melissa  maga,  non  soft'orse 
Udirne  il  pianto  e  i  dolorosi  gridi  : 
E  venne  a  consolarla,e  le  proferse, 
Quando  ne  fosse  il  tempo,  alti  sussidi, 
E  disturbar  quella  pugna  futura 
Di  ch'ella  piange  e  si  pon  tanta  cura. 
74 

Rinaldo  intanto  e  l'inclito  Ruggiero 
Apparecchiavan  l'arme  alla  tenzone, 
Di  cui  dovea  l'eletta  al  cavalliero 


"l.  4.  che  par  ecc.,  poiché  pare  che  que- 
sto pensiero  le  tolga  dal  petto  il  cuore,  le 
strappi  il  cuore. 

—  5.  Quando  anco.  Avverti  il  passaggio  : 
ma  anche  quando  Ruggero  sia  vincitore  (e 
questo  è  il  pensiero  che  più  l'alletta). 

72.  1.  Che.  Può  essere  perchè;  e  anche 
congiunzione  dichiarativa  dipendente  da 
seguirà  un  (tanno:  il  danno  che  ecc. 

—  S.  pentir,  pentirsi.  Abbiamo  notata 
spessissimo  nell'Ar.  l'omissione  delle  par- 
ticelle pronominali.  Del  resto  anche  il  solo 
pentir  si  usò  per  pentirsi  già  da  Dante 
Inf.  27,  19;  e  Purg.  5,  55.  —  Ritrarsi  e  pen- 
tirsi sarebbe  giovato  poco  a  lei,  perché  le 
promesse  fatte  a  Ruggero  erano  cosi  so- 
lenni, che  senza  gravissimi  motivi  egli  non 
le  avrebbe  concesso  di  ritirarle.  E  questi, 
tra  cavalieri,  non  eran  motivi  suflìcienti. 
—  più  poco,  poco  da  qui  in  avanti:  sarebbe 
giovato  prima  di  confermare  tante  pro- 
messe, ormai  non  più. 

73.  5.  le  proferse.  Invece  del  comune  si- 
gnific.  di  offrire,  piacerebbe  meglio  qui 
quello  di  promettere;  ma  non  posso  con- 
fortarlo con  esempi. 

—  8.  si  pon  cura...;  si  dà  pensiero.  La 
Crusca  cita  di  questa  locuz.  un  altro  solo 
esempio  d'un  antico  romanzo  in  prosa. 

74.  3.  dovea.  Intendono  generalmente  si 
doveva,  era  dovuta;  ma  su  quale  auto- 
rità? Io  credo  invece  che  il  soggetto  sia 
Ruggero:  e  che  questo   soggetto  abbia  fa- 


Che  del  Romano  Imperio  era  campione. 
E  come  quel  che, poi  che'l  buon  destriero 
Perde  Baiardo,  andò  sempre  pedone. 
Si  elesse  a  pie,  coperto  a  piastra  e  a  ma- 
glia. 
Con  l'azza  e  col  pugnai  far  la  battaglia. 
75 

0  fosse  caso,  o  fosse  pur  ricordo 
Di  Malagigi  suo  provido  e  saggio 
Che  sapea  quanto  Balisarda  ingordo 
Il  taglio  avea  di  fare  all'arme  oltraggio; 
Combatter  senza  spada  tur  d'accordo 
L'uno  e  l'altro  guerrier,coine  detto  aggio. 
Del  luogo  s'accordar  presso  alle  mura 
De  l'antiquo  Arli,  in  una  gran  pianura. 
76 

A  pena  avea  la  vigilante  Aurora 
Da  l'ostel  di  Titon  fuor  messo  il  capo 
Per  dare  al  giorno  terminato,  e  all'ora 
Ch'era  prefissa  alla  battaglia,  capo; 
Quando  di  qua  e  di  là  vennero  fuora 
I  deputati;  e  questi  in  ciascun  capo 
Degli  steccati  i  padiglion  tiraro. 
Appresso  ai  quali  arabi  un  aitar  fermare. 


cilmente  suggerito  il  verbo,  perché  è  ap- 
punto r  ultimo  e  il  più  prossimo  dei  due 
nomi. 

—  5.  E  come  quel  che;  e  come  cfilui  cbe. 
O  anche:  e  poiché  quegli.  —  Era  dovuta  a 
Rinaldo  l' eletta  dell'  arme,  perché  Agra- 
mente era  lo  stidatore. 

—  6.  Perde    Baiardo;  V.  e.  XXIU,  84  Sgg. 

—  t^.  Con  l'azza  (ted.  hache  per  il  fi'ancese 
hache).  Arme  in  asta  lunga  circa  un  brac- 
cio con  ferro  in  cima  e  un  altro  a  traver- 
so, che  da  una  parte  è  acuto,  dall'altro  a 
guisa  di  martello. 

7.">.   1.  0...  pur.  V.  e.  VI,  4,  U.  7. 

—  3.  quanto  Bai.  Era  fatta  per  incanto 
e  tagliava  qualunriue  arme,  fosse  pure  in- 
cantata: Innam.  II,  iv  ;  xi,  G. 

'  —  7.  Del  luogo  ecc.  ;  quanto  al  luogo. 
Complemento  di  limitazione.  —  s'acc.  p.  alle 
m.  Sottintendi  di  combattere  presso  alle 
mura. 

70.  3-4.  dare...  capo,  dar  principio.  La 
Crusca  non  cita  né  questo  significato  di 
capo,  né  questa  locuzione.  Altri  cita  solo 
questo  esempio  deU'.\riosto. 

—  3.  terminato,  stabilito.  Cosi  nel  e.  xi.v, 
64;  e'cosi  il  Boiardo,  Innam.  Ili,  v,  5,  ma 
è  raro  pur  negli  antichi.  , 

—  6.  I  deputati,  (  partic.  da  deputare) 
i  servi  destinati  a  tali  lavori  preparatori; 
non  già  i  giudici  ilei  campo,  come  taluno 
stranamente  intende. 

—  7.  i  padiglion;  Per  i  due  guerrieri: 
cfr.  e.  xxYii,  48. 

—  8.  un  aitar  Generalmente  se  ne  fa- 
ceva uno   solo   nello   steccato:   ma   poiché 


526 


ORLANDO  FURIOSO 


77  [schiera, 

Non  molto  dopo,  iustrutto  a  schiera  a 
Si  vide  uscir  l'esercito  Pagano. 
In  mezzo  armato,  e  sontuoso  v'era 
Di  barbarica  pompa  il  Re  Africano; 
E  s'un  baio  corsier  di  chioma  nera. 
Di  fronte  bianca,  e  di  duo  pie  balzano 
i  A  par  a  par  con  lui  venia  Ruggiero, 
'  A  cui  servir  non  è  Marsilio  altiero. 
78 
L'elmo,  che  dianzi  con  travaglio  tanto 
Trasse  di  testa  al  Re  di  Tartaria, 
L'elmo  che  celebrato  in  maggior  Canto 
Portò  il  Troiano  Ettòr  mill'auni  pria. 
Gli  porta  il  Re  Marsilio  a  canto  a  canto  : 
Altri  Principi  et  altra  Baronia 
8'hanno  partite  l'altr'arme  fra  loro, 

qui  si  tratta  di  due  religioni  differenti,  cosi 
sono  due  gli  altari.  —  ai  quali  ambi,  ad 
auibi  i  quali,  ad  ambedue  i  quali  (padi- 
glioni). —  fermaro  ;  eressero,  posero.  Bo- 
soNE  DA  Gubbio,  Avv.  Cic.  78:  «Quivi  fer- 
marono gli  loro  padiglioni  e  tende  ». 

77.  1.  instrntto,  ordinato.  V.  e.  vi,  44,  n.  6. 

—  '.i-i.  sontuoso...  di  b.  p.;  magnifico  per 
b.  p.  .Veramente  suntuoso  si  disse  di  cose, 
che  richiedono  grande  spesa,  e  in  latino  an- 
che di  persone,  che  spendono  oltre  il  con- 
venevole; e  sonava  biasimo.  Questo  dunque 
dell'Ai',  è  un  uso  molto  notevole. 

—  G.  di  duo  p.  balzano  (alcuni  da  balza, 
.   quasi  quel  bianco  sia  una  balza;  altri  dal- 
l'arab.  bàlhiisan  —  con  ornamenti);  bal- 
zano in  due  piedi  (complem.  di  limitazione). 

—  8.  A  cui  servir  ecc.  ;  a  servire  il  quale 
Marsilio  non  si  l'ifiuta  per  alterezza.  Essere 
(Utero  a  fare  una  cosa  in  questo  senso  si 
trova  anche  nel  e.  xv,  75,  4,  dove  però  l'ar- 
dimento scompare  dietro  l'altro  costrutto 
regolare  non  fu  tardo  a  salutar.  Qui  in- 
vece appare  nettissimo  il  modo  e  il  costrut- 
to, che  nessun  vocabolario,  neppur  la  N. 
Crusca,  registra:  e  pure  è  bello. 

7S.  3.  che  e.  in  m.  canto;  celebrato  nel 
canto  di  Omero,  nell'  Iliade,  dove  Omero 
parla  di  quest'elmo  nel  lib.  vi  e  lo  chiama 
lutto  splendente  (v.  ATA).  L'.vr.  chiama  1'  I- 
liade  caìtto  maggiore  del  suo. 

—  4.  mill'anni.  È  detto  per  un  gran  nu- 
mero indeterminato.  Si  ritiene  in  generale 
che  Omero  vivesse  nel  sec  ix  av.  C;  dun- 
que la  guerra  Troiana,  che  è  molto  più  an- 
tica, sarebbe  avvenuta  ben  prima  di  mille 
anni  dal  tempo  di  Carlo  Magno. 

—  5.  Gli  porta;  1'  elmo  e  la  lancia  eran 
comunemente  portati  dagli  scudieri;  men- 
tre lo  scudo  era  portato  al  collo  dallo  stesso 
cavaliere.  —  a  canto  a  e.  Con  la  ripet.  acqui- 
sta valore  come  di  superlativo.  IO  questa 
vicinanza  indica  1'  affetto  e  la  simpatia. 

—  7.  l'altr'arme  ;  le  armi  difensive  ;  coraz- 


Ricche  di  gioie  e  ben  fregiate  d'oro. 
i  79 

I      Da  l'altra  parte  fuor  dei  gran  ripari 

Re  Carlo  usci  con  la  sua  gente  d'arme, 
I  Con  gli  ordini  medesmi  e  modi  pari 
j  Che  terria,  se  venisse  al  fatto  d'arme. 
i  Cingonlo  intorno  i  suoi  famosi  Pari; 
i  E  Rinaldo  è  con  lui  con  tutte  l'arme, 
i  Fuor  che  l'elmo  che  fu  del  Re  Mambrino, 
i  Che  porta  Uggier  Danese,  Paladino. 
'  80 

!      E  di  due  azze  ha  il  duca  Namo  l'una, 
i  E  l'altra  Salamon  Re  di  Bretagna. 
:  Carlo  da  un  lato  i  suoi  tutti  laguna; 
I  Da  l'altro  son  quei  d'Africa  e  di  Spagna. 
i  Nel  mezzo  non  appar  persona  alcuna: 
I  Voto  riman  gran  spazio  di  campagna, 
i  Che  per  bando  commune,  a  chi  vi  sale, 
ì  Eccetto  ai  duo  guerrieri,  è  capitale. 

I  ^1 

I     Poi  che  de  Tarme  la  seconda  eletta 

I  Si  die  al  campion  del  popolo  Pagano, 

I  Duo  sacerdoti,  l'un  de  l'una  setta. 


za,  usbei'go,  gambali  ecc.  delle  quali  Rugg., 
si  vesti  nel  padiglione  come  fecero  Mau- 
dricardo  e  Rodomonte  nel  e.  xxvii,  48-19; 
Rinaldo  invece  ne  venne  già  vestito. 

79.  2.  gente  d'arme,  gli  armati,  l' eser- 
cito. Esce  dunque  come  a  battaglia,  per 
opporsi,  nel  caso  di  bisogno,  al  nemico. 

—  5.  Pari,  Paladini.  In  italiano  si  cita 
solo  questo  esempio.  Negli  antichi  romanzi 
si  trovano  spesso  chiamati  cosi  :  Nel  lin- 
manzo  d'Alessandro,  citato  dal  Du  Cangi';, 
si  legge:  «  Eslisez  douze  Pers,  qui  soieiu 
oompagnon,  Qui  meuent  vos  batailles  ». 

50.  1.  due  azze.  Rinaldo  avea  scelto  (pri- 
ma eletta)  l'azza:  ne  porta  dunque  due,  una 
per  sé  e  una  per  l'  avversario,  che  aveva 
diritto  di  scelta  (la  seconda  eletta). 

—  7.  a  chi  vi  sale;  a  chi  vi  salta,  a  chi 
va  dentro  questo  spazio.  Cosi  nel  e.  xxvii, 
60,  7,  abbiamo  Salire  in  campo;  e  li\  tro- 
verai la  nota. 

—  8.  è  capitale;  è  delitto  capitale.  Ri- 
corda la  formola  delle  xii  tavole  capital 
esto.  Il  soggetto  è  cosa,  fatto  o  simile,  sot 
tinteso  ;  non  è  già  il  cfie  dei  v.  7,  riferen- 
tesi  a  spazio.  Quel  che  è  un  relativo  pleo- 
nastico simile  a  quelli  notati  nel  e.  i,  65, 
5;  XX,  63,  7;  xxxiit,  105,  4, 

51.  1.  la  Sec.  el.;  la  seconda  scelta.  La 
prima  1'  aveva  fatta  Rinaldo ,  eleggendo 
l'azza. 

—  3.  setta,  qui  religione,  senza  nessun 
senso  dispregiativo.  Esempio  cosi  spiccato 
manca  nei  vocabolari.  Forse  potremmo  an- 
che intendere  setta  semplicemente  per  se- 
guaci e  spiegare  :  due  sacerdoti  uscirono, 
uno  dalla  schiera  dei  suoi  seguaci,  l'altro 


CANTO  xxxviri 


527 


L'altro  de  l'altra,  uscir  coi  libri  in  mano. 
In  quel  del  nostro  è  la  vita  perfetta 
Scritta  di  Cristo  ;  e  l'altro  è  l'Alcorano, 
Con  quel  de  lEvangelio  si  fé'  inante 
L'Imperator,  con  l'altro  il  Re  Agraraaiiti^. 

82 

Giunto  Carlo  all'aitar  che  statuito 
I  suoi  gli  aveano,  al  ciel  levò  le  palme, 
E  disse:  0  Dio,  c'iiai  di  morir  patito 
Per  redimer  da  morte  le  nostr'alme; 
O  Donna,  il  cui  valor  fu  si  gradito. 
Che  Dio  prese  da  te  l'umane  salme, 
E  nove  mesi  fu  nel  tuo  santo  alvo, 
Sempre  serbando  il  fior  virgineo  salvo: 
S:] 

Siatemi  testimoni,  ch'io  prometto 
Per  me  e  per  ogni  mia  successione 
Al  Re  Agramante,  et  a  chi  dopo  eletto 
Sarà  al  governo  di  sua  regione, 
Dar  venti  some  ogni  anno  d'oro  schietto, 
S'oggi  qui  riman  vinto  il  mio  campione; 
E  ch'io  prometto  subito  la  triegua 
Incominciar,  che  poi  perpetua  segua: 
84 

E  se  'n  ciò  manco,  subito  s'accenda 
La  formidabil  ira  d'ambidui. 
La  qual  me  solo  e  i  miei  figliuoli  offenda, 
Non  alcun  altro  che  sia  qui  con  nui; 
Si  che  in  brevissima  ora  si  comprenda 
Che  sia  il  mancar  de  la  promessa  a  vui. 
Cosi  dicendo,  Carlo  sul  Vangelo 
Tenea  la  mano,  e  gli  occhi  fissi  al  cielo. 
85 

Si  ievan  quindi,  e  poi  vanno  all'altare 
Che  riccamente  avean  Pagani  adorno; 


dall'altra.  In  questo  senso  usò  setta  Dante 
nel  Conv.  49:  «  E  ciascuna  di  queste  rei- 
tadi  ha  si  gran  setta,  che  ecc.  ». 

—  7.  Con  quel  ecc.  Intendi  che  Carlo  si 
avanzò  avendo  seco  il  sacerdote  che  teneva 
il  Vangelo,  Agr.  col  papasso  che  teneva 
l'Alcor.;  non  già  che  i  re  tenessero  in  mano 
i  libri  essi  stessi:  cfr.  st.  S6,  3. 

8'2.  1.  statuito,  fatto,  inalzato.  In  questo 
senso  citasi  solamente  questo  luogo  del- 
l'Ariosto. 

—  3.  patito,  sofferto;  ti  s^ei  sottoposto 
alla  morte. 

—  6.  salme,  corpo.  Qui  vale  per  il  sin- 
golare salma,  che,  in  tal  senso,  comune- 
mente si  usa. 

—  8.  Sempre  serbando  sottintendi  tu.  Ma 
non  è  sintatticamente  chiaro. 

83.  2.  successione.  L'astratto  per  il  con- 
creto: successore. 

—  5.  some.  Era  una  misura  fissa  di  der- 
rate o  di  altre  cose,  che  si  caricavano  a 
soma  di  cavallo  o  simih  :  e  variò  da  luogo 
a  luogo  intorno  alle  1000  libbre. 

84.  2.  ambidul,  Cristo  e  la  Vergine. 

85.  2.  Pagani,  ì  Pag.  L' omissione  dell'  ar- 


Ove  giurò  Agramante,  ch'oltre  al  mare 
Con  l'esercito  suo  farla  ritorno. 
Et  a  Carlo  darla  tributo  pare. 
Se  restasse  Ruggier  vinto  quel  giorno; 
E  perpetua  tra  lor  triegua  saria. 
Coi  patti  ch'avea  Carlo  detti  pria. 
86 

E  similmente  con  parlar  non  basso,  [te, 
Chiamando  in  testimonio  il  granMaumet- 
Sul  libro  che  in  man  tiene  il  suo  Papasso, 
Ciò  che  detto  ha,  tutto  osservar  promette. 
Poi  del  campo  si  partono  a  gran  passo, 
E  tra  i  suoi  l'uno  e  l'altro  si  rimette  : 
Poi  quel  par  di  campioni  a  giurar  venne; 
E'I  giuramento  lor  questo  contenne: 
87 

Ruggier  promette,  se  de  la  tenzone 
Il  suo  Re  viene  o  manda  a  disturbarlo 
Che  né  suo  guerrier  piti,  né  suo  Barone 
Esser  mai  vuol,  ma  darsi  tutto  a  Carlo. 
Giura  Rinaldo  ancor,  che  se  cagione 
Sarà  del  suo  Signor  quindi  levarlo. 
Fin  che  non  resti  vinto  egli  o  Ruggiero, 
Si  farà  d'Agramante  cavalliero. 
88 

Poi  che  le  cerimonie  finite  hanno 
Si  ritorna  ciascun  da  la  sua  parte  ; 
Né  v'indugiano  molto,  che  lor  danno 
Le  chiare  trombe  segno  al  fiero  Marte. 
Or  gli  animosi  a  ritrovar  si  vanno. 
Con  senno  i  passi  dispensando  et  arte. 
Ecco  si  vede  incominciar  l'assalto, 
Sonar  il  ferro,  or  girar  basso,  or  alto. 
89 

Or  in  anzi  col  calce,  or  col  martello  [de 
Accennan  quando  al  capo  e  quando  al  pie- 
Con  tal  destrezza  e  con  modo  si  snello. 
Ch'ogni  credenza  il  raccontarlo  eccede. 
Ruggier  che  combattea  contra  il  fratello 
Di  chi  la  misera  alma  gli  possiede, 
A  ferir  lo  venia  con  tal  riguardo, 
Che  stimato  ne  fu  manco  gagliardo. 
90 

Era  a  parar,  più  ch'a  ferire,  intento; 


ticolo   determinativo  è   frequentissima  nel 
Fiirioso. 

se.  3.  Papasso,  (grec.  papds),  nome  dei 
sacerdoti  in  oriente.  Dalla  stessa  radice  è 
papa. 

87.  5.  cagione,  colpa.  Boccaccio,  Fiamm. 
74:  «  Dando  di  ciò  al  sozzo  tempo  cagione  ».- 
E  comunemente:  «per  cagion  mia»  e  simili. 

—  0.  q.  levarlo;  levarlo  da  questo  com- 
battimento. 

88.  4.  le  eh.  trombe;  degli  araldi. 

—  6.  dispensando,  facendo  :  cosi  nel  e. 
XXXII,  60,  n.  2. 

89.  1.  calce...  martello.  Si  ricordi  che  era 
un'azza. 


528 


ORLANDO  FURIOSO 


E  uon  sapea  egli  stesso  il  suo  desire. 
Spegner  Rinaldo  saria  mal  contento; 
Né  vorria  volentieri  egli  morire. 
Ma  ecco  giunto  al  termine  mi  sento, 


90.  2.  il  suo  desire.  È  dichiarato  dai  due 
versi  seguenti.  —  Nella  ediz.  del  1510  il 
cauto  finiva  con  la  stanza  88.  Nell'edizione 


Ove  convien  V  istoria  differire. 

Ne  l'altro  Canto  il  resto  intenderete, 

S'udir  ne  l'altro  Canto  mi  vorrete. 


del  1521  furono  qui  trasportate  le  st.  11  e 
12  del  seguente  :  «  Or  innanzi  col  calce  » 
«  Era  a  parar  »;  e  quest'ultima  leggermente 
modificata  per  la  chiusa. 


CANTO  XXXIX* 


,  L'affanno  di  Ruggier  ben  veramente 
È  sopra  ogn'altro  duro,  acerbo  e  forte, 
Di  cui  travaglia  il  corpo,  e  piti  la  mente, 
Poi  che  di  due  fuggir  non  può  una  morte; 
O  da  Rinaldo,  se  di  lui  possente 
Fia  meno,  o  se  fia  più,  da  la  consorte: 
Che  se  '1  fratel  le  uccide,  sa  ch'incorre 
Ne  l'odio  suo,  che  più  che  morte  aborre. 
2 
Rinaldo,  che  non  ha  simil  pensiero, 
In  tutti  i  modi  alla  vittoria  aspira: 
Mena  de  l'azza  dispettoso  e  fiero;  [mira. 
Quando  alle  braccia,  e  quando  al  capo 
Volteggiando  con  l'asta  il  buon  Ruggiero 
Ribatte  il  colpo,  e  quinci  e  quindi  gira; 
E  se  percuote  pur,  disegua  loco 
Ove  possa  a  Rinaldo  nuocer  poco. 

q 

Alia  più  parte  dei  signor  Pagani 
Troppo  par  disegnai  esser  la  zuffa: 
Troppo  è  Ruggier  pigro  a  menar  le  mani  ; 
Troppo  Rinaldo  il  giovine  ribuffa. 


*  L'ediz.  del  1516  ha  in  più,  al  principio 
di  questo  canto,  undici  stanze;  dieci  delle 
quali  furono,  già  per  l'ediz.  del  1521,  sop- 
presse ;  due  portate  nel  canto  precedente 
e  una  aggiunta  di  nuovo,  e  poi  leggermente 
modificata  per  l'edizione  del  1532,  dove  è 
la  prima  del  canto. 

1.  3.  Di  cui,  del  quale  Ruggero  questo  af- 
fanno travaglia  il  corpo. 

—  1.  dì  due...  una  m.,  di  due  morti  che 
gli  si  presentano,  non  può  fuggirne  una;  o 
(la  Rinaldo  (o  la  morte  datagli  da  Rinaldo) 
o  ecc.  Neil'  ediz.  del  1521  più  chiaramente  : 
«  Né  de  le  due  fuggir  potea  una  morte  ». 

2.  3.  m.  de  l'azza;  m.  con  Pazza.  V.  e. 
XXV,  53,  n.  5. 

—  7.  disegna,  prende  di  mira.  Per  questo 
significato  non  si  cita  che  questo  luogo  del- 
l'Ariosto. —  se  .  .  .  pur.  Se  anche.  È  una 
tmesi. 

a.  4.  ribuffa.  Il  Fanfani  e  il  Tommaseo 
lo  derivano  da  J;i</7'a,  che  vive  ancora  in 


Smarrito  in  faccia  il  re  Re  degli  Africani 
Mira  l'assalto  e  ne  sospira  e  sbuffa: 
Et  accusa  Sobrin,  da  cui  procede 
Tutto  l'error,  che  '1  mal  consiglio  diede. 
4 

Melissa  in  questo  tempo,  ch'era  fonte 
Di  quanto  sappia  incantatore  o  mago, 
Avea  cangiata  la  feminil  fronte, 
E  del  gran  Re  d'Algier  presa  l'imago. 
Sembrava  al  viso,  ai  gesti  Rodomonte, 
E  parca  armata  di  pelle  di  drago; 
E  tal  lo  scudo,  e  tal  la  spada  al  fianco 
Avea,  quale  usava  egli,  e  nulla  manco. 
5 

Spinse  il  demonio,  inanzi  al  mesto  figlio 
Del  Re  Troiano,  in  forma  di  cavallo; 
E  con  gi'an  voce  e  con  turbato  ciglio 
Disse:  Signor,  questo  è  pur  troppo  fallo. 


qualche  dialetto  nel  senso  di  colpo  (e  quindi 
l'italiano  buff'etto),  e  spiegano:  dà  bòtte, 
percuote.  Il  Bolza,  senz'  altra  spiegazione^ 
intende  iìiveste  con  violenza.  Io  credo  che 
sia  il  verbo  rabbiifTare  in  una  forma  ana- 
loga ad  altre  usate  dall'Ar.  {rifrescare,  ri- 
cogliere,  ricontare),  e  intendo:  lo  investe 
e  lo  scompiglia  con  la  furia  dei  suoi  colpi. 
È  frequente  nel  Boiardo,  I,  ni,  81;  xviii, 
26;  II,  IX,  13;  x,  41. 

4.  1.  fonte,  che  conosceva  largamente  e 
usava  generosamente.  Cosi  diciamo  fonte 
di  scienza  e  simili. 

—  3.  fronte,  figura.  Cosi  l' Anguillara 
disse  {Met.  14,  192):  «viver  sott'altra  fron- 
te »  e  il  Tasso  [Ger.  10,  68):  «o  vesta  ir- 
suta fronte  ». 

—  6.  di  p.  di  drago;  V.C.  xiv,  US.  «  Sic- 
come Giuturna  (Eneide  12,  224  segg.),  so- 
rella di  Turno,  sotto  la  forma  di  Camerte 
disturba  i  patti  giurati  fra  il  re  Latino  ed 
Knea,  cosi  parimente  l'Ar.  ecc.  »  (Dolce). 
Ricorda  il  duello  fra  Raimondo  di  Tolosa 
e  Argante  (Ger.  7)  interrotto  da  Gradino,  e 
il  duello  fra  Sacripante  e  Agricane  {Inn., 
I,  XI,  15),  interrotto  da  Torindo. 


CANTO  XXXTX 


529 


Ch'un  giovene  inesperto  a  far  periglio 
Contra  un  si  forte  e  si  famoso  Gallo 
Abbiate  eletto  in  cosa  di  tal  sorte, 
Che  'I  regno  e  Toner  d'Africa  n'  iniporte. 

6 
Non  si  lassi  seguir  questa  battaglia 
Che  ne  sarebbe  in  troppo  detrimento. 
Su  Eodomonte  sia;  né  ve  ne  caglia 
L'avere  il  patto  rotto  e  '1  giuramento. 
Dimostri  ognun,  come  sua  spada  taglia: 
Poi  ch'io  ci  sono,  ognun  di  voi  vai  cento. 
Potè  questo  parlar  si  in  Agramante, 
Che  senza  più  pensar  si  cacciò  inante. 

7 
Il  creder  d'aver  seco  il  Re  d'Algìeri 
Fece  che  si  curò  poco  del  patto; 
E  non  avria  di  mille  cavallieri 
Giunti  in  suo  aiuto  si  gran  stima  fatto. 
Perciò  lancio  abbassar,  spronar  destrieri 
Di  qua,  di  là  veduto  fu  in  un  tratto. 
Melissa,  poi  che  con  sue  fìnte  larve 
La  battaglia  attaccò,  subito  sparve. 

8 
I  duo  campion  che  vedeno  turbarsi 


5.  5.  far  periglio;  far  prova.  Cosi  nel  e. 
XIX,  70,  3.  È  il  latino  periculum  facere.  Fu 
modo  molto  amato  dal  Monti:  Mascher.  1, 
85;  Bardo,  5,  74;  II.  5,  288. 

—  7-8.  di  tal  sorte  che,  di  tal  maniera 
che.  V.  e.  vili,  75,  n.  4. 

—  8.  n'  importe,  ne  importi,  porti  con 
sé.  Il  congiuntivo,  invece  del  più  comune 
indicativo,  rende  il  costrutto  latino  nelle 
proposizioni  consequenziali. 

6.  2.  Che  ne  sarebbe  in  ecc.  ;  la  quale  ne 
sarebbe  di  troppo  d.  ;  apporterebbe  troppo 
d.  Sono  locuzioni  comuni  nella  nostra  lin- 
gua essere  in  vantaggio,  in  danno  e  simili. 

—  3.  Sn  Rodom.  sia.  Il  Romizi:  «  Si  lasci 
a  Rodomonte  il  peso  della  battaglia  che  ha 
da  esser  generale  ».  Io  intendo  :  Sia  sopra 
Rodomonte  la  responsabilità  (dei  patti  in- 
franti). Questa  interpretazione  mi  pare  più 
confacente  a  ciò  che  precede  e  a  ciò  che 
segue,  sf  aggiunga  che  1'  espressione  sia 
sopra  di  me  (la  qual  non  mi  par  citata  dai 
vocabolari)  è  simile  alle  altre  prendo  la 
cosa  sopra  dì  vie;  mettila  sopra  di  me  ecc., 
le  quali  tutte  accennano  alla  responsabilità, 
piuttosto  che  alla  esecuzione  di  una  cosa. 

—  3-4.  né  ve  ne  e...  l'avere.  I  costrutti 
regoiai'i  sarebbero:  né  vi  caglia  d'avere; 
né  vi  caglia  avere.  Il  tie  è  pleonastico  e 
nuoce  alla  chiarezza. 

—  7.  Potè.  L'ediz.  del  1516  ha  puote. 

7.  7.  larve.  V.  e.  xvii,  46,  n.  5.  Dalla  di- 
chiarazione, che  a  quel  luogo  si  dà,  appa- 
risce che  finte  qui  ridonda. 

8.  I.  vedeno,  vedono.  V.  e.  xxxvi,  40, 
n.  3.  —  turbarsi,  disturbarsi. 

Ariosto  —  Papiri 


Contra  ogni  accordo  contra  ogni  promes- 
Senza  più  l'un  con  l'altro  travagliarsi,  [sa, 
Anzi  ogni  ingiuria  avendosi  rimessa. 
Fede  si  dan,  né  qua  né  là  impacciarsi. 
Fin  che  la  cosa  non  sia  meglio  espressa, 
Chi  stato  sia  che  i  patti  ha  rotto  inante, 
0  '1  vecchio  Carlo,  o  '1  giovene  Agramante. 
9 

E  replican  con  nuovi  giuramenti 
D'esser  nimici  a  chi  mancò  di  fede. 
Sozzopra  se  ne  van  tutte  le  genti: 
Chi  porta  inanzi,  e  chi  ritorna  il  piede. 
Chi  sia  fra  i  vili,  e  chi  tra  i  più  valenti 
In  un  atto  medesimo  si  vede. 
Son  tutti  parimente  al  Correr  presti; 
Ma  quei  corrono  inanzi,  e  indietro  questi. 
10 

Come  levrier  che  la  fugace  fera 
Correre  intorno  et  aggirarsi  mira. 
Né  può  con  gli  altri  cani  andare  in  schiera, 
Che  '1  cacciator  lo  tien,  si  strugge  d'ira, 
Si  tormenta,  s'affligge  e  si  dispera, 
Schiattisce  indarno,  e  si  dibatte  e  tira: 
Cosi  sdegnosa  infin  allora  stata 
Marfisa  era  quel  di  con  la  cognata. 
11 

Fino  a  quell'ora  avean  quel  di  vedute 
Si  ricche  prede  in  spazioso  piano; 
E  che  fosser  dal  patto  ritenute 
Di  non  poter  seguirle  e  porvi  mano, 

—  5.  Fede  ecc.  Si  danno  promessa  di 
non  impacciarsi  né  nelle  faccende  d'  un 
pai'tilo,  né  in  quelle  dell'altro. 

—  6.  espressa,  chiara.  V.  e.  xi,  81,  n.  7. 

9.  3.  Sozzopra  ecc.  Tutte  le  genti  se  ne 
vanno  in  scompiglio.  Per  la  forma  sozzo- 
2)ra  cfr.  e.  xiv,  128,  n.  8. 

—  4.  chi  rit.  il  p. ,  chi  torna  indietro. 
V.  e.  xxvii,  66,  n.  6. 

—  6.  In  un  atto  m.  ;  nello  stesso  atto  del 
correre  :  cioè  corrono  tutti,  ma  i  vili  in- 
dietro, i  valorosi  avanti. 

10.  1.  la  fugace  f.  È  epiteto  Virgiliano, 
En.  9,  59:  «  feras  fuyaces  ». 

—  6.  Schiattisce  o  squittisce  (etimologia 
incerta  ).  È  1'  abbaiare  acuto  e  interrotto 
dei  bracchi,  che  aspirano  alla  preda.  — 
tira,  la  corda  che  lo  tiene  legato. 

—  8.  Marf...  con  la  cogn.  Intendi:  Mar- 
fisa  e  la  cognata. 

11.  2.  Si  ricche  ecc.  cosi  ricche  che  era 
ragionevole  lo  sdegno  loro.  Credo  che  sia 
quel  si,  che  usiamo  tanto  spesso  nelle  pro- 
posizioni consequenziali,  omettendo  l'apo- 
dosi.  Vedine  l'esempio  nella  st.  17,  2:  «Si 
la  relig.  g.  p.  il  e.  {che  non  potè  tratte- 
nersi)-». Potrebbe  anch'essere  esclamativo: 
prede  tanto  ricchel;  e  anche  come  il  si, 
di  cui  nel  e.  xvi,  43,  n.  4. 

—  .3-4.  ritenute  di  n.  poter:  Ritenere 
lino  0  ritenersi  di  fare  e  anche  di  non 

34 


530 


ORLANDO  FURIOSO 


Kam ancate  s'erano  e  dolute, 
E  n'avean  molto  sospirato  in  vano. 
Or  che  i  patti  e  le  triegue  vider  rotte, 
Liete  saltar  ne  l'Africane  frotte. 

12 
Marfisa  cacciò  l'asta  per  lo  petto 
Al  primo  che  scontrò,  due  braccia  dietro: 
Poi  trasse  il  brando,  e  in  men  che  non  Flio 

[detto, 
Spezzò  quattro  elmi,  che  sembrar  di  vetro. 
Bradamante  non  fé'  minore  effetto; 
Ma  l'asta  d'or  tenne  diverso  metro: 
Tutti  quei  che  toccò,  per  terra  mise; 
Duo  tanti  fur,  né  però  alcuno  uccise. 

13 
Questo  si  presso  l'una  all'altra  fero, 
Che  testimonie  se  ne  fur  tra  loro; 
Poi  si  scostaro,  et  a  ferir  si  diero. 
Ove  le  trasse  Tira,  il  popol  Moro. 
Chi  potrà  conto  aver  d'ogni  guerriero 
Ch'a  terra  mandi  quella  lancia  d'oro? 
0  d'ogni  testa  che  tronca  o  divisa 
Sia  da  l'orribil  spada  di  Marfisa? 

14 
Come  al  soffiar  de'  più  benigni  venti. 
Quando  Apennin  scuopre  l'erbose  spalle, 
Muovonsi  a  par  duo  turbidi  toii'enti 
Che  nel  cader  fan  poi  diverso  calle; 
Svellouo  i  sassi  e  gli  arbori  eminenti 
Da  l'alte  ripe,  e  portan  ne  la  valle 
Le  biade  e  i  campi;  e  quasi  a  gara  fanno 
A  chi  far  può  nel  suo  camin  più  danno: 


fare  una  cosa  (trattenere  o  trattenersi  dal 
farla)  son  costrutti,  che,  sebbene  non  citati 
dai  vocabolari,  vivono  ancora  nell'  uso.  Per 
la  negazione  cfr.  gli  usi  simili  al  canto  v, 
53,  1;  XXXVI,  44,  7. 

12.  2.  dae  tr.  dietro;  la  cacciò  fino  a  farla 
passare  due  braccia  dietro  il  dorso. 

—  8.  Duo  tanti,  di  quelli  colpiti  da  Mar- 
fisa. 

13.  2.  testimonie.  Nel  e.  xii,  51,  8,  usò  te- 
stimonia: là  troverai  la  nota, 

—  6.  quella  lancia  d'o.  Osserviamo  col 
Gioberti  che  Bradamante,  cui  l'Ar.  ha  fatto 
priucipalmente  donna,  è  una  guerriera  non 
mai  truce  ;  e  V  espediente  delia  lancia  d'oro 
riesce  ottimo  per  non  bruttare  di  sangue 
questa  gentile  figura.  Nel  Poema  ella  non 
uccide  che  il  gran  traditore  Pinabello.  Ma 
già  il  Boiardo  aveva  preparato  in  lei  un 
tipo  speciale  di  guerriera,  in  cui  il  valore 
e  la  forza  si  univano  alla  generosità  e  aUa 
finezza  del  sentimento. 

14.  1-8.  Come  al  soff.  Virgilio,  Kn.  2, 
305:  «  veluti...  rapidus  montano  flumine 
torrens  Sternit  agros  sternit  sata  laeta 
boumque  labores,  Praecipitesque  Irahit  sil- 
vas  ». 

—  7.  i  campi,  la  terra  smossa  dei  campi. 
Il  Caro,  traducendo  stupendamente  Virgi- 


15 

Cosi  le  due  magnanime  guerriere, 
Scorrendo  il  campo  per  diversa  strada. 
Gran  strage  fan  ne  l'Africane  schiere, 
L'una  con  l'asta,  e  l'altra  con  la  spada. 
Tiene  Agraraante  a  pena  alle  bandiere 
La  gente  sua,  ch'in  fuga  non  ne  vada. 
In  van  domanda,  in  van  volge  la  fronte; 
Né  può  saper  che  sia  di  Rodomonte. 
16 

A  conforto  di  lui  rotto  avea  il  patto 
fCosi  credea)  che  fu  solennemente, 
I  Dei  chiamando  in  testimonio,  fatto; 
Poi  s'era  dileguata  si  repente. 
Né  Sobrin  vede  ancor:  Sobrin  ritratto 
In  Arli  s'era,  e  dettosi  innocente; 
Perché  di  quel  pergiuro  aspra  vendetta 
Sopra  Agramante  il  di  medesmo  aspetta. 
17 

Marsilio  anco  è  fuggito  ne  la  terra: 
Si  la  religion  gli  preme  il  core. 
Perciò  male  Agramante  il  passo  serra 
A  quei  che  mena  Carlo  Imperatore 
D'Italia,  di  Lamagna  e  d'Inghilterra, 
Che  tutte  gente  son  d'alto  valore; 
Et  hanno  i  Paladin  sparsi  tra  loro, 
Come  le  gemme  in  un  riccamo  d'oro: 
18 

E  presso  ai  Paladini  alcun  perfetto 
Quanto  esser  possa  al  mondo  cavalliero, 
Guidon  Selvaggio,  l'intrepido  petto, 
E  i  duo  famosi  figli  d'Oliviero. 
Io  non  voglio  ridir,  ch'io  l'ho  già  detto, 
Di  quel  par  di  donzelle  ardito  e  fiero. 
Questi  uccidean  di  genti  Saracino 
Tanto,  che  non  v'è  numero  né  fine. 


lio,  disse  :  «  tempestoso  e  rapido  torrente. 
Che  dal  monte  precipiti  e  le  selve  Ne  meni 
e  i  colti  e  le  ricolte  e  i  campi  ». 

16.  5.  Ne...  ancor;  Neanche,  neppure.  Que- 
ste tm^i  sono  frequenti  nel  Nostro  (quando. .. 
anche,  o  ...  pure,  se  ...  bene).  V.  e.  xvi,  36, 
n.  8. 

—  6.  e  dettosi  inn.;  e  si  era  protestato 
innocente  dello  spergiuro  fatto,  per  non 
averne  la  responsabilità  dinanzi  all'  eser- 
cito, e  per  scongiurare  dal  suo  capo  l' ira 
degli  dei. 

—  7.  pergiuro.  (Lat.  perluì^ium)  giura- 
mento falso.  È  forma,  come  si  vede,  più 
vicina  al  latino,  sebbene  meno  usata. 

17.  6.  gente,  genti.  V.  e.  ix,  84,  n.  1. 

—  8.  riccamo.  È  forma  probabilmente 
dialettale,  se  pure  l'Ar.  non  volle  acco- 
starsi alla  forma  antica  raccamare  (arabo 
raquatna). 

18.  1.  alcun.  Sottintendi  hanno. 

—  4.  i  figli  d'oi.  Grifone  e  Aquilante  che 
non  erano  del  numero  dei  Paladini.  V.  e. 
XV,  8,  n.  6. 


CANTO  XXXIX 


531 


19 

Ma  differendo  questa  pugna  alquanto. 
Io  vo"  j^;«ssar  senza  navilio  il  mare. 
Non  ìio  con  quei  di  Francia  da  far  tanto 
Ch'io  non  m'abbia  d'Astolfo  a  ricordare 
La  grazia  che  gli  die  l'Apostol  santo, 
Io  v'ho  già  detto,  e  detto  aver  mi  pare, 
Che  \'  Re  Branzardo,  e  il  Re  de  l'Algazera 
Per  girli  incontra  armasse  ogni  suaschie- 
•20  ir;i 

Furon  di  quei  ch'aver  poteano  in  'retta 
Le  schiere  di  tutt' Africa  raccolte. 
Non  men  d' inferma  età  che  di  perfetta 
Quasi  ch'ancor  le  temine  tur  tolte. 
Agramante  ostinato  alla  vendetta 
Avea  già  vota  l'Africa  due  volte. 
Poche  genti  rimase  erano,  e  quelle 
Esercito  facean  timido  e  imbelle. 
21 

Ben  lo  mostrar;  che  gli  nimici  a  pena 
Vider  lontan,  che  se  n'andaron  rotti. 
Astolfo,  come  pecore,  li  mena 
Dinanzi  ai  suoi  di  guerreggiar  più  dotti; 
E  fa  restarne  la  campagna  piena; 
Pochi  a  Biserta  se  ne  son  ridotti: 
Prigion  rimase  Bucifar  gagliardo; 
Salvossi  ne  la  terra  il  Re  Branzardo, 
22 

Via  più  dolente  sol  di  Bucifaro, 
Che  se  tutto  perduto  avesse  il  resto. 


19.  7-S.  Che...  armasse.  Vi  è  il  congiun- 
tivo, perché  il  fatto  è  accennato  come  un 
pensiero,  come  una  credenza  {mi  pare)  del- 
l' autore.  V.  e.  v,  67,  n.  S.  —  Di  ciò  si  parla 
nel  e.  XXXVIII,  35. 

20.  1.  Fnroa  ecc.  Queste  schiere  furon 
composte  di  quei  ecc. 

—  3.  inferma  età,  mal  ferma  età;  fan- 
ciulli e  vecchi.  V.  e.  xviir,  178,  n.  S. 

—  4.  Quasi  che.  È  frequente  nella  lette- 
l'atura,  e  pur  nell'  uso  vivente,  invece  del 
semplice  quasi;  specialmente  avanti  a  pa- 
role indicanti  quantità  (quasiché  tutti;  qua- 
siché nessuno,  quasiché  mille,  quasiché 
troppi  ecc.). 

21.  2.  che;  è  correlativo  di' appe»a. 

—  3.  A.  e.  pec.  li  mena  ecc.  Il  Bolza  in- 
tende: li  caccia  e  ne  fa  strage.  Mi  sembra 
dar  troppo  alla  parola  menare.  Io  intendo  : 
li  caccia;  ma  avverti  che  anche  questo  è 
un  significato  notevole  e  non  registrato  dai 
vocabolari.  In  ogni  modo  poiché  menare  è 
tirarsi  dietro,  questa  idea  poteva  facilmen- 
te dar  luogo  all'altra  di  cacciarsi  avanti. 
Dunque  Ast.  li  caccia  davanti  ai  suoi;  e 
molti  restano  uccisi  per  la  campagna,  po- 
chi arrivano  a  Biserta. 

—  S.  ne  la  terra,  dentro  la  città.  V.  e. 
X,  75,  n.  2. 

22.  1.  Via  pili  ecc.;  molto  più  dolente  di 


[  Biserta  è  grande,  e  farle  gran  riparo 
Bisogna,  e  senza  lui  mal  può  far  questo. 
Poterlo  riscattar  molto  avria  caro. 
Mentre  vi  pensa  e  ne  sta  afflitto  e  mesto, 
Gli  viene  in  mente  come  tien  prigione 
Già  molti  mesi  il  paladiu  Dudone. 
2?, 

Lo  prese  sotto  a  Monaco  in  riviera 
Il  Re  di  iSarza  nel  primo  passaggio. 
Da  indi  in  qua  prigion  sempre  stato  era 
Dudon  che  del  Danese  fu  lignaggio. 
Mutar  costui  col  re  de  l'Algazera 
Pensò  Branzardo,  e  ne  mandò  mes.*;aggio 
Al  capitan  de'  Nubi,  perché  intese 
Per  vera  spia,  ch'egli  era  Astolfo  Inglese. 
24 

Essendo  Astolfo  paladiu,  comprende 
Che  dee  aver  caro  un  Paliidino  sciorre. 
Il  gentil  Duca,  come  il  caso  intende, 
Col  Re  Branziì  '^o  in  un  voler  concorre. 
Liberato  Dudou,  grazie  ne  rende 
Al  Duca,  e  seco  si  mette  a  disporre 
Le  cose  che  appartengono  alla  guerra, 
Cosi  quelle  da  mar,  come  da  terra. 
25 

Avendo  Astolfo  esercito  infinito 
Da  non  gli  far  sette  Afriche  difesa; 
E  rammentando  come  fu  ammonito 
Dal  santo  Vecchio,  che  gli  die  l' impresa 


Bucifaro  soltanto,  del  solo  Bucifaro,  della 
perdita  di  Bucifaro,  che  se  avesse  ecc. 

—  8.  Già  m.  mesi .;  già  da  m.  mesi.  V.  e.  i, 
38,  n.  6.  Qui  il  poeta  si  riferisce  inieramente 
diW Innamorato  II,  xiv,  66,  dove  Dudone, 
lottando  con  Rodomonte,  è  vinto  e  legato  ; 
poi  (XV,  21)  dalla  gente  di  Rodomonte  con- 
dotto prigione  in  Affrica  e  da  Agramante  af- 
fidato con  speciali  raccomandazioni  (xvui, 
53)  a  Bucifar,  prima  d'intraprendere  la 
grande  spedizione  in  Francia. 

23.  2.  nel  primo  passaggio.  Si  ricordi  che 
Rodomonte  (Innam,  li,  iii,  35, 36),- irritato 
per  le  incertezze  d'Agramante,  risolve  di 
passare  egli  in  Francia  coi  suoi  (II,  xi).  E 
questo  è  il  primo  passaggio  di  esercito  Af- 
fricauo;  il  secondo  passaggio  fu,  poco  dopo, 
quello  d'Agramante.  Si  potrebbe  anche  dir 
primo  per  rispetto  all'altro  che  R,  fece, 
dopo  aver  raccolto  in  Affrica  per  ordine  di 
Agramante  un  nuovo  esercito  {Furioso, 
XIX,  25,  n.  5). 

—  4.  del  Danese,  di  Uggeri  il  Danese. 

—  8.  spia,  notizia.  V.  e.  xii,  31,  u.  8. 

24.  8.  quelle  da  mar  ecc.  Il  da  serve  a 
qualificare  o  specificare:  quelle  cose  che 
appartengono  al  mare  ecc. 

25.  3.  rammentando  ccme  f.  a,  ;  rammen- 
tando in  qual  modo  fu  ammonito,  quali  am- 
monizioni ebbe. 


532 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  tór  Provenza  e  d'Acquamorta  il  lito 
Di  man  di  Saracin  che  l'avean  presa; 
D'una  gran  turba  fece  nuova  eletta, 
Quella  ch'ai  mar  gli  parve  manco  inetta. 
26 

Et  avendosi  piene  ambe  le  palme, 
Quanto  potean  capir,  di  varie  fronde 
A  laui'i,  a  cedri  tolte,  a  olive,  a  palme, 
A'^enne  sul  mare  e  le  gittò  ne  l'onde. 
Oh  felici,  e  dal  ciel  ben  dilette  alme! 
Grazia  che  Dio  raro  a'  mortali  infonde! 
Oh  stupendo  miracolo  che  nacque 
Di  quelle  froudi,  come  fur  ne  l'acque! 
27 

Crebbero  in  quantità  fuor  d'ogni  stima; 
Si  feron  curve  e  grosse  e  lunghe  e  gravi; 
Le  vene  eh'  attraverso  aveano  piuma, 
Mutaro  in  dure  spranghe  e  in  grosse  travi; 
E  rimanendo  acute  in  ver  la  cima. 
Tutte  in  un  tratto  diventaro  navi 
Di  differenti  qualitadi  e  tante, 
Quante  raccolte  fur  da  varie  piante. 
28 

Miracol  fu  veder  le  fronde  scarte 
Produr  fuste,  galee,  navi  da  gabbia. 


—  5.  Acquamorta,  Aiguesmortes. 

—  6.  di  SaraciD,  dei  Sarac.  V.  e.  ii,  15, 
n.  8.  —  a.  presa:  Si  rifeiùsce  a  Provenza, 
che  è  il  tutto,  mentre  il  lito  di  Acquari),  è 
solo  una  parte.  Che  S.  Giovanni  gli  desse 
anche  questa  impresa  si  dice  qui  per  la 
prima  volta;  ma  ciò  è  accaduto  anche  per 
r  otre  dei  venti,  di  cui  l'Ar.  parla  solo 
quando  se  ne  presenta  il  bisogno  ad  Astol- 
fo: cfr.  e.  xxxviii,  30,  1-2. 

—  7.  nuova  eletta;  La  prima  scelta  fu 
fatta  nel  e.  xxxviii,  32. 

2fi.  2.  capir,  contenere.  Cosi  nel  e.  in,  21, 
3  e  cosi  spessissimo.  È  strano  che  vocabo- 
lari come  quel  del  Petrocchi  e  del  Fanfani 
non  citino  questo  significato! 

—  6.  Grazia,  Oh  grazia.  Questo  miracolo 
rammenta  il  mirabile  ìnonstrion  di  Vir- 
gilio (En.  10,  80  segg),  che  fa  prendere  fi- 
gura di  ninfe  alle  navi  di  Enea  per  sot- 
trarle all'  incendio  di  Turno.  Il  Cieco  da 
Ferrara  fa  che  Malagigi  per  opera  di  de- 
moni improvvisi  una  flotta  (Mambr.  ix , 
41),  che,  cessato  il  bisogno,  sparisce  (xiii,  4). 

27.  7.  e  tante;  Si  riferisce  a  qualitadi  o  a 
navi  ?  E  all'uno  e  all'altro  mi  pare  che  possa 
riferirsi  :  navi  di  qualità  differente,  e  tante 
di  numero  quante  erano  le  foglie  raccolte 
dalle  varie  piante.  Oppure:  navi  di  qualità 
differenti  e  tante  (queste  qualità)  per  nu- 
mero, quante  furono  le  piante  varie,  da  cui 
furono  raccolte.  Questa  seconda  interpre- 
tazione risponde  meglio  al  contesto,  la  pri- 
ma richiede  meno  sforzo  di  sintassi. 

2H.  2.  fuste.  V.  e.  viii,  CO,  u.  2.  —  navi  da 
gabbia,  navi  di  grande  alberatura,  che  ave- 


Fu  mirabile  ancor,  che  vele  e  sarte 
E  remi  avean,  quanto  alcun  legno  n'abbia. 
Non  mancò  al  Duca  poi  chi  avesse  l'arte 
Di  governarsi  alla  ventosa  rabbia; 
Che  di  Sardi  e  di  Corsi  non  remoti, 
Nocchier,  padron,  pennesi  ebbe  e  piloti. 
29 

Quelli  che  entrare  in  mar,  contati  foro 
Ventiseimila,  e  gente  d'ogni  sorte. 
Dudon  andò  per  capitano  loro, 
Cavallier  saggio,  e  in  terra  e  in  acqua  for- 
Stava  l'armata  ancora  al  lito  Moro,    |te. 
Miglior  vento  aspettando,  che  la  porte. 
Quando  un  navilio  giunse  a  quella  riva. 
Che  di  presi  guerrier  carco  veniva. 
30 

Portava  quei  ch'ai  periglioso  ponto. 
Ove  alle  giostre  il  campo  era  si  stretto, 
Pigliato  avea  l'audace  Rodomonte, 
Come  più  volte  io  v'ho  di  sopra  detto. 
Il  cognato  tra  questi  era  del  Conte 


vano  la  gabbia  in  alto  per  starvi  alla  ve- 
detta. V.  e.  Il,  28,  n.  8. 

—  7.  dì  Sardi;  dei  Sardi,  ebbe  nocchie- 
ri ecc.  dei  Sardi;  cioè  della  Sardegna. 

—  8.  Nocchier.  Il  nocchiero  propriamente 
è  il  timoniere;  il  padrone,  specialmente 
nelle  navi  commerciali,  era  quel  che  oggi 
è  il  capitano  :  e  si  disse  cosi,  perché  spesso 
era  anche  il  proprietario.  Il  pennese  o  pe- 
nese  o  ponese  era  una  specie  di  magazzi- 
niere degli  attrezzi.  Credono  alcuni  che  da 
questo  luogo  apparisca  che  il  pennese  a- 
vesse  anche  talvolta  il  comando  come  il 
nocchiero  o  il  pilota,  ma  io  penso  che  an- 
che l'ufficio  comune  del  pennese  possa  met- 
tersi fra  quelli,  che,  disbrigati  a  dovere,  con- 
tribuiscono moltissimo  al  buon  andamento 
della  nave;  specialmente  in  circostanze  dif- 
ficili, quando  il  mancare  a  tempo  debito  di 
un  arnese,  può  produrre  la  rovina.  E  pur 
tale  ufficio  richiede,  non  meno  degli  altri, 
persone  pratiche.  —  pilota  era  un  ufficiale 
di  prua  che  esaminava  il  tempo,  la  rotta; 
scandagliava  il  fondo  ecc.  ;  mentre  il  noe- 

\  chiero  stava  al  timone  e  il  padrone  aveva 

1  il  comando  e  la  direzione  generale. 

j       29.  2.  e  gente  d'ogni  sorte.  Intenderei:  ed 

era  gente  atta  ad  ogni  sorte  di  occupazioni 
1  marittime:  gente  d'ogni  maniera  per  le 
1  diverse  specie   di    uffici   e  di  occupazioni 

navali.    Sarebbe    dunque    una  espressione 

monca  della  seconda  parte. 
j       —   4.  e  in  t.  e  in  a.  f.  ;  forte  nelle  batta- 
i  glie  di  terra  e  in  ((uelle   di  mare  :  cfr,  e. 

XIII,  13,  6;  XXXI,  77,  5. 

—  5.  Moro;  Mauro,  Affricano  (gr.  mau- 
ros,  nero). 

30.  5.  il  cognato...  del  C.  Oliviero  fratello 
d'Alda,  moglie  d'Orlando. 


CANTO  XXXIX 


533 


E  '1  fedél  Brandimarte  e  Sansouetto, 
Et  altri  ancor,  che  dir  non  mi  bisogna, 
D'Alemagna,  d'Italia  e  di  Guascogna. 

31  [corto 

Quivi  il  nocchier  ch'ancor  non  s'era  ac- 
De  gii  :?vimici,  entrò  con  la  galea, 
Lasciando  molte  miglia  a  dietro  il  porto 
D'Algieri,  ove  calar  prima  volea. 
Per  un  vento  gagliardo  ch'era  sorto, 
E  spinto  oltre  il  dover  la  poppa  avea. 
Venir  tra  i  suoi  credette  e  in  loco  fido. 
Come  vieu  Progne  al  suo  loquace  nido. 
32 

Ma  come  poi  l'Imperiale  augello, 
I  Gigli  d'oro,  e  i  Pardi  vide  appresso, 
Restò  pallido  in  faccia,  come  quello 
Che  '1  piede  incauto  d'improvisoha  messo 
Sopra  il  serpente  venenoso  e  fello, 
Dal  pigro  sonno  in  mezzo  l'erbe  oppresso, 
Che  spaventato  e  smorto  si  ritira. 
Fuggendo  quel,  ch'è  pieu  di  tosco  e  d'ira. 
33 

Già  non  potè  fuggir  quindi  il  nocchiero, 
Né  tener  seppe  i  prigion  suoi  di  piatto. 
Con  Brandimarte  fu,  con  Oliviero, 
Con  Sansonetto  e  con  molti  altri  tratto 
Ove  dal  Duca  e  dal  figliuol  d'Uggiero 
Fu  lieto  viso  a  gli  suo'  amici  fatto; 
E  per  mercede  lui  che  li  condusse, 
Volson  che  condannato  al  remo  fusse. 


31.  4.  calar,  approdare.  Cosi  nel  e.  xlii, 
23,  3.  Pkcokone,  4,  1:  «  Calaronsi  in  quel 
porto  ». 

—  8.  Progne,  la  rondine.  Dice  la  favola, 
che  Progne,  fig^lia  di  Pandione,  per  vendi- 
carsi del  manto  Tereo,  che  le  aveva  ol- 
traggiata la  sorella  Filomela,  uccise  il  fi- 
glio Iti  avuto  da  Tereo  :  e  fu  dagli  Dei  can- 
giata in  rondine.  —  loquace  n.  È  epiteto 
virgiliano:  En.  12,  475:  «  alta  atria  lustrai 
hirundo  Pabula  parva  legens  nidisque  lo- 
quacibus  escas  ».  Ritrae  il  continuo  cin- 
guettio dei  piccoli. 

82.  1-2.  r  imp.  augello,  l'aquila.  —  1  G. 
d'oro  e  i  P.  V.  e.  X,  77,  n.  2. 

—  3.  come  quello  ecc.;  Virgilio,  En.  2, 
379-SO:  «  Improvisum  aspris  velut  qui  seu- 

'   tibus  anguem  Pressit  humi  nitens  ». 

SS.  1.  Già;  ma.  La  Crusca  cita  esempi,  nei 
quali  già  non  ha  questo  siguilìcato  netta- 
mente avversativo;  cosi  quel  di  Dante; 
Purg.  11:  «Quest'ultima  preghiera...  Già 
non  si  fa  per  noi  ».  Questo  dunque  del- 
l'Ar.  è  un  esempio  molto  notevole. 

—  2.  di  piatto,  nascosti.  V.  e.  xxx,  St5, 
n.  6;  xxxii,   79,  4;  xxxvi,  55,4. 

—  6.  a  gli  suo';  ai  suoi,  ai  loro  am. 

—  8.    Volson,    volsouo,    volsero,   vollero. 
^V.  e.  v,  15,  n.   2.  Questa   terminazione   del 

pass.  rem.   della  seconda    coniugazione    si 
trova  spesso  negli  antichi  anche  in  prosa. 


34 

Come  io  vi  dico,  dal  figliuol  d'Otone 
I  cavallier  Cristian  furon  ben  visti, 
E  di  mensa  onorati  al  padiglione. 
D'arme  e  di  ciò  che  bisognò,  provisti. 
Per  amor  d'essi  differi  Dudone 
L'andata  sua;  che  non  minori  acquisti 
Di  ragionar  con  tai  Baroni  estima. 
Che  d'esser  gito  uno  o  duo  giorni  prima. 
35 

In  che  stato,  in  che  termine  si  trove 
E  Francia  e  Carlo,  istruzion  vera  ebbe; 
E  dove  pili  sicuramente,  e  dove, 
Per  far  miglior  effetto,  calar  debbe. 
Mentre  da  lor  venia  intendendo  nuove, 
S'  udì  un  rumor  che  tuttavia  più  crebbe; 
E  un  dar  all'arme  ne  segui  si  fiero, 
Che  fece  a  tutti  far  più  d'un  pensiero. 
3G 

Il  duca  Astolfo  e  la  compagnia  bella, 
Che  ragionando  insieme  si  trovaro, 
In  un  momento  armati  furo  e  in  sella, 
E  verso  il  maggior  grido  in  fretta  andaro. 
Di  qua  e  di  là  cercando  pur  novella 
Di  quel  rumore;  e  in  loco  capitaro, 
Ove  videro  un  uom  tanto  feroce, 
Che  nudo  e  solo  a  tutto  '1  campo  nuoce. 
37 

Menava  un  suo  bastou  di  legno  in  volta. 
Ch'era  si  duro  e  si  grave  e  si  fermo. 
Che  declinando  quel,  facea  ogni  volta 
Cader  in  terra  nn  uom  peggioch'infermo. 
Già  a  più  di  cento  avea  la  vita  tolta; 
Né  più  se  gli  facea  riparo  o  schermo, 
Se  non  tirando  di  lontan  saette  : 
Da  presso  non  è  alcun  già,  che  l'aspette. 
38 

Dudone,  Astolfo,  Brandimarte  essendo 
Corsi  in  fretta  al  remore,  et  Oliviero, 
De  la  gran  forza  e  del  valor  stupendo 
Stavan  maravigliosi  di  quel  fiero; 
Quando  venir  s'un  palafren  correndo 
Videro  una  donzella  in  vestir  nero. 
Che  corse  a  Brandimarte  e  salutollo 
E  gli  alzò  a  un  tempo  ambo  le  braccia  al 

[collo. 


34.  6.  acquisti.  Più  coinuuem.  il  singo- 
lare. Il  plur.  fu  suggerito  da  Baroni. 

—  7.  Di  ragionar;  regolarmente:  ragio- 
nar senza  prep.  di  ;  per  il  qual  uso  vedrai 
Fornaci  ARI,  Sint.  p.  362,  nota. 

35.  4.  calar,  approdar.  V.  st.  31,  4. 

37.  3.  declinando,  calando.  Cosi  nel  cauto 
XLIII,  189,  4. 

—  8.  già,  però.  Questo  significato  limi- 
tativo in  proposizione  negativa  è  frequente. 
Ma  potrebbe  anche  intendersi  come  confer- 
mativo: certo. 

38.  4.  maravigliasi,  maravigliati.  V,  e.  x, 
90,  n.  7. 


534 


ORLANDO  FURIOSO 


39 

Questa  era  Fiordiligi,  che  si  acceso 
Avea  d'amor  per  Brandiniarte  il  core, 
Che,  quando  al  ponte  stretto  il  lasciò  pre- 
Vicina  ad  impazzar  fu  di  dolore.  [so, 
Di  là  dal  mare  era  passata,  inteso 
Avendo  dal  Pagau  che  ne  fu  autore, 
Che  mandato  con  molti  cavallieri 
Era  prigion  ne  la  città  d'Algieri. 
40 

Quando  fu  per  passare,  avea  trovato 
A  Marsilia  una  nave  di  Levante, 
Ch'un  vecchio  cavalliero  avea  portato 
De  la  famiglia  del  Re  Monodante; 
Il  qual  molte  Provincie  avea  cercato,  [te, 
Quando  per  mar,  quando  per  terra  erran- 
Per  trovar  Brandimarte  ;  che  nuova  ebbe 
Tra  via  di  lui,  ch'in  Francia iltroverebbe. 
41 

Et  ella  conosciuto  che  Bardino 
Era  costui,  Bardino  che  "ipito 
Al  padre  Brandimarte  pi  jolino. 
Et  a  Rocca  Silvana  avea  notrito, 
E  la  cagione  intesa  del  camino. 
Seco  fatto  i'avea  scioglier  dal  lito. 
Avendogli  narrato  in  che  maniera 
Brandimarte  passato  in  Africa  era. 
42 

Tosto  che  furo  a  terra,  udir  le  nuove, 
Ch'assediata  d'Astolfo  era  Biserta: 
Che  seco  Brandimarte  si  ritrove 
Udito  avean,  ma  non  per  cosa  certa. 
Or  Fiordiligi  in  tal  fretta  si  muove, 
Come  lo  vede,  che  ben  mostra  aperta 
Quella  allegrezza  eh'  i  precessi  guai 
Le  fero  la  maggior  ch'avesse  mai. 
43 

Il  gentil  cavallier,  non  men  giocondo 
Di  veder  la  diletta  e  fida  moglie 


"40.  4.  De  la  famiglia;  uno  dei  sudditi,  dei 
servi  di  Monodante  fé  di  Damogir,  padre 
di  Brandimarte.  Su  questo  Bardino  cfi*. 
Innam.  Il,  11,  23;  e  Fur.  e.  viii,  86,  n.  3. 

—  7.  che;  e  che.  È  coovùma.\.o  &  il  qunle 
del  V.  5.  Più  chiaro  sarebbe  stato  eoa  la 
congiunzione. 

41.  6.  scioglier,  salpare.  V.  e.  x,  ■14,  n.  1^ 

42.  2.  d'Astolfo,  da  Astolfo. 

—  3.  si  ritrovo.  Più  regolarmente:  si  ri- 
trovasse. Il  congiun.  invece  dell'  indicativo, 
perché  nou  era  cosa  certa. 

—  7-8.  eh'  i  precessi  ecc.;  che  i  prece- 
denti guai  le  resero  la  maggiore  ch'avesse 
mai.  Il  passaggio  dal  dolore  al  piacere 
rende  maggiore  il  godimento.  —  precessi, 
precedenti  {^ro^rìdiTa. preceduti:  è  un  altro 
particip.  ùi precedere).  Dopo  l'Ar.  il  Mo.nti; 
II.  13,  1024:  «E  i  tre  d'Ippozion  gagliardi 
figli...  dal  globoso  Suol  d'Ascania  venuti  il 
di  precesso  ». 


Ch'amava  pili  che  cosa  altra  del  mondo, 
L'abbraccia  e  stringe  e  dolcemente  acco- 

(glie: 
Né  per  saziare  al  primo  né  al  secondo 
Né  al  terzo  bacio  era  l'accese  voglie; 
Se  non  ch'alzando  gli  occhi  ebbe  veduto 
Bardin  che  con  la  Donna  era  venuto. 

44 
Stese  le  mani,  et  abbracciar  lo  volle, 
E  insieme  domandar  perché  venia; 
Ma  di  poterlo  far  tempo  gli  lolle 
11  campo  ch'in  disordine  fuggia 
Dinanzi  a  quel  baston  che  '1  nudo  folle 
Menava  intorno,  e  gli  facea  dar  via. 
Fiordiligi  mirò  quel  nudo  in  fronte, 
li  gridò  a  Brandimarte:  Eccovi  il  Conte. 

4.Ó 
Astolfo  tutto  a  un  tempo,  ch'era  quivi, 
Che  questo  Orlando  fosse,  ebbe  palese 
Per  alcun  segno  che  dai  vecchi  Divi 
Su  nel  terrestre  paradiso  intese. 
Altrimente  restavan  tutti  privi 
Di  cognizion  di  quel  Signor  cortese; 
Che  per  lungo  sprezzarsi,  come  stolto, 
Avea  di  fera,  piti  che  d'uomo,  il  volto. 

46 
Astolfo  per  pietà  che  gli  trafisse 


44.  6.  e  gli  facea  d.  v.  Il  Galilei  intese, 
come  è  più  ovvio,  clie  soggetto  ne  fosse  il 
che  del  verso  precedente  riferito  a  bastone  ; 
e  poiché  là  è  oggetto  e  qui  dovrebbe  fare 
l)ruscaniente  da  soggetto,  propose  di  cor- 
reggere e  si  facea  dar  via  (Orlando).  Ma 
chi  proibisce  di  far  soggetto  Orlando  e  di 
le-'gere  come  sta  scritto  ?  Cosi  intenderemo  : 
Orlando  menava  intorno  il  bastone  e  gli 
faceva  dar  via,  gli  faceva  far  largo  dalia 
gente,  che  fuggiva  appunto  dinanzi  a  quel 
bastone. 

45.  1.  Astolfo  ecc.  Costruisci:  Astolfo, 
eh'  era  quivi,  ebbe  palese,  conobbe  chiaro 
nel  medesimo  tempo  (cfr.  e.  xxiv,  62,  7) 
che  Fiordiligi,  che  questo  fosse  Orlando. 

-  \i.  vecchi  Divi.  V.  e.  x.KXiv:  58,  59.  — 
Sono  Enoch,  Elia  e  S.  Giovanni.  —  Divi  per 
saìiti  forse  l'usò  primo  l'Ar.  (imitando  l' uso 
degli  scrittori  latiui  cristiani)  ;  e  dopo  lui 
il  Tasso,  Ger.  11,7;  e  il  Monti,  Poes.  1,  Ui. 

I  —  5.  Altrimente;  Cioè:  se  non  erano 
Fiordiligi  e  Astolfo. 

—  6.  Di  cognizion,  della  cognizione.  Per 

'  romissione  dell' artic.  cfr.  e.  ii,  15,  n.  8. 

i       —  7.  sprezzarsi;   trascurarsi   nella   per- 

'  sona.  Si  cita  solamente  quest' esempio  del- 
l'Ar.  —  come  stolto,  j^oicìié  era  stolto.  Cor- 
risponde al  latino  quippe  qui. 

46.  1.  trafflsse.  Forse  la  doppia  è  prò- 
i  dotta  da  azione  dialettale,  o  anche  è  messa 
'  per  rendere  meglio  il  transfixit  latino.  Cosi 
I  altrove  essemplo  (lat.  exemplum). 


CANTO  XXXIX 


535 


Il  petto  e  il  cor,  si  volse  lacrimando; 
Et  a  Dudoa  (che  gli  era  appresso)  disse, 
Et  indi  ad  Oliviero:  Eccovi  Orlando. 
Quei  gli  occhi  alquanto  e  le  palpebre  fisse 
Tenendo  in  lui,  l'andar  raffigurando; 
E  '1  ritrovarlo  in  tal  calamitade, 
Gli  empi  di  maraviglia  e  di  pietade. 
47 

Piangeano  quei  Signor  per  la  più  parte  ; 
Si  lor  ne  dolse,  e  lor  ne  'ncrebbe  tanfo. 
Tempo  è  (lor  disse  Astolfo)  trovar  arte 
Di  risanarlo,  e  non  di  fargli  il  pianto: 
E  saltò  a  piedi,  e  cosi  Brandimarte, 
Sansonetto,  Oliviero  e  Dudon  santo; 
E  s'avventaro  al  nipote  di  Carlo 
Tutti  in  un  tempo  ;  che  volean  pigliarlo. 
48 

Orlando  che  si  vide  fare  il  cerchio, 
Menò  il  baston  da  disperato  e  folle; 
Et  a  Dudon  che  ai  facea  coperchio 
Al  capo  de  lo  scudo,  et  entrar  volle. 
Fé'  sentir  ch'era  grave  di  soperchio: 
E  se  non  che  Olivier  col  brando  tolle 
Parte  del  colpo,  avria  il  bastone  ingiusto 
Kotto  lo  scudo,  l'elmo,  il  capo  e  il  busto. 
49 

Lo  scudo  roppesolo,  e  sull'elmetto 
Tempestò  si,  che  Dudon  cadde  in  terra. 
Menò  la  spada  a  un  tempo  Sansonetto, 
E  del  baston  più  di  duo  braccia  afferra 
Con  valor  tal  che  tutto  il  taglia  netto. 
Brandimarte  ch'adesso  se  gli  serra. 


—  2.  Il  petto  e  il  cor.  È  immagine  presa 
dalle  trafitture  materiali  e  significa,  fuor  di 
metafora,  che  non  fu  un  dolore  leggero,  ma 
elle  gli  passò  proprio  il  cuore. 

—  5.  gli  occhi  e  le  palp.  f .  ;  tenendo  in 
lui  fìssi  gli  occhi  senza  batter  palpebra. 

47.  2.  dolse...  increbbe.  I)  dolore  è  pena 
dell'animo,  il  ì-increscimento  (lat.  ìncvè- 
scere,  divenir  pesante)  è  il  peso  che  questa 
pena  dà:  denti'o  sentirono  un  dolore,  che 
mal  sopportavano. 

—  3.  Tempo  è...  trovar,  È  tempo  di  trov. 

—  4.  fargli  il  pianto,  (.\el  e.  xxxi,  107, 
si  ha  fare  il  duolo)  compiangere.  Per  que- 
sta locuzione  si  cita  soltanto  V  esempio  del- 
l'Ariosto. 

—  6.  Dudon  santo.  Innam.  Il,  x,  13  :  «Ma 
poi  di  tal  bontà  si  dava  (poteva  darsi)  il 
vanto,  eh'  era  appellato  in  soprannome  il 
Santo  ».  V.  0.  XL,  76,  n.  6. 

48.  4.  entrar,  cacciarsi  avanti  e  sotto  i 
colpi  d'  Orlando  in  modo  da  afferrarlo  alla 
vita. 

—  6.  se  non  che.  V,  e.  xxi,  42,  n.  5. 

49.  4.  afferra;  colpisce.  Cosi  nel  e.  vii,  6, 
6.  Innamor.  i,  xviii,  17:  «  Fusberta  come 
un  legno  l'altra  afferra  ».  E  il  Berni  nel- 
Vlìmam.  più  volte  I,  18,  24  ;  18,  21  ;  32,  7. 


Gli  cinge  i  fianchi,  quanto  può,  con  ambe 

Le  braccia,  eAstolfo  il  pigliane legambe. 

50 

Scuotesi  Orlando,  e  lungi  dieci  passi 
Da  sé  l'Inglese  fa  cader  riverso: 
Non  fa  però,  che  Brandimarte  il  lassi, 
Che  con  più  forza  l'ha  preso  a  traverso. 
Ad  Olivier  che  troppo  inanzi  tassi, 
Menò  un  pugno  si  duro  e  si  perverso, 
Che  lo  fé'  cader  pallido  et  esangue, 
E  dal  naso  e  dagli  occhi  uscirgli  il  sangue. 
51 

E  se  non  era  l'elmo  più  che  buono, 
Ch'avea  Olivier,  l'avria  quel  pugno  ucciso: 
Cadde  però,  come  se  fatto  dono 
Avesse  de  lo  spirto  al  paradiso. 
Dudone  e  Astolfo  che  levati  sono. 
Benché  Dudone  abbia  gonfiato  il  viso, 
E  Sansonetto  che  '1  bel  colpo  ha  fatto. 
Adesso  a  Orlando  son  tutti  in  un  tratto. 
52 

Dudon  con  gran  vigor  dietro  l'abbraccia 
Pur  tentando  col  pie  farlo  cadere: 
Astolfo  e  gli  altri  gli  han  prese  le  braccia, 
Né  lo  puon  tutti  insieme  anco  tenere. 
Chi  ha  visto  toro  a  cui  si  dia  la  caccia, 
E  ch'alle  orecchie  abbia  le  zanne  fiere. 
Correr  mugliando,  e  trarre  ovunque  corre 
I  cani  seco,  e  non  potersi  sciorre; 

53 
^  Imagini  ch'Orlando  fosse  tale. 
Che  tutti  quei  guerrier  seco  traea. 
In  quel  tempo  Olivier  di  terra  sale. 
Là  dove  steso  il  gran  pugno  l'avea; 
E  visto  che  cosi  si  potea  male 
Far  di  lui  quel  ch'Astolfo  far  volea. 
Si  pensò  un  modo,  et  ad  effetto  il  messe, 
Di  far  cadere  Orlando,  e  gli  successe. 
54 

Si  fé'  quivi  arrecar  più  d'una  fune, 
E  con  nodi  correnti  adattò  presto; 
Et  alle  gambe  et  alle  braccia  alcune 


—  8.  ne  le  gambe,  per  le  gambe.  Cosi 
nel  e.  IV,  43,  1  :  piriiiar  tiel  freno. 

.50.  8.  uscirgli  ;  Dipende  da  un  fé,  che  deve 
rilevarsi  dal  c/li  fé  del  verso  precedente. 

52.  1.  Ne...  anco;  neppure.  V.  e.  xvi,  36, 
n.  8. 

.'5:5.  2.  Che.  È  pronome  relativo. 

—  3.  sale,  si  alza,  si  leva.  Anche  i  La- 
tini dissero  salire  a  terra  (Lucrezio,  1,  1S7), 
ma  nel  senso  di  uscir  fuori ,  saltar  su 
dalla  terra.  Qui  abbiamo  un  senso  non 
eguale,  ma  afl3ne  al  latino.  Gli  antichi  usa- 
rono non  di  rado  la  locuzione  salire  in 
piedi  per  alzarsi  in  piedi. 

—  8.  gli  successe,  gli  ri  usci  bene.  V.  e. 
X,  57,  n.  6. 

54.  2.  adattò,  le  adattò.  —  nodi  correnti, 
nodi  scorsoi. 


536 


ORLANDO  FURIOSO 


Fé'  porre  al  Conte,  et  a  traverso  il  resto.  | 
Di  quelle  i  capi  poi  parti  in  commune, 
E  li  diede  a  tenere  a  quello  e  a  questo. 
Per  quella  via  che  maniscalco  atterra 
Cavallo  0  bue,  fu  tratto  Orlando  in  terra. 
55 

Come  egli  è  in  terra,  gli  son  tutti  ados- 
E  gli  legan  più  forte  e  piedi  e  mani,  [so, 
Assai  di  qua  di  là  s'è  Orlando  scosso; 
Ma  sono  i  suoi  risforzi  tutti  vani. 
Comanda  Astolfo  che  sia  quindi  mosso, 
Che  dice  voler  far  che  si  risani. 
Dudon  ch'è  grande,i!levainsu  leschene, 
E  porta  al  mar  sopra  l'estreme  arene. 
56 

Lo  fa  lavar  Astolfo  sette  volte, 
E  sette  volte  sotto  acqua  l'attuffa; 
Si  che  dal  viso  e  da  le  membra  stolte 
Leva  la  brutta  rugine  e  la  muflfa: 
Poi  con  certe  erbe,  a  qr"sto  effetto  colte, 
La  bocca  chiijder  fa,  che  soffia  e  buffa: 
Che  non  volea  ch'avesse  altro  meato 
Onde  spirar,  che  per  lo  naso,  il  fiato. 
57 

Aveasi  Astolfo  apparecchiato  il  vaso 
In  che  il  senno  d'Orlando  era  rinchiuso; 
E  quello  in  modo  appropinquògli  al  naso, 
Che  nel  tirar  che  fece  il  fiato  in  suso. 
Tutto  il  votò:  maraviglioso  caso! 
Che  ritornò  la  mente  al  primier  uso; 
E  ne'  suoi  bei  discorsi  l'intelletto 
Rivenne,  più  che  mai  lucido  e  netto. 
58 

Come  chi  da  noioso  e  grave  sonno 
Ove  o  vedere  abominevol  forme 


—  5.  parti  in  commune,  distribuì  a  tutti 
gli  altri  in  modo  da  operare  in  comune. 
Nota  adunque  la  brachilogia. 

.55.  4.  risforzi,  sforzi  raddoppiati  :  V.  la 
nota  nel  e.  xl,  20,  1  ;  xli,  70,  5. 

—  8.  estreme  ar.  V.  e.  i,  24,  n.  6. 

56.  3.  m.  stolte.  Vi  è  un'  enallage  :  mem- 
bra di  lui  stolto. 

—  4.  rugine,  ruggine.  Qui  vale  sudiciu- 
ine  incallito,  inveterato.  Avverti  la  meta- 
fora ardita  ma  bella,  e  la  forma  più  vicina 
al  latino  ferruginem. 

—  6.  buffa,  sbuffa.  Gelli,  Lettur.  3, 175: 
«  Buffare  nella  nostra  lingua  non  significa 
altro  che  soffiare  con  impeto  e  alquanto  più 
presto  che  il  solito  ». 

—  8.  che  per  lo  naso.  Avverti  il  brusco 
cambiamento  di  costrutto.  Dovrebbe  dire  : 
altro  meato...  che  il  naso  :  ma  la  propo- 
sizione correlativa  sente  T  azione  della  pro- 
posizione relativa  onde  spirar,  (per  il  quale 
spirar);  e  su  questa  si  modefia. 

57,  6.  Che  ;  poiché. 

68,  1.  C.  chi  da  n.  ecc.  Il  Nisiely  vorrebbe 
sottinteso  un   oppresso  da  noioso  ecc.  Il 


Di  mostri  che  non  son,  né  ch'esser  ponno, 
0  gli  par  cosa  far  strana  et  enorme, 
Ancor  si  maraviglia,  poi  che  donno 
È  fatto  de'  suoi  sensi,  e  che  non  dorme; 
Cosi,  poi  che  fu  Orlando  d'error  tratto. 
Restò  maraviglioso  e  stupefatto. 
59 

E  Brandimarte,  e  il  fratel  d'Alda  bella, 
E  quel  che  '1  senno  in  capo  gli  ridusse, 
Pur  pensando  riguarda,  e  non  favella. 
Come  egli  quivi,  e  quando  si  condusse. 
Girava  gli  occhi  in  questa  parte  e  in  quel- 
Né  sapea  imaginar  dove  si  fusse.         [la, 
Si  maraviglia  che  nudo  si  vede, 
E  tante  funi  ha  da  le  spalle  al  piede. 
60 

Poi  disse,  come  già  disse  Sileno 
A  quei  che  lo  legar  nel  cavo  speco: 
Solvile  me,  con  viso  si  sereno. 
Con  guardo  si  men  de  l'usato  bieco, 
Che  fu  slegato,  e  de'  panni  ch'avieno 
Fatti  arrecar,  partici paron  seco. 
Consolandolo  tutti  del  dolore. 
Che  lo  premea,  di  quel  passato  errore. 
61 

Poi  che  fu  all'esser  primo  ritornato 
Orlando  più  che  mai  saggio  e  virile, 


Panizzi  dice  probabile  che  si  debba  sottin- 
tendere ]jn  rinvenire  da  rilevarsi  dal  ri- 
venne del  V.  precedente.  Io  credo,  col  Ro- 
mizi,  che  sia  da  intendere  da  per  dopo.  Di 
quest'  uso  si  cita  da  alcuni  vocabolari  (non 
mi  pare  dalla  Crusca)  un  esempio  solo  del 
Sacchetti,  senza  indicazione  del  luogo  : 
«  E  da'  piedi  tocca  le  gambe;  (dopo  i  piedi 
tocca  1.  g.)».  Qui,  come  è  chiaro,  non  in- 
dica tempo,  ma  successione  di  azioni  come 
nell'Ariosto.  L'ebbero  anche  i  Latini.  Livio, 
14,  34:  «Ab  lùs  praeceptis  (dopo  tali  or- 
dini) concionem  dimisit  consul  ». 

—  8.  Verso  interamente  ripetuto  :  canto 
XXXVI,  20,  8. 

69. 4.  Come  egli  ecc.  Dipende  da  pensando. 
V.  e.  IX,  92,  n.  4. 

CO.  3.  SolTite  me;  scioglietemi.  Virgilio 
nell'Egl.  6  dice  che  Cromi  e  Mnasilo  sor- 
presero Sileno  dormente  e  avvinazzato  in 
un  antro.  Lo  legarono  e  gli  dipinsero  il 
viso  con  le  moi-e.  Svegliatosi  il  vecchio, 
disse  ridendo:  «Quo  vincula  nectitis?  Sol- 
vite  me,  pueri,  satis  est  potuisse  videri  », 

—  4.  81  men.  Comunemente  si  unisce  a 
ìneno  non  il  cosi  ma  il  tanto  :  tanto  meno. 

—  6.  participaron  s.  ;  gli  dettero  quella 
parte  che  gli  occorse.  Partecipare  è  usato 
generalm.  nel  senso  di  mettere  a  parte 
uno  di  una  cosa,  e  si  costruisce  con  la 
prep.  a.  Qui  dunque  è  notevole  1'  estensio- 
ne di  significato  e  anche  il  costrutto. 


CANTO  XXXIX 


637 


D'amor  si  trovò  insieme  liberato; 
Si  che  colei  che  si  bella  e  gentile 
Gli  parve  dianzi,  e  eh'  avea  tanto  amato, 
Non  stima  pili,  se  non  per  cosa  vile. 
Ogni  suo  studio,  ogni  disio  rivolse 
A  racquistar  quanto  già  Amor  gli  tolse. 
62 

Narrò  Bardino  intanto  a  Brandimarte, 
Che  morto  era  il  suo  padre  Monodante; 
E  che  a  chiamarlo  al  regno  egli  da  parte 
Veniva  prima  del  fratel  Gigliante, 
Poi  de  le  genti  ch'abitau  le  sparte 
Isole  in  mare,  e  l'ultime  in  Levante; 
Di  che  non  era  un  altro  regno  al  mondo 
Si  ricco,  populoso,  o  si  giocondo. 
63 

Disse,  tra  pili  ragion  che  dovea  farlo, 
Che  dolce  cosa  era  la  patria;  e  quando 
Si  disponesse  di  voler  gustarlo, 
Avriapoi  sempre  in  odio  andare  errando. 
Brandimarte  rispose,  voler  Carlo 
Servir  per  tutta  questa  guerra  e  Orlando  ; 
E  se  potea  vederne  il  fin,  che  poi 
Penseria  meglio  sopra  i  casi  suoi. 
64 

Il  di  seguente  la  sua  armata  spinse 
Verso  Provenza  il  figlio  del  Danese: 
Indi  Orlando  col  Duca  si  ristrinse. 
Et  in  che  stato  era  la  guerra,  intese: 
Tutta  Biserta  poi  d'assedio  cinse. 
Dando  però  l'onore  al  Duca  Inglese 
D'ogni  vittoria:  ma  quel  Duca  il  tutto 
Facea,  come  dal  Conte  venia  instrutto. 
65  [glia 

Ch'ordine  abbian  tra  lor,  come  s'assa- 
La  gran  Biserta,  e  da  che  lato  e  quando, 

61.  3.  D'amor,  da  amor, 

—  S.  quanto  g.  A.  g.  t.,  di  Compiere  cioè 
gloriose  imprese  per  la  fede  di  Cristo. 

62.  4.  Gigliante;  Il  Boiardo  lo  chiama  Zi- 
liaute.  Era  fratello  minore  di  Brandimarte. 
Vedine  la  storia  nell'  Innamorato,  II,  xi, 
48;  XIII,  33. 

—  6.  Isole.  Il  Boiardo  le  chiama  riso?(3 
lontane. 

—  S.  Si  ricco  ecc.  Innam.  II,  xi,  46:  «  Ove 
adunate  ha  già  ricchezze  tante  Che  stimar 
noi  potria  T  ingegno  umano  ». 

63.  1.  ragion  che,  ragioni  perché,  per  le 
quali. 

64.  3.  si  ristrinse,  si  raccolse  a  stretto 
colloquio.  Si  disse  anche  ristringersi  in- 
sieme. L'usarono  più  volte  il  Sacchetti  e 
il  Machiavelli:  Stor.  F.  3,  5:  «Quelli,  che 
per  la  rovina  della  repubblica  si  ristrin- 
gono ». 

65.  1.  Ch'ordine  ab.  1. 1.  come  ecc.;  che  patti 
stabiliscano  fra  loro;  che  cosa  concordino 
fra  loro  sul  modo  di  assalire  B.  Sulla  frase 
avere  ordine  cfv.  e.  v,  42,  n.  4;  xiii,  11,3; 
XXII,  79,  3. 


Come  fu  presa  alla  prima  battaglia, 
Chi  ne  l'onor  parte  ebbe  con  Orlando, 
S'io  non  vi  seguito  ora,  non  vi  caglia; 
Ch'io  non  me  ne  vo  molto  dilungando. 
In  questo  mezzo  di  saper  vi  piaccia. 
Come  dai  Franchi  1  Mori  hanno  la  caccia. 

66 
Fu  quasi  il  Re  Agramante  abbandonato 
Nel  pericol  maggior  di  quella  guerra; 
Che  con  molti  Pagani  era  tornato 
Marsilio  e  '1  Re  Sobrin  dentro  alla  terra; 
Poi  su  l'armata  e  questo  e  quel  montato, 
Chedubbio  avean  di  non  salvarsi  in  terra; 
E  duci  e  cavallier  del  popol  Moro 
Molti  seguito  avean  l'esempio  loro. 

67 
Pure  Agramante  la  pugna  sostiene; 
E  quando  finalmente  più  non  puote. 
Volta  le  spalle  e  la  via  dritta  tiene 
j  Alle  porte  non  troppo  indi  remote. 
'  Rabican  dietro  in  gran  fretta  gli  viene, 
Che  Bradamante  stimola  e  percuote. 
D'ucciderlo  era  disiosa  molto; 
Che  tante  volte  il  suo  Ruggier  le  ha  tolto. 

68 
II  medesmo  desir  Marfisa  avea. 
Per  far  del  padre  suo  tarda  vendetta, 
E  con  gli  sproni,  quanto  pili  potea, 
Facea  il  destrier  sentir  ch'ella  avea  fretta. 
Ma  né  l'una  né  l'altra  vi  giungea 
Si  a  tempo,  che  la  via  fosse  intercetta 
Al  Re  d'entrar  ne  la  città  serrata, 
Et  indi  poi  salvarsi  in  su  l'armata: 

69 
Come  due  belle  e  generose  parde 


66.  4.  alla  terra,  alla  città  di  Adi. 

67.  4.  alle  porte,  di  Arli. 

es.  4.  Facea  il  destr.  sentir.  Più  regolar- 
mente: facea  al  destrier  sentir.  Nella  ediz. 
del  '16  si  legge:  «Facea  al  cavai  sentir». 
(FORNAriARi,  S.  p.  201, 202).  Qui  è  una  specie 
di  costrutto  alla  latina.  Un  costrutto  simile 
avevamo,  nell'edizione  del  '21,  ai  w.  6,  7; 
«  che  la  via  fosse  intercetta  D'entrare  iì  r<r 
ne  la  città  serrata  ».  Là  l'Ar.  tolse,  qui  in- 
trodusse una  durezza. 

—  7.  la  via  d'entrar;  la  via  da  entrar, 
per  ent.  V.  e.  v,  IO,  n.  5. 

69.  1.  Come  ecc.  Era  uso  a^n  raro  nel 
Medio  evo  addomesticare  i  pardi  per  la 
caccia.  Ne  parla  anche  il  Petrarca,  Tr. 
cast.  37  :  «  Non  corse  mai  si  levemente  al 
varco  Di  fuggitiva  cerva  un  leopardo  Li- 
bero in  selva  o  di  catene  scarco  »  (cioè  li 
bero  dal  guinzaglio).  —  generose;  che  per 
la  fina  educazione  alla  caccia  san  fare  quello 
e  più  di  quello  che  il  cacciatore  da  loro 
vorrebbe.  Cosi  diciamo  generoso  un  ca- 
vallo. Il  Parenti,  il  Bolza,  il  Bresciani  e  al- 
tri ebbero  su  questo  luogo  una  polemica. 


538 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  fuor  del  lascio  sien  di  pari  uscite, 
Poscia  ch'i  cervi  o  le  capre  gagliarde 
Indarno  aver  si  veggano  seguite, 
Vergognandosi  quasi,  che  fur  tarde, 
{Sdegnose  se  ne  tornano  e  pentite; 
Cosi  tornar  le  due  donzelle,  quando 
Videro  il  Pagan  salvo,  sospirando. 
70 

Non  però  si  fermar;  ma  ne  la  frotta 
Degli  altri  che  fuggivano,  cacciarsi, 
Di  qua  di  là  facendo  ad  ogni  botta, 
Molti  cader,  senza  mai  più  levarsi. 
A  mal  partito  era  la  gente  rotta. 
Che  per  fuggir  non  potea  ancor  salvarsi  ; 
Ch'Agramante  avea  fatto  per  suo  scampo 
Chiuder  la  porta  ch'uscia  verso  il  campo, 
71 

E  fatto  sopra  il  Rodalo  tagliare 
I  ponti  tutti.  Ah  sfortunata  plebe, 
Che  dove  del  tiranno  utile  appare, 
Sempre  è  in  conto  di  pecore  e  di  zebe! 
Chi  s'affoga  nel  fiume  e  chi  nel  mare, 
Chi  sanguinose  fa  di  sé  le  glebe. 
Molti  perir,  pochi  restar  prigioni; 
Che  pochi  a  farsi  taglia  erano  buoni. 


che  ormai  non  ha  più  alcuna  importanza. 
Fu  mossa  da  chi  ignorava  che  i  pardi  si 
addomesticassero  per  la  caccia;  e  quindi 
avea  necessità  d'adattare  il  luogo  all'  idea 
dei  pardi  ancora  feroci:  il  che  si  faceva 
leggendo  sasso  invece  di  lascio  e  intenden- 
dolo fuor  della  caverna. 

—  2.  fuor  del  lascio  ;  fuori  del  guinzaglio, 
libere  dal  guinz.  Lascio  per  guinzaglio' usò 
pure  il  Redi,  Lett.  3,  •^6^i^.  «  con  un  levriere 
al  lascio  ».  Nelle  altre  due  edizioni  l'Ar. 
aveva  scritto  «  Che  de  le  lasse  sien  ecc.  » 
e  lassa  abbiamo  nel  e.  xli.  :jo  e  in  altri 
scrittori.  L'Ariosto  forse  cambiò  in  questa 
forma  meno  usata  per  evitare  l' incontro 
di  tante  a. 

—  3.  capre,  nel  senso  di  capre  selva- 
tiche.. 

—  6.  pentite,  di  non  essere  state  più  sol- 
lecite. 

—  8.    sospirando 
e  Marfisa. 

70.  6.  per  fuggir,  per  quanto  fuggisse. 
V.  e.  XV,  69,  ìì.  6.  —  non...  ancor;  neppure 
(e.  XVI,  36,  n.  8);  e  va  unito  a.  fuggire:  che 
neppure  per  fuggire,  fuggendo,  poteva  ecc. 

71.  4.  zebe  ((orse  dal  led.  zibbe,  agnello) 
capra  giovine;  qui  iu  generale  ca.jj>"e.  Oggi, 
per  lo  più,  è  poetico. 

—  8.  farsi  taglia  ecc.  «  Con  pochi  sarebbe 
tornato  conto  di  farli  prigioni,  affinché  poi 
pagassero  la  taglia»  (Bolza):  pochi  erano 
buoni  a  farsi  il  riscatto,  a  riscattarsi;  cioè 
erano  volgo,  che  valeva  meglio  uccidere 
che  far  prigioni. 


Riferiscilo  a  Bradam. 


72 

De  la  gran  moltitudine  ch'uccisa 
Fu  da  ogni  parte  in  questa  ultima  guerra 
(Ben  che  la  cosa  non  fu  ugual  divisa; 
Ch'assai  pili  andar  dei  Saracin  sotterra 
Per  man  di  Bradamante  e  di  Marfisa), 
Se  ne  vede  ancor  segno  in  quella  terra; 
Che  presso  ad  Arli,ove  il  Rodano  stagna, 
Piena  di  sepolture  è  la  campagna. 

73  [sciorre 

Fatto  avea  intanto  il  Re  Agramante 
E  ritirare  iu  alto  i  legni  gravi, 
Lasciando  alcuni,  e  i  piti  leggieri,  a  tórre 
Quei  che  volean  salvarsi  in  su  le  navi. 
Vi  ste'  duo  di,  per  chi  fuggia  raccorre, 
E  perché  venti  eran  contrari  e  pravi: 
Fece  lor  dar  le  vele  il  terzo  giorno; 
Ch'in  Africa  credea  di  far  ritorno. 
74 

Il  Re  Marsilio  che  sta  in  gran  paura 
Ch'alia  sua  Spagna  ilfìo  pagar  non  tocche, 
E  la  tempesta  orribilmente  oscura 
Sopra  suoi  campi  all'ultimo  non  scocche; 
Si  fé'  porre  a  Valenza,  e  con  gran  cura 
Cominciò  a  riparar  castella  e  rocche, 
E  preparar  la  guerra  che  fu  poi 
La  sua  ruina  e  degli  amici  suoi. 


72.  3.  non  fu  ug.  divìsa;  non  fu  ugual- 
mente divisa.  Quest'  uso  notevolissimo  non 
è  citato  neppure  dalla  Nuova  Crusca,  sotto 
eguale. 

—  8.  Piena  di  sep.  ecc.  Anche  Dante  ram- 
menta queste  sepolture,  Inf.  9:  «  Siccome 
ad  Arli  ove  il  Rodano  stagna  Fauno  i  se- 
polcri tutto  il  loco  varo  ».  E  l'Ar.  l' ebbe 
certo  presente.  Presso  Arli  vi  fu  un  antico 
e  molto  celebre  sepolcreto  Romano,  sacro 
agli  dei  Mani  ;  e  anche  nei  tsinpi  cristiani 
si  aggiunsero  leggende,  che  ne  continua- 
rono e  ne  accrebbero  la  celebrità.  Di  questi 
sepolcri  fa  menzione  anche  la  cronaca  del 
pseudo-Turpino  cap.  30:  De  his  qui  sepulli 
sunt  apiul  urbem  Arelatem  in  Aijliscam- 
pis  (Alyscamps  =  campi  Elisii).  Come  è 
chiaro,  questo  che  dice  l'Ar.  è  sua  inven- 
zione, come  è  invenzione  del  Boiardo  la 
guerra  d'Agramante  in  Francia;  ma  la  leg- 
genda carolingia  riteneva  che  quelle  tombe 
fossero  di  morti  nelle  guerre  di  Carlomagno. 

7.J.  2.  in  alto,  in  alto  mare.  V.  e.  viii, 
;JG,  n.  8. 

—  7.  lor  dar;  dare  ai  legni  le  vele,  spie- 
garle. 

74.  5.  porre,  sbarcare.  Gli  antichi  usa- 
rono porre  per  sbarcare,  approdare,  ma 
intransitivo:  Pulci  Lue.  Gir.  Calv.ì,5: 
«  Usanza  sai  eh'  è  de'  navigatori  Di  porre 
in  terra  e  far  talvolta  prede  ».  Di  questo 
uso  transitivo  non  trovo  citato  esempio. 

—  7.  che  fu  poi  ecc.  Nei  Cinque   Canti 


CANTO  XXXIX 


539 


75 
Verso  Africa  Agramante  alzò  le  vele 
De'  legni  male  armati,  e  voti  quasi, 
D'uomini  voti,  e  pieni  di  querele; 
Per  ch'in  Francia  i  tre  quarti  erau  rimasi. 
Chi  chiama  il  Re  superbo,  chi  crudele, 
Chi  stolto;  e  come  avviene  in  simil  casi, 
Tutti  gli  voglion  mal  ne'lor  secreti; 
Ma  timor  n'hanno,  e  stan  per  forza  cheti. 

7fi 
Per  duo  talora  o  tre  schiudon  le  labbia. 
Ch'amici  sono,  e  che  tra  lor  s'han  fede, 
E  sfogano  la  colera  e  la  rabbia; 
E  '1  misero  Agramante  ancor  si  crede 
Ch'ognun  gli  porti  amore  e  pietà  gli  abbia: 
E  questo  gl'intervien,  perché  non  vede 
Mai  visi  se  non  finti,  e  mai  non  ode 
Se  non  adulazion,  menzogne  e  frode. 

77 
Erasi  consigliato  il  Re  Africano 
Di  non  smontar  nel  porto  di  Biserta, 
Però  ch'avea  del  popol  Nubiano 
Che  quel  lito  tenea,  novella  certa; 
Ma  tenersi  di  sopra  si  lontano, 
Che  non  fosse  acre  la  discesa  et  erta; 


I,  63  :  «  E  (Carlo  M.)  promise  (a  Oi'lando)  lo 
scettro  e  la  corona.  Poi  che  n'  avesse  il  re 
Marsilio  spinto.  Del  regno  di  Navarra  e 
d'Aragona,  La  qual  impresa  allora  era  in 
procinto  ». 

76.  1.  Per  duo.  Credo  che  il  ììer  significhi 
fra,  in  ;  quando  sono  in  due,  fra  due  o  tre. 
È  uso  simile  a  quello  del  e.  xii,  7,  3,  ma 
un  po'  diverso,  e  assai  notevole.  I  vocabo- 
lari non  citano  quest'  uso. 

—  3.  colera...  rabbia.  La  collera  è  l'umor 
nero,  è  sentimento  dell'animo;  la  rabbia  è 
la  manifestazione   brutale  di  quell'umore. 

—  5.  p.  gli  abbia,  p.  abbia  a  lui.  Più  co- 
niunem.  con  la  prep.  di;  ma  se  ne  hanno 
altri  esempi  :  Fior.  S.  Fr.  41  :  «  li  quale 
avea  sempre  pietà  agli  animali  mansueti  ». 

—  8.  frode,  frodi.  V.  e.  IX,  81,  n.  1. 

77.  4.  Che  q.  1.  t.  Credo  che  sia  proposiz. 
dichiarativa  e  si  debba  intendere:  perocclié 
intorno  al  popolo  Nubiano  avea  la  certa 
notizia  che  esso  teneva  quel  lito.  Infatti 
questa  è  la  novella  che  ad  Agr.  doveva  in- 
teressare. Intendendo  il  che  come  relativo 
di  i^opolo  N.  l'efficacia  del  pensiero  è  molto 
minore. 

—  5.  Ma  tenersi  ecc.  Si  consiglia,  deli- 
bera di  tenersi  con  le  navi  un  po'  sopra 
Biserta,  cosi  lontano  da  essa,  che  la  discesa 
a  terra  non  sia  per  lui  aspra  e  difficile. 

—  6.  erta.  È  metafora  suggerita  dalla 
parola  disce-'ia.  Come  le  discese  ripide  sono 
precipitose  e  piene  di  pericolo,  cosi  questa 
discesa  dalle  navi  a  terra  poteva  condurre 
Agramante  e  i  suoi  al  precipizio,  alla  ro- 


Mettersi  in  terra,  e  ritornare  al  dritto 
A  dar  soccorso  al  suo  popolo  afflitto. 

78 
Ma  il  suo  fiero  destin  che  non  risponde 
A  quella  intenzion  provida  e  saggia, 
Vuol  che  l'armata  che  nacque  di  fronde 
Miracolosamente  ne  la  spiaggia, 
E  vien  solcando  inverso  Francia  l'onde, 
Con  questa  ad  incontrar  di  notte  s'aggia, 
A  nubiloso  tempo,  oscuro  e  tristo. 
Perché  sia  piti  in  disordine  sprovisto. 

79 
Non  ha  avuto  Agramante  ancora  spia, 
Ch'Astolfo  mandi  una  armata  si  grossa; 
Né  creduto  anco  a  chi  '1  dicesse,  avria, 
Che  cento  navi  un  ramuscel  far  possa: 
E  vien  senza  temer  eh'  intorno  sia 
Chi  contra  lui  s'ardisca  di  far  mossa; 
Né  pone  guardie  né  veletta  in  gabbia. 
Che  di  ciò  che  si  scuopre  avvisar  abbia. 

80 
Si  che  i  navili  che  d'Astolfo  avuti 
Avea  Dudon,  di  buona  gente  armati, 
E  che  la  sera  avean  questi  veduti, 
Et  alla  volta  lor  s'eran  drizzati. 
Assalir  gli  nimici  sproveduti, 
Gittaro  i  ferri,  e  sonsi  incatenati, 
Poi  ch'ai  parlar  certificati  foro. 
Ch'erano  Mori,  e  gli  nimici  loro. 


vina.  Anche  il  Tasso,  Ger.  5,  45,  disse: 
«  ogn'  erta  impresa  e  dura  ». 

—  7.  al  dritto,  dirittamente,  senza  va- 
gare né  qua  né  là,  appena  sbarcato.  V.  e, 
XV,  46,  8. 

7S.  8.  Perché  ecc.  Il  destino  vuole  che 
quest'  incontro  avvenga  di  notte,  al  buio, 
perché  Agramante  si  trovi  sprovveduto  in 
disordine  maggiore  che  se  l' incontro  fosse 
avvenuto  di  giorno. 

79.  1.  spia,  notizia. 

—  3.  Ne...  anco,  neppure.  V.  e.  xvi,  36, 
n.  8. 

—  6.  s'ardisca.  V.  e.  xvi,  5,  n.  3. 

—  7.  veletta,    vedetta.    V.  e.  x,  51,  n.  1. 

—  gabbia:  V.  e.  li,  28,  n.  8. 

—  8.  avvisar  abbia,  avvisar  possa.  V.  e. 
xviii,  14,  u.  3. 

SO.  1.  navili.  Plurale  di  navilio,  che  è  la 
forma  prediletta dell'Ar.:  navi:  V.  e.  x,  44, 
n.  5.  —   d'Astolfo,  da  Astolfo. 

—  3.  che.  Si  riferi.sce  a  navili:  e  sta  per 
la  gente  che  vi  era  sopra. 

—  6.  Gittaro  i  ferri;  queste  navi  gitta- 
rono  le  ancore.  —  ferri,  per  ancore  usa- 
rono spesso  nel  linguaggio  marinaresco. 
V.  e.  XVII,  36.  Male  alcuni  intendono  i  raffi. 

—  sonsi  incatenati,  si  incatenarono.  I  mari- 
nari dunque  gettarono  le  ancore  e  incate- 
narono le  navi.  «  Cosi  si  faceva  per  opporre 
una  specie  di  muraglia  al  nemico  e  com- 
battere come  da  terra  ferma  ;  non  potendo 


540 


ORLANDO  FURIOSO 


81 

Ne  l'arrivar  che  i  gran  navili  fenno 
(Spirando  il  vento  a'  lor  desir  secondo), 
Nei  Saracin  con  tale  impeto  denno, 
Che  molti  legni  ne  cacciare  al  fondo: 
Poi  cominciare  oprar  le  mani  e  il  senno, 
E  ferro  e  fuoco  e  sassi  di  gran  pondo 
Tirar  con  tanta  e  si  fiera  tempesta, 
Che  mai  non  ebbe  il  mar  simile  a  questa. 
82 

Quei  diDudone,  a  cui  possanza  e  ardire 
Più  del  solito  è  lor  dato  di  sopra 
(Che  venuto  era  il  tempo  di  punire 
I  Saracin  di  più  d'una  mal'opra), 
Sanno  appresso  e  lontan  si  ben  ferire, 
Che  non  trova  Agraniante  ove  si  cuopra. 
Gli  cade  sopra  un  nembo  di  saette; 
Da  lato  ha  spade  e  graffi  e  picche  e  accette. 
83 

D'alto  cader  sente  gran  sassi  e  gravi 
Da  machine  cacciati  e  da  tormenti; 
E  prore  e  poppe  e  fraccassar  di  navi, 


per  questa  ordinanza  né  esser  presi  di  fian- 
co, né  circondati.  Cosi  usaron  gli  antichi 
e  i  nostri  nel  medio  evo,  specialmente  i 
Genovesi,  come  alla  battaglia  di  Laiazzo  e 
di  Curzola».  (Coeazzixi,  Rivista  maritt. 
Giugno  1899). 

SI.  1.  fenno;  fecero.  È  il  plurale  di  fé; 
come  dénno  di  de.  V.  e.  xvii,  63,  n.  5. 

—  5.  cornine,  oprar;  com.  ad  adoprar.  0- 
prare  in  questo  senso  è  frequentissimo  ne- 
gli antichi  scrittori. 

—  c.  fuoco,  i  fuochi  artificiati,  che  si  lan- 
ciavano sui  nemici.  V.  e.  xiv,  103,  n.  5.  — 
e  sassi.  Si  lanciavano  con  le  petriere  o  man- 
gani. 

82.  6.  ove  si  cuopra;  non  trova  parte 
della  sua  armata  che  possa  ripararsi  dai 
dardi.  Intendere,  come  il  contesto  più  sem- 
plicissimo porterebbe:  non  trova  luogo 
(love  eyli  possa  ripararsi,  sembra  strano 
per  un  capo  valoroso  e  ardito  come  Agra- 
niante. 

—  8.  graffi  ;  per  afferrare  i  cordami  e 
fermare  e  tirare  le  navi. 

83.  2.  tormenti.  Nel  C  xvf,  56,  abbiamo 
pure  uniti  macchine  e  lormenti;  e  quelle 
sono  per  dare  assalti,  questi  per  lanciare 
pietre  o  altro  :  ma  qui  valgono  la  stessa 
cosa.  Volendo  sottilizzare  potremmo  inten- 
dere: da  ogni  specie  di  macchine,  e  sopra 
tutto  da  quelle  che  i  Latini  usavano  e  chia- 
mavano tormenti. 

—  3.  E  prore  e  poppe.  Dipendono  da  fra- 


Et  aprire  usci  al  mar  larghi  e  patenti; 
E  '1  maggior  danno  è  de  l' incendi  pravi, 
A  nascer  presti,  ad  ammorzarsi  lenti. 
La  sfortunata  ciurma  si  vuol  tórre 
Del  gran  periglio,  e  via  più  ognor  vi  corre. 
84 

Altri  che  '1  ferro  e  rinimico  caccia, 
Nel  mar  si  getta,  e  vi  s'affoga  e  resta: 
Altri  che  muove  atempo  e  piedi  e  braccia, 
Va  per  salvarsi  in  quella  barcao  in  questa; 
Ma  quella,  grave  oltre  il  dover,  lo  scaccia, 
E  la  man  per  salir  troppo  molesta. 
Fa  restare  attaccata  ne  la  sponda: 
Ritorna  il  resto  a  far  sanguigna  l'onda. 
85 

Altri  che  spera  in  mar  salvar  la  vita, 
0  perderlavi  almen  con  minor  pena, 
Poi  che  notando  non  ritrova  aita, 
E  mancar  sente  l'animo  e  la  Iena, 
Alla  vorace  fiamma  c'ha  fuggita. 
La  tema  di  annegarsi  anco  rimena: 
S'abbraccia  a  un  legno  ch'arde, e  per  timo- 
C'ha  di  due  morte,  in  ambe  se  ne  muore,  [re 
86 

Altri  per  tema  di  spiedo  o  d'accetta 
Chevedeappresso,almar  ricorre  in  vano, 
Perché  dietro  gli  vien  pietra  o  saetta 
Che  non  Io  lascia  andar  troppo  lontano. 
Ma  saria  forse,  mentre  che  diletta 
II  mio  cantar,  consiglio  utile  e  sano 
Di  finirlo  più  tosto  che  seguire 
Tanto,  che  v'annoiasse  il  troppo  dire. 


cassar  :  e  vede  un  fracassar  di  prore  e  pop- 
pe e  navi.  —  Eppure  si  lo  zeugma  che  l'in- 
versione son  fatti  con  tanta  agilità,  che 
appena  si  avvertono. 

84.  1.  Altri  che;  altri  cui. 

—  6.  per  salir  t.  m.;  che  si  rende  loro 
troppo  molesta  per  salire,  volendo  salire. 

—  7.  Fa  restare.  Come  sopra  st.  80,  si 
attribuisce  qui  per  metonimia  alla  barca 
ciò  che  fauno  quelli  che  vi  son  dentro  ;  i 
quali  con  accette  o  spade  tagliano  le  mani 
a  chi  si  attacca  al  bordo  per  salire  :  cosi 
la  mano  resta  e  il  corpo  cade  giù  a  far 
sanguigna  V  onda. 

85.  8.  due  morte,  due  moi'ti,  quella  nel 
fuoco  e  quella  nell'acqua.  Per  la  forma  cfr. 
e.  IX,  84,  n.  1.  Della  descrizione  di  questa 
battaglia  dice  il  Nisiely:  «  Niuno  storico 
greco  o  latino  rappresentò  mai  una  trage- 
dia navale  con  tanto  spavento  di  pericoli, 
di  male,  e  di  morte  al  par  di  questa  del- 
l' Ariosto  ». 


CANTO  XL 


541 


CANTO  XL 


1 

Lungo  sarebbe,  se  i  diversi  casi 
Volessi  dir  di  quel  naval  conflitto  ; 
E  raccontarlo  a  voi  mi  parria  quasi, 
Magnanimo  figliuol  d'Ercole  invitto, 
Portar,  come  si  dice,  a  Samo  vasi. 
Nottole  a  Atene,  e  crocodili  a  Egitto  : 
Che  quanto  per  udita  io  ve  ne  parlo. 
Signor,  miraste,  e  feste  altrui  mirarlo. 

o 

Ebbe  lungo  spettacolo  il  fedele 
Vostro  popol  la  notte  e  '1  di  che  stette. 
Come  in  teatro,  l' inimiche  vele 
Mirando  in  Po  tra  ferro  e  fuoco  astrette. 
Che  gridi  udir  si  possono  e  qiierele. 
Ch'onde  veder  di  sangue  umano  infette, 
Per  quanti  modi  in  tal  pugna  si  muora. 
Vedeste,  e  a  molti  il  dimostraste  allora. 
3 

Noi  vide  io  già,  ch'era  sei  giorni  inauti, 
Mutando  ogn'ora  altre  vetture,  corso 
Con  molta  fretta  e  molta  ai  piedi  santi 
Del  gran  Pastore  a  domandar  soccorso: 
Poi  né  cavalli  bisognar  né  fanti; 


1.  6.  crocodili,  coccodrilli;  (greco  croco- 
deilos).  È  forma  usata  anche  da  altri;  Caro, 
Apologia  200.  —  a  Eeitto.SuUa  mancanza 
dell'articolo  cfr.  cu,  15,  n.  8.  Questi  tre  pro- 
verbi passarono  dal  greco  nell'  uso  nostro, 
e  son  derivati  dall'  abbondanza  di  queste 
cose  nelle  rispettive  regioni. 

—  7.  ve  ne  parlo;  ve  ne  dico.  Cosi  1'  usò 
Dante, /«A  25, 16:  «  E  si  fuggi  che  non  parlò 
più  verbo  ». 

2.  4.  astrette,  strette.  V.  la  nota  3,  canto 
XVI,  28.  Parla  qui  della  battaglia  della  Po- 
lesella  fra  gli  Estensi  e  i  Veneziani, 

—  5.  Che  gridi...  vedeste.  Figura  di  zeug- 
ma. Questo  che  e  quello  del  verso  seguente 
valgono  quanti,  quante,  come  nel  xxvir, 
31,  e  come  spesso  nella  nostra  lingua. 

3.  1.  vide,  vidi.  V.  e.  il,  41,  n.  5.  E  vedine 
altri  esempi  antichi  in  Nannucci,  Analisi 
Crit.  dei  verbi  ital.  pag.  180.  Di  questa 
battaglia  (22  dicembre  1509)  l'A.  parla  anche 
ai  e.  HI,  57;  xlvi,  97.  Egli  non  la  vide,  per- 
ché il  16  dicembre  era  stato  mandato  al 
papa  Giulio  li  a  chiedere  aiuti  contro  Ve- 
nezia. Del  resto  cfr.  e.  xxxvi,  6,  n.  3:  e  là 
vedrai  che  l'A.  si  trovò  nei  primi  combat- 
timenti. 

—  2.  Mutando...  altre  v.  Costrutto  abbre- 
viato: mutando  ogn'  ora  vetture  e  pren- 
dendone altre. 


!  Ch'intanto  al  Leon  d'or  l'artiglio  e '1  raor- 

Fu  da  voi  rotto  si,  che  più  molesto      [so 

Non  l'ho  sentito  da  quel  giorno  a  questo. 

4  [fatto, 

Ma  Alfonsin  Trotto  il  qual  si  trovò  in 
Aunibal  e  Pier  Moro  e  Afranio  e  Alberto, 
E  tre  Arìosti,  e  il  Bagno  e  il  Zerbinatto 
Tanto  me  ne  contar,  eh'  io  ne  fui  certo: 
Me  ne  chiarir  poi  le  bandiere  affatto. 
Vistone  al  tempio  il  gran  numero  offerto, 
E  qnindice  galee  ch'a  queste  rive 
Con  mille  legni  star  vidi  captive. 
5 

Chi  vide  quelli  incendi  e  quei  naufragi, 
Le  tante  uccisioni  e  si  diverse, 
Che,  vendicando  i  nostri  arsi  palagi, 
Fin  che  fu  preso  ogni  navilio,  ferse; 
Potrà  veder  le  morti  anco  e  i  disagi 
Che  '1  miser  popol  d'Africa  sofferse 
Col  Re  Agi-amante  in  mezzo  l'onde  salse. 
La  scura  notte  che  Dudon  l'assalse. 


—  6.  leon  d'or;  l'arme  dei  Veneziani, 
che,  avendo  a  protettore  S.  Marco,  ne  pre- 
sero il  simbolo  (il  leone)  come  stemma.  — 
il  morso,  il  dente.  É  una  metonimia. 

4.  1.  Alfonsin  Trotto.  Era  il  fattore  del 
duca  di  Ferrara,  una  specie  di  ministro 
della  casa  reale.  Contro  lui  si  trovano  nelle 
opere  dell'A.  dué'^sonetti,  che  alludono  a 
un'ingiustizia,  della  quale  egli  sarebbe  stato 
ispiratore  e  esecutore;  ma  i  sonetti  non  sem- 
brano dell'A.,  e  la  sua  colpa  dovette  esser 
poca  0  nulla,  se  l'A.  gli  fece  grazia  di  questo 
onorevole  ricordo  nel  suo  poema. 

—  2.  Annibal;  forse  Annibale  Malagnzzi 
cugino  del  poeta,  che  a  lui  diresse  le  satire 
3  e  1.  —  Pier  Moro,  Afranio,  Alberto,  il  Zer- 
binatto son  gentiluomini  Ferraresi,  di  cui 
nulla  si  sa. 

—  3.  tre  Ariosti;  Alfonso  Ariosti,  cui  il 
Castiglione  dedicò  il  Cortegiano  e  Alessan- 
dro e  Carlo  fratelli  del  poeta,  che  furono 
militari.  —  ilBagno.  Ludovico  da  Bagno,  cor- 
tigiano del  duca  di  Ferrara,  che  aveva  te- 
nuto a  battesimo  il  figlio  dell'A.,  Virginio. 
A  lui  e  al  fratello  Alessandro  dedicò  l'A.  la 
seconda  satira. 

—  7.  quindice  gal.  Il  Muratori  nelle  An- 
tichità Est.  le  dice  13,  ma  Ippolito  nella  de- 
scrizione di  questa  battaglia,  riportata  da 
Celio  Calcagnini,  le  dice  15.  Son  dette  15 
anche  nel  e.  in,  57,  5.  —  qnindice,  e.  xi,  51, 
n.  3. 

5.  5.  Potrà  veder;  colla  fantasia. 


542 


ORLANDO  FURIOSO 


Era  la  notte,  e  non  si  vedea  lume, 
Quando  s'incomincjàr  l'aspre  contese; 
Ma  poi  che  '1  zolfo  e  la  pece  e  '1  bitume 
Sparso  in  gran  copia, lia  prore  e  sponde  ac- 
E  la  vorace  fiamma  arde  e  consume  [cese, 
Le  navi  e  le  galee  poco  difese; 
Si  chiaramente  ognun  si  vedea  intorno, 
Che  la  notte  parca  mutata  in  giorno. 
7 

Onde  Agramante  che  per  l'àer  scuro 
Non  avea  l'inimico  in  si  gran  stima, 
Né  aver  contrasto  si  credea  si  duro. 
Che,  resistendo,  al  fin  non  lo  reprima; 
Poi  che  rimosse  le  tenebre  furo, 
E  vide  quel  che  non  c-edeva  in  prima. 
Che  le  navi  nimiche  eran  duo  tante; 
Fece  pensier  diverso  a  quel  d'avante. 
8 

Smonta  con  pochi,  ove  in  più  lieve  barca 
Ha  Brigliadoro  e  l'altre  cose  care. 
Tra  legno  e  legno  taciturno  varca, 
Fin  che  si  trova  in  pili  sicuro  mare 
Da'  suoi  lontan,  che  Dudon  preme  e  carca, 
E  mena  a  condizioni  acri  et  amare. 
Gli  arde  il  fuoco,  il  mar  sorbe,  il  ferro  strug- 
Egli  che  n'è  cagion,  via  se  ne  fugge,    [gè: 
9 

FuggeAgramante,ethaconluiSobrino 
Con  cui  si  duci  di  non  gli  aver  creduto. 


0.  5.  consume,  consuma.  Questa  termina- 
zione in  e  della  terza  persona  dei  verbi  di 
lirima  coniug.  usarono  più  volte  gli  antichi 
per  analogia  coi  verbi  della  seconda.  Dante, 
Par.  16, 7,  ha  racoorce  per  raccorcia,  L'A., 
più  che  per  la  rima,  T  Jia  usato  per  la  sma- 
nia, che  ha  spesso,  di  risuscitare  alcune 
parti  morte  della  nostra  lingua.  V.  e.  ii, 
41,  n.  5. 

—  6.  navi ...  galee.  Le  navi  sono  pro- 
priamente d'  alto  bordo,  a  vele  quadre , 
senza  remi,  lente  e  tarde  ;  le  galee  sono  di 
forme  sottili,  a  vele  latine,  eoa  remi  e  basso 
bordo,  atte  al  combattimento. 

7.  7.  duo  tante.  Comunemente  duo  tanti 
usato  avverbialmente,  ed  è  raro  che  tanto 
si  accordi  col  sostantivo.  Tutto  questo  verso 
è  spiegazione  del  verso  precedente. 

—  8.  diverso  a.  Diverso  si  costi'uisce  con 
(la  e  con  a  indiflerentemente. 

S.  2.  Brigliadoro.  V.  e.  xxx,  75. 

—  ?,.  varca,  passa.  Dantb,  Itif.  12,  4: 
«  lascia  lui  e  varca  (passa  innanzi)  ». 

—  5.  carca,  carica.  Nel  senso  militare 
vale  comunem.  andar  addosso  con  vio- 
lenza. 

—  7,  sorbe,  assorbe.  Si  trova  già  nel 
Dittamondo,  2,  10  ;  e  nel  Caro,  En.  1,  955 
«  e  questo...  il  mar  sorbissi  ». 

5).  1.  con  lui;  con  sé.  V.  e.  iv,  6,  n.  3. 


Quando  previde  con  occhio  divino, 
E  '1  mal  gli  annunziò,  ch'or  gli  è  avvenuto. 
Ma  torniamo  ad  Orlando  paladino. 
Che,  prima  che  Biserta  abbia  altro  aiuto, 
Consiglia  Astolfo  che  la  getti  in  terra, 
Si  che  a  Francia  mai  pili  non  faccia  guerra. 
10 

E  cosi  fu  publicamente  detto,  [strutto. 
Che  '1  campo  in  arme  al  terzo  di  sia  in- 
Molti  navili  Astolfo  a  questo  effetto 
Tenuti  avea,  né  Dudon  n'ebbe  il  tutto; 
Di  quai  diede  il  governo  a  Sansonetto, 
Si  buon  guerrier  al  mar  come  all'asciutto: 
E  quel  si  pose,  in  su  l'ancore  sorto, 
Contra  a  Biserta,  un  miglio  appresso  al 
11  [porto. 

Come  veri  Cristiani  Astolfo  e  Orlando, 
Che  senza  Dio  non  vanno  a  rischio  alcuno, 
Ne  l'esercito  fan  publico  bando. 
Che  sieno  orazi'on  fatte  e  digiuno; 
E  che  si  trovi  il  terzo  giorno,  quando 
Si  darà  il  segno,  apparecchiato  ogniuno 
Per  espugnar  Biserta,  che  data  hanno, 
Vinta  che  s'abbia,  a  fuoco  e  a  saccomanno. 
12 

E  cosi,  poi  che  le  astinenze  e  i  voti 
Devotamente  celebrati  foro, 
Parenti,  amici,  e  gli  altri  insieme  noti 


—  3.  divino,  indovino  :  alla  latina.  Ora- 
zio, Od.  3,  27;  «divina  avis»;  Berni, /wn. 
■16,  54:  e  che  le  Sibille  fur  donne   divine». 

—  7.  Consiglia,  ecc.  L' idea  è  tolta  dal  Bo- 
iardo, Jnn.  II,  1,  19:  «Era  in  quel  tempo 
gran  teri'a  Biserta,  Ch'oggi  è  disfatta  al 
lido,  alla  marina.  Però  ch'in  questa  guerra 
fu  deserta.  Orlando  la  spianò  con  gran 
ruina  ».  L'A.  dà  la  direzione  della  guerra 
ad  Astolfo,  quantunque  ne  sia  Orlando  l'ispi- 
ratore. 

10.  2.  in  arme...  instr. ;  che  il  campo,  in 
;irrae,  sia  ordinato  in  battaglia  perii  terzo 
di.  È  il  latino  ìnstruere  aciem,  che  signi- 
lica  appunto:  preparare  l'esercito  perla 
battaglia.  Non  far  dunque  dipend.  i/i  antu' 
da  insirutto. 

—  5.  Di  quai,  dei  quali.  V,  e.  li,  15,  n.  S. 

—  7.  sorto.  Altrove  il  semplice  sorgere, 
che  vale  appunto  gettar  l'ancore:  iv,  51, 
n.  5;  X,  10,  7. 

11.  7.  data  hanno  ;  hanno  votata  al  fuoco 
e  al  saccheggio. 

—  8.  saccomanno.  V.  e.  XXX,  9,  n.  i. 

12.  3.  e  gli  altri  insieme  n.  ;  e  nello  slesso 
modo  gli  altri  conoscenti.  Cosi  usò  insieme 
il  Villani,  10,  192,  1:  «Cinquecento  pedoni 
Toscani  vestiti  insieme  ».  —  noti  per  cono- 
scenti si  cita  con  un  solo  esempio  del  Li- 
bro di  Cato,  3,  1,  1:  «Eziandio  a  quelli, 
che  non  sieno  tuoi  noti  ».  —  Alcuni  meno 
bene:  che  si  conoscevano  tra  loro. 


CANTO  XL 


54c 


Si  cominciaro  a  convitar  tra  loro. 
Dato  restauro  a'  corpi  esausti  e  voti, 
Abbracciandosi  insieme  lacriraoro, 
Tra  loro  usando  i  modi  e  le  parole 
Che  tra  i  più  cari  al  dipartir  si  suole. 
13 

Dentro  a  Biserta  i  sacerdoti  santi 
Supplicando  col  popolo  dolente, 
Battonsi  il  petto,  e  con  dirotti  pianti 
Chiamano  il  lor  Macon  che  nulla  sente. 
Quante  vigilie,  quante  ofiferte,  quanti 
Doni  promessi  son  privatamente! 
Quanti  in  publico  templi,  statue,  altari. 
Memoria  eterna  de'  lor  casi  amari! 
14 

E  poi  che  dal  Caai  ni  benedetto, 
Prese  il  popolo  l'arme  o  tornò  al  muro. 
Ancor  giacca  col  suo  Titou  nel  letto 
La  bella  Aurora,  et  era  il  cielo  oscuro, 
Quando  Astolfo  dauncanto,eSansonetto 
Da  un  altro,  armati  agli  ordini  lor  furo  : 
E  poi  che  '1  segno  che  die  il  Conte  udirò, 
Biserta  con  grande  impeto  assalirò. 
15 

Avea  Biserta  da  duo  canti  il  mare, 
Sedea  dagli  altri  duo  nel  lito  asciutto. 
Con  fabrica  eccellente  e  singulare 
Fu  antiquamente  il  suo  muro  construtto. 
Poco  altro  ha  che  l'aiuti  o  la  ripare; 
Che  poi  che  '1  Re  Branzardo  fu  ridutto 
Dentro  da  quella,  pochi  mastri,  e  poco 
Potè  aver  tempo  a  riparare  il  loco. 

IG 
Astolfo  dà  l'assunto  al  Re  de'  Neri, 
Che  faccia  a'  merli  tanto  nocumento 
Con  falariche,  fonde  e  con  arcieri, 
Che  levi  d'affacciarsi  ogni  ardimento; 


—  5.  restauro,  ristoro.  Si  cita  questo  solo 
esempio  dell'A. 

—  6.  lacrimerò.  È  terminazione  frequente 
negli  antichi  e  formata  secondo  la  regola 
dei  verbi  di  seconda  e  terza  coniugazione 
(sedè,  sederono,  sederò  ;  udì,  udirono,  udi- 
rò). Dante,  Inf.  26,  36,  ha  levatasi. 

—  8.  si  suole.  Sottintendi  usare. 

13.  1.  santi;  Si  disse  di  sacerdoti  pagani 
anche  dall' anguillara,  Eneide,  \,  100: 
«  Di  far  quanto  avea  detto  il  Santo  padre  ». 

14.  1.  Cadi.  Il  Sigoli  nel  Viaggio  al  Monte 
Sinai  spiega  :  «  il  Cadi,  cioè  il  vescovo  loro 
(dei  Turchi)  ». 

—  2.  muro;  mura  della  città.  V.  e.  xiv, 
101,  8. 

—  6.  ordini;  schiere.  V.  e.  xvii,  90,  7. 

15.  6.  Branzardo,  ecc.  V.  e.  xxxviii,  35  e 
XXXIX,  19. 

—  7.  dentro  da  q.  Dentro  si  unisce  colle 
prep.  di,  a,  da. 

16.  1.  Re  de'  Neri,  il  Seuapo. 

—  3.  falariche.  Era  un'immensa  lancia 
con   una  pesantissima  punta  di  ferro.  Si 


Si  che  passin  pedoni  e  cavallieri 
Fin  sotto  la  muraglia  a  salvamento, 
Che  vengon,  chi  di  pietre  e  chi  di  travi, 
Chi  d'asce  e  chi  d'altra  materia  gravi. 
17 

Chi  questa  cosa  e  chi  quell'altra  getta 
Dentro  alla  fossa,  e  vien  di  mano  in  mano; 
Di  cui  l'acqua  il  di  inanzi  fu  intercetta 
Si,  che  in  più  parte  si  scopria  il  pantano. 
Ella  fu  piena  et  atturata  in  fretta, 
E  fatto  uguale  insin  al  muro  il  piano. 
Astolfo,  Orlando  et  Olivier  procm-a 
Di  far  salire  i  fanti  in  su  le  mura. 
18 

I  Nubi  d'ogni  indugio  impazienti. 
Da  la  speranza  del  guadagno  tratti, 
Non  mirando  a  pericoli  imminenti, 
Coperti  da  testuggini  e  da  gatti, 
Con  arieti  e  loro  altri  instrumeuti 
A  forar  torri,  e  porte  rompere  atti, 
Tosto  si  fero  alla  città  vicini; 
Né  trovaro  sprovisti  i  Saracini: 
19 

Che  ferro  e  fuoco  e  merli  e  tetti  gravi 
Cader  facendo  a  guisa  di  tempeste. 
Per  forza  aprian  le  tavole  e  le  travi 
De  le  machine  in  lor  danno  conteste. 
Ne  l'aria  oscura  e  nei  principii  pravi 
Molto  patir  le  battezzate  teste; 
Ma  poi  che  '1  sole  usci  del  ricco  albergo, 
Voltò  Fortuna  ai  Saracini  il  tergo. 


scagliava  con  macchine  apposite  negli  as- 
sedi, si  usò  anche  talvolta  avviluppare  il 
ferro,  sotto  la  punta,  con  stoppa  impeciata 
o  altre  materie  infiammabili,  che  si  accen- 
devano prima  di  lanciarla.  —  fonde;  liondo. 
È  forma  arcaica  (lat.  funda). 

17.  2.  Tien  di  m.  in  mano;  vengono  suc- 
cessivamente a  gettar  qualcosa  nella  fossa, 
che  si  pareggia  fino  al  piede  del  muro. 

—  5.  atturata,  turata.  V.  e.  xvi,  2S,  n.  3; 
XLV,  15. 

IS.  4.  testuggini;  lat.  testudo.  Era  un  b« 
raccone  composto  di  tavole,  coperto  di  pelh 
non  conciate  e  posto  su  ruote,  il  quale  ser- 
viva a  proteggere  gli  uomini,  che  si  avvi- 
cinavano alle  mura  d'una  città  assediata, 
specialmente  per  battervi  1'  ariete.  —  gatti. 
Nel  Medio  evo  si  chiamarono  cosi  le  te- 
stuggini arietate,  cioè  quei  casotti  che  ave- 
vano dentro  1'  ariete.  Qui  dunque  testuggini 
sono  i  casotti  mobili  senza  ariete  per  ser- 
vire a  diversi  usi  negli  assedi;  i  gatti  sono 
gli  stessi  casotti  più  grandi  e  forniti  di  a- 
rieti,  cioè  di  grosse  travi  colla  testa  di  ferro 
in  figura  talvolta  di  ariete,  colle  quali  ur- 
tavano e  aprivauo  le  mura  delle  città. 

19.  5.  pr.  pravi;  nei  principi  sfavorevoli. 
In  questo  senso  non  è  registrato  dai  voca- 
bolari. 


544 


ORLANDO  FURIOSO 


20 


Da  tutti  i  canti  risforzar  l'assalto. 
Fé'  il  conte  Orlando  e  da  mare  e  da  terra, 
tìansonetto  ch'avea  l'armata  in  alto, 
Entrò  nel  porto,  e  s'accostò  alla  terra, 
E  con  trombe  e  con  archi  facea  d' alto, 
E  con  vari  tormenti  estrema  guerra; 
E  facea  insieme  espedir  lance  e  scale, 
Ogni  apparecchio  e  munizion  navale. 
21 

Facea  Oliviero,  Orlando  e  Brandimarte, 
E  quel  che  fu  si  dianzi  in  aria  ardito. 
Aspra  e  fiera  battaglia  da  la  parte 
Che  lungi  al  mare  era  più  dentro  al  lito. 
Ciascun  d'essi  venia  con  una  parte 
De  l'oste  che  s'avea^  quadripartito. 
Quale  a  mur,  quale  aporte,  e  quale  altrove, 
Tutti  davan  di  sé  lucide  prove. 
22 

Il  valor  di  ciascun  meglio  si  puote 
Veder  cosi,  che  se  fosser  confusi: 
Chi  sia  degno  di  premio,  e  chi  di  note 
Appare  inanzi  a  mill'occhi  non  chiusi. 
Torri  di  legno  trannosi  con  ruote, 
E  gli  elefanti  altre  ne  portano  usi. 
Che  su  lor  dossi  cosi  in  alto  vanno, 
Che  i  merli  sotto  a  molto  spazio  stanno. 
23 

Vien  Brandimarte,  e  pon  la  scala  a' 
E  sale,  e  di  salir  altri  conforta:       [muri. 
Lo  seguon  molti  intrepidi  e  sicuri; 
Che  non  può  dubitar  chi  l'ha  in  sua  scorta. 
Non  è  chi  miri,  o  chi  mirar  si  curi. 
Se  quella  scala  il  gran  peso  comporta. 
!Sol  Brandimarte  a  gli  nimici  attende; 
Pugnando  sale,  e  al  fine  un  merlo  prende. 
24 

E  con  mano  e  con  pie  quivi  s'attacca, 
Salta  sui  merli,  e  mena  il  brando  in  volta. 


Urta,  riversa  e  fende  e  fora  e  ammacca, 
E  di  sé  mostra  esperienzia  molta: 
Ma  tutto  a  un  tempo  la  scala  si  fiacca, 
Che  troppa  soma  e  di  soperchio  ha  tolta. 
E  for  che  Brandimarte,  giù  nel  fosso 
Vanno  sozzopra,  e  l'uno  all'altro  adosso. 


20.  1.  risforzar.  Tutti  i  commentatori  in- 
tendono rinforzar.  Il  Gherardini  meglio: 
rijnoliar  con  nuovo  sforzo;  e  cita  questo 
solo  esempio.  Vedi  la  forma  rifl.  e.  xlt, 
70,  5. 

—  3.  in  alto;   in   allo   mare.  V.  e. 
36,  n.  1. 

—  5 

—  6, 


Vili, 


d'alto;  dall'alto  (delle  navi). 
tormenti;  macchine  da  guerra.  V. 
e.  XVI,  5(5,  4. 

—  7.  espedir,  mettere  in  pronto,  prepa- 
rare. È  significato  preso  dal  latino,  e  raro 
in  italiano.  Virgilio  dice  expedlre  cerer^em 
canistr-is  ;  preparare  il  pane  nelle  ceste. 

!»1.  2.  E  quel  ecc.  ;  Astolfo. 

—  6.  oste  ;  esercito.  Dal  lat.  hostis,  che 
propriam.  era  l'esercito  nemico. 

22.  3.  note,  biasimi.  Guicciardini,  St.  I. 
2,  SO:  «  Détte  quest'atto  non  piccola  nota  ». 

—  5,  trannosi,  traggonsi.  V.  xix,  70,  n.  4. 

—  C.  usi;  assuefatti  a  questo  lavoro. 


Per  ciò  non  perde  il  cavallier  l'ardire. 
Né  pensa  riportare  a  dietro  il  piede; 
Ben  che  de'  suoi  non  vede  alcun  seguire, 
Ben  che  berzaglio  alla  città  si  vede. 
Pregavan  molti  (e  non  volse  egli  udire) 
Che  ritornasse;  ma  dentro  si  diede: 
Dico  che  giù  ne  la  città  d'un  salto 
Dal  muro  entrò  che  trenta  braccia  era  alto. 
26 

Come  trovato  avesse  o  piume  o  paglia, 
Prese  il  duro  terren  senza  alcun  danno; 
E  quei  c'ha  intorno,  affrappa  e  fora  e  ta- 

[glia, 
Comes  affrappa  e  taglia  e  fora  il  panno. 
Or  contra  questi  or  contra  quei  si  scaglia; 
E  quelli  e  questi  in  fuga  se  ne  vanno. 
Pensano  quei  di  fuor,  che  l'han  veduto 
Dentro  saltar,  che  tardo  fia  ogni  aiuto. 
27 

Per  tutto  '1  campo  alto  rumor  si  spande 
Di  voce  in  voce,  e  il  mormorio  e  '1  bisbiglio. 


24.  4.  mostra  esperienza;  Più  comunem. 
dare  esperienza,  dar  prova.  Cosi  nel  canto 
XXXI,  24,  8.  Canti  carnasc.  Otton.  60:  «E 
perché  me'  vi  diamo  Di  questo  esperienza  ». 

—  6.  troppa  e  di  sop..  Troppa  sarebbe 
per  la  l'esistenza  della  scala,  di  soverchio 
per  il  bisogno.  Ma  tal  distinzione  in  questo 
luogo  non  pare  a  proposito  e  perciò  le  due 
espressioni  debbono  intendersi  nello  stesso 
significato  e  nello  stesso  uso,  che  abbiamo 
notato  nel  e.  vii,  38,  8. 

—  8.  sozzopra,  sottosopra.  V.  e.  xiv, 
128,  n.  7. 

25.  4.  berzaglio.  Per  il  facile  cambiamento 
di  s  in  z,  gli  antichi  non  di  rado  usarono 
questa  forma  invece  della  più  comune  ber- 
saglio. Dante,  Par.  26,  24. 

—  6.  si  diede;  si  gettò.  È  simile,  ma  di- 
verso a  quel  di  Dante,  Inf.  23,  44:  «  Supin 
si  diede  (si  abbandonò)  alla  pendente  roc- 
cia ».  Ed  è  piuttosto  il  costrutto  latino  se 
dare  intra,  che  il  Forcellini  non  cita,  ma 
lo  cita  il  Georges  con  esempio  di  Cicerone. 
Con  ragione  il  Lavezuola  notò  un  risconti'O 
fra  Brandimarte  e  Alessandro,  il  quale.espu- 
gnando  una  città  degli  Ossidraci,  sale  per 
primo  sulle  mura,  è  preso  di  mira  da 
ogni  parte,  resta  velut  in  solitudine  desti- 
tutus,  non  ascolta  gli  amici,  che  lo  invi- 
tano a  saltar  giù  tra  loro,  si  scaglia  d'  un 
salto  nella  città  piena  di  nemici  (Romizi). 

26.  3.  affrappa.  V.  e.  xiv,  130,  n.  5. 


CANTO  XL 


545 


La  vaga  Fama  intorno  si  fa  grande, 
E  narra,  et  accrescendo  va  il  periglio. 
Ove  era  Orlando  (perché  da  più  bande 
Si  dava  assalto),  ove  d'Otone  il  figlio, 
,    Ove  Olivier,  quella  volando  venne 
Senza  posar  mai  le  veloci  penne. 
•28 
Questi  guerrier,  e  più  di  tutti  Orlando, 
Ch'amano  Brandimarte  e  l'hanno  in  pregio 
Udendo  che,  se  van  troppo  indugiando, 
Perderanno  un  compagno  cosi  egregio, 
Piglian  le  scale,  e  qua  e  là  montando, 
Mostrano  a  gara  animo  altiero  e  regio 
Con  si  audace  sembiante  e  si  gagliardo, 
Che  i  nemici  tremar  fan  con  lo  sguardo. 
■29 
Come  nel  mar  che  per  tempesta  freme, 
Assaglion  l'acque  il  temerario  legno, 
Ch'or  da  la  prora,  or  da  le  parti  estreme 
Cercano  entrar  con  rabbia  e  con  isdegno; 
Il  pallido  nocchier  sospira  e  geme. 
Ch'aiutar  deve,  e  non  ha  cor  né  ingegno; 
Una  onda  viene  al  fin,  ch'occupa  il  tutto, 
E  dove  quella  entrò,  segue  ogni  flutto: 
30 
Cosi  di  poi  ch'ebbono  presi  i  muri 
Questi  tre  primi,  fu  si  largo  il  passo. 
Che  gli  altri  ormai  seguir  pouno  sicuri. 
Che  mille  scale  hanno  fermate  al  basso. 
Aveano  intanto  gli  arieti  duri 
Botto  in  più  lochi,  e  con  si  gran  fraccasso 
Che  si  poteva  in  più  che  in  una  parte 
Soccorrer  l'animoso  Brandimarte. 
31 
Con  quel  furor  che  '1  Re  de'  fiumi  altiero, 
Quando  rompe  tal  volta  argini  e  sponde, 
E  che  nei  campi  Ocnei  s'apre  il  sentiero, 
E  i  grassi  solchi  e  le  biade  feconde, 
E  con  le  sue  capanne  il  gregge  intero, 
E  coi  cani  i  pastor  porta  ne  l'onde; 
Guizzano  i  pesci  agli  olmi  in  su  la  cima, 
Ove  solean  volar  gli  augelli  in  prima: 


27.  3.  vaga;  V.  e.  xxii,  93,  n.  6. 

28.  6.  regio,  nobile,  grande.  Si  cita  que- 
sto solo  esempio  dell'A.  ;  ma  forse  è  da  ag- 
giungervi anche  l'altro  del  e.  xiu,  71,  3. 

29.  2.  Assaglion,  assalgon.  Queste  forme 
del  verbo  salire  le  usarono  gli  antichi  an- 
che in  prosa,  ma  dopo  il  Cinquecento  ri- 
masero soltanto  alla  poesia. 

30.  4.  Che;  è  relativo;  e  perciò  male  al- 
cune edizioni  lo  scrivono  con  l'accento. 

31.  1.  re  de' fiumi;  il  Po.  È  espressione 
Virgiliana,  Geoì-gi.  I,  4S2  :  «  fluviorum  rex 
Eridanus  ».  j 

—  3.  E  che  ;  e  quando.  V.  e.  vi,  60,  n.  5. 
—  e.  Ocnei;  il  territorio  Mantovano.  V.  e. 
xiii,  59,  n.  S. 

—  7.  Guizzano  ecc.  Orazio,  Od.  i,  2:  «Pi- 
scium  et  summa  genus  haesit  ulmo  Nota 
quae  sedes  fuerat  columbis  ». 

Ahiosto  —  Papini 


32 
Con  quel  furor  l'impetuosa  gente 
La  dove  ayea  in  più  parti  il  muro  rotto, 
Lntro  col  ferro,  e  con  la  face  ardente 
A  distruggere  il  popol  mal  condotto. 
Omicidio,  rapina,  e  man  violente 
Nel  sangue  e  ne  l'aver,  trasse  di  botto 
La  ricca  e  trionfai  città  a  mina 
Che  fu  di  tutta  l'Africa  regina.  ' 
33 
D'uomini  morti  pieno  era  per  tutto- 
L  de  le  innumerabili  ferite  ' 

Fatto  era  un  stagno  più  scuro  e  più  brutto, 
Ui  quel  che  cinge  la  città  di  Dite. 
Di  casa  in  casa  un  lungo  incendio  indulto 
Ardea  palagi,  portici  e  meschite. 
Di  pianti  e  di  urli  e  di  battuti  petti 
!5uonano  i  voti  e  depredati  tetti. 
34 
I  vincitori  uscir  de  le  funeste 
Porte  vedeansi  di  gran  preda  onusti 
Chi  con  bei  vasi  e  chi  con  ricche  veste. 
Chi  con  rapiti  argenti  a' Dei  vetusti: 
Chi  traea  i  figli  e  chi  le  madri  meste- 
^ur  tatti  stupri  e  mille  altri  atti  ingiusti. 
Dei  quali  Orlando  una  gran  parte  intese, 
iNe  lo  potè  vietar,  né  '1  Duca  Inglese. 
35 
Fu  Bucifar  de  l'Algazera  morto 
Con  esso  un  colpo  da  Olivier  gagliardo 
Perduta  ogni  speranza,  ogni  conforto 
S  uccise  di  sua  mano  il  Re  Branzardo 
Con  tre  ferite  onde  mori  di  corto 
Fu  preso  Folvo  dal  Duca  dal  Pardo 
Questi  erau  tre  ch'ai  suo  partir  lasciato 
Avea  Agramante  a  guardia  de  lo  stato 
36 
Agramante  ch'in  tanto  avea  deserta 
L  armata,  e  con  Sohrin  n'era  fuggito, 


32.  4.  mal  condotto,  mal  ridotto,  ridotto 
agli  estremi. 

—  5.  man  viol.  ecc.;  Dante,  Inf.  12,  105: 
«  Che  dier  nel  sangue  e  nell'aver  di  piglio  ». 

3:5.  4.  Di  quel,  ecc.;  dello  stige.  Dante, 
Inr.  9,  30:  «  Questa  palude  che  '1  gran  puzzo 
spira  Cinge  dintorno  la  città  dolente». 

—  5.  indntto;  propagato.  È  significato 
che  manca  nella  N.  Crusca. 

—  6.  meschite,  moschee. 

34.  3.  veste,  vesti.  V.  e.  ix,  84,  n.  1. 

—  7.  intese;  ebbe  notizia. 

—  8.  lo.  Si  riferisce  a  tutto  il  pensiero. 
—  potè.  È  presente:  l'ed.  del  lòlòha. puote. 

35.  2.  con  esso   n.    e.    V.  e.  xxi,  49,  n.  1. 

—  6.  Duca  d.  Pardo,  Astolfo,  cosi' detto 
dal  pardo,  che  aveva  nell'arme.  V.  e.  xv, 
75,  6. 

—  7.  Questi  eran  tre  ecc.  Cosi  nel  Bo- 
iardo, Innam.  II,  xxviii,  53. 

36.  1.  av.  deserta;  av.  abbandonata.  Cosi 


546 


ORLANDO  FURIOSO 


Pianse  da  lungi  e  sospirò  Biserta, 
Veduto  si  giau  fiamma  arder  sul  lito. 
Poi  pili  d'appresso  ebbe  novella  certa 
Come  de  la  sua  terra  il  caso  era  ito; 
E  d'uccider  sé  stesso  in  pensier  venne, 
E  lo  facea;  ma  il  Ke  Sobrin  lo  tenne. 
37 

Dicea  Sobrin:  Che  più  vittoria  lieta, 
Signor,  potrebbe  il  tuo  nimico  avere, 
Che  la  tua  morte  udire,  onde  quieta 
Si  sperarla  poi  l'Africa  godere? 
Questo  contento  il  viver  tuo  gli  vieta: 
Quindi  avrà  cagion  sempre  di  temere. 
Sa  ben,  che  lungamente  Africa  sua 
Esser  non  può,  se  rqn  per  morte  tua. 
•OS 

Tutti  i  sudditi  tuoi,  morendo  privi 
De  la  speranza,  un  ben  che  sol  ne  resta. 
Spero  che  n'abbi  a  liberar,  se  vivi, 
E  trar  d'affanno  e  ritornarne  in  festa. 
So  che,  se  muori,  siàn  sempre  captivi, 
Africa  sempre  tributaria  e  mesta. 
Dunque,  s'in  util  tuo  viver  non  vuoi, 
Vivi,  Signor,  per  non  far  danno  ai  tuoi. 
39 

Dal  Soldano  d'Egitto,  tuo  vicino, 
Certo  esser  puoi  d'aver  danari  e  gente  : 
Mal  volentieri  il  figlio  di  Pipino 
In  Africa  vedrà  tanto  potente. 
Verrà  con  ogni  sforzo  Norandino 
Per  ritornarti  in  regno,  il  tuo  parente: 
Armeni,  Turchi,  Persi,  Arabi  e  Medi, 
Tutti  in  soccorso  avrai,  se  tu  li  chiedi. 
40 

Con  tali  e  simil  detti  il  Vecchio  accorto 
Studia  tornare  il  suo  Signore  in  speme 
Di  racquistarsi  l'Africa  di  corto; 
Ma  nel  suo  cor  forse  il  contrario  teme. 
Sa  ben  quanto  è  a  mal  termine  e  a  mal  por- 
E  come  spesso  in  van  sospira  e  geme  [to. 
Chiunque  il  regno  suo  si  lascia  tòn-e, 
E  per  soccorso  a'  Barbari  ricorre. 
41 

Annibal  e  lugurta  di  ciò  foro 
Buon  testimoni,  et  altri  al  tempo  antico: 

Dante,   lìif.  26,   102:  «  dalla  qual  (compa- 
gnia) non  fui  deserto  ». 

—   4.  Veduto,  veduta.  V.  e.  ix,  32.  n.  1. 

37.  1.  Che  pili  T.  1.  Si  potrebbe  veder  qui 
una  delie  molte  forzate  inversioni  dell'A.  e 
intendere:  che  vittoria  più  lieta,  qual  vit- 
toria più  lieta,  che  udire,  ecc.  Ma  a  chi  ha 
presenti  i  due  esempi  del  e.  vm,  43,  8;  xm, 
3,7  sembrerà  meglio  interpretare:  qual  mag- 
gior vittoria  allegra.  Questo  epiteto  di  a/la- 
grò  è  di  Graz.:  Sai.  1,  8:  «  Victoria  laeta». 

38.  5.  siàn;  slam.  V.  e.  ix,  43,  n.  ». 

;{9.  5.  Norandino,  «  re  di  Damasco  e  di 
tutta  Soria  ».  V.  e.  xvii,  23. 

40.  3.  di  corto,  in  breve.  V.  e.  i,  Ci,  3. 


Al  tempo  nostro  Ludovico  il  Moro, 
Dato  in  poter  d'un  altro  Ludovico. 
Vostro  fratello  Alfonso  da  costoro 
Ben  ebbeesempio(avoiSignormio,  dico). 
Che  sempre  ha  riputato  pazzo  espresso 
Chi  pili  si  fida  in  altri,  ch'in  sé  stesso. 
42 

E  però  ne  la  guerra  che  gli  mosse 
Del  Pontefice  irato  un  duro  sdegno, 
Ancor  che  ne  le  deboli  sue  posse 
Non  potessi  egli  far  molto  disegno, 
E  chi  lo  difendea,  d'Italia  fosse 
Spinto,  e  n'avesse  il  suo  nimico  il  regno  ; 
Né  per  minacele  mai,  né  per. promesse 
S'indusse  che  lo  stato  altrui  cedesse. 
43 

Il  Re  Agramante  all'Oriente  avea 
Volta  la  prora,  e  s'era  spinto  in  alto; 
Quando  da  terra  una  tempesta  rea 
Mosse  da  banda  impetuoso  assalto. 
Il  nocchier  ch'ai  governo  vi  sedea. 
Io  veggo  (disse  alzando  gli  occhi  ad  alto) 
Una  procella  apparecchiar  si  grave. 
Che  contrastar  non  le  potrà  la  nave. 
44 

S'attendete,  Signori,  al  mio  consiglio, 
Qui  da  man  manca  ha  un'isola  vicina, 


41.  1.  Annibale,  ricorse  a  Prusia  re  di 
Bitinia,  ma  questi  lo  dette  alla  vendetta  dei 
Romani.  —  lugurta  fu  dato  agli  stessi  Ro- 
mani da  Bocco  re  di  Mauritania,  suo  ge- 
nero. 

—  3.  Ludovico  il  M.,  fu  tradito  dagli  Sviz- 
zeri suoi  mercenari  e  consegnato  aLuigiXir, 
re  di  Francia. 

—  5.  Alfonso  d'Este,  fratello  del  cardi- 
nale Ippolito,  a  cui  qui  si  volge  il  poeta, 
privo  dei  soccorsi  dei  Francesi,  che  dopo  la 
battaglia  di  Ravenna  erano  stati  scacciati 
d'Italia,  resistette  sempre  vivacemente  alle 
pretese  e  alle  persecuzioni  di  papa  Giu- 
lio II,  e  più  tardi  di  Leone  X,  alla  cui  «  in- 
discrezione »  il  re  di  Francia  lo  abbandonò 
(Muratori,  Ant.  Est.  ii,  321). 

42.  4.  potessi.  V.  e.  Il,  40,  u.  8.  —  far... 
disegno  in  una  cosa  si  disse  egualmente 
che  far  dis.  sopra  una  cosa;  più  raramen- 
te :  di  uìia  cosa. 

—  5.  chi  lo  dif.  i  Francesi. 

—  6.  il  suo  nini.,  gli  Spagnuoli.  —  spinto, 
cacciato:  v.  e.  xlii,  23,  n.  7. 

—  8.  s'indusse  che  ced.  ecc.;  s'indusse  a 
cedere.  V.  e.  i,  38,  n.  6. 

43.  4.  da  handa,  di  fianco. 

—  6.  ad  alto,  in  alto.  V.  e.  iv,  50,  1. 

—  7.  apparecchiare,  apparecchiarsi.  I  vo- 
cabolari non  citano  questo  significato  ri- 
flessivo. Vedine  usi  simili  nei  canti  xxv,  43, 
7;  XXVI,  03,  2;  xlv,  10,  4. 

44.  2.  ha,  vi  ha.  Gli  antichi  usarono  avoe 


CANTO  XL 


547 


A  cui  mi  par  ch'abbiamo  a  dar  di  piglio, 
Fin  che  passi  il  furor  de  la  marina. 
Consenti  il  Ee  Agraraaute;  e  di  periglio 
Usci,  pigliando  la  spiaggia  mancina, 
Che  per  salute  de'  nocchieri  giace 
Tra  gli  Afri  e  di  Vulcan  l'alta  fornace. 
45 

D'abitazioni  è  l'isoletta  vota. 
Piena  d'umil  mortelle  e  di  ginepri. 
Gioconda  solitudine  e  remota 
A  cervi,  a  daini,  a  caprioli,  a  lepri; 
E  fuor  ch'a  piscatori,  è  poco  nota, 
Ove  sovente  a  rimondati  vepri 
Sospendon,  per  seccar,  l'umide  reti: 
Dormeno  intanto  i  pesci  in  mar  quieti. 
46 

Quivi  trovar  che  s'era  un  altro  legno, 
Cacciato  da  fortuna,  già  ridutto. 
Il  gran  guerrier  ch'in  Sericana  ha  regno, 
Levato  d'Arli,  avea  quivi  condatto. 
Con  modo  riverente  e  di  sé  degno 
L'un  Re  con  l'altro  s'abbracciò  all'asciut- 
Ch'erano  amici  e  poco  inanzi  furo      [to; 
Compagni  d'arme  al  parigino  muro. 


per  essere  molt«  spesso  senza  il  vi  o  ci, 
die  più  comunemente  oggi  si  mette.  Vedi 
la  nota  3,  e.  xlv,  41. 

—  3.  dar  di  piglio.  Male  i  vocabolari,  ci- 
tando questo  esempio,  spiegano  approduì-e, 
perché  qui  vale  afferrare  appena  possono 
per  la  violenza  del  vento.  E  accenna  a  tutti 
•luei  mezzi,  che  usano  i  marinari  per  ap- 
prodare quando  1' acqua  è  agitata;  come 
gettare  uncini,  o  funi  o  altro,  per  costringer 
la  barca  a  prender  terra. 

—  8.  di  Vulcan  l'a.  f.;  l'Etna,  per  l'intera 
Sicilia,  e  non,  come  credono  alcuni,  l'isola 
eolia  detta  Vulcano,  che  sarebbe  troppo  lon- 
tana per  potere  indicare  il  confine  marittimo 
tra  l'Affrica  e  la  Sicilia.  Inoltre  l'Etna  è  la 
famosa  alta  fornace,  dove  Vulcano  fabbri- 
cava i  fulmini  di  Giove.  .L'A.  nel  e.  xii,  2  ; 
dice  fuoco  di  Vulcano  il  fuoco  dell'  Etna. 
L' isola  dunque,  dove  approda  Agramante, 
si  trovava  tra  l'Affrica  e  la  Sicilia;  ma  poi- 
ché non  doveva  esser  lontana  da  Lampe- 
dusa, come  appare  dalla  st.  55,  poteva  es- 
sere la  piccola  isola  di  Limosa;  se  pure 
l'A.  non  pensò   ad   un'isola  immaginaria. 

4.5.  C.  rimond.  vepri ,  ad  alti  pruni  ri- 
mondati da'  piccoli  rami,  perché  non  im- 
piccino le  reti.  Male  il  Fornari  e  altri  in- 
tendono cespugli,  su  cui  si  buttino  orizzon- 
talmente le  reti:  per  quanto  rimondati,  le 
impiglierebbero  sempre.  Son  dunque  alti 
pruni,  che  servono  da  pali,  a  cui  si  so- 
spendono le  reti.  Cosi  fanno  per  lo  più  i  pe- 
scatori. 

46.  2.  fortuna,  tempesta. 

—  4.  avea  q.  e.  Il  soggetto  è  legno,  che 


47 

Con  molto  dispiacer  Gradasso  intese 
Del  Re  Agramante  le  fortune  avverse: 
Poi  confortollo,  e,  come  Ee  cortese. 
Con  la  propria  persona  se  gli  offerse; 
Ma  eh'  egli  andasse  all'iufedel  paese 
D'Egitto,  per  aiuto,  non  sofferse. 
Che  vi  sia  (disse")  periglioso  gire, 
Dovria  Pompeio  i  profugi  ammonire. 
48 

E  perché  detto  m'hai  che  con  l'aiuto 
Degli  Etiopi  sudditi  al  Senapo, 
Astolfo  a  tòrti  l'Africa  è  venuto; 
E  ch'arsa  ha  la  città  che  n'era  capo; 
E  ch'Orlando  è  con  lui,  che  diminuto 
Poco  inanzi  di  senno  aveva  il  capo; 
Mi  pare  al  tutto  un  ottimo  rimedio 
Aver  pensato  a  farti  uscir  di  tedio. 
'     49 

To  piglierò  per  amor  tuo  l'impresa 
D'entrar  col  Conte  a  singular  certame. 
Centra  me  so  che  non  avrà  difesa. 
Se  tutto  fosse  di  ferro  o  di  rame. 
Morto  lui,  stimo  la  cristiana  chiesa. 
Quel  che  l'agnelle  il  lupo  ch'abbia  fame. 
Ho  poi  pensato  (e  mi  tia  cosa  lieve) 
Di  fare  i  Nubi  uscir  d'Africa  in  breve. 
50 

Farò  che  gli  altri  Nubi  che  da  loro 
Il  Nilo  parte  e  la  diversa  Legge. 
E  gli  Arabi  e  i  Macrobi,  questi  d'oro 
Ricchi  e  di  gente,  e  quei  d'equino  gregge, 
Persi  e  Caldei  (perché  tutti  costoro 
Con  altri  molti  il  mio  scettro  corregge); 
Farò  ch'in  Nubia  lor  faran  tal  guerra. 
Che  non  si  fermeran  ne  la  tua  terra. 
51 

Al  Ee  Agramante  assai  parve  opportuna 
Del  Ee  Gradasso  la  seconda  oft'erta; 
E  si  chiamò  obligato  alla  Fortuna, 
Che  l'avea  tratto  all'isola  deserta: 
Ma  non  vuol  tórre  a  condizione  alcuna. 


avea  condotto  qui  Grad.,  levatolo,  toltolo 
d'Arli.  V.  e.  XXXIII,  95. 

47.  7.  Ti;  È  avverbio  di  luogo:  che  sia 
periglioso  gir  quivi.  Questi  spostamenti 
sono  frequentissimi  nel  poema. 

4S.  5-e.  diminuto  di  s. ,  scemo,  privo  di  s. 
È  il  latino  diminutus  dello  stesso  signifi- 
cato. Cosi  SvETONio,  August,  99:  «mentis 
diminutio  »  pazzia. 

50.  2.  il  Nilo  parte  ecc.  V.  e.  XXXiil,  101, 
n.  7. 

—  3.  Macrobi  (gr.  Tnacròs,  lungo;  6io.v, 
vita;  longevi)  antico  popolo  Etiope,  di  cui 
s'ignora  la  precisa  residenza. 

—  6.  il  mio  se.  corr.  Questo  dominio,  che 
per  un  re  di  Sericana  era  immenso,  non 
faccia  maraviglia  in  un  poeta  romanzesco. 

51,  5.  torre;  accettare;  acconsentire. 


548 


ORLANDO  FURIOSO 


S ì  racquistar  credesse  indi  Biseita, 
Che  battaglia  per  lui  Gradasso  prenda; 
Che  'u  ciò  gli  par  che  l'onor  troppo  offenda. 
52 

S'a  disfidar  s'ha  Orlando,  son  quell'io 
(Rispose)  a  cui  la  pugna  più  conviene: 
E  pronto  vi  sarò;  poi  faccia  Dio 
Di  me,  come  gli  pare,  o  male  o  bene. 
Facciàn  (disse  Gradasso)  al  modo  mio, 
A  un  nuovo  modo  ch'in  peusier  mi  viene: 
Questa  battaglia  pigliamo  ambedui 
Incontra  Orlando,  e  un  altro  sia  con  lui. 
53  (gno 

Pur  ch'io  non  resti  fuor,  non  me  ne  la- 
(Disse  Agramante),  r  sia  primo  o  secondo  : 
Ben  so  ch'in  arme  ritrovar  compagno 
Di  te  miglior  non  si  può  in  tutto  il  mondo. 
Et  io  (disse  Sobrin)  dove  rimagno? 
E  se  vecchio  vi  paio,  vi  rispondo  [glio 
Ch'io  debbo  esser  più  esperto;  e  nel  peri- 
Presso  alla  forza  è  buono  aver  consiglio. 
54 

D'una  vecchiezza  valida  e  robusta 
Era  Sobrino,  e  di  famosa  prova; 
E  dice  ch'in  vigor  l'età  vetusta 
Si  sente  pari  alla  già  verde  e  nuova. 
Stimata  fu  la  sua  domanda  giusta; 
E  senza  indugio  un  messo  si  ritrova, 
Il  qual  si  mandi  agli  Africani  lidi, 
E  da  lor  parte  il  conte  Orlando  sfidi; 
55 

Che  s'abbia  a  ritrovar  con  nuraer  pare 
Di  cavallieri  armati  in  Lipadusa. 
Una  isoletta  è  questa,  che  dal  mare 
Medesmo  che  li  cinge,  è  circonfusa. 
Non  cessa  il  messo  a  vela  e  a  remi  andare, 
Come  quel  che  prestezza  al  bisogno  usa, 
Che  fu  a  Biserta;  e  trovò  Orlando  quivi, 
Ch'a'  suoi  le  spoglie  dividea  e  i  captivi. 


—  6.  indi;  dopo  quella  battaglia. 

.V2.  3-4.  faccia...  male  o  b.;  mi  dia  buono 
o  cattivo  esito. 

5:5.  8.  Presso,  accanto,  insieme. 

'A.  2.  di  famosa  pr.;  di  famosa  prodezza. 
V.  e.  XVII,  105,  7. 

—  4.  nuova,  giovanile. 

55.  1.  Che  s'abbia  ecc.  Sottintendi:  e  (iti. 
dica  elle  s'abbia  ecc. 

—  3.  Una  isoletta  ecc.  È  un'  isola  del  pe- 
rimetro di  circa  10  miglia,  posta  tra  1'  Af- 
frica e  Malta,  cinta  dallo  stesso  mare  Me- 
diterraneo, che  cingeva  risoletta,  ove  tro- 
vavansi  Agramante  e  Crad.  Vi  si  veggono 
ancora  le  rovine  d'un'antica  torre,  che  chia- 
mano torre  d' Orlando.  Forse  l'A.  lo  sapeva 
e  dacie  gli  venne  l'idea  di  far  questo  luogo 
scena  del  gran  duello. 

—  7.  Che  fu  a  B.;  finclió  fu  a  B.  Vedi 
e.  xiii,  7,  n.   I. 


56 

Lo  'nvito  di  Gradasso  e  d'Agraraante 
E  di  Sobrino  in  publico  fu  espresso, 
Tanto  giocondo  al  Principe  d'Anglante, 
Che  d'ampli  doni  onorar  fece  il  messo. 
Avea  dai  suoi  compagni  udito  iuante. 
Che  Durindana  al  fianco  s'avea  messo 
Il  Re  Gradasso:  ond'egli  per  desire 
Di  racquistarla,  in  India  volea  gire, 
57 

Stimando  non  aver  Gradasso  altrove, 
Poi  ch'udì  che  di  Francia  era  partito. 
Or  più  viciu  gli  è  offerto  luogo,  dove 
Spera  che  '1  suo  gli  fia  restituito. 
Il  bel  corno  d'Almonte  anco  lo  muove 
Ad  accettar  si  volentier  lo  'nvito, 
E  Brigliador  non  men;  che  sapea  in  mano 
Esser  venuti  al  figlio  di  Troiano. 
58 

Per  compagno  s'elegge  alla  battaglia 
Il  fedel  Brandimarte  e  '1  suo  cognato. 
Provato  ha  quanto  l'uno  e  l'altro  vaglia; 
Sa  che  da  trambi  è  sommamente  amato. 
Buon  destrier,  buona  piastra  e  buona  ma- 
E  spade  cerca  e  lance  in  ogni  lato    [glia, 
A  sé  e  a'  compagni.  Che  sappiate  parme, 
Che  nessun  d'essi  avea  le  solite  arme. 
59 

Orlando  (come  io  v'ho  detto  più  volte) 
De  le  sue  sparse  per  furor  la  terra  : 
Agli  altri  ha  Rodomonte  le  lor  tolte. 
Ch'or  alta  torre  in  ripa  un  fiume  serra. 
Non  se  ne  può  per  Africa  aver  molte; 
Si,  perchéinFranciaaveatrattoallaguer- 
II  Re  Agramante  ciò  ch'era  di  buono;  |ra 
Si,  perché  poche  in  Africa  ne  sono. 
60 

Ciò  che  dì  ruginoso  e  di  brunito 
Aver  si  può,  fa  ragunare  Orlando; 


56.  3.  Principe  d'Angl.;  Orlando.  .-Vnglante 
o  Angers  supposto  castello  d'Orlando.  Mi- 
lone  suo  padre  è  detto  nelle  cronache  Milo 
de  Angleriis;  cosi  nel  e.  xii,  66,  6. 

57.  1.  non  aver,  non  poter  avere  fra  mane. 

—  5-7.  Il  b.  corno...  Brigliador.  Il  corno 
era  stato  dato  ad  Agramante  da  Brunello 
{Innamorato  II,  xvi,  13),  che  lo  aveva  ru- 
bato ad  Orlando  (Ivi,  II,  xi,  8,  9),  e  Briglia- 
doro  eragli  stato  dato  da  Rugg.  (e.  xxx,  75. 

5S.  2.  cognato,  Oliviero  fratello  di  Alda, 
che  era  sposa  d'Orlando. 

—  4.  trambi,  entrambi.  È  forma  non  re- 
gistrata; si  cita  invece  la  forma  tramOechw. 

5i).  3.  Agli  altri,  ecc.  V.  e.  xxxi,  6.0; 
XXXV,  53. 

—  4.  in  ripa  nn  f.  V.,  per  l' espressione, 
e.  xiii,  42,  n,  7. 

—  5.  per  Africa;  per  l' Affr.  Differisce  da 
in  Affrica,  perché  contiene  l'idea  di  an- 
dare cercando. 


CANTO  XL 


549 


E  coi  compagni  intanto  va  pel  lite 
De  la  futura  pugna  ragionaudo.  [scito 
Gli  avvien  ch'essendo  fuor  del  campo  u- 
Più  di  tre  miglia,  e  gli  occhi  al  cielo  aizan- 
Vide  calar  con  le  vele  alte  un  leguo  [do 
Verso  il  lito  African  senza  riteguo. 
61 

Senza  nocchieri  e  senza  naviganti, 
Sol  come  il  vento  e  sua  fortuna  il  mena. 
Venia  con  le  vele  alte  il  leguo  avanti 
Tanto,  che  si  ritenue  in  su  l'arena. 
Ma  prima  che  di  questo  più  vi  canti, 
L'amor  ch'a  Ruggier  porto,  mi  rimena 
Alla  sua  istoria;  e  vuol  ch'io  vi  racconte 
Di  lui  e  del  guerrier  di  Chiaramente. 
tì-J 

Di  questi  duo  guerrier  dissi,  che  tratti 
S'erano  fuor  del  marziale  agone. 
Viste  conveuziou  rompere  e  patti, 
E  turbarsi  ogni  squadra  e  legione. 
Chi  prima  i  giuramenti  abbia  disfatti, 
E  stato  sia  di  tanto  mal  cagione, 
O  rimperator  Carlo,  o  il  Re  Agramante, 
Studian  saper  da  chi  lor  passa  avaute. 
63 

Un  servitor  in  tanto  di  Ruggiero, 
Ch'era  fedele  e  pratico  et  astuto. 
Né  pel  conflitto  dei  duo  campi  fiero 
Avea  di  vista  il  patron  mai  perduto, 
Venne  a  trovarlo,  e  la  spada  e  '1  destriero 
Gli  diede,  perché  a'  suoi  fosse  in  aiuto. 
Montò  Ruggiero  e  la  sua  spada  tolse. 
Ma  ne  la  zuffa  entrar  non  però  volse. 
64 

Quindi  si  parte;  ma  prima  rinuova 
La  couvenzion  che  con  Rinaldo  avea; 


60.  7.  calar,  avvicinarsi.  Si  usò  dagli  an- 
tichi calare  in  un  porto  per  approdare. 
Giov.  Fior.  Pecorone,  1,  79:  «Volsero  la 
nave  e  calaronsi  in  quel  porto  ».  L' Ariosto 
estese  il  costrutto  e  il  significato. 

—  8.  senza  ritegno.  È  dichiarato  da  quel 
che  segue. 

61.  4.  si  ritenne;  si  fermò.  V.  e.  xix,  26, 
n.  3. 

—  8.  guerrier  di  Ch.  Rinaldo,  e.  ii,  67, 
n.  1. 

6-2.  1.  dissi.  Canto  xxxix,  8,  9. 

—  4.  legione,  schiera  armata.  Qui  dun- 
que non  si  tratta  di  queir  ordine  romano, 
che  a  tutti  è  noto. 

—  5.  disfatti,  violati.  Significato  non  re- 
gistrato dai  vocabolari.  La  N.  Crusca,  che 
ne  cita;tauti,  non  ha  ricordato  questo. 

63.  5.  spada...  destriero.  Nel  combatti- 
mento aveano  usato  azza  e  pugnale.  V.  e. 
xxxviii,  74. 

—  6.  fosse  in  a.;  venisse  in  aiuto.  Dino 
COMP.  Cr.  1:  *  I  quali  promisero  essere  in 
suo  aiuto  ». 


Che  se  pevgiuro  il  suo  Agramante  trova. 
Lo  lascierà  cou  la  sua  setta  rea. 
Per  quel  giorno  Ruggier  fare  altra  prova 
D'arme  non  volse;  ma  solo  atteudea 
A  fermar  questo  e  quello,  e  a  domandarlo 
Chi  prima  roppe,  o  '1  Re  Agramante,  o  Car- 
65  [lo. 

Ode  da  tutto  '1  mondo  che  la  parte 
Del  Re  Agramante  fu,  che  roppe  prima. 
Ruggiero  ama  Agramante.  e  se  si  parte 
Da  lui  per  questo,  error  non  lieve  stima. 
Fur  le  gente  Africane  e  rotte  e  sparte 
(Questo  ho  già  detto  iuanzi)  e  da  la  cima 
De  la  volubil  ruota  tratte  al  fondo, 
Come  piacque  a  colei  ch'aggira  il  mondo. 
66 

Tra  sé  volve  Ruggiero,  e  fa  discorso. 
Se  restar  deve,  o  il  suo  Signor  seguire. 
jGli  pon  l'amor  della  sua  Donna  ujjmorgfl 
Per  non  lasciarlo  in  Africa  più  gire:  ' 
Lo  volta  e  gira,  et  a  contrario  corso 
Lo  sprona,  e  lo  minaccia  di  punire. 
Se  '1  patto  e  '1  giuramento  non  tien  saldo, 
Che  fatto  avea  col  paladin  Riualdo. 
67 

Non  men  da  l'altra  parte  sferza  e  sprona 
La  vigilante  e  stimulosa  cura. 


64.  3.  perginro,  spergiuro.  Cosi  pure  nel 
e  XXXIX,  16  e  XLir,  25.  È  forma  più  vicina 
al  latino  pierlurus. 

—  4.  setta;  seguaci  iu  religione. 

—  8.  roppe,  ruppe  i  patti. 

6.J.  1.  da  tatto  '1  m.;  da  tutta  la  gente. 
È  un  francesismo  passato  nella  nostra  lin- 
gua fin  dal  trecento.  Sacchetti,  Nov.  110: 
«  E  tutto  il  mondo  era  tratto  e  traeva  (a 
quei  rumori»).  Forse  l'Ar.  l'usò  cosi  anche 
nel  e.  IV,  28,  8. 

—  3.  se  sì  parte  ecc.  Intendi:  se  si  parte 
da  Agramante  perché  turbò  il  duello,  stima 
commettere  errore  non  lieve  contro  la  ge- 
nerosità, la  quale,  in  tant^  disgrazia,  vuole 
che  un  amico  aiuti  l'amico  sfortunato.  Il 
Panizzi  l'iflette  che,  avendo  Ruggero  giurato 
di  lasciare  Agramante  se  egli  rompeva  i 
patti,  error  non  lieve  è  restare  e  perciò  pro- 
penderebbe a  leggere  «  e,  se  si  parte  Da  lui 
per  questo  error  non  lieve,  stima  »  e  seb- 
bene si  parta  da  lui  per  q.  er.  n.  1  ,  lo  stima 
ancora.  Ma  la  nostra  interpr.  è  confer- 
mata dalla  lez.  della  ediz.  del  1516  e  1521  : 
«se  si  parte  Per  ciò  da  lui  far  grande  er- 
ror si  stima»  e  dalia  puntegg.  della  ed. 
1532.  Vedi  del  resto  st.  67. 

—  8.  colei,  la  Fortuna,  che  sulla  sua 
ruota  gira  per  il  mondo. 

66.  6.  lo  m.  di  pun.  minaccia  di  punirlo. 
V  è  il  solito  spostamento  del  pronome  :  cfr. 
e.  I,  47,  n.  6.  \ 

67.  2.  stimulosa  cura;  lo  stimolante  pen- 


550 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  s'Agramantein  quel  caso  abbandona, 
A  viltà  gli  sia  ascritto  et  a  paura. 
Se  del  restar  la  causa  sarà  buona 
A  molti,  a  molti  ad  accettar  fia  dura. 
Molti  diran  che  nou  si  de'  osservare 
Quel  ch'era  ingiusto  e  illicito  a  giurare. 

68 
'^    Tutto  quel  giorno  e  la  notte  seguente 
[stette  solingo,  e  cosi  l'altro  giorno, 
jPur  travagliando  la  dubbiosa  mente, 
j  Se  partir  deve  o  far  quivi  soggiorno. 
•Pel  Signor  suo  conclude  finalmente 
1  Di  fargli  dietro  in  Africa  ritorno. 
^Potea  in  lui  molto  il  coniugale  amore, 
iMa  vi  potea  più  il  debito  e  l'onore. 
bé 
Torna  verso  Arli;  che  trovar  vi  spera 
L'armata  ancor,  ch'in  Africa  il  transporti: 
Né  legno  in  mar  né  dentro  alla  rivera, 
Né  Saracini  vede,  se  non  morti. 
Seco  al  partire  ogni  legno  che  v'era. 
Trasse  Agramante;  e  '1  resi"  arse  nei  por- 
Fallitogli  il  pensier,  prese  n  cumino  [ti  : 
Verso  Marsilia  pel  lito  marino. 
70 
A  qualche  legno  pensa  dar  di  piglio, 
Ch'a  prieghi  o  a  forza  il  porti  all'altra  riva. 
Già  v'era  giunto  del  Danese  il  figlio 
Con  l'armata  de'  bai'bari  captiva. 
Non  si  avrebbe  potuto  un  gran  di  miglio 
Gittar  ne  l'acqua:  tanto  hi  copriva 
La  spessa  moltitudine  di  navi. 
Di  vincitori  e  di  prigioni,  gravi. 
71 
Le  navi  de'  Pagani,  ch'avanzaro 
Dal  fuoco  e  dal  naufragio  quella  notte. 
Eccetto  poche  ch'in  fuga  n'andaro, 
Tutte  a  Marsilia  avea  Dudon  condotte. 


siero  che  se  ecc.  Stlmulosa  (lat.  stimiilo- 
sus)  fu  già  usato  dal  Buti,  Inf.  3:  «  Siene 
privati  del  sangue  da  pungenti  e  stimulosi 
animali  ». 

—  8.  a  giurare,  giurandolo.  V.  e.  iv,  11, 
n.  1. 

68.  3.  travagliando.  Il  soggetto  è  Ruggero, 
che  travagliava,  affaticava  la  mente,  dub- 
biosa se  deve  ecc.  L'  ediz.  del  1516  ha  «  tra- 
vagliando iu  la  d.  mente  ». 

—  6.  Di  fargli  ecc.  Costruisci:  di  far  ri- 
torno in  Affrica  dietro  a  lui.  Questo  sposta- 
mento del  pronome  è  duro  e  non  chiaro. 

—  7.  coniugale;  della  promessa  sposa. 
V.  e.  XVI,  14,  n.  4. 

69.  3.  rivera,  fiume  Rodano. 

—  6.  arse.  È  usato  intransitivamente: 
andò  iu  fiamme  per  mano  dei  cristiani. 

70.  2.  all' a.  riva;  iu  Affrica,  sul  lido  af- 
fricano. 

—  3.  del  Danese  il  f.;  Dudone  figlio  di 
Uggeri  il  Danese. 


Sette  di  quei  ch'in  Africa  regnare. 
Che,  poi  che  le  lor  genti  vider  rotte, 
Con  sette  legni  lor  s'eran  renduti, 
Stavan  dolenti,  lacrimosi  e  muti. 
72 

Era  Dudon  sopra  la  spiaggia  uscito, 
Ch'a  trovar  Carlo  andar  volea  quel  giorno; 
E  de'  captivi  e  di  lor  spoglie  ordito 
Con  lunga  pompa  avea  un  trionfo  adorno. 
Eran  tutti  i  prigion  stesi  nel  lito, 
E  i  Nubi  vincitori  allegri  intorno, 
Che  faceano  del  nome  di  Dudone 
Intorno  risonar  la  regione. 
73 

Venne  in  speranza  di  lontan  Ruggiero, 
Ch«  questa  fosse  armata  d' Agramante; 
E,  per  saperne  il  vero,  urtò  il  destriero: 
Ma  riconobbe,  come  fu  più  inante, 
Il  Re  di  Nasamona  prigioniero, 
Barabirago,  Agricalte  e  Farurante, 
Manilardo  e  Balastro  e  Rimedonte, 
Che  piangendo  tenean  bassa  la  fronte. 
74 

Ruggier  che  gli  ama,  sofferir  non  puote 
Che  stian  ne  la  miseria  in  che  li  trova. 
Quivi  sa  ch'a  venir  con  le  man  vote, 
Senza  usar  forza,  il  pregar  poco  giova. 
La  lancia  abbassa  e  chi  li  tien  percuote: 
E  fa  del  suo  valor  l'usata  prova: 
Stringe  la  spada,  e  in  un  piccol  momento 
Né  fa  cadere  intorno  più  di  cento. 
75 

Dudone  ode  il  rumor,  la  strage  vede, 
Che  fa  Ruggier;  ma  chi  sia  non  conosce: 
Vede  i  suoi  c'hanno  in  fuga  volto  il  piede 
Con  gran  timor,  con  pianto  e  con  angosce. 
Presto  il  destrier,  lo  scudo  e  l'elmo  chiede  ; 
Che  già  avea  armato  e  petto  e  braccia  e 

[cosce: 
Salta  a  cavallo,  e  si  fa  dar  la  lancia; 
E  non  oblia  ch'è  Paladin  di  Francia. 
76 

Grida  che  si  ritiri  ognun  da  canto. 
Spinge  il  cavallo  e  fa  sentir  gli  sproni. 
Ruggier  cent'altri  n'avea  uccisi  in  tanto, 
E  gran  speranza  dato  a  quei  prigioni: 
E  come  venir  vide  Dudon  santo 


72.  4.  adorno,  bello.  V.  e.  X,  60,  n.  6.  In- 
tendi: coi  captivi  e  colle  loro  spoglie  avea 
ordito  un  bel  trionfo  in  lunga  pompa. 

73.  5.  Il  re  di  Nasamona  Puliano,  Agri- 
calte,  Bambirago  e  Balastro  erano  già  morti. 
V.  e.  XVI,  46,  81  ;  xviii,  45.  È  una  dimenti- 
canza deir.4riosto.  Manilardo  nel  e.  xii,  84, 
1,  stramazza  stordito  da  un  colpo  d'Orlan- 
do, e  nel  canto  xiv,  29  un  messo  riferisce 
che  giace  al  dampo  con  gli  altri,  ma  non 
si  dice  che  sia  morto. 

76.  5.  Dudon  santo.  Nei  poemi  cavallere- 
schi D.  si  disse  santo,  perché,  lasciata  la  mo- 


CANTO  XL 


551 


Solo  a  cavallo,  e  gli  altri  esser  pedoni, 
Stimò  che  capo  e  che  Signor  lor  fosse; 
E  centra  lui  con  gran  desir  si  mosse. 
77 

Già  mosso  prima  era  Dudon;  ma  quan- 
Senza  lancia  Kuggier  vide  venire,       [do 
Lunge  da  sé  la  sua  gìttò,  sdegnando 
Con  tal  vantaggio  il  cavallier  ferire. 
Ruggiero,  al  cortese  atto  riguardando, 
Disse  fra  sé:  Costui  non  può  mentire, 
Ch'uno  non  sia  di  quei  guerrier  perfetti 
Che  Paladin  di  Francia  sono  detti. 
78 

S'impetrar  lo  potrò,  vo'  che  '1  suo  nome, 
Inanzi  che  segua  altro,  mi  palese: 
E  cosi  domaudollo,  e  seppe  come 
Era  Dudon  figliuol  d'Uggier  Danese. 
Dudon  gravò  Ruggier  poi  d'ugual  some; 
E  parimente  lo  trovò  cortese. 
Poi  che  i  nomi  tra  lor  s'ebbono  detti. 
Si  disfidare,  e  vennero  agli  effetti. 
79 

Avea  Dudon  quella  ferrata  mazza 
Ch'in  mille  imprese  gli  die  eterno  onore. 
Con  essa  mostra  ben,  ch'egli  è  di  razza 
Di  quel  Danese  pien  d'alto  valore. 
La  spada  ch'apre  ogni  elmo  ogni  corazza, 
Di  che  non  era  al  mondo  la  migliore. 
Trasse  Ruggiero,  e  fece  paragone 
Di  sua  virtude  al  paladin  Dudone. 
80 

Ma  perché  in  mente  ogni  ora  avea  di 
Offender  la  sua  donna  che  potea;  [meno 


glie,  si  fece  e  mori  crociato  (Bolza).  E  il 
Boiardo  Innatn.  II,  x,  13:  «Ma  poi  di  tal 
bontà  si  dava  il  vanto,  Ch'era  appellato  in 
soprauome  il  Santo  ». 

78.  1.  s'impetr.  lo  p.;  se  im.  1.  p.  I  cava- 
lieri generalmente  non  potevano  doman- 
darsi il  nome. 

—  5.  d'ug.  some,  si  fece  dire  il  nome  an- 
che da  lui.  È  immagine  Dantesca,  Purg.  18, 
84  :  «  Del  mio  carcar  diposto  avea  la  soma. 
(Erasi  sgravato  del  carico,  che  io  gli  aveva 
imposto  con  le  mie  interrogazioni)  ». 

—  8.  effetti,  fatti. 

79.  1.  Avea  ecc.  Innani.  II,  xiv,  62;  «E' 
non  portò  mai  lancia  il  giovinetto  (Dudone), 
Ma  piastra  e  maglia  e  scudo  e  bacinetto  E 
una  mazza  ferrata  di  gran  peso  »:  e  II,  x, 
13:  «E  con  sua  mazza  poderosa  e  dura  A 
molti  Saracin  dette  la  morte  ». 

—  6.  la  migliore,  una  miglioi'e.  V.  e.  vi, 
20,  n.  4. 

—  7.  fece  paragone,  dette  prova.  V.  e.  I, 
61,  n.  4. 

80.  1.  di;  Uniscilo  a  ofTendere:  di  offen- 
der meno. 


Et  era  certo,  se  spargea  il  terreno 
Del  sangue  di  costui,  che  la  offeudea 
(De  le  case  di  Francia  instrutto  e  pieno, 
La  madre  di  Dudon  esser  sapea 
Armelina,  sorella  di  Beatrice, 
Ch'era  di  Bradaniantc  genitrice)  : 
81 

Per  questo  mai  di  punta  non  gli  trasse, 
E  di  taglio  rarissimo  feria. 
Schermiasi  ovunque  la  mazza  calasse. 
Or  ribattendo,  or  dandole  la  via. 
Crede  Turpin  che  per  Ruggier  restasse, 
Che  Dudon  morto  in  pochi  colpi  avria  : 
Né  mai,  qualunque  volta  si  scoperse, 
Ferir,  se  non  di  piatto  lo  sofferse. 
82 

Di  piatto  usar  potea,  come  di  taglio, 
Ruggier  la  spada  sua  ch'avea  gran  schena  ; 
E  quivi  a  strano  giuoco  di  sonaglio 
Sopra  Dudon  con  tanta  forza  mena, 
Che  spesso  agli  occhi  gli  pon  tal  barbaglio, 
Che  si  ritien  di  non  cadere  a  pena. 
Ma  per  esser  più  grato  a  chi  m'ascolta, 
Io  differisco  il  Canto  a  un'altra  volta. 


81.  4.  dandole  la  via  ;  Scansandosi  per  la- 
sciarla passare  a  vuoto. 

—  5.  restasse  che  ecc.  11  Bolza  intende: 
Che  stesse  in  Ruggiero,  che  avrebbe  morto 
in  pochi  colpi  Dudone.  Ma  non  dà  senso. 
Credo  che  si  abbia  un'  espressione  incom- 
pleta, da  finire  cosi  :  Crede  Turpino  che  per 
Ruggier  restasse  (mancasse,  non  avvenisse) 
che  Dudone  fosse  morto  ;  poiché,  altrimenti 
lo  avrebbe  ucciso  in  pochi  colpi.  O  anche, 
come  crede  il  Romizi:  Crede  T.  che  per 
Ruggiero,  il  quale  lo  avrebbe  morto  in  pochi 
colpi,  restasse  ciò,  non  avvenisse  ciò.  Anche 
quegto  sarebbe  ardimento  confacente  allo 
stile  dell'Ariosto.  Restare  per  mancare  si 
usò  spesso  dagli  scrittori  ;  ma  in  frase  ne- 
gativa. In  espressione  affermativa  non  se 
ne  citano  esempì. 

—  8.  ferir...  lo  soff.  ;  sofferse,  ebbe  animo, 
di  ferirlo.  C  è  lo  spostamento  del  pronome 
tante  volte  notato.  V.  e.  i,  47,  n.  6. 

8'2.  2.  g.  schena.  L'antica  spada  aveva  una 
larga  lama  rettilinea  con  taglio  da  ambe- 
due le  parti,  e  un  ringrosso  lungo  il  mezzo, 
che  era  appunto  la  schiena.  Essendo  questo 
ringrosso  molto  resistente,  Ruggiero  poteva 
colpire  di  piatto,  senza  che  l'arme  si  pie- 
gasse. 

—  3.  giuoco  di  8on.  Il  giuoco  di  sonaglio 
era  simile  a  quello  di  mosca  cieca.  I  giuo- 
catori,  trovandosi,  si  davano  dei  colpi  con 
fazzoletti  annodati.  Per  ciò  menare  a  so- 
naglio o  a  giuoco  di  sonaglio  vale  menare 
colpi  alla  cieca  e  alla  disperata. 


552 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  XLI 


L'odor  cli'è  sparso  inbennotrita  e  bella 
O  chioma  o  barba  o  delicata  vesta 
Di  giovene  leggiadro  o  di  donzella 
Ch'amor  sovente  lacrimando  desta, 
.Se  spira  e  fa  sentir  di  sé  novella, 
E  dopo  molti  giorni  ancora  resta. 
Mostra  con  chiaro  et  evidente  effetto, 
Come  a  principio  buono  era  e  perfetto. 
2 

L'almo  liquor  ch^'  ai  meditori  suoi 
Fece  Icaro  gustar  con  suo  gran  danno, 
E  che  si  dice  che  già  Celte  e  Boi 
Fé'  passar  l'Alpe,  e  non  sentir  l'affanno  ; 
Mostra  che  dolce  era  a  principio,  poi 
Che  si  serva  ancor  dolce  al  fin  de  l'anno. 
L'arbor  ch'ai  tempo  rio  foglia  non  perde, 
Mostra  ch'a  primavera  era  ancor  verde. 


t.  4.  Ch'amor  ecc.;  cui  amore  sovente  de- 
sta in  pianti.  É  una  perifrasi  per  dire  in- 
namorata, ed  è  fatta  con  immagine  ed 
espressioni  Petrarchesche:  I,  son.  7:  «La 
donna,  che  colui,  che  a  te  ne  invia.  Spesso 
dal  sonno  lacrimando  desta  ».  Il  gerundio 
sta  per  il  participio  presente. 

—  5.  f.  s.  d.  8.  novella,  da  notizia  della 
sua  presenza.  È  una  locuzione  nuova  e  ar- 
dita che  fonde  due  pensieri  e  due  espres- 
sioni: fa  sentire  Vociare  di  se;  da  novella 
di  sé;  donde  fa  sentire  novella  di  sé. 

—  6.  dopo  m.  giorni.  Questo  complemento 
si  riferisce  anche  al  verso  precedente,  e  va 
collocato  dopo  il  se. 

—  7.  effetto;  fatto  che  serve  di  prova.  V. 
e.  VI,  7.  n.  5. 

3.  1.  meditori,  mietitori.  È  forma  dialet- 
tale Emiliana,  ancor  viva,  e  non  registrata 
dai  vocabolari. 

—  2.  Icaro,  o  Icario,  figliuolo  di  Ebaio 
re  di  Sparta,  fu  compagno  di  Bacco,  da  cui 
imparò  l'uso  del  vino.  Avendone  dato  a  bere 
a'  suoi  mietitori  ne  furono  ubriacati;  si  che, 
temendo  di  essere  stati  avvelenati,  lo  ucci- 
sero. V.  Luciano,  Dialog.  degli  Dei  6. 

—  3.  Celte,  Celti.  È  la  forma  latina  Cel- 
tae.  Ai  Celti  apparteneva  il  popolo  de'  Boi. 
Questi  Celti  o  Galli  passarono  le  Alpi  in  di- 
versi periodi  di  emigrazioni  successive,  co- 
minciate, secondo  Livio,  al  tempo  di  Tar- 
quinio  Prisco,  e  si  stabilirono  nella  valle  del 
Po,  allettati  certamente  dall;i  fertilità  di 
quelle  terre  e  dalla  bontà  dei  loro  prodotti. 

—  6.  serva  (lat.  servai),  conserva,  man- 
tiene. 

—  8.  ancor;  mostra  che  anche  a  prima- 


L' inclita  stirpe  che  per  tanti  lustri 
Mostrò  di  cortesia  sempre  gran  lume, 
E  par  ch'ogu'or  più  ne  risplenda  e  lustri, 
Fa  che  con  chiaro  indizio  si  presume. 
Che  chi  progenerò  gli  Estensi  illustri, 
Dovea  d'ogni  laudabile  costume 
Che  sublimar  al  ciel  gli  uomini  suole. 
Splender  non  men  che  fra  le  stelle  il  sole. 

4 

Ruggier,  come  in  ciascun  suo  degno  ge- 
D'alto  valor,  di  cortesia  solea  [sto, 

Dimostrar  chiaro  segno  e  manifeste, 
E  sempre  più  magnanimo  apparea; 
Cosi  vei'so  Dudon  lo  mostrò  in  questo, 
Col  qual  (come  di  sopra  io  vi  dicea) 
Dissimulato  avea  quanto  era  forte. 
Per  pietà  che  gli  avea  di  porlo  a  morte 
5 

Avea  Dudon  ben  conosciuto  certo. 
Ch'ucciderlo  Ruggier  non  I'  ha  voluto; 
Perch'or  s'ha  ritrovato  allo  scoperto, 
Or  stanco  si,  che  più  non  ha  potuto. 
Poi  che  chiaro  comprende  e  vede  aperto 
Che  gli  ha  rispetto,  e  che  va  ritenuto; 
Quando  di  forza  e  di  vigor  vai  meno. 
Di  cortesia  non  vuol  cedergli  almeno. 
6 

Per  Dìo  (dice),  Signor,  pace  facciamo; 
Ch'esser  non  può  più  la  vittoria  mia: 


vera  ecc.  Di  tali  spostamenti  abbonda  il  Fu- 
rioso. V.  st.  1,  6. 

3.  4.  presume.  Può  essere  cong.  per  pre- 
suma, cfr.  e.  XIII,  10,  n.  3;  ma  può  essere 
anche  indicativo. 

—  5.  progenerò,  fu  progenitore.  In  questo 
senso  citasi  soltanto  quest'es.  dell'A. 

—  7.  sublimar,  elevar.  V.  e.  iv,  12,  3. 

4.  1.  gesto  (lat.  gero),  atto. 

—  4.  apparea,  apparia.  V.  e.  vi,  4,  n.  6. 

—  5.  in  questo;  in  questo  atto  (gesto), 
detto  di  sopra:  o  più  generalmente:  in  que- 
sta cosa  detta  di  sopra. 

—  6.  Col  qual,  Dudone.  Nella  Principe  : 
Con  lui. 

—  8.  pietà,  dolore  prodotto  da  pietà,  pie- 
toso dolore  di  p.  a  m.  I  vocabolari  non  ci- 
tano questo  significato.  —  gli,  egli.  Nella 
Principe  egli.  V.  e.  vn,  75,  7. 

5.  2.  l' ha.  Il  lo  è  ripetizione  mutile.  Del 
complem.  duplicato  vedi  esempi  nel  e.  xxiv, 
41,  8;  83,  5,  e  altrove. 

—  6.  ritenuto,  cauto. 

—  7.  Quando,  poiché.  V.  c.  I,  18,  n,  3. 


CANTO  XLI 


553 


Esser  non  può  pili  mia  ;  che  già  mi  chiamo 
Vinto  e  prigion  de  la  tua  cortesia. 
Ruggier  rispose:  Et  io  la  pace  bramo 
Non  men  di  te;  ma  che  con  patto  sia, 
Che  questi  sette  Re  e'  hai  qui  legati, 
Lasci  eh'  in  libertà  mi  sieno  dati. 
7 

E  gli  mostrò  quei  sette  Re  eh'  io  dissi 
Che  stavano  legati  a  capo  chino; 
E  gli  soggiunse  che  non  gli  impedissi 
Pigliar  con  essi  in  Africa  il  camino. 
E  cosi  furo  in  libertà  remissi 
Quei  Re;  che  gliel  concesse  il  Paladino; 
E  gli  concesse  ancor,  ch'un  legno  tolse, 
Quel  eh' a  lui  parve,  e  verso  Africa  sciolse. 
8 

Il  legno  sciolse,  e  fé'  scioglier  l(i  vela, 
E  si  die  al  vento  perfido  in  possanza. 
Che  da  principio  la  gonfiata  tela 
Drizzò  a  camino,  e  dièalnocchierbaldan- 
II  lito  fugge,  e  in  tal  modo  si  cela,       [za. 
Che  par  che  ne  sia  il  mar  rimase  sanza. 
Ne  l'oscurar  del  giorno  fece  il  vento 
Chiara  la  sua  perfidia  e  '1  tradimento. 
9 

Mutossi  da  la  poppa  ne  le  sponde, 


6.  5.  Et  io;  anch'  io.  Pulci,  Monj.  11,  49: 
«  io  per  me  son  disposto....  ire  a  morire. 
Disse  Rinaldo:  ed  io». 

—  6.  che.  È  comune  l'uso  del  che  nelle 
espressioni  deprecative  e  imperative  (che 
tu  sia  benedetto:  che  venga  subito  ecc.); 
nelle  quali  si  sottintendono  i  verbi  {desi- 
dero, voglio  e  simili. 

7.  3.  impedissi,  impedisse.  V.  e.  ii,  40,  u.  >S. 

—  4.  Pigliar,  di  pigliar.  —  in  A;  verso 
r.\.  Boccaccio,  nov.  17:  «il  suo  amore  in 
lei  (verso  di  lei)  si  raddoppiò  ».  Cosi  nel  e. 
V,  12,  5. 

—  5.  remissi,  rimessi.  Latinismo  antiqua- 
to e  non  frequente. 

—  7.  E  gli  concesse  ecc.  In  questo  verso 
bisognerebbe  supporre  uno  strano  costrut- 
to: gli  concesse  che  tolse  per  gli  concesse 
di  togliere  o  che  togliesse.  Ma  sembra  me- 
glio intendere:  E  gli  concesse  di  più  (ancor.), 
gli  fece  altre  concessioni,  poiché  tolse  un 
legno  ecc. 

—  8.  sciolse,  salpò.  Quest'espressione,  che 
si  usa  generalmente  ellittica  (cfr.  e.  x,  44, 
n.  1),  l'abbiamo  completa  nel  verso  se- 
guente. 

8.  2.  si  die;  V.  e.  xix,  20,  3. 

—  4.  Drizzò  a  camino;  dr.  al  cammino, 
alla  via  stabilita.  Andare,  drizzare,  met- 
tere, mettersi  a  camino  sono  espressioni 
frequenti  per  mettere,  mettersi  in  via  per 
una  direzione  determinata. 

9.  —  La  descrizione  di  questa  tempesta 
ha  molte  reminiscenze  e  imitazioni  del  Bo- 


Indi  alla  prora,  e  qui  non  rimase  anco. 
Ruota  la  nave,  et  i  nocchier  confonde; 
Ch'or  di  dietro  or  dinanzi  or  loro  è  al  fian- 
Surgono  altiere  e  minacciose  l'onde:  [co. 
Mugliando  sopra  il  mar  va  il  gregge  bian- 

[co. 
Di  tante  morti  in  dubbio  e  in  penastanno, 
Quanto  son  l'acque  cli'a  ferir  li  vanno. 
10 

Or  da  fronte  or  da  tergo  il  vento  spira, 
E  questo  inanzi,  e  quello  a  dietro  caccia: 
Un  altro  da  traverso  il  legno  aggira, 
E  ciascun  pur  naufragio  gli  minaccia. 
Quel  che  siede  al  governo,  alto  sospira 
Pallido  e  sbigottito  ne  la  faccia; 
E  grida  in  vano,  e  in  van  con  mano  accen- 
Or  di  voltare,  or  di  calar  l'antenna,     [na 
11 

Ma  poco  il  cenno,  e  '1  gridar  poco  vale: 
Tolto  è  '1  veder  da  la  piovosa  notte. 
La  voce,  senza  udirsi,  in  aria  sale, 
In  aria  che  feria  con  maggior  botte 
De'  naviganti  il  grido  universale, 
E  '1  fremito  de  Tonde  insieme  rotte  :  [bande 
E  in  prora  e  in  poppa  e  in  amendue  le 
Non  si  può  cosa  udir,  che  si  comande. 


TARno,  Inn.  Ili,  4-6;  di  Ov.  Metani.  11,  47  (, 
segg.;  di  Virgilio,  En.  1,  87,  segg.  e  del 
Boccaccio,  nov.  17  ;  ma  tutto  cosi  mirabil- 
mente unito,  che  par  fatta  di  getto.  Note- 
remo solo  i  riscontri  più  spiccati. 

—  2.  non  r.  anco,  e  neppure  qui  rimase. 
V.  e.  XVI,  36,  n.  S. 

—  6.  il  gregge  b.  ;  le  onde  spumose.  Bo- 
iardo, Inn.  Ili,  IV,  3,  chiama  le  onde  «  Un 
gregge  bianco  che  si  pasce  al  basso.  Ma 
sempre  mugge  e  sembra  una  mina  ». 

—  7.  Di  tante  m.  ecc.  OviD.  Met.  11,  537: 
«  totidemque  videntur  Quot  veniant  fluctus 
mere  atque  irrumpere  inortes  ». 

—  S.  Quanto,  quante.  È  usato  avverbial- 
mente, come  anche  alla  st.  26,  1.  La  con- 
cordia delle  tre  edizioni  curate  dal  Poeta 
esclude  1'  errore.  È  un  fenomeno  inverso 
di  quello  notato  al  e.  v,  18,  7.  I  vocabolari 
non  lo  citano.  —  acque,  onde. 

10.  1.  da  fronte,  dalla  fronte.  V.  e.  il,  15, 
n.  8. 

—  2.  questo...  quello,  questo  che  spira  di 
fronte...  quello  che  spira  da  tergo. 

—  4.  pur,  sempre. 

—  8.  antenna.  È  quello  stile,  che  si  mette 
a  traverso  all'  albero,  e  dove  si  fermano  le 
vele:  calar  l'antenna  è  dunque  calar  la 
vela. 

11.  3.  La  voce,  del  comandante.  Ovid.  11, 
485:  «  Non  sinit  audiri  vocem  fragor  aequo- 
ris  uUam». 

—  4.  con  m.  botte,  con  maggior  colpo,  e 
perciò  facendo  maggior  rumox'e. 


554 


ORLANDO  FURIOSO 


12 

Da  la  rabbia  del  vento,  che  si  fende 
Ne  le  ritorte,  escono  orribil  suoni: 
Di  spessi  lampi  l'aria  si  raccende. 
Risuona  '1  ciel  di  spaventosi  tuoni. 
V'è  chi  corre  al  timon,  chi  i  remi  prende; 
Van  per  uso  agli  uffici  a  che  son  buoni: 
Chi  s'affatica  a  sciorre  e  chi  a  legare: 
Vota  altri  l'acqua,  e  tornailmarnel  mare. 
13 

Ecdo  stridendo  l'orribil  procella 
Che  '1  repentin  furor  di  Borea  spinge. 
La  vela  centra  l'arbore  flagella  : 
11  mar  si  leva,  e  quasi  il  cielo  attinge. 
Frangonsi  i  remi;  e  di  fortuna  fella 
Tanto  la  rabbia  ia^ietuosa  stringe, 
Che  la  prora  si  volta,  e  verso  l'onda 
Fa  rimaner  la  disarmata  sponda. 
14 

Tutta  sotto  acqua  va  la  destra  banda, 
E  sta  per  riversar  disopra  il  fondo. 
Ognun,  gridando,  a  Dio  si  raccomanda; 
Che  più  che  certi  son  gire  al  profondo. 
D'uuo  in  un  altro  mal  Fortuna  manda: 
Il  primo  scorre,  e  vien  dietro  il  secondo. 
II  legno  vinto  in  più  parti  si  lassa, 
E  dentro  l' inimica  onda  vi  passa. 

12.  1-3.  Da  la  rabbia  ecc.  Viro.  Eh.  1,  91  : 
«  Insequitur  clamorque  virum  stridorque 
rudentum...  Intouuere  poli  et  crebris  micat 
ignibus  aether  ».  Ovid.  Met.  11,  495,  ripete 
le  stesse  immagini.  —  ritorte  in  senso  ma- 
rinaresco sono  certe  corde  speciali;  ma  qui 
è  detto  per  le  sartie  in  generale. 

—  6.  per  nso,  per  abitudine.  Ovid.  1.  e. 
4S6  :  «  Sponte  tamen  properant  ». 

—  8.  vota  ecc.  Ovid.  1.  e.  488  :  «  Egerit  hic 
fluctus  aequorque  refundit  in  aequor». 

13.  2.  Che;  cui.  Viro.  En.  1,  102:  «  Talia 
iactanti  stridens  Aquilone  procella,  Velum 
adversa  ferit  fluctusque  ad  sidera  tollit. 
Kranguntur  remi,  tura  prora  avertit  et  un- 
dis  dat  latus  ». 

—  3.  flagella,  sbatte. 

—  4.  attinge,  tocca,  arriva,  (lat.  attiri- 
Oit). 

—  7.  si  volta.  In  linguaggio  marinaresco 
si  dice  :  la  nave  si  traversa;  e  allora  si  ca- 
lavano le  spere.  V.  e.  xix,  53,  n.  2. 

—  8.  disarmata,  senza  remi. 

14.  1.  banda.  Era  questo  il  vocabolo  na- 
zionale, in  uso  prima  che  venisse  dall'olan- 
dese il  babordo  (banda  sinistra  per  rispetto 
al  pilota)  e  il  tribordo,  (banda  destra). 

—  2.  sta  per  rìv.  Il  soggetto  è  la  destra 
banda,  che  andando  sott'  acqua  fa  venire 
in  alto  il  fondo  della  nave. 

—  4.  gire,  di  gire.  V.  e.  i,  4,  u.  1. 

—  6.  11  p.  scorre;  il  primo   male   passa. 

—  7.  si  lassa  ;  si  apre,  si  sconnette.  Cosi 
nel  e.  XXVI,  111.  Quantunque  l'idea  e  il  vo- 


15 

Muove  crudele  e  spaventoso  assalto 
Da  tutti  i  lati  il  tempestoso  verno. 
Veggon  talvolta  il  mar  venir  tant'alto. 
Che  par  ch'arrivi  insin  al  ciel  superno. 
Talor  fan  sopra  l'onde  in  su  tal  salto, 
Ch'a  mirar  giù  par  lor  veder  lo  'nferno. 
0  nulla  0  poca  speme  è  che  conforte  ; 
E  sta  presente  inevitabil  morte. 
16 

Tutta  la  notte  per  diverso  mare 
Scorsero  errando  ove  caccioUi  il  vento  ; 
Il  iìero  vento  che  dovea  cessare 
Nascendo  il  giorno,  e  ripigliò  augumento. 
Ecco  dinanzi  un  nudo  scoglio  appare: 
Voglion  schivarlo,  e  non  v'hanno  argu- 

[mento. 
Li  porta,  lor  mal  grado,  a  quella  via 
Il  crudo  vento  e  la  tempesta  ria. 
17 

Tre  volte  e  quattro  il  pallido  nocchiero 
Mette  vigor,  perché  '1  timon  sia  volto 
E  trovi  più  sicuro  altro  sentiero; 
Ma  quel  si  rompe,  e  poi  dal  mar  gli  è  fol- 
lia si  la  vela  piena  il  vento  fiero,         [to. 
Che  non  si  può  calar  poco  né  molto: 
Né  tempo  han  di  riparo  o  di  consiglio; 


cabolo  siano  ispirati  da  Virgilio  (En.  1, 
126,  «  Vicit  byems  mjjis  laterum  compagi- 
bus  omnes  (naves)  Accipiunt  inimicam  im- 
brem  »),  pure  lassare  e  lassarsi  sono  del 
dialetto  Emiliano  e  Ferrarese  e  vivono  tut- 
tora. I  vocabolari  li  citano  con  questi  due 
soli  esempì  Ariosteschi.  Oggi  i  marinari 
dicono  lascare,  che  è  l'allentarsi  delle  com- 
messure. 

la.  2.  verno;  tempesta.  È  il  latino  e  Vir- 
giliano hyems  V.  e.  xviii,  141,  n.  6. 

—  3.  Veggon  ecc.  OviD.  Met.  11,  50,  3; 
«  Et  nunc  sublimis  veluti  de  vertice  monlis 
Despicere  in  valles  imumque  Acheronta  vi- 
detur;  Nunc  ubi  demissam  curvum  circum- 
stetit  aequor  Suspicei'e  inferno  summum 
de  gurgite  coelum  ». 

— -  s.  E  sta  ecc.  ViRG.  En.  1,95:  «Praesen- 
temque  viris  intentant  omnia  mortem  ». 

10.  1.  p.  diverso  mare;  per  diverse  parti 
del  mare;  qua  e  là  per  il  mare.  È  il  latino 
diversus.  Virg.  En.  11,  855:  «  Cur,  inquit, 
diversus  abis?  perché  vai  qua  e  là?  »  La 
Crusca  intende  mare  tempestoso,  ma  non 
conferma  il  signilicato  con  nessun  esempio. 

—  3.  dovea  cess.  Secondo  la  previsioni 
dei  marinari. 

—  6.  non  v'hanno  arg.;  non  ne  hanno  il 
mezzo  :  vi  per  ne  vedilo  al  e.  vii,  2,  1;  ar- 
gomento per  ìnezjso  in  Dante,  Purr/.  2,  31  : 
«  Vedi  che   sdegna  gli  argomenti   umani  ». 

17.  5.  Ha  SI  la  v.  p.  :  il  vento  ha  empito 
cosi  la  vela,  che  questa  ecc. 


CANTO  XLI 


555 


Che  troppo  appresso  è  quel  mortai  peri- 

18  [glio. 
Poi  che  senza  rimedio  si  comprende 

La  irreparabil  rotta  de  la  nave, 
Ciascuno  al  suo  privato  utile  attende, 
Ciascun  salvar  la  vita  sua  cura  have. 
Chi  può  più  presto  al  palischermo  sceu- 
Ma  quello  è  fatto  subito  si  grave        [de  ; 
Per  tanta  gente  che  sopra  v'abbonda, 
Che  poco  avanza  a  gir  sotto  la  sponda. 

19  [ne 
Euggier  che  vide  il  Comite  e  '1  Padro- 

E  gli  altri  abbandonar  con  fretta  il  legno, 
Come  senz'arme  si  trovò  in  giubbone, 
Campar  su  quel  battei  fece  disegno: 
Ma  lo  trovò  si  carco  di  persone, 
E  tante  venner  poi,  che  l'acque  il  segno 
Passaro  in  guisa,  che  per  troppo  pondo 
Con  tutto  il  carco  andò  il  legnetto  al  fondo: 
20 

Del'mare  al  fondo;  e  seco  trasse  quanti 
Lasciaro  a  sua  speranza  il  maggior  legno. 
Allor  s'udi  con  dolorosi  pianti 
Chiamar  soccorso  dal  celeste  regno: 
Ma  quelle  voci  andaro  poco  inanti, 
Che  venne  il  mar  pieu  d' ira  e  di  disdegno, 
E  subito  occupò  tutta  la  via. 
Onde  il  lamento  e  il  flebil  grido  ascia. 
21 

Altri  là  giii,  senza  apparir  più,  resta; 
Altri  risorge  e  sopra  l'onde  sbalza; 
Chi  vien  nuotando  e  mostra  fuor  la  testa, 
Chi  mostra  un  braccio,  e  chi  una  gamba 

[scalza. 
Euggier  che  '1  minacciar  de  la  tempesta 
Temer  non  vuol,  dal  fondo  al  sommo  s'alza, 
E  vede  il  nudo  scoglio  non  lontano. 
Ch'egli  e  i  compagni  avean  fuggito  in  vano. 
22 

Spera,  per  forza  di  piedi  e  di  braccia 
Nuotando,  di  salir  sul  lito  asciutto. 
Soffiando  viene,  e  lungi  da  la  faccia 
L'onda  respinge  e  l' importuno  flutto. 
Il  vento  in  tanto  e  la  tempesta  caccia 
11  legno  voto,  e  abbandonato  in  tutto 
Da  quelli  che  per  lor  pessima  sorte 
Il  disio  di  campar  trasse  alla  morte. 


18.  4.  saldar,  di  salvar. 

19.  1.  Còmite,  più  comunemente  cornilo. 
Prima  fu  una  carica  di  corte,  poi  militare, 
quindi  passò  a  indicare  colui,  che  nelle  navi 
comandava  la  ciurma.  —  Padrone.  V.  canto 
XVIII,  135,  4. 

—  3.  Come  ecc.  Cosi  senz'arme  e  in  giub- 
bone come  trovavasi.  Essendo  in  nave  avea 
spogliate  le  armi  ed  era  rimasto  in  giub- 
bone, che  era  una  veste,  che  si  portava 
sotto  l'armatura. 

—  4.  Campar,  di  campar. 

20.  2.  a  sua  sp.,  sperando  in  esso. 

—  5.  and.  p.  inanti,  continuarono  poco. 


23 

Oh  fallace  degli  uomini  credenza  ! 
Campò  la  nave  che  dovea  perire; 
Quando  il  Padrone  e  i  galeotti  senza 
Governo  alcun  l'avean  lasciata  gire. 
Parve  che  si  mutasse  di  sentenza 
Il  vento,  poi  che  ogni  uora  vide  fuggire: 
Fece  che  '1  legno  a  miglior  via  si  torse, 
Né  toccò  terra,  e  in  sicura  onda  corse. 
24 

E  dove  col  nocchier  tenne  via  incerta, 
Poi  che  non  l'ebbe,  andò  in  Africa  al  dritto, 
E  venne  a  capitar  presso  a  Biserta 
Tre  miglia  o  due,  dal  lato  verso  Egitto; 
E  ne  l'arena  sterile  e  deserta 
Eestò,  mancando  il  vento  e  l'acqua,  fìtto. 
Or  quivi  sopravenne,  a  spasso  andando, 
Come  di  sopra  io  vi  narrava.  Orlando. 
25 

E  disìoso  di  saper  se  fusse 
La  nave  sola,  e  fusse  o  vota  o  carca, 
Con  Brandimarte  a  quella  si  condusse, 
E  col  cognato,  in  su  una  lieve  barca. 
Poi  che  sotto  coverta  s' introdusse, 
Tutta  la  ritrovò  d'uomini  scarca: 
Vi  trovò  sol  Frontino  il  buon  destriero. 
L'armatura  e  la  spada  di  Euggiero; 
26 

Di  cui  fu  per  campar  tanto  la  fretta, 
Ch'a  tòr  la  spada  non  ebbe  pur  tempo. 
Conobbe  quella  il  Paladin,  che  detta 
Fu  Balisarda,  e  che  già  sua  fu  un  tempo. 
So  che  tutta  l'istoria  avete  letta. 
Come  la  tolse  a  Falerina,  al  tempo 
Che  le  distrusse  anco  il  giardinsi  bello; 
E  come  a  lui  poi  la  rubò  Brunello  ; 
27 

E  come  sotto  il  monte  di  Carena 
Brunel  ne  fé'  a  Euggier  libero  dono. 
Di  che  taglio  ella  fosse,  e  di  che  schena, 
N'avea  già  fatto  esperimento  buono; 
Io  dico  Orlando:  e  però  n'ebbe  piena 
Letizia,  e  ringrazionne  il  sommo  Trono; 
E  si  credette  (e  spesso  il  disse  dopo) 


2.3.  1.  Oh  fallace  ecc.  Cicerone  De  Ovat, 
2,  7:  «O  fallacem  homiuum  spem  ». 

—  .3.  Quando,  poiché.  V.  e.  I,  IS,  n.  3. 
Quest'idea  della  nave,  che  senza  guida  è 
condotta  sul  lido,  sembra  tolta  dalla  nov.  17 
del  Boccaccio;  cosi  pure  tutto  ciò  che  si 
dice  del  palischermo. 

2G.  1.  tanto,  tanta.  V.  st.  9,  8. 

—  2.  non...  pur,  neppur  :  non  ebbe  nep- 
pur  tempo  a  tor  ecc.  V.  e.  vi,  4,  n.  7. 

—  4.  già  sua.  V.  e.  VII,  76,  u.  1,  e  Boiar- 
do, Inn.  II,  IV,  6. 

27.  3.  di  che  schena.  V.  e.  XL,  82,  n.  2. 

—  6.  8.  Trono;  Dio.  Come  si  dice  Trono 
per  re;  cosi  so)n»io  trono  per  il  re  dei  re. 


556 


ORLANDO  FURIOSO 


Che  Dio  gliele  mandasse  a  si  grande  uopo  : 
28 

A  si  gi'ande  uopo,  quant'era,  dovendo 
Condursi  col  Signor  di  Sericana; 
Ch,'oltre  che  di  valor  fosse  tremendo, 
Sapea  ch'avea  Baiardo  e  Durindana. 
L'altra  armatura,  non  la  conoscendo, 
Non  apprezzò  per  cosa  si  soprana 
Come  chi  ne  fé'  prova  apprezzò  quella; 
Per  buona  si,  ma  per  più  ricca  e  bella. 
29 

E  perché  gli  facean  poco  mestiero 
L'arme  (ch'era  inviolabile  e  affatato), 
Contento  fu  che  l'avesse  Oliviero; 
Il  brando  no,  che  '-il  pose  egli  a  lato: 
A  Brandimarte  consegnò  il  destriero. 
Cosi  diviso  et  ugualmente  dato 
Volse  che  fosse  a  ciaschedun  compagno, 
Ch'  insieme  si  trovar,  di  quel  guadagno. 
30 

Pel  di  de  la  battaglia  ogni  guerriero 
Studia  aver  ricco  e  nuovo  abito  in  dosso. 
Orlando  riccamar  fa  nel  quartiero 
L'alto  Babel  dal  fulmine  percosso. 
Un  can  d'argento  aver  vuole  Oliviero, 


—  8.  gliele;  gliela.  Gli  Scrittori  Toscani 
antichi  usarono  spesso  yliele  indeclinabile. 
Forse  fu  corruzione  di  gliene,  che  anche 
oggi  il  popolo  Toscano  usa  per  qualunque 
pronome  (lo,  la,  li,  le).  V.  Forxaciari,  No- 
velle scelte  del  Bocc,  p.  66,  n.  12. 

28.  1.  quant'era,  dov.;  quant'era  questo, 
o  il  suo,  perché  doveva,  ecc. 

—  2.  Condursi;  andare  (sottint.  a  coni- 
battere)  col  s.  di  S.  È  uso  non  chiaro. 

—  4.  avea  B.  e  Dur.  Come  li  aveva  avuti? 
V.  e.  xxxiu,  88,  segg.  XXX,  74. 

—  5.  L'altra  arm.  Era  quella  di  Ettore, 
che  Ruggero  avea  tolto  a  Maudricardo.  V. 
e.  XXX,  74;  ma  Orlando  non  lo  sapeva. 

—  8.  ma  por  più  r.  e  b.;  Per  buona  l'ap- 
prezzò, ma  per  più  ricca  e  bella  che  buona. 
Nella  ediz.  del  1516  avea  scritto  ina  più  per 
r.  e  b.  Il  cambiamento  è  stato  molto  op- 
portuno, come  puoi  facilmente  vedere,  poi- 
ché apparisce  meglio  il  confronto  delle  qua- 
lità dell'  armatura. 

29.  8.  ch'ins.  si  trovar.  È  una  sillessi,  o 
costruzione  a  senso.  Dovrebbe  dire  che  in- 
sieme si  trovò;  ma  ciaschedun  compagno 
sveglia  r  idea  del  plurale. 

80.  3.  riccamar.  È  forma  puramente  dia- 
lettale. Nel  e.  XXXIX,  17,  6:  «  riccamo  », 

—  4.  L'alto  Babel  la  torre  di  Babele,  per- 
cossa dal  fulmine,  per  indicare  la  superbia 
degli  infedeli  abbattuta  nei  loro  capi.  La 
Bibbia  non  parla  del  fulmine:  è  dunque  un 
simbolo  aggiunto  dal  poeta. 

—  5.  Un  can  d'arg.  Quest'insegna  signi- 
fica, secondo  tutti  j  commentatori,  che  Oli- 


Che  giaccia,  e  che  la  lassa  abbia  sul  dosso 
Con  un  motto  che  dica:  Fin  che  vegna: 
E  vuol  d'oro  la  vesta,  e  di  sé  degna. 
31 

Fece  disegno  Brandimarte,  il  giorno 
De  la  battaglia,  per  amor  del  padre, 
E  per  suo  onor,  di  non  andare  adorno 
Se  non  di  sopraveste  oscure  et  adre. 
Fiordiligi  le  fé'  con  fregio  intorno, 
Quanto  pili  seppe  far,  belle  e  leggiadre. 
Di  ricche  gemme  il  fregio  era  contesto  ; 
D'un  schietto  drappo,  e  tutto  nero  il  resto. 
32 

Fece  la  donna  di  sua  man  le  sopra- 
Vesti  a  cui  l'arme  converriau  più  fine. 
De  quai  l'osbergo  il  cavallier  si  cuopra, 
E  la  groppa  al  cavallo  e  '1  petto  e  '1  crine. 
Ma  da  quel  di  che  cominciò  quest'opra, 
Continuando  a  quel  che  le  die  fine, 
E  dopo  ancora,  mai  segno  di  riso 
Far  non  potè,  né  d'allegrezza  in  viso. 

33  I  mento 

Sempre  ha  timor  nel  cor,  sempre  tor- 
Che  Brandimarte  suo  non  le  sia  tolto. 
Già  r  ha  veduto  in  cento  lochi  e  cento 
In  gran  battaglie  e  perigliose  avvolto; 
Né  mai,  come  ora,  simile  spavento 


viero  ancora  aspettava  l'occasione  di  dar 
'■  gran  prova  del  suo  valore  per  la  causa  dei 
'  Cristiani,  come  il  cane  da  caccia  aspetta 
i  che  sbuchi  la  preda  per  slanciarsi  contro 
:  di  essa. 

—  6.  lassa  (da  lassare,  lasciare),  guin- 
I  zaglio.    È   parola  comune   nel  linguaggio 

della  caccia  antica.  11  guinzaglio  sul  collo 
indica  che  il  cane  è  già  pronto  per  la  cac- 
cia, e  non  manca  che  la  preda. 

31.  2.  per  am.  d.  pad.  ;  per  lutto  del  padre 
morto.  V.  e.  XXXIX,  62. 

—  3.  per  suo  on.  ;  per  onorare  la  memo- 
ria del  padre,  per  onore  di  lui. 

—  4.  sopraveste.  Questa  forma  è  nel  No- 
stro sempre  plurale:  al  sing.  sopravesta. 

—  8.  schietto,  puro,  liscio,  senza  ricami. 
82.  3.  De  quai;  delle  quali.  Il  Morali   av- 
verte: «Un  siinil  de  che  vi  è  molte   volte, 

j  (otto)  r  ho  lasciato  stare  in  tre  luoghi  soli, 
cioè  al  e.  IX,  94;   xxi,  b-i;  xli,  32».  Senza 
indagare  e  discutere  i  criteri  del  Morali,  io 
I  credo  che  sarebbe   stato  meglio  lasciarlo 
I  dovunque   non   fosse   manifesto   errore  di 
;  stampa.  Nei  primi  due  luoghi  citati  sta  per 
i  dei,  ed  è  nota  la  frequente   omissione  del- 
l'apostrofo nei  manoscritti  e  nelle  stampe 
anticbe;  ma  qui  è  proprio  l'uso  della  prop. 
de  per  di.  Noi  lo  abbiamo  restituito  in  sei 
luoghi. 

—  5.  da  quel  di'.  Costruisci:  ma  conti- 
nuando (senza  porre  interruzione)  da  quel 
di  ecc.,  a  quello,  che  ecc.,  mai  ecc. 


CANTO  XLI 


557 


Le  agghiacciò  il  sangue  e  irapallidille  il 
E  questa  novità  d'aver  timore        [volto; 
Le  fa  tremar  di  doppia  téma  il  core. 
34 

Poi  che  son  d'arme  e  d'ogui  arnese  in 
Alzano  al  vento  i  cavallier  le  vele,  [punto, 
Astolfo  e  Sansonetto  con  l'assunto 
Riman  del  grande  esercito  fedele. 
Fiordiligi  col  cor  di  timor  punto, 
Empiendo  il  ciel  di  voti  e  di  querele, 
Quanto  con  vista  seguitar  le  puote, 
Segue  le  vele  in  alto  mar  remote. 
35 

Astolfo  a  gran  fatica  e  Sansonetto 
Potè  levarla  da  mirar  ne  l'onda, 
E  ritrarla  al  palagio,  ove  sul  letto 
La  lasciaro  alì'aunata  e  tremebonda. 
Portava  in  tanto  il  bel  numero  eletto 
Dei  tre  buon  cavallier  l'aura  seconda. 
Andò  il  legno  a  trovar  l'isola  al  dritto. 
Ove  far  si  dovea  tanto  conflitto. 
3G 

Sceso  nel  lito  il  cavallier  d'Anglante, 
Il  cognato  Oliviero  e  Bvandimarte, 
Col  padiglione  il  lato  di  Levante 
Primi  occupar;  né  forse  il  fèr  senz'arte. 
Giunse  quel  di  medesimo  Agramante, 
E  s'accampò  da  la  contraria  parte; 
Ma  perché  molto  era  inchinata  l'ora, 
Differir  la  battaglia  ne  l'aurora. 
37 

Di  qua  e  di  là  sin  alla  nuova  luce 
Stanno  alla  guardia  i  servitori  armati. 
La  sera  Brandimarte  si  conduce 
Là  dove  i  Saracin  sono  alloggiati, 
E  parla,  con  licenza  del  suo  duce. 
Al  Re  Africau;  ch'amici  erano  stati: 


34.  4.  Riman.  Su  questo  sing.  cfr.  la  n.  4, 
del  e.  XIV,  10. 

3.5.  2.  Potè.  La  Principe  ha  puote. 

36.  4.  né  forse  ecc.  Lo  fecero  perché,  pre- 
vedendo che,  per  1'  ora  già  tarda,  la  pugna 
sarebbe  avvenuta  nella  mattina  seguente, 
avrebbero  avuto  cosi  il  sole  di  dietro  e  non 
negli  occhi.  Nelle  partite  cavalleresche  re- 
golari, il  sole  si  divideva  equamente  dal 
giudice  del  campo,  ma  qui  si  tratta  di  guer- 
ra più  che  di  una  partita  cavalleresca,  e 
chi  può,  prende  il  suo  vantaggio.  K  cosi 
non  mostrarono  poca  generosità,  come  op- 
pone qualche  commentatore,  ma  fecero  co- 
noscere di  essere  ben  accorti  e  pratici  del 
mestiere  delle  armi. 

37.  e.  amici  ecc.  Amici  veramente  erano 
stati;  perché,  andando  Brandimarte,  in 
cerca  d'Orlando,  dalla  corte  di  Dolistone 
in  Francia,  era  stato  da  una  tempesta  spinto 
in  Affrica.  Ivi,  sentendo  parlare  del  grande 
esercito  di  Agramante,  va  al  campo  di  lui 
per  provare  i  migliori  guerrieri  ;  è  accolto 


E  Brandimarte  già  con  la  bandiera 
Del  Re  Agramantein  Franciapassatoera. 
38 

Dopo  i  saluti  e  '1  giunger  mano  a  mano, 
Molte  ragion,  si  come  amico,  disse 
Il  ledei  cavalliero  al  Re  pagano, 
Perché  a  questa  battaglia  non  venisse: 
E  di  riporgli  ogni  cittade  in  mano. 
Che  sia  tra  '1  Nilo  e  '1  segno  ch'Ercol fìsse, 
Con  volontà  d'Orlando  gli  offeria, 
Se  ci'eder  volea  al  tìglio  di  Maria. 
39 

Perché  sempre  v'ho  amato  et  amo  mol- 
Questo  consiglio  (gli  dicea)  vi  dono;  [to, 
E  quando  già,  Sisrnor,  per  me  1'  ho  tolto. 
Creder  potete  eli'  io  l'estimo  buono. 
Cristo  conobbi  Dio,  Maumette  stolto; 
E  bramo  voi  por  ne  la  via  in  eh'  io  sono  : 
Ne  la  via  di  salute.  Signor,  bramo 
Che  siate  meco,  e  tutti  gli  altri  ch'amo. 
40 

Qui  consiste  il  beu  vostro;  né  consiglio 
Altro  potete  prender,  che  vi  vaglia, 
E  men  di  tutti  gli  altri,  se  col  figlio 
Di  Milon  vi  mettete  alla  battaglia; 
Che  '1  guadagno  del  vincere  al  periglio 
De  la  perdita  grande  non  si  agguaglia. 
Vincendo  voi,  poco  acquistar  potete; 
Ma  non  perder  già  poco,  se  perdete. 
41 

Quando  uccidiate  Orlando,  e  noi  venuti 
Qui  per  morire  o  vincere  con  Ini, 
Io  non  veggo  per  questo  che  i  perduti 
Dominii  a  racquistar  s'abbian  pervni. 
Né  dovete  sperar  che  si  si  muti 


ed  onorato,  come  figlio  del  re  Monodante, 
vi  conosce  anche  Ruggero.  lunanior.  Il, 
xxvn,  xxvni.  Ma  il  B.  non  dice  che  Bran- 
dimarte venisse  in  Francia  sulle  navi  di 
Agramante,  meno  ancora  sotto  le  sue  ban- 
diere, perché  era  già  cristiano.  Forse  l' A., 
per  rendere  più  efficace  il  tentativo  di  Bran- 
dimarte e  aver  miglior  modo  di  farlo  av- 
vicinare ad  Agramante,  ha  supposto  ciie 
egli  dall'Affrica,  per  sua  comodità,  appro- 
fittando del  passaggio  degli  infedeli,  tra- 
versasse il  mare  sulle  loro  navi  (con  la 
loro  bandiera).  Credere  che  l'A.  abbia  di- 
menticato la  conversione  di  Brandimarte  e 
r  abbia  fatto  militare  tra  gli  infedeli  è  in- 
verosimile e  strano. 

38.  3.  fedel,  cristiano.  Cosi  alla  st.  49,  2. 

—  6.  segno  eh'  Er.,  le  colonne  d'  Ercole. 
V.  e.  IV,  61,  n.  S. 

39.  3.  quando,  poiché.  V.  e.  I,  18,  n.  3. 

—  5.  Manmette,  Maometto. 

40.  3.  E  men...  se;  e  meno  di  tutti  gli  altri 
consigli  vi  varrà  quello  di  mettervi  ecc. 
Costrutto  non  chiaro,  osserva  con  ragione 
il  Nisiely. 


558 


ORLANDO  FURIOSO 


Lo  stato  de  le  cose,  morti  nui, 
Ch'uomini  a  Carlo  manchino  da  porre 
Quivi  a  guardar  fin  all'estrema  torre. 

42 
Cosi  parlava  Brandimarte,  et  era 
Per  sug<jiungere  ancor  molte  altre  cose; 
Ma  fu  con  voce  irata  e  faccia  altiera 
Dal  Pagano  interrotto,  che  rispose: 
Temerità  per  certo  e  pazzia  vera 
E  la  tua.  e  di  qualunque  che  si  pose 
A  consigliar  mai  cosa  o  buona  o  ria, 
Ove  chiamato  a  consigliar  non  sia. 
43 
E  che  '1  consiglio  che  mi  dai,  proceda 
Da  ben  che  m'hai  Voluto,  e  vuommi  an- 

[cora, 

10  non  so,  a  dire  il  ver,  come  io  tei  creda, 
Quando  qui  con  Orlando  ti  veggo  ora. 
Crederò  ben,  tu  che  ti  vedi  in  preda 

])i  quel  dragon  che  l'anime  devora. 
Che  brami  teco  nel  dolore  eterno 
Tutto  '1  mondo  poter  trarre  all'  inferno. 
44  [regno 

Ch'  io  vinca  o  perda,  o  debba  nel  mio 
Tornare  antiquo,  o  sempre  starne  in  ban- 
In  mente  sua  n'ha  Dio  fatto  disegno,  (do, 

11  qual  né  io,  né  tu,  né  vede  Orlando. 
.Sia  quel  che  vuol,  non  potrà  ad  atto  inde- 
Di  Re  inchinarmi  mai  timor  nefando,  [gno 
S' io  fossi  certo  di  morir,  vo'  morto 
Prima  restar,  ch'ai  sangue  mio  far  torto. 

45 

Or  ti  puoi  ritornar;  che  se  migliore 
Non  sei  dimani  in  questo  campo  armato. 
Che  tu  mi  sia  paruto  oggi  oratore, 
Mal  troverassi  Orlando  accompagnato. 
Queste  ultime  parole  usciron  fuore 
Del  petto  acceso  d'Agramante  irato. 
Ritornò  l'uno  e  l'altro,  e  ripososse, 
Fin  che  del  mare  il  giorno  uscito  fosse. 
4fi  [mati. 

Nel  biancheggiar  de  la  nuova  alba  ar- 
E  in  un  momento  fur  tutti  a  cavallo. 
Pochi  sermon  si  sou  tra  loro  usati: 
Non  vi  fu  indugio,  non  vi  fu  intervallo: 

41.  8.  fin  all'es.  V.,  per  il  costrutto,  e.  ir, 
28,  n.  8. 

4:5.  2.  vuommi,  vuoimi,  mi  vuoi.  Dantk, 
Par.  XVI,  «  O  fronda  mia,  in  cui  io  com- 
piacemmi  (coinpiaceimi)  ». 

—  6.  Di  q.  dragon  ;  del  dsnionio.  È  espres- 
sione biblica  :  «  Leo  rugiens  circuit  (juerens 
(luem  deverei».  S.  Pietro,  Ep.  I,  5. 

44.  1.  Ch'io  V.  ecc.  Dipende  da  ìia  fatto 
disegnò:  Dio  ha  già  designato  che  io  vinca 
o  perda  ecc.  Il  ne  è  pleonastico. 

45.  1.  se  migliore  ecc.  Se  domani  armato 
in  questo  campo  tu  non  sei  migliore  di 
quello  che  mi  sei  sembrAto  oggi  (come) 
oratore.  ■ 


Che  i  ferri  de  le  lancie  hanno  abbassati. 
Ma  mi  parria,  Signor,  far  troppo  fallo. 
Se,  per  voler  di  costor  dir,  lasciassi 
Tanto  Ruggier  nel  mar,  che  v'affogassi. 

47 
Il  giovinetto  con  piedi  e  con  braccia 
Percotendo  venia  l'orribil  onde. 
Il  vento  e  la  tempesta  gli  minaccia; 
Ma  più  la  conscienza  lo  confonde. 
Teme  che  Cristo  ora  vendetta  faccia; 
Che,  poi  che  battezzar  ne  l'acque  monde, 
Quando  ebbe  tempo,  si  poco  gli  calse, 
Or  si  battezzi  in  queste  amare  e  salse. 

48 
Gli  ritornano  a  mente  le  promesse 
Che  tante  volte  alla  sua  donna  fece; 
Quel  che  giurato  avea  quando  si  messe 
Contra  Rinaldo,  e  nulla  satisfece. 
A  Dio,  eh'  ivi  punir  non  lo  volesse. 
Pentito  disse  quattro  volte  e  diece  ; 
E  fece  voto  di  core  e  di  fede 
D'esser  Cristian,  se  ponea  in  terra  il  piede: 

49 
E  mai  più  non  pigliar  spada  né  lancia 
Contra  ai  Fedeli  in  aiuto  de'  Mori; 
Ma  che  ritorneria  subito  in  Francia, 
E  a  Carlo  renderla  debiti  onori; 
Né  Bradamante  più  terrebbe  a  ciancia, 
E  verria  a  fine  onesto  de  i  suo'  amori. 
Mii-acol  fu,  che  senti  al  fin  del  voto 
I  Crescersi  forza,  e  agevolarsi  il  nuoto. 

50 
Cresce  la  forza  e  l'animo  indefesso: 
Ruggier  percuote  l'onde  e  le  respinge. 
L'onde  che  seguon  l'una  all'altra  presso, 
Di  che  una  il  leva,  un'altra  lo  sospinge. 
Cosi  montando  e  discendendo  spesso 
Con  gran  travaglio,  al  fin  l'arena  attingo; 
E  da  la  parte  onde  s'inchina  il  colle 
Più  verso  il  mar,  esce  bagnato  e  molle. 


47.  .3.  gli  minaccia  ;  V.  e.  xir,  G,  n.  7. 

—  6.  Che;  perché.  V.  e.  i,  27,  8  e  pas- 
sim. —  battezzar,  battezzarsi.  Questa  forma 
neutra  non  è  citata  dai  vocabolari. 

48.  7.  di  core  e  di  f.  Uniscilo  a  Cristian: 
cristiano  per  cuore  e  per  fede. 

49.  5.  terr.  a  ciancia,  o  in  Ciancia;  ter- 
rebbe a  bada  con  parole. 

50.  1.  l'animo,  il  coraggio. 

—  4.  Di  che;  delle  quali  onde.  —  sospin- 
ge. Par  voglia  dire  spinge  in  baaso  dal  lat. 
sub,  pingere,  come  si  rileva  dal  verso  se- 
guente. Ma  è  significato  non  citato  dai  vo- 
cabolari. 

—  7.  s'inch.  il  colle;  dove  lo  scoglio  è 
meno  scosceso  e  meno  a  picco  e  perciò  dà 
l)iù  facile  approdo. 

•—    8.    bagnato    e   molle.  V.  e.  vi,  G,  n.  3. 


CANTO  XLI 


559 


51 
Fui-  tutti  gli  altri  che  nel  mar  si  diero, 
Vinti  da  l'onde,  e  al  fin  restar  ne  l'acque. 
Nel  solitario  scoglio  usci  Ruggiero, 
Come  all'alta  Bontà  divina  piacque. 
Poi  che  fu  sopra  il  monte  inculto  e  fiero 
Sicnr  del  mar,  nuovo  timor  gli  nacque 
D'avere  esilio  in  si  strette  Confine, 
E  di  morirvi  di  disagio  al  fine. 


Ma  pur  col  core  indomito,  e  costante 
Di  patir  quanto  è  in  ciel  di  lui  prescritto, 
Pei  duri  sassi  l' intrepide  piante 
Mosse,  poggiando  in  ver  la  cima  al  dritto. 
Non  era  cento  passi  andato  inante. 
Che  vide  d'anni  e  d'astinenzie  aiflitto 
Uom  ch'avea  d'  Eremita  abito  e  segno, 
Di  molta  riverenzia  e  d'onor  degno; 
53 

Che,  come  gli  lu  presso,  Saulo,  Sanlo, 
Gridò,  perché  persegui  la  mia  Fede? 
(Come  allor  il  Signor  disse  a  san  Paulo, 
Che  '1  colpo  salutifero  gli  diede) 
Passar  credesti  il  mar,  né  pagar  naulo, 
E  defraudare  altrui  de  la  mercede. 
Vedi  che  Dio,  ch'ha  lunga  man,  ti  giunge. 


51.  1.  nel  DJ.  si  dlero;  si  dettero  al  mare, 
si  misero  in  mare.  È  costrutto  venuto  dal 
latino,  che  dice  se  dare  in  viam,  in  mare, 
mettersi  in  via,  in  mare. 

—  5.  fiero;  aspro,  orrido.  V.  e.  i,  13;  iv, 
G8;  XLii,  20. 

—  7.  confine,  confini.  Villani,  I,  44,  1  : 
«  Le  sue  confine  erano...  iufiuo  alla  città 
d'Adria  ». 

ó'2.  6.  afflitto,  estenuato  dagli  anni  e  dalle 
astinenze.  Bocc.  Nov.  6:  «l'orare  e  il  di- 
sciplinarsi... dover  gli  uomini...  afflitti  ren- 
dere ». 

—  7.  segno.  Forse  sta  per  segni;  cioè 
croci  e  sacre  immagini  in  dosso.  Può  anche 
intendersi  per  portamento  ;  ma  i  vocabo- 
lari non  citano  questo  significato. 

03.  1.  Saulo,  Saulo.  S.  Paolo  era  un  ebreo 
di  Tarso,  che  si  chiamava  saulo.  Andando 
a  Damasco  per  sterminarvi  i  cristiani  fu 
colpito  per  via  da  una  luce  divina,  mentre 
una  voce  gli  gridava  «  Saule,  Saule,  cur  me 
persequeris  ?  »  Per  ciò  si  converti  a  Cri-  ' 
sto.  V.  Atti  dee/li  Apostoli,  cap.  7,  S,  9. 

—  5.  naulo,  nolo.  È  forma  antica  di  na- 
volo,  e  pili  vicina  al  lat.  naulum.  Rug- 
gero passò  il  mare  per  grazia  di  Cristo, 
che  fu  come  la  barca  della  sua  salvezza: 
ed  egli  deve,  come  nolo,  convertirsi  a  lui. 

—  7.  ch'ha  1.  m.  Il  Morali  scrive  eh'  a 
l.  in.;  ma  è  chiaro  che  nell'ediz.  del  '32  è 
corso  questo  errore  di  stampa  e  che  è  sfug- 
gito pure  al  Morali.  ' 


Quando  tu  gli  pensasti  esser  più  lunge, 
54 

E  seguitò  il  santissimo  Eremita, 
Il  qual  la  notte  inanzi  avuto  avea 
In  vision  da  Dio,  che  con  sua  aita 
Allo  scoglio  Ruggier  giunger  dovea: 
E  di  lui  tutta  la  passata  vita, 
E  la  futura,  e  ancor  la  morte  rea. 
Figli  e  nipoti  et  ogni  discendente 
Gli  avea  Dio  rivelato  interamente. 
55 

Seguitò  r  Eremita  riprendendo 
Prima  Ruggiero;  e  al  fin  poi  confortollo. 
Lo  riprendea  ch'era  ito  diff"erendo 
I Sotto  il  soave  giogo  a  porre  il  collo; 
E  quel  che  dovea  far,  libero  essendo. 
Mentre  Cristo  pregando  a  sé  chiamollo, 
Fatto  avea  poi  con  poca  grazia,  quando 
Venir  con  sferza  il  vide  minacciando. 
56 

Poi  confortollo  che  non  niega  il  cielo 
Tardi  o  per  tempo  Cristo  a  chi  gliel  chic- 
E  di  quegli  operarli  del  Vangelo         [de; 
Narrò,  che  tutti  ebbono  ugual  mercede. 
Con  caritade  e  con  devoto  zelo 
Lo  venne  ammaestrando  ne  la  Fede 
Verso  la  cella  sua  con  lento  passo, 


—  S.  gli;  Uniscilo  a  esser;  essergli,  es-, 
sere  a  lui  p.  1. 

54.  2.  avuto  av.  ;  avea  saputo. 

—  (3.  morte  rea;  crudele,  per  tradimento 
dei  Maganzesi.  V.  e.  xxxvi,  64,  4  ;  e  più 
sotto  st.  61. 

55.  4.  sotto  il  s.  g.  S.  Matteo,  11,  30: 
«luguin  meum  suave  est  et  onus  meum 
leve»;  cosi  dice  Cristo. 

—  6.  pregando,  invitandolo  a  sé  con  dol- 
cezza. 

—  7.  grazia.  Intendi:  quella  spontaneità 
che  rende  grato  il  sacrifizio.  Questo  è 
pure  il  senso  di  grazia  nel  e.  xxxiv,  26,  5. 
I  vocabolari  non  danno  né  questo  signi- 
ficato, né  altro  che  ^^i  adatti  a  questi  due 
luoghi. 

5C.  2.  Cristo.  È  soggetto  di  ìiega. 

—  3.  di  q.  operarli.  Accenna  alla  para- 
bola evangelica  del  padrone,  che  avendo 
preso  a  lavorar  nella  sua  vigna  diversi 
operai  in  diverse  ore  del  giorno,  volle,  la 
sera,  pagarli  tutti  di  egual  moneta.  S.  Mat- 
teo 20. 

—  6.  Lo  venne...  verso  ecc.  Molto  spiccia- 
mente si  potrebbe  sottintendere  un  andati- 
do  (verso  la  cella);  ma  chi  ricorda  l'amore 
dell'  A.  per  le  strane  inversioni,  special- 
mente delle  particelle  pronominali  intende- 
rà piuttosto  :  Con  caritade  e  con  divoto  zelo 
ammaestrandolo  nella  fede,  venne  verso  la 
cella  sua  ecc. 


560 


ORLANDO  FURIOSO 


Ch'era  cavata  a  mezzo  il  duro  sasso. 
57 

Di  sopra  siede  alla  devota  cella 
Una  piccola  chiesa  che  risponde 
All'Oriente,  assai  commoda  e  bella: 
Di  sotto  un  bosco  scende  sin  all'onde, 
Di  lauri  e  di  ginepri  e  di  mortella, 
E  di  palme  fruttifere  e  feconde; 
Che  riga  sempre  una  liquida  fonte, 
Che  mormorando  cade  giù  dal  monte. 
58 

Eran  degli  anni  ormai  presso  a  quaranta 
Che  su  lo  scoglio  il  fraticel  si  messe; 
Ch'a  menar  vita  solitaria  e  santa 
Luogo  oportuno  il  bàlvator  gli  elesse. 
Di  frutte  colte  or  d'una  or  d'altra  pianta, 
E  d'acqua  pura  la  sua  vita  resse, 
Che  valida  e  robusta  e  senza  affanno 
Era  venuta  all'ottantesimo  anno. 
59 

Dentro  la  cella  il  V  ecchio  accese  il  fuoco, 
E  la  mensa  ingombrò  di  varii  frutti, 
Ove  si  ricreò  Ruggiero  un  poco. 
Poscia  eh'  i  panni  e  i  capelli  ebbe  asciutti. 
Imparò  poi  più  ad  agio  in  questo  loco 
Di  nostra  Fede  i  gran  misterii  tutti; 
Et  alla  pura  fonte  ebbe  battesmo 
Il  di  seguente  dal  Vecchio  medesmo. 
60 

Secondo  il  luogo,  assai  contento  stava 
Quivi  Ruggier;  che  '1  buon  servo  di  Dio 
Fra  pochi  giorni  intenzion  gli  dava 
Di  rimandarlo  ove  più  avea  disio. 


—  8.  a  mezzo  ecc.  Tiiteudi  che  sopra  que- 
sto scoglio  era  una  chiesa;  a  metà  di  esso, 
scavata  nel  sasso,  la  cella,  ai  piedi  poi  si 
stendeva  un  bosco. 

.57.  3.  Air  oriente.  Le  chiese  sono  tutte,  in 
generale,  rivolte  all'oriente,  come  a  indi- 
care che  da  esse  viene  il  sole  di  verità  e 
di  vita. 

-^    7.    liquida,    limpida.  V.  e.  i,  37,  n.  3. 

.jS.  1.  degli  anni.  E  un  complemento  di 
limitazione,  affine  a  quello,  che  usiamo  nel 
linguaggio  comune:  es.  «Il  tale  degli  anni 
deve  averne  presso  a  quaranta  ».  Ma  col 
verbo  essere  oggi  non  T  useremmo.  For- 
s'anche  è  da  vedervi  la  fusione  di  due  co- 
strutti come  nel  e.  xvm,  81,  5:  Eran  degli 
anni,  eran  molti  anni:  eran  presso  a  qua- 
rani'  anni. 

—  3.  ch'a  m.  ;  cui  (lo  scoglio)  a  m. 

60.  1.  Secondo  il  1.;  fatta  ragion  del  luogo. 
Boccaccio,  J\'ov.  99:  «Quivi,  secondo  cena 
sprovveduta,  furono  assai  bene  serviti  ». 
Intendi  dunque:  Ruggero  stava  qui  assai 
contento  come  poteva  stare  in  luogo  cosi 
lontano  da  Bradamante,  ma  vi  stava  con- 
tento perché  il  buon  servo  di  Dio  gli  pro- 
metteva di  rimandarlo  fra  pochi  giorni  ecc. 


Di  molte  cose  intanto  ragionava 
Con  lui  sovente,  or  al  regno  di  Dio, 
Or  a  gli  proprii  casi  appertinenti, 
Or  del  suo  sangue  alle  future  genti. 
61 

Avea  il  Signor,  che  '1  tutto  intende  e 
Rivelato  al  santissimo  Eremita,      [vede, 
Che  Ruggier  da  quel  di  ch'ebbe  la  Fede, 
Dovea  sette  anni,  e  non  più,  stare  in  vita; 
Che  per  la  morte  che  sua  Donna  diede 
A  Pinabel,  ch'a  lui  fia  attribuita, 
Saria,  e  per  quella  ancor  di  Bertolagi, 
Morto  dai  Maganzesi  empi  e  malvagi: 
62 

E  che  quel  tradimento  andrà  si  occulto. 
Che  non  se  n'udirà  di  fuor  novella; 
Perché  nel  proprio  loco  fia  sepulto, 
Ove  anco  ucciso  da  la  gente  fella: 
Per  questo  tardi  vendicato  et  ulto 
Fia  da  la  moglie  e  da  la  sua  sorella: 
E  che  col  ventre  pien  per  lunga  via 
Da  la  moglie  fedel  cercato  fia: 
63 

Fra  l'Adice  e  la  Brenta  a  piò  de'  colli 


—  3.  intenzion  gli  d.  V.  e.  vii,   78,   u.  5. 

—  7.  appertinenti  (dall' inusit.  apperti- 
nere,  che  è  forma  latina).  Sannazz.  Are. 
10;  «Le  medicine  appertinenti  ai   morti». 

CI.  4.  Dovea  ecc.  L'A.  svolge  un  accenno 
del  Boiardo,  che  nel  e.  II,  xvi,  53  avea  detto 
di  Ruggiero:  «il  cielo  e  la  fortuna  vuole 
Che  a  tradimento  sia  ucciso  con  pene  ». 

—  7.  Bertolagi.  V.  e.  xxvr,  13.  Pinabello 
era  stato  ucciso  da  Bradamante,  Bertolagi 
da  Aldigiero  e  Ricciardetto,  ma  i  Magan- 
zesi ne  avrebbero  fatto  carico  a  lui,  perché 
Bradamante  sarebbe  divenuta  sua  moglie: 
e  degli  altri  due,  Ruggero  era  stato  com- 
pagno e  ispiratore. 

62.  3.  nel  proprio;  nello  stesso.  Castigl. 
Cortigiano,  9:  «calunnie  che  al  proprio 
Boccaccio  son  date  ».  Oggi  per  lo  più  coi 
soli  pron.  personali  :  es.  «  Consegnalo  a  me 
proprio  (a  me  stesso). 

—  5.  vendicato  et  ulto.  Ulcisci  era,  per 
i  Latini,  vendicare  l'offesa;  vindicare,  pu- 
nire il  misfatto  :  ulto  dunque  dice  non  solo 
la  punizione  del  reo,  ma  anche  la  vendetta, 
che  si  prende  l'offeso.  Ma  ormai  questo  è 
poetico  e  si  usa  solo  nel  particip.  pass,  e 
nel  sost.  verb.  ultore.  Tutto  questo,  che  se- 
gue, su  Ruggero  e  la  sua  famiglia,  è  detto 
per  riempir  la  lacuna  della  genealogia  K- 
stense  esposta  nel  e.  in,  dove  di  queste  ori- 
gini si  ha  un  cenno  fuggevole. 

63.  1.  Fra  l'A.  ecc.  Determina  il  territo- 
rio Padovano.  Dice  la  leggenda  che  Ante- 
nore Troiano  dojìo  la  rovina  di  Troia  ve- 
nisse in  Italia  e  fondasse  Padova  presso  ai 
colli  Euganei,' ricchi  di  sorgenti  sulfuree, 
V.  Viro.  Georg.  I,  251  segg. 


CANTO  XLI 


561 


Ch'ai  Ti-oiauo  Antenòr  piacqueno  tanto, 
Con  le  sulfuree  vene  e  rivi  molli, 
Con  lieti  solchi  e  prati  ameni  a  canto, 
Che  con  l'alta  Ida  volentier  mutolli, 
Col  sospirato  Ascanio  e  caro  Xanto, 
A  parturir  verrà  ne  le  foreste 
Che  son  poco  lontane  al  Frigio  Ateste: 
64 

E  eh'  in  bellezza  et  in  valor  cresciuto 
Il  parto  suo  che  pur  Ruggier  tìa  detto, 
E  del  sangue  Troian  riconosciuto 
Da  quei  Troiani,  in  lor  Signor  tìa  eletto; 
E  poi  da  Carlo,  a  cui  sarà  in  aiuto 
Incontra  i  Longobardi  giovinetto, 
Dominio  giusto  avrà  del  bel  paese, 
E  titolo  onorato  di  Marchese. 
65 

E  perché  dirà  Carlo  in  latino  :  Este 
Signori  qui,  quando  faragli  il  dono; 
Nel  secolo  futur  nominato  Este 
Sarà  il  bel  luogo  con  augurio  buono; 
E  cosi  lascierà  il  nome  d' Ateste 
De  le  due  prime  note  il  vecchio  suono. 
Avea  Dio  ancora  al  servo  suo  predetta 
Di  Ruggier  la  futura  aspra  vendetta: 
66 

Ch'  in  visione  alla  fedel  consorte 
Apparirà  dinanzi  al  giorno  un  poco; 
E  le  dirà  chi  l'avrà  messo  a  morte, 
E,  dove  giacerà,  mostrerà  il  loco: 
Onde  ella  poi  con  la  cognata  forte 
Distruggerà  Pontieri  a  ferro  e  a  fuoco; 
Né  farà  a'  Magauzesi  minor  danni 
Il  figlio  suo  Ruggiero,  ov'abbia  gli  anni. 
67 

D'Azzi,  d'Alberti,  d'Obici  discorso 


—  2.  piacqueno,  piacquero.  È  termina- 
zione popolare  ancor  viva  nel  volgo  To- 
scano. 

—  5.  Ida,  monte  vicino  a  Troia,  ^Scanio, 
lago  e  fiume  della  Bitinia  soggetta  a  Pria- 
mo, Xanto,  0  Scamandro,  fiume  della  pia- 
nura Troiana. 

—  8.  Ateste,  nome  antico  di  Este  (forse 
da  Athesis,  Adige)  castello  del  Padovano: 
detto  Frigio,  perché  fabbricato,  secondo  la 
leggenda,  da'  Troiani  popolo  della  Frigia. 
Cfr.  e.  in,  24,  25,  dove  dice  le  stesse  cose. 

65. 1.  E  perché  ecc.  L'etimologia  Ariostesca 
di  Este  non  ha  fondamento  alcuno  di  ve- 
rità. Non  è  che  l'antico  Ateste  accorciato. 
Este  ìlio  domini  era  veramente  la  formula 
d' investitura. 

—  4.  con  aagnrio  b.,  con  felice  augurio 
di  continuo  e  forte  dominio. 

66.  2.  Apparirà.  Il  sogg.  è  Ruggero. 

—  5.  cognata;  Marfisa. 

—  8.  ov'abl).  ;  quando  abbia.  Petr.  Ili, 
canz.  6:  «  L'  anima  a  cui  vien  manco  Consi- 
glio, ove  '1  martir  l'adduce  in  forse  ». 

67.  1.  Obici.  Comunemente  Obizi.  Per  gli 


Fatto  gli  aveva,  e  di  lor  stirpe  bella, 
Insino  a  Nicolò,  Leonello,  Berso, 
Ercole,  Alfonso,  Ippolito  e  Issabella. 
Ma  il  santo  Vecchio,  ch'alia  lingua  ha  il 

[morso, 
Non  di  quanto  egli  sa  pei'ò  favella: 
Narra  a  Ruggier  quel  che  narrar  convien- 
E  quel  eh'  in  sé  de'  ritener,  ritiensi.     {si; 

68 
In  questo  tempo  Orlando  e  Brandimarte 
E  '1  marchese  Olivier  col  ferro  basso 
Vauno  a  trovar  il  Saracino  Marte 
(Che  cosi  nominar  si  può  Gradasso) 
E  gli  altri  duo  che  da  contraria  parte  [so; 
Han  mosso  i  buon  destrier  più  che  di  pas- 
lo  dico  il  Re  Agramante  e  '1  Re  Sobrino: 
Rimbomba  al  corso  il  lito  e  '1  mar  vicino. 

69 
Qnando  allo  scontro  vengono  a  trovarsi, 
E  in  tronchi  vola  al  ciel  rotta  ogni  lancia, 
Del  gran  rumor  fu  visto  il  mar  gonfiarsi, 
Del  gran  rumor  che  s'udi  sino  in  Francia. 
Venne  Orlando  e  Gradasso  a  riscontrarsi; 
E  potea  stare  ugual  questa  bilancia, 
Se  non  era  il  vantaggio  di  Baiardo, 
Che  fé'  parer  Gradasso  più  gagliardo. 

70 
Percosse  egli  il  destrier  di  minor  forza, 
Ch'Orlando  avea,  d'un  urto  cosi  strano. 
Che  lo  fece  piegare  a  poggia  e  ad  orza, 
j  E  poi  cader,  quanto  era  lungo,  al  piano. 
Orlando  di  levarlo  si  risforza        [mano; 
Tre  volte  e  quattro,  e  con  sproni  e  con 
E  quando  al  fin  noi  può  levar,  ne  scende. 
Lo  scudo  imbraccia,  e  Balisarda  prende. 

71 
Scontrossi  col  Re  d'Africa  Oliviero; 


altri  nomi  vedi  il  e  ili. 

68.  5.  da  contraria  p.,  a  quella  dov'  era 
Orlando  con  i  suoi. 

—  6.  i  b.  destr.  Il  Morali  legge,  certo 
per  errore  o  svista,  il  b.  dest.  che  io  ho 
corretto  secondo  l'ediz.  del  1532. 

69.  1.  trovarsi;  colpirsi.  V.  e.  xxx,  59, 
u.  2. 

—  3.  Del  gr.  r.  ;  per  il  gr.  r.  V.  e.  Xiii, 
33,  n.  3.  Queste  esagerazioni,  frequentissime 
nel  Boiardo,  erano  proprie  del  poema  ca- 
valleresco popolare.  L'A.  sacrifica  anche 
egli,  sebbene  parcamente,  all'usanza. 

70.  3.  a  poggia  e  ad  o.  Poggia  e  orza  e- 
rano  due  direzioni  opposte  della  nave  ;  per- 
ciò qui  vuol  dire  di  qua  e  di  là  dal  cavallo. 

—  5.  risforza;  raddoppia  gli  sforzi.  V. 
e.  XL,  27,  1;  e  xxxix,  55,  4. 

—  8.  Lo  sondo  imbr.  S' intende  che  lo  a- 
veva  al  braccio  anche  avanti,  ma  per  rial- 
zare il  cavallo  lo  aveva  messo  per  un  mo- 
mento al  collo  (dove  solevano  portarlo)  a 
in  terra,  ---j'ì  .i.i^-'.'m  ^ 


Ariosto  —  Papini 


36 


562 


ORLANDO  PU/IIOSO 


E  fur  di  quello  incontro  a  paro  paro, 
Brandimarte  restar  senza  destriero 
Fece  Sobrin:  ma  non  si  seppe  chiaro 
Se  v'ebbe  il  destrier  colpa  o  il  cavallioro, 
Ch'avvezzo  era  cader  Sobrin  di  raro. 
O  del  destriero  o  suo  pur  fosse  il  fallo, 
Sobrin  si  ritrovò  giù  del  cavallo. 
72 

Or  Brandimarte  che  vide  per  terra 
Il  Re  Sobrin,  non  l'assali  altrimente; 
Ma  contra  il  Re  Gradasso  si  disserra, 
Ch'avea  abbattuto  Orlando  parimente. 
Tra  il  Marchese  e  Agramante  andò  la  guer- 
Come  fu  cominciata  primamente:        [ra 
Poi  che  si  roppon  l'iste  ne  gli  scudi, 
S'eran  tornati  incontra  a  stocchi  ignudi. 
73 

Orlando,  che  Gradasso  in  atto  vede, 
Che  par  ch'a  lui  tornar  poco  gli  caglia; 
Né  tornar  Brandimarte  gli  concede, 
Tanto  lo  stringe  e  tanto  lo  travaglia; 
Si  volge  intorno,  e  similmente  a  piede 
Vede  Sobrin  che  sta  senza  battaglia,    [te 
Ver  lui  s'avventa;  e  al  muover  de  le  pian- 
Fa  il  ciel  tremar  del  suo  fiero  sembiante. 
74 

Sobrin,  che  di  tanto  uom  vede  l'assalto. 
Stretto  ne  l'arme  s'apparecchia  tutto: 
Come  nocchiero  a  cui  vegna  a  gran  salto 
Muggendo  incontra  il  minaccioso  flutto, 
Drizza  la  prora;  e  quando  il  mar  tant'alto 
Vede  salire,  esser  vorria  all'asciutto. 
Sobrin  lo  scudo  oppone  alla  mina 
Che  da  la  spada  vien  di  Fallerina. 
75 

Di  tal  finezza  è  quella  Balisarda, 
Che  l'arme  le  puon  far  poco  riparo: 
In  man  poi  di  persona  si  gagliarda, 
In  man  d'Orlando,  unico  al  mondo  o  raro. 
Taglia  lo  scudo;  e  nulla  la  ritarda, 
Perché  cerchiato  sia  tutto  d'acciaro: 
Taglia  lo  scudo,  e  sino  al  fondo  fende, 
E  sotto  a  quello  in  su  la  spalla  scende. 


71.  2.  di  q.  in.;  in  quell'incontro.  È  com- 
plemento di  limitazione. 

—  6.  avvezzo...  cader;  avv.  a  cader.  V.  e. 
I,  4,  n.  1. 

—  7.  0  sno  pur,  0  pur  suo.  V.  evi,  4,  n.  7. 

72.  3.  si  disserra;  si  scaglia;  si  precipita. 
Di  questo  verbo  l'A.  fece  molto  uso.  V.  e. 
I,  61;  XXXI,  11. 

—  4.  parimente  com'  egli  Sobrino. 

—  7.  roppon,  ruppono,  ruppero. 

—  8.  stocchi,  spade.  Cosi  l'A.  nel  canto 
xviii,  46,  180,  ecc. 

74.  5.  drizza  la  pr.;  gli  volge  contro  la  pr. 
per  non  esser  rovesciato. 

—  8.  di  Fallerina.  V.  e.  vii,  76,  n.  1. 

75.  6.  Perché,  benché.  Cosi  spesso,  non 
solo  negli  antichi,  ma  anche,  specialmente 
in  poesia,  presso  i  moderni.  Dante,  Purg. 


76 
Scende  alla  spalla;  e  perché  la  ritrovi 
Di  doppia  lama  e  di  maglia  coperta. 
Non  vuol  però  che  molto  ella  le  giovi, 
Che  di  gran  piaga  non  la  lasci  aperta. 
Mena  Sobrin;  ma  indarno  è  che  si  provi 
Ferire  Orlando,  a  cui  per  grazia  certa      • 
Diede  il  Motor  del  cielo  e  de  le  stelle, 
Che  mai  forar  non  se  gli  può  la  pelle. 
77 
Raddoppia  il  colpo  il  valoroso  Conte, 
E  pensa  da  le  spalle  il  capo  tòrgli. 
Sobrin  che  sa  il  valor  di  Chiaramonte, 
E  che  poco  gli  vai  lo  scudo  opporgli. 
S'arretra,  ma  non  tanto,  che  la  fronte 
Non  venisse  anco  Balisarda  acórgli. 
Di  piatto  fu,  ma  il  colpo  tanto  fello,    [lo. 
Ch'ammaccò  l'elmo,  e  gl'intronò  il  cervel- 
78 
Cadde  Sobrin  del  fiero  colpo  in  terra, 
Onde  a  gran  pezzo  poi  non  è  risorto. 
Crede  finita  aver  con  lui  la  guerra 
Il  Paladino,  e  che  si  giaccia  morto; 
E  verso  il  Re  Gradasso  si  disserra, 
Che  Brandimarte  non  meni  a  mal  porto: 
Che  '1  Pagan  d'arme  e  di  spada  l'avanza 
E  di  destriero,  e  forse  di  possanza. 
79 
L'ardito  Brandimarte  in  su  Frontino, 
Quel  buon  destrier  che  di  Ruggier  fu  dian- 
Si  porta  cosi  ben  col  Saracino,  [zi, 

Che  non  par  già  che  quel  troppo  l'avanzi: 
E  s'egli  avesse  osbergo  cosi  fino. 
Come  il  Pagan,  gli  staria  meglio  inanzi; 
Ma  gli  convien,  che  mal  si  sente  armato. 
Spesso  dar  luogo  or  d'uno  or  d'altro  lato. 


8,  131  :  «  Che,  perché  il  capo  reo  lo  mondo 
torca.  Sola  va  dritta  ».  V.  la  st.  seg.  1. 

76.  4.  Che,  cosicché.  È  usato  in  questo 
senso  non  di  rado  in  prosa  e  in  poesia. 
L'A.  lo  ha  frequentissimo.  —  di  gran  piaga, 
di  grande  apertura. 

—  5.  indarno  è;  indarno  avviene.    ' 

—  6.  P;  grazia  certa;  certamente  per 
grazia. 

77.  4.  E  che;  e  sa  che. 

—  5.  la  fronte...  anco;  anche  la  fronte 
oltre  lo  scudo. 

—  7.  Di  piatto  ecc.  Costruisci:  il  colpo  fu 
di  piatto,  ma  tanto  fello.  É  una  delle  tante 
sti'ane  inversioni  del  Furioso. 

78.  2.  a  gran  pezzo;  per  molto  tempo. 
Nel  e.  xii,  66,  4,  ha  sino  a  gran  pezzo.  Nel 
e.  xxxii,  38  a  gran  pezzo  significa  di  gran 
lunga.  Nel  primo  senso  non  è  registrato 
dai  vocabolari. 

—  6.  Che,  affinché.  V.  e.  xxiii,  87.  Po- 
trebbe essere  anche  pronome  relativo,  usato 
in  signilicato  finale,  come  il  q>^i  dei  Latini. 

—  7.  Che;  perché,  poiché. 

79.  8.  dar  luogo;  ai  colpi;  sfuggirli. 


CANTO  XLI 


663 


80 

Altro  destrier  non  è  che  meglio  intenda 
Di  quel  Frontino  il  cavalliero  a  cenno: 
Par  che,  dovunque  Durindana  scenda, 
Or  quinci  or  quindi  abbia  a  schivarla  sen- 

[no. 
Agramante  e  Olivier  battaglia  orrenda 
Altrove  fanno,  e  giudicar  si  denno 
Per  duo  guerrier  di  pari  in  arme  accorti, 
E  pochi  diflerenti  in  esser  forti. 
81 

Avea  lasciato,  come  io  dissi,  Orlando 
Sobrino  in  terra;  e  contra  il  Re  Gradasso, 
Soccorrer  Brandimarte  disiando. 
Come  si  trovò  a  pie,  venia  a  gran  passo. 
Era  vicin  per  assalirlo,  quando 
Vide  in  mezzo  del  campo  andare  a  spasso 
Il  buon  cavallo  onde  Sobrin  fu  spinto; 
E  per  averlo,  presto  si  fu  accìnto. 
82 

Ebbe  il  destrier,  che  non  trovò  contesa, 
E  levò  un  salto,  et  entrò  ne  la  sella. 
Ne  l'una  man  la  spada  tien  sospesa, 
Mette  l'altra  alla  briglia  ricca  e  bella. 
Gradasso  vede  Orlando,  e  non  gli  pesa, 
Ch'a  lui  ne  viene,  e  per  nome  l'appella. 
Ad  esso  e  a  Brandimarte  e  all'altro  spera 
Far  parer  notte,  e  che  non  sia  ancor  sera. 
83 

Voltasi  al  Conte,  e  Brandimarte  lassa, 
E  d'una  punta  lo  trova  al  camaglio  : 
Fuor  che  la  carne,  ogni  altra  cosa  passa: 
Per  forar  quella  è  vano  ogni  travaglio. 
Orlando  a  un  tempo  Balisarda  abbassa: 
Non  vale  incanto  ov'ella  mette  il  taglio. 
L'elmo,  lo  scudo,  l'osbergo  e  l'arnese, 
Venne  fendendo  in  giù  ciò  ch'ella  prese; 


80.  7.  dì  pari,  del  pari. 

—  8.  pochi  differenti,  poco  differenti.  V. 
e.  V,  18,  n.  7. 

81.  8.  si  fu  acc;  si  accinse.  V.  e.  ili,  14,  n.  2. 
Si.  5.  e  non  gli  p.  ;   e  non  gli  dispiace. 

—  6.  Ch'a  Ini  ecc.  il  quale  (Orlando)  ne 
viene  a  lui  (Gradasso)  e  Io  chiama  per  nome. 

—  8.  e  che;  e  quando;  e  fargliela  parer 
tale  quando  non  sia  ancor  sera.  V.  canto 
xxin,  70,  n.  8. 

83.  2.  lo  trova,  lo  colpisce.  V.  sopra,  st. 
09,  1.  —  camaglio,  (capomaglio)  armatura  di 
maglia  che  copriva  il  collo  e  poteva  coprire 
anche  il  capo  degli  uomini  d'  arme. 

—  6.  Non  vale  in.  Innam,  II,  iv,  27:  «Ed 
era  fatta  con  tanta  ragione  Che  taglia  in- 
canto ed  ogni  fatagione  ». 

—  7.  L'elmo  ecc.  Questo  verso  è  dichiara- 
zione del  seguente  :  Venne  fendendo  in  giù 
ciò  ch'ella  pr.,  cioè  elmo,  scudo  ecc.  È  una 
delle  solite  inversioni  non  chiare  del  Furioso. 
Nella  Principe  si  ha  «  Dall'elmo  al  scudo  e  dal 
scudo  air  arnese,  Venne  ecc.  »  che  l'Ariosto 


84 

E  nel  volto  e  nel  petto  e  ne  la  coscia 
Lasciò  ferito  il  Re  di  Sericana, 
Di  cui  non  fu  mai  tratto  sangue,  poscia 
Ch'ebbe  quell'arme:  or  gli  par  cosa  strana 
Che  quella  spada  (e  n'  ha  dispetto  e  ango- 
Le  tagli  or  si;  né  pur  è  Durindana,  [scia) 
E  se  pili  lungo  il  colpo  era  o  più  appresso, 
L'avria  dal  capo  insino  al  ventre  fesso. 
85 

Non  bisogna  più  aver  ne  l'arme  fede. 
Come  avea  dianzi;  che  la  prova  è  fatta. 
Con  più  riguardo  e  più  ragion  procede, 
Che  non  solea;  meglio  al  parar  si  adatta. 
Brandimarte  ch'Orlando  entrato  vede, 
Che  gli  ha  di  man  quella  battaglia  tratta, 
Si  pone  in  mezzo  all'una  e  all'altra  pugna, 
Perché  in  aiujio,  ove  è  bisogno,  giugna. 
86 

Essendo  la  1  attaglia  in  tale  istato, 
Sobrin  ch'era  giaciuto  in  terra  molto, 
Si  levò,  poi  eh'  in  sé  fu  ritornato; 
E  molto  gli  dolca  la  spalla  e  '1  volto:     ' 
Alzò  la  vista,  e  mirò  in  ogni  lato; 
Poi  dove  vide  il  suo  Signor,  rivolto. 
Per  dargli  aiuto  i  lunghi  passi  torse 
Tacito  si,  ch'alcun  non  se  n'accorse. 

87  [chi 

Vien  dietro  ad  Olivier  che  tenea  gli  oc- 
Ai  Re  Agramante,  e  poco  altro  attendea; 
E  gli  feri  nei  deretan  ginocchi 
Il  destrier  di  percossa  in  modo  rea, 
Che  senza  indugio  è  forza  che  trabocchi. 
Cade  Olivier,  né  '1  piede  aver  potea. 
Il  manco  pie  ch'ai  non  pensato  caso 
Sotto  il  cavallo  in  staffa  era  rimaso. 
88 

Sobrin  raddoppia  il  colpo,  e  di  riverso 
Gli  mena,  e  se  gli  crede  il  capo  tórre; 


cambiò  per  togliere,  come  fece  sempre,  l'in- 
contro duro  delle  tre  consonanti. 

84.  4.  quell'arme;  che  era  fatta  per  in- 
canto e  atfatata.  V.  e.  xxxiii,  82,  8. 

—  6.  né  pur  è  D.;  e  pur  non  è  1). 

—  7.  pili  lungo,  a  braccio  più  disteso. 
So.  3.  ragion,  perizia.  V.  e.  xvni,  48. 

—  5.  entrato,  in  combattimento. 

—  7.  pugna,  detto  per  metonimia  invece 
di  combattente. 

80.  5.  la  vista,  gli  occhi,  e  non  la  vista 
delVelmo,  come  intendono  alcuni,  a  torto, 
perché,  per  vedere,  i  guerrieri  non  avean 
bisogno  di  ciò. 

87.  2.  poco  al.  att.  ;  attendeva  a  poco  altro. 
Col  compi,  diretto  non  è  frequente.  Dante, 
Inf.  19,  122;  «sempre  attese  Lo  suou  delie 
parole  ». 

—  6.  aver,  ritrarre.  La  Crusca  non  cita 
questo  significato. 

88.  2.  se  gli  crede  ecc.,  si  crede  torgli  il  e. 


564 


ORLANDO  FURIOSO 


Ma  lo  vieta  l'ucciav  lucido  e  terso, 
Che  temprò  già  Vulcan,  portò  giàEttorre. 
Vede  il  periglio  Brandimarte,  e  verso 
n  Re  Sobrino  a  tutta  briglia  corre; 
E  lo  fere  in  sul  capo,  e  gli  dà  d'urto: 
Ma  il  fiero  vecchio  è  tosto  in  pie  risurto  ; 
89 

E  torna  ad  Olivier  per  dargli  spaccio, 
Si  ch'espedito  all'altra  vita  vada; 
0  non  lasciare  al  men  ch'esca  d'impaccio, 
Ma  che  si  stia  sotto  '1  cavallo  a  bada. 
Olivier  e'  ha  di  sopra  il  miglior  braccio. 
Si  che  si  può  difender  con  la  spada, 
Di  qua  di  là  tanto  percuote  e  punge, 
Che,  quanta  è  lun^a,  fa  Sobrin  star  luuge. 
90 

Spera,  s'alquanto  il  tien  da  sé  rispinto, 
In  poco  spazio  uscir  di  quella  pena. 
Tutto  di  sangue  il  vede  molle  e  tinto, 
E  che  ne  versa  tanto  in  su  l'arena. 
Che  gli  par  ch'abbia  tosto  a  restar  vinto: 
Debole  è  si,  che  si  sostiene  a  pena. 
Fa  per  levarsi  Olivier  molte  prove. 
Né  da  dosso  il  destrier  però  si  muove. 
91 

Trovato  ha  Brandimarte  il  Re  Agraman- 
E  cominciato  a  tempestargli  intorno:  [te, 
Or  con  Frontin  gli  è  al  fianco,  or  gli  è  da- 

[vante, 
Con  quel  Frontin  che  gira  come  un  torno. 
Buon  cavallo  ha  il  figliuol  di  Monodante: 
Non  l'ha  peggiore  il  Re  di  Mezzogiorno  : 
Ila  Brigliador  che  gli  donò  Ruggiero 
Poi  che  lo  tolse  a  Mandricardo  altiero. 
92 

Vantaggio  ha  bene  assai  de  l'armatura; 
A  tutta  prova  1'  ha  buona  e  perfetta. 
Brandimarte  la  sua  tolse  a  ventura, 
Qual  potè  avere  a  tal  bisogno  in  fretta: 
Ma  sua  animosità  si  l'assicura, 
Ch'in  miglior  tosto  di  cangiarla  aspetta; 
Come  che  '1  Re  African  d'aspra  percossa 
La  spalla  destra  gli  avea  fatta  rossa, 


—  7.  dà  d'urto;  urta.  Locuzione  analoga 
alle  più  comuni  dar  di  cozzo,  dar  di  pi- 
glio ecc.  ;  e  che  pur  altri  usarono. 

89.  5.  miglior  br.  ;  braccio  destro.  Cosi  il 
Tasso,  Ger.  19,  18,  e  altri  antichi. 

—  8,  quanta  è  1.  ;  quanto  è  1.  V.  e.  v,  18, 
n.  7. 

91.  6.  il  re  di  Mezz.;  Agramante,  re  d'Af- 
frica. 

92.  1.  de  l'armat.  quanto  all'arra.  V.  e. 
VII,  10,  n.  6. 

—  5.  animosità,  coraggio.  Oggi  non  è 
usato,  ma  negli  antichi  non  è  raro.  Vasari, 
Vite,  1,  296:  «espresse...  in  una  battaglia 
la  paura,  T  animosità,  la  destrezza  ». 

—  7.  Come  che...  avea.  Più  comune  col 
cong.  come  si  vede  nel  v.  1  della  stanza  seg. 


93 

E  serbi  da  Gradasso  anco  nel  fianco 
Piaga  da  non  pigliar  però  da  gioco. 
Tanto  l'attese  al  varco  il  guerrier  franco. 
Che  di  cacciar  la  spada  trovò  loco.         ^ 
Spezzò  lo  scudo,  e  feri  il  braccio  manco, 
E  poi  ne  la  man  destra  il  toccò  un  poco. 
Ma  questo  un  scherzo  si  può  dire  e  un 

[spasso 
Verso  quel  che  fa  Orlando  e  '1  Re  Gradasso. 
94 

Gradasso  ha  mezzo  Orlando  disarmato; 
L'elmo  gii  ha  in  cima  e  da  dui  lati  rotto, 
E  fattogli  cader  lo  scudo  al  prato, 
Osbergo  e  maglia  apertagli  di  sotto  : 
Non  l'ha  ferito  già;  ch'era  affatato. 
Ma  il  Paladino  ha  lui  peggio  condotto; 
In  faccia,  ne  la  gola,  in  mezzo  il  petto 
L'ha  ferito,  oltre  a  quel  che  già  v'ho  detto. 
95 

Gradasso  disperato,  che  si  vede 
Del  proprio  sangue  tutto  molle  e  brutto, 
E  ch'Orlando  del  suo  dal  capo  al  piede 
Sta  dopo  tanti  colpi  ancora  asciutto; 
Leva  il  brando  a  due  mani,  e  ben  si  crede 
Partirgli  il  capo,  il  petto,  il  ventre  e  '1  tut- 
E  a  punto,  come  vuol,  soprala  fronte  [to; 
Percuote  a  mezza  spada  il  fiero  Conte. 
96 

E  s'era  altro  ch'Orlando,  l'avria  fatto; 
L'avria  sparato  fin  sopra  la  sella: 
Ma,  come  colto  l'avesse  di  piatto. 
La  spada  ritornò  lucida  e  bella. 
De  la  percossa  Orlando  stupefatto, 
Vide,  mirando  in  terra,  alcuna  stella: 
Lasciò  la  briglia,  e  '1  brando  avrialascia- 
Ma  di  catena  al  braccio  era  legato.      [.to; 


Boccaccio,  Nov.  18:  «  Comecché  ella  non 
se  ne  accorge  ». 

g."?.  1.  serbi;  abbia  avuto.  È  il  latino  ser- 
vare, che  ha  pur  questo  significato.  Viro., 
Eri.  7,  178  :  «  servans  sub  imagiiie  falcem». 

—  2.  pigliar...  da  gioco;  pigi,  in  burla. 
Nel  e.  viii,  50  si  ha  pigliare  a  gioco.  Pi- 
gliar da  gioco  non  è  citato  dai  vocabol. 
Forse  è  espressione  composta  con  le  altre 
due  comuni:  pigHare  a  giuoco  —  esser  cosa 
da  giuoco  ;  quasi  dica  pigliar  come  cosa 
da  giuoco.  —  però.  Avendo  detto  cosi  in  ge- 
nerale piaga  vuol  fare  avvertire  che  però 
era  una  piaga  grave. 

94.  2.  dui,  due  V.  e.  i,  16,  n.  2. 

95.  3.  E  che.  Rileva  dal  contesto  un  vede 
I  che. 

{  —  S.  a  mezza  spada;  alla  distanza  di  mez- 
za spada.  V.  e.  xxxvi,  49,  1.  Qui  potrebbe 
anche  intendersi  che  lo  percuote  col  mezzo, 
colla  parte  centrale  della  spada  e  quindi 
con  colpo  pieno. 

96.  1.  l'avr.  fatto;  avrebbe  fatto  ciò  che 
dice  nel  v.  6  della  st.  precedente. 


CANTO  XLT 


565 


97 

Del  suon  del  colpo  fu  tanto  smarrito 
Il  corridor  ch'Orlando  avea  sul  dorso, 
Che  discorrendo  il  polveroso  lito, 
Mostrando  già  quanto  era  buono  al  corso. 
De  la  percossa  il  Conte  tramortito, 
Non  ha  valor  di  ritenergli  il  morso. 
Segue  Gradasso,  e  l'avria  tosto  giunto, 
Poco  più  che  Baiardo  avesse  punto. 
98 

Ma  nel  voltar  degli  occhi,  il  Re  Agra- 
Vide  condotto  all'ultimo  periglio:  [mante 
Che  ne  l'elmo  il  figliuol  di  Monodante 
Col  braccio  manco  gli  ha  dato  di  piglio; 
E  glie  r  ha  dislacciato  già  davante, 
E  tenta  col  pugnai  nuovo  consiglio: 
Né  gli  può  far  quel  Re  difesa  molta. 
Perché  di  man  gli  ha  ancor  la  spada  tolta. 
99  [do; 

Volta  Gradasso,  e  più  non  segue  Orlan- 
Ma,  dove  vede  il  Re  Agramante,  accorre. 
L'incauto  Brandimarte,  non  pensando 
Ch'Orlando  costui  lasci  da  sé  tórre. 
Non  gli  ha  né  gli  occhi  né  '1  pensiero,  iu- 

[stando 
Il  coltel  ne  la  gola  al  Pagan  porre. 
Giunge  Gradasso,  e  a  tutto  suo  potere 
Con  la  spada  a  due  man  l'elmo  gli  fere. 
100 

Padre  del  ciel,  dà  fra  gli  eletti  tuoi 
Spiriti  luogo  al  martir  tuo  fedele, 


97.  5.  De  la  pere;  per  la  percossa. 

98.  6.  E  tenta  ecc.;  e  col  pugnale  tenta 
di  attuare  un  nuovo  consiglio,  una  nuova 
idea,  quella  cioè  di  finirlo. 

—   7.  gli  può  far  ecc.  ;  può  far  contro  lui. 

99.  5.  instando...  porre.  Comunemente  in- 
stando di  porre,  insistendo  per  porre.  Ma 
l'A.  omette  spesso  queste  prepos.  V.  e.  i, 
4,  n.  1. 


Che  giunto  al  fin  de'  tempestosi  suoi 
Viaggi,  in  porto  ormai  lega  le  vele. 
Ah  Durindana,  dunque  esser  tu  puoi 
Al  tuo  signore  Orlando  si  crudele  ? 
Che  la  più  grata  compagnia  e  più  fida 
Ch'egli  abbia  al  mondo,  inanzi  tu  gli  uc- 
101  [cida. 

Di  ferro  un  cerchio  grosso  era  duo  dita 
Intorno  all'elmo,  e  fu  tagliato  e  rotto 
Dal  gravissimo  colpo,  e  fu  partita 
La  cuffia  de  Tacciar  ch'era  di  sotto. 
Brandimarte  con  faccia  sbigottita- 
Giù  del  destrier  si  riversciò  di  botto; 
E  fuor  del  capo  fé'  con  larga  vena 
Correr  di  sangue  un  fiume  in  su  l'arena. 
102 

Il  Conte  si  risente,  e  gli  occhi  gira. 
Et  ha  il  suo  Brandimarte  in  terra  scorto; 
E  sopra  in  atto  il  Serican  gli  mira. 
Che  ben  conoscer  può  che  glie  l'ha  morto. 
Non  so  se  in  lui  potè  più  il  duolo  o  l'ira; 
Ma  da  piangere  il  tempo  avea  si  corto,  [ta: 
Che  restò  il  duolo,  e  l' ira  usci  più  in  fret- 
Ma  tempo  è  omai  che  fine  al  Canto  io  met- 

[ta. 


j  101.  1.  Di  ferro  ecc.  L'elmo  antico  aveva 
alla  base  questo  cerchio  grosso  d' acciaio, 
che  spesso  era  decorato  con  fregi  e  pietre 
preziose. 

I  —  4.  La  cuffia  de  l'acc.  ;  la  cuffia  d'acciaio, 
che  formava  il  disotto,  e  come  la  fodera 
dell'  elmo.  —  la  cuf.  de  l'acc.  Negli  antichi 
il  primo  articolo  anteposto  al  sostantivo 
principale  talora  ne  chiamò  un  secondo  pel 
sostantivo  dipendente.  Bocc  Nov.  59:  «le 
colonne  del  porfido  ».  Il  Bembo  dice  questa 

\  una  regola  ;  alla  quale   però,  già  ai  suoi 

\  tempi,  molti  mancavano. 

i       102.  3-4.  in  atto...  che;  in  tal  atto  che. 


CANTO  XLII 


Qual  duro  freno,  o  qual  ferrigno  nodo, 
Qnal,  s'esser  può,  catena  di  diamante 
Farà  che  l'ira  servi  ordine  e  modo. 
Che  non  trascorra  oltre  al  prescritto  inan- 
Quando  persona  che  con  saldo  chiodo  [te. 
T'abbia  già  fissa  Amor  nel  cor  constante. 
Tu  vegga  o  per  violenzia  o  per  inganno 
Patire  o  disonore  o  mortai  danno? 


1.  2.  catena  di  diam.  Era  di  diamante  la 
catena  di  Ercole,  con  cui  legò  Cerbero. 
Ovidio,  Met.  7,  714:  «  nexis  adamante  ca- 
tenis  ». 


E  s'a  crudel,  s'ad  inumano  eft'etto 
Quell'impeto  talor  l'animo  svia. 
Merita  escusa;  perché  allor  del  petto 
Non  ha  ragione  imperio  né  balia. 
Achille,  poi  che  sotto  il  falso  elmetto 


2.  3.  petto,  animo.  Petu.  I,  canz.  7  :  «  per 
isfogare  il  petto  ».  E  l'A.  nei  Cinque  Canti, 
2,  70  :  «  palesarle  il  petto  (aprir  l'animo)  ». 

—  5.  falso  elm.  Patroclo  vestitosi  delle 
armi  di  Achille  (falso  elm.),  fu  ucciso  da 
Ettore,  che  per  vendetta  fu  poi  ucciso  da 
Achille  stesso  e  trascinato  intorno  alle  mura 
di  Troia  legato  al  carro  di  lui.  II.  22. 


566 


ORLANDO  FURIOSO 


Vide  Patroclo  insanguinar  la  via, 
D'uccider  chi  l'uccise  non  fu  sazio, 
Se  noi  traea,  se  non  ne  facea  strazio. 
3 

Invitto  Alfonso,  simile  ira  accese 
La  vostra  gente  il  di  che  vi  percosse 
La  fronte  il  grave  sasso,  e  si  v'offese, 
Ch'ognun  pensò  che  l'alma  gita  fosse: 
L'accese  iu  tal  furor,  che  non  difese 
Vostri  nimici  argini  o  mura  o  fòsse. 
Che  non  fossino  insieme  tutti  morti, 
Senza  lasciar  chi  la  novella  porti. 
4 

Il  vedervi  cade»-  causò  il  dolore 
Che  i  vostri  a  furof^  mosse  e  a  crudeltade. 
S'eravate  in  pie  voi,  forse  minore 
Licenzia  avrieuo  avute  le  lor  spade. 
Eravi  assai,  che  la  Bastia  in  manche  ore 
V'aveste  ritornata  iu  potestade. 
Che  tolta  in  giorni  a  voi  non  era  stata 
Da  gente  Cordovese  e  di  Vranata. 
5 

Forse  fu  da  Dio  vindice  permesso 
Che  vi  trovaste  a  quel  caso  impedito, 
Acciò  che  '1  crudo  e  scelerato  eccesso 
Che  dianzi  fatto  avean,  fosse  punito: 
Che,  poi  ch'in  lor  man  vinto  si  fu  messo 
Il  miser  Vestidel,  lasso  e  ferito. 
Senz'arme  fu  tra  cento  spade  ucciso 
Dal  popol  la  più  parte  circonciso. 
6 

Ma  perch'io  vo'  concludere,  vi  dico 
Che  nessun'altra  quell'ira  pareggia. 
Quando  Signor,  parente,  o  sozio  antico 


3.  2.  il  di';  il  13  gennaio  1512.  Vedi  Io 
stesso  fatto  narrato  al  e.  ni,  54. 

—  3.  il  grave  sasso.  Questo  sasso  si  spiccò 
da  un  merlo  colpito  da  una  palla  di  arti- 
glieria. Muratori,  Ant.  Est.  Il,  308.  Questo 
particolare  manca  nel  e.  nr. 

—  5.  furor;  l' ira  accese  questa  gente  in 
(con)  tal  furor.  Petrarca,  1,  son.  198  :  «  Ira 
è  breve  furor,  ma  chi  noi  frena  È  furor 
lungo  ".  —  difese,  difesero.  V.  e.  ix,  82,  n.  8. 
.\on  si  capisce  perché  il  Panizzi  e  altri  si 
scandalizzino  di  questo  sing. 

—  7.  Che;  cosi  che. 

4.  5.  in  manclie  ore  ;  in  manco  (meno)  ore. 
V.  e.  V,  18,  n.  7:  vi  sarebbe  bastato  ripren- 
der la  Bastia  in  meno  ore  dei  giorni,  in  cui 
la  tolsero. 

— S.  gente  C.  e  di  G.,  gente  Spagnuola  in 
generale. 

ó.  2.  a  quel  caso,  a  quel  fatto,  avveni- 
mento. Cosi  nel  e.  xxxi,  107,  4  e  cosi  non 
di  rado  altri  scrittori. 

—  6.  Vestidel.  V.  c.  Ili,  54. 

—  8.  popol...  Ciro.  Molti  militi  assoldati 
dagli  Spagnuoli  erano  Mori,  che,  secondo 
la  legge  maomettana,  sono  circoncisi. 


Dinanzi  agli  occhi  ingiuriar  ti  veggia. 
Dunque  è  ben  dritto  per  si  caro  amico, 
Che  snbit'  ira  il  cor  d'Orlando  feggia; 
Che  de  l'orribil  colpo  che  gli  diede 
Il  Re  Gradasso,  morto  iu  terra  il  vede. 
7 

Qual  Nomade  pastor  che  vedut'abbia 
Fuggir  strisciando  l'orrido  serpente 
Che  il  flgliuol  che  giuocava  ne  la  sabbia, 
Ucciso  gli  ha  col  venenoso  dente, 
Stringe  il  baston  con  colera  e  con  rabbia; 
Tal  la  spada,  d'ogni  altra  più  tagliente, 
Stringe  con  ira  il  cavallier  d'Anglante: 
Il  primo  che  trovò,  fu  '1  Re  Agramante, 
8 

Che  sanguinoso  e  de  la  spada  privo. 
Con  mezzo  scudo  e  con  l'elmo  disciolto, 
E  ferito  in  più  parti  ch'io  non  scrivo. 
S'era  di  man  di  Brandimarte  tolto. 
Come  di  pie  all'astor  sparvier  mal  vivo, 


C.  6.  feggia,  ferisca:  da  /lèdere,  come 
seggia,  veggia  da  sedere,  vedere.  Dante, 
Inf.  15,  39;  18,  75:  «  e  fa'  che  feggia  Lo  viso 
in  te  di  quest'altri  dannati  ». 

7.  1.  Momade,  Numida,  della  Numidia.  È 
forma  greca.  Plinio,  St.  iV.  5,  2:  «  Numidae 
vero  Noinades  a  perinutandis  pabulis  ». 

8.  5.  Come  di  pie  ecc.  È  questo  uno  dei 
luoghi  più  difficili  e  più  tormentati  del  Fu- 
rioso. Intanto  dobbiamo  stabilire  che  la 
lesione  è  corretta,  e  devesi  rigettare  ogni 
lezione  diversa  propostadagli  antichi  editori 
e  accettata  da  alcuni  moderni.  Là  concordia 
delle  tre  edizioni  curate  dall'A.  esclude  ogni 
errore.  Ciò  posto,  il  luogo  mi  sembra  da 
intendere  cosi:  come  di  pie  all'  astore  si 
toglie  mal  vivo  uno  sparviero,  al  quale  spar- 
viero un  cacciatore,  o  per  invidia  (della 
preda  fatta  dallo  sparviero  altrui)  o  per 
una  r;igione  stolta  qualsiasi  (come  sarebbe 
per  giuoco,  per  provarne  la  forza,  per  inav- 
vertenza ecc.)  abbia  lasciato  andar  dietro 
(lasciato  alla  coda)  quell'astore.  —  In  questa 
interpretazione  il  relativo  a  cui  ha  il  suo 
riferimento,  naturale  e  più  semplice,  a  spar- 
viero. Quanto  all'  espressione  lasciò  alla 
coda  io  la  intendo  per  lo  lasciò  alla  coda. 
Sono  moltissimi  nel  Furioso  i  luoghi,  dove 
è  omessa  la  particella  pronominale.  Si  con- 
frontino specialmente  e.  ii,  49,  3;  in,  49,  2; 
X,  7,  7,  nei  quali  esempi  non  è  certo  meno 
ardita  che  qui  l'omissione  del  pronome.  Il 
modo  poi  lasciare  alla  coda  per  mandar 
dietro,  è  tutt' altro  che  oscuro;  né  è  più 
ardito  di  altri,  come  levare  assalti  (xvii, 
81),  cavalier  celeste  (ii,  55);  Ecuba  con- 
versa in  rabbia  (x,  34)  ecc.  Il  Boiardo, 
Inn.  III,  IX,  17:  «  (Un  cervo)  venne  presso  a 
Fiordispina  un  cubito  Si  che  appunto  alla 
coda  (dietro)  i  can  gli  scapola  (gli  manda)  ». 


CANTO  XLII 


567 


A  cui  lasciò  alla  coda  invido  o  stolto. 
Orlando  giunse,  e  messe  il  colpo  giusto 
Ove  il  capo  si  termina  col  busto. 


si  osservi  poi  come  con  questa  interpreta- 
zione si  corrispondano  perfettamente  i  ter- 
mini e  le  parti  della  comparazione:  Bran- 
dimarte  è  l'astore,  dalle  cui  zampe  esce 
malconcio  Agramaute  (lo  sparviero)  di  forza 
minore,  e  che  per  sua  sfortuna  si  trovò  ad 
essere  assalito  da  quel  potente.  V  invido 
o  stolto,  riferito  a  un  uccellatore,  riman 
fuori  dei  termini  della  comparazione  ed  è 
soltanto  un  elemento  descrittivo  e  comple- 
mentare, che  giova  e  non  nuoce  alla  nostra 
interpretazione.  Le  interpretazioni,  che  al- 
tri danno,  si  riducono  a  tre:  1.  Come  uno 
sparviero  si  toglie  mal  vivo  di  pie  all'  a- 
store ,  al  quale  un  uccellatore  invido  o 
stolto  lasciò  andar  dietro  lo  sparviere  stesso. 
In  questa  interpretazione  vi  è,  senza  biso- 
gno, il  riferimento  forzato  e  non  naturale  del 
pronome  a  cui  all'astore;  e  la  conseguente 
confusione  dei  termini  della  comparazione, 
perché,  mentre  cosi  è  lo  sparviero  mandato 
dietro  all'astore  ad  assalirlo,  dall'  altro  lato 
è  Brandimarte  che  assale,  e  Agramante  è 
lo  sparviero  assalito  e  vinto.  2.  Come  uno 
sparviero  si  toglie  mal  vivo  di  pie  all'astore, 
al  quale  si  lasciò  andar  dietro  (andò  dietro) 
invido  della  sua  preda;  o  stolto  perché  non 
conobbe  la  sua  inferiorità.  In  questa  inter- 
pretazione vi  è  lo  stesso  riferimento  sfor- 
zato del  pronome  a  cui;  e  la  stessa  confu- 
sione dei  termini  della  comparazione,  come 
abbiamo  notato  sopra.  Di  più  sottintendere 
il  pronome  sd  è  più  raro  nel  Furioso,  che 
sottintendere  il  pronome  lo  la  li  ecc.  Ne 
abbiamo,  se  non  erro,  quattro  soli  esempi, 
(XIV,  68;  XXV,  43;  xxxvi,  63;  xl,  43)  mentre 
dell'  altra  omissione  ne  abbiamo  diecine. 
Inoltre  o  stolto  che  cosa  può  voler  dire 
per  un  uccello  di  rapina?  Uno  sparviero 
qual  motivo  poteva  avere,  oltre  l' invidia 
della  preda,  per  lanciarsi  contro  un  astore? 
E  questa  distinzione  di  sentimenti  non  sa- 
rebbe eccessiva  in  un  uccello?  3.  Il  Raina 
(Fonti)  propose  di  far  punto  a  mal  vivo  e 
di  riferir  l'altro  verso  ad  Agramante,  in- 
tendendo: Orlando  giunse  a  colui  (ad  Agra- 
mante), cui  aveva  lasciato  alla  coda  (  che  era 
rimasto  dietro  agli  altri)  o  perché  invi- 
dioso della  potenza  d'  Orlando,  o  perché, 
stolto,  non  lo  credeva  degno  del  suo  para- 
gone. Ma  a  questa  interpretazione  osta  la 
punteggiatura,  che  nelle  tre  edizioni  è  quale 
l'abbiamo  riportata,  e  più  ancora  il  senso. 
Non  è  vero  che  Agr.  si  tenesse  indietro  da 
Orlando,  infatti  nel  primo  scontro  si  attacca 
con  Oliviero,  subito  dopo  è  assalito  da  Bran- 
dimarte. Orlando  poi  è  sempre  cosi  impe- 


Sciolto  era  l'elmo  e  disarmato  il  coUo, 
Si  che  lo  tagliò  netto,  come  un  giunco. 
Cadde  e  die  nel  sabbion  l'ultimo  crollo 
Del  regnator  di  Libia  il  grave  trunco. 
Corse  lo  spirto  all'acque  onde  tirollo 
Caron  nel  legno  suo  col  graffio  adunco. 
Orlando  sopra  lui  non  si  ritarda, 
Ma  trova  il  Serican  con  Balisarda. 
10 

Come  vide  Gradasso  d'Agramante 
Cadere  il  busto  dal  capo  diviso. 
Quel  ch'accaduto  mai  non  gli  era  inanto, 
Tremò  nel  core,  e  si  smarrì  nel  viso; 
E  all'arrivar  del  cavallier  d'Anglante, 
Presago  del  suo  mal,  parve  conquiso. 
Per  schermo  suo  partito  alcun  non  prese 
Quando  il  colpo  mortai  sopra  gli  scese. 
11 

Orlando  lo  feri  nel  destro  fianco 
Sotto  l'ultima  costa;  e  il  ferro,  immerso 
Nel  ventre,  un  palmo  usci  dal  lato  manco. 
Di  sangue  sin  all'elsa  tutto  asperso. 
Mostrò  ben,  che  di  man  fu  del  più  franco, 
E  del  meglior  guerrier  de  l'universo 
Il  colpo  ch'un  Signor  condusse  a  morte, 
Di  cui  non  era  in  Pagania  il  più  forte. 
12 

Di  tal  vittoria  non  troppo  gioioso, 
Presto  di  sella  il  Paladiu  si  getta; 
E  col  viso  turbato  e  lacrimoso 
A  Brandimarte  suo  corre  a  gran  fretta. 
Gli  vede  intorno  il  capo  sanguinoso: 
L'elmo  che  par  ch'aperto  abbia  una  accet- 
Se  fosse  stato  fral  più  che  di  scorza,     [ta, 
Difeso  non  l'avria  con  minor  forza. 
13 

Orlando  l'elmo  gli  levò  dal  viso 
E  ritrovò  che  '1  capo  sino  al  naso 


guato  con  Gradasso  e  Sobrino,  che  non  sa- 
premmo dire  come  e  quando  Agramante 
avrebbe  potuto,  anche  volendo,  attaccarsi 
con  lui.  —  Alcuno  pensò  a  significati  tecnici 
speciali,  che  il  verbo  lasciare  avesse  allora 
nell'uso  della  caccia,  ma  né  scrittori,  né 
commentatori  antichi  parlano  di  ciò.  E 
d'altra  parte  è  ipotesi,  oltreché  gratuita, 
non  necessaria. 

9.    5.  all'acque,  alla  riva  d'Acheronte. 

—  6.  col  graffio  adnn.  Caronte  presso  i 
Greci  e  Romani  è  figurato  per  lo  più  col 
remo,  ma  presso  gli  Etruschi,  che  ebbero 
questo  mito  molto  familiare,  si  vede  inoltre 
munito  di  ordigni  diversi  (spade,  martelli, 
forche,  uncini)  per  tormentare  i  dannati. 
(Daremberg  e  Saglio,  Dictionìiaire  d'anti- 
quités  grecques  et  romaines). 

—  8.  trova,  colpisce.  V.  e.  xxx,  59,  n.  2. 
11.  8.   il  più  f.  ;    uno   più  f.  V.  e.  vi,  20, 

n.  4. 


568 


ORLANDO  FURIOSO 


Fra  l'uno  e  l'altro  ciglio  era  diviso: 
Ma  pur  gli  è  tanto  spirto  anco  rimaso, 
Che  de'  suoi  falli  al  Re  del  Paradiso 
Può  domandar  perdono  anzi  l'occaso; 
E  confortare  il  Conte,  che  le  gote 
Sparge  di  pianto,  a  pazienzia  puote; 
14 
E  dirgli  :  Orlando,  fa  che  ti  raccordi 
Di  me  ne  l'orazion  tue  grate  a  Dio; 
Né  men  ti  raccomando  la  mia  Fiordi..., 
Ma  dir  non  potè  ligi,  e  qui  fìnio. 
E  voci  e  suoni  d'angeli  concordi 
Tosto  in  aria  s'udir,  che  l'alma  uscio; 
La  qual  disciolta  dal  corporeo  velo 
Fra  dolce  melodia  ^ali  nel  cielo. 
15 
Orlando,  ancor  che  fardovea  allegrezza 
Di  si  devoto  fine,  e  sapea  certo 
Che  Brandimarte  alla  suprema  altezza 
Salito  era;  che  '1  ciel  gli  vide  aperto; 
Pur  da  la  umana  voloutade,  avvezza 
Coi  fragil  sensi,  male  era  soiferto 
Ch'un  tal  più  che  fratel  gli  fusse  tolto, 
E  non  aver  di  pianto  umido  il  volto. 
16 
Sobrin  che  molto  sangue  avea  perduto, 
Che  gli  piovea  sul  fianco  e  su  le  gote, 
Riverso  già  gran  pezzo  era  caduto, 
E  aver  ne  dovea  ormai  le  vene  vote. 
Ancor  giacca  Olivier,  né  riavuto 
Il  piede  avea,  né  riaver  lo  puote 
Se  non  ismosso,  e  de  lo  star  che  tanto 
Gli  fece  il  destrier  sopra,  mezzo  infranto; 
17 
E  se  '1  cognato  non  venia  ad  aitarlo. 
Si  come  lacrimoso  era  e  dolente. 
Per  sé  medesmo  non  potea  ritrarlo; 
E  tanta  doglia  e  tal  niartir  ne  sente. 
Che  ritratto  che  l' ebbe,  né  a  mutarlo 


Né  a  fermarviai  sopra  era  possente; 
E  n'ha  insieme  la  gamba  si  stordita, 
Che  muover  non  si  può,  se  non  si  aita. 
18 

De  la  vittoria  poco  rallegrosse 
Orlando;  e  troppo  gli  era  acerbo  e  duro 
Veder  che  morto  Brandimarte  fosse. 
Né  del  cognato  molto  esser  sicuro. 
Sobrin,  che  vivea  ancora,  ritrovosse. 
Ma  poco  chiaro  avea  con  molto  oscuro; 
Che  la  sua  vita  per  l'uscito  sangue 
Era  vicina  a  rimanere  esangue. 
19 

Lo  fece  tór,  che  tutto  era  sanguigno, 
II  Conte,  e  medicar  discretamente; 
E  confortolio  con  parlar  benigno, 
Come  se  stato  gli  fosse  parente; 
Che  dopo  il  fatto  nulla  di  maligno 
In  sé  tenea,  ma  tutto  era  clemente. 
Fece  dei  morti  armi  e  cavalli  tórre; 
Del  resto  a'  servi  lor  lasciò  disporre. 
20 

Qui  della  istoria  mia,  che  non  sia  vera, 
Federigo  Fulgoso  è  in  dubbio  alquanto; 
Che  con  l'armata  avendo  la  riviera 


13.  6.  anzi  l'occ;  prima  della  morte.  V. 
e.  IX,  31,  4. 

14.  1.  raccordi.  V.  e.  XXXVIII,  27,  3. 

—  5.  concordi.  Uniscilo  a  suoni  e  voci, 
non  ad  angeli. 

15.  1.  ancor  che...  dovea.  Per  l'indio,  cfr. 
e.  V,  n.  7. 

8.  E  non  aver;  e  che  non  avesse,  senza 

aver  il  volto  umido  di  pianto.  L'andamento 
del  periodo  è  irregolare  ;  ma  è  uno  di  quegli 
anacoluti  frequentissimi  nello  stile  popolare 
e  negli  scrittori. 

10.  3.  già  gr.  p.,  già  da  gr.  p.  V.  e.  i, 
26,  n.  8. 

—  7.  ismosso,  slogato.  Bembo,  Stor.  3, 
43:  «  per  cagion  d' un  pie  smossoglisi  ».  Ma 
non  è  frequente.  —  de  lo  st.;  per  lo  st.  V. 
e.  xiii,  33,  n.  3. 

17.  5.  Hintarlo,  muoverlo  per  passeggiare. 
Altrove  (V.  e.  ii,  39,  7)  ha  mutare  il  passo 
0  i  passi,  espressioni  forse  tolte   dal  Bo- 


iardo  (II,  V,  35).   Mutare  il  piede  è  fog- 
giata su  queste  per  analogia. 

—  8.  si  aita,  viene  aiutato. 

IS.  5.  Sobrin  ecc.  Sobrino  fu  ritrovato  che 
viveva  anc.  ;  ancora  vivente.  Il  che  vale, 
press'a  poco,  quando,  mentre.  Si  usa  dopo 
i  verbi  trovare,  vedere,  sorprendere  e  si- 
mili; e  indica  un'azione,  che  si  sta  com- 
piendo contemporaneamente  a  quella  indi- 
cata dal  verbo  principale  :  V  ho  trovato 
che  piangeva,  a  piangere,  piangente.  É 
comunissimo  nella  nostra  lingua. 

—  6.  Ma  poco  ecc.,  per  la  gran  debo- 
lezza avea  oscurata  la  vista. 

—  8.  esangue,  spenta.  Per  lo  più  si  dice 
di  cor2)o,  volto,  membra  e  simili:  vita 
esangue  è  un  ardimento  dell' A. 

19.  1.  che.  È  come  quello  notato  al  v.  5 
della  st.  precedente. 

—  2.  discretamente,  con  cura,  da  savie 
e  abili  persone.  È  simile  a  quel  del  Bocc. 
Nov.  98:  «  Se  il  calzolaio  non  è  discreto  (ca- 
pace, assennato)  ». 

20.  2.  Federigo  Fulgoso,  o  Fregoso.  Si  usa- 
vano ambedue  le  forme.  Fu  questi  della 
nobilissima  famiglia  Fregosa  di  Genova. 
Capitano  dell'armata,  combatté  special- 
mente contro  il  corsaro  Cortogoli,  che  dan- 
neggiava la  riviera  Genovese:  lo  sorprese 
>iel  porto  di  Biserta  e  gli  distrusse  com- 
pletamente le  navi.  Poi  si  fece  prete,  fu 
vescovo  di  Gubbio,  arcivescovo  di  Salerno 
e  cardinale.  È  chiaro  che  il  Poeta  mise 
queste  ottave  non  per  altro,  che  per  far 
l'elogio  di  questa  famiglia. 


CANTO  XLTI 


5C9 


Di  Barberia  trascorsa  in  ogni  canto, 
Capitò  quivi,  e  l'isola  si  fiera, 
Montuosa  e  inegual  ritrovò  tanto, 
Che  non  è  (dice)  in  tutto  il  luogo  strano, 
Ove  un  sol  pie  si  possa  metter  piano: 
21 

Né  v^àakoiLtieo  che  ne  Talpestre 
Scoglio  sei  cavallieri,  il  fior  del  mondo, 
Potesson  far  quella  battaglia  equestre. 
Alla  quale  obiezion  cosi  rispondo: 
Ch'a  quel  tempo  una  piazza  de  le  destre. 
Che  sieno  a  questo,  avea  lo  scoglio  al  fon- 

[do; 
Ma  poi,  ch'un  sasso  che'ltremuoto  aperse. 
Le  cadde  sopra,  e  tutta  la  coperse. 
22 

Si  che,  0  chiaro  fulgor  de  la  Fulgosa 
Stirpe,  0  serena,  o  sempre  viva  luce, 
Se  mai  mi  riprendeste  in  questa  cosa 
E  forse  iiianti  a  quello  invitto  Duce 
Per  cui  la  vostra  patria  or  si  riposa, 
Lascia  ogni  odlo,einamor  tutta  s'induce; 
Vi  priego  che  non  siate  a  dirgli  tardo. 
Ch'esser  può  che  né  in  questo  sia  bugiardo. 
23 

In  questo  tempo,  alzando  gli  occhi  al 
Vide  Orlando  venire  a  vela  in  fretta  [mare. 
Un  navilio  leggier,  che  di  calare 
Facea  sembiante  sopra  l' isoletta. 
Di  chi  si  fosse,  io  non  voglio  or  contare, 


31.  5.  destre,  acconce,  adatte.  V.  e.  xiii, 
40,  n.  7. 

—  6.  Che  sieno;  che  possano  essere,  pos- 
sano trovarsi. 

•2i.  4.  inv.  Duce;  Ottaviano  Fregoso,  fra- 
tello di  Federigo,  doge  nel  1513.  si  adoprò 
con  la  moderazione  e  con  la  giustizia  a 
render  la  pace  alla  patria  e  a  calmar  le 
fazioni;  pace  e  calma,  che  durarono  poco. 
Ottaviano  mori  nel  1522.  Queste  stanze  de- 
vono quindi  essere  state  scritte  nel  1513,  ed 
è  ben  naturale;  appartenendo  esse  al  ter- 
zultimo canto  della  prima  edizione.  Qual- 
che commentatore  crede  erroneamente,  che 
qui  si  tratti  di  Andrea  Doria,  che  invece 
ebbe  il  predominio  in  Genova  nel  1528. 

—  6.  in  amor...  sMnd.;  è  tutta  amore.  È 
imitazione  del  modo  latino  in  amorem  in- 
ducere (Catullo,  30,  8),  innamorare;  con 
allargamento  di  uso  e  di  significato.  Si  cita 
questo  solo  esempio  dell'A. 

—  8.  né;  neppure.  V.  e.  li,  41,  n.  4, 

23.  3.  calare,  approdare.  V.  e.  xxxix,  31, 
n.  4. 

—  5.  Di  chi  si  fosse,  ecc.  Il  Borgognoni, 
(Rass.  settimanale,  29  dicembre  1880)  crede 
che  qui  abbiamo  una  dimenticanza  dell'A., 
perché  non  dice  mai  più  altrove  di  chi  fosse 
questo  naviglio,  ma  è  chiarissimo,  che  era 
la  nave,  su  cui  veniva  Rinaldo:  e.  xliii, 
150,  151. 


Perch'ho  pili  d'uno  altrove  che  ra'  aspetta. 
Vergiamo  in  Francia,poi  che  spinto  n'han- 

I  Saracin,  se  mesti  o  lieti  stanno.        [no 

24 
Veggiàn  che  fa  quella  fedele  amante 
Che  vede  il  suo  contento  ir  si  lontano; 
Dico  la  travagliata  Bradamante, 
Poi  che  ritrova  il  giuramento  vano, 
Ch'avea  fatto  Ruggier  pochi  di  inante. 
Udendo  il  nostro,  e  l'altro  stuol  Pagano. 
Poi  ch'in  questo  ancor  manca,  non  le  avan- 
In  ch'ella  debba  più  metter  speranza,  [za 

25 
E  ripetendo  i  pianti  e  le  querele. 
Che  pur  troppo  domestiche  le  furo, 
Tornò  a  sua  usanza  a  nominar  crudele 
Ruggiero,  e  '1  suo  destin  spietato  e  duro. 
Indi  sciogliendo  al  gran  dolor  le  vele, 

II  elei  che  consentia  tanto  pergiuro. 
Né  fatto  n'avea  ancor  segno  evidente, 
Ingiusto  chiama,  debole  e  impotente. 

2G 

Ad  accusar  Melissa  si  converse 
E  maledir  l'oracol  de  la  grotta; 
Ch'a  lor  mendace  suasion  s'immerse 
Nel  mar  d'Amore,  ov'è  a  morir  condotta. 
Poi  con  Marfisa  ritornò  a  dolerse 
Del  suo  fratel  che  le  ha  la  fede  rotta: 
Con  lei  grida  e  si  sfoga,  e  le  domanda, 
Piangendo,  aiuto,  e  se  le  raccomanda. 
27 

Marfisa  si  ristringe  ne  le  spalle, 
E,  quel  sol  che  può  far,  le  dà  conforto; 
Né  crede  che  Ruggier  mai  cosi  falle, 
Ch'a  lei  non  debba  ritornar  di  corto  : 
E  se  non  torna  pur,  sua  fede  dàlie, 
Ch'ella  non  patirà  si  grave  torto; 
O  che  battaglia  piglierà  con  esso, 
O  gli  farà  osservar  ciò  c'ha  promesso. 


—  7.  spinto,  cacciato.  È  notevole;  e  non 
è  citato,  in  questo  senso,  dai  vocabol. 

24.  1.  Veggiàn.  V.  e.  ix,  43,  n.  8.  Per  il 
racconto  cfr.  e.  xxxvin,  87. 

—  7.  Poi  ch'in  q.  ecc.  Poi  che  egli  manca 
anche  a  un  giuramento  si  fatto,  non  le  re- 
sta pili  cosa,  in  cui  senta  di  dover  riporre 
la  sua  speranza. 

23.  2.  domestiche,  consuete.  Petrarca, 
ir,  son.  56  :  «  Cui  domestica  febbre  assalir 
deve  ». 

—  6.   pergiuro,    spergiuro.   V.  e.  xl,  64. 

—  7.  segno  evid.  ;  vendetta  esemplare. 
Significato  notevole,  non  citato  dai  vocabol.    * 

26.  3.  suasion  (lat.  suasionem)  persua- 
sione. 

27.  3.  falle,  falli,  commetta  tal  fallo  ecc. 
È  congiuntivo  da  fallare,  come  anie  per 
ami  da  amare. 

—  7.  0  che;  0.  V.  e.  iv,  35,  5. 


570 


ORLANDO  FURIOSO 


28 
Cosi  fa  ch'ella  un  poco  il  duol  raffrena 
Ch'avendo  ove  sfogarlo,  è  meno  acerbo. 
Or  ch'abbiam  visto  Bradamaute  in  pena, 
Chiamar  Ruggierpergiuro,erapioesuper- 
Veggiamo  ancor,  se  miglior  vita  mena  [bo; 
Il  fratel  suo  che  non  ha  polso  o  nerbo, 
Osso  0  medolla  che  non  senta  caldo 
De  le  fiamme  d'Amor;  dico  Rinaldo: 

29 
Dico  Rinaldo  il  qual,  come  sapete, 
Angelica  la  bella  amava  tanto; 
Né  l'avea  tratto  all'amorosa  rete 
Si  la  beltà  di  lei,  come  l'incanto. 
Aveano  gli  altri  i  aladin  quiete. 
Essendo  ai  Mori  ogni  vigore  affranto: 
Tra  i  vincitori  era  rimaso  solo 
Egli  captivo  in  amoroso  duolo. 

30 
Cento  messi  a  cercar  che  di  lei  fusse, 
Avea  mandato,  e  cereonne  egli  stesso. 
Al  fine  a  Malagigi  si  ridusse, 
Che  nei  bisogni  suoi  l'aiutò  spesso. 
A  narrar  il  suo  amor  se  gli  condusse 
Col  viso  rosso  e  col  ciglio  demesso. 
Indi  lo  priega  che  gli  insegni  dove 
La  desiata  Angelica  si  trova. 

31 
Gran  maraviglia  di  si  strano  caso 
Va  rivolgendo  a  Malagigi  il  petto. 
Sa  che  sol  per  Rinaldo  era  rimaso 
D'averla  cento  volte  e  più  nel  letto: 
Et  egli  stesso,  acciò  che  persuaso 
Fosse  di  questo,  avea  assai  fatto  e  detto 
Con  prieghi  e  con  minacele  per  piegarlo  ; 
Né  mai  avuto  avea  poter  di  farlo: 

32 
E  tanto  pili,  ch'allor  Rinaldo  avrebbe 
Tratto  fuor  Malagigi  di  prigione. 
Fare  or  spontaneamente  lo  vorrebbe, 
Che  nulla  giova,  e  n'ha  minor  cagione: 


29.  4.  r  incanto  ;  la  fontana  dell'  amore 
(V.  e.  I,  5,  n.  1  e  Innam.  II,  15,  59  segg.) 
alla  quale  beve  R.,  mentre  Ang.  beve,  poco 
appresso,  alla  fontana  del  disamore  (Inn. 
II,  20,  45). 

32. 1-2.  Sa,  ecc.  Tutto  ciò  è  raccontato  dal 
Boiardo  I,  v.  Angelica  tornata  al  Calai 
portò  seco  Malagigi  che  avea  preso  e  le- 
gato al  fonte  di  Merlino.  Ma  sentendo  tor- 
mentoso amore  per  Rinaldo,  dice  al  mago 
che  gli  darebbe  la  libertà  se  riuscisse  a 
condurglielo.  Per  quante  arti  egli  usi  non 
riesce  nell'impresa,  cosi  che  deve  tornare 
prigioniero  di  Angelica. 

—  4.  Che  nulla  g.  ecc.;  Ora  che  non 
gioverebbe  a  nessuno  come  allora  giovava 
a  Malagigi,  e  n'ha  minor  cagione  perché 
non  ha  gli  inviti  insistènti  di  Angelica,  come 


Poi  priega  lui  che  ricordar  si  debbe 
Pur  quanto  ha  offeso  in  questo  oltr'a  ragio- 
Che  per  negargli  già,  vi  mancò  poco  [ne; 
Di  non  farlo  morire  in  scuro  loco. 

33 
Ma  quanto  a  Malagigi  le  domande 
Di  Rinaldo  importune  più  pareano. 
Tanto,  che  l'amor  suo  fosse  più  grande. 
Indizio  manifesto  gli  faceano. 
I  prieghi  che  con  lui  vani  non  spande, 
Fan  che  subito  immerge  ne  l'oceano 
Ogni  memòria  de  la  ingiuria  vecchia, 
E  che  a  dargli  soccorso  s'apparecchia. 

34 
Termine  tolse  alla  risposta,  e  spene 
Gli  die,  che  favorevol  gli  saria, 
E  che  gli  saprà  dir  la  via  che  tiene 
Angelica,  ossia  in  Francia  o  dove  sia. 
E  quindi  Malagigi  al  luogo  viene 
Ove  i  demòni  scongiurar  solia; 
Ch'era  fra  monti  inaccessibil  grotta: 
Apre  il  libro,  e  li  spirti  chiama  in  frotta. 

35 
Poi  ne  sceglie  un  che  de'  casi  d'Amore 
Avea  notizia,  e  da  lui  saper  volle, 
Come  sia  che  Rinaldo  ch'avea  il  core 
Dianzi  si  duro,  or  l'abbia  tanto  molle: 
E  di  quelle  due  fonti  ode  il  tenore, 
Di  che  l'una  dà  il  fuoco,  e  l'altra  il  toUe; 
E  al  mal  che  l'una  fa,  nulla  soccorre, 
Se  non  l'altra  acqua  che  contraria  corre. 

36 
Et  ode  come  avendo  già  di  quella, 
Che  l'amor  caccia,  beuto  Rinaldo, 
Ai  lunghi  prieghi  d'Angelica  bella 
Si  dimostrò  cosi  ostinato  e  saldo: 
E  che  poi  giunto  per  sua  iniqua  stella 
A  ber  ne  l'altra  l'amoroso  caldo,    [acque, 
Tornò  ad  amar,  per  forza  di  quelle   [eque. 
Lei  che  pur  dianzi  oltr'il  dover  gli  spia- 


allora;  e  si  sa  che  è  imona  ragione  d'amare 
il  sapersi  amato.  Il  P.inizzi  nota  d' inesat- 
tezza questo  luogo,  perché,  dice,  Malagigi 
fu  veramente  liberalo;  ma  non  ha  pensato 
che  per  il  giuramento  fatto,  non  essendogli 
riuscita  l' impresa,  tornò  spontaneamente 
ad  Angelica.  Inn.  l,  ix. 

—  6.  ha  offeso.  È  detto  in  generale,  sot- 
tintendendo diversi  complementi  cioè  lui. 
Angelica,  amore. 

—  7.  mancò  poco  di  ecc.  Più  regolarm. 
mancò  poco  che  non  lo  facesse.  V.  e.  i, 
48,  n.  1. 

83.  5.  vani  non  ap.  È  il  latino  fundere 
preces. 

35.  5.  tenore,  notizia.  Boccaccio,  Nin- 
fale, 93;  «  Che  mai  non  se  ne  seppe  alcun 
tenore  ». 

—  8.  contrarla;  con  virtù  contrarie. 


CANTO  XLII 


571 


37 

Da  iniqua  stella  e  fier  destili  fu  giunto 
A  ber  la  fiamma  in  quel  ghiacciato  rivo; 
Perché  Angelica  venne  quasi  a  un  punto 
A  ber  ne  l'altro  di  dolcezza  privo, 
Che  d'ogni  amor  le  lasciò  il  cor  si  emunto, 
Ch'indi  ebbe  lui,  più  che  le  serpi  a  schivo  : 
Egli  amò  lei,  e  l'amor  giunse  al  segno 
In  ch'era  già  di  lei  l'odio  e  lo  sdegno. 
38 

Del  caso  strano  di  Rinaldo  a  pieno 
Fu  Malagigi  dal  demonio  instrutto, 
Che  gli  narrò  d'Angelica  non  meno, 
Ch'a  un  giovine  African  si  donò  in  tutto; 
E  come  poi  lasciato  avea  il  terreno 
Tutto  d'Europa,  e  per  l'instabil  flutto 
Verso  India  sciolto  avea  dai  liti  Ispani 
Su  l'audaci  galee  de'  Catalani. 
39 

Poi  che  venne  il  cugin  per  la  risposta. 
Molto  gli  dissuase  Malagigi 
Di  più  Angelica  amar,  che  s'era  posta 
D'un  vilissimo  Barbaro  ai  servigi; 
Et  ora  si  da  Francia  si  discosta. 
Che  mal  seguir  se  ne  potria  i  vestigi: 
Ch'era  oggimai  più  là  ch'a  mezza  strada, 
Per  andar  con  Medoro  in  sua  contrada. 
40 

La  partita  d'Angelica  non  molto 
Sarebbe  grave  all'animoso  amante; 
Né  pur  gli  avria  turbato  il  sonno,  o  tolto 
Il  pensier  di  tornarsene  in  Levante: 
Ma  sentendo  ch'avea  del  suo  amor  colto 
Un  Saracino  le  primizie  inante. 
Tal  passione  e  tal  cordoglio  sente, 
Che  non  fu  in  vita  sua  mai  più  dolente. 
41 

Non  ha  poter  d'una  risposta  sola; 
Triemail  cor  dentro,  e  trieman  fuorlelab- 
Non  può  la  lingua  disnodar  parola;  [bla; 
La  bocca  ha  amara,  e  par  che  tosco  v'ab- 
Da  Malagigi  subito  s'invola;  [bia. 

E  come  il  caccia  la  gelosa  rabbia, 
Dopo  gran  pianto  e  gran  ramaricarsi, 
Verso  Levante  fa  pensier  tornarsi. 


37.  1.  fu  giunto,  fu  spinto.  È  d'  uso  raro. 
Si  cita  un  solo  esempio  del  Fiore  eli  virtù; 
«  E  giunselo  a  tanto  che  ella  lo  fece  vestire  ». 

—  3.  Angelica  ecc.  Poco  dopo  Angelica, 
lasciata  Albracca  e  tornata  in  Francia  con 
Orlando,  si  avvenne  nella  fonte  del  disa- 
more e  bevve.  Innani.  II,  xx,  45. 

3S.  7.  sciolto,   salpato.  V.  e.  x,  44,  n.   1. 

—  8.  audaci.  I  Catalani  furono  nel  medio 
evo  grandi  navigatori,  tanto  da  competer 
quasi  con  Venezia,  Genova  e  Pisa  (Casella). 

40.  3.  Né  pur,  ecc.;  E  neanche  il  pensiero 
di  tornarsene  in  levante  a  cercare  di  lei 
gli  avrebbe  turbato  o  tolto  il  sonno,  lo 
avrebbe  sgomentato. 


42 

Chiede  licenzia  al  figlio  di  Pipino; 
E  trova  scusa  che  '1  destrier  Baiardo, 
Che  ne  mena  Gradasso  Saracino 
Contra  il  dover  di  cavallier  gagliardo, 
Lo  muove  per  suo  onore  a  quel  camino, 
A  ciò  che  vieti  al  Serican  bugiardo 
Di  mai  vantarsi  che  con  spada  o  lancia 
L'abbia  levato  a  un  Paladin  di  Francia. 
43 

Lasciollo  andar  con  sua  licenzia  Carlo, 
Ben  che  ne  fu  con  tutta  Francia  mesto; 
Ma  finalmente  non  seppe  negarlo: 
Tanto  gli  parve  il  desiderio  onesto,    [lo; 
Vuol  Dudon,  vuol  Guidone  accorapagnar- 
Ma  lo  niega  Rinaldo  a  quello  e  a  questo. 
Lascia  Parigi,  e  se  ne  va  via  solo, 
Pien  di  sospiri  e  d'amoroso  duolo. 
44 

Sempre  ha  in  memoria,  e  mai  non  se  gli 
Ch'averla  mille  volte  avea  potuto,  [tolle, 
E  mille  volte  avea  ostinato  e  folle 
Di  si  rara  beltà  fatto  rifiuto; 
E  di  tanto  piacer  ch'aver  non  volle. 
Si  bello  e  si  buon  tempo  era  perduto; 
Et  ora  eleggerebbe  un  giorno  corto 
Averne  solo,  e  rimaner  poi  morto. 
45 

Ha  sempre  in  mente,  e  mai  non  se  ne  par- 
Come  esser  puote  ch'un  povero  fante  [te. 
Abbia  del  cor  di  lei  spinto  da  parte 
Merito  e  amor  d'ogni  altro  primo  amante. 
Con  tal  pensier  che  '1  cor  gli  straccia  e 
Rinaldo  se  ne  va  verso  Levante;  [parte, 
E  dritto  al  Reno  e  a  Basilea  si  tiene. 
Fin  che  d'Ardenna  alla  gran  selva  viene. 
46 

Poi  che  fu  dentro  a  molte  miglia  andato 
Il  Paladin  pel  bosco  avventuroso, 
Da  ville  e  da  castella  allontanato. 
Ove  aspro  era  più  il  luogo  e  periglioso, 


43.  6.  lo  niega,  lo  vieta.  Cosi  nel  e.  xxv, 
7.  Petr.  I,  canz.  5:  «  S'egli  avvien  che  an- 
cor non  mi  si  nieghi  Finire...  Queste  voci 
meschine  ». 

44.  6.  tempo,  opportunità.  Gli  esempi  ci- 
tati dai  vocabolari  danno  più  tosto  il  senso 
di  tonpo  opportuyio.  Questo  dell'A.  è  più 
spiccato  e  rende  il  tempus  dei  Latini: 
«  Tempus  habes  tale  quale  nemo  habuii 
unquam  »  Cic.  Phil.  9. 

45.  1.  Ha  sempre  ecc.  Questo  verso  è  una 
variazione  del  primo    della  st.  precedente. 

—  3.  sp.  da  parte;  cacciato  fuori.  Ma- 
niera non  registrata  dai  vocabolari. 

4C.  I.  a  molte  miglia,  alla  distanza  di 
molte  miglia.  Cosi  nel  e.  iv,  68,  6;  v,  76, 
6;  XXXII,  85,  4. 

—  2.  avventuroso,  che  offre  molte  avven- 
ture. Non  si  cita  che  questo  es.  dell'A. 


572 


ORLANDO  FURIOSO 


Tutto  in  un  tratto  vide  il  ciel  turbato, 
Sparito  il  sol  tra  nuvoli  nascoso, 
Et  uscir  fuor  d'una  caverna  oscura 
Un  strano  mostro  in  feminil  figura. 
47 
Mill'occhi  in  capo  avea  senzapalpebre  ; 
Non  può  serrarli  e  non  credo  che  dorma: 
Nonmencliegli occhi, avea  l'orecchie  cre- 

[bre; 
Avea  in  loco  di  crin  serpi  a  gran  torma. 
Fuor  de  le  diaboliche  tenebre 
Nel  mondo  usci  la  spaventevol  forma. 
Un  fiero  e  maggior  serpe  ha  per  la  coda, 
Che  pel  petto  si  gira,  e  che  l'annoda. 

48  [prese 
Quel  ch'a  Rinaldo  in  mille  e  mille  im- 

Più  non  avvenne  mai,  quivi  gli  avviene; 
Che  come  vede  il  mostro  ch'all'offese 
Se  gli  apparecchia,  e  ch'a  trovar  lo  viene. 
Tanta  paura,  quanta  mai  non  scese 
In  altri  forse,  gli  entra  ne  le  vene; 
Ma  pur  l'usato  ardir  simula  e  finge, 
E  con  trepida  man  la  spada  stringe. 

49  [salto. 
S'acconcia  il  mostro  in  guisa  al  fiero  as- 

Che  si  può  dir  che  sia  mastro  di  guerra: 
Vibra  il  serpente  venenoso  in  alto, 
E  poi  contra  Rinaldo  si  disserra; 
Di  qua  di  là  gli  vien  sopra  a  gran  salto. 
Rinaldo  contra  lui  vaneggia  et  erra: 
Colpi  a  dritto  e  a  riverso  tira  assai; 
Ma  non  ne  tira  alcun  che  fera  mai. 
50 
Il  mostro  al  petto  il  serpe  ora  gli  appicca 
Che  sotto  l'arme  e  sin  nel  cor  l'agghiaccia  ; 
Ora  per  la  visiera  gliele  ficca, 
E  fa  ch'erra  pel  collo  e  per  la  faccia. 
Rinaldo  da  l'impresa  si  dispicca, 
E  quanto  può  con  aproni  il  destrier  caccia  : 
Ma  la  Furia  infernal  già  non  par  zoppa, 
Chespicca  un  salto,e  gli  è  subito  in  groppa. 


47.  3.  cretre,  spesse.  Dante,  Par.  19,  69. 

—  7.  ha  p.  la  coda;  Più  comunemente: 
ha  per  coda.  Questo  mostro  è  personifica- 
zione della  gelosìa. 

48.  4.  Se  gli  app.;  si  appai*,  contro  di  lui. 
Cosi  pure  nel  e.  xlhi,  81,  3:  «Amor,  che 
si  gli  ha  la  mano  avvezza  (che  ha  cosi  av- 
vezza la  mano  contro  di  lui)  ». 

■19.  4.  si  disserra;  si  scaglia.  V.  e.  XLI, 
72,  3. 

—  6.  Taneggia  et.  e  :  si  agita  invano  e  va 
errando  qua  e  là.  Vaneggiare  ha  dunque 
il  suo  significato  comune  di  far  cose  vane. 

50.  3.  gliele,  glielo.  Gli  antichi  scrittori, 
specialmente  Toscani,  lo  usarono  indecli- 
nabilmente per  tutti  i  generi  e  numeri.  Boc- 
caccio Nov.  85  :  «  E  tutto  gliele  graffiò  (il 
viso)  ». 


51 
Vada  al  traverso,  al  dritto,  ove  si  voglia, 
Sempre  ha  con  lui  la  maledetta  peste; 
Né  sa  modo  trovar,  che  se  ne  scioglia, 
Ben  che  '1  destrier  di  calcitar  non  reste. 
Triema  a  Rinaldo  il  cor  come  una  foglia: 
Non  ch'altrimente  il  serpe  lo  moleste; 
Ma  tanto  orror  ne  sente  e  tanto  schivo, 
Che  stride  e  geme,  e  duolsi  ch'egli  è  vivo. 

52 
Nel  più  tristo  sentier,  nel  peggior  calle 
Scorrendo  va,  nel  più  intricato  bosco, 
Ove  ha  più  asprezza  il  balzo,  ove  la  valle 
È  più  spinosa,  ov'è  l'aer  più  fosco. 
Cosi  sperando  torsi  da  le  spalle 
Quel  brutto,  abominoso,  orrido  tosco; 
E  ne  saria  mal  capitato  forse, 
Se  tosto  non  giungea  chi  lo  soccorse. 

53 
Ma  lo  soccorse  a  tempo  un  cavalliero 
Di  belio  armato  e  lucido  metallo, 
Che  porta  un  giogo  rotto  per  cimiero. 
Di  rosse  fiamme  ha  pien  lo  scudo  giallo; 
Cosi  trapunto  il  suo  vestire  altiero, 
Cosi  la  sopravesta  del  cavallo  : 
La  lancia  ha  in  pugno,  e  la  spada  al  suo 
E  la  mazza  all'arcion,  che  getta  foco,  [loco, 

54 
Piena  d'un  foco  eterno  è  quella  mazza 
Che  senza  consumarsi  ogn'ora  avvampa: 
Né  per  buon  scudo,  o  tempra  di  corazza, 
0  per  grossezza  d'elmo  se  ne  scampa. 
Dunque  si  debbe  il  cavallier  far  piazza, 
Giri  ove  vuol  l'inestinguibil  lampa: 
Né  manco  bisognava  al  guerrier  nostro. 
Per  levarlo  di  man  del  crudel  mostro. 

55 
E  come  cavallier  d'animo  saldo. 
Ove  ha  udito  il  rumor,  corre  e  galoppa. 
Tanto  che  vede  il  mostro  che  Rinaldo 
Col  brutto  serpe  in  mille  nodi  aggroppa, 
E  sentir  fagli  a  un  tempo  freddo  e  caldo; 
Che  non  ha  via  di  torlo  si  di  groppa. 
Va  il  cavalliero  e  fere  il  mostro  al  fianco, 
E  lo  fa  traboccar  dal  lato  manco. 

56 
Ma  quello  ò  appena  in  terra  che  si  rizza, 
E  il  lungo  serpe  intorno  aggira  e  vibra. 


51.  2.  con  lui,  con  sé.  V.  c.-iv,  6,  n.  3. 

—  4.  calcitar,  trar  calci.  La  forma  usata 
comunemente  è  calcitrare. 

—  8.  ch'egli  è  tìto,  perché  è  vivo. 

52.  7.  ne  saria  ecc.  Il  ne  è  causale,  saria 
mal  capitato  per  causa,  per  opera  di  lui. 
Cosi  Boccaccio,  Nov.  84:  «amici  n'erano 
divenuti  e  spesso  w'  usavano  insieme  (per 
questa  cagione)  ». 

6:1.  4.  Di  rosse  fiamme.  É  questa  la  sua 
insegna. 

—  5.  altiero,  bello.  Cosi  nel  e.  xii,  8,  2. 


CANTO  XLII 


573 


Quest'altro  più  con  Tasta  uon  l'attizza  ; 
Ma  di  farla  col  fuoco  si  delibra. 
Lamazzaimpugna,  e  dove  il  serpe  guizza, 
Spessi  come  tempesta  i  colpi  libra; 
Né  lascia  tempo  a  quel  brutto  animale, 
Che  possa  farne  un  solo  o  bene  o  male: 
57 

E  mentre  a  dietro  il  caccia  o  tiene  abada, 
E  lo  percuote,  e  vendica  mille  onte, 
Consiglia  il  Paladin  che  se  ne  vada 
Per  quella  via  che  s'alza  verso  il  monte. 
Quel  s'appiglia  al  consiglio  et  alla  strada; 
E  senza  dietro  mai  volger  la  fronte, 
Non  cessa,  che  di  vista  se  gli  folle, 
Benché  molto  aspro  era  a  salir  quel  colle. 
58 

Il  cavallìer,  poi  challa  scura  buca 
Fece  tornare  il  mostro  da  Tinferno, 
Ove  rode  sé  stesso  e  si  manuca, 
E  da  mille  occhi  versa  il  pianto  eterno; 
Per  esser  di  Rinaldo  guida  e  duca 
Gli  sali  dietro,  e  sul  giogo  superno 
Gli  fu  alle  spalle,  e  si  mise  con  lui 
Per  trarlo  fuor  de'  luoghi  oscuri  e  bui. 
59 

Come  Rinaldo  il  vide  ritornato, 
Gli  disse  che  gli  avea  grazia  infinita, 
E  ch'era  debitore  in  ogni  lato 
Di  porre  a  beneficio  suo  la  vita. 
Poi  lo  domanda  come  sia  n%mato, 
Acciò  dir  sappia  chi  gli  ha  dato  aita; 


56.  4.  di  farla;  di  fargliela.  Sarebbe  dun- 
que omesso,  come  spessissimo,  il  pronome 
personale.  Farla  a  nno  è  modo  comune  per 
fargli  un  tiro  qualunque.  —  si  delibra, 
si  delibera.  Sulla  forma  riflessiva.  Cfr.  e.  iv, 
49,  n.  1. 

—  6.  libra,  aggiusta,  assesta,  vibra.  È  il 
latino  Hì)rare.  Viro.  En.  9,  437:  «  summa 
telum  librabat  ab  aure  ».  È  uso  notevole  non 
citato  dai  vocabolari. 

—  8.  farne  nn  s.  ;  fare  un  sol  colpo;  me- 
nare un  sol  colpo. 

ó<.  7.  Non  cessa  che;  non  cessa  finché. 
V.  e.  vili,  7,  n.  4. 

—  8.  molto  aspro  ecc.,  quel  colle  era  mol- 
to aspro  a  salire  :  o  meglio  deve  intendersi 
a  salire  "^Qv  salendo  come  nel  e.  iv,  14,  1; 
II,  17,  5  :  era  cosa  m.  aspra  a  s.  q.  e.  | 

5S.  2.  il  m.  da  l'inferno  ;  il  mostro  infer- 
nale. 

—  6.  Gli  sali  dietro;    sali  il   colle  dopo, 
dietro  di  lui.   —  superno,  più   alto.  V.  e.  ii,  j 
70,  1.  Intendi:  quando  Rinaldo  fu  arrivato  i 
sul  colle,  lo  Sdegno,  che  era  andato  dietro  j 
al  mostro,  vi  sali  pure  e  lo  raggiunse  (gli 
fu  alle  spalile)  sul  giogo  superno.  I 

59.  3.  era  debitore  ecc.;  era  debitore   di  I 
porre  (aveva  il  dovere  di  porre)  sempre'  e 
in  ogni  luogo  la  vita  per  lui.  I 


E  tra  guerrieri  possa,  e  iuanzi  a  Carlo 
De  l'alta  sua  bontà  sempre  esaltarlo. 
60 

Rispose  il  cavallier:  Non  ti  rincresca 
Se  '1  nome  mio  scoprir  non  ti  vogli'  ora: 
Ben  tei  dirò  prima  ch'un  passo  cresca 
L'ombra;  che  ci  sarà  poca  dimora. 
Trovaro,  andando  insieme,  un'acqua  fre- 
Che  col  suo  mormorio  facea  talora     [sca 
Pastori  e  viandanti  al  chiaro  rio 
Venire,  e  berne  l'amoroso  oblio. 
61 

Signor,  queste  eran  quelle  gelide  acque. 
Quelle  che  spengon  l'amoroso  caldo. 
Di  cui  bevendo,  ad  Angelica  nacque 
L'odio  ch'ebbe  di  poi  sempre  a  Rinaldo. 
E  s'ella  un  tempo  a  lui  prima  dispiacque, 
E  se  ne  l'odio  il  ritrovò  si  saldo. 
Non  derivò,  Signor,  la  causa  altronde, 
Se  non  d'aver  beuto  di  queste  onde. 
62 

Il  cavallier  che  con  Rinaldo  viene, 
Come  si  vede  inauzi  al  chiaro  rivo. 
Caldo  per  la  fatica  il  destrier  tiene, 
E  dice:  Il  posar  qui  non  fia  nocivo. 
Non  ria  (disse  Rinaldo)  se  non  bene; 
Ch'oltre  cheprema  il  mezzogiorno  estivo, 
M'ha  cosi  il  brutto  mostro  travagliato. 
Che  'I  riposar  mi  fia  commodo  e  grato. 
63 

L'un  e  l'altro  smontò  del  suo  cavallo, 
E  pascer  lo  lasciò  per  la  foresta; 
E  nel  fiorito  verde  a  rosso  e  a  giallo 
Ambi  si  trasson  l'elmo  de  la  testa. 
Corse  Rinaldo  al  liquido  cristallo, 
Spinto  da  caldo  e  da  sete  molesta, 
E  cacciò,  a  un  sorso  del  freddo  liquore 
Dal  petto  ardente  e  la  sete  e  l'amore. 


60.  4.  dimora,  indugio.  Per  arrivare  a 
questo  (ci),  avremo  poco  da  indugiare. 

61.  1.  quelle  g.  acque,  la  fontana  del  di- 
samore. «Merlin  fu  quel  che  l'ebbe  edifi- 
cata Perché  Tristano  il  cavaliere  ardito. 
Bevendo  a  quella  lasci  la  regina,  Che  fu  ca- 
gione alfin  di  sua  rovina  ».  Innam.  I,  iii, 
33.  Angelica  ne  bevve  tornata  in  Francia 
di  levante.  Inn.  II,  xx,  45. 

—  8.  d'aver;  da  aver.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 
Questo  è  detto  neir/ji>t.  I,  iii,  35. 

62.  3.  caldo  ecc.  Si  può  riferire  al  cava- 
liere o  al  cavallo. 

63.  3.  nel  f.  verde  ecc.,  nel  verde  fiorito 
di  rosso  e  di  giallo,  con  fiori  rossi  e  g. 

—  5.  liquido,    limpido.    V.   e.  i,  37,  n.  3. 

—  7.  a  un  sorso,  a  un  medesimo  sorso, 
con  un  m.  s.  Inn.  I,  iii,  35:  «  E  di  sete  e 
d'amor  tutto  si  priva.  Perché  bevendo  quel 
freddo  liquore  Cangiossi  tutto  1'  amoroso 
core  ». 


574 


ORLANDO  FURIOSO 


64 
Quando  lo  vide  l'altro  cavalliero 
La  bocca  sollevar  de  l'acqua  molle, 
E  ritrarne  pentito  ogni  pensiero 
Di  quel  desir  ch'ebbe  d'amor  si  folle; 
Si  levò  ritto,  e  con  sembiante  altiero 
Gli  disse  quel  che  dianzi  dir  non  volle: 
Sappi  Rinaldo,  il  nome  mio  è  lo  Sdegno, 
Venuto  sol  per  sciorti  il  giogo  indegno. 

65 
Cosi  dicendo,  subito  gli  sparve, 
E  sparve  insieme  il  suo  destrier  con  lui. 
Questo  a  Rinaldo  un  gran  miracol  parve; 
S'aggirò  intorno,  e  disse:  Ove  è  costui? 
Stimar  non  sa  se  &"an  magiche  larve; 
Che  Malagigi  un  de'  ministri  sui 
Gli  abbia  mandato  a  romper  la  catena. 
Che  lungamente  l'ha  tenuto  in  pena: 

66 
O  pur  che  Dio  da  l'alta  ierarchia 
Gli  abbia  per  ineffabil  sua  boutade 
Mandato,  come  già  mandò  a  Tobia, 
Un  angelo  a  levar  di  cecitade. 
Ma  buono  o  rio  demonio,  o  quel  che  sia. 
Che  gli  ha  renduta  la  sua  libertade. 
Ringrazia  e  loda;  e  da  lui  sol  conosce 
Che  sano  ha  il  cor  da  l'amorose  angosce. 

67 
Gli  fu  nel  primier  odio  ritornata 
Angelica,  e  gli  parve  troppo  indegna 
D'esser,  non  che  si  lungi  seguitata. 
Ma  che  per  lei  pur  mezza  lega  vegna. 
Per  Baiardo  riaver  tutta  fiata 


C4.  2.  molle.  Riferiscilo  a  bocca  molle  di 
quell'acqua. 

—  3.  pentito.  Riferiscilo  a.  pensiero.  Ogni 
pensiero  dei  passati  desideri  è  ora  un  pen- 
timento. 

65.  5.  Stimar;  comprendere.  V.  e.  xxxv, 
73,  n.  1. 

—  6.  Che  Malagigi  ecc.  Rileva  dal  conte- 
sto e  pensa  che  Malag.  gli  abbia  mandato 
uno  dei  demoni  suoi  ministri  ecc.,  o  pur 
che  Dio  ecc. 

66.  3.  Tobia,  israelita  pio  e  giusto,  che 
divenuto  cieco,  fu  risanato  col  fiele  d'un 
pesce  indicato  al  figlio  dall'arcangelo  Raf- 
faele mandato  da  Dio. 

—  4.  levar;  levarlo.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 

5.  bnono  o  r.  demouio.  Di  demonio  in 

senso  buono  non  si  cita  nella  nostra  lingua 
che  questo  luogo  dell' a.  Veramente  il  greco 
daimonion,  da  cui  deriva,  significava,  in 
generale,  genio. 

—  7.  Ringrazia  e  loda.  Sottint.  lo.  —  co- 
nosce, riconosce,  a  lui  è  debitore.  Cosi  nel 
e.  XLiv,  96,  8;  XXVII,  83,  8;  e  cosi  non  di 
rado  nella  nostra  letteratura. 

67.  3.  D'esser  non  che  ecc.  C  è  una  delle 
solite  inversioni:  non  che  d'esser  segui- 
tata ecc. 


Verso  India  in  Sericana  andar  disegna, 
Si  perché  l'onor  suo  lo  stringe  a  farlo, 
Si  per  averne  già  parlato  a  Carlo. 

68 
Giunse  il  giorno  seguente  a  Basilea, 
Ove  la  nuova  era  venuta  inante. 
Che  '1  conte  Orlando  aver  pugna  dovea 
Contra  Gradasso  e  contrail  re  Agi-amante. 
Né  questo  per  avviso  si  sapea. 
Ch'avesse  dato  il  cavallier  d'Anglante; 
Ma  di  Sicilia  in  fretta  venut'era 
Chi  la  novella  v'apportò  per  vera. 

69 
Rinaldo  vuol  trovarsi  con  Orlando 
Alla  battaglia,  e  se  ne  vede  lunge. 
Di  dieci  in  dieci  miglia  va  mutando 
Cavalli  e  guide,  e  corre  e  sferza  e  punge. 
Passa  il  Reno  a  Costanza,  e  in  su  volando. 
Traversa  l'Alpe,  et  in  Italia  giunge. 
Verona  a  dietro,  a  dietro  Mantua  lassa; 
Sul  Po  si  trova,  e  con  gran  fretta  il  passa. 

70 
Già  s'inchinava  il  sol  molto  alla  sera, 
E  già  apparia  nel  ciel  la  prima  stella. 
Quando  Rinaldo  in  ripa  alla  riviera 
Stando  in  peusier  s'avea  da  mutar  sella, 
0  tanto  soggiornar,  che  l'aria  nera 
Fuggisse  inanzi  all'altra  aurora  bella, 
Venir  si  vede  un  cavalliero  inanti 
Cortese  ne  r#spetto  e  nei  sembianti. 

71 
Costui,  dopo  il  saluto,  con  bel  modo 
Gli  domandò  s'aggiunto  a  moglie  fosse. 
Disse  Rinaldo:  Io  son  nel  giugal  nodo; 
Ma  di  tal  domandar  maravigliosae. 
Soggiunse  quel:  Che  sia  cosi,  ne  godo: 
Poi,  per  chiarir  perché  tal  detto  mosse, 
Disse:  Io  ti  priego  che  tu  sia  contento 
Ch'io  ti  dia  questa  sera  alloggiamento; 

72 
Che  ti  farò  veder  cosa  che  debbe 
Ben  volentier  veder  chi  ha  moglie  a  lato. 
Rinaldo,  si  perché  posar  vorrebbe, 
Ormai  di  correr  tanto  affaticato; 
Si  perché  di  vedere  e  d'udire  ebbe 
Sempre  avventure  un  desiderio  innato; 
Accettò  l'offerir  del  cavalliero, 
E  dietro  gli  pigliò  nuovo  sentiero. 


68.  1.  Basilea,  città  nel  nord-ovest  della 
Svizzera. 

69.  5.  in  sn  volando,  velocemente  salendo. 

70.  1.  s'inchinava,  declinava  :  cfr.  c.  XLV, 
77,  n.  7. 

—  3.  in  ripa,  a.  r.  ;  in  riva  al  fiume  Po. 

—  4.  mutar  sella;  mutar  cavalcatura. 

71.  3.  Io  s.  n.  g.  nodo.  ;  io  sono  ammoglia- 
to: con  Clarice.  Virgilio,  En.  4,  6,  disse 
vinclo  fugali. 

72.  6.  avventure.  Uniscilo  a  udire. 


CANTO  XLII 


575 


73 

Un  tratto  d'arco  fuor  di  strada  uscire, 
E  inanzi  un  gran  palazzo  si  trovare, 
Onde  scudieri  in  gran  frotta  venire 
Con  torchi  accesi,  e  fero  intorno  chiaro. 
Entrò  Rinaldo,  e  voltò  gli  occhi  in  giro, 
E  vide  lece  il  qual  si  vede  raro, 
Di  gran  fabrica  e  bella  e  bene  intesa; 
Né  a  privato  uom  couvenia  tanta  spesa. 
74 

Di  serpentin,  di  porfido  le  dure 
Petre  fan  de  la  porta  il  ricco  vòlto. 
Quel  che  chiude,  è  di  bronzo,  con  figure 
Che  sembrano  spirar,  muovere  il  volto. 
Sotto  un  arco  poi  s'entra,  ève  misture 
Di  bel  mosaico  ingannau  l'occhio  molte. 
Quindi  si  va  in  un  quadro  ch'ogni  faccia 
De  le  sue  loggie  ha  lunga  cento  braccia. 
75 

La  sua  porta  ha  per  sé  ciascuna  loggia, 
E  tra  la  porta  e  sé  ciascuna  ha  un  arco: 
D'ampiezza  pari  sen,  ma  varia  foggia 
Fé'  d'ornamenti  il  mastro  lor  non  parco. 
Da  ciascuno  arco  s'entra,  ove  si  poggia 
Si  facil,  ch'un  somier  vi  può  gir  carco. 
Un  altro  arco  di  su  trova  ogni  scala; 
E  s'entra  per  ogni  arco  in  una  sala. 
76 

Gli  archi  di  sopra  escono  fuor  del  segno 
Tanto,  che  fan  coperchio  alle  gran  porte; 
E  ciascun  due  colonne  ha  per  sostegno. 
Altre  di  bronzo,  altre  di  pietra  forte. 
Lungo  sarà,  se  tutti  vi  disegno 
Gli  ornati  alloggiamenti  de  la  corte; 
E  oltr'a  quel  ch'appar,  quanti  agi  sotto 
La  cava  terra  il  mastro  avea  ridotto. 


73.  3.  veniro,  vennero.  V.  e.  vi,  81,  n.  3. 
'i.  2.  vòlto,  volta;  ma  meno  comune. 

—  7.  qnadro.  recinto  quadrato. 

75.  1.  La  s.  porta  ecc.:  Nelle  quattro  log- 
ge, alla  metà,  vi  è  una  porta  con  arco  spor- 
gente, dalla  quale  si  accede,  per  una  scala, 
al  piano  superiore. 

—  5.  Da  e.  arco  ecc.  In  ciascuno  di  que- 
sti anditi  si  trova  l'accesso  ad  una  comoda 
scala,  che  conduce  al  piano  superiore. 

—  7.  Un  a.  arco.  In  cima  a  ciascuna  scala 
vi  era  un  altro  andito  a  volta,  che  condu- 
ceva ad  una  sala. 

76.  1.  Gli  archi  di  s.  Tutti  questi  anditi 
lasciano  sporgere  la  parte  superiore,  l'arco, 
che  sorretto  da  colonne,  comprende  e  copre 
la  porta. 

—  4.  p.  forte,  pietra  dura,  perciò  più  o 
meno  preziosa. 

—  5.  Lungo  sarà.  V.  c.  Ili,  31,  n.  5.  —  di. 
segno,  descrivo.  Boccaccio  Nov.  2:  «dise- 
gnò la  forma  della  camera». 

—  6.  allogg.  d.  corte;  la  parte  abitabile 
di  questo  regio  palazzo. 


77 

L'alte  colonne  e  i  capitelli  d'oro. 
Da  che  i  gemmati  palchi  eran  suflfulti, 
I  peregrini  marmi  che  vi  fòro 
Da  dotta  mano  in  varie  forme  sculti. 
Pitture  e  getti,  e  tant'altro  laverò      [ti), 
(Ben  che  la  notte  agli  occhi  il  più  ne  occul- 
Mostran  che  non  bastare  a  tanta  mole 
Di  duo  Ee  insieme  le  ricchezze  sole. 
78 

Sopra  gli  altri  ornamenti  ricchi  e  belli, 
Ch'erano  assai  ne  la  gioconda  stanza, 
V'era  una  fonte  che  per  piti  ruscelli 
Spargea  freschissime  acque  in  abondanza. 
Poste  le  mense  avean  quivi  i  donzelli; 
Ch'era  nel  mezzo  per  ugual  distanza: 
Vedeva,  e  parimente  veduta  era 
Da  quattro  porte  de  la  casa  altiera. 
79 

Fatta  da  mastro  diligente  e  dotto 
La  fonte  era  con  molta  e  suttil  opra. 
Di  loggia  a  guisa,  e  padiglion  ch'in  otte 
Faccie  distinto,  intorno  adombri  e  cuopra. 
Un  ciel  d'oro,  che  tutto  era  di  setto 
Colorito  di  smalto,  le  sta  sopra; 
Et  otto  statue  son  di  marmo  bianco. 
Che  sostengon  quel  ciel  col  braccio  manco. 
80 

Ne  la  man  destra  il  cerno  d'Araaltea 
Sculto  avea  lor  l'ingenioso  mastro, 
Onde  con  grato  murmure  cadea 
L'acqua  di  fuore  in  vaso  d'alabastro, 
Et  a  sembianza  di  gran  donna  avea 
Ridutte  con  grande  arte  ogni  pilastro. 
Son  d'abito  e  di  faccia  difi"erente. 
Ma  grazia  hanno  e  beltà  tutte  ugualmente. 
81 

Fermava  il  pie  ciascun  di  questi  segni 


77.  5.  getti;  lavori  di  getto.  Celi  ini,  Oref. 
63:  «Ciò  fatto  nettisi  il  getto  dalla  oocca». 

78.  1.  Sopra;  oltre.  Boccaccio,  Nov.,  13: 
«  E  molte  altre  (possessioni)  comperar  so- 
pra quelle  ». 

—  2.  stanza,  abitazione. 

—  6.  Ch'era;  perch'era.  La  fontana  a- 
veva  la  forma  di  un  gran  padiglione,  che 
sorgeva  in  mezzo  a  questa  gran  sala,  e 
che  perciò  si  vedeva  ugualmente  dalle  quat- 
tro grandi  porte  di  essa.  Essendo  il  padi- 
glione nel  centro  della  sala,  vi  erano  state 
poste  le  mense. 

—  7.  Vedeva;  rispondeva,  era  di  fronte 
alle  quattro  porte. 

79.  3.  in  otto  faccie.  Era  dunque  otta- 
gonale. 

80.  1.  il  corno  d'A.  V.  c.  VI,  73. 

—  5.  Et  a  sembianna  ecc.  Intendi:  le  otto 
statue,  che  erano  i  pilastri  del  padiglione, 
aveauo  sembianza  di  donna. 

81, 1.  segni,  statue.  Dante,  Purg.  12,  46: 


576 


ORLANDO  FURIOSO 


Sopra  due  belle  imagini  più  basse, 
Che  con  la  bocca  aperta  facean  segni 
Che  '1  cauto  e  l'armonia  lor  dilettasse; 
E  quell'atto  in  che  son,  par  che  disegni 
Che  l'opra  e  studio  lor  tutto  lodasse 
Le  belle  donne  che  sugli  omeri  hanno, 
Se  fosser  quei  di  cu'  in  sembianza  stanno. 
82 
I  simulacri  inferiori  in  mano 
Avean  lunghe  et  amplissime  scritture. 
Ove  fatean  con  molta  laude  piano 
I  nomi  de  le  più  degne  figure; 
E  mostravano  ancor  poco  lontano 


«  0  Roboam  già  non  par  che  minacci  Quivi 
il  tuo  segno  (la  tua  immagine  scolpita)  ». 

—  4.  lor  dilettasse,  fosse  loro  gradita; 
si  dilettassero  di  canti  e  d'armonie. 

—  5.  disegni,  esprima,  significhi,  V.  canto 
XVII,  72. 

—  6.  Che  l'opra  ecc.  È  un  luogo  varia- 
mente interpretato.  Alcuni  seguendo  il  Ba- 
rotti:  pare  che  l'atteggiamento  in  cui  sono 
scolpite  le  esprima  intente  a  lodare  le 
immagini  di  quelle  donne,  che  portano 
sulle  spalle,  come  se  fossero  non  già  im- 
magini, ma  quelle  persone  vive  e  vere  che 
rappresentano.  In  somma  questi  intendono 
disegni  che  lodasse  come  mostri  che  lodi, 
di  lodare;  e  a.  se  fossero  sottintendono 
come:  ma  con  quale  autorità?  Il  Ruscelli 
e  il  Bolza  invece:  pare  che  l'atto  in  che 
sono  dia  segno,  (voglia  indicare)  che  se  fos- 
sero in  realtà  quelli  di  cui  son  simulacro, 
r  opera  loro  (di  sorreggerle)  e  tutto  il  loro 
studio  (di  cantare;  della  poesia)  loderebbe 
le  belle  donne  ecc.  A  questa  interpretazione 
non  fa  difficolta  il  lodasse  per  loderebbe, 
che  ha  riscontro  nel  e.  xv,  101,  8-9;  e  e. 
XI,  70,  4-7;  ma  è  piuttosto  il  concetto,  che 
ne  soffre.  Infatti  il  Poeta  vuol  dire  non  già 
che  pareva  che  le  avrebbero  lodate  se  ecc.  ; 
ma  che  pareva  le  lodassero  veramente  : 
tanto  era  espressivo  il  loro  atteggiamento, 
il  vero  però  è  questo,  die  l'A.  fino  a  tutto 
il  V.  7  ha  pensato  come  crede  il  Barotti, 
nel  verso  8  ha  pensato  come  dice  il  Ru- 
scelli. C  è  dunque  una  brachilogia.  E  tutto 
il  luogo  suona  cosi:  E  l'atto,  in  cui  erano, 
pareva  che  esprimesse  che  1'  opra  loro  e 
tutto  il  loro  studio  fosse  volto  a  lodare,  lo- 
dasse le  belle  donne  ecc.  ;  e  le  loderebbero 
veramente,  se  invece  di  esser  marmo  fos- 
sero quei,  di  cui  hanno  sembianza.  Vien 
durezza  a  questo  luogo  anche  dallo  scam- 
bio dei  tempi  pare,  disegni,  lodasse.  L'  a- 
more  dell'  Ar.  per  gli  scorci  e  le  brachilogie 
vedilo  nel  e.  ni,  16,  2;  18,  4;  57,  4;  xvi,  17, 
1;  XVII,  115,  2;  ecc. 

82.  3.  piano,  chiaro,  chiari.  Per  la  scon- 
cordanza vedi  e.  XXXI,  12,  n.  6. 


I  propri  loro  in  note  non  oscure. 
Mirò  Rinaldo  a  lume  di  doppieri 
Le  donne  ad  una  ad  una,  e  i  cavallieri. 
83 

Laprima  inscrizion  ch'agli  occhi  occor- 
Con  lungo  onor  Lucrezia  Borgia  noma,[ro. 
La  cui  bellezza  et  onestà  preporre 
Debbe  all'antiqua  la  sua  patria  Roma. 
I  duo  che  voluto  han  sopra  sé  tórre 
Tanto  eccellente  et  onorata  soma. 
Noma  lo  scritto,  Antonio  Tebaldeo, 
Ercole  Strozza;  un  Lino,  et  uno  Orfeo. 
84 

Non  men  gioconda  statua  né  men  bella 
Si  vede  appresso,  e  la  scrittura  dice: 
Ecco  la  figlia  d'Ercole,  Issabella, 
Per  cui  Ferrara  si  terrà  felice 
Via  più,  perché  in  lei  nata  sarà  quella. 
Che  d'altro  ben  che  prospera  e  fautrice 
E  benigna  Fortuna  dar  le  deve. 
Volgendo  gli  anni  nel  suo  corso  lieve. 
85 

1  duo  che  mostran  disiosi  affetti 
Che  la  gloria  di  lei  sempre  risuone, 
Gian  lacobi  ugualmente  erano  detti. 
L'uno  Calandra,  e  l'altro  Bardelone. 
Nel  terzo  e  quarto  loco  ove  per  stretti 
Rivi  l'acqua  esce  fuor  del  padiglione, 
Due  donne  son,  che  patria,  stirpe,  onore 
Hanno  di  par,  di  par  beltà  e  valore. 


i       83.  1.  occorre,  si  presenta. 

I       —  4.  all'antiqua.  Brachilogia  invece  di: 

i  alla  bellezza  e   all'onestà  dell'antiqua  Lu- 

I  crezia  moglie  di  Collatino.  Su  questi  elogi 

i  cfr.  e.  xiii,  69,  n.  3. 

I       —    7.  Antonio  Tebaldeo^  ferrarese  (1456?- 

1537)  poeta  allora  assai  celebre,  scrisse  pri- 
I  ma  molte  poesie  italiane,  poi  si  dette  quasi 
I  interamente  alla  poesia  latina. 
1       —   8.  Ere.  Strozza.  Ercole  Strozzi,  (morto 

1508),  coetaneo  e  amico  dell'A.;  fu  coltissimo 

poeta  specialmente  in  latino.  Venuta  a  Fer- 
\  rara  Lucrezia  Borgia,  egli  fu  il  poeta  della 
;  duchessa,  che  sapeva  il  latino;  e  fra  i  più 
!  notevoli  carmi  è  quello,  a  lei  intitolato  e 
;  da  lei  ispirato,  in  morte  di  Cesare   Borgia 

fratello.  —  Lino  e  Orfeo  son  poeti  de'  tempi 
'  mitici  della  Cli-ecia,   celebrati  per  la  dol- 
:  cezza  de'  loro  canti  e  de'  loro  suoni. 
j       84.  3.  Issabella.  V.  e.  xiii,  59,  n.  5. 

—  5.  quella,  lei.  Isabella. 

I  —  8.  Volgendo  gli  anni  ecc.,  col  volger 
degli  anni.  —  nel  suo  corso  1.  Intendo  :  vol- 
gendo gli  anni  nel  loro  corso  veloce:  col 

'  veloce  volgere  degli  anni, 

i  -So.  4.  L'uno.  Gian  lacobo  Calandra  e  Gian 
lacobo  Bardelloni  furono  due  poeti  man- 
tovani. 

—  8.  di  par;  del  par:   con  l'omissione 
dell'articolo  tante  volte  notata. 


CANTO  XLII 


577 


86 
Elissabetta  l'una,  e  Leonora 
Nominata  era  l'altra:  e  ila,  per  quanto 
Narrava  il  marmo  sculto,  d'esse  ancora 
Si  gloriosa  la  terra  di  Manto, 
Che  di  Vergilio  che  tanto  l' onora, 
Più  che  di  queste,  non  si  darà  vanto. 
Avea  la  prima  a  pie  del  sacro  lembo 
lacobo  Sadoletto  e  Pietro  Bembo. 

87 
Uno  elegante  Castiglione,  e  un  culto 
Muzio  àrelio  de  l'altra  erau  sostegni. 
Di  questi  nomi  era  il  bel  marmo  sculto, 
Ignoti  allora,  or  si  famosi  e  degni. 
Veggon  poi  quella  a  cui  dal  cielo  indulto 
Tanta  virtù  sarà,  quanta  ne  regni 
0  mai  regnata  in  alcun  tempo  sia, 
Versata  da  fortuna  or  buona  or  ria. 

88 
Lo  scritto  d'oro  esser  costei  dichiara 
Lucrezia  Bentivoglia;  e  fra  le  lode 


I  Pone  di  lei,  che  '1  Duca  di  Ferrara 
D'esserle  padre  si  rallegra  e  gode. 
Di  costei  canta  con  soave  e  chiara 
Voce  un  Camil  che  '1  Reno  e  Felsina  ode 
Con  tanta ^attenzYon,  tanto  stupore, 
j  Con  quanta  Anfriso  udi  già  il  suo  pastore; 

89 
I     Et  un  per  cui  la  terra,  ove  l'Isauro 
{  Le  sue  dolci  acque  insalain  maggior  vase, 
:  Nominata  sarà  dall'Indo  al  Mauro, 
E  da  l'Austrine  all'Iperboree  caset 
Via  pili  che  per  pesare  il  Romano  auro. 
Di  che  perpetuo  nome  ne  rimase; 
Guido  Postumo,  a  cui  doppia  corona 
Pallade  quinci,  e  quindi  Febo  dona. 
90 
L'altra  che  segue  in  ordine,  è  Diana. 
Non  guardar  (dice  il  marmo  scritto)ch'elIa 
Sia  altiera  in  vista;  che  nel  core  umana 


8C.  1. Elissabetta...  Leonora.  ElisabettaGon- 
zaga,  sorella  del  marchese  Francesco,  ma- 
ritata a  Guidobaldo  I  di  Montefeltro  duca 
d'Urbino.  Fu  celebrata  specialmente  dal 
Bembo  e  dal  Sadoleto,  sebbene  di  lei  par- 
lino con  lode  molti  altri  scrittori  del  tempo. 
--  Leonora,  nipote  della  precedente,  perché 
figlia  del  Marchese  Francesco  Gonzaga; 
maritata  a  Francesco  Maria  della  Rovere. 
La  celebrarono  nei  loro  versi  Baldassarre 
Castiglione,  autore  del  Cortegiano  e  Gio- 
vanni Muzzarelli  (che  latinizzò  il  suo  nome 
in  Muzio  Arelio)  mantovano,  «  che  fé'  molti 
componimenti  volgari  e  latini...  Fu  poscia 
da  alcuni  nemici  suoi  indegnamente  ferito  » 
(Fornari).  Un'opera  inedita  su  la  sua  donna 
è  dedicata  alla  Dia  Helisabeth  Gomaga 
da  Feltro  Duchessa  d'Urbino. 

—  7.  sacro;  che  si  concilia  venerazione, 
venei-ando.  Giusto  de'  Conti,  B.  M.  18:  «  Mi- 
rate omai,  per  dio,  l'aspetto  sagro  (della 
sua  donna) ». 

87.  4.  Ignoti  allora,  al  tempo  di  Rinaldo. 

—  5.  indulto,  data  benignamente.  V.  e. 
VI,  1,  n.  6.  Per  la  sconcordanza  del  partic. 
cfr.  e.  V,  21,  n.  6. 

—  S.  Versata;  sia  che  venga  voltata,  ag- 
girata, da  buona  o  da  cattiva  fortuna,  «che 
sempre  la  sua  ruota  in  giro  versa  »  (canto 
XLv,  4,  8);  e  che  seco  trascina  gli  uomini, 
tenendo  in  cima  alla  ruota  quelli  che  fa- 
vorisce, al  fondo  quelli  che  perseguita. 
Versare  è  latinismo  citato  col  solo  esempio 
dell'A. 

SS.  2.  Lucrezia  Bent.,  figlia  naturale  d'Er- 
cole I  e  di  una  Condulmero,  si  maritò  (1487) 
ad  Annibale  Bentivoglio  signore  di  Bolo- 
gna, e  mutò  spesso  fortuna  secondo  le  varie 
vicende,   che  ebbe  in  quel  tempo  la  fami- 

Ariosto  —  Papini 


glia  dei  Bentivoglio,  specialmente  nella  lotta 
con  Giulio  ir.  Vedi  quanto  si  dice  di  questo 
nel  e.  xxxni,  37.  —  lode,  lodi.  V.  e.  xm, 
73,  n.  7. 

—  6.  Camil.  Cammino  Paleotti  Bologne- 
se, addetto  alla  corte  del  cardinal  Bibbiena. 
Dice  l'A.,  con  iperbole,  che  il  Reno,  fiume 
che  scorre  vicino  a  Bologna  (Felsina:  cfr. 
e.  XXXIII,  39,  n.  5),  lo  ascolta  con  più  stu- 
pore che  l'Anfriso,  fiume  della  Tessagba, 
non  ascoltò  Apollo  fatto  pastore  di  Admeto. 

89.  1.  Et  un.  Guido  Silvestri,  detto  Po- 
stumo, di  Pesaro,  il  quale  fu  medico,  sol- 
dato e  poeta.  L'A.  lo  ricorda  anche  nella 
Satira  2,  30,  come  medico  che  egli  consul- 
tava. —  Isanro,  oggi  Foglia,  che  sbocca  in 
mare  presso  Pesaro. 

—  2.  insala,  getta  nel  mare.  Dante  Purg. 
2,  101.  —  in  maggior  vase.  È  espressione  del 
Petrarca,  Tr.  M.  16:  «Ove  Sorga  e  Du- 
reuza  in  maggior  vaso  Giungon  le  chiare 
lor  terribili  acque  ». 

—  3.  Indo...  Mauro,  abitante  dell'India  e 
della  Mauritania. 

—  4.  Anstrine.  V.  e.  iv,  30,  n.  1.  Son  de- 
scritti coi  vv.  3,  4,  i  punti  cardinali. 

—  5.  Via  piti  ecc.  Quest'  etimologia  di 
Pesaro  (da  -pesare  Voro)  è  data  da  Servio 
nei  commenti  a  Virgilio,  6,  25:  «Nam  Pi- 
saurum  dicitur  quod  illic  aurum  pensatum 
est  »  perché  si  credette  che  ivi  i  Romani 
fondessero  e  pesassero  1'  oro  riscosso  dai 
tributi.  Invece  1'  etimologia  più  probabile  è 
da  Isauriim. 

—  S.  Pallade  ecc.  Pallade  o  Minerva,  dea 
della  scienza,  gli  avea  dato  la  corona  comft 
medico,  Febo  glie  l'avea  data  come  poeta. 

90.  I.  Diana  figlia  di  Sigismondo  d'Este, 
quindi  cugina  del  duca  Alfonso  e  di  Ippo- 
lito: sposò  Uguccione  Contrari.  È  ricordata 
pur  nel  e.  xlvi,  4. 


37 


578 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  sarà  però  men  ch'in  viso  bella. 
Il  dotto  Celio  Calcagnin  lontana 
Farà  la  gloria  e  '1  bel  nome  di  quella 
Nel  regno  di  Mouese,  in  quel  di  luba, 
In  India  e  Spagna  udir  con  chiara  tuba: 

91 
Et  un  Marco  Cavallo,  che  tal  fonte 
Farà  di  poesia  nascer  d'Ancona, 
Qual  fé'  il  cavallo  alato  uscir  del  monte, 
Non  so  se  di  Parnasso  o  d'Elicona. 
Beatrice  appresso  a  questo  alzala  fronte, 
Di  cui  lo  scritto  suo  cosi  ragiona: 
Beatrice  bea,  vivendo,  il  suo  consorte, 
E  lo  lascia  infelice  alla  sua  morte; 

■92 
Anzi  tutta  l'Italia,  che  con  lei 
Fia  triumfaute,  e,  senza  lei,  captiva. 
Un  Signor  di  Coreggio  di  costei 
Con  alto  stil  par  che  cantando  scriva, 
E  Timoteo,  1'  onor  de'  Bendedei: 
Ambi  faran  tra  1'  una  e  l'altra  riva 
Fermare  al  suon  de'  lor  soavi  plettri 


—  5.  e.  Calcagnili.  Fu  veramente  uomo 
dottissimo,  prof,  nell'  università  di  Ferrara, 
e  buon  poeta  latino  (1479-1541).  —  lontana 
farà,  farà  immortale.  Dante,  Inf.  2,  60:  «  E 
durerà  quanto  il  mondo  lontana  ». 

—  7.  Monese,  fu  re  di  Persia  al  tempo  di 
Crasso,  che  ne  fu  vinto.  —  luta,  Giuba,  fu 
re  di  Mauritania  al  tempo  di  Cesare  che  lo 
vinse.  Anche  in  questi  versi  7,  8  son  desi- 
gnati i  quattro  punti  cardinali.  Vuol  dire 
dunque  che  questa  donna  sarà  celebre  per 
tutto  il  mondo. 

91.  1.  Marco  Cav.,  di  Ancona  fu  poeta  la- 
tino assai  elegante  (m.  1520).  L'Ar.  lo  ri- 
corda anche  nella  sat.  vi,  127. 

—  4.  Non  80  se  ecc.  Dice  la  favola  che  il 
cavallo  alato  Pegaso,  percoteudo  colla  zam- 
pa, fece  scaturire  il  fonte  Ippocrene,  che  i 
pili  mettono  alle  falde  dell'Elicona,  ma  al- 
cuni antichi  anche  fra  le  due  vette  del  Par- 
naso, confondendolo  colla  fonte  Castalia. 
L'A.  accenna  a  questa  incertezza. 

—  5.  Beatrice,  figlia  di  Ercole  I  e  moglie 
di  Lodovico  il  Moro.  V.  e.  xiii,  62.  Morta 
lei,  cominciarono,  ma  non  per  ciò,  i  gravi 
guai  del  Moro  e  dell'  Italia  tutta. 

92.  3.  Un  signor  di  C,  Niccolò  da  Cor- 
reggio, parente"  di  casa  d'Este,  fu  prode 
guerriero,  letterato  e  protettore  di  lette- 
rati. Visse  qualche  tempo  alla  corte  di  Lo- 
dovico il  -Moro  (n.  1419,  m.  1508). 

—  5.  Timoteo  ecc.  Fu  soprannominato 
FHomuso.  Era  un  nobile  ferrarese  amico 
del  Poeta,  che  a  lui  indirizza  il  carme  set- 
timo. Fu  ritenuto  eccellente  poeta,  ma  in- 
vece fu  per  giudizio  del  Carducci  (Poesie 
latine  di  L.  A.  p.  149)  scarso  e  freddo 
verseggiatore. 


Il  fiume  ove  sudar  gli  antiqui  elettri. 
93 

Tra  questo  loco,  e  quel  de  la  colonna 
Che  fu  sculpita  in  Borgia,  com'è  detto, 
Formata  in  alabastro  una  gran  donna 
Era  di  tanto  e  si  sublime  aspetto, 
Che  sotto  puro  velo  in  nera  gonna. 
Senza  oro  e  gemme,  in  un  vestire  schietto, 
Tra  le  più  adorne  non  parca  men  bella. 
Che  sia  tra  l'altre  la  Ciprigna  stella. 
94 

Non  si  potea  ben  contemplando  fiso. 
Conoscer  se  più  grazia  o  più  beltade, 
0  maggior  maestà  fosse  nel  viso, 
0  più  indizio  d'ingegno  o  d'onestade. 
Chi  vorrà  di  costei  (dicea  l'inciso 
Marmo)  parlar,  quanto  parlar  n'accade, 
Ben  torrà  impresa  più  d'ognaltra  degna; 
Ma  non  però,  ch'a  fin  mai  se  ne  vegna, 
95 

Dolce  quantunque  e  pien  di  grazia  tanto 
Fosse  il  suo  bello  e  ben  formato  segno. 
Parca  sdegnarsi  che  con  umil  canto 
Ardisse  lei  lodar  si  rozzo  ingegno. 
Com'era  quel  che  sol,  senz'altri  a  canto 
(Non  so  perché),  le  fu  fatto  sostegno. 
Di  tutto  '1  resto  ch'ano  i  nomi  sculti: 
Sol  questi  duo  l'artefice  avea  occulti. 


—  8.  Il  fiume,  il  Po.  Vedi  per  la  favola 
e.  Ili,  34,  n.  6.  —  sudar,  trasudarono,  ven- 
nero fuori. 

9%.  5.  Che  sotto  ecc.  In  questa  donna  l'A. 
volle  certo  raffigurare  Alessandra  Benucci, 
da  lui  conosciuta  da  poco  tempo  e  già  for- 
temente amata.  La  raffigura  con  quell'abito 
nero,  con  che  la  vide  a  Firenze  il  giorno, 
che  se  ne  innamorò  (24  giugno  1513).  «  Non 
fu  senza  sue  lodi  il  puro  e  schietto  Serico 
abito  nero  ».  Canz.  1, 100-1.  Ediz.  Polidori 
voi.  I,  284.  «  Bella  quell'  ombra  di  mistero 
nella  quale  s'avvolge  cou  lei  il  Poeta»  (Ca- 
sella). 

—  8.  Ciprigna  st.;  il  pianeta  Venere.  Ci- 
2ìrigna  fu  detta  Venere  da  Cipro,  dove  era 
specialmente  venerata:  l'A.  di  questa  pa- 
rola, che  era  un  attributo  di  Venere,  ha 
fatto,  con  un  certo  ardimento,  un  attributo 
della  stella  di  questo  nome.  Più  chiara- 
mente il  Bracciolini,  Scherno  d.  D.  7,  47, 
disse  Ciiorignino  sdegno. 

94.  6.  p.  n'  accade,  occorre,  è  opportuno, 
conviene  parlarne.  V.  e.  m,  62. 

—  S.  eh'  a  fin,  tale  che  a  fin  ecc. 

9.J.  1.  quantunque,  posposto  a  qualche  pa- 
rola della  proposizione  P  abbiamo  anche 
nel  e.  XVI,  4,  7  ;  xxxi,  38,  6. 

—  2.  segno.  V.  sopra,  st.  81,  n.  1. 

—  5.  quel,  l'Ariosto  stesso. 

—  8.  occulti,  occultati.  Poliz.  St.  1,  18: 
«  Ogni  arbor  da'  suoi  frutti  quasi  occulto  ». 


CANTO  XLII 


579 


96 
Fanno  le  statue  in  mezzo  un  luogo  tondo 
Che  '1  pavimento  asciutto  ha  di  corallo, 
Di  freddo  soavissimo  giocondo, 
Che  rendea  il  puro  e  liquido  cristallo. 
Che  di  fuor  cade  in  un  canal  fecondo, 
Che  '1  prato  verde,  azurro,  bianco  e  giallo 
Rigando,  scorre  per  vari  ruscelli, 
Grato  alle  morbide  erbe  e  agli  arbuscelli. 

97 
Col  cortese  oste  ragionando  stava 
Il  Paladino  a  mensa;  e  spesso  spesso, 
Senza  più  differir,  gli  ricordava 
Che  gli  attenesse  quanto  avea  promesso: 
E  ad  or  ad  or  mirandolo,  osservava 
Ch'avea  di  grande  affanno  il  core  oppresso; 
Che  non  può  star  momento  che  non  abbia 
Un  cocente  sospiro  in  su  le  labbia. 

98 
Spesso  la  voce  dal  disio  cacciata 
Viene  a  Rinaldo  sin  presso  alla  bocca 
Per  domandarlo;  e  quivi  raffrenata 
Da  cortese  modestia,  fuor  non  scocca. 
Ora  essendo  la  cena  terminata. 
Ecco  un  donzello,  a  chi  l'ufficio  tocca, 
Pon  su  la  mensa  un  bel  nappo  d'or  fino. 
Di  fuor  di  gemme,  e  dentro  pien  di  vino. 

99 
Il  signor  de  la  casa  allora  alquanto 
Sorridendo,  a  Rinaldo  levò  il  viso; 
Ma  chi  ben  lo  notava,  più  di  pianto 
Parca  ch'avesse  voglia  che  di  riso. 
Disse:  Ora  a  quel  che  mi  ricordi  tanto. 
Che  tempo  sia  di  sodisfar  m'è  avviso; 
Mostrarti  un  paragon  ch'esser  de'  grato 
Di  vedere  a  ciascun  ch'ha  moglie  a  lato. 
100 
Ciascun  marito,  a  mio  giudizio,  deve 


9G.  3.  Di  freddo  ecc.,  giocondo  per  freddo 
soaviss.  che  era  prodotto  dalla  pura  e  lim- 
pida acqua. 

97.  1.  oste,  ospite.  V.  e.  xvii,  71,  n,  3. 

—  3.  Senza  p.  diff.  Va  messo  dopo  gli 
attenesse.  È  una  delle  tante  inversioni  del 
Furioso. 

99.  7.  paragon,  prova.  V.  e.  i,  n.  4  e  me- 
glio XLiii,  65,  n.  6.  —  L' infinito  mostrarti 
dipende  dal  precedente  m' è  avviso  che 
tempo  -sia  di. 


Sempre  spiar,  se  la  sua  donna  l'ama; 
Saper  s'onore  o  biasmo  ne  riceve. 
Se  per  lei  bestia,  o  se  pur  uom  si  chiama. 
L' incarco  de  le  corna  è  lo  più  lieve 
Ch'ai  mondo  sia,  se  ben  l'uom  tanto  infa- 
Lo  vede  quasi  tutta  l'altra  gente;      [ma: 
E  chi  l'ha  in  capo,  mai  non  se  lo  sente. 
101 
Se  tu  sai  che  fedel  la  moglie  sia, 
Hai  di  più  amarla  e  d'onorar  ragione. 
Che  non  ha  quel  che  la  conosce  ria, 

0  quel  che  ne  sta  in  dubbio  e  in  passione. 
Di  molte  n'hanno  a  torto  gelosia 

1  lor  mariti,  che  son  caste  e  buone: 
Molti  di  molte  anco  sicuri  stanno, 
Che  con  le  corna  in  capo  se  ne  vanno. 

102 

Se  vuoi  saper  se  la  tua  sia  pudica 
(Come  io  credo  che  credi,  e  creder  dei; 
Ch'altrimenti,  far  credere  è  fatica. 
Se  chiai'o  già  per  prova  non  ne  sei). 
Tu  per  te  stesso,  senza  ch'altri  il  dica. 
Te  n'avvedrai,  s'in  questo  vaso  bei; 
Che  per  altra  cagion  non  è  qui  messo. 
Che  per  mostrarti  quanto  io  t'ho  promesso. 
103 

Se  bei  con  questo,  vedrai  grande  effetto  ; 
Che  se  porti  il  cimier  di'Cornovaglia, 
Il  vin  ti  spargerai  tutto  sul  petto, 
Né  gocciola  sarà  ch'in  bocca  saglia: 
Ma  shai  moglie  fedel,  tu  berai  netto. 
Or  di  veder  tua  sorte  ti  travaglia. 
Cosi  dicendo,  per  mirar  tien  gli  occhi, 
Ch'in  seno  il  vin  Rinaldo  si  trabocchi. 
104 

Quasi  Rinaldo  di  cercar  suaso 
Quel  che  poi  ritrovar  non  vorria  forse, 
Messa  la  mano  inanzi,  e  preso  il  vaso, 
Fu  presso  di  volere  in  prova  porse: 
Poi,  quanto  fosse  periglioso  il  caso 
A  porvi  i  labri,  col  pensier  discorse. 
Ma  lasciate,  Signor,  ch'io  mi  ripose; 
Poi  dirò  quel  che  'I  Paladin  rispose. 


luì.  4.  chiaro;  certo.  V.  e.  ii,  60,  n.  I. 

103.  6.  ti  travaglia,  ti  Studia. 

104.  4.  Fu  presso  di  v.  ;  Fu   presso  a  vo- 
ler. Più  raro  il  costrutto  con  di. 

—  5.  caso,  fatto  ;   come  al  canto  xxxr, 
107,  4. 


580 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  XLIIT 


0  esecrabile  Avarizia,  o  ingorda 
Fame  d'avere,  io  non  mi  maraviglio 
Ch'ad  alma  vile  e  d'altre  macchie  lorda, 
Si  facilmente  dar  possi  di  piglio; 
Ma  che  meni  legato  in  una  corda, 
E  che  tu  impiaghi  del  medesmo  artiglio 
Alcun,  che  per  altezza  era  d'ingegno. 
Se  te  schivar  potea,'d'ogni  onor  degno. 
2 

Alcun  la  terra  e  '1  mare  e  '1  ciel  misura, 
E  render  sa  tutte  le  cause  a  pieno 
D'ogni  opra,  d'ogni  effetto  di  Natura, 
E  poggia  si  ch'a  Dio  riguarda  in  seno; 
E  non  può  aver  più  ferma  e  maggior  cura, 
Morso  dal  tuo  mortifero  veleno. 
Ch'unir  tesoro;  e  questo  sol  gli  preme, 
E  ponvi  ogni  salute,  ogni  sua  speme. 
3 

Rompe  eserciti  alcuno,  e  ne  le  porte 
Si  vede  entrar  di  bellicose  terre, 
Et  esser  primo  a  porre  il  petto  forte. 
Ultimo  a  trarre,  in  perigliose  guerre; 
E  non  può  riparar  che  sino  a  morte 


1.  1.  0  esecr.  Av.  Virgil.  En.  3,  56  :  «  au- 
ri  sacra  fames  ». 

—  4.  possi,  tu  possa.  V.  e.  xv,  86,  n.  5. 
Bar  di  piglio  ha  qui  il  suo  significato  di 
afferrare  violentemente  e  stì-ettamente. 

—  5.  legato  in  n.  corda,  legato  dentro  una 
stessa  corda  ;  stretto  in  un  solo  fascio. 

—  6.  del  m.  a.  col  ni.  artiglio. 

2.  2.  render...  le  cause,  dir  la  ragioni. 
Causa  per  ragione  è  frequente  in  italiano 
come  in  latino.  Fedro  3,  17:  «  causam  dixit 
luppiter».  E  l'Ariosto  nel  e.  xliv,  45;  Cin- 
que C.  I,  44  :  render  la  causa. 

—  4.  a  D.  r.  in  seno  ;  Cosi  fa,  per  es.,  la 
teologia  razionale,  che  ragiona  sull'essenza 
e  sugli  attributi  di  Dio. 

—  5.  ferma,  costante. 

—  8.  p.  ogni  salute;  pone  in  ciò  ogni  suo 
benessere. 

8.  5.  E  non  può;  eppure  non  p  ;  nondi- 
meno non  può.  Petrarca,  i,  son.  03:  «  Era 
ben  forte  la  nemica  mia  K  lei  vidi  io  ferita 
in  mezzo  al  core  ».  —  riparar,  impedire.  È 
strano  che  i  vocabolari  non  citino  esempi 
bene  appropriati  di  questo  significato.  Il 
Tommaseo  cita  il  Forteouerri,  Rice.  10, 
17,  che  però  ha  un  altro  costruito  :  «  né  al- 
cun glie  lo  ripara  (glielo  vieta)  ».  Gli  altri 
esempi,  che  si  citano,  contengono  tutti  l'idea 
d'un  riparo  a  qualche  cosa,  che  si  avanza. 


Tu  nel  tuo  cieco  carcere  noi  serre. 
Altri  d'altre  arti  e  d'altri  studi  industri, 
Oscuri  fai,  che  sarian  chiari  e  illustri. 
4 

Che  d'alcune  dirò  belle  e  gran  donne 
Ch'a  bellezza,  a  virtù  di  fidi  amanti, 
A  lunga  serviti!,  più  che  colonne, 
Io  veggo  dure,  immobili  e  constanti? 
Veggo  venir  poi  l'Avarizia,  e  ponne 
Far  si  che  par  che  subito  le  incanti: 
In  un  di  senza  amor  (chi  fia  che  '1  creda?) 
A  un  vecchio,  a  un  brutto,  a  un  mostro  le 
5  [dà  in  preda. 

Non  è  senza  cagion,  s'io  me  ne  doglio; 
Intendami  chi  può,  che  m'intend'io. 
Né  però  di  proposito  mi  toglio. 
Né  la  materia  del  mio  canto  oblio;  [glio, 
Ma  non  più  a  quel  c'ho  detto,  adattar  vo- 
Ch'a  quel  ch'io  v'ho  da  dire,  il  parlar  mio. 
Or  torniamo  a  contar  del  Paladino 
Ch'ad  assaggiare  il  vaso  fu  vicino. 
6 

Io  vi  dicea  ch'alquanto  pensar  volle, 
Prima  ch'ai  labri  il  vaso  s'appressasse. 
Pensò,  e  poi  disse:  Ben  sarebbe  folle 
Chi  quel  che  non  vorria  trovar,  cercasse. 
Mia  donna  è  donna,  et  ogni  donnaò  molle: 


—  6.  serre,  serri. 

—  7.  d'  altre  arti. ...  industri  ;  altri  indu- 
striosi, ingegnosi  in  altre  arti  ecc.  Dunque 
di  altre  a.  è  complemento  di  limitazione. 
Nell'ediz.  del  '16  si  leggeva  appunto  «  Altri 
in  altre  arti»,  che  forse  l'A.  corresse  per 
evitare  le  troppe  a  in  principio  di  parola. 

4.  4.  dure  ;  senza  commoversi. 

—  5.  ponne,  ne  può. 

5.  %.  Intendami  ecc.  Verso  tolto  di  peso 
dal  Petrarca,  i,  canz.  9. 

—  3.  Né  però  ecc.  ;  Ho  ragione  di  dolermi 
dell'avarizia  con  questa  digressione,  ma 
non  per  questo  esco  dall'argomento,  perché 
ciò  che  ho  detto  si  lega  con  ciò  che  segue. 

5.  5.  Ma  non  pili  ecc.  Ma  questo  sfogo, 
che  ho  fatto  (il  parlar  mio)  non  voglio  rife- 
rirlo tanto  a  ciò  che  ho  detto  nel  canto  pre- 
cedente, quanto  piuttosto  a  ciò  che  seguirà. 
Con  questo  viene  ad  avvertire  il  lettore  che 
sebbene  l'Autore  gli  sembri  uscito  dall'ar- 
gomento qualora  riferisse  Jo  sfogo  al  canto 
passato,  gli  sembrerà  altrimenti  quando 
voglia  riferirlo  a  ciò  che  segue. 

C.  5.  molle.  È  il  contrario  di  rfure  della 
st.  4,  4. 


à 


CANTO  XLIII 


581 


Lasciàn  star  mia  credenza  come  stasse. 
Sin  qui  m'ha  il  creder  mio  giovato,  e  giova: 
Che  poss'io  megliorar  per  farne  prova? 

7 
Potria  poco  giovare  e  nuocer  molto; 
Che  '1  tentar  qualche  volta  Idio  disdegna. 
Non  so  s'in  questo  io  mi  sia  saggio  0 stolto; 
Ma  non  vo'  più  saper,  che  mi  convegna. 
Or  questo  vin  dinanzi  mi  sia  tolto: 
Sete  non  n'ho,  né  vo'  che  me  ne  vegna; 
Che  tal  certezza  ha  Dio  più  proibita, 
Ch'ai  primo  padre  l'arbor  de  la  vita. 

8 
Che  comeAdam, poiché  gustòdelpomo 
Che  Dio  con  propria  bocca  gì' interdisse. 
Da  la  letizia  al  pianto  fece  un  tomo, 


—  6.  stasse,  stassi,  si  sta. 

—  .8.  per  farne  p.;  per  quanto  ne  faccia 
prova? 

7.  2.  Che  '1  tentar  ecc.,  che  il  tentare  Dio, 
qualche  volta  lo  disdegna,  lo  muove  a  sde- 
gno. O  anche:  che  il  tentarlo,  qualche  volta 
muove  a  sdegno  Dio.  La  prima  interpretaz. 
che  è  più  semplice,  suppone  un'inversione 
un  po'  dura,  ma  non  delle  più  ardite  del 
Furioso.  Per  il  concetto  cfr.  Evangelo 
5.  Litca,  4,  12:  «Non  teutabis  dominum 
deum  tuuni  »  —  disdegna,  per  muove  a  sde- 
gno, «  è  maniera  di  raro  uso  »  nota  la  Cru- 
sca, riportando  solo  questo  e  un  altro  esem- 
pio del  Barberino. 

—  4.  pili  ...  che  mi  e.  ;  più  di  quello  che 
mi  convenga,  che  mi  sia  necessario.  E  poi- 
ché di  questo  posso  farne  a  meno,  non  vo- 
glio saperlo. 

—  7.  Che  tal  cert.  ecc.  ;  poiché  questa 
certezza  Dio  l'ha  proibita  più  dello  stesso 
albero  della  scienza.  In  quel  più  che,  anzi- 
ché un  esatto  confronto  è  da  vedere  un' 
espressione  semplicemente  iperbolica;  co- 
me quando  diciamo  :  «  è  più  difficile  che 
volare  ». 

—  8.  l'arbor  de  la  vita.  La  Genesi  nel  te- 
sto della  volgata  dice;  «  e  il  Signore  Iddio 
fece  germogliar  dalla  terra  ogni  sorta  d'al- 
beri piacevoli  a  riguardare  e  buoni  a  man- 
giare: e  l'albero  della  vita  in  mezzo  del 
giardino  e  l' albero  della  conoscenza  del 
bene  e  del  male  ».  «  E  il  signore  Dio  co- 
mandò all'uomo  dicendo....  Ma  non  mangiar 
dell'albero  della  conoscenza  del  bene  e  del 
male».  Il  Calmet,  Commento  in  Gen.  2,  8, 
dice  che  non  si  può  con  certezza  determi- 
nare se  due  alberi  fossero  o  uno  solo,  poi- 
ché il  testo  ebraico  poteva  significarne  due 
diversi  o  anche  uno  solo  indicato  con  due 
diversi  nomi.  Donde  si  comprende  come  per 
alcuni  l'albero  della  vita  fosse  lo  stesso  che 
r  albero  della  scienza. 

8.  3.  un  tomo  (gr.  ptoma,  caduta),  un  i 
salto  in  giù.  Boccaccio,  Nov.  13:  «  per  ve^ 


Onde  in  miseria  poi  sempre  s'afflisse; 
Cosi,  se  de  la  moglie  sua  vuol  l'uomo 
Tutto  saper  quanto  ella  fece  e  disse'. 
Cade  de  l'allegrezze  in  pianti  e  in  guai, 
Onde  non  può  più  rilevarsi  mai. 
9 

Cosi  dicendo  il  buon  Rinaldo  e  in  tanto 
Respingendo  da  sé  l'odiato  vase, 
Vide  abondare  un  gran  rivo  di  pianto 
Dagli  occhi  del  signor  di  quelle  case 
Che  disse,  poi  che  racchetossi  alquanto  : 
Sia  maledetto  chi  mi  persuase. 
Ch'io  facesse  la  prova,  oimè!  di  sorte, 
Che  mi  levò  la  dolce  mia  consorte. 
10 

Perché  non  ti  conobbi  già  dieci  anni, 
Si  che  io  mi  fossi  consigliato  teco. 
Prima  che  cominciassero  gli  affanni, 
E  '1  lungo  pianto  onde  io  son  quasi  cieco? 
Ma  vo' levarti  da  la  scena  i  panni; 
Che  '1  mio  mal  vegghi,  e  te  ne  dogli  meco  ; 
E  ti  dirò  il  principio  e  l'argumento 
Del  mio  non  comparabile  tormento. 
11 

Qua  su  lasciasti  una  città  vicina, 
A  cui  fa  intorno  un  chiaro  fiume  laco, 
Che  poi  si  stende,  e  in  questo  Po  declina, 
E  l'origine  sua  vien  di  Benaco. 
Fu  fatta  la  città,  quando  a  mina 
Le  mura  andar  de  l'Agenoreo  draco. 


der  fare  il  tomo  a  quei  maccheroni  (che  pre- 
cipitavano giù  dalla  cima  per  i  fianchi  d'un 
monte  di  formaggio)  ».  V.  e.  xlv,  1. 

9.  7.  facesse,  facessi.  V.  e.  xxxi,  12,  n.  7. 
—  di  sorte  che,  di  maniera  che.  V.  e.  vi, 
39,  n.  6. 

10.  1.  già  dieci  a.  ;  già  da  dieci  a.  V.  e.  i, 
38,  n.  6. 

—  5.  levarti  d.  1.  s.  i.  p.;  levar  le  cortine, 
le  tende  ;  mostrarti  le  cose  come  stanno, 
mostrarti  il  dramma  della  mia  vita.  È  im- 
magine tolta  dal  teatro  e  dal  sipario.  V. 
e.  xxxii,  SO,  n.  1. 

—  6.  vegghi,  dogli;  vegga,  dolga.  V. e.  xv, 
86,  n.  5. 

—  7.  l'argumento,  la  causa,  il  motivo: 
Dante,  Par.  4,  68  :  «  Parere  ingiusta  la  no- 
stra giustizia  Negli  occhi  de'  mortali,  è  »?•- 
[lomento  Di  fede  non  d' eretica  nequizia  ». 

11.  5.  Fu  fattala  e.  «  Intende  di  Mantova, 
intorno  alla  quale  il  Mincio,  ch'esce  dal  lago 
di  Garda  (lat.  Benacus)  si  aggii-a  e  stagna. 
Finsero  i  poeti,  che  distrutta  dagli  Epigoni 
la  città  di  Tebe  in  Beozia,  fuggisse  di  là  in 
Italia  una  figliuola  di  Tiresia  l'ebano,  chia- 
mata Manto,  della  quale  discese  Ocno,  che 
fabbricò  Mantova,  nominandola  dalla  ma- 
dre (Barotti)  ». 

—  6.  Le  mura  ecc.  «Espresse  l'Ar.  la  città 
di  Tebe  col  nome  di  mura  dell' Agen.  draco. 


582 


ORLANDO  FURIOSO 


Quivi  nacque  io  di  stirpe  assai  gentile, 
Ma  in  pover  tetto,  e  in  facultade  umile. 
12 

Se  Fortuna  di  me  non  ebbe  cura 
Si  che  mi  desse  al  nascer  mio  ricchezza, 
Al  difetto  di  lei  suppli  Natura, 
Che  sopra  ogni  mio  ugual  mi  diébellezza. 
Donne  e  donzelle  già  di  mia  figura 
Arder  più  d'una  vidi  in  giovanezza; 
Ch'io  ci  seppi  accoppiar  cortesi  modi; 
Ben  che  stia  mal  che  l'nom  sé  stesso  lodi. 
13 

Ne  la  nostra  cittadeera  un  uom  saggio, 
Di  tutte  l'arti  oltre  ogni  creder  dotto. 
Che  quando  chiuse  gli  occhiai  Febeo  rag- 

[gio, 
Contava  gli  anni  suoi  cento  e  vent'otto. 
Visse  tutta  sua  età  solo  e  selvaggio, 
Se  non  l'estrema;  che  d'Amor  condotto, 
Con  premio  ottenne  una  matrona  bella, 
E  n'ebbe  di  nascosto  una  >  ittella. 
14 

E  per  vietar  che  simil  la  figliuola 
Alla  madre  non  sia,  che  per  mercede 
Vendè  sua  castità  che  valea  sola 
Più  che  quanto  oro  al  mondo  si  possiede, 
Fuor  del  commercio  popular  la  invola; 
Et  ove  più  solingo  il  luogo  vede, 
Questo  ampio  e  bel  palagio  e  ricco  tanto 
Fece  fare  a  demonii  per  incanto. 


perché  fu  fondata  da  Cadmo,  figliuolo  d'Age- 
nore, con  l'aiuto  d'alcuni  compagni  nati  dai 
denti  seminati  del  drago,  che  fu  vinto  e  uc- 
ciso da  Cadmo  (Barotti)  ». 

—  7.  nacque,  nacqui.  V.  e.  li,  41,  n.  5 — 
gentile,  nobile.  Dante,  Inf.  26,  60:  «Onde 
usci  de' Romani  il  gentil  seme  >,  Petrarca, 
Canz.  «  Italia  mia  »,  71:  «  Latin  sangue  gen- 
tile ». 

12.  7.  Io  ci  seppi  a.  ;  Io  seppi  ad  essa 
accopp. 

13.  2.  Di  tutte  ecc.  ;  in  tutte  l'arti.  È  com- 
pi, di  limitazione  :  cfr.  e.  vii,  10,  n.  6. 

—  4.  Contava  ecc.  È  variazione  del  modo 
più  comune:  contava  (aveva)  cento  e  ven- 
totto  anni.  È  strano  che  neppure  la  N.  Cru- 
sca registri  quest'uso  cosi  comune  del  verbo 
contare.  Nel  n.  4  registra  usi  aflìni  e  non 
questo,  che  è  il  più  frequente. 

—  6.  Se  non  1'  es.  ;  fuorché  1'  estr.  Cosi 
nel  e.  xxviii,  42,  I  ;  e  xviii,  81,  7,  dove  tro- 
verai la  nota  —  d'Amor,  da  amor  ;  e.  v,  10, 
n.  5. 

—  7.  Con  premio  ott.  ;  con  danaro  cor- 
ruppe, sedusse. 

—  8.  cittella,  bambina.  V.  e.  xv,  72. 

14.  1-2.  vietar...  che  non.  Per  il  costrutto 
cfr.  e.  XIII,  10,  n.  1. 

—  5.  commercio  p.  ;  compagnia  del  po- 
polo, consorzio  umano:  e.  xv,  49,  n.  4, 


15 

A  vecchie  donne  e  caste  fé'  nutrire 
La  figlia  qui  ch'in  gran  beltà  poi  venne; 
Né  che  potesse  altr'uom  veder,  né  udire 
Pur  ragionarne  in  quella  età  sostenne. 
E  perch'avesse  esempio  da  seguire, 
Ogni  pudica  donna  che  mai  tenne 
Centra  illicito  amor  chiuse  le  sbarre. 
Ci  fé'  d'intaglio  o  di  color  ritrarre: 
16 

Non  quelle  sol  che  di  virtude  amiche 
Hanno  si  il  mondo  all'età  prisca  adorno; 
Di  quai  la  fama  per  l'istorie  antiche 
Non  è  per  veder  mai  l'ultimo  giorno: 
Ma  nel  futuro  ancora  altre  pudiche 
Che  faran  bella  Italia  d'ogn'intoruo. 
Ci  fé'  ritrarre  in  lor  fattezze  conte. 
Come  otto  che  ne  vedi  a  questa  fonte. 
17 

Poi  che  la  figlia  al  vecchio  par  matura 
Si,  che  ne  possa  l'uom  cogliere  i  frutti  ; 

0  fosse  mia  disgrazia,  o  mia  avventura, 
Eletto  fui  degno  di  lei  fra  tutti. 

1  lati  campi,  oltre  alle  belle  mura, 
Non  meno  i  pescarecci,  che  gli  asciutti. 
Che  ci  son  d'ogn'intoruo  a  venti  miglia. 
Mi  consegnò  per  dote  de  la  figlia. 

18 
Ella  era  bella  e  costumata  tanto. 
Che  più  desiderar  non  si  potea. 
Di  bei  trapunti  e  di  riccami,  quanto 
Mai  ne  sapesse  Pallade,  sapea. 
Vedila  andare,  odine  il  suono  e  '1  canto, 


16.  2.  SI,  cosi,  come  si  legge. 

—  3.  Di  qnai,  delle  quali.  Esempio  note- 
vole, che  mostra  come  anche  in  quei  luo- 
ghi, dove  si  potrebbe  supporre  la  mancanza 
dell'  apostrofo  {a  quali  e  simili),  si  abbia 
una  vera  e  propria  omissione  d'articolo: 
cfr.  e.  II,  15,  n.  8,  e  specialmente  l'altro  es. 
simile  del  e.  xxvn,  51,  5. 

—  5-6.  Ma  ecc.  Io  costruirei  cosi  :  ma 
ci  fece  ritrarre  altre  pudiche,  che  nel  futum 
ancora  faran  bella  ecc.  Mi  par  più  duro 
intendere  :  ma  ci  f.  r.  altre,  pudiche  nel  tempo 
futuro  ancora.  Per  l'inversione  cfr.  e.  vi,  31, 
6;  XIII  77,  5;  XXIX,  23,  5;  xxxiii,  9,  6;  ecc. 

—  .7.  conte;  Puoi  intendere  note;  cioè 
le  fattezze,  che  a  quel  tempo  saranno  note, 
famose;  o  meglio  belle  come  al  e.  xxxii, 
83,  3.  Cfr.  e.  XX,  136,  n.  2. 

17.  3.  disgrazia...  avventura.  Ora  la  giudica 
disgrazia,  allora  la  giudicò  avventura;  quasi 
dica:  allora  la  credetti  un'avventura,  ma 
poi  fu  veramente  una  disgrazia. 

—  5.  le  b.  mura,  il  castello  fatto  per  in- 
canto. 

18.  3.  riccami,  V.  e.  xxxix,  17,  n.  8. 

—  4.  Pallade.  V.  e  xi,  75,  n.  6. 

—  5-6.  Vedila....  parea.  Nota  il  passaggio 


CANTO  XLIII 


583 


Celeste  e  non  mortai  cosa  parea; 
E  in  modo  all'arti  liberali  attese, 
Che,  quanto  il  padre,  o  poco  meu  n'intese. 

19 
Con  grande  ingegno,  e  non  minor  bellez- 
Che  fatta  l'avria  amabil  fin  ai  sassi,    [za 
Era  giunto  un  amore,  una  dolcezza, 
Che  par  ch'a  rimembrarne  il  cor  mi  passi. 
Non  avea  più  piacer  né  più  vaghezza, 
Che  d'esser  meco  o  v'io  mi  stessi  o  andassi. 
Senza  aver  lite  mai  stemmo  gran  pezzo: 
L'avemmo  poi,  per  colpa  mia,  da  sezzo. 

20 
Morto  il  suocero  mio  dopo  cinque  anni 
Ch'io  sottoposi  il  collo  al  giugal  nodo. 
Non  stèro  molto  a  cominciar  gli  affanni 
Ch'io  sento  ancora,  e  ti  dirò  in  che  modo. 
Mentre  mi  richiudea  tutto  coi  vanni 
L'Amor  di  questa  mia  che  si  ti  lodo. 
Una  femina  nobil  del  paese. 
Quanto  accender  si  può,  di  me  s'accese. 

21 
Ella  sapea  d'incauti  e  di  malie 
Quel  che  saper  ne  possa  alcuna  Maga: 
Rendea  la  notte  chiara,  oscuro  il  die. 
Fermava  il  sol,  facea  la  terra  vaga. 
Non  potea  trar  però  le  voglie  mie. 
Che  le  sanassin  l'amorosa  piaga 
Col  rimedio  che  dar  non  le  potria 
Senza  alta  ingiuria  de  la  donna  mia. 

22 
Non  perché  fosse  assai  gentile  e  bella, 
Né  perché  sapess'io,  che  si  me  amassi, 
Né  per  gran  don,  né  per  promesse  ch'ella 
Mi  fesse  molte,  e  di  continuo  instassi. 
Ottener  potè  mai,  ch'una  fiammella. 
Per  darla  a  lei,  del  primo  amor  levassi; 
Ch'a  dietro  ne  traea  tutte  mie  voglie 
Il  conoscermi  fida  la  mia  moglie. 

23 
La  speme,  la  credenza,  la  certezza 


ardito,  ma  bello:  regolarmente:  a  vederla.... 
a  udirne....  parea. 

19.  3.  Era  giunto,  era  congiunto. 

—  8.  da  sezzo.  V.  e.  XI,  11,  n.  .3. 

20.  2.  giugal  nodo.  V.  e.  XLii,  71  n.  3. 

—  8.  Quanto  acc.  si  può.  Credo  si  debba 
intendere:  si  accese  di  me  quanto  accender 
si  potea.  C  è  quel  passaggio  brusco  dal  pas- 
sato al  presente,  che  abbiamo  notato  tante 
volte,  specialmente  per  il  verbo  potere  nella 
forma  ì:)ote  :  cfr.  e.  viii,  53,  n.  4  ;  e  sotto,  alle 
st.  22  e  24. 

21.  4.  t.  vaga,  vagante  (lat.  vagus):  cfr. 
e.  VII,  43,  n.  5. 

—  6.  Che,  cosi  che. 

22.  4.  e  di  o.  instassi;  e  di  continuo  in- 
stasse, insistesse.  È  andamento  popolare 
del  periodo  :  regolarmente  :  né  pei'ché  di 
contin.  inst. 


Che  de  la  fede  di  mia  moglie  avea, 
M'avria  fatto  sprezzar  quanta  bellezza 
Avesse  mai  la  giovane  Ledea, 
O  quanto  offerto  mai  senno  e  ricchezza 
Fu  al  gran  pastor  de  la  montagna  Idea. 
Ma  le  repulse  mie  non  valean  tanto. 
Che  potessou  levarmela  da  canto. 
24 

Un  di  che  mi  trovò  fuor  del  palagio 
La  Maga,  che  nomata  era  Melissa, 
E  mi  potè  parlare  a  suo  grande  agio 
Modo  trovò  da  por  mia  pace  in  rissa, 
E  con  lo  spron  di  gelosia  malvagio 
Cacciar  del  cor  la  fé  che  v'era  fissa. 
Comincia  a  commendar  la  iutenzion  mia. 
Ch'io  sia  fedele  a  chi  fedel  mi  sia. 
25 

Ma  che  ti  sia  fedel,  tu  non  puoi  dire, 
Prima  che  di  sua  fé  prova  non  vedi. 
S'ella  non  falle,  e  che  potria  fallire. 
Che  sia  fedel,  che  sia  pudica  credi. 
Ma  se  mai  senza  te  non  la  lasci  ire. 
Se  mai  vedere  altr'uom  non  le  concedi, 
Onde  hai  questa  baldanza,  che  tu  dica 
E  mi  vogli  affermar  che  sia  pudica? 
26 

Scostati  un  poco,  scostati  da  casa; 
Fa  che  le  cittadi  odano  e  i  villaggi. 
Che  tu  sia  andato,  e  ch'ella  sia  rimasa; 
Agli  amanti  dà  commodo  e  ai  messaggi. 
S'a  prieghi,  a  doni  non  fia  persuasa 
Di  fare  al  letto  maritale  oltraggi, 
E  che,  facendol,  creda  che  si  cele, 
Allora  dir  potrai  che  sia  fedele. 


23.  4.  la  g.  Ledea  «Elena  figlia  di  Leda, 
famosa  per  la  fatai  sua  bellezza  »  (Barotti). 

—  5.  0  quanto  ecc.  «  Allude  alle  offerte, 
che  fecero  Pallade  di  prudenza,  e  Giunone 
di  ricchezze  a  Paride  (nutrito  da  pastori 
nel  monte  Ida)  per  ottenere  il  premio  della 
discordia  »  (Barotti). 

24.  3.  potè.  L'ediz.  del  1516  ha  piiote. 

—  6.  la  fé,  la  fedeltà. 

25.  2.  Prima  che  n.  vedi.  Vedi  o  è  indica- 
tivo come  nel  e.  v,  26,  7,  dove  troverai  op- 
portuni raffronti;  o  è  congiuntivo,  come  il 
vogli  del  v.  8  e  lo   svelli   del   e.  xv,  86,  5. 

—  3.  falle;  foi'ma  regolare  da  fallire, 
come  parte  da.  partire;  fallisce,  commette 
fallo.  Più  comune  in  questo  senso  falla  da 
fallare.  V.  e.  xlii,  27,  3.  —  e  che,  e  se  :  cioè  : 
se  si  trovasse  nel  caso  di  commettere  fallo 
e  se  non  lo  commettesse.  V.  e.  iv,  60,  n.  5. 

26.  7.  E  che  facendol  ecc.  E  ne  non  si  la- 
scerà persuadere  cosi  da  credere  che,  fa- 
cendo oltraggi  al  letto  m.,  potrà  celarsi. 
Dunque  unisci  :  n.  fla  persuasa  che  creda 
che  si  cele  :  ossia  :  non  fia  persuasa  a  cre- 
dere di  celarsi  facendolo  (cfr.  st.  38).  Ma  non 
è  molto  chiaro. 


584 


ORLANDO  FURIOSO 


27 

Con  tal  parole  e  simili  non  cessa 
L'incantatrice,  fin  che  mi  dispone 
Che  de  la  donna  mia  la  fede  espressa 
Veder  voglia  e  provare  a  paragone. 
Ora  poguiamo  (le  soggiungo)  ch'essa 
Sia  qual  non  posso  averne  opinione: 
Come  potrò  di  lei  farmi  poi  certo 
Che  sia  di  punizion  degna  o  di  merto? 
28 

Disse  Melissa:  Io  ti  darò  un  vasello 
Fatto  da  ber,  di  virtù  rara  e  strana; 
Qual  già,  per  fare  accorto  il  suo  fratello 
Del  fallo  di  fJenevra  fé'  Morgana. 
Chi  la  moglie  ha  pudica,  bee  con  quello: 
Ma  non  vi  può  già  ber  chi  l'ha  puttana; 
Che  '1  vin,  quando  lo  crede  in  bocca  porre, 
Tutto  si  sparge,  e  fuor  nel  petto  scorre. 
29 

Prima  che  parti,  ne  farai  la  prova, 
E  per  lo  creder  mio  tu  berai  netto; 
Che  credo  ch'ancor  netta  si  ritrova 
La  moglie  tua:  pur  ne  vedrai  l'effetto. 
Ma  s'al  ritorno  esperienza  nuova 
Poi  ne  farai,  non  t'assicuro  il  petto: 
Che  se  tu  non  lo  immolli,  e  netto  bei, 
D'ogni  marito  il  più  felice  sei. 


27.  3.  espressa,  chiara.  V.  e.  xi,  81,  n.  7. 

—  8.  merto,  premio.  V.  e.  il,  16,  u.  3. 

28.  2.  T.  fatto  da  b.  Il  da  quando  indica 
attitudine  si  unisce  comunemente  al  sostan- 
tivo senz'altro:  vasello  da  bere:  con  fatto 
diremmo  fatto  per  bere.  Sembra  quindi  che 
abbiamo  qui  uu  altro  esempio  di  fusione  di 
due  costrutti:  cfr.  ii,  6,  3;  iii,  15,  5;  xxvi, 
46,  2  ecc..  e  più  che  altro  e.  xxix,  50,  5  : 
«  atta  da  narrar  ». 

—  4.  Morgana  ecc.  Si  accenna  a  un  epi- 
sodio del  Bret,  dove  si  dice  di  uu  corno 
inviato  da  Morgana  al  fratello  Artù,  perché 
vedesse  l' infedeltà  della  moglie,  la  regina 
Ginevra.  Ma  questo  corno  non  arrivò  alla 
corte  di  Artù,  perché  quei,  che  lo  porta- 
vano, furono  obbligati  da  due  cavalieri, 
incontrati  per  via,  a  portarlo  alla  corte  di 
re  Marco  di  Cornovaglia.  E  là  per  esso  fu 
dimostrata  la  infedeltà  d' Isotta.  Però  que- 
sto corno  bagnava  la  donna  infedele,  non 
il  marito  ingannato.  —  Questa  modificazione 
l'Ar.  r  ha  desunta  forse  dal  Perceval,  dove 
la  favola  del  corno  è  riprodotta.  Siamo  alla 
corte  del  re  Artù,  e  vi  è  corte  bandita  : 
arriva  un  cavaliere,  con  un  corno  prezioso, 
che  bagna  i  mariti  ingannati:  Artù  vuol 
bervi  e  s'infradicia. 

29.  1.  parti,  tu  parta.  V.  sopra,  st.  25,  n.  2. 

—  3.  credo...  si  ritrova.  Per  l' indicativo 
dipendente  cfr.  e.  v,  42,  n.  3. 

—  4.  l'effetto,  la  prova.  V.  e.  v,  17,  n.  5; 
86.  6. 


30 
L'offerta  accetto:  il  vaso  ella  mi  dona: 
Ne  fo  la  prova  e  mi  succede  a  punto; 
Che,  com'era  il  disio,  pudica  e  buona 
La  cara  moglie  mia  trovo  a  quel  punto. 
Dice  Melissa:  Un  poco  l'abbandona; 
Per  un  mese  o  per  duo  stanne  disgiunto: 
Poi  torna;  poi  di  nuovo  il  vaso  tolli; 
Prova  se  bevi,  o  pur  se  '1  petto  immolli. 

31 
A  me  duro  parca  pur  di  partire; 
Non  perché  di  sua  fé  si  dubitassi. 
Come  ch'io  non  potea  duo  di  patire. 
Né  un'  ora  pur,  che  senza  me  restassi. 
Disse  Melissa:  Io  ti  farò  venire 
A  conoscere  il  ver  con  altri  passi. 
Vo'  che  muti  il  parlare  e  i  vestimenti, 
E  sotto  viso  altrui  te  le  appresenti. 

32 
Signor,  qui  presso  una  città  difende 
Il  Po  fra  minacciose  e  fiere  corna; 
La  cui  iuridizion  di  qui  si  stende 
Fin  dove  il  mar  fugge  dal  lito  e  torna. 
Cede  d'antiquità,  ma  ben  contende 
Con  le  vicine  in  esser  ricca  e  adorna. 
Le  reliquie  Troiane  la  fondare. 
Che  dal  flagello  d'Attila  campare. 

33 
Astringe  e  lenta  a  questa  terra  il  morso 
Uu  cavallier  giovene,  ricco  e  bello. 


80.  4.  a  quel  punto;  in  quel  tempo;  prima 
di  partire. 

31.  1.  pur;  Uniscilo  a  duro:  mi  parea 
pur  duro;  molto  duro  davvero. 

—  2.  Non...  si;  non  cosi.  Tali  distacchi 
abbiamo  visto  nei  e.  v,  75,  5;  vi,  4,7;  xvii, 
108,  2,  ecc. 

—  3.  Come  che  ;  come  perché.  Cosi  ab- 
biamo nel  e.  Ili,  50,  1,  quanto  che,  quanto 
perché.  Tutto  il  luogo  dunque  è  da  inten- 
dere: non  cosi  (non  tanto)  perché  dubitassi 
della  sua  fede,  come  quanto  perché  io  non 
potea  ecc.  Male  intende  la  Crusca;  non 
jjerc/ié  ecc.,  ma  perché  (sotto  come,  n.  16), 
non  avvertendo  o  non  comprendendo  il  si. 

—  4.  Né...  pur.  Su  questa  tmesi  cfr.  i  luo- 
ghi citati  nella  nota  2  della  st.  31. 

32.  2.  fra  min.  e  f.  e.  V.  per  questa  topo- 
grafia di  Ferrara  e.  xxxv,  6. 

—  5.  Cede  d'antiq.;  cede  per  antichità  a 
Bologna,  a  V'erona,  a  Mantova,  a  Brescia 
ecc.,  che  le  sono  vicine. 

—  7.  Le  reliquie  Tr.  «  Ferrara,  secondo 
l'opinione  volgare,  fu  fondata  da  Padovani 
fuggiti  dalle  mani  di  Attila,  dopo  la  distru- 
zione della  loro  città,  la  quale  da  Antenore 
Troiano  era  stata  fabbricata  e  popolata  » 
(Barotti).  V.  e.  xxxv,  6,  n.  2. 

33.  1.  Astringe  e  1.  ;  tira  e  allenta.  Si  cita 
questo  solo  es.  dell'Ar. 


CANTO  XLIII 


585 


Che  dietro  un  giorno  a  un  suo  falcone  iscor- 
Essendo  capitato  entro  il  mio  ostello,  [so, 
Vide  la  donna,  e  si  nel  primo  occorso 
Gli  piacque,  che  nel  cor  portò  il  suggello; 
Né  cessò  molte  pratice  far  poi, 
Per  inchinarla  ai  desiderii  suoi> 

Ella  gli  fece  dar  tante  repulse, 
Che  più  tentarla  al  fine  egli  non  volse; 
Ma  la  beltà  di  lei,  ch'amor  vi  sculse, 
Di  memoria  però  non  se  gli  tolse. 
Tanto  Melissa  allosingorami  e  mulse, 
Ch'a  tór  la  forma  di  colui  mi  volse; 
E  mi  mutò  (ne  so  ben  dirti  come) 
Di  faccia,  di  parlar,  d'occhi  e  dì  chiome. 
35 

Già  con  mia  moglie  avendo  simulato 
D'esser  partito  e  gitone  in  Levante, 
Nel  giovene  amator  cosi  mutato 
L'andar,  la  voce,  l'abito  e  '1  sembiante, 
Me  ne  ritorno,  et  ho  Melissa  a  lato. 
Che  s'era  trasformata,  e  parca  un  fante; 
E  le  pili  ricche  gemme  avea  con  lei. 
Che  mai  mandassin  gl'Indi  o  gli  Eritrei. 
36 

Io  che  l'uso  sapea  del  mio  palagio. 
Entro  sicuro,  e  vien  Melissa  meco; 


—  3.  iscorso;  andato  troppo  avanti,  la- 
sciatosi trasportare.  I  vocabolari  dicono  che 
si  usa  in  mal  senso  e  citano  esempi  confa- 
cienti,  come  scorrere  a  malfare,  in  parole 
ingiuriose,  nel  peccato  ecc.,  La  N.  Crusca 
avrà  presente  questo  esempio,  dove  mal 
senso  non  è. 

—  5.  occorso,  incontro.  É  il  latino  primo 
occursK.  Petrarca,  son.  i,  62:  «  Si,  nel  mio 
primo  occorso  onesta  e  bella  ». 

—  7.  pratice,  pratiche.   V.  e.  i,  41,  n.  1. 

34.  5.  allosingommi,  lusingommi.  V.  e.  i, 
62,  2;  XVI,  28,  n.  2.  —  mnlse  (lat.  mulsit). 
Di  questo  verbo  mólcere  comunem.  si  usa 
il  solo  presente  e  imperf.  Qui  mulse  vale 
quasi  lo  stesso  che  lusingò,  come  nel  Tasso, 
Ger.  15,  65  :  «  E  solo  i  sensi  molce  ».  Ma 
potrebbe  anche  avere,  come  in  latino,  il 
senso  di  spinse:  Lucrezio,  4,  138  :  «  Nù- 
bes...  aera  mulceutes  motu  (impellentes)  ♦. 

35.  4.  V  andar  ecc.  O  è  usato  assoluta- 
mente, secondo  la  costruzione  cosi  detta 
alla  greca  (mutato  l'andar,  la  voce  =  nell'an- 
dar,  nella  voce  ecc.)  (Fornaciari,  Sint. 
p.  349,  nota  )  :  o  vi  è  la  fusione  di  due  co- 
strutti, in  modo  che  il  mutato  prima  si  ri- 
ferisca a  lui  (mutato  nel  giovane  am.),  poi 
si  riferisca  ai  sostantivi  seguenti  (mutato 
i'  andare  ecc.).  Ambedue  le  spiegazioni  si 
confauno  alla  maniera  dell'Ariosto. 

—  7.  con  lei,  con  sé.  V.  e.  iv,  6,  n.  3; 
V,  45,  2  ecc. 


E  madonna  ritrovo  a  si  grande  agio, 
Che  non  ha  né  scudier  né  donna  seco. 
I  miei  prieghi  le  espongo,  indi  il  malvagio 
Stimulo  inanzi  del  mal  far  le  arreco: 
I  rubini,  i  diamanti  e  gli  smeraldi. 
Che  mosso  arebbon  tutti  i  cor  più  saldi. 
37 

E  le  dico  che  poco  è  questo  dono 
Verso  quel  che  sperar  da  me  dovea. 
De  la  commodità  poi  le  ragiono. 
Che,  non  v'essendo  il  suo  marito,  avea: 
E  le  ricordo  che  gran  tempo  sono 
Stato  suo  amante,  com'ella  sapea; 
E  che  l'amar  mio  lei  con  tanta  fede 
Deguo  era  avere  al  fin  qualche  mercede. 
38 

Turbossi  nel  principio  ella  non  poco, 

Sivenne  rossa,  et  ascoltar  non  volle; 
a  il  veder  fiammeggiar  poi,  come  fuoco, 
Le  belle  gemme,  il  duro  cor  fé'  molle: 
E  con  parlar  rispose  breve  e  fioco. 
Quel  che  la  vita  a  rimembrar  mi  tolle; 
Che  mi  compiacerla,  quando  credesse 
Ch'altra  persona  mai  noi  risapesse. 
39 

Fu  tal  risposta  un  venenato  telo 
Di  che  me  ne  senti'l'alma  traflìssa: 
Per  l'ossa  andom  mi  e  perleveneungielo; 
Ne  le  fauci  restò  la  voce  fissa. 
Levando  allora  del  suo  incanto  il  velo, 
Ne  la  mia  forma  mi  tornò  Melissa. 
Pensa  di  che  color  dovesse  farsi, 
Ch'in  tanto  error  da  me  vide  trovarsi. 
40 

Divenimmo  ambi  di  color  di  morte, 
Muti  ambi,  ambi  restiàn  con  gli  occhi  bas- 
Potei  la  lingua  a  pena  aver  si  forte,     [si. 
E  tanta  voce  a  pena,  ch'io  gridassi: 
Me  tradiresti  dunque  tu,  consorte, 


36.  3.  a  81  gr.  agio;  «  cosi  opportunamen- 
te, comodamente ,  in  buon  punto  »  (Barotti). 
Dunque  il  grande  agio  fu  del  cavaliere  non 
di  madonna.  Il  cavaliere  ebbe  tutto  quel- 
r  agio,  che  poteva  desiderare,  perché  ri- 
trovò la  donna  sola. 

37.  2.  Verso,  a  confronto.  Dante,  Pury. 
28,  29  :  «  Tutte  1'  acque...  Parriano  aver  in 
sé  mistura  alcuna  Verso  di  quella  ». 

—  7.  r  amar  mio  lei  ;  il  mio  amar  lei. 

—  8.  Degno...  avere  ;  Degno  iV  avere. 
39.  2.  ne.   È   pleonastico    —   trafflssa.  V. 

e.  V,  63,  6. 

—  4.  fissa;  confitta  (lat.  flxus).  Dopo 
l'Ar.  il  Giusti  disse  {Una  levata  di  cappello 
invol.)  :  «  Tener  potrebbe  in  capo  con  un 
chiodo  Fisso  il  cappello  ». 

—  8.  Ch'  in  t.  Puoi  intendere  Che,  poi- 
ché; o  anche  meglio  chi,  colei  che.  L'eli- 
sione dell'  i  di  chi  è  frequente  nell'Ar.  xix, 
47,  6;  XXIII,  10,  8,  XXXIII,  127,  4.  ecc. 


586 


ORLANDO  FURIOSO 


Quando  ta  avessi  chi '1  mio  onor  compras- 
Altra  risposta  darmi  ella  non  puote,  [si? 
Che  di  rigar  di  lacrime  le  gote. 

41  [gno 

Ben  la  vergogna  è  assai,  ma  più  lo  sde- 
Ch'ella  ha,  da  me  veder  farsi  quella  onta; 
E  multiplica  si  senza  ritegno, 
Ch'in  ira  al  fine  e  in  crudele  odio  monta. 
Da  me  fuggirsi  tosto  fa  disegno; 
E  ne  l'ora  che  '1  sol  del  carro  smonta, 
Al  fiume  corse,  e  in  una  sua  barchetta 
Si  fa  calar  tutta  la  notte  in  fretta: 

42 
E  la  mattina  s'appresenta  avante 
Al  cavallier  che  Vi.fen,  un  tempo  amata. 
Sotto  il  cui  viso,  sotto  il  cui  sembiante 
Fu  contro  l'onor  mio  da  me  tentata. 
A  lui  che  n'era  stato  et  era  amante. 
Creder  si  può  che  fu  la  giunta  grata. 
Quindi  ella  mi  fé' dir,  ch'io  non  sperassi. 
Che  mai  più  fosse  mia,  né  più  m'amassi. 

43 
Ah  lasso!  da  quel  di  con  lui  dimora 
In  gran  piacere,  e  di  me  prende  giuoco; 
Et  io  del  mal  che  procacciammi  allora, 

■11.  2.  Ch'  olla  ha,  da  me  veder  ;  eh'  ella  ha 
a  0  eli  veder  farsi  da  me.  Sebbene  l'A.  omet- 
ta spesso  la  preposiz.  agli  infiniti  dipendenti 
(I,  4,  1),  pure  in  questo  luogo  tale  omissione 
è  ardita  e  dura.  Forse  su  tal  costrutto  ha 
agito  la  prima  preposizione,  quasi  si  dica: 
è  vergogna  veder  ecc. 

—  8.  Si  fa  calar,  condurre  in  giù,  a  se- 
conda, verso  Ferrara.  È  simile  a  quel  di 
Dante,  Paì\  10,  SO:  «Se  non  coni' acqua 
che  al  mar  non  si  cala  ».  In  lutto  questo 
racconto,  tolta  la  sovrapposizione  del  nap- 
po, della  quale  abbiamo  vista  la  fonte,  si  ha 
un  rifacimento  della  favola  di  Cefalo  e  Pro- 
cri.  Cefalo,  marito  di  Procri,  è  amato  dal- 
l'Aurora, che,  respinta  da  lui,  gì'  insinua 
neir  animo  il  sospetto  dell'  infedeltà  della 
moglie  e  lo  incita  a  tentarla  con  doni,  pre- 
sentandosi a  lei  con  figura  cambiata.  Cefalo 
riesce  cosi  a  sedurla,  e,  ripreso  il  suo  vero 
aspetto,  fa  che  Procri  fugga,  indignata,  lon- 
tana da  lui.  La  seconda  parte  del  mito,  che 
Ovidio  (Met.  7,  651  segg.)  appena  accenna, 
ed  è  svolta  e  variata  da  Igino  {Fabulae 
n.  189)  e  da  Antonino  Liberale  {Trasformat. 
cap.  41)  si  vede  rifatta  nell'  altro  racconto 
di  Adonio.  La  favola  di  Cefalo  era  stata  ri- 
dotta in  foi'ma  drammatica  da  Niccolò  da 
Corx-eggio  (I486);  l'Ar.  trasse  da  quel  lavoro 
diversi  particolari. 

42.  4.  centra  l'on.  mio;  Io  la  tentavo  per 
disonorare  me  stesso:  il  finto  amante  fa- 
ceva un  torto  al  vero  marito. 

43.  3.  procacciammi,  procacciaimi.  Cosi 
Dante,  Par.  15,  88:  «compiacemmi  (com- 
piaceimì,  mi  compiacqui)  ». 


Ancor  languisco,  e  non  ritrovo  loco. 
Cresce  il  mal  sempre,  e  giusto  è  ch'io  ne 
E  resta  omai  da  consumarci  poco  [muora; 
Ben  credo  che  '1  primo  anno  sarei  morto. 
Se  non  mi  dava  aiuto  un  sol  conforto. 
44 

Il  conforto  ch'io  prendo,  è  che  di  quanti 
Per  dieci  auni  mai  fur  sotto  al  mio  tetto 
(Ch'a  tutti  questo  vaso  ho  messo  inanti). 
Non  ne  trovo  un  che  non  s'immolli  il  petto. 
Aver  nel  caso  mio  compagni  tanti 
Mi  dà  fra  tanto  mal  qualche  diletto. 
Tu  tra  infiniti  sol  sei  stato  saggio. 
Che  far  negasti  il  periglioso  saggio. 
45 

Il  mio  voler  cercare  oltre  alla  meta 
Che  de  la  donna  sua  cercar  si  deve. 
Fa  che  mai  più  trovare  ora  quieta 
Non  può  la  vita  mia,  sia  lunga  o  breve. 
Di  ciò  Melissa  fu  a  principio  lieta: 
Ma  cessò  tosto  la  sua  gioia  lieve; 
Ch'essendo  causa  del  mio  mal  stata  ella, 
Io  l'odiai  si,  che  non  potea  vedella. 
46 

Ella  d'esser  odiata  impaziente 
Da  me  che  dicea  amar  più  che  sua  vita. 


—  6.  E  resta...  da  consumarci;  e  ci  resta, 
e  resta  in  me  ormai  poco  da  consumare. 
Di  tali  spostamenti  di  particelle  abbiamo 
frequentissimi  esempi  nel  Furioso. 

44.  2.  mai,  alcuna  volta. 

—  8.  f.  negasti;  dicesti  di  non  fare.  V. 
e.  X,  38,  n.  8. 

45.  1-2.  oltre  a.  m.  che.  Si  può  intendere  : 
Il  mio  voler  cercai-e  troppo  avanti  (oltre  la 
meta  stabilita  dalla  discretezza)  ciò,  che 
solo  fino  a  un  certo  punto  si  deve  cercare 
della  nostra  donna.  Che  col  valore  complesso 
di  dimostrativo  e  di  relativo  vedilo  nel  e.  viii, 
89,  8;  XX,  129,  6.  Ma  si  può  anche  riferire 
a  mèta  e  intendere  :  oltre  quella  meta,  fino 
alla  quale  si  deve  cercare  ecc.  Cosi  il  po- 
polo toscano  direbbe  anche  oggi  :  guar- 
diamo di  non  andare  oltre  quella  casa,  che 
si  è  detto  di  fermarci  (alla  quale  si  è  detto 
di  ferm.).  E  l'Ar.  usò  in  questo  modo  popo- 
lare il  che  nel  e.  viii,  48,  2;  xiii,  37,  5;  e 
altrove.  — -  sua.  Comunemente  le  forme  im- 
personali riflessive  (si  deve)  si  riferiscono 
alla  prima  persona  plurale  :  per  ciò  do- 
vremmo per  regola  avere  della  donna  no- 
stra (FORNACiARi,  Sint.  p.212);  ma  ancora 
neir  uso  popolare  si  dice:  si  può  esprimere 
il  suo  parere:  si  può  prender  la  sua  par- 
te :  si  deve  pensare  ai  casi  suoi  ecc.  ;  sot- 
tintendendo da  ciascuno,  invece  che  da 
noi. 

—  6.  lieve,  che  aveva  leggeri  e  futili  mo- 
tivi. 

—  8.  vedella,  vederla.  V.  e.  ii,  3,  n.  4. 


CANTO  XLITI 


587 


Ove  donna  restarne  immantinente 
Creduto  avea,  che  l'altra  ne  fosse  ita; 
Per  non  aver  sua  doglia  si  presente, 
Non  tardò  molto  a  far  di  qui  partita; 
E  in  modo  abbandonò  questo  paese, 
Che  dopo  mai  per  me  non  se  n'intese. 
47  ^■ 

Cosi  narrava  il  mesto  cavalliero: 
E  quando  fìue  alla  sua  storia  pose, 
Rinaldo  alquanto  ste'  sopra  pensiero, 
Da  pietà  vinto,  e  poi  cosi  rispose: 
Mal  consiglio  ti  die  Melissa  in  vero 
Che  d'attizzar  le  vespe  ti  propose; 
E  tu  fusti  a  cercar  poco  avveduto 
Quel  che  tu  avresti  non  trovar  voluto. 
48 

Se  d'avarizia  la  tua  donna  vinta 
A  voler  fede  romperti  fu  indutta. 
Non  t'ammirar;  né  prima  ella  né  quinta 
Fu  de  le  donne  prese  in  si  gran  lutta; 
E  mente  via  pili  salda  ancora  è  spinta 
Per  minor  prezzo  a  far  cosa  più  brutta. 
Quanti  uomini  odi  tu,  che  già  per  oro 
Han  traditi  padroni  e  amici  loro? 
49 

Non  dovevi  assalir  con  si  fiere  armi, 
Se  bramavi  veder  farle  difesa. 
Non  sai  tu,  contra  l'oro,  che  né  i  marmi 
Né  '1  durissimo  acciar  sta  alla  contesa? 
Che  pid  fallasti  tu  a  tentarla  parmi, 
Di  lei  che  cosi  tosto  restò  presa. 
Se  te  altretanto  avesse  ella  tentato, 
Non  so  se  tu  più  saldo  fossi  stato. 
50 

Qui  Rinaldo  fé'  fine,  e  da  la  mensa 
Levossi  a  un  tempo,  e  domandò  dormire; 
Che  riposare  un  poco,  e  poi  si  pensa 
Inanzi  al  di  d'un'ora  o  due  partire. 
Ha  poco  tempo,  e  '1  poco  c'ha,  dispensa 
Con  gran  misura,  e  in  van  non  lascia  gire. 
Il  Signor  di  là  dentro,  a  suo  piacere. 
Disse,  che  si  potea  porre  a  giacere; 


46.  3-4.  Ove  ecc.  ;  mentre  avea  creduto 
restar  di  me  padrona,  immantinente  che 
r  altra  se  ne  fosse  andata. 

—  8.  per  me,  da  me.  —  non  se  n'  intese  ; 
non  se  ne  seppe.  All'una  e  all'altra  espres- 
sione, che  sono  comuni,  si  sottint.  nulla. 

47.  6.  attizzar  le  vespe.  È  il  latino  irritare 
crabrones. 

48.  1.  d'avarizia,  da  avarizia.  V.  e.  v,  10, 
n.  5. 

—  3.  Non  t'ammirar  ;  non  ti  maravigliar. 
Dante,  Par.  2,  17:  «Non  s'ammiraron  come 
voi  farete». 

49.  2.  veder  farle,  vederle  fare  dif. 

50.  1.  fé' fine;  lat.  finem  fecit. 

—  6.  non  lascia  gire;  non  lo  lascia  pas- 
sare. 


51 

Ch'apparecchiata  era  la  stanza  e  '1  letto: 
Ma  che  se  volea  far  per  suo  consiglio. 
Tutta  notte  dormir  potria  a  diletto, 
E  dormendo  avanzarsi  qualche  miglio. 
Acconciar  ti  farò  (disse)  un  legnetto 
Con  che  volando  e  senz'alcun  periglio 
Tutta  notte  dormendo  vo'  che  vada, 
E  una  giornata  avanzi  de  la  strada. 
52 

LaprofertaaRinaldo  accettar  piacque, 
E  molto  ringraziò  l'oste  cortese: 
Poi  senza  indugio  là,  dove  ne  l'acque 
Da'  naviganti  era  aspettato,  scese. 
Quivi  a  grande  agio  riposato  giacque. 
Mentre  il  corso  del  fiume  il  legno  prese. 
Che  da  sei  remi  spinto,  lieve  e  snello 
Pel  fiume  andò,  come  per  l'aria  augello, 
53 

Cosi  tosto  come  ebbe  il  capo  chino. 
Il  cavallier  di  Francia  addormentosse; 
Imposto  avendo  già,  come  vicino 
Giungea  a  Ferrara,  che  svegliato  fosse. 
Restò  Melara  nel  lito  mancino; 
Nel  lito  deatro  Sermide  restosse: 
Figarolo  e  Stellata  il  legno  passa, 
Ove  le  corna  il  Po  iracondo  abbassa. 

54  [stro, 

De  le  due  corna  il  nocchier  prese  il  de- 
E  lasciò  andar  verso  Vinegia  il  manco  : 


51.  2.  far  per  suo  e.  ;  fare  secondo  il  s. 
consiglio.  In  questa  espressione  il  per  è 
d'uso  costante.  Boccaccio,  Nov.  15:  «Ai 
quali  parve  per  consiglio  dell'oste  loro, 
che  ecc.  ». 

—  8.  E  una  giorn.  ecc.  ;  e  tu  guadagni 
una  giornata  del  cammino  che  devi  fare. 
Cosi  intenderei  il  della  strada  :  e  strada 
per  cammino  abbiamo  nelle  maniere  co- 
muni: fare  strada;  strada  facendo   ecc. 

52.  2.  oste,  ospite.  V.  e.  xvii,  71,  n.  3. 

53.  5.  Melara  e  Figarolo  ;  sono  due  borgate 
sulla  sponda  sinistra  del  Po;  Sermide  e 
Stellata  sulla  destra,  nel  territorio  manto- 

]  vano. 

—  8.  Ove  ecc.   «  Finge  il  Poeta  che  il 
,  corso  del  Po  com'era  ai  suoi  giorni,  lo  fosse 
'  al  tempo  della  sua   favola.  Per  altro  è  te- 
i  nuto  per  vero  da  quanti  hanno  scritto,  che 
!  quattro  e  più  secoli  dopo  Carlo  Magno  tar- 
dasse il  Po  a  rompere  alla  sinistra  poco 
sopra  alla  Stellata  e  formasse  quel  ramo, 
che  si  dice  Po  di  Venezia,  il  quale  poi  per 
r  inteiTamento  dell'antico  alveo,  che  andava 
a  Ferrara,  riscosse  e  ritiene  ancora  tutte 
le  acque  di  quel  fiume.  Si  veda  la  dichiara- 
zione alla  st.  63,  5  »  (Barotti).  «  Il  fiume  cosi 
diviso  in  due,  non  scorreva  più  cosi  gonfio 
come  innanzi  ;  per  ciò  dice  che  abbassa  le 
corna  »  (Casella). 


58S 


ORLANDO  FURIOSO 


Passò  il  Bondeno;  e  già  il  color  cilestro 
Si  vedea  in  Oriente  venir  manco; 
Che  votando  di  fior  tutto  il  canestro, 
L'Aurora  vi  facea  vermiglio  e  bianco; 
Quando,  lontan  scoprendo  di  Tealdo 
Ambe  le  rócche,  il  capo  alzò  Rinaldo. 
55 

0  città  bene  avventurosa  (disse). 
Di  cui  già  Malagigi,  il  mìo  cugino, 
Contemplando  le  stelle  erranti  e  fìsse, 
E  coustrìngendo  alcun  spirto  indovino. 
Nei  secoli  futuri  mi  predisse 
(Già  ch'io  tacca  con  lui  questo  camino) 
Ch'ancor  la  gloria  tua  salirà  tanto, 
Ch'avrai  di  tutta  Italia  il  pregio  e'I  vanto. 
56 

Cosi  dicendo,  e  pur  tutta  via  in  fretta 
Su  quel  battei  che  parea  aver  le  penne, 
Scorrenda  il  Re  de'  fiumi,  all'isoletta 
Ch'alia  cittade  è  pili  propinqua,  venne: 
E  ben  che  fosse  allora  erma  e  negletta, 
Pur  s'allegrò  di  rivederla,  e  fenne 
Non  poca  festa;  che  sapea  quanto  ella, 
Volgendo  gli  anni,  saria  ornata  e  bella. 


54.  3.  il  Bondeno;  terra  sull'i mboccatura 
del  Panaro  nel  Po. 

—  5.  Che.  Invece  di  riferirlo  a  colarci- 
lestro  lo  intenderei  per  poiché.  Si  vedeva 
venir  meno  in  cielo  il  color  cilestro,  poiché 
l'Aurora  faceva  in  cielo  (produceva,  faceva 
apparire)  il  vermiglio  e  il  bianco. 

—  7-8.  di  Tealdo  le  ròcche.  «  Fu  castello 
neir  estrema  parte  della  città  di  Ferrara, 
a  ponente,  sulla  sinistra  del  Po,  fabbricato 
da  Tebaldo  d' Este  intorno  all'anno  970. 
{Pigna  l.  1).  Ai  tempi  di  Paolo  V  fu  in  quel 
sito  edificata  la  fortezza,  che  dura  ancora 
di  presente»  (Barotti).  Si  avverta  l'anacro- 
nismo. Nel  1660  questa  fortezza  fu  smantel- 
lata e  ridotta  a  piazza  d'armi  com'è  anche 
al  presente. 

55.  5.  Nei  secoli  futuri  ;  mi  predisse  che 
la  tua  gloria  salirà  tanto  nei  secoli  futuri. 

—  6.  Già  che;  già  quando;  un  tempo  che, 
quando. 

—  8.  Ch'avrai  ecc.  Vuol  dire  :  avrai  il  pre- 
gio e  il  vanto  d'essere  la  più  betta  città 
di  tutta  Italia.  Tutto  ciò  è  detto  in  modo 
cosi  breve,  che,  se  ne  soffre  la  struttura 
sintattica,  ne  acquista  il  pensiero,  che  si 
presenta  subito  chiaro  e  spedito. 

56.  Le  quattro  stanze  56-59  furono  ag- 
giunte per  r  ediz   del  15^2. 

—  3,  all'isoletta;  «Isoletta  chiamata  Bel- 
vedere, che  ai  tempi  del  Poeta  era  delizio- 
sissima per  le  sontuose  fabbriche  e  giardini 
e  per  gli  animali  terrestri  e  volatili  di  molta 
rarità,  che  Alfonso  I  vi  raccoglieva  e  con- 
servava. Non  è  indegno  d'esser  letto  un 
poemetto  latino  di  scipion  Balbi  del  Finale 


57 

Altra  fiata  che  fé'  questa  via, 
Udì  da  Malagigi,  il  qual  seco  era. 
Che  settecento  volte  che  si  sia 
Girata  col  monton  la  quarta  sfera, 
Questa  la  più  gioconda  isola  fìa 
Di  quante  cinga  mar,  stagno  o  riviera, 
Si  che,  veduta  lei,  non  sarà  ch'oda 
Dar  pili  alla  patria  di  Nausicaa  loda. 
58 

Udi  che  di  bei  tetti  posta  inante 


di  Modena,  intitolato:  Pulcher  visus  Illu- 
striss.  Ducis  Ferrariae  »  (Barotti).  Oggi 
non  è  più  un'  isola,  e  quell'area,  parte  è  in- 
dotta a  campagna  (e  si  chiama  pur  Belve- 
dere), parte  è  occupata  dalla  stazione  ferro- 
viaria. 

57.  1.  Altra  fiata  ecc.  Questa  è  un'inven- 
zione dell'Ar. 

—  4.  Girata  ecc.  «  L'  anno  astronomico 
comincia  dall'  ingresso  del  sole  nel  segno 
dell'Ariete  »  (Barotti).  Il  sole  sta  nell'Ariete 
dal  20  marzo  al  20  aprile.  Qui  vuol  dire: 
quando  saran  passati  700  anni,  dal  tempo 
di  Carlomagno:  cosi  arriviamo  ai  tempi  del 
Poeta.  —  la  quarta  sfera;  la  sfera  del  sole, 
che  è  la  quarta,  secondo  1'  ordine  del  vec- 
chio sistema  astronomico,  seguito  anche  da 
Dante. 

—  7.  non  sarà  eh'  oda.  Si  può  intendere 
in  vari  modi.  Il  Fornari  intende  oda  per 
osi  dal  latino  aiideat.  Già  lacopoue  da  Todi, 
Land.  6,  23,  usò  auda;  e  aude  Fr.  da  Bar- 
berino, Dog.  d'Am.  41,  1  ;  129,  11.  Non  sa- 
rebbe strano  supporre  eh  l'Ar.  appassio- 
nato amatore  di  anticaglie  in  fatto  di  lin- 
gua, avesse  voluto  rimettere  a  nuovo  questa 
forma.  E  il  senso  correrebbe  benissimo.  I 
più  intendono  oda  per  ascolti.  Ma  in  tal 
caso  bisogna  intendere  il  veduta  lei  per  da 
chi  abbia  veduto  lei:  non  vi  sarà  più  chi 
senta  dar  lode  alla  p.  di  Nausic.  da  quanti 
abbian  veduto  queir  isola.  Il  veduta  lei  non 
si  può  riferir*  al  chi  oda,  come  la  sintassi 
regolare  vorrebbe,  perché  ne  soffrirebbe  il 
senso:  infatti  chi  avesse  veduto  quell'isola 
poteva  pur  sempre  sentir  lodare  altre  terre 
da  chi  non  l'aveva  ancora  veduta.  —  Si  po- 
trebbe anche,  ma  forse  meno  bene,  dare  a 
oda  il  significato  potenziale  possa  udire, 
si  rassegni  a  udire  dar  lode  ecc.  —  eh'  per 
chi  vedilo  nei  luoghi  citati  alla  st.  39,  n.  8. 

—  8.  patria  di  Nans.  è  l'isola  di  Corcira 
(Corfù),  dove  regnava  sui  Feaci  Alcinoo  pa- 
dre di  questa  fanciulla  (Odiss.  lib.  Vfl,  150 
segg.)  Omero  descrive  in  quel  luogo  i  deli- 
ziosi giardini  di  quel  re. 

58.  l.  di  bei  tetti,  quanto  a  bei  tetti, 
belle  case.  È  complem.  di  limitazione  :  e.  vii, 
10,  n.  6. 


CANTO  xmi 


589 


Sarebbe  a  quella  si  a  Tiberio  cara; 
Che  cederian  l'Esperide  alle  piante 
Ch'avria  il  bel  loco,  d'ogni  sorte  rara; 
Che  tante  spezie  d'animali,  quante      [la; 
Vi  fien,  né  in  mandra  Circe  ebbe  né  in  ba- 
Che  v'avria  con  le  grazie  e  con  Cupido 
Venere  stanza,  e  non  più  in  Cipro  o  in 
59  [Gnido: 

E  che  sarebbe  tal  per  studio  e  cura 
Di  chi  al  sapere  et  al  potere  unita 
La  voglia  avendo,  d'argini  e  di  mura 
Avria  si  ancor  la  sua  città  munita. 
Che  centra  tutto  il  mondo  star  sicura 
Potria,  senza  chiamar  di  fuori  aita; 
E  che  d'Ercol  figliuol,d'Ercol  sarebbe  [be. 
Padre  il  Signor  che  questo  e  quel  far  deb- 
60 

Cosi  venia  Rinaldo  ricordando 
Quel  che  già  il  suo  cugin  detto  gli  avea, 
De  le  future  cose  divinando, 
Che  spesso  conferir  seco  solea, 
E  tutta  via  l'umil  città  mirando, 
Come  esser  può  ch'ancor  (seco  dicea) 


—  2.  quella  ecc.  Capri,  nel  golfo  di  Na- 
poli, «  dove  Tiberio  imperatore  si  ritirò  e 
visse  per  15  anni,  ornandola  di  superbi  edi- 
fizi,  de' quali  rimangono  ancor  le  ruine, 
per  contrassegno  di  quello  che  furono  ^ 
(Barotti)  e  infamandola  con  ogni  genere  di 
turpitudini. 

—  3.  l'Esperide.  Per  la  favola  delle  Espe- 
ridi cfr.  e.  XXXVII,  6,  u.  1.  Forse  é  agget- 
tivo: le  piante  Esperide,  delle  Esperidi  ;  ma 
può  essere  anche  sostantivo:  le  Esperidi  coi 
loro  orti  cederebbero   alle  piante  ecc. 

—  6.  Circe,  figlia  del  Sole  e  maga  cele- 
bre, che  trasformava  in  bestie  quegli  uo- 
mini, che  a  lei  capitavano  (Omero,  Odiss. 
1.  10)  —  bara,  porcile.  È  un  crudo  latinismo. 

69.  3.  d'argini  e  di  m.  Accenna  alle  fortifi- 
cazioni fatte  fai-e  da  Alfonso  I  d'Este  intorno 
alla  città  di  Ferrara.  Egli  era  figlio  di  Er- 
cole I,  e  fu  padre  di  F;rcole  II. 

60.  3.  De  le  f.  e.  divinando;  divinando  in 
torno  a  quelle  cose  future.  Delle  fut.  cose 
è  dunque  come  l'argomento  della  divina- 
zione. Cosi  non  abbiamo  bisogno  di  sup- 
porre un  costrutto  nuovo  del  verbo  divi- 
nare (divinare  di)  e  il  senso  è  più  completo: 
Rinaldo  veniva  ricordando  questi  partico- 
lari, che  gli  aveva  detto  Malagigi  divinando 
intorno  a  quelle  cose  future,  intorno  alle 
quali  soleva  spesso  conferir  seco  (di  molte 
altre,  non  solo  di  queste). 

—  4.  Che.  È  relativo,  come  si  rileva  an- 
che dalla  lezione  dell' ediz.  1516.  «Di  che 
con  lui  spesso  parlar  solea  ».  Conferire 
colcomplem.  diretto  anche  nel  e.  xliv,  36,2; 
XLVi,  32,  2,  e  non  di  rado  in  altri  scrittori. 

—  6.  ancor.  Deve  unirsi  a  studi:  debban 
fiorire  anche  di  tutti  i  i.  e  d.  st. 


Debban  cosi  fiorir  queste  paludi 
Di  tutti  i  liberali  e  degni  studi? 
61 

E  crescer  abbia  di  si  piccol  borgo 
Ampia  cittade  e  di  si  gran  bellezza? 
E  ciò  ch'intorno  è  tutto  stagno  e  gorgo, 
'"^ien  lieti  e  pieni  campi  di  ricchezza? 
Città,  sin  ora  a  riverire  assorgo 
L'amor,  la  cortesia,  la  gentilezza 
De'  tuoi  Signori,  e  gli  onorati  pregi 
Dei  cavallier,  dei  cittadini  egregi. 
G-2 

L'ineffabil  bontà  del  Redentore, 
De'  tuoi  Principi  il  senno  e  la  giustizia, 
Sempre  con  pace,  sempre  con  amore 
Ti  tenga  in  abondanzia  et  in  letizia; 
E  ti  difenda  centra  ogni  furore 
De'  tuoi  nimici,  e  scuopra  lor  malizia: 
Del  tuo  contento  ogni  vicino  arrabbi 
Pili  tosto,  che  tu  invidia  ad  alcuno  abbi. 
63 

Mentre  Rinaldo  cosi  parla,  fende 
Con  tanta  fretta  il  suttil  legno  l'onde, 
Che  con  maggiore  a  logoro  non  scende 
Falcon  ch'ai  grido  del  padrou  risponde. 
Del  destro  corno  il  destro  ramo  prende 


CI.  1.  di  SI  piccol  b.  .Mettiamo  anolie  l'.vr. 
sapesse  che  già  fin  dal  593  Ferrara  era 
stata  fatta  circondar  di  mura  dall'  impera- 
tor  Maurizio,  e  nel  65S  era  vescovado;  pure, 
a  confronto  della  futura  grandezza,  avrebbe 
allora  potuto  ben  dirsi  un  piccol  borgo. 

—  5.  assorgo;  mi  alzo,  sorgo.  È  imma- 
gine ed  espressione  tolta  dagli  usi  delle 
convenienze:  quando  entra  persona  rag- 
guardevole, si  sorge  in  piedi  per  riverirla: 
sarebbe  dunque  il  modo  elevato  corrispon- 
dente al  popolare:  mi  levo  il  cappello.  Que- 
sto e  non  altro,  credo,  è  qui  da  intendere. 

Gli.  3.  a  logoro  ;  «  strumento  a  guisa  di 
due  ale  d'uccello  insieme  accoppiate,  del 
quale  si  servivano  gli  uccellatori  a  richia- 
mare il  falcone,  che  s'ingannava  in  vederlo 
da  lontano,  credendolo  uu  pollo  o  un  co- 
lombo offertogli  per  sua  pastura  »  (Barotti). 
Dall'aut.  med.  ted.  liioder  (francese  leurre) 
dello  stesso  significato. 

—  5.  Del  destro  e.  «  Ai  tempi  del  Poeta, 
ma  non  più  ai  nostri,  il  Po  si  partiva  in 
due  i-ami  alla  Stellata,  come  si  è  detto  alla 
st.  53,  8.  Il  sinistro  andava  verso  Venezia 
e  il  destro  verso  Ferrara,  a  cui  bagnava  le 
mura,  ed  ivi  si  partiva  ancor  esso  come  fa 
tuttavia,  ma  non  con  acque  del  Po,  nel  Vo- 
lano a  sinistra  e  nel  Primaro  alla  destra. 
Su  questo  in  distanza  di  sei  miglia  d;illa 
città  s'incontravano  due  torri,  l' una  alla 
manca,  chiamata  di  Gaibana  (che  per  lungo 
tempo  fu  ad  uso  di  campanile,  e  il  7  d'a- 
prile di  quest'  anuo  1765,  ad  ore  22,  improv- 


690 


ORLANDO  FURIOSO 


Quindi  il  nocchiero,  e  mura  e  tetti  asconde 
San  Georgio  a  dietro,  a  dietro  s'allontana 
La  torre  e  de  la  Fossa  e  di  Gaibana. 
64 

Rinaldo,  come  accade  ch'un  pensiero 
Un  altro  dietro,  e  quello  un  altro  mena, 
Si  venne  a  ricordar  del  cavalliero 
Nel  cui  palagio  fu  la  sera  a  cena; 
Che  per  questa  cittade,  a  dire  il  vero, 
Avea  giusta  cagion  di  stare  in  pena: 
E  ricordossi  del  vaso  da  bere, 
Che  mostra  altrui  l'error  de  la  mogliere; 
65 

E  ricordossi  insieme  de  la  prova 
Che  d'aver  fatta  il  cavallier  narrolli; 
Che  di  quanti  avea  esperti,  uomo  non  trova 
Che  bea  nel  vaso,  e  '1  petto  non  s'immolli. 
Or  si  pente,  or  tra  sé  dice:  E'  mi  giova 
Ch'a  tanto  paragon  venir  non  volli. 
Riuscendo,  accertava  il  creder  mio; 
Non  riuscendo,  a  che  partito  era  io? 
66 

Gli  è  questo  creder  mio,  com'io  l'avessi 
Ben  certo,  e  poco  accre.scer  lo  potrei: 
Si  che,  s'al  paragon  mi  succedessi, 


visamente  rovinò;  l'altra  a  diritta,  da  cui 
quel  luogo  si  dice  Torre  della  Fossa  »  (Ba- 
rotti).  (Oggi  esiste  sempre  la  borgata  di  que- 
sto nome,  ma  non  più  la  torre).  Avverti 
r anacronismo:  il  Po  ruppe  cosi  in  due 
rami  alla  Stellata  quattro  secoli  circa  dopo 
Carlo  Magno:  avanti  c'era  il  solo  ramo  di 
Ferrara,  non  quello  di  Venezia. 

—  6.  e  mura  e  t.  as.;  e  m.  e  t.  perde  di 
vista  Cosi  cela  nel  e.  ix,  59,  4.  Asconde  è 
virgiliano,  En.  3,  291:  «  Protiuus  aèrias 
Phaeacum  abscondimus  arces  ». 

—  7.  S.  Georgio  fu  ed  è,  non  isola  né  ca- 
stello, come  alcuni  commentatori  dicono, 
ma  una  borgata  eoa  chiesa  parrocchiale, 
posta  di  fronte  alla  città,  nella  punta  for- 
mata dai  rami  del  Po  detti  di  Volano  e  di 
Primaro,  ora  ridotti  a  canali  di  scolo.  — 
s'allontana.  11  soggetto  è  S.  Giorgio  e  La 
torre  ecc. 

fi.5.  3.  Che.  Credo  che  sia  congiunzione 
dichiarativa  di  prova:  ricordussi  della  pro- 
va; che  cioè  di  quanti,  ecc.  Meno  bene  l'in- 
tenderesti come  pronome  da  riferirsi  a  ca- 
vallier, alla  quale  interpretazione  contra- 
stano assai  i  presenti,  che  seguono  (trova, 
bea,  s'immolli).  —  esperti,  provati:  e.  xiii, 
27,  n.  8. 

—  5.  si  pente,  di  non  aver  provato, 

—  G.  paragon,  prova.  Cosi  nel  e.  i,  61, 
4;  (ne  fa  paragone).  Paragone  ^ev  prova 
si  usò  anche  in  prosa.  Dino  Compagni  3,  66: 
«  Molte  volte  i  tempi  son  paragone  degli 
uomini  ». 

CO.  3.  mi   succedessi,  mi  succedesse;  mi 


Poco  il  meglio  saria  ch'io  ne  trarrei; 
Ma  non  già  poco  il  mal,  quando  vedessi 
Quel  di  Clarice  mia,  ch'io  non  vorrei. 
Metter  saria  mille  contra  uno  a  giuoco; 
Che  perder  si  può  molto  e  acquistar  poco. 
67 

Stando  in  questo  pensoso  il  cavalliero 
Di  Chiaramonte,  e  non  alzando  il  viso. 
Con  molta  attenzion  fu  da  un  nocchiero 
Che  gli  era  incontra,  riguardato  fiso: 
E  perché  di  veder  tutto  il  pensiero 
Che  l'occupava  tanto,  gli  fu  avviso, 
Comeuom  che  ben  parlava  et  avea  ardire, 
A  seco  ragionar  lo  fece  uscire. 
68 

La  somma  fu  del  lor  ragionamento, 
Che  colui  malaccorto  era  ben  stato. 
Che  ne  la  moglie  sua  l'esperimento 
Maggior  che  può  far  donna,  avea  tentato  ; 
Che  quella  che  da  l'oro  e  da  l'argento 
Difende  il  cor  di  pudicizia  armato. 
Tra  mille  spade  via  più  facilmente 
Difenderallo,  e  in  mezzo  al  fuoco  ardente. 
69 

Il  nocchier  suggiungea:  Ben  gli  dicesti. 
Che  non  dovea  offerirle  si  gran  doni; 
Che  contrastare  a  questi  assalti  e  a  questi 
Colpi  non  sono  tutti  i  petti  buoni. 
Non  so  se  d'una  giovane  intendesti 
(Ch'esser  può  che  tra  voi  se  ne  ragioni) 
Che  nel  medesmo  error  vide  il  consorte, 
Di  ch'esso  avea  lei  condannata  a  morte. 
70 

Dovea  in  memoria  avere  il  Signor  mio, 
Che  l'oro  e  '1  premio  ogni  durezza  inchina  :- 
Ma,  quando  bisognò,  l'ebbe  in  oblio. 
Et  ei  si  procacciò  la  sua  mina. 
Cosi  sapea  lo  esempio  egli,  com'io, 

riuscisse  bene.  Cosi  nel  e.  ii,  22,  6;  x,  57;    : 
6  ecc. 

—  7.  Mettere...  a  giuoco,  mettere  ..r  al 
giuoco,  mettere  su,  puntare,  nel  giuoco. 
Vi  è  dunque  la  solita  omissione  dell'  arti- 
colo. 

—  8.  Che,  nel  qual  giuoco.  È  dunque  un 
relativo  usato  con  la  libertà  popolare.  Al- 
cuni intendono  perché,  ma  non  dà  buon 
senso. 

67.  3.  da  un  nocch.  Sebbene  si  dica  e  si 
trovi  sempre  il  nocchiero,  pure  i  nocchieri 
erano,  e  dovevano  essere  più  d'  uno  per  po- 
tersi dare  il  cambio.  Quando  si  dice  dun- 
que il  nocch.  s' intende  quello  in  servizio. 

—  8.  uscire,  venire:  lo  fece  venire,  lo 
indusse  a  rag.  Mi  pare  che  questa  locuzione 
non  sia  registrata  dai  vocabolari. 

C9.  3.  contrastare,  a  contrastare.  V.  e.  i, 
4,  n.  1. 

70.  1.  il  Signor  mio;  il  padrone,  che  lo 
aveva  mandato  ad  accompagnare  Rinaldo 


CANTO  XLIII 


591 


Che  fu  in  questa  città  di  qui  vicina, 
Sua  patria  e  mia,  clie  '1  lago  e  la  palude 
Del  rifrenato  Menzo  intorno  chiude: 
71 

D'Adonio  voglio  dir,  che  '1  ricco  dono 
Fé'  alla  moglie  del  Giudice,  d'un  cane. 
Di  questo  (disse  il  Paladino)  il  suono 
Non  passa  l'Alpe,  e  qui  tra  voi  rimane; 
Perché  né  in  Francia,  né  dove  ito  sono, 
Parlar  n'udi'  ne  le  contrade  estrane: 
Si  che  di'  pur,  se  non  t'incresce  il  dire; 
Che  volentieri  io  mi  t'acconcio  a  udire. 
72 

Il  nocchier  cominciò:  Già  fu  di  questa 
Terra  un  Anselmo  di  famiglia  degna. 
Che  la  sua  gioventù  con  lunga  vesta 
Spese  in  saper  ciò  ch'Ulpiano  insegna; 
E  di  nobil  progenie,  bella  e  onesta 
Moglie  cercò,  ch'ai  grado  suo  convegna; 
E  d'una  terra  quindi  non  lontana 
N'ebbe  una  di  bellezza  sopraumana; 
73 

E  di  bei  modi  e  tanto  graziosi. 
Che  parca  tutto  amore  e  leggiadria; 
E  di  molto  più  forse,  ch'ai  riposi, 
Ch'alio  stato  di  lui  non  couvenia. 
Tosto  che  l'ebbe,  quanti  mai  gelosi 
Al  mondo  fur,  passò  di  gelosia: 
Non  già  ch'altra  cagion  gli  ne  desse  ella. 
Che  d'esser  troppo  accorta  e  troppo  bella. 
74 

Ne  la  città  medesnia  un  cavalliero 
Era  d'antiqua  e  d'onorata  gente, 
Che  disceudea  da  quel  linguaggio  altiero 
Ch'usci  d'una  mascella  di  serpente; 


Onde  già  Manto,  e  chi  con  essa  fero 
La  patria  mia,  disceser  similmente. 
Il  cavallier,  ch'Adonio  nominosse, 
Di  questa  bella  donna  inamorosse. 
75 
E  per  venire  a  fin  di  questo  amore, 
A  spender  cominciò  senza  ritegno 
In  vestire,  in  conviti,  in  farsi  onore. 
Quanto  può  farsi  un  cavallier  più  degno 
Il  tesor  di  Tiberio  Imperatore 
Non  saria  stato  a  tante  spese  al  segno. 
Io  credo  ben  che  non  passar  duo  verni, 
Ch'egli  usci  fuor  di  tutti  i  ben  paterni. 
76 
La  casa  ch'era  dianzi  frequentata 
i  Matina  e  sera  tanto  dagli  amici, 
j  Sola  restò,  tosto  che  fu  privata 
j  Di  starne,  di  fagian,  di  coturnici. 
Egli  che  capo  fu  de  la  brigata, 
I  Rimase  dietro,  e  quasi  fra  mendici: 
Pensò,  poi  eh'  in  miseria  era  venuto, 
I  D'andare  ove  non  fosse  conosciuto. 
77 
Con  questa  intenzione  una  matina. 
Senza  far  motto  altrui,  la  patria  lascia; 


—  8.  rifrenato,  raffrenato,  che  ivi  si  sof- 
ferma, raffrena  il  suo  corso  e  s' impaluda. 
—  Menzo,  Mincio.  V.  e.  xin,  57,  n.  7. 

72.  3.  con  1.  vesta;  con  la  toga  dottorale. 

—  4.  in  saper,  -per  saper.  Cosi  nel  canto 
XXXI,  32,  4.  —  TJlpiano  famoso  legista  ai 
tempi    d'Alessandro  Severo  (m.  228  d.  C). 

73.  2.  p.  tutto  amore;  essa  pareva  tutto 
amore,  cioè  composta  di  solo  amore.  Non 
crederlo  dunque  una  sconcordanza  come 
se  dovesse  riferirsi  alla  donna,  né  come 
il  tutto  del  e.  XXXVII,  59,  8. 

—  3.  ai  riposi.  Intenderei  :  ed  era  piena 
d'amore  e  di  leggiadria  molto  più  (cfr.  e. 
IX,  61,  n.  2)  che  non  convenia  alla  tranquil- 
lità, alla  pace  di  questo  povero  geloso.  Ri- 
posi  dunque  per  riposo,  quiete. 

—  8.  accorta,  leggiadra.  Vedi  la  nota  3 
del  e.  XXXVII,  48. 

74.  4.  Cli'usci  ecc.  Era  mantovano,  ossia 
discendente  di  Ocno.  Dai  denti  d'  un  ser- 
pente seminati  da  Cadmo,  nacquero  gli 
Sparti,  alcuni  dei  quali  lo  aiutarono  a  edi- 
ficar Tebe.  Da  un  figlio  di  questi  Sparti 
nacque  Tiresia  padre  di  Manto,  profetessa 


famosa.  Figlio  di  Manto  fu  Ocno,  fondatore 
di  Mantova.  Ma  generalmente  i  mitologi 
ritengono  che  la  poetessa  Tebana  Manto  e 
la  Manto  Italica,  madre  di  Ocno,  siano  due 
differenti  persone.  Alcuni  però  le  confon- 
dono, e  a  questi  si  attiene  l'Ariosto. 

—  5.  chi,  quelli  che.  V.  e.  xxvi,  82,  n.  3. 

75.  5.  Il  tesor  dì  T.  «  Intendono  i  più  (tra 
questi  ilBarotti)  che  questo  sia  Tiberio  impe- 
ratore di  Costantinopoli  e  successore  di  Giu- 
stino, ricchissimo  per  i  tesori  che  gli  pro- 
cacciarono le  vittorie  sui  Goti,  e  quelle  so- 
pra i  Persiani.  Crederei  che  sia  piuttosto 
il  successore  d'Augusto,  che  era  della  fami- 
glia dei  Neroni,  e  il  tesoro  di  Nerone  è  pro- 
verbiale nei  racconti  fantastici  popolari  » 
(Casella).  Vedi  in  questa  parte  della  novella 
un  ricordo  della  novella  Boccaccesca  di  Fe- 
derigo degli  Alberighi,  giorn.  V,  nov.  9. 

—  6.  Non  8.  st...  al  segno;  non  sarebbe 
stato  per  tante  spese  sufficiente.  È  locu- 
zione nuova,  che  risponde  all'  immagine  di 
un  segno,  alla  cui  altezza  deve  arrivare  una 
data  cosa  per  esser  sufficiente.  Vedi  tale 
immagine  e  simile  espressione  al  e.  xvii, 
5,  8;  XXI,  14,  8;  xlvi,  55,  6. 

—  8.  asci  fuor.  Intendono  consumò.  Ma 
piuttosto  che  un  significato  speciale  è  da 
vedervi  un'  immagine  :  usci  del  possesso  di 
tutti  i  beni  paterni,  nel  cui  possesso  entra- 
rono altri.  Il  Barotti  lo  dice  modo  volgare, 
degno  di  un  marinaro;  ma,  a  dir  vero,  non 
mi  pare. 

76.  4.  coturnici  e  cotornioi,  quaglie  (lat. 
cotu7^nix)- 


592 


ORLANDO  FURIOSO 


E  con  sospiri  e  lacrime  camina 
Lungo  lo  stagno  che  le  mura  fascia. 
La  donna  che  del  cor  gli  era  regina, 
Già  non  oblia  per  la  seconda  ambascia. 
Ecco  un'alta  avventura  che  lo  viene 
Di  sommo  male  a  porre  in  sommo  bene. 

78 
Vede  un  villan  che  con  un  gran  bastone 
Intorno  alcuni  sterpi  s'affatica. 
Quivi  Adonio  si  ferma,  e  la  cagione 
Di  tanto  travagliar  vuol  che  gli  dica. 
Disse  il  villan  ,che  dentro  a  quel  macchio- 
Veduto  avea  una  serpe  molto  antica,    [ne 
Di  che  pili  lunga  e  grossa  a'  giorni  suoi 
Non  vide,  né  creder  mai  veder  poi: 

79 
E  che  non  si  voleva  indi  partire, 
Che  non  l'avesse  ritrovata  e  morta. 
Come  Adonio  lo  sente  cosi  dire. 
Con  poca  pazienzia  lo  sopporta. 
Sempre  solca  le  serpi  favorire  ; 
Che  per  insegnaci  sangue  suo  le  porta 
In  memoria  ch'usci  sua  prima,  gente 
De'  denti  seminati  di  serpente. 

80 
E  disse  e  fece  col  villano  in  guisa. 
Che,  suo  mal  grado,  abbandonò  l'impresa; 
Si  che  da  lui  non  fu  la  serpe  uccisa: 
Né  più  cercata,  né  altrimenti  offesa. 
Adonio  ne  va  poi  dove  s' avvisa 
Che  sua  condizion  sia  meno  intesa; 
E  dura  con  disagio  e  con  affanno 
Fuor  de  lapatria  appresso  abeettimo  anno. 

81 

Né  mai  per  lontananza,  né  strettezza 

Del  viver,  che  i  pensier  non  lascia  ir  vaghi, 

Cessa  Amor  che  si  gli  ha  la  mano  avvezza, 


77.  4.  lo  stagno,  il  lago  di  Mantova. 

—  6.  la  seconda  amb.  ;  il  dolore  della  mi- 
seria. 

80.  6.  intesa,  conosciuta.  Simile  ma  di- 
verso quel  del  Tasso:  »  In  uovi  mostri  e 
non  più  intfsi  o  visti». 

—  7.  dura,  rimane.  Barberino,  Regg. 
donn.  260:  «  e  là  durava  all'ora  del  man- 
giare »,  e  là  rimaneva  fino  all'  ora  d.  m. 

—  8.  appresso  al  s.  a.  ;  intorno  al  sett. 
a.;  fino  circa  a  sette  anni.  Vedi  lo  stesso 
costrutto  nell'esempio  recato  qui  sopra  n.  7. 

81.  2.  non  1.  ir  vaghi;  non  lascia  vagare; 
la  miseria  non  permette  che  il  pensiero  si 
distragga  e  vada  qua  e  là,  ma  lo  incatena 
a  pensare  ai  suoi  guai. 

—  3.  che  81  gli  ha  1.  m.  a.;  che  ha  la 
mano  cosi  avvezza  contro  di  lui,  ad  ope- 
rare contro  di  lui.  È  un  uso  assai  notevole 
del  pronome  gli  che  puoi  confrontare  col 
simile  del  e.  xlii,  48,  4.  Il  Casella  intende: 
ha  avvezzato  la  mano  a  star  sopra  Adonio, 
ossia  a  reggerlo  e  dominarlo.  Ma  il  v.  4  dà 
più  ragione  al  contro,  che  al  sopra. 


Ch'ognor  non  li  arda  il  core.ognor  impìa- 
È  forza  al  fin  che  torni  alla  bellezza  [ghi. 
Che  son  di  riveder  si  gli  occhi  vaghi. 
Barbuto,  afflitto,  e  assai  male  in  arnese. 
Là  donde  era  venuto,  il  camin  prese. 
82 

In  questo  tempo  alla  mia  patria  accade 
Mandare  uno  oratore  al  Padre  santo; 
Che  resti  appresso  alla  sua  Santitade 
Per  alcun  tempo,  e  non  fu  detto  quanto. 
Gettan  la  sorte,  e  nel  Giudice  cade. 
Oh  giorno  a  lui  cagion  sempre  di  pianto! 
Fé'  scuse,  pregò  assai,  diede  e  promesse 
Per  non  partirsi;  e  al  fin  sforzato  cesse. 
83 

Non  gli  parea  crudele  e  duro  manco 
A  dover  sopportar  tanto  dolore, 
Che  se  veduto  aprir  s'avesse  il  fianco, 
E  vedutosi  trar  con  mano  il  core. 
Di  geloso  timor  pallido  e  bianco 
Per  la  sua  donna,  mentre  starla  fuore, 
Lei  con  quei  modi  che  giovar  si  crede, 
Supplice  priega  a  non  mancar  di  fede: 
84 

Dicendole  ch'a  donna  né  bellezza, 
Né  nobiltà,  né  gran  fortuna  basta, 
Si  che  di  vero  onor  monti  in  altezza, 
Se  per  nome  e  per  opre  non  è  casta; 
E  che  quella  virtù  via  più  si  prezza 
Che  di  sopra  riman  quando  contrasta, 
E  ch'or  gran  campo  avria  per  questa  ab- 
Di  far  di  pudicizia  esperienza.       [senza, 
85 

Con  tai  le  cerca  et  altre  assai  parole 
Persuader,  ch'ella  gli  sia  fedele. 
De  la  dura  partita  ella  si  duole, 
Con  che  lacrime,  oh  Dio!  con  che  querele! 
E  giura  che  più  tosio  oscuro  il  sole 
Vedrassi,  che  gli  sia  mai  si  crudele, 
Che  rompa  fede;  e  che  vorria  morire 
Più  tosto  ch'aver  mai  questo  desire. 

86  [giuri 

Ancor  ch'a  sue  promesse  e  a  suoi  scon- 
Desse  credenza  e  si  acchetasse  alquanto, 


—  3-4.  Cessa...  che  non  li  arda,  cessa  si 
che  non  gli  ar.,  di  ardergli. 

82.  I.  accade,  occorre,  bisogna.  È  signi- 
ficato assai  comune  e  vivo  ancora. 

—  8.  cesse;   cedette.  V.  e.  vii,  28,  n.  5. 

83.  2.  A  dover  sopp.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  IV,  14,  n.  1. 

—  4.  E  vedutosi.  Rileva  dal  precedente 
s'avesse  un  semplice  avesse. 

84.  6.  quando  contrasta;  quando  combatte. 
È  vivo  anche  oggi  in  alcune  locuzioni  :  con- 
trastar  con  la  miseria,  con  la  morte,  e 
simili.  —  rimaner  di  sopra  è  anch'  essa  locu- 
zione viva  e  frequente  per  restar  vincitore. 

85.  6.  gli,  al  marito. 


CANTO  XLin 


693 


Non  resta  che  più  iuteiider  non  procuri, 
E  che  materia  non  procacci  al  pianto. 
Avea  uno  amico  suo,  che  dei  futuri 
Casi  predir  teneva  il  pregio  e  '1  vanto; 
E  d'ogni  sortilegio  e  magica  arte, 
O  il  tutto,  0  ne  sapea  la  maggior  parte. 
87 

Diegli,  pregando,  di  vedere  assunto, 
Se  la  sua  moglie,  nominata  Argia, 
Nel  tempo  che  da  lei  starà  disgiunto. 
Fedele  e  casta,  o  pel  contrario  fìa. 
Colui  da  prieghi  vinto,  tolle  il  punto; 
Il  ciel  figura  come  par  che  stia. 
Anselmo  il  lascia  in  opra,  e  l'altro  giorno 
A  lui  per  la  risposta  fa  ritorno. 
88 

L'astrologo  tenea  le  labra  chiuse, 
Per  non  dire  al  Dottor  cosa  che  doglia, 
E  cerca  di  tacer  con  molte  scuse. 
Quando  pur  del  suo  mal  vede  e'  ha  voglia. 
Che  gli  romperà  fede  gli  concluse, 
Tosto  ch'egli  abbia  il  pie  fuor  de  la  soglia. 
Non  da  bellezza  né  da  prieghi  indotta. 
Ma  da  guadagno  e  da  prezzo  corrotta. 
89 

Giunte  al  timore,  al  dubbio  ch'avea  pri- 
Queste  minacele  dei  superni  moti,     [ma, 
Come  gli  stesse  il  cor,  tu  stesso  stima. 
Se  d'amor  gli  accidenti  ti  son  noti. 


se.  3.  Non  resta  che...  n.  pr.  ;  nou  resta  si 
che  non  proc.  ;  non  cessa  di  procurare  di 
saperne  di  più  anche  da  altri. 

—  5-6.  dei  fnt.  casi  pr.  ;  di  predir  i  fu- 
turi casi.  Avverti  la  stranissima  inversione, 
forse  la  più  ardita  di  tutte  le  altre  del  Fu- 
rioso. Il  di  del  verbo  è  trasportato  al  so- 
stantivo e  unito  all'articolo.  Cfr.  e.  xxxiii, 
9,  6;  XXXVII,  95,  S. 

S«.  4.  pel  contr.  fla;  sarà  per  il  contrario, 
al  contrario,  all'  opposto.  È  locuzione  non 
registrata  dai  vocabolari. 

—  5.  tolle  il  punto;  toglie  il  momento 
opportuno  e  disegna  in  una  tavoletta,  o  in 
terra,  il  cielo,  ossia  la  disposizione  degli 
astri  e  dei  pianeti  come  appare  in  quel  mo- 
mento. È  noto  che  gli  astrologi  osservavano 
la  disposizione  degli  astri  deduceudoue  pro- 
nostici. E  dice  toglie  il  putito,  perché  gli 
astrologi  avevan  fissato  un  numero  deter- 
minato di  combinazioni:  si  trattava  quindi 
di  cogliere  il  momento  opportuno  di  una 
di  queste  combinazioni  per  fare  il  prono- 
stico. 

—  6.  come  par  che  st.  ;  come  apparisce  a 
noi  disposto. 

88.  4.  Quando  pur;  pure,  puruondimeno 
quando  ecc. 

89.  2.  d.  8up.  moti,  dei  movimenti  celesti. 
L' astratto  per  il  concreto:  corpi  celesti  che 
si  muovono. 

•   Ariosto  —  Papiri 


E  sopra  ogni  mestizia  che  l'opprima, 
E  che  l'afflitta  mente  aggiri  e  arruoti, 
E  '1  saper,  come  vinta  d'avarizia 
Per  prezzo  abbia  a  lasciar  sua  pudicizia. 
90 

Or  per  far  quanti  potea  far  ripari 
Da  non  lasciarla  in  quell'error  cadere 
(Perché  il  bisogno  a  dispogliar  gli  altari 
Tra'  l'uora  talvolta,  che  se  '1  trova  avere). 
Ciò  che  tenea  di  gioie  e  di  danari 
(Che  n'avea  somma)  pose  in  suo  potere: 
Rendite  e  frutti  d'ogni  possessione, 
E  ciò  e'  ha  al  mondo,  in  man  tutto  le  pone: 
91 

Con  facultade  (disse)  che  ne'  tuoi 
Non  sol  bisogni  te  li  goda  e  spenda. 
Ma  che  ne  possi  far  ciò  che  ne  vuoi, 
Li  consumi,  li  getti,  e  doni  e  venda. 
Altro  conto  saper  non  ne  vo'  poi. 
Pur  che,  qual  ti  lascio  or,  tu  mi  ti  renda: 
Pur  che,  come  or  tu  sei,  mi  sie  riraasa, 
Fa  eh'  io  non  trovi  né  poder  né  casa. 
92 

La  prega  che  non  faccia,  se  non  sente 
Ch'egli  ci  sia,  ne  la  città  dimora; 
Ma  ne  la  villa,  ove  più  agiatamente 
Viver  potrà  d'ogni  commercio  fuora. 
Questo  dicea,  però  che  l'umil  gente 
Che  nel  gregge  o  ne'  camp]  gli  lavora, 
Non  gli  era  avviso  che  le  caste  voglie 
Contaminar  potessero  alla  moglie. 
93 

Tenendo  tuttavia  le  belle  braccia 
Al  timido  marito  al  collo  Argia, 
E  di  lacrime  empiendogli  la  faccia, 
Ch'un  tìumicel  dagli  occhi  le  n'uscia: 
S'attrista  che  colpevole  la  faccia, 
Come  di  fé  mancata  già  gli  sia; 
Che  questa  sua  sospizion  procede, 
Perché  non  ha  ne  la  sua  fede  fede. 


—  5.  mestizia.  Per  metonimia:  causa  di 
mestizia. 

—  7.  d'avarizia;  da  avarizia. 

90.  4.  Tra;  trae.  V.  e.  xi,  12,  n.  5. 

—  6.  somma,  buona  somma.  In  questo 
senso  manca  nei  vocabolari. 

—  7.  Rendite...  frutti.  <-  Rendita  è  il  frutto 
che  si  trae  ogni  anno  dai  poderi,  censi,  li- 
velli ecc..  frutto  è  assai  più  generico:  in 
fatti  si  dice,  frutto  d'ingegno,  frutto  di 
sudori  »  (Tommaseo). 

92.  1.  se  non  sente;  se  non  sente  dire  che 
egli  ci  sia  per  aver  fatto  ritorno. 

93.  2.  timido;  pieno  di  timore.  Cosi  nel 
e.  XXX,  31,  8.  Si  usò  generalmente  pev  pau- 
roso; qui  invece  vale  dubitoso,  che  teme 
una  sventura.  Significato  non  citato  dai 
vocabolari. 

—  7-8.  procede  perché.  Puoi  intenderlo 
avviene  perché.  E  in  questo  senso  l'usarono 

38 


594 


ORLANDO  FURIOSO 


94 

Troppo  sarà,  s'io  voglio  ir  rimembrando 
Ciò  ch'ai  partir  da  tramendua  fu  detto. 
Il  mio  ouor  (dice  al  fin)  ti  raccomando: 
Piglia  licenzia,  e  partesi  in  effetto; 
E  ben  si  sente  veramente,  quando 
Volge  il  cavallo,  uscire  il  cor  del  petto. 
Ella  lo  segue,  quanto  seguir  puote, 
Con  gli  occhi  che  le  rigano  le  gote. 
95 

Adonio  intanto  misero  e  tapino, 
E,  come  io  dissi,  pallido  e  barbuto, 
Verso  la  patria  avea  preso  il  camino, 
Sperando  di  non  esser  conosciuto. 
Sul  lago  giunse  alla  città  vicino 
Là,  dove  avea  dato  alla  biscia  aiuto. 
Ch'era  assediata  entro  la  macchia  forte 
Da  quel  villan  che  por  la  volea  a  morte. 
96 

Quivi  arrivando  in  su  l'aprir  del  giorno, 
Ch'ancor  splendea  nel  cielo  alcuna  stella, 
Si  vede  in  peregrino  abito  adorno 
Venir  pel  lito  incontra  una  donzella 
In  signoril  sembiante,  ancor  ch'intorno 
Non  l'apparisse  né  scudier  né  ancella. 
Costei  con  grata  vista  lo  raccolse, 
E  poi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse: 
97 

Se  ben  non  mi  conosci,  o  cavalliero, 
Son  tua  parente,  e  grande  obligo  faggio: 
Parente  son,  perché  da  Cadmo  fiero 
Scende  d'amenduo  noi  l'alto  lignaggio. 
Io  son  la  fata  Manto,  che  '1  primiero 
Sasso  messi  a  fondar  questo  villaggio; 
E  dal  mio  nome  (come  ben  forse  hai 
Contare  udito)  Mantua  la  nomai. 
98 

De  le  Fate  io  son  una;  et  il  fatale 
Stato  per  farti  anco  saper  eh'  importe, 
Nascemo  a  un  punto,  che  d'ognaltro  male 


talvolta  gli  antichi.  Volgar.  di  alcune  ora- 
zioni di  S.  Giov.  Grisost.,  101:  «Procede 
di  loro  come  dell'  oro  ».  0  anche  puoi  sot- 
tintendere: da  questa  causa:  procede  da 
questa  causa,  perché  ecc. 

94.  2.  tramendna,  ambedue:  e.  xviif,  187, 
8,  tramendui. 

97.  5-0.  che  '1  primiero  Sasso.  Veramente 
è  città  fondata  dagli  Etruschi,  e  anticliis- 
sima,  perciò  la  favola  vi  ha  lavorato  sopra. 

95.  1.  fatale,  di  fata.  Cosi  nel  e.  il,  55,  2, 
cavalier  celeste;  e  st.  64,  e.  ni  fé  mina  sjjir- 
tal,e  st.  67,  scudo  mortai,  e  fatale  per  fa- 
tata nel  e.  VI,  52,  2.  È  una  estensione  bella 
e  nuova  di  sigiiihcato. 

—  3.  N.  a  un  punto;  Sottintendi:  ti  dirò 
che  nasciamo  in  tal  condizione.  Nascemo 
è  forma  popolare  ancor  viva  nel  volgo,  in 
qualche  luogo  della  Toscana.  —  punto  per 
condizione  l'abbiamo  in  varie  locuzioni: 


Siamo  capaci,  fuor  che  de  la  morte. 
Ma  giunto  è  con  questo  essere  immortale 
Condizion  non  men  del  morir  forte; 
Ch'ogni  settimo  giorno  ogniuna  è  certa 
Che  la  sua  forma  in  biscia  si  converta. 
99 

Il  vedersi  coprir  del  brutto  scoglio, 
E  gir  serpendo,  è  cosa  tanto  schiva. 
Che  non  è  pare  al  mondo  altro  cordoglio; 
Tal  che  bestemmia  ogniuna  d'esser  viva. 
E  l'obligo  eh'  io  t'ho  (perché  ti  voglio 
Insiememente  dire  onde  deriva) 
Tu  saprai,  che  quel  di,  per  esser  tali, 
Siamo  a  periglio  d' infiniti  mali. 
100 

Non  è  si  odiato  altro  animale  in  terra. 
Come  la  serpe;  e  noi,  che  n'abbiàn  faccia, 
Patimo  da  ciascuno  oltraggio  e  guerra; 
Che  chi  ne  vede,  ne  percuote  e  caccia. 
Se  non  troviamo  ove  tornar  sotterra. 
Sentiamo  quanto  pesa  altrui  le  braccia. 
Meglio  saria  poter  morir,  che  rotte 
E  storpiate  restar  sotto  le  botte. 

101  [volta 

L'obbligo  eh'  io  t'  ho  grande,  è  ch'una 
Che  tu  passavi  per  quest'ombre  amene. 
Per  te  di  mano  fui  d'un  villan  tolta. 
Che  gran  travagli  m'avea  dati  e  pene. 
Se  tu  non  eri,  io  non  andava  asciolta, 


Boccaccio,  Nov.  30:  «  a  che  punto  le  cose 
fossero  volle  sapere  ».  Cosi  ridursi  a  mal 
punto  e  simili;  ma  il  modo  Ariostesco  mi 
pare  nuovo  e  notevole. 

—  7.  Ch'ogni  sett.  g.  ;  poiché  ogni  sett. 
g.  Quest'idea  è  forse  stata  suggerita  al- 
l' Ariosto  dal  Gue.rin  Meschino,  dove  si 
dice  che  la  Sibilla  di  Norcia,  divenuta  una 
fata,  si  cambia  in  serpe  una  volta  la  setti- 
mana insieme  con  le  sue  compagne. 

99.  1.  scoglio,   scaglia.  V.  e.  v,  17,  n.  II. 

—  5.  E  l'obligo  ecc.;  E  tu  saprai,  com- 
prenderai r  obbligo  ch'io  t' Ilo,  perché  quel 
giorno  siamo  a  periglio  d'inf.  m.  Seppure 
non  è  da  intenderlo  usato  assolutamente, 
come  complemento  di  limitazione:  e  quanto 
all'obbligo  eh'  io  t'  ho,  tu  saprai,  sai  certa- 
mente che  ecc.  Più  agevole  sarebbe  sup- 
porre che  le  parentesi  fossero  state  messe 
per  errore  nella  prima  e  nelle  altre  stam- 
ine: cosi  potremmo  più  semplicemente  in-  j-^ 
tendere:  e  perché  ti  voglio  dire  onde  de-  M 
riva  l'obbligo  ch'io  t'ho,  tu  devi  sapere 
che  ecc. 

100.  3.  patimo,  patiamo.  Terminazione 
popolare  ancor  viva  in  alcune  parti  della 
Toscana. 

—  4.  Che,  poiché. 

—  6.  quanto  pesa.  Per  questa  sconcor- 
danza cfr.  e.  xiv,  10,  n.  6. 

101.  5-6.  Bsciolta  che,  libera  cosi,  che.  Il 


CANTO  XLIII 


595 


Gli'  io  non  portassi  rotto  e  capo  e  schene, 
E  che  sciancata  non  restassi  e  storta, 
Se  ben  non  vi  potea  rimaner  morta: 
102 

Perché  quei  giorni  che  per  terra  il  petto 
Traemo  avvolto  in  serpentile  scorza, 
Il  ciel  eh'  in  altri  tempi  è  a  noi  suggetto, 
Niega  ubbidirci,  e  prive  siàn  di  forza. 
In  altri  tempi  ad  uu  sol  nostro  detto 
Il  sol  si  ferma,  e  la  sua  luce  ammorza, 
L'immobil  terra  gira,  e  muta  loco,      [co. 
S'infiamma  il  ghiaccio,  e  si  ongela  il  fiio- 
103 

Ora  io  son  qui  per  renderti  mercede 
Del  benefìcio  che  mi  festi  allora. 
Nessuna  grazia  indarno  or  mi  si  chiede 
Ch'  io  son  del  manto  viperino  fuora. 
Tre  volte  più  che  di  tuo  padre  erede 
Non  rimanesti,  io  ti  fo  ricco  or  ora: 
Né  vo'  che  mai  più  povero  diventi, 
Ma  quanto  spendi  più,  chepiùaugumenti. 
104 

E  perché  so  che  ne  l'antiquo  nodo. 
In  che  già  Amor  t'avvinse,  anco  ti  trovi; 
Voglioti  dimostrar  l'ordine  e  'I  modo 
Ch'  a  disbramar  tuoi  desiderii  giovi. 

10  voglio,  or  che  lontano  il  marito  odo. 
Che  senza  indugio  il  mio  consiglio  provi; 
Vadi  a  trovar  la  donna  che  dimora 
Fuori  alla  villa,  e  sarò  teco  io  ancora. 

105 
E  seguitò  narrandogli  in  che  guisa 
Alla  sua  donna  vuol  che  s'appresenti; 
Dico  come  vestir,  come  precisa- 
Mente  abbia  a  dir,  come  la  prieghi  e  tenti; 
E  che  forma  essa  vuol  pigliar,  devisa; 
Che,  fuor  che  '1  giorno  ch'erra  tra  serpen- 
In  tutti  gli  altri  si  può  far,  secondo      [ti, 
Che  più  le  pare,  in  quante  forme  ha  il 

106  [mondo. 

Messe  in  abito  lui  di  peregrino, 

11  qual  per  Dio  di  porta  in  porta  accatti; 
Mutosse  ella  in  uu  cane,  il  più  piccino 
Di  quanti  mai  n'abbia  Natura  fatti, 

Di  pel  lungo,  più  bianco  ch'arniellino. 
Di  grato  aspetto  e  di  mirabili  atti. 
Cosi  trasfigurato,  entraro  in  via 
Verso  la  casa  de  la  bella  Argia: 


significato  di  AscioUa  e  il  costrutto  sono 
rari  pur  negli  antichi  scrittori. 

102.  2.  Traemo,  Terminazione  popolare, 
ancor  viva  in  qualche  luogo  di  Toscana.  — 
Serpentile.  Si  cita  questo  solo  esempio  del- 
l'Ariosto. 

103.  5-6.  Tre  volte  ecc.  Costruisci:  io 
ti  farò  tre  volte  più  ricco  che  non  rima- 
nesti come  erede  di  tuo  padre. 

105.  5.  devisa.  V.  e.  XXXVII,  62,  n.  8. 
100.  7.  trasfigurato  ;  É  la  medesima  scon- 
cordanza di  cui  al  e.  IX,  32,  n.  1;  ma  qui 


107 
E  dei  lavoratori  alle  capanne, 
Prima  ch'altrove  il  giovene  ferinosse; 
E  cominciò  a  sonar  certe  sue  canne, 
Al  cui  suono  danzando  il  can  rizzosse. 
La  voce  e  '1  grido  alla  padrona  vanne, 
E  fece  si,  che  per  veder  si  mosse. 
Fece  il  romèo  chiamar  ne  la  sua  corte, 
Si  come  del  Dottor  traea  la  sorte. 

108 
E  quivi  Adonio  a  comandare  al  cane 
Incominciò,  et  il  cane  a  ubbidir  lui, 
E  far  danze  nostral,  farne  d'estrane, 
Con  passi  e  continenze  e  modi  sui, 
E  finalmente  con  maniere  umane 
Far  ciò  che  comandar  sapea  colui. 
Con  tanta  attenzion,  che  chi  lo  mira, 
Non  batte  gli  occhi,  e  a  pena  il  fiato  spira. 

109 
Gran  mara\  iglia,  et  indi  gran  desire 
Venne  alla  donna  di  quel  can  gentile; 
E  ne  fa  per  fa  balia  proferire 
Al  cauto  peregrin  prezzo  non  vile. 
S'avessi  più  tesor,  che  mai  sitire 
Potesse  cupidigia  feniinile 
(Colui  rispose),  non  saria  mercede 
Di  comprar  degna  del  mio  cane  un  piede. 

110 
E  per  mostrar  che  veri  i  detti  foro, 
Con  la  balia  in  un  canto  si  ritrasse, 
E  disse  al  cane,  ch'una  marca  d'oro 
A  quella  donna  in  cortesia  donasse. 
Scossesi  il  cane,  e  videsi  il  tesoro. 


riesce  più  dura  e  difficile,  perché  manca 
il  soggetto  espresso. 

107.  5.  La  Toce  e  '1  gr.  ;  la  notizia  e  la 
fama. 

—  7.  romeo.  Era  in  abito  di  pellegrino. 

—  8.  traea;  portava,  voleva.  Fors'anche 
la  traea  :  la  cattiva  sorte  del  Dottore  trae- 
va la  donna  a  far  ciò. 

108.  4.  continenze;  più  comunem.  coufe- 
neme,  portamenti.  Boccaccio,  nov.  99  :  «  Io 
intendo  di  veder  che  contenenza  sia  quella 
di  mia  inogliere  in  queste  nozze  »;  ma  non 
è  frequente.  —  sui,  suoi  propri;  tutti  suoi 
propri. 

—  8.  il  f.  spira  ;  respira.  È  locuzione  che 
par  che  manchi  nei  vocabolari.  La  Nuova 
Crusca  lo  registrerà  forse  alla  voce  spirare. 

109.  3.  la  balia;  la  nutrice.  V.  per  questa 
parola  il  e.  xiv,  51,  n.  5. 

—  5.  sitire  (latino  sitire,  aver  sete  di) 
desiderare  ardentemente.  In  senso  proprio 
Dante,  Purg.  15:  «  Sangue  sitisti  ed  io  di 
sangue  t'  empio  ». 

110.  3.  marca  d'oro;  sorta  di  moneta  an- 
tica: vi  erano  anche  le  marche  d'argento. 

—  5.  il  tesoro,  la  moneta.  In  questo  senso 
restrittivo- manca  nei  vocabolari. 


596 


ORLANDO  FURIOSO 


Disse  Adonio  alla  balia,  che  pigliasse, 
Soggiungendo:  Ti  par  che  prezzo  sia. 
Per  cui  si  bello  et  util  cane  io  dia? 
Ili 

Cosa,  qual  vogli  sia,  non  gli  domando, 
Di  ch'io  ne  torni  mai  con  le  man  vote;  [do 
E  quando  perle,  e  quando  annella,e  quan- 
Leggiadra  veste  e  di  gran  prezzo  scuote. 
Pur  di'  a  madonna,  che  fia  al  suo  comando, 
Per  oro  no;  ch'oro  pagar  noi  puote: 
Ma  se  vuol  ch'una  notte  seco  io  giaccia. 
Abbiasi  il  cane,  e  '1  suo  voler  ne  faccia. 
112 

Cosi  dice;  e  una  gemma  allora  nata 
Le  dà,  ch'alia  padrona  l'appresenti. 
Pare  alla  balia  averne  più  derrata, 
Che  di  pagar  dieci  ducati  o  venti. 
Torna  alla  donna,  e  le  fa  l' imbasciata; 
E  la  conforta  poi,  che  si  contenti 
D'acquistare  il  bel  cane;  ch'acquistarlo 
Per  prezzo  può,  che  non  si  p^rde  a  darlo. 
113 

La  bella  Argia  sta  ritrosetta  in  prima; 
Parte,  che  la  sua  fé  romper  non  vuole; 
Parte,  ch'esser  possibile  non  stima 
Tutto  ciò  che  ne  suonan  le  pai'ole. 
La  balia  le  ricorda,  e  rode  e  lima. 
Che  tanto  ben  di  rado  avvenir  suole; 
E  fé'  che  l'agio  un  altro  di  si  tolse, 


—  7.  prezzo  sia,  vi  sia  prezzo. 

111.  1.  qnal  vogli  eia,  sia  qual  tu  voglia. 

—  6.  Per  oro  no.  Vedi  come  il  costrutto 
è  agilmente  interrotto:  dovrebbe  regolar- 
mente dire:  non  per  oro;  ma  per  una 
notte  ecc. 

112.  1.  allora  nata,  prodotta  allora  al- 
lora dal  cane. 

—  3-1.  Pare  ecc.  Mi  sembra  un  luogo  non 
chiaro.  Intenderei  :  Dopo  aver  sentito  il 
patto  del  pellegrino  e  aver  visto  le  ric- 
chezze che  questo  cane  poteva  produrre, 
pare  alla  balia  che  la  padrona,  accettando 
la  proposta,  ne  avesse  maggior  vantaggio 
(derrata)  che  non  sarebbe  stato  quello  di 
pagare  pur  la  tenue  somma  di  dieci  o  venti 
ducati.  Concedere  una  notte  le  parve  ben 
poca  mercede;  assai  meno  che  pagare  die- 
ci ecc. 

—  0.  si  contenti,  voglia,  acconsenta.  Nel 
e.  IX,  13:  «siate  contento»  acconsentite.  È 
locuzione  elegante  e  gentile  molto  amata 
dai  nostri  scrittori. 

113.  2-3.  Parte  clie.  V.  c.  XI,  53,  n.  2. 

—  5.  e  rode  e  lima.  Sono  fuori  del  co- 
strutto principale  :  le  ricorda  {e  mentre 
ciò  ricorda  si  rode  e  si  lima)  che  tanto 
bene  ecc.  —  rode,  lima,  invece  del  riflessivo. 
Per  rodere  si  cita  un  solo  es.  del  Fiore 
d'Italia;  limare  in  questo  senso  non  è  ci- 
tato nei  vocabolari. 

—  7-8.  E  fé'  ecc.  Il  senso  porterebbe  a 


Che  '1  can  veder  senza  tanti  occhi  volse. 
114 

Quest'altro  comparir  ch'Adonio  fece, 
Fu  la  mina  e  del  Dottor  la  morte. 
Facea  nascer  le  doble  a  diece  a  diece, 
Filze  di  perle,  e  gemme  d'ogni  sorte: 
Si  che  il  superbo  cuor  mansuefece, 
Che  tanto  meno  a  contrastar  fu  forte. 
Quanto  poi  seppe  che  costui  eh'  inante 
Gli  fa  partito,  è  '1  cavallier  suo  amante. 
115 

De  la  puttana  sua  balia  i  conforti, 

I  prieghi  de  l'amante  e  la  presenzia, 

II  veder  che  guadagno  se  l'apporti, 
Del  misero  Dottor  la  lunga  absenzia, 
Lo  sperar  ch'alcun  mai  non  lo  rapporti. 
Fero  ai  casti  pensier  tal  violenzia, 
Ch'ella  accettò  il  bel  cane,  e  per  mercede 
In  braccio  e  in  preda  al  suo  amator  si  die- 

116  [de. 

Adonio  lungamente  frutto  colse 
De  la  sua  bella  Donna,  a  cui  la  Fata 
Grande  amor  pose,  e  tanto  le  ne  volse. 
Che  sempre  star  con  lei  si  fu  ubligata. 
Per  tutti  i  segni  il  sol  prima  si  volse. 
Ch'ai  Giudice  licenzia  fosse  data: 
Al  fin  tornò,  ma  pien  di  gran  sospetto, 
Per  quel  che  già  l'astrologo  avea  detto. 
117 

Fa,  giunto  ne  la  patria,  il  primo  volo 
A  casa  de  l'astrologo,  e  gli  chiede, 


intendere:  e  fece  si  che  la  donna  prese  un 
altro  giorno  di  tempo  per  vedere  il  cane 
un  po'  meglio,  senza  tanti  testimoni.  Ma  mi 
sembra  che  dalle  parole  ciò  non  possa  ri- 
levarsi. Per  ciò  intendo:  e  fece  in  modo  che 
la  donna  prese  il  suo  piacere  un  altro 
giorno  che  volle  rivedere  il  cane  senza 
tanti  testimoni.  Agio  per  piacere  è  già  in 
Dantk,  Purg.  14,  109:  «  gli  afifanui  e  gli  agi 
Che  ne  invogliava  amore  e  cortesia  ». 

114.  2.  Fu  ecc.  Puoi  intendere:  fu  la  mi- 
na di  tutto  e  la  morte,  e  il  colpo  mortale 
per  il  Dott.  ;  o  anche  :  fu  la  mina  e  la  morte 
del  Dott. 

—  3.  doble,  e  dobble  e  doppie.  Antica 
moneta  d'oro,  che  nei  vari  tempi  e  luoghi 
ebbe   vario   valore.  Il  Boccaccio:  dobbra. 

—  7.  Quanto;  in  quanto  che.  È  signifi- 
cato non  registrato  dai  vocabolari;  ma 
piuttosto  che  un  nuovo  uso,  è  forse  da  ve- 
dervi l'azione  del  tanto  precedente. 

—  8.  Gli  fa  partito,  le  fa  la  vendita.  Gli 
per  le  anche  nel  e.  xi,  37,  5.  Potresti  anche, 
ma  meno  bene,  riferirlo  a  cuore.  Far  par- 
tito usò  pure  il  Caro,  il  Cellini,  Vita,  2, 
281  :  «  Mostrò  gran  sicurtà  nel  poter  far 
partito  di  questa  gioia  ». 

116.  2.  la  Fata;  sempre  sotto  le  spoglie 
del  cane. 


CANTO  XLln 


597 


Se  la  sna  donna  fatto  inganno  e  dolo, 
O  pur  servato  gli  abbia  anioi'e  e  fede. 
Il  sito  figurò  colui  del  polo, 
Et  a  tutti  i  pianeti  il  luogo  diede: 
Poi  rispose  che  quel  ch'avea  temuto, 
Come  predetto  fu,  gli  era  avvenuto  ; 
118 

Che  da  doni  grandissimi  corrotta, 
Data  ad  altri  s'avea  la  donna  in  preda. 
Questa  al  Dottor  nel  cor  fu  si  gran  botta, 
Ohe  lancia  e  spiedo  io  vo'  che  ben  le  ceda. 
Per  esserne  più  certo,  ne  va  allotta 
(Ben  che  pur  troppo  allo  indivino  creda) 
Ov'è  la  balia,  e  la  tira  da  parte, 
E  per  saperne  il  certo  usa  grande  arte. 
119 

Con  larghi  giri  circondando  prova 
Or  qua  or  là  di  ritrovar  la  traccia  ; 
E  da  principio  nulla  ne  ritrova, 
Con  ogni  diligenzia  che  ne  faccia; 
Ch'ella,  che  non  avea  tal  cosa  nuova, 
Stava  negando  con  iramobil  faccia; 
E  come  bene  instrutta,  più  d'un  mese 
Tra  il  dubbio  e  '1  certo  il  suo  patron  so- 
120  [spese. 

Quanto  dovea  parergli  il  dubbio  buono, 
Se  pensava  il  dolor  ch'avria  del  certo? 
Poi  eh'  indarno  provò  con  priego  e  dono, 
Che  da  la  balia  il  ver  gli  fosse  aperto, 
Né  toccò  tasto  ove  sentisse  suono 
Altro  che  falso;  come  uom  ben  esperto. 
Aspettò  che  discordia  vi  venisse; 
Ch'ove  temine  son,  son  liti  e  risse. 
121 

E  come  egli  aspettò,  cosi  gli  avvenne; 
Ch'ai  primo  sdegno  che  tra  loro  nacque, 
Senza  suo  ricercar,  la  balia  venne 
Il  tutto  a  ricontargli,  e  nulla  tacque. 
Lungo  a  dir  fora  ciò  che  '1  cor  sostenne, 
Come  la  mente  consternata  giacque 
Del  Giudice  meschin,  che  fu  si  oppresso, 
Che  stette  per  uscir  fuor  di  sé  stesso: 
122 

E  si  dispose  al  fin  da  l' ira  vinto 
Morir,  ma  prima  uccider  la  sua  moglie; 


117.  5.  figurò  ecc.,  su  la  tavoletta,  dispo- 
nendo i  pianeti  come  apparivano  nel  cielo, 
ciascuno  al  suo  luogo. 

118.  6.  indìTino.  È  forma  rara  anche  negli 
antichi. 

119.  1.  circondando.  Intenderei:  girando 
con  larghi  giri  di  parole.  Cosi  usò  circon- 
dare nel  e.  xiv,  106,  1,  ma  in  senso  mate- 
riale. 

—  4.  ne  face.  Il  ne  sembra  pleonastico. 

—  5.  che  non  av.  t.  e.  n.  ;  che  non  era 
nuova  nell'arte  di  negare  il  vero,  lo  nega- 
va con  immobil  faccia;  sicché  ben'  istruita 
com'  era  in  quest'  arte,  diminuiva  nel  giu- 
dice la  certezza  prodotta  dalle  parole  del- 
l' indovino. 


E  che  d'amendue  ì  sangui  un  ferro  tinto 

Levassi  lei  di  biasmo,  e  sé  di  doglie. 
Ne  la  città  se  ne  ritorna,  spinto 
Da  cosi  furibonde  e  cieche  voglie; 
Indi  alla  villa  un  suo  fidato  manda, 
E  quanto  esequir  debba,  gli  comanda. 

123 
Comanda  al  servo,  ch'alia  moglie  Argia 
Torni  alla  villa,  e  in  nome  suo  le  dica 
Ch'egli  è  da  febbre  oppresso  cosi  ria, 
Che  di  trovarlo  vivo  avrà  fatica; 
Si  che,  senza  aspettar  più  compagnia. 
Venir  debba  con  lui,  s'ella  gli  è  amica 
(Verrà:  sa  ben,  che  non  farà  parola); 
E  che  tra  via  le  seghi  egli  la  gola. 

121 
A  chiamar  la  patrona  andò  il  famiglio, 
Per  far  di  lei  quanto  il  signor  commesse. 
Dato  prima  al  suo  cane  ella  di  piglio. 
Montò  a  cavallo  et  a  camin  si  messe. 
L'avea  il  cane  avvisata  del  periglio. 
Ma  che  d'andar  per  questo  ella  non  stesse; 
Ch'avea  ben  disegnato  e  proveduto 
Onde  nel  gran  bisogno  avrebbe  aiuto. 

125 
Levato  il  servo  del  camino  s'era; 
E  per  diverse  e  solitarie  strade 
A  studio  capitò  su  una  riviera 
Che  d'Apeunino  in  questo  fiume  cade; 
Ov'era  bosco  e  selva  oscura  e  nera, 
Lungi  da  villa  e  lungi  da  cittade. 
Gli  parve  loco  tacito  e  disposto 
Per  l'effetto  crudel  che  gli  fu  imposto. 

126 
Trasse  la  spada,  e  alla  padrona  disse 
Quanto  commesso  il  suo  signor  gli  avea; 
Si  che  chiedesse,  prima  che  morisse. 
Perdono  a  Dio  d'ogni  sua  colpa  rea. 
Non  ti  so  dir  cora'ella  si  coprisse: 
Quando  il  servo  ferirla  si  credea, 
Più  non  la  vide,  e  molto  d'ognintorno 
L'andò  cercando,  e  al  fin  restò  con  scorno. 


122.  7.  Indi  alla  villa  ecc.  Questa  parte 
della  novella  ha  dei  riscontri  con  la  no- 
vella 19  del  Boccaccio,  in  cui  Bernabò  da 
Genova  manda  alla  sua  donna  un  famiglio 
con  lettere,  che  la  invitano  a  lui.  La  mo- 
glie accojto  festosamente  il  servo,  parte 
con  esso  e,  giunta  in  un  vallone,  sa  che  deve 
morire,  come  aveva  ordinato  il  marito.  Il 
sei'vo  le  dice  prima  di  raccomandare  l'ani- 
ma a  Dio. 

124.  4.  a  camin  si  messe.  È  bel  modo  molto 
amato  dagli  antichi.  G.  Villani,  1,  88:  «  Con 
piccola  compagnia  si  mise  a  cammino  ». 

125.  3.  una  riviera.  Forse  il  fiume  Sec- 
chia. 

126.  5.  com'ella  si  coprisse;  come  facesse 
a  nascondersi,  a  sparire. 


598 


ORLANDO  FURIOSO 


127  [onta, 

Torna  al  patron  con  gran  vergogna  et 
Tutto  attonito  in  faccia  e  sbigottito; 
E  l'insolito  caso  gli  racconta, 
Ch'egli  non  sa  come  si  sia  seguito. 
Ch'a  suoi  servigi  abbia  la  moglie  pronta 
La  fata  Manto,  non  sapea  il  marito; 
Che  la  balia,  onde  il  resto  avea  saputo. 
Questo,  non  so  perché,  gli  avea  taciuto. 

128 
Non  sa  che  far;  che  né  l'oltraggio  grave 
Vendicato  ha,  né  le  sue  pene  ha  sceme. 
Quel  ch'era  una  festuca,  ora  è  una  trave; 
Tanto  gli  pesa,  tanto  al  cor  gli  preme. 
L'error  che  sapean  pochi,  or  si  aperto  have, 
Che  senza  indugio  si  palesi,  teme. 
Potea  il  primo  celarsi;  ma  il  secondo, 
Publico  in  breve  fia  per  tutto  il  mondo. 

129 
Conosce  ben  che,  poi  che  '1  cor  fellone 
Avea  scoperto  il  misero  centra  essa, 
Ch'ella,  per  non  tornargli  iu  snggezione, 
D'alcun  potente  in  man  si  sarà  messa; 
Il  qual  se  la  terrà  con  irrisione 
Et  ignominia  del  marito  espressa; 
E  forse  anco  verrà  d'alcuno  in  mano. 
Che  ne  fia  insieme  adultero  e  ruffiano. 

130 
Si  che,  per  rimediarvi,  in  fretta  manda 
Intorno  messi  e  lettere  a  cercarne. 
Ch'  in  quel  loco,  ch'in  questo  ne  domanda 
Per  Lombardia,  senza  città  lasciarne. 
Poi  va  in  persona,  e  non  si  lascia  banda 
Ove  0  non  vada  o  mandivi  a  spiarne: 


127.  4.  si  sia  seguito.  La  forma  riflessiva, 
in  questo  senso  di  avvenire,  è  citata  dal 
Gherardini  con  un  solo  esempio  del  Pal- 
ladio. 

128.  4.  al  e.  gli  preme.   V.  e.  xi,  14,  n.  4. 

—  7.  il  primo...  il  secondo;  l'errore  che 
sapean  pochi;  e  quello  che  ha  cosi  aper- 
tamente manifestato.  È  veramente  lo  stesso 
errore  diversamente  noto. 

120.  1-3.  che...  che.  Per  questa  ripeti- 
zione cfr.  e.  V,  27,  n.  6. 

—  6.  espressa,  chiara,  palese.  V.  e.  xi, 
81,  n.  7. 

130.  3.  Ch'...  eh';  chi  chi.  V.  e.  xix,  17, 
n.  6. 

—  1.  lasciarne,  lasciare  città  della  Lom- 
bardia (ne). 

—  5.  si  lascia.  Piuttosto  che  supporvi  un 
uso  speciale  del  riflessivo  intenderei  :  si  la- 
scia da  lui.  Come  Dante,  Inf.  14,  120: 
«  Qual  sia  quello  stagno  Tu  il  vedrai,  però 
qui  non  si  conta  ». 

—  6.  spiarne;  ricercarne  diligentemente. 
Petrarca,  I,  canz.  15,  6:  «  Tu  sai  in  me  il 
tutto,  Amor,  s'ella  ne  spia  (ne  ricerca)  Dinne 
quel  che  dir  dei  ».  E  il  Carducci  nota:  «  Qui 


Né  mai  può  ritrovar  capo  né  via 
Di  venire  a  notizia,  che  ne  sia. 

131  [posta 

Ai  fin  chiama  quel  servo,  a  chi  fu  ira- 
L'opra  crudel  che  poi  non  ebbe  effetto, 
E  fa  che  lo  conduce  ove  nascosta 
Se  gli  era  Argia,  si  come  gli  avea  detto; 
Che  forse  in  qualche  macchiai!  di  reposta, 
La  notte  si  ripara  ad  alcun  tetto. 
Lo  guida  il  servo  ove  trovar  si  crede 
La  folta  selva,  e  un  gran  palagio  vede. 
132 

Fatto  avea  farsi  alla  sua  Fata  intanto 
La  bella  Argia  con  subito  lavoro 
D'alabastri  un  palagio  per  incanto. 
Dentro  e  di  fuor  tutto  fregiato  d'oro. 
Né  lingua  dir,  né  cor  pensar  può  quanto 
Avea  beltà  di  fuor,  dentro  tesoro. 
Quel  che  iersera  si  ti  parve  bello, 
Del  mio  Signor,  saria  un  tugurio  a  quello. 
133 

E  di  panni  di  razza,  e  di  cortine 
Tessute  riccamente  e  a  varie  foggie. 
Ornate  eran  le  stalle  e  le  cantine. 
Non  sale  pur,  non  pur  camere  e  loggie. 
Vasi  d'oro  e  d'argento  senza  fine, 
Gemme  cavate,  azurre  e  verdi  e  roggie, 
E  formate  in  gran  piatti  e  in  coppe  e  in 
E  senza  fin  d'oro  e  di  seta  drappi,  [nappi, 
134 

Il  Giudici.',  si  come  io  vi  dicea, 
Venne  a  questo  palagio  a  dar  di  petto; 
Quando  né  una  capanna  si  credea 
Di  ritrovar,  ma  solo  il  bosco  schietto. 
Per  l'alta  maraviglia  che  n'avea, 
Esser  si  credea  uscito  d' intelletto: 
Non  sapea  se  fosse  ebbro,  o  se  sognassi, 


s'ella  ne  spia  vale  se  ella,  ne  Chiede,  o  me- 
glio: se  ne  ricerca  diligentemente  ■•>.  E  cita 
il  Varchi,  Ercol.  72:  *■  .spiare  si  piglia  al- 
cuna volta  in  buona  parte,  dove  far  la 
spia  si  piglia  sempre  in  cattiva  ». 

—  8.  che  ne  sia;  che  cosa  sia,  sia  avve- 
nuto di  lei. 

132.  8.  a  qnello:  in  confronto  a  quello. 
V.  e.  XIII,  70,  11.  1;  e  appresso,  st.  HI,  8. 

13IJ.  1.  panni  di  razza;  arazzi.  Nell'ediz. 
del  1516:  «Di  tapeti  e  di  razzi».  Il  Bur- 
chiello disse,  1,  27:  «  panni  d'arazza  ».  Que- 
sta forma  A  riostesca  manca  nei  vocabolari 
e  al  Barotti  sembra  stranissima.   Perché? 

13:ì.  6.  Gemme  cavate,  gemme  incavate, 
scavate  a  forma  di  piatti  ecc. 

134.  2.  dar  di  petto;  imbattersi.  Cosi  il 
Varchi,  Storie,  2,  251:  «  Si  dà  di  petto  nel 
castello  di  Pontadera  ». 

—  3.  Quando.  Ha  valore  avversativo  : 
mentre,  laddove,  come  spesso  nella  nostra 
lingua.  —  né,  neppure.  V.   e.   n,  41,  u.  4. 


CANTO  XLIU 


599 


0  pur  se  '1  cervel  scemo  a  volo  andassi. 
135 

Vede  inanzi  alla  porta  uno  Etiòpo 
Con  naso  e  labri  grossi;  e  ben  gli  è  avviso 
Che  non  vedesse  mai,  prima  né  dopo, 
Un  cosi  sozzo  e  dispiacevol  viso; 
Poi  di  fattezze,  qual  sì  pinge  Esopo, 
D'attristar,  se  vi  fosse,  il  Paradiso; 
Bisunto  e  sporco,  e  d'abito  mendico; 
Né  a  mezzo  ancor  di  sua bruttezzaio  dico. 
136 

Anselmo  che  non  vede  altro  da  cui 
Possa  saper  di  chi  la  casa  sia, 
A  lui  s'accosta,  e  ne  domanda  a  lui; 
Et  ei  risponde:  Questa  casa  è  mia. 
Il  Giudice  è  ben  certo  che  colui 
Lo  beffi,  e  che  gli  dica  la  bugia: 
Ma  con  scongiuri  il  Negro  ad  affermare 
Che  sua  è  la  casa,  e  eh'  altri  non  v'  ha  a 
137  [fare  ; 

E  gli  offerisce,  se  la  vuol  vedere, 
Che  dentro  vada,  e  cerchi  come  voglia; 
E  se  v'  ha  cosa  che  gli  sia  in  piacere 
O  per  sé  o  per  gli  amici,  se  la  teglia. 
Diede  il  cavallo  al  servo  suo  a  tenere 
Anselmo,  e  messe  il  pie  dentro  alla  soglia; 
E  per  sale  e  per  camere  condutto. 
Da  basso  e  d'alto  andò  mirando  il  tutto. 
138 

La  forma,  il  sito,  il  ricco  e  bel  lavoro 
Va  contemplando,  e  l'ornamento  regio; 
E  spesso  dice  :  Non  potria  quant'oro 
E  sotto  il  sol  pagare  il  loco  egregio. 
A  questo  gli  risponde  il  brutto  Moro, 
E  dice:  E  questo  ancor  trovali  suo  pregio: 
Se  non  d'oro  o  d'argento,  non  di  meno 
Pagar  lo  può  quel  che  vi  costa  meno. 
139 

E  gli  fa  la  medesima  richiesta 
Ch'avea  già  Adonio  alla  sua  moglie  fatta. 
De  la  brutta  domanda  e  disonesta 


—  8.  a  volo  and.,  andasse  a  volo,  andasse 
in  aria,  per  aria.  È  metafora  venuta  forse, 
nella  nostra  lingua,  dall'idea  di  leg'gerezza. 
Una  cosa  leggera  facilmente  va  in  aria. 

13.J.  1.  nno  Etiopo,  un  moro. 

—  3.  Che  non  vedesse,  di  non  aver  visto. 
V.  e.  I,  38,  n.  6. 

—  6.  D'attristar,  da  attristare  il  Paradiso, 
se  questo  moro  fosse  lassù. 

133.  7.  ad  affermare.  È  iufinito  storico. 

—  8.  non  v'  ha  a  f. ,  non  v'  ha  che  fare  ; 
non  vi  ha  diritto  alcuno. 

i;i7.  8.  Da  basso  e  d'alto;  da  basso  e  da 
alto,  in  alto  e  in  basso.  É  comune  il  modo 
da  basso  per  in  basso  ;  non  cosi  da  alto, 
che  è  foggiato,  per  analogia,  sull'altro. 

138.  6.  pregio,  prezzo. 

139.  3.  De  la  b.  d  ;  per  la  b.  d.  (V.  e.  xili, 
33,  n.  3)  il  giudice  lo  stimò  persona  b.  e 
matta. 


Persona  lo  stimò  bestiale  e  matta. 
Per  tre  repulse  e  quattro  egli  non  resta  ; 
E  tanti  modi  a  persuaderlo  adatta, 
Sempre  offerendo  in  merito  il  palagio, 
Che  fé'  inchinarlo  al  suo  voler  malvagio. 
140  [scesa, 

La  moglie  Argia  che  stava  appresso  a- 
Poi  che  Io  vide  nel  suo  error  caduto. 
Saltò  fuora  gridando:  Ah  degna  cosa 
Ch'  io  veggo  di  Dottor  saggio  tenuto! 
Ti-ovato  in  si  mal'opra  e  viziosa. 
Pensa  se  rosso  far  si  deve  e  muto. 
0  terra,  acciò  ti  si  gittassi  dentro, 
Perché  allor  non  t'apristi  insino  al  centro? 
141 

La  donna  in  suo  discarco,  et  in  vergogna 
D'Anselmo,  il  capo  gì'  intronò  di  gridi, 
Dicendo:  Come  te  punir  bisogna 
Di  quel  che  far  con  si  vii  uom  ti  vidi, 
Se  per  seguir  quel  che  natura  agogna, 
Me,  vinta  a'  prieghi  del  mio  amante,  ucci- 
Ch'era  bello  e  gentile;  e  un  dono  tale  [di? 
Mi  fé',  ch'a  quel  nulla  il  palagio  vale. 
142 

S' io  ti  parvi  esser  degna  d'una  morte. 
Conosci  che  ne  sei  degno  di  cento: 
E  ben  eh'  in  questo  loco  io  sia  si  forte, 
Ch'  io  possa  di  te  fare  il  mio  talento; 
Pure  io  non  vo'  pigliar  di  peggior  sorte 
Altra  vendetta  del  tuo  fallimento. 
Di  par  l'avere  e  '1  dar,  marito,  poni  ; 
Fa,  com'  io  a  te,  che  tu  a  me  ancor  perdoni. 
143 

E  sia  la  pace  e  sia  l'accordo  fatto. 
Ch'ogni  passato  error  vada  in  oblio; 


—  6.  adatta,  adopra.  In  questo  senso, 
che  qui  sembra  il  vero,  manca  nei  vocabol. 

—  7.  in  merito,  in  premio.  Cosi  nel  e.  ii, 
16,  3;  XI,  54,  8. 

140. 3-4.  degna  cosa...  di  D.  Puoi  intendere: 
Ah  !  cosa  degna  di  Dottor  eh'  io  veggo  :  è 
cosa  degna  di  Dottor  s.  tenuto  quello  che 
io  veggo.  Oppure  :  Ah  degna  cosa,  bella 
cosa,  bella  azione  eh'  io  veggo  di  un  dot- 
tor. Insomma  di  un  Doti,  può  dipendere 
anche  da  cosa  invece  che  da  degna. 

142.  5.  di  peggior  sorte.  Puoi  intendere  ; 
non  voglio  prendere  altra  vendetta  di  peg- 
gior sorte,  di  peggior  modo,  che  non  sia 
questa  d'  averti  scoperto,  trovato  in  fallo. 
Ma  non  sarebbe  alieno  dal  fare  dell'Ariosto 
intendere:  del  tuo  fallimento  di  peggior 
sorte.  Tali  strane  inversioni  hai  già  trovato 
nel  e.  xxxni,9,  6;  xxxvii,  95,  8  e  in  questo 
canto  st.  86,  5. 

—  6.  fallimento,  fallo.  Questa  forma,  in 
questo  senso,  fu  molto  usata  dagli  antichi, 
oggi  è  di  raro  uso. 

143.  2-3.  Ch'  ogni  ecc.  Cosi  che  Ogni  ecc. 
e  che  né  in  parole  ecc. 


600 


ORLANDO  FURIOSO 


Né  ch'in  parole  io  possa  mai  né  in  atto 
Ricordarti  il  tuo  error,  né  a  me  tu  il  mio. 
Il  marito  ne  parve  aver  buon  patto, 
Né  dimostrossi  al  perdonar  restio. 
Cosi  a  pace  e  concordia  ritornaro, 
E  sempre  poi  fu  l'uno  all'altro  caro. 
144 

Cosi  disse  il  nocchiero;  e  mosse  a  riso 
Rinaldo  al  fin  de  la  sua  istoria  un  poco; 
E  diventar  gli  fece  a  un  tratto  il  viso, 
Per  l'onta  del  Dottor,  come  di  fuoco. 
Rinaldo  Argia  molto  lodò,  ch'avviso 
Ebbe  d'alzare  a  quello  augello  un  gioco 
Ch'alia  medesma  rete  fé'  cascallo, 
In  che  cadde  ella  ma  con  minor  fallo. 
145 

Poi  che  più  in  alto  il  sole  il  camin  prese 
Fé'  il  Paladino  apparecchiar  la  mensa, 
Ch'avea  la  notte  il  Mantuan  cortese 
Provista  con  larghissima  dispensa. 
Fugge  a  sinistra  intanto  il  bel  paese. 
Et  a  man  destra  la  palude  immensa: 
Viene  e  fuggesi  Argenta  e  '1  suo  girone 
Col  lito  ove  Santerno  il  capo  pone. 


m.  6.  alzare...  un  gioco,  alz.  uno  zim- 
bello; quindi,  fuoi"  di  metafora,  tendere  un 
tranello.  Per  piiiooo  vedi  il  e.  ix,  67,  n.  4. 
Questa  seconda  favola,  detta  dal  N'occhiero, 
deriva  in  parte  dal  racconto  di  Cefalo  e 
Procri  sopra  esposto,  e  in  parte  dalla  sua 
continuazione  fatta  dagli  scrittori  sopra  ci- 
tati alla  st.  41,  is.  Ovidio  aveva  detto  che 
Diana  aveva  accordato  a  Procri  la  sua  pro- 
tezione e  donatole  un  veltro  e  un  dardo 
fatato.  Gli  altri  due  mitografl  continuano 
dicendo  che  Cefalo,  imbattutosi  in  Procri, 
che,  fuggitiva,  andava  a  caccia  vestita  da 
uomo,  s'invaghì  del  cane  e  del  dardo; 
Procri  si  profferse  di  darglieli  se  avesse 
consentito  al  suo  amore.  Cefalo  acconsen- 
te, e  Procri  svela  chi  sia.  In  tal  modo  av- 
viene il  reciproco  perdono  e  la  riconcilia- 
zione. 

1-l.j.  5.  il  bel  paese.  Il  Pomari  nota:  «  Alla 
sinistra  banda  del  Po  infìno  a  Santo  Alberto 
per  20  miglia  lungo  la  riva  si  veggono  molte 
ville  e  contrade  amenissime,  cosa  molto 
vaga  et  dilettevole  a  risguardare.  E  di  que- 
sto bel  paese  l'Ar.  intende  ». 

—  6.  la  palude  immensa.  <  Intende  della 
palude  padusa  chiamata  ...  Questa  essen- 
dosi oggidì  per  la  gran  parte  riseccata  è 
rimasta  con  poca  acqua  »  (Fornari). 

—  7-8.  Argenta  sulla  destra  del  Po  di 
Primaro.  —  girone;  la  cerchia  delle  mura 
del  castello.  V.  e.  xxxvili,  20,  n.  8.  —  San- 
terno, piccolo  fiume,  che  anticamente  sl)OC- 
cava  nel  Po  di  Primaro,  e  oggi,  dopoché 
la  parte  inferiore  di  esso  Po  è  stata  invasa 
dal  Reno,  in  questo  si  getta. 


146 
Allora  la  Bastia,  credo,  non  v'era. 
Di  che  non  troppo  si  vantar  Spagnuoli 
D'avervi  su  tenuta  la  bandiera; 
Ma  pili  da  pianger  n'hannoi  Romagniuoli. 
E  quindi  a  Filo  alla  dritta  riviera 
Cacciano  il  legno,  e  fan  parer  che  voli. 
Lo  volgon  poi  per  una  fossa  morta, 
Ch'a  mezzodì  presso  a  Ravenna  il  porta 

147 
Ben  che  Rinaldo  con  pochi  danari 
Fosse  sovente,  pur  n'avea  si  allora, 
Che  cortesia  ne  fece  a'  marinari. 
Prima  che  li  lasciasse  alla  buon'ora. 
Quindi  mutando  bestie  e  cavallari, 
Arimino  passò  la  sera  ancora; 
Né  in  Montefiore  aspetta  il  matutino, 


146.  1.  la  Bastia,  era  un  forte  presso  il 
canale  Zaniolo.  V.  e.  iii,  54,  1.  E  là  pure 
troverai  il  fatto,  a  cui  qui  si  allude.  E  cfr. 
anche  il  e.  xlii,  3-5. 

—  2.  Spagnuoli,  gli  Spagnuoli.  V.  e.  il, 
15,  n.  8. 

—  4.  Ma  più  da  p.  ecc.  Per  la  disgrazia 
toccata  al  duca  Alfonso,  che,  percosso  da 
una  pietra,  vi  restò  tramortito.  —  Koma- 
gninoli  è  detto  per  Ferraresi  in  ispecie  e  in 
genere  per  tutti  i  sudditi  di  Alfonso. 

—  5.  a  Pilo:  «  Villetta  del  Ferrarese  sulla 
sinistra  del  Po  di  Primaro,  da  sette  miglia 
sotto  ad  Argenta  »  (Barotti).  Esiste  anche 
oggi.  —  alla  dritta  riv.  ;  per  la  dritta  riv.  ; 
per  il  fiume,  che,  dalla  foce  del  Santerno 
a  Filo,  correva  diritto.  È  notevole  che  l'Ar. 
nella  prima  edizione  aveva  scritto  «  Quindi 
a  filo  diritta  la  riviera  Caccia  il  legnet- 
to  ecc.»;  e  in  quella  del  1521:  «E  quindi 
a  filo  alla  dritta  riviera».  Aspettò  dunque 
tanto  l'Ar.  a  sapere  o  a  ricordare  che  esi- 
steva una  villa  di  questo  nome?  Non  sa- 
rebbe possibile  che  la  maiuscola  fosse  una 
correzione  arbitraria  degli  stampatori  e 
che  l'Ar.  non  pensasse  affatto  a  Filo;  ma 
volesse  intendere,  come  nelle  prime  edizio- 
ni, riviera  dritta  a  /Ilo'';  Vedi  tale  espres- 
sione nel  e.  xxxiii,  101,  6;  Cinque  C.  i,  105. 

—  7.  fossa  morta:  «  Chiamasi /'OA'sa  rnor- 
ta  un  ramo  del  Po  fino  a  Ravenna  per  12 
miglia  »  (iMolini).  Oggi  è  interamente  pro- 
sciugata. 

147.  1.  con  pochi  danari.  Rinaldo  nelle  an- 
tiche canzoni  è  sempre  un  signorotto  ri- 
belle, che  si  trova  corto  a  danari  e  per  ciò 
si  dà  a  predare,  non  solo  i  territori  del- 
l'impero, ma  anche  i  passeggeri,  i  merca- 
tanti. V.  Innam.  I,  xxvi,  59;  xxvii,  15. 

—  6.  Arimlno  ecc.  passò  Rimini  ìs.  stessa 
sera:  ancora  in  questo  senso  vedilo  nel 
e.  XX,  101,  7,  XXV,  46,  4,  dove  troverai  la 
nota. 

—  7.  Né   in  Mont.  ecc.  Né  si   ferma  in 


CANTO  XLin 


601 


E  quasi  a  par  col  sol  giunge  in  Urbino. 
148 

Quivi  non  era  Federico  allora, 
Né  rissabetta,  né  '1  buon  Guido  v'era, 
Né  Francesco  Maria,  né  Leonora, 
Che  con  cortese  forza  e  non  altiera 
Avesse  astretto  a  far  seco  dimora 
Si  famoso  guerrier  più  d'una  sera; 
Come  fèr  già  molti  anni,  et  oggi  fanno 
A  donne  e  a  cavallier  che  di  là  vanno. 
149 

Poiché  quivi  allabrigliaalcunnolpren- 
Smonta  Rinaldo  a  Cagli  alla  via  dritta,  [de, 


Pel  monte  che'lMetamo  o  ilGauno  fende, 


Montefiore  (oggi  Monteflorito,  provincia  di 
Forlì  a  circa  18  kl.  a  sud  di  Rimiui),  a  pas- 
sar la  notte,  aspettando  il  mattino. 

148.  1.  Quivi  ecc.  Forse  l'Ar.  fa  fare  a 
Rinaldo  questo  giro  per  Urbino,  lasciando 
la  strada,  se  non  più  breve,  certo  più  co- 
moda e  più  comune,  per  avere  occasione 
di  parlare  dei  principi  d' Urbino.  La  via  più 
comoda  sarebbe  stata  tutta  la  Flaminia  da 
Rimini  in  avanti  :  «  La  corte  d' Urbino  fu 
splendida  per  cultura  e  per  gentilezza,  mas- 
sime ai  tempi  del  duca  Guidobaldo  e  di  Eli- 
sabetta Gonzaga  sua  moglie,  e  quindi  di 
Francesco  Maria  della  Rovere  e  di  Leonora 
Gonzaga,  che  successero  nel  ducato.  Fede- 
rigo, padre  di  Guidobaldo,  avea  edificato  il 
magnifico  palazzo,  che  era  degna  sede  di 
quei  generosi  principi  »  (Casella). 

—  7.  già  molt'  anni,  già  da  molt'anni.  V. 
e.  I,  26,  8;  XXV,  57,  2  ecc. 

149.  1.  alla  briglia  ecc.;  per  invitai'lo  cor- 
tesemente a  discendere. 

—  2.  Smonta  ecc.  Intendo  :  Rinaldo  di- 
scende dai  ynonti  a  Cagli  per  la  via  dritta, 
cioè  per  la  Flaminia,  che  va  dritta  a  Roma. 
Ed  è  detta  dritta  per  rispetto  alla  traversa, 
che  da  Urbino  conduce  alla  Flaminia.  Smon- 
tare per  discendere  da  un'altura  l'abbia- 
mo nel  e.  XIX,  41  :  «  Ne  lo  smontar  giù  da' 
montani  dorsi  ».  Alla  via  nel  senso  di  per 
la  via  vedilo  confermato  dall'esempio  della 
st.  146,  5:  «alla  dritta  riviera»  e  dal  e.  i, 
23,  5  :  «  mettersi  alla  via  ».  Né  parrà  certo 
ardita  l'espressione  via  dritta  per  via  prin- 
cipale 0  maestra  a  chi  abbia  osservato  nella 
precedente  st.  125,  1  e  nella  st.  188,  7,  usato 
camino  in  questo  senso  preciso,  e  in  oppo- 
sizione a  strade  traverse  e  secondarie.  Né 
si  può  intendere  Smonta  per  discende  da 
cavallo,  perché  se  R.  non  si  era  riposato 
neppure  la  notte,  come  si  sarebbe  ora  fer- 
mato a  Caghi  I  cavalieri  dei  romanzi  non 
si  fermano  che  per  determinate  ragioni,  cui 
il  romanziere  avverte  e  spiega  (cfr.  e.  xxvii, 
12).  Inoltre  che  cosa  vorrebbe  dire  smonta 
da  cavallo  alla  via  dritta  ?  La  via  dritta 
Rinaldo  l'aveva  trovata  assai  pi'ima  di  Ca- 


gli: 0  a  Calmazzo,  dove  lasciò  la  via  tra- 
versa e  imboccò  la  Haminia;  o  verso  l'Ac- 
qualagna,  dove  la  Flaminia  cessa  i  ser- 
peggiamenti, che  fa  nelle  gole  del  Furio,  e 
diventa  non  meno  di-itta,  che  da  Cagli  in 
avanti.  Finalmente  se  smonta  a  Cagli  si- 
gnificasse si  ferma  a  Cagli  non  si  capi- 
rebbe come  il  poeta  ritorni  indietro  con 
la  sua  descrizione,  riportandoci  da  Cagli  al 
Furio  nel  v.  seguente.  Dunque  sembra  ne- 
cessario intendere  questo  luogo  nel  modo 
sopra  esposto. 

—  3.  Pel  monte  ecc.  È  il  monte  di  Pietra 
Pertusa,  dove  si  trova,  a  un  certo  punto 
della  via  Flaminia,  una  galleria  scavata  nel 
monte  al  tempo  dell'imperatore  Vespasiano 
per  rendere  più  agevole  il  passo,  e  detta 
il  Furio  (lat.  forulum).  Ma  questo  monte 
non  lo  fende  il  Metauro  né  il  Gauno,  lo 
fende  il  Candigliano  ;  a  cui  il  Metauro,  che 
viene  da  nord-ovest,  si  unisce  al  di  là  del 
Furio,  cioè  a  Calmazzo.  —  Come  dunque 
tanta  confusione  ?  L'Ar.  fece  sicuramente 
in  qualche  suo  viaggio  da  Ferrara  a  Roma 
questo  itinerario,  ma  si  comprende  benis- 
simo come  fra  le  noie  di  un  viaggio  mala- 
gevole, fra  monti  e  gole  e  burroni,  non  ab- 
bia avuto  l'agio  di  ricercare  precisamente 
e  cose  e  nomi.  Ecco  la  storia  verisimile  di 
questa  confusione.  L'Ar.  aveva  letto  in  Clau- 
diano  (autore  a  lui  familiarissimo)  questi 
versi,  che  fan  parte  della  descrizione  del 
viaggio  d'Onorio  a  Roma:  «  Despiciturque 
vagus  praerupta  valle  Metaurus,  Qua  mons 
arte  patens  vivo  se  perforat  arcu  »,  dove 
Claudiano  evidentemente  confonde  il  Me- 
tauro col  Candigliano.  Confusione  prodotta 
in  lui  forse  dalla  vicinanza  dei  due  fiumi 
e  dalla  fuggevole  osservazione  dei  partico- 
lari topografici.  Cosi  l'Ariosto  potè  scrivere 
nella  prima  ediz.,  e  mantenne  nella  secon- 
da :  «  E  dalla  foce  che  'I  Metauro  feude  ecc.  ». 
E  nel  capitolo  I  (anno  1514  o  15),  parlando 
d'una  sua  malattia  che  lo  colse  in  viaggio 
da  Urbino  a  Roma,  forse  a  Pesaro  :  «  qui 
rest'io  dove  Appennino  D'alta  percossa  a- 
perto  mostra  il  fianco  (il  Furio),  Che  per 
agevolar  l'aspro  cammino  Flavio  gli  diede 
in  ripa  l'onda  (il  Metauro)  ch'ebbe  Mal  for- 
tunata un  capitan  Barchino  (Asdrubale  Bar- 
ca) ».  Più  tardi  gli  capitò  fra  mano  il  libro 
del  Cardinale  Adriano  Dei  modi  di  ben  par- 
lare latino,  in  fondo  al  quale  è  aggiunto 
l'itinerario  di  Giulio  II;  e  vi  lesse:  «  Hinc 
(da  Cagli)  ad  Aquas  Lanias  perreximus, 
unde  Metaurus  confusus  Gauno  Fornii 
spectacula  praebet  ».  Qui  pure  la  leggera 
osservazione  o  l'espressione  poco  precisa 
avevano  avvicinato  tanto  l' Acqualagna  (che 


602 


ORLANDO  FURIOSO 


Passa  Apennino,  e  più  non  l'ha  a  man  ritta; 
Passa  gli  Ombri  e  gli  Etrusci,  e  a  Roma 

[scende; 
Da  Roma  ad  Ostia;  e  quindi  si  tragitta 
Per  mare  alla  cittade,  a  cui  commise 
Il  pietoso  figliuol  l'ossa  d'Anchise. 
150 
Muta  ivi  legno,  e  verso  l' isoletta 
Di  Lipadusa  fa  ratto  levarsi; 
Quella  che  fu  dai  combattenti  eletta, 


è  di  qua  dal  Furio),  il  Furio  stesso,  e  il 
confluente  del  Metauro  e  del  Candigliano, 
da  produrre  nel  lettore  una  vera  confusio- 
ne. E  l'Ar.  di  fatto  sembra  che  si  confon- 
desse :  —  dunque  non  era  il  Metauro  che 
fendeva  il  Furio;  ma  il  Metauro  confusus 
Gauno  :  —  e  corresse  «  il  Metauro  o  il  Gau- 
no  »,  lasciando  trasparire  in  queir  o  tutta  la 
sua  incertezza.  —  Ma  che  cos'  è  questo  Gau- 
no? Non  si  legge  tal  nome  che  nel  libro  del- 
l'Adriano e  nel  Furioso.  Dunque  è  chiaro 
che  la  fonte  dell'errore  Ariostesco  è  stata 
quell'itinerario.  E  là  forse  fu  scritto  Gauno, 
perché  l'autore,  in  qualche  descrizione  di 
quei  luoghi,  trovò  Candigliano  abbreviato 
in  Canaio  e,  come  avviene  spesso  nella  let- 
tura dei  nomi  non  chiaramente  scritti,  lesse 
Gauno  e  cosi  scrisse. 

—  4.  Passa  Ap.  Pel  monte  del  Furio,  che 
è  uno  spi'oue  dell'Appennino,  non  si  passa 
l'Appennino  ;  il  quale,  varcato  il  Furio,  ri- 
mane per  ciò  sempre  a  destra.  Credo  che 
l'Ar.  pensasse  veramente  che  l'App.  si  pas- 
sasse al  Furio,  perché  il  colle  della  Scheg- 
gia, dove  è  il  vero  passo,  è  cosi  dolce  e 
pianeggiante  che  non  dà  l'impressione  di 
passar  l'Appennino.  Potrebbe  nascer  l'idea 
di  far  punto  a  fende  e  intendere:  smonta 
a  Cagli  pel  monte,  che  ecc.  ;  ma  a  ciò  si 
oppone  la  punteggiatura  dell' ediz.  del  1532, 
che  è  confermata  dalle  altre  edizioni,  le 
quali  leggevano  :  «  E  da  la  foce  che  '1  Me- 
tauro fende  Passa  App.  ».  Né  credo  possi- 
bile intendei'e  :  passa  il  monte  del  Furio  e 
quindi  l'App.  ;  perché  le  due  lezioni  «  pel 
monte...  passa  App.  »  «E  dalla  foce...  passa 
App.  »  dicono  chiaro  che,  per  il  Poeta,  il 
passo  dell'  App.  è  pel  monte  o  dalla  foce 
del  Furio. 

—  5.  Ombri,  Umbri.  —  scende.  Non  inten- 
dere che  scenda  da  cavallo,  ma  che  dalla 
parte  più  alta  dell'  Italia  passa  a  Roma,  che 
rimane  più  giù  dell'Umbria  e  dell'Etruria. 

—  7.  allB  cittade  ecc.  Trapani  in  Sicilia, 
dove  mori  Anchise  e  dove  dal  figlio  Enea 
fu  sepolto.  En.  lib.  3  in  fine. 

150.  1-2.  verso  Pia.  ecc.  Si  fa  levare  da 
Trapani  per  andare  verso  l'isol.  È  una 
brachilogia  come  quelle  dei  e.  iii,  16,  2; 
18,  5;  XVII,  115,  2  ecc. 


Et  ove  già  stati  erano  a  trovarsi. 
Insta  Rinaldo,  e  gli  nocchieri  affretta, 
Ch'a  vela  e  a  remi  fan  ciò  che  può  farsi; 
Ma  i  venti  avversi,  e  per  lui  mal  gagliardi, 
Lo  fecer,  ma  di  poco,  arrivar  tardi. 
151 

Giunse  ch'a  punto  il  Principe  d'Anglan- 
Fatta  avea  l'utile  opra  e  gloriosa:        [te 
Avea  Gradasso  ucciso,  et  Agramante, 
Ma  con  dura  vittoria  e  sanguinosa. 
Morto  n'era  il  figliuol  di  Monodantc;    , 
E  di  grave  percossa  e  perigliosa 
Stava  Olivier  languendo  in  su  l'arena, 
E  del  pie  guasto  avea  martire  e  pena. 
152 

Tener  non  potè  il  Conte  asciutto  il  viso. 
Quando  abbracciò  Rinaldo,  e  che  narrolli 
Che  gli  era  stato  Brandimarte  ucciso, 
Che  tanta  fede  e  tanto  amor  portoUi. 
Né  men  Rinaldo,  quando  si  diviso 
Vide  il  capo  all'amico,  ebbe  occhi  molli: 
Poi  quindi  ad  abbracciar  si  fu  condotto 
Olivier  che  sedea  col  piede  rotto. 
153 

La  consolazion  che  seppe,  tutta 
Die  lor,  benché  per  sé  tór  non  la  possa; 
Che  giunto  si  vedea  quivi  alle  frutta, 
Anzi  poi  che  la  mensa  era  rimossa. 
Andaro  i  servi  alla  città  distrutta, 
E  di  Gradasso  e  d' Agramante  l'ossa 
Ne  le  mine  ascoser  di  Biserta, 
E  quivi  divulgar  la  cosa  certa. 
154 

De  la  vittoria  ch'avea  avuto  Orlando, 
S'allegrò  Astolfo  e  Sansonetto  molto; 
Non  si  però,  come  avrian  fatto,  quando 
Non  fosse  a  Brandimarte  il  lume  tolto. 
Sentir  lui  morto  il  gaudio  va  scemando 
Si,  che  non  ponno  asserenare  il  volto. 
Or  chi  sarà  di  lor,  ch'annunzio  voglia 
A  Fiordiligi  dar  di  si  gran  doglia? 
155 

La  notte  che  precesse  a  questo  giorno, 
Fiordiligi  sognò  che  quella  vesta 


—  4.  trovarsi,  scontrarsi  in  combattimen- 
to. Cosi  nel  e.  XLVi,  115,  6.  È  dunque  un 
modo  un  po'  lungo  per  dire  :  ove  si  erano 
già  azzuffati. 

I       —  7.  mal  g.  ;   in  suo  danno  gag.  Come 
[  Dante,  Jnf.  27,  75  :  «  l'umor  che  mal  conver- 

:te». 

i       153.  2.  e  che  ;  e  quando.  V.  e.  iv,  60,  n.  5. 

—  7.  quindi,  di  qui  andò  dov'era  Oliv. 

'  153.  3.  alle  frutta;  «a  cosa  già  termi- 
nata. Metafora  molto  nota  ed  usata»  (Bar.). 

j  154.  8.  doglia,  cosa  dolorosa.  Nessun  vo- 
cabolario registra  questo  significato,  che  è 
sfuggito  anche  alla  N.  Crusca. 

'       155.  1.  precesse;  precedette  (lat.  praeces- 

i  sit).  Questa  terminaz.,  clie  si  trova  anche 


CANTO  XLTII 


603 


Che,  per  mandarne  Brandiraarte  adorno, 
Avea  trapunta  e  di  sua  man  contesta, 
Vedea  per  mezzo  sparsa  e  d'ogn'intorno 
Di  goccie  rosse,  a  guisa  di  tempesta: 
Parca  che  dì  sua  man  cosi  l'avesse 
Kiccamata  ella,  e  poi  se  ne  dogliesse. 
15G 

E  parea  dir:  Pur  hammi  il  Signor  mio 
Commesso  eh'  io  la  faccia  tutta  nera: 
Or  perché  dunque  riccamata  holl'  io 
Contra  sua  voglia  in  si  strana  maniera? 
Di  questo  sogno  te'  giudicio  rio; 
Poi  la  novella  giunse  quella  sera: 
Ma  tanto  Astolfo  ascosa  le  la  tenne, 
Ch'a  lei  con  Sansonetto  se  ne  venne. 
157 

Tosto  ch'entraro,  e  ch'ella  loro  il  viso 
Vide  di  gaudio  in  tal  vittoria  privo; 
Senz'altro  annunzio  sa,  senz'altro  avviso, 
Che  Brandimarte  suo  non  è  più  vivo. 
Di  ciò  le  resta  il  cor  cosi  conquiso, 
E  cosi  gli  occhi  hanno  la  luce  a  schivo, 
E  cosi  ogn'altro  senso  se  le  serra. 
Che  come  morta  andar  si  lascia  in  terra. 
158 

Al  tornar  de  lo  spirto,  ella  alle  chiome 
Caccia  le  mani;  et  alle  belle  gote, 
Indarno  ripetendo  il  caro  nome. 
Fa  danno  et  onta  più  che  far  lor  pnote. 
Straccia  i  capelli  e  sparge;  e  grida,  come 
Donna  talor,  che  '1  demon  rio  percuote, 

nel  e.  xiv,  68,  1,  e  nel  semplice  alla  st.  S2 
di  questo  cauto,  è  più  usata  nei  composti 
succedere  e  concedere. 

—  4.  contesta.  Qui  credo  signilichi  fatta. 
Sebbene  l'Ar.  nel  e.  xxii,  62,  4,  l'usi  per 
ricamata;  qui  tale  idea  ral)l)iamo  troppo 
chiara  e  troppo  vicina  in  traiìunta.  Po- 
trebbe anche  significare  tessuta  o  messa 
insieme  nelle  sue  2mrti.  Scelga  il  let- 
tore. 

—  6.  a  guisa  di  tempesta,  a  guisa  di  chic- 
chi di   grandine.   Tempesta  per  grandine 

•  dicono  eh' è  voce  dei  dialetti  Lombardi  ;  ma 
intanto  l'usò  anche  il  Vasari,  Fì^é',  42,  98: 
«  La  tempesta  gli  avea  tolto  il  vino  e  le 
frutte  ».  Si  potrebbe  anche  interpretare  per 
pioggia  tempestosa,  intendendo  quella  piog- 
gia rossa  che  qualche  volta  cade  nei  grandi 
temporali.  Nel  primo  modo  la  comparazione 
si  riferirebbe  alla  forma  delle  gocce,  nel 
secondo  alla  forma  e  al  coloi'e.  Ma  consi- 
derando che  il  fenomeno  della  pioggia  rossa 
è  cosi  raro,  che  r.\r.  avrebbe  dovuto  du- 
bitare d'esser  facilmente  franteso,  propendo 
per  la  prima  interpretaz. 

—  8.  Riccamata.  V.  e.  xxxix,  17,  n.  8. 
lòfi.  7-8.  tanto...   che;    fintanto   che:   e. 

XXXIV,  4,  n.  3. 

15S.  6.  che  '1  d.  r.  percuote;  una  donna 
indemoniata. 


0  come  s'ode  che  già  a  snon  di  corao 
Mènade  corse,  et  aggirossi  intorno. 
159 

Orquestocrquel  pregando  va,  che  porti 
Le  sia  un  colte!,  si  che  nel  cor  si  fera; 
Or  correr  vuol  là  dove  il  legno  in  porto 
Dei  duo  Signor  defunti  arrivato  era, 
E  de  l'uno  e  de  l'altro  cosi  morto 
Far  crudo  strazio  e  vendetta  aera  e  fiera: 
Or  vuol  passare  il  mare,  e  cercar  tanto 
Che  possa  al  suo  Signor  morire  a  canto. 
160 

Deh,  perché,  Brandimarte,  ti  lasciai 
Senza  me  andare  a  tanta  impresa?  (disse) 
Vedendoti  partir,  non  fu  più  mai 
Che  Fiordiligi  tua  non  ti  seguisse. 
T'avrei  giovato,  s' io  veniva,  assai, 
Ch'avrei  tenute  in  te  le  luci  fìsse; 
E  se  Gradasso  avessi  dietro  avuto, 
Con  un  sol  grido  io  t'avrei  dato  ainto; 
161 

O  forse  esser  potrei  stata  si  presta, 
Ch'entrando  in  mezzo,  il  colpo  t'avrei  tol- 
Fatto  scudo  t'avrei  con  la  mia  testa;  [to  ; 
Che,  morendo  io,  non  era  il  danno  molto. 
Ogni  modo  io  morrò;  né  tìa  di  questa 
Dolente  morte  alcun  profitto  colto; 


—  S.  Menade,  la  Men.;  le  Menadi.  È  nome 
che  davasi  alle  Baccanti  dal  loro  infuriare 
(gr.  mainomai;  infurio)  nelle  orgie,  dove 
facevano  grande  strepito  non  solo  con  corni, 
ma  con  diverse  specie  d'istrumeuti,  tim- 
pani, cetre,  tibie:  Ovid.  Metam.  xi,  16-17. 
Pare,  giustamente,  al  Raina,  che  questa  pit- 
tura, un  po'  grossolana  e  convenzionale, 
stuoni  con  la  squisita  finezza  del  resto. 

IdO.  3.  non  fu  pili  mai,  non  accadde  mai 
altra  volta.  Dante,  Piirg.  14,  15  :  «  Quanto 
vuol  cosa,  che  non  fu  più  mai  ». 

—  7.  E  se  Gradasso  ecc.  Fiordiligi  seppe 
della  morte  di  Agramante  e  Gradasso,  per- 
ché i  servi  «  quivi  divulgar  la  cosa  certa  » 
(st.  153)  ;  non  potè  pensare  che  ciò  fosse 
costato  la  vita  a  Brandimarte,  eh'  essa  cre- 
deva troppo  forte;  ma  quando  seppe  che 
era  stato  ucciso,  dove  pensare  a  Gradasso, 
che  era,  dopo  Rodomonte,  il  più  forte  Sa- 
racino, certo  il  più  forte  dei  tre  campioni, 
e,  secondo  lei,  il  solo  capace  di  resistere 
e  d'affrontar  Brandimarte,  non  di  vincerlo  : 
e  se  lo  vinse  dovette  coglierlo  alle  spalle 
(dietro),  alla  sprovvista.  Cosi,  benissimo, 
spiega  il  Barotti  e  dà  ragione  di  quelle  ap- 
parenti difficoltà,  che  il  Lavezuola,  e  altri 
dopo  lui,  vedevano  in  questo  luogo. 

ICl.  5.  Ogni  modo  ;  in  ogni  m.  Cosi  nel 
e-  XLiv,  73  e  XLV,  89.  È  il  lat.  omni  modo. 
Io  morrò  in  ogni  modo  senza  dar  vantag- 
gio a  nessuno;  meglio  era  morire,  dando 
salvezza  a  te.  Di  questa  maniera  avverbale 


604 


ORLANDO  FURIOSO 


Che,  quando  io  fossi  morta  in  tua  difesa, 
Non  potrei  meglio  aver  la  vita  spesa. 
162 

Se  pur  ad  aiutarti  i  duri  fati 
Avessi  avuti  e  tutto  il  cielo  avverso, 
Gli  ultimi  baci  almeno  io  t'avrei  dati, 
Almen  t'avrei  di  pianto  il  viso  asperso; 
E  prima  che  con  gli  Angeli  beati 
Fossi  lo  spirto  al  suo  fattor  converso,  [ta; 
Detto  gli  avrei:  Va'  in  pace,  e  là  m'aspet- 
Ch'ovunque  sei,  son  per  seguirti  in  fretta. 
163 

E  questo,  Brandimarte,  è  questo  il  re- 
Di  che  pigliar  lo  scettro  ora  dovevi?  [guo 
Or  cosi  teco  a  Dammogire  io  vegno? 
Cosi  nel  real  seggio  mi  ricevi? 
Ah  Fortuna  criidel,  quanto  disegno 
Mi  rompi!  oh  che  speranze  oggi  mi  levi! 
Deh,  che  cesso  io,  poi  c'ho  perduto  questo 
Tanto  mio  ben,  eh'  io  non  perdo  anco  il 
164  [resto  ? 

Questo  et  altro  dicendo,  in  lei  risorse 
Il  furor  con  tanto  impeto  e  la  rabbia, 
Ch'a  stracciare  il  bel  crin  di  nuovo  corse, 
Come  il  bel  crin  tutta  la  colpa  n'abbia. 
Le  mani  insieme  si  percosse  e  morse; 
Nel  sen  si  cacciò  l'ugne  e  ne  le  labbia. 
Ma  torno  a  Orlando  et  a'  compagni,  in  tanto 
Ch'ella  si  strugge  e  si  consuma  in  pianto. 
165 

Orlando,  col  cognato  che  non  poco 
Bisogno  avea  di  medico  e  di  cura,    -' 
Et  altretanto,  perché  in  degno  loco 
Avesse  Brandimarte  sepultura. 
Verso  il  monte  ne  va  che  fa  col  fuoco 
Chiara  la  notte,  e  il  di  di  fumo  oscura. 
Hanno  propizio  il  vento,  e  a  destra  mano 
Non  è  quel  lito  lor  molto  lontano. 


non  si  citano  che  questi  tre  esempi  dell'A- 
riosto. 

—  7.  che.  Ha  spiccatissimo  significato  av- 
versativo: ma,  mentre.  E  non  credo  che  si 
citi  per  tal  significato,  esempio  cosi  chiaro 
come  sarebbe  stato  questo. 

16-2.  6.  fossi,  fosse.  V.  e.  x,  31,  n.  6. 
16.3.  3.  Dammogire.  La  capitale  del  regno 
di  Monodante.  V.  e.  xxxix,  62. 

—  7.  che  cesso,  che  tardo.  È  il  lat.  cesso, 
indugio.  Nel  e.  xlv,  91,  si  usa  con  l'infin. 
dipendente  :  cesso  di  volgere.  Si  cita  sola- 
mente l'Ar. 

165.  1.  col  cognato,  Oliviero  fratello  di 
Alda. 

—  3.  altretanto,  anche,  inoltre,  di  più.  È 
simile,  ma  non  eguale  a  quello  del  e.  xm, 
80,  4.  E  la  N.  Crusca  a  torto  li  confonde  : 
qui  vale  inoltre,  anche;  là  vale  nello  stesso 
modo.  Non  si  cita  che  l'Ar. 

—  5.  il  monte  ecc.,  l'Etna.  Vuol  dire: 
verso  la  Sicilia, 


166 

Con  fresco  vento  ch'in  favor  veniva, 
Sciolser  la  fune  al  declinar  del  giorno, 
Mostrando  lor  la  taciturna  Diva 
La  dritta  via  col  luminoso  corno; 
E  sorser  l'altro  di  sopra  la  riva 
Ch'amena  giace  ad  Agringento  intorno. 
Quivi  Orlando  ordinò  per  l'altra  sera 
Ciò  ch'a  funeral  pompa  bisogno  era. 
167 

Poi  che  l'ordine  suo  vide  esequito, 
Essendo  omai  del  sole  il  lume  spento, 
Fra  molta  nobiltà  ch'era  allo  'nvito 
De'  luoghi  intorno  corsa  in  Agringento, 
D'accesi  torchi  tutto  ardendo  '1  lito, 
E  di  grida  sonando  e  di  lamento, 
Tornò  Orlando  ove  il  corpo  fu  lasciato, 
Che  vivo  e  morto  avea  con  fede  amato. 
168 

Quivi  Bardin  di  soma  d'anni  grave 
Stava  piangendo  alla  bara  funebre, 
Che  pel  gran  pianto  ch'avea  fatto  in  nave, 
Dovria  gli  occhi  aver  pianti  e  le  palpebre. 


166.  5.  sorser,  gettarou  l'ancore  presso 
la  riva  di  Ag.  (Girgenti).  V.  e.  iv,  51,  n.  5. 

168.  1.  Quivi  Bardin  ecc.  In  tutta  questa 
descrizione  dei  funerali  di  Brandim.  vi  sono 
ricordi  frequenti  dei  funerali  di  Fallante 
fatti  da  Enea.  Bardino  che  piange  e  si 
strappa  le  chiome  e  si  graffia  il  volto  è  si- 
mile ad  Acete,  il  vecchio  servo  e  compagno 
di  Fallante,  «  Fectora  nunc  foedans  pugnis, 
nuuc  unguibus  ora  »  ;  il  popolo  che  piange 
alla  venuta  d'Orlando  ricorda  il  luogo  di 
Virgilio  «  Ut  vero  Aeneas  foribus  sese  in- 
tulit  altis  Ingentera  gemitum  tunsis  ad  si- 
dera  tollunt  Pectoribus  maestoque  immugit 
regia  luctu  ».  Enea  pensa  al  gi'an  dolore 
del  padre  Evandro,  come  Orlando  al  dolore 
di  Fiordiligi;  dinanzi  al  feretro  di  Fallante 
si  portano  i  cavalli  e  le  armi  «  quibus  spo- 
liaverat  hostem  »  e  sotto  ciascun  trofeo  è, 
come  qui,  il  nome  dei  nemici  vinti.  Il  For- 
nari  dice  che  l'Ar.  volle  ritrarre  in  questa 
descrizione  i  funerali  del  Cardinale  Ippolito 
d'Este  ;  ma  quando  il  Foeta  li  descriveva 
il  cardinale  era  ancora  vivente.  Il  Casella 
crede  che  il  Fornari  volesse  invece  parlare 
dei  funerali  di  Ercole  I;  e  forse  alcuni  par- 
ticolari (i  cento  paggi,  la  descrizione  della 
coltrice  ecc.)  l'Ar.  li  avrà  tolti  da  quello  e 
da  altri  solenni  funerali,  che  avrà  vera- 
mente osservato. 

—  3.  Che.  È  relativo  di  Bardin. 

—  4.  gli  occhi  av.  p.  ;  Pianger  gli  occhi, 
lavorar  le  braccia,  sono  espressioni  enfa- 
tiche, ancor  vive,  che  valgono  :  piangere 
lino  ad  averne  consunti  gli  occhi,  lavorare 
fino  ad  averne  finite  le  bi*accia. 


CANTO  XLIII 


605 


Chiamando  il  ciel  crudel,  le  stelle  prave, 
Raggia  come  un  leon  ch'abbia  la  febre. 
Le  mani  erano  in  tanto  empie  e  ribelle 
Ai  crin  canuti  e  alla  rugosa  pelle. 
169 

Levossi,  al  ritornar  del  Paladino, 
Maggiore  il  grido,eraddoppios8iilpianto. 
Orlando,  fatto  al  corpo  più  vicino, 
Senza  parlar  stette  a  mirarlo  alquanto. 
Pallido,  come  colto  al  matutino 
È  da  sera  il  ligustro  o  il  molle  acanto; 
E  dopo  un  gran  sospir,  tenendo  fisse 
Sempre  le  luci  in  lui,  cosi  gli  disse  : 
170 

0  forte,  0  caro,  o  mio  fedel  compagno, 
Che  qui  sei  morto,  e  so  che  vivi  in  cielo, 
E  d'una  vita  v'  hai  fatto  guadagno, 
Che  non  ti  può  mai  tòr  caldo  né  gielo; 
Perdonami,  se  ben  vedi  eh'  io  piagno; 
Perché  d'esser  rimase  mi  querelo, 
E  ch'a  tanta  letizia  io  non  son  teco; 
Non  già  perché  qua  giù  tu  non  sia  meco. 
171 

Solo  senza  te  son;  né  cosa  in  terra 
Senza  te  posso  aver  più,  che  mi  piaccia. 
Se  teco  era  in  tempesta  e  teco  in  guerra. 
Perché  non  anco  in  ozio  et  in  bonaccia? 
Ben  grande  è  '1  mio  fallir, poi  che  mi  serra 
Di  questo  fango  uscir  per  la  tua  traccia. 
Se  negli  affanni  teco  fui,  perch'ora 
Non  sono  a  parte  del  guadagno  ancora? 
172 

Tu  guadagnato  e  perdita  ho  fatto  io: 
Sol  tu  all'acquisto,  io  non  son  solo  al  danno. 
Partecipe  fatto  è  del  dolor  mio 


—  5.  le  stelle  :  che  si  credeva  agissero 
sui  destini  umani. 

—  7.  ribelle,  ribelli.  V.  e.  ix,  84,  n.  1. 

169.  6.  da  sera,  a  sera.  Da  matt.  e  da 
sera  sono  le  due  espressioni  di  tempo,  che 
sono  ancora  vive  nell'  uso.  Non  cosi  altre 
usate  dall' Ar.  :  da  primavera,  da  mezza- 
notte ecc. 

170.  4.  Che  non  ti  p.  ecc.  ;  che  non  posso- 
no toglierti  le  vicende  di  questa  vita.  Come 
altrove  il  P.  ha  descritto  la  terra  come  il 
luogo  «  dove  può  il  caldo  e  il  gielo  »  (ni, 
51),  cosi  qui  descrive  con  questi  due  estre- 
mi, che  si  avvicendano,  le  varie  vicende 
della  vita  terrena. 

—  5-6.  se  ben  vedi  ecc.  ;  perdonami  seb- 
bene io  pianga  (e  quindi  commetta  un'  in- 
giustizia contro  di  te,  che  morendo  hai  tro- 
vato la  vita);  perdonami;  perché  io  mi  la- 
mento   non  già...  ma  perché  son  rimaso. 

171.  5-6.  Mi  serra...  uscir;  il  mio  fallire 
mi  serra  l'uscir,  l'uscita  del  fango  di  que- 
sta vita,  dietro  la  tua  traccia. 

172.  3.  fatto  è.  Per  la  sconcordanza  cfr. 
e.  V,  58,  n.  5. 


L' Italia,  il  regno  Franco  e  l' Alemanno. 
Oh  quanto,  quanto  il  mio  Signore  e  Zio, 
Oh  quanto  i  Paladin  da  doler  s'  hanno! 
Quanto  l'Imperio  e  la  Cristiana  Chiesa, 
Che  perduto  han  la  sua  maggior  difesa! 
173 

Oh  quanto  si  terrà  per  la  tua  morte 
Di  terrore  a  nimici  e  di  spavento! 
Oh  quanto  Pagania  sarà  più  forte! 
Quanto  animo  n'avrà,  quanto  ardimento! 
Oh  come  star  ne  dee  la  tua  consorte! 
Sin  qui  ne  veggo  il  pianto,  e  '1  grido  sento. 
So  che  m'accusa,  e  forse  odio  mi  porta, 
Che  per  me  teco  ogni  sua  speme  è  morta: 
174 

Ma,  Fiordiligi,  al  raen  resti  un  conforto 
A  noi  che  siàn  di  Brandimarte  privi; 
Ch'  invidiar  lui  con  tanta  gloria  morto 
Denno  tutti  i  guerrier  ch'oggi  son  vivi. 
Quei  Decii,  e  quel  nel  Roman  foro  absorto, 
Quel  si  lodato  Cedro  da  gli  Argivi, 
Non  con  più  altrui  profitto  e  più  suo  onore 
A  morte  si  donar,  del  tuo  Signore. 
17.') 

Queste  parole  et  altre  dicea  Orlando. 
In  tanto  i  bigi,  i  bianchi,  1  neri  frati, 
E  tutti  gli  altri  chierci  seguitando 
Andavan  con  lungo  ordine  accoppiati, 


173.  2.  a  nimici,  ai  nemici.  V.  e.  ir,  15, 
n.  8. 

174.  3.  Che.  È  congiunz.  dichiarativa  di 
conforto. 

—  5.  Quei  Decii.  «  Tre  consoli  di  questo 
nome  si  sacrilicarono  per  la  patria:  il  pa- 
dre nella  battaglia  coi  Latini  presso  il  Ve- 
suvio (340  a.  C);  il  figlio  presso  Sentino 
nella  guerra  con  gli  Etruschi  (295),  il  ni- 
pote presso  Ascoli  Satinano  nella  guerra 
con  Pirro  (297)  .  (Romizi).  —  quel  nel  R.  f. 
abs.  M.  Curzio,  che  armato  e  a  cavallo  si 
precipitò  nella  voragine,  che  si  era  aperta 
nel  Foro,  per  placare  gli  Dei  irati  contro 
Roma  (356  a.  C).  —  absorto,  assorbito.  V. 
e.  XIV,  6,  n.  5. 

—  6.  Cedro,  ultimo  re  d'Atene,  cercò  di 
farsi  uccidere  dai  nemici  Spartani,  perché 
l'oracolo  Delfico  avea  predetta  la  vittoria 
a  quel  popolo,  il  cui  capo  fosse  stato  uc- 
ciso. 

175.  3-4.  seguitando  andavan.  Veramente 
parrebbe  significasse  andavano  sfilando. 
Di  questo  significato  però  non  trovo  esem- 
pio. Quindi  o  deve  ritenersi  un  uso  spe- 
ciale deirAriosto;  o  forse  meglio  inten- 
derai: mentre  Orlando  diceva  queste  pa- 
role, i  frati  e  tutti  gli  altri  chierci  an- 
davano a  disporsi  in  fila  lunga  e  doppia 
gli  uni  di  seguito  agli  altri  —  Petrarca, 
Canz.  «  Spirto  gentil  »  v.  60:  «  E  i  neri  fra- 
ticelli e  i  bigi  e  i  bianchi  ». 


606 


ORLANDO  FURIOSO 


Per  l'alma  del  defunto  Dio  piegaudo, 
Che  gli  donasse  requie  tra'  beati. 
Lumi  inanzi  e  per  mezzo  e  d'ognintorno, 
Mutata  aver  parean  la  notte  in  giorno. 
176 

Levan  la  bara,  et  a  portarla  foro 
Messi  a  vicenda  Conti  e  Cavallieri. 
Purpurea  seta  la  copria,  che  d'oro 
E  di  gran  perle  avea  compassi  altieri: 
Di  non  men  bello  e  signoril  lavoro 
Avean  gemmati  e  splendidi  origlieri; 
E  giacca  quivi  il  cavallier  con  vesta 
Di  color  pare,  e  d'un  Javor  contesta. 
177 

Trecento  agli  altri  eran  passati  inanti, 
De'  più  poveri  tolti  de  la  terra, 
Parimente  vestiti  tutti  quanti 
Di  panni  negri  e  lunghi  sin  a  terra. 
Cento  paggi  seguian  sopra  altretanti 
Grossi  cavalli  e  tutti  buoni  a  guerra; 
E  i  cavalli  coi  paggi  ivano  il  suolo 
Radendo  col  lor  abito  di  duolo. 
178 

Molte  bandiere  inanzi  e  molte  dietro, 
Che  di  diverse  insegne  eran  dipinte. 
Spiegate  accompagnavano  il  feretro; 
Le  quai  già  tolte  a  mille  schiere  vinte, 
E  guadagnate  a  Cesare  et  a  Pietro 
Avean  le  forze  ch'or  giaceano  estinte. 
Scudi  v'erano  molti,  che  di  degni 
Guerrieri,  a  chi  fur  tolti,  aveano  i  segni. 


—  7.  inanzi  e  p.  m.  e  d'o.  int.  ;  sulla  fronte 
del  corteo  funebre,  nel  mezzo  e  ai  lati  d'o- 
gni intorno. 

176.  2.  a  vicenda.  Xon  intendere  che  l'av- 
vicendamento  fosse  tra  conti  e  cavalieri, 
ma  che  conti  e  cavalieri  insieme  si  doves- 
sero dare  il  cambio,  per  alleggerirsi  la  fa- 
tica. 

—  i.  compassi.  Propriamente  è  uno  stru- 
mento noto  da  prender  misure  e  far  circoli. 
Quindi  si  dissero  compassi  in  arcliitettura 
certi  spazi  tondi,  come  occhi  o  altro  per 
dar  luce  o  per  porvi  ornamenti:  questo  si- 
gnificato fu  poi  trasferito  anclie  nell'  arte 
del  ricamo.  Boccaccio,  Nov.  99:  «E  fecevi 
por  sopra  una  coltre  lavorata  a  certi  com- 
passi di  perle  grossissime...  e  due  guanciali 
quali  a  cosi  fatto  letto  si  richiedeano  ».  — 
altieri,  splendidi,  di  gran  bellezza.  Cosi  nel 
e.  xn,  8,  2  «  palazzo  altiero  »;  vedi  la  nota. 

—  0.  Avean;  vi^erano.  Cosi  arere,  senza 
la  particella  vi,  nel  e.  xl,  41,  2;  e  e.  xlv, 
4J,  3,  dove  troverai  la  nota. 

—  8.  pare,  pari.  —  d'un  lavor,  d'uno  stes- 
so lavoro  ricamata. 

178.  8.  aveano  i  segni;  avevano  le  inse- 
gne. C.  XXIV,  18:  «che  ne  lo  scudo  il  se- 
gno antico  vide  dipinto  di  sua  stirpe  al- 
tiera ».  Come  si  trovavano  qui  le  molte  e 


179 

Venian  cento  e  cent'altri  a  diversi  usi 
De  l'esequie  ordinati;  et  avean  questi, 
Come  anco  il  resto,  accesi  torchi;  e  chiusi, 
Pili  che  vestiti,  eran  di  nere  vesti. 
Poi  seguia  Orlando,  e  ad  or  ad  or  suffusi 
Di  lacrime  avea  gli  occhi  e  rossi  e  mesti; 
Né  pili  lieto  di  lui  Rinaldo  venne: 
Il  pie  Olivier,  che  rotto  avea,  ritenne. 
180 

Lungo  sarà  s' io  vi  vo'  dire  in  versi 
Le  cerimonie,  e  raccontarvi  tutti 
I  dispensati  manti  oscuri  e  persi. 
Gli  accesi  torchi  che  vi  furon  strutti. 
Quindi  alla  chiesa  cattedral  conversi, 
Dovunque  andar,  non  lasciaro  occhi  a- 

(sciutti  : 
Si  bel,  si  buon,  si  giovene  a  pietade 
Mosse  ogni  sesso,  ogni  ordine,  ogni  etade. 
181 

Fu  posto  in  chiesa;  epoichedaledoune 
Di  lacrime  e  di  pianti  inutil  opra, 
E  che  dai  sacerdoti  ebbe  eleisonne 


molte  bandiere  e  l'armi  tolte  da  Brandi- 
marte  a  mille  schiere  nemiche?  Nei  ro- 
manzi cavallereschi  non  possiamo  chieder 
conto  di  simili  particolari:  i  cavalieri  cam- 
minano notte  e  giorno  senza  mangiare  e 
senza  dormire;  hanno  i  danari  a  loro  vo- 
lontà, cavalli,  armi  e  servi  quanti  al  mo- 
mento occorrono.  Siamo  insomma  in  un 
mondo  fantastico,  dove  il  verosimile  si  ac- 
compagna sempre  al  maraviglioso. 

180.  3.  persi.  V.  e.  xi,  11,  u.  1. 

—  7.  SI  bel  ecc.  Sottintendi:  nomo,  guer- 
riero o  simile. 

181.  1-2.  da  le  donne.  Il  parlare  di  questa 
inutil  opra  di  sole  donne  dopo  aver  detto 
nella  st.  precedente,  che  tutti  piangevano  ; 
e  l'unire  quest' oi^ra  alle  altre  cerimonie 
rituali  dà  la  certezza  che  qui  si  tratta  di 
donne  prezzolate.  E  vengono  in  conferma 
di  questa  opinione  i  costumi  del  tempo.  U 
Muratori  (Anticìtitàltal.  dissert.  23)  e  il  Du 
Gange  sotto  cantatrices  dimostrano  l'uso 
di  queste  donne  nei  funerali  cristiani  du- 
rante tutto  il  Medio  evo.  Erano  dette  can- 
tatrices, lameìitatrices,  computatrices,  ed 
erano  uno  strascico  delle  antiche  prefiche. 
Il  Muratori  cita  a  conferma  gli  statuti  di 
Modena,  Reggio,  Ferrara,  Milano,  che  nel 
secolo  XIII  proibivano  questo  costume.  11 
quale  dura  anch'oggi  in  alcuni  luoghi,  spe- 
cialmente della  bassa  Italia.  E  l'Ariosto 
molto  opportunamente  in  questa  descrizio- 
ne si  riferisce  a  tale  usanza. 

—  3.  eleisonne  (gr.  eléeson,  abbi  miseri- 
cordia) ;  è  espressione,  che  entra  spesso 
nelle  preghiere  della  chiesa  cattolica,  e  an- 
che nell'esequie  dei  morti. 


CANTO  XLni 


607 


E  gli  altri  santi  detti  avuto  aopra, 
In  una  arca  il  serbar  su  due  colonne: 
E  quella  vuole  Orlando  che  si  cuopra 
Di  ricco  drappo  d'or,  sin  che  reposto 
In  un  sepulcro  sia  di  maggior  costo. 
182 

Orlando  di  Sicilia  non  si  parte, 
Che  manda  a  trovar  porfidi  e  alabastri. 
Fece  fare  il  disegno,  e  di  quell'arte 
Inarrar  con  gran  premio  i  miglior  mastri. 
Fé'  le  lastre,  venendo  in  questa  parte. 
Poi  drizzar  Fiordiligi,  e  i  gran  pilastri; 
Che  quivi  (essendo  Orlando  già  partito) 
Si  fé'  portar  da  l'Africano  lito. 
183 

E  vedendo  le  lacrime  indefesse, 
Et  ostinati  a  uscir  sempre  i  sospiri; 
Né  per  far  sempre  dire  uffici  e  messe. 
Mai  satisfar  potendo  a'  suoi  disiri; 
Di  non  partirsi  quindi  in  cor  si  messe, 
Fin  che  del  corpo  l'anima  non  spiri: 
E  nel  sepolcro  fé'  fare  una  cella, 
E  vi  si  chiuse  e  fé'  sua  vita  in  quella. 
184 

Oltre  che  messi  e  lettere  le  mande, 
Vi  va  in  persona  Orlando  per  levarla. 
Se  viene  in  Francia,  con  pension  ben  gran- 
Compagna  vuol  di  Galerana  farla:       [de 
Quando  tornare  al  padre  anco  domande. 
Sin  alla  Lizza  vuole  accompagnarla: 
Edificar  le  vuole  un  monastero. 
Quando  servire  a  Dio  faccia  pensiero. 
185 

Stava  ella  nel  sepulcro,  e  quivi  attrita 
Da  penitenzia,  orando  giorno  e  notte, 


—  4.  E  gli  altri  ecc.;  ebbe  avuto  sopra 
(sono  preghiere  che  si  fanno  presente  il 
cadavere  e  proprio  sopra  di  esso)  eleisonne 
e  gli  altri  detti  (preghiere)  santi. 

—  6-7.  si  cnopra  di  r.  d.  d'or.  Coprire  le 
tombe  di  ricchi  drappi  nei  funerali  di  uo- 
mini insigni  era  usanza  comune  nel  medio 
evo,  come  appare  dalle  Antichità  Hai.  del 
Muratori,  Diss.  23. 

183.  2.  Che;  fin  che.  V.  e.  xiii,  7,  n.  4. 

—  4.  Inarrar.  Propriamente  accaiìarra- 
re,  impegnare  con  arra;  ma  come  si  usa 
comunemente  accapat^rare  nel  senso  d'im- 
pegnare,  cosi  avviene  qui,  con  estensione 
di  significato,  per  inarrare.  Dunque  :  im- 
pegna con  gran  premio  i  migliori  maestri 
di  quell'arte. 

184.  4.  Galerana,  moglie  di  Carlomagno, 
figlia  di  Galafro  re  di  Spagna,  convertitasi 
per  amore,  al  cristianesimo. 

—  6.  alla  Lizza.  Fiordiligi  era  figlia  di 
Dolistone  re  della  Lizza  (l'antica  Laodicea 
nella  Siria).  V.  e.  viii,  88. 

185.  1.  attrita  (lat.  attrita,  consumata). 
Nella  st.  193  vale  compunto. 


Non  durò  lunga  età,  che  dì  sua  vita 
Da  la  Parca  le  fur  le  fila  rotte. 
Già  fatto  avea  da  l' isola  partita. 
Ove  i  Ciclopi  avean  l'antique  grotte, 
I  tre  guerrier  di  Francia,  afflitti  e  mesti 
Che  '1  quarto  lor  compagno  a  dietro  resti. 
186 

Non  volean  senza  medico  levarsi, 
Che  d'Olivier  s'avesse  a  pigliar  cura; 
La  qual,  perché  a  principio  mal  pigliarsi 
Potè,  fatt'era  faticosa  e  dura: 
E  quello  udiano  in  modo  lamentarsi, 
Che  del  suo  caso  avean  tutti  paura. 
Tralordi  ciò  parlando,  al  nocchier  nacque 
Un  pensiero,  e  lo  disse,  e  a  tutti  piacque. 
187 

Disse  ch'era  di  là  poco  lontano 
In  un  solingo  scoglio  uno  Eremita, 
A  cui  ricorso  mai  non  s'era  invano, 
0  fosse  per  consiglio  o  per  aita; 
E  facea  alcuno  effetto  sopr'umano. 
Dar  lume  a  ciechi,  e  tornar  morti  a  vita, 
Fermai'e  il  vento  ad  un  segno  di  croce, 
E  far  tranquillo  il  mar  quando  è  pili  atro- 
188  [ce  ; 

E  che  non  denno  dubitare,  andando 
A  ritrovar  quell'uomo  a  Dio  si  caro. 
Che  lor  non  renda  Olivier  sano,  quando 
Fatto  ha  di  sua  virtù  segno  più  chiaro. 
Questo  consiglio  si  piacque  ad  Orlando, 
Che  verso  il  santo  loco  si  drizzare; 
Né  mai  piegando  dal  camin  la  prora, 
Vider  lo  scoglio  al  sorger  de  l'aurora. 
189 

Scorgendo  il  legno  uomini  in  acqua  dot- 
Sicuramente  s'accostaro  a  quello.        [ti, 
Quivi  aiutando  servi  e  galeotti. 
Declinano  il  Marchese  nel  battello: 
E  per  le  spumose  onde  fur  condotti 
Nel  duro  scoglio,  et  indi  al  santo  ostello; 


—  3.  Non  dorò  ecc.  Nota  il  Raina  che  an- 
che la  figlia  di  Norhombellande  non  vuole 
abbandonare  la  sepoltura  di  Febus,  e  muore 
li  presso. 

—  5.  avea,  aveano.  V.  e.  ix,  82,  n.  8.  Ei'ano 
partiti  dall'isola  dei  Ciclopi,  dalla  Sicilia. 

186.  6.  del  suo  caso,  del  suo  pericolo  : 
aveano  paui'a  che  egli  fosse  in  pericolo 
della  vita. 

187.  6.  Dar  lume.  È  dichiarativo  di  effet- 
to. Più  chiaramente  ci  dovrebbe  essere  un 
come. 

188.  3.  quando,  poiché. 

—  7.  camin  ;  via  diritta  per  quel  luogo. 
V.  st.  125,  1. 

189.  1.  Scorgendo,  guidando.  Dante,  Pur^r. 
21, 21  :  «  Chi  v'ha  per  la  sua  scala  tanto  scor- 
te?» 

—  4.  Declinano,  calano.  Cosi  nel  e.  xxxix, 
37,  3. 


608 


ORLANDO  FURIOSO 


Al  santo  ostello,  a  quel  vecchio  vnedesmo, 

Per  le  cui  mani  ebbe  Ruggier  battesmo. 

190 

Il  servo  del  Signor  del  Paradiso 
Raccolse  Orlando  et  i  compagni  suoi, 
E  benedilli  con  giocondo  viso, 
E  de'  lor  casi  diraandoUi  poi; 
Ben  che  di  lor  venuta  avuto  avviso 
Avesse  prima  dai  celesti  Eroi. 
Orlando  gli  rispose  esser  venuto 
Per  ritrovar  al  suo  Oliviero  aiuto; 
191 

Ch'era  pugnando  per  la  fé  di  Cristo, 
A  periglioso  termine  ridutto. 
Levògli  il  Santo  ogni  sospetto  tristo, 
E  gli  promise  di  sanarlo  in  tutto. 
Né  d'unguento  trovandosi  provisto, 
Né  d'altra  umana  medicina  instrutto, 
Andò  alla  chiesa,  et  orò  al  Salvatore; 
Et  indi  usci  con  gran  baldanza  fuore; 
192 

E  in  nome  de  le  eterne  tre  Persone, 
Padre  e  Figliuolo  e  Spirto  Santo,  diede 
Ad  Olivier  la  sua  benedizione. 
Oh  virtù  che  dà  Cristo  a  chi  gli  crede! 
Cacciò  dal  cavalllero  ogni  passione, 
E  ritornèlli  a  sanitade  il  piede. 
Più  fermo  e  più  espedito  che  mai  fosse; 
E  presente  Sobrino  a  ciò  trovosse. 
193 

Giunto  Sobrin  de  le  sue  piaghe  a  tanto, 
Che  star  peggio  ogni  giorno  se  ne  sente, 
Tosto  che  vede  del  monaco  santo 
Il  miracolo  grande  et  evidente. 
Si  dispon  di  lasciar  Macon  da  canto, 
E  Cristo  confessar  vivo  e  potente: 
E  domanda  con  cor  di  fede  attrito, 
D' iniciarsi  al  nostro  sacro  rito. 


190.  2.  Raccolse,  accolse.  V.  e.  vii,  9,  n.  3. 

191.  5.  proTisto.  Cosi  leggono  l'ediz.  del 
1516  e  '21;  la  '32  per  errore  prevvisto;  né 
comprendo  la  ragione,  per  cui  il  Panizzi 
lia  voluto  ritenere  questa  lezione. 

—  6.  instrutto  ;  (lat.  instructu-s),  fornito. 
In  questo  senso  si  cita  solamente  l'Ariosto. 
La  N.  Crusca  non  lo  registra. 

—  7.  orò  al  S.  Il  costrutto  con  a  fu  già 
usato  da  Dante,  Purg.  15,  112:  «Orando 
all'  alto  Sire  ». 

192.  5.  passione;  dolore,  o  anche  infer- 
mità. Nell'uno  e  nell'altro  senso  l'usarono 
spesso  gli  antichi. 

193.  8.  iniciarsi,  iniziarsi,  essere  avviato 
(ai  misteri  della  religione).  Il  Tommaseo  ci- 
tando questo  luogo  con  la  forma  iniziarsi, 
lo  intende,  a  torto,  batteszarsi.  Sebbene 
alcuni  scrittori  latini  cristiani  usassero  iìii- 
tiari  in  questo  senso;  qui  è  chiaro  l'altro 
significato  comune, specialmente  per  il  com- 


194 
Cosi  l'aom  giusto  lo  battezza,  et  anco 
Gli  rende,  orando,  ogni  vigor  primiero. 
Orlando  e  gli  altri  cavallier  non  manco 
Di  tal  conversion  letizia  fero. 
Che  di  veder  che  liberato  e  franco 
Del  periglioso  mal  fosse  Oliviero. 
Maggior  gaudio  degli  altri  Ruggier  ebbe; 
E  molto  in  fede  e  in  devozione  accrebbe. 

195 
Era  Ruggier  dal  di  che  giunse  a  nuoto 
Su  questo  scoglio,  poi  statovi  ogniora. 
Fra  quei  guerrieri  il  Vecchiarel  devoto 
Sta  dolcemente,  e  li  conforta  et  óra 
A  voler,  schivi  di  pantano  e  loto. 
Mondi  passar  per  questa  morta  gora 
C ha  nome  vita,  che  si  piace  a'  sciocchi; 
Et  alle  vie  del  ciel  sempre  aver  gli  occhi. 

196  [ne 

Orlando  un  suo  mandò  sul  legno,etrar- 
Fece  pane  e  buon  vin,  cacio  e  persutti; 
E  all'uom  di  Dio,  ch'ogni  sapor  di  starne 
Pose  in  oblio,  poi  ch'avvezzossi  a'  frutti, 
Per  carità  mangiar  fecero  carne, 
E  ber  del  vino,  e  far  quel  che  fèr  tutti. 
Poi  ch'alia  mensa  consolati  foro, 
Di  molte  cose  ragionar  tra  loro. 

197 
E  come  accade  nel  parlar  sovente, 
Ch'una  cosa  vien  l'altra  dimostrando; 
Ruggier  riconosciuto  finalmente 
Fu  da  Rinaldo,  da  Olivier,  da  Orlando 
Per  quel  Ruggiero  in  arme  si  eccellente. 
Il  cui  valor  s'accorda  ognun  lodando  : 
Né  Rinaldo  l'avea  raffigurato 
Per  quel  che  provò  già  ne  lo  steccato. 

198 
Ben  l'avea  il  Re  Sobrin  riconosciuto. 
Tosto  che  '1  vide  col  Vecchio  apparire; 
Ma  volse  inanzi  star  tacito  e  muto, 
Che  porsi  in  avventura  di  fallire. 
Poi  ch'a  notizia  agli  altri  fu  venuto 
Che  questo  era  Ruggier,  di  cui  l'ardire. 
La  cortesia,  e  '1  valore  alto  e  profondo 
Si  facea  nominar  per  tutto  il  mondo; 


plemento  al  nostro  s.  rito.  È  forma  non 
registrata  dai  vocabolari. 

194.  8.  accrebbe,  crebbe.  Sacchetti,  nov. 
2:  «vivono  e  accrescono». 

190.  2.  persutti.  Nella  ediz.  del  1516:  pre- 
Slitti.  La  prima  specialmente  credo  sia  la 
forma  emiliana,  che  ancora  si  usa. 

—  3.  0.  s.  di  starne.  Qui  vale  :  ogni  sa- 
pore delicato. 

—  5.  Per  carità;  «  per  amor  loro  »  (Bolza). 
È  modo  che  forse  l'Ar.  ha  derivato  dalla 
espressione  far  carità,  che  tra  persone 
spirituali  significò  mangiare  insieme  come 
per  segno  di  carità  fraterna. 


CANTO  XLIII 


609 


E  sapendosi  già  ch'era  Cristiano, 
Tutti  con  lieta  e  con  serena  faccia 
Tengono  a  lui:  chi  gli  tocca  la  mano, 
E  chi  lo  bacia,  echi  lo  stringe eabbraceia. 
Sopra  gli  altri  il  Signor  di  Montalbano 


D'accarezzarlo  e  fargli  onor  procaccia. 
Perch'esso  più  degli  altri,  io'i  serboadire 
Ne  l'altro  Canto,  se  '1  vorrete  udire. 


199.  6.  d'accarezzarlo,  d'  usargli  cortesie 
V.  e.  XXXI,  110,  n.  3. 


CANTO  XLIV 


Spesso  in  poveri  alberghi  e  in  picciol 
Ne  le  calamitadi  e  nei  disagi,  [tetti. 

Meglio  s'aggiungon  d'amicizia  i  petti, 
Che  fra  ricchezze  invidiose  et  agi 
De  le  piene  d'insidie  e  di  sospetti 
Corti  regali  e  splendidi  palagi. 
Ove  la  caritade  è  in  tutto  estinta, 
Né  si  vede  amicizia,  se  non  fìnta. 
2 

Quindi  avvien  che  tra  Principi  e  Signori 
Patti  e  convenzion  sono  si  frali. 
Fan  lega  oggi  Ke,  Papi  e  Imperatori, 
Doraan  saran  nimici  capitali: 
Perché,  qual  l'apparenze  esteriori, 
Non  hanno  i  cor,  non  han  gli  animi  tali; 
Che,  non  mirando  al  torto  più  ch'ai  dritto, 
Attendon  solamente  al  lor  profitto. 
3 

Questi,  quantunque  d'amicizia  poco 
Sieno  capaci,  perché  non  sta  quella 
Ove  per  cose  gravi,  ove  per  giuoco 
Mai  senza  finzion  non  si  favella; 
Pur,  se  taior  gli  ha  tratti  in  umil  loco 
Insieme  una  fortuna  acerba  e  fella, 
In  poco  tempo  vengono  a  notizia 
(Quel  che  in  molto  non  fèr)  de  l'amicizia. 


1.  3.  s'agg.  d'amie;  si  giungono,  si  con- 
giuiigono  con  aiuicizia.  Aella  st.  -1,  2-3,  si 
ha  l'espress.  :  giungere  ad  amor  —  Agaiun' 
gere  per  congiungere  nel  e.  iii,  27,  2.  Di  per 
con  e.  XXV  53,  5,  e  altrove. 

—  4.  invidiose,  che  destano  invidia.  Si- 
mile è  quel  del  Petrarca,  Tr.  F.  3,  87  : 
«  Credendo  as-erne  invidiosi  patti  (vantaggi 
da  doversi  invidiare)  ».  Vedi  però  la  diffe- 
renza fra  i  due  significati.  Proprio  come 
l'Ar.  l'usò  anche  il  Guicciardini,  Op.  ined. 
10,  216:  «  io  avessi  tanta  felicità,  che  fussi 
quasi  invidioso  agli  amici  ».  Ed  è  uso  ve- 
nutoci dal  latino:  Cicer.  Agr.  2,  26:  «  pos- 
sessiones  invidiosas  ». 

2.  2.  frali,  non  resistenti.  Senso  figurato, 
per  cui  si  cita  solamente  quest'es.  dell'.^r. 

—  7.  non  mirando,  non  avendo  riguardo. 
V.  e.  XXXVI,  51,  n.  6. 

3.  7.  a  notizia,  a  conoscenza.  V.  e.  vi,  9, 
u.  1  :  conoscono  che  cosa  sia  l'amicizia^ 


Il  santo  Vccchiarel  ne  la  sua  stanza 
Giunger  gli  ospiti  suoi  con  nodo  forte 
Ad  amor  vero  meglio  ebbe  possanza. 
Ch'altri  non  avria  fatto  in  real  corte. 
Fu  questo  poi  di  tal  perseveranza. 
Che  non  si  sciolse  mai  fin  alla  morte. 
Il  Vecchio  li  trovò  tutti  benigni. 
Candidi  più  nel  cor,  che  di  fuor  cigni. 
5 

Trovolli  tutti  amabili  e  cortesi. 
Non  de  la  iniquità  eh'  io  v'  ho  dipinta 
Di  quei  che  mai  non  escono  palesi. 
Ma  sempre  van  con  apparenza  finta. 
Di  quanto  s'eran  per  a  dietro  offesi 
Ogni  memoria  fu  tra  loro  estinta; 
E  se  d'un  ventre  fossero  e  d'un  seme. 
Non  si  potriano  amar  più  tutti  insieme. 
6 

Sopra  gli  altri  il  Signor  di  Montalbano 
Accarezzava  e  riveria  Ruggiero; 
Si  perché  già  l'avea  con  l'arme  in  mano 
Provato,  quanto  era  animoso  e  fiero; 
Si  per  trovarlo  aft'abile  et  umano 
Più  che  mai  fosse  al  mondo  cavalliero: 
Ma  molto  più,  che  da  diverse  bande 
Si  conoscea  d'avergli  obligo  grande. 
7 

Sapea  che  di  gravissimo  periglio 
Egli  avea  liberato  Ricciardetto, 


4.  2-3.  Giunger  g.  o  ..  ad  amor.  Avvertila 
novità  dell' immagine.  Comunemente:  con- 
giungere gli  ospiti...  in  amor;  qui  invece 
si  dicono  congiunti  ad  amor.  Nota  pure  la 
solita  omissione  della  prepos.  :  di  giungere. 

—  8.  Candidi;  schietti,  aperti,  leali.  Que- 
sto siguificato  è  reso  certo  da  quello  che 
segue  nell'altra  stanza. 

5.  2.  Non  de  la  iniq.  ;  non  li  trovò  di  quella 
iniquità  ecc. 

—  3.  non  escono  palesi;  appariscono,  si 
mostrano  palesi,  aperti,  leali.  Caro.  En.  6, 
296:  «il  color  d'oro.  Che  diverso  dal  verde 
liscia  raggiando  ». 

C.  8.  Si  conosca  d'av.  La  forma  riflessiva, 
con  siguificato  un  po'  differente,  l'abbiamo 
anche  nel  e  xxiii,  87,  7;  i  vocabolari  non 
la  citano. 


ÀEIOSTO  —  Papin 


39 


610 


ORLANDO  FURIOSO 


Quando  il  Re  Ispano  gli  fé'  dar  di  piglio, 
E  con  la  figlia  prendere  nel  letto; 
E  ch'avea  tratto  l'uno  e  l'altro  figlio 
Del  duca  Buovo  (com'  io  v'  ho  già  detto) 
Di  man  dei  Saraciui  e  dei  malvagi 
Ch'eran  col  Maganzese  Bertolagi. 
8 

Questo  debito  a  lui  parca  di  sorte, 
Ch'ad  amar  lo  stringeano  e  ad  onorarlo; 
E  gli  ne  dolse  e  gli  ne  'ncrebbe  forte, 
Che  prima  non  avea  potuto  farlo. 
Quando  era  l'un  ne  l'Africana  corte, 
E  l'altro  a  gli  servigi  era  di  Carlo: 
Or  che  fatto  Cristian  quivi  lo  trova, 
Quel  che  non  fece  prima,  or  far  gli  giova. 
9 

Proferte  senza  fine,  onore  e  festa 
Fece  a  Ruggiero  il  Paladin  cortese. 
Il  prudente  Eremita,  come  questa 
Benivolenzia  vide,  adito  prese. 
Entrò  dicendo:  A  fare  altro  non  resta 
(E  lo  spero  ottener  senza  contese), 
Che  come  l'amicizia  è  tra  voi  fatta. 
Tra  voi  sia  ancora  affinità  contratta; 
10 

Acciò  che  de  le  due  progenie  illustri 
Che  non  han  par  di  nobiltade  al  mondo. 
Nasca  un  lignaggio  che  più  chiaro  lustri, 
Che  '1  chiaro  sol,  per  quanto  gira  a  tondo; 
E  come  audran  più  inanzi  et  anni  e  lustri, 
Sarà  più  bello,  e  durerà  (secondo 
Che  Dio  m'inspira,  acciò  ch'a  voi  noi  celi) 
Fin  che  terran  l'usato  corso  i  cieli. 
11 

E  seguitando  il  suo  parlar  più  inante. 
Fa  il  sauto  Vecchio  si,  che  persuade 
Che  Rinaldo  a  Ruggier  dia  Bradamante; 
Benché  pregar  né  l'un  né  l'altro  accade. 
Loda  Olivier  col  Principe  d'Anglante, 


8.  2.  lo  stringeano.  È  una  costruzione  a 
senso.  Intendi:  queste  cose,  che  ha  detto 
nelU)  st.  precedente,  a  lui  parevano  un  de- 
bito di  tal  maniera  che  lo  stringevano  ecc. 

—  ».  gli  giova,  gli  piace,  vuole.  ÈTiuvat 
dei  Latini. 

9.  4.  adito  prese;  prese  l'opportunità.  Ma 
e'  è  in  questo  modo  1'  immagine  della  via 
aperta,  onde  entrare  a  dire. 

—  6.  lo  spero  ott.;  spero  ottenerlo.  V.  e. 
I,  47,  n.  6. 

10.  1.  le  due  prog.  ili.;  della  progenie  di 
Ruggero  e  di  Bradamante.  Qui  per  meto- 
nimia dice  le  progenie  per  dire  i  due  pro- 
genitori, i  quali,  sia  per  la  loro  comune  ori- 
gine dai  Troiani,  sia  per  le  loro  gesta  insi- 
gni, non  avevano  pari  al  mondo  per  nobiltà. 

11.  4.  accade,  occorre,  è  necessario. 

—  5-6.  Loda...  che  f.  si  debba.  Vi  è  uno 
dei  soliti  scorci,  tante  volte  avvertiti  :  loda 
questa  afiSnità  e  dice  che  far  si  debba. 


Che  far  si  debba  questa  afiìuitade; 
Il  che  speran  ch'approvi  Amone  e  Carlo, 
E  debba  tutta  Francia  commendarlo. 
12 

Cosi  dicean;  ma  non  sapean  ch'Araone, 
Con  voluntà  del  figlio  di  Pipino, 
N'avea  dato  in  quei  giorni  intenzione 
Air  Imperator  Greco  Costantino, 
Che  glie  le  domandava  per  Leone 
Suo  figlio  e  successor  nel  gran  domino. 
Se  n'era,  pel  valor  che  n'avea  inteso, 
Senza  vederla,  il  giovinetto  acceso. 
13 

Risposto  gli  avea  Amon,  che  da  sé  solo 
Non  era  per  concludere  altramente, 
Né  pria  che  ne  parlasse  col  figliuolo 
Rinaldo,  da  la  corte  allora  assente; 
Il  qual  credea  che  vi  verrebbe  a  volo, 
E  che  di  grazia  avria  si  gran  parente: 
Pur,  per  molto  rispetto  che  gli  avea, 
Risolver  senza  lui  non  si  volea. 
14 

Or  Rinaldo  lontan  dal  padre,  quella 
Pratica  imperiai  tutta  ignorando. 
Quivi  a  Ruggier  promette  la  sorella 
Di  suo  parere,  e  di  parer  d'Orlando 
E  degli  altri  ch'avea  seco  alla  cella, 
Ma  sopra  tutti  l'Eremita  instando: 
E  crede  veramente  che  piacere 
Debba  ad  Amon  quel  parentado  avere. 
15 

Quel  di  e  la  notte,  e  del  seguente  giorno 
Steron  gran  parte  col  monaco  saggio, 
Quasi  obliando  al  legno  far  ritorno, 
Benché  il  vento  spirasse  al  lor  viaggio. 
Ma  i  lor  nocchieri  a  cui  tanto  soggiorno 
Increscea  omai,  mandar  più  d'un  messag- 
Che  si  li  stimolar  de  la  partita,  [gio, 

Ch'a  forza  li  spiccar  da  1'  Eremita. 


12.  3.  intenzione,  promessa.  Cosi  nel  e. 
vir,  78,  5. 

—  5.  glie  le;  glie  la.  V.  st.  17,  7  e  e.  xnt, 
50,  n.  4.  Questa  e  le  due  st,  segg.  sono  ag- 
giunte per  l'ediz.  del  1532. 

13.  2.  altramente,  affatto.  Cosi  nel  e.  x, 
19,  4:  vedi  la  nota. 

—  5.  vi  verrebbe  a  volo.  È  modo  non  chia- 
ro. Il  Casella  intende  «  consentirebbe  di  gran 
cuore  »,  cioè  verrebbe  subito  senza  difficol- 
tà, o,  come  si  dice  popolarmente,  verrebbe 
di  volo  a  questo  assentimento.  Non  mi  pare 
che  da  tutto  T  insieme  se  ne  possa  trarre 
altra  interpretazione. 

15.  4.  al  1.  viaggio.  È  un  complemento  di 
comodo:  spirasse  in  favore  del  loro  viaggio. 
Confronta  altre  locuzioni  «  Lavorare,  ado- 
prarsi  alla  felicità  di  uno  »  «  Faceva  ciò  a 
mia  disperazione  ecc.  ». 

—  7.  Che  si  li   st.  della  partita;    i   quali 


CANTO  XLIV 


611 


IG 

Euggier  che  stato  era  in  esilio  tanto, 
Né  da  Io  scoglio  avea  mai  mosso  il  piede, 
Tolse  licenzia  da  quel  Mastro  santo 
Ch'  insegnata  gli  avea  la  vera  Fede. 
La  spada  Orlando  gli  rimesse  a  canto, 
L'arme  d'  Ettorre,  e  il  buon  Frontin  gli 

[diede; 
Si  per  mostrar  del  suo  amor  segno  espres- 
si per  saper  che  dianzi  erano  d'esso,   [so 
17 

E  quantunque  miglior  ne  l' incantata 
Spada  ragione  avesse  il  Paladino, 
Che  con  pena  e  travaglio  già  levata 
L'avea  dal  formidabile  giardino. 
Che  non  avea  Ruggiero  a  cui  donata 
Dal  ladro  fu,  che  gli  die  ancor  Frontino  ; 
Pur  voleutier  glie  le  donò  col  resto 
De  l'arme,  tosto  che  ne  fu  richiesto. 
18 

Fur  benedetti  dal  Vecchio  devoto, 
E  sul  navilio  al  fin  si  ritornare. 
I  remi  all'acqua,  e  dier  le  vele  al  Noto; 
*E  fu  lor  si  sereno  il  tempo  e  chiaro, 
Che  non  vi  bisognò  priego  né  voto. 
Fin  che  nel  porto  di  Marsilia  entraro. 
Ma  quivi  stiano  tanto,  eh'  io  conduca 
Insieme  Astolfo,  il  glorioso  Duca. 
19 

Poi  che  de  la  vittoria  Astolfo  intese. 
Che  sanguinosa  e  poco  lieta  s'ebbe; 
Vedendo  che  sicura  da  l'offese 
D'Africa  oggimai  Francia  esser  potrebbe, 
Pensò  che  '1  Re  de'  Nubi  in  suo  paese 


messaggi  si  li  st.  quanto  alla  partenza.  È 
complemento  di  limitazione. 

16.  7-S.  per-per.  Nota  il  diverso  valore 
dei  due  per;  uno  è  finale  l'altro  è  causale. 

17.  1.  E  quantunque  ecc.  Per  questi  fatti 
a  cui  si  accenna  intorno  alla  stoi-ia  di  Ba- 
lisarda  cfr.  e.  xxvii,  70-72  e  la  nota  1-8, 
st.  72, 

—  7.  glie  le;  glie  la;  come  nella  st.  12,  5. 
Che  si  debba  riferire  a  Balisarda  si  rileva 
sicuramente  dalla  prima  edizione:  «non 
men  volentier  che  l'altro  arnese  .'V.Ua  prima 
domanda  gli  la  rese  ».  —  Ruggero,  secondo 
il  costume  del  buon  cavaliere,  dovette,  ap- 
pena vide  le  sue  armi  e  il  suo  cavallo,  ri- 
chiederli: e  se  non  gli  fossero  state  rese 
avrebbe  dovuto  combattere. 

18.  3.  al  Noto.  Non  credo,  come  credono 
alcuni,  che  qui  stia  per  vento  in  generale. 
Per  venire  da  queste  regioni  meridionali  a 
Marsiglia  occorreva  proprio  il  vento  di  mez- 
zogiorno. Per  la  slessa  ragione  Virgilio 
disse,  En.  3,  268:  «  Tendunt  vela  Noti». 

19.  2.  s'ebbe;  si  ebbe  dai  Cristiani:  poco 
lieta  per  la  morte  di  Braudimarte. 

—  5-6.  Pensò  cbe ...  rimanderebbe;  pensò 
di  rimandare.  V.  e.  i,  38,  n.  6. 


Con  l'esercito  suo  rimanderebbe 
Per  la  strada  medesima  che  tenne 
Quando  contra  Biserta  se  ne  venne. 
20 

L'armata  che  i  Pagan  roppe  ne  l'onde. 
Già  rimandata  avea  il  figliuol  d'Uggiero; 
Di  cui,  nuovo  miracolo,  le  sponde 
(Tosto  che  ne  fu  uscito  il  popol  Nero) 
E  le  poppe  e  le  prore  mutò  in  fronde, 
E  ritoruolle  al  suo  stato  primiero: 
Poi  venne  il  vento,  e  come  cosa  lieve 
Levolle  in  aria,  e  fé  sparire  in  breve. 
21 

Chi  a  piedi  e  chi  in  arcion  tutte  partita 
D'Africa  fèr  le  Nubiane  schiere. 
Ma  prima  Astolfo  si  chiamò  infinita 
Grazia  al  Senàpo  et  immortale  avere; 
Che  gli  venne  in  persona  a  dare  aita 
Con  ogni  sforzo  et  ogni  suo  potere. 
Astolfo  lor  ne  l'uterino  claustro 
A  portar  diede  il  fiero  e  turbido  Austro. 
22 

Negli  utri,  dico,  il  vento  die  lor  chiuso, 
Ch'uscir  di  mezzodi  suol  con  tal  rabbia. 
Che  muove  a  guisa  d'onde,  e  leva  in  suso, 
E  ruota  fin  in  ciel  l'arrida  sabbia; 
Acciò  se  lo  portassero  a  lor  uso, 
Che  per  camino  a  far  danno  non  abbia; 
E  che  poi,  giunti  ne  la  lor  rcj^ione, 
Avessero  a  lassar  fuor  di  prigione. 


20.  1.  L'armata  ecc.  V.  e.  xxxi.K,  78. 

—  6.  suo,  loro. 

21.  3-J.  si  chiamò...  avere,  dichiarò  d'ave- 
re. Vedi  per  questo  modo  il  e.  xviii,  66, 
n.  3. 

—  7.  uterino.  Aggettivo,  che  l'Ar.  ha  for- 
mato da  utre.  Si  cita  questo  solo  esempio. 
—  claustro;  chiuso,  recipiente.  E  uso  simile, 
ma  un  po'  diverso  da  quello  del  e.  xix,78,  3. 

22.  1.  Negli  ntri.  Perché  nel  e.  xxxviti  il 
singolare  e  qui  il  plurale?  Là  forse  dominò 
nella  mente  del  Poeta  il  ricordo  d'Omero, 
che  d'un  solo  otre  parla,  qui  il  ricordo  di 
OVIDIO,  Amor.  3,  12,  29,  che  riferendo  la 
favola  omerica  dice:  «  Aeolios  inclusimus 
utribus  Euros  ». 

—  4.  arrida.  L'Ar.  amò  spesso  questa  for- 
ma, che  forse  è  dialettale:  e.  xxvi,  103,  1; 
XXIX,  58. 

—  5.  a  lor  uso,  a  loro  vantaggio,  a  loro 
comodo.  Cosi  diciamo:  Lezioni  di  storia 
ad  uso  delle  classi  ginnasiali.  È  il  modo 
latino  ad  usum,  in  vantaggio. 

—  6.  Che,  in  modo  che. 

—  7.  E  che.  È  coordinato  ad  acciò  del  v, 
5  e  lo  compie.  L'Ar.  usa  spesse  volte  acciò 
invece  di  acciò  che,  uso  che  a  torto  i  gram- 
matici riprovano,  non  curando  esempi  del 
Boccaccio,  del  Villani,  dell'Ariosto,  del  Lippi 


612 


ORLANDO  FURIOSO 


23 

Scrive  Turpiuo,  come  furo  ai  passi 
De  l'alto  Atlante,  che  i  cavfilli  loro 
Tutti  in  un  tempo  diventaron  sassi; 
Si  che,  come  venir,  se  ne  tornerò. 
Ma  tempo  è  ornai  ch'Astolfo  in  Francia 
E  cosi,  poi  che  del  paese  Moro        [passi; 
Ebbe  provisto  ai  luoghi  principali, 
All'  Ippogrifo  suo  fé'  spiegar  l'ali. 
24 

Volò  in  Sardigna  in  un  batter  di  penne, 
E  di  Sardigna  andò  nel  lito  Corso; 
E  quindi  sopra  il  mar  la  strada  tenne. 
Torcendo  alquanto  a  man  sinistra  il  mor- 
Ne  le  maremme  all'ultimo  ritenne       [so. 
De  la  ricca  Provenza  il  leggier  corso, 
Dove  segui  de  l'Ippogrifo,  quanto 
Gli  disse  già  l'Evangelista  santo. 
25 

Hagli  commesso  il  santo  Evangelista, 
Che  più,  giunto  in  Provenza,  non  lo  spro- 
E  ch'air  impeto  fìer  più  non  resista    [ni  : 
Con  sella  e  fren,  ma  libertà  gli  doni. 
Già  avea  il  più  basso  ciel  che  sempre  ac- 

(quista 
Del  perder  nostro,  al  corno  tolti  i  suoni  ; 
Che  muto  era  restato,  non  che  roco, 
Tosto  ch'entrò  '1  Guerrier  nel  divin  loco. 


e  di  altri.  Or  bene  qui  abbiamo  nel  v.  5  il 
solo  acciò,  nel  v.  6  acciò  che. 

23.  1.  Scrive  T.;  V.  e.  xiii,  40,  n.  2. 

—  4.  venir,  vanirò.  V.  e.  vi,  SI,  n.  3.  — 
tornerò,  tornarono.  È  terminaz.  non  rara 
negli  antichi,  fatta  dalla  3'  sing.  tornò.  V. 
e,  xviii,  162,  n.  3. 

24.  7.  segni,  esegui.  Cosi  il  Caro,  En.  2, 
292  :  «  A  ciò  seguire  (a  eseguire  quanto  tutti 
volevano)  immantinente  accinti»;  e  il  Boc- 
caccio, nov.  SO:  «  II  quale,  piacendo  il  fatto, 
si  mise  in  avventura  di  volerlo  seguire  ». 
L'ediz.  del  1516  aveva  eseguire.  11  Panizzi 
dunque  a  torto  dice  il  segui  inintelligibile, 
e  a  torto  lo  seguono  il  Camerini,  il  Casella, 
il  Romizi  e  altri. 

23.  5.  il  più  basso  ciel;  il  ciel  della  Luna, 
che  acquista  ciò  che  si  perde  quaggiù,  avea 
reso  non  solo  rauco,  ma  muto  il  corno  in- 
cantato, dato  ad  Astolfo  da  Logistilla.  Il  di- 
vin loco,  non  è  dunque,  come  intendono 
alcuni,  il  paradiso  terrestre,  ma  il  cielo 
della  Luna. 

—  S.  il  Guerrier.  L'ediz.  del  1532  ha  Rug- 
ger,  ma  è  evidente  errore  di  stampa  già 
corretto  dal  Barotti  e  dal  Morali;  perché 
non  Ruggero,  ma  Astolfo  entrò  nel  divin  1. 
La  prima  ediz.  legge  diversamente  :  «  Tosto 
che  si  trovò  nel  divin  loco  ».  Il  cambiamen- 
to fu  fatto  per  l'ed.  del  1521  e  sembra  strano 
che  in  11  anni  l'Ar.  non  si  accorgesse  del- 
l'errore. E  pur  non  se  ne  accorse. 


26 

Venne  Astolfo  aMarsilia,evenneapun- 
II  di  che  v'era  Orlando  et  Oliviero       (to 
E  quel  da  Montalbano  insieme  giunto 
Col  buon  Sobrino  e  col  meglior  Ruggiero. 
La  memoria  del  sozio  lor  defunto 
Vietò  che  i  Paladini  non  poterò 
Insieme  cosi  a  punto  rallegrarsi, 
Come  in  tanta  vittoria  dovea  farsi. 
^         27 

Carlo  avea  di  Sicilia  avuto  avviso 
Dei  duo  Re  morti,  e  di  Sobrino  preso, 
E  ch'era  stato  Brandimarte  ucciso: 
Poi  di  Ruggiero  avea  non  meno  inteso; 
E  ne  stava  col  cor  lieto  e  col  viso 
D'aver  gittato  intollerabil  peso, 
Che  gli  fu  sopra  gli  omeri  si  greve. 
Che  starà  un  pezzo  pria  che  si  rileve. 
28 

Per  onorar  costor  ch'eran  sostegno 
Del  santo  Imperio,  e  la  maggior  colonna, 
Carlo  mandò  la  nobiltà  del  regno 
Ad  incontrarli  fin  sopra  la  Sonna. 
Egli  usci  poi  col  suo  drappel  più  degno 
Di  Re  e  di  Duci,  e  con  la  propria  Donna, 
Fuor  de  le  mura,  in  compagnia  di  belle 
E  ben  ornate  e  nobili  donzelle. 
29 

L'Imperator  con  chiara  e  lieta  fronte, 
I  Paladini  e  gli  amici  e  i  parenti. 
La  nobiltà,  la  plebe  fanno  al  Conte 
Et  agli  altri  d'amor  segni  evidenti: 
Gridar  s'ode  Mongraua  e  Chiaramonte. 
Si  tosto  non  finir  gli  abbracciamenti, 


2G.  5.  sozio,  socio,  compagno:  Brandi- 
marte. 

—  6.  vietò  che...  non.  V.  e.  v,  53,  n,  1. 

27.  8.  si  rileve,  si  rialzi;  rialzi  comple- 
tamente le  spalle.  Anche  oggi  diciamo  di 
uno  che  ha  avuto  grave  disgrazia:  «starà 
un  pezzo  a  rialzar  la  testa  ». 

2S.  6.  Duci,  Duchi.  V.  e.  xxxiv,  8,  n.  3.  — 
1.  pr.  Donna,  Galerana. 

29.  5.  Mongrana  e  Chiar.  I  commentatori 
sbagliano  dicendo  che  sono  i  nomi  delle 
famiglie  di  Rinaldo  e  di  Orlando.  Orlando  e 
Rinaldo  eran  figli  di  fratelli  (Milone  e  Amo- 
ne), che  discendevano  ambedue  da  Bernardo 
di  Chiaramonte.  Dunque  l' Ar.  volle  con 
questi  due  nomi  rilevare  tutti  i  principali 
guerrieri  francesi,  che  erano  acclamati  dal 
popolo,  e  appartenevano  tutti  a  queste  due 
case;  specialmente  Rinaldo  e  Orlando  di 
Chiaramonte,  e  Oliviero  di  Mongrana.  Vedi 
le  due  ampie  genealogie  nei  Reali  di  Fran- 
cia, libro  5,  cap.  9. 

—  G.  Si  tosto  ecc.;  Gli  abbracc.  non  fini- 
rono cosi  presto.  Nell'ediz.  del  1516:  «gli 
abbracciamenti  non  finir  si  presto  ».  Mi 
pare  quindi  che  si  debba  staccare  questo 


CANTO  XLIV 


613 


Rinaldo  e  Orlando  insieme  et  Oliviero 
Al  Signor  loro  appresentàr  Ruggiero; 

30 
E  gli  narrar  che  dì  Ruggier  di  Risa 
Era  figliuol,  di  virtii  uguale  al  padre. 
Se  sia  animoso  e  forte,  et  a  che  guisa 
Sappia  ferir,  san  dir  le  nostre  squadre. 
Con  Bradamaute  in  questo  vien  Marfisa, 
Le  due  compagne  nobili  e  leggiadre. 
Ad  abbracciar  Ruggier  vien  la  sorella; 
Con  pili  rispetto  sta  la  l'altra  donzella. 

31 
L' imperator  Ruggier  fa  risalire. 
Ch'era  per  riverenzia  sceso  a  piede, 
E  lo  fa  a  par  a  par  seco  venire, 
E  di  ciò  ch'a  onorarlo  si  richiede, 
Un  punto  sol  non  lassa  preterire: 
Ben  sapea  che  tornato  era  alla  Fede  ; 
Che  tosto  che  i  guerrier  furo  all'asciutto, 
Certificato  avean  Carlo  del  tutto. 

32 
Con  pompa  trionfai,  con  festa  grande 
Tornaro  insieme  dentro  alla  cittade. 
Che  di  frondi  verdeggia  e  di  ghirlande; 
Coperte  a  panni  son  tutte  le  strade: 
Nembo  d'erbe  e  di  fior  d'alto  si  spande, 
E  sopra  e  intorno  ai  vincitori  cade. 
Che  da  verroni  e  da  finestre  amene 
Donne  e  donzelle  gittano  a  man  piene. 


verso  con  una  punteggiatura  più  forte  della 
semplice  virgola,  che  gli  editori  mettono. 
Forse  lian  creduto  di  potere  interpretare  ; 
Tosto  che  fluirono  gli  abb.,  Rinaldo  e  Or- 
lando ecc.  E  il  senso  correrebbe  certo  più 
spedito.  In  questo  caso  bisogua  dare  al  si 
tosto  ...  non  il  significato  speciale  di  tosto 
che  0  di  non  si  tosto  ...  che. 

—  8.  appresentàr,  presentar.  V.  e.  xvi, 
28,  n.  3. 

30.  4.  le  nostre  sq.,  le  squadre  cristiane, 
che  il  P.  dice  giustamente  nostre. 

—  5.  in  questo,  in  questa;  fra  tanto. 

31.  5.  preterire;  passare  seuza  profittarne 
(lat.  praeterire).  Con  diverso  significato  nel 
e.  XXXV,  39.  —  Un  punto.  È  detto  per  una 
cosa  piccolissima,  come  si  dice,  nello  stesso 
senso,  una  virgola,  un  apice,  un  ette. 

—  6.  tornato.  V.  e.  XXXVi,  60. 

32.  4.  Coperte  a  panni,  coperte  con  panni: 
a  per  con  vedilo  nel  e.  xvi,48,  8;  xxxi,  72, 
4.  É  d'uso  ancor  vivo  in  molte  locuzioni. 
Si  tratta  di  tendoni  tirati  in  alto  sulle  strade 
a  guisa  di  baldacchino.  Chi  avesse  il  dub- 
bio che  si  trattasse  di  tappeti,  veda  gli  stessi 
particolari  meglio  dichiarati  nel  e.  xvii,  20  ; 
dove  alla  strada  coperta  di  panni  si  contrap- 
pone la  terra  sparsa  di  erbe  e  di  fiori. 

—  7.  verroni.  Vedi  questa  forma,  che  forse 
è  dialettale,  anche  nel  e.  iv,  58;  v,  47.  — 
finestre  amene,  donde  si  godeva  un'amena 


33 

Al  volgersi  dei  canti  in  varii  lochi 
Trovano  archi  e  trofei  subito  fatti, 
Che  di  Biserta  le  ruine  e  i  fochi 
Mostran  dipinti,  et  altri  degni  fatti: 
Altrove  palchi  con  diversi  giuochi, 
E  spettacoli  e  mimmi  e  scenici  atti; 
Et  è  per  tutti  i  canti  il  titol  vero 
Scritto:  Ai  liberatori  de  l' Impero. 
34 

Fra  il  suon  d'argute  trombe,  e  di  canore 
Pifare,  e  d'ogni  musica  armonia, 
Fra  riso  e  plauso,  giubilo  e  favore 
Del  popolo  ch'a  pena  vi  capia, 
Smontò  al  palazzo  il  Magno  Imperatore, 
Ove  pili  giorni  quella  compagnia 
Con  torniamenti,  personaggi  e  farse, 
Danze  e  conviti  attese  a  dilettarse. 


vista.  Potrai  anche  riferirlo,  ma  credo  meno 
bene,  a  donne:  leggiadre,  amabili. 

Sì.  1.  Al  volg.  dei  canti;  allo  svoltare  delle 
cantonate. 

—  2.  subito  fatti;  fatti  in  un  momento, 
improvvisati. 

—  6.  spettacoli.  Erano  rappresentazioni 
mute  di  cose  mitologiche,  o  storiche,  con 
macchine  e  grande  apparato.  —  mimmi. 
Forse  è  forma  dialettale.  I  mimi  erano  com- 
ponimenti scenici  greci  e  romani,  che  do- 
vettero avere  uno  strascico  anche  nel  medio 
evo.  Vi  si  rappresentavano,  specialmente 
per  mezzo  della  mimica,  scene  e  persone 
della  vita  reale  col  principale  intendimento 
di  far  ridere.  Si  dissero  cosi  anche  gli  attori 
stessi;  ma  qui  forse  si  intendono  quelle  tali 
composizioni  drammatiche.  —  scenici  atti, 
azioni  sceniche,  drammi.  Segni,  Vers.  poet. 
di  Arist.  279:  «  Alcuni...  tali  spezie  di  poesie 
chiamano  atti,  che  in  greco  son  detti  dra- 
mata  ». 

—  7.  il  titol  vero.  Per  tutte  le  cantonate 
è  scritto  il  titolo  verace,  che  ad  essi  com- 
pete, cioè  di  liberatori  dell'  Impero. 

34.  2,  Pifare,  pifferi.  È  forma  non  regi- 
strata. 

—  7.  personaggi,  una  specie  di  commedia 
imperfetta,  dove  gli  attori,  all'usanza  anti- 
ca, portavan  la  maschera  (lat.  persona, 
maschera)  Pulci,  Mory.  25,  23:  «  Per  Sira- 
gozza  si  facevau  balli  E  giuochi  e  personag- 
gi e  fuochi  e  tresche  ».  Il  Du  Cange  a  Per- 
sonayium  illustra:  «  actio  scenica,  quae 
per  personas  exprimitur  »  e  dai  documenti 
medievali,  che  riferisce,  appare  che  rappre- 
sentavano i  misteri  della  religione  o  anche 
altri  fatti  varii.  —  farse  ;  piccole  azioni 
drammatiche  molto  in  uso  nel  Cinquecento 
e  che  dovevano  essere  molto  antiche  negli 
usi  popolari. 


614 


ORLANDO  FURIOSO 


35 

Rinaldo  un  giorno  al  padre  fé' sapere 
Che  la  sorella  a  Ruggrier  dar  volea; 
Ch'in  presenzia  d'Orlando  per  mogliere, 
E  d'Olivier,  promessa  glie  l'avea; 
Li  quali  erano  seco  d'un  parere, 
Che  parentado  far  non  si  potea 
Per  nobiltà  di  sangue  e  per  valore. 
Che  fosse  a  questo  par,  non  che  migliore. 
36 

Ode  Amone  il  figliuol  con  qualche  sde- 
Che,  senza  conferirlo  seco,  gli  osa  [gno, 
La  figlia  maritar,  ch'esso  ha  disegno 
Che  del  figliuol  di  Costantin  sia  sposa, 
Non  di  Ruggier,  il  qual  non  ch'abbi  regno 
Ma  non  può  al  mondo  dir:  Questa  è  mia 
Né  sa  che  nobiltà  poco  si  prezza,  [cosa; 
E  men  virtù,  se  non  v'è  ancor  ricchezza. 
37 

Ma  più  d'Amon  la  moglie  Beatrice 
Biasma  il  figliuolo,  e  chiamalo  arrogante; 
E  in  segreto  e  in  palese  et  atradice, 
Che  di  Ruggier  sia  moglie  Bradamante: 
A  tutta  sua  possanza  Imperatrice 
Ha  disegnato  farla  di  Levante. 
8ta  Rinaldo  ostinato,  che  non  vuole 
Che  manchi  un  iota  de  le  sue  parole. 
38 

La  madre,  ch'aver  crede  alle  sue  voglie 
La  magnanima  figlia,  la  conforta 
Che  dica  che  più  tosto  ch'esser  moglie 
D'un  pover  cavallier,  vuole  esser  morta; 


36.  2.  conferirlo  Beco;  Senza  conferire  di 
ciò  con  lui.  Per  il  costrutto  cfr.  e.  xliii, 
38,  2.  —  gli  osa  ecc.,  osa  maritargli.  Il  yli  è 
una  specie  di  complemento  d' interesse,  che 
serve  a  rilevare  appunto  l' interessamento 
della  persona  all'azione:  si  dice  comune- 
mente: che  mi  fail  per  il  più  semplice  che 
fati  e  simili.  V.  Fornaciari,  Sint.  p.  310. 
Di  qui  (st.  36)  sino  alla  fine  del  canto  è  giunta 
per  l'ediz.  del  1532. 

—  5.  non  ch'abbi  r.  ;  non  che  abbia  regno. 
Per  questo  modo  cfr.  e.  vn,  62,  n.  1. 

—  7.  Né  sa.  Il  soggetto  è  Rinaldo:  che 
gli  osa  ecc.,  né  sa  ecc. 

87.  3.  contradice,  si  oppone,  nega.  Cosi 
nel  e.  v,  33;  e  cosi  altri  scrittori  —  Beatrice 
rassomiglia  ad  Amata,  che  nell'  Eneide  si 
oppone  al  matrimonio  di  Lavinia  con  Enea, 
ma  è  tipo  in  gran  parte  studiato  e  ritratto 
dal  vero. 

—  8.  nn  iota;  non  vuole  che  un  solo  iota 
(lettera  greca.  Noi  comunem:  manchi  una 
òiilaba)  delle  sue  parole  manchi  di  essere 
mantenuto. 

38.  1.  avere  alle  sne  voglie;  av.  obbediente 
alle  s.  V.  Confronta  gli  altri  modi  simili  : 
avere  al  suo  comando,  ai  suoi  comandi; 
ai  suoi  ordini  ecc. 


Ne  mai  più  per  figliuola  la  raccoglie, 
Se  questa  ingiuria  dal  fratel  sopporta: 
Nieghi  pur  con  audacia,  e  tenga  saldo: 
Che  per  sforzar  non  la  sarà  Rinaldo. 
39 

Sta  Bradamante  tacita,  né  al  detto 
De  la  madre  s'arrisca  a  contradire; 
Che  l'ha  in  tal  riverenzia  e  in  tal  rispetto, 
Che  non  potria  pensar  non  l'ubbidire. 
Da  l'altra  parte  terria  gran  difetto. 
Se  quel  che  non  vuol  far,  volesse  dire. 
Non  vuol,  perché  non  può  ;  che  '1  poco  e  '1 

[molto 
Poter  di  sé  disporre  Amor  le  ha  tolto. 
40 

Né  negar,  né  mostrarsene  contenta 
S'ardisce;  e  sol  sospira,  e  non  risponde: 
Poi  quando  è  in  luogo  ch'altri  nonlasenta, 
Versan  lacrime  gli  occhi  a  guisa  d'onde; 
E  parte  del  dolor  che  la  tormenta, 
Sentir  fa  al  petto  et  alle  chiome  bionde; 
Che  l'un  percuote,  e  l'altro  straccia  e  fran- 
E  cosi  parla,  e  cosi  seco  piange:         [gè; 
41 

Ahimé!  vorrò  quel  che  non  vuol  chi  deve 
Poter  del  voler  mio  più  che  poss'  io? 
Il  voler  di  mia  madre  avrò  in  si  lieve 
Stima,  eh'  io  lo  posponga  al  voler  mio? 
Deh!  qual  peccato  puote  esser  si  grieve 
A  una  donzella,  qual  biasmo  si  rio. 
Come  questo  sarà,  se,  non  volendo 
Chi  sempre  ho  da  ubbidir,  marito  prendo? 
42 

Avrà,  misera  me!  dunque  possanza 
La  materna  pietà,  eh'  io  t'abandoni, 
0  mio  Ruggiero?  e  ch'a  nuova  speranza, 
A  desir  nuovo,  a  nuovo  amor  mi  doni? 


—  5.  la  raccoglie;  la  riconosce.  È  un'e- 
stensione di  significato,  che  manca  nei  vo- 
cabolari. È  chiaro  che  significa  qualcosa 
più  che  il  semplice  accoglie,  accetta. 

—  8.  non  la  sarà;  non  sarà  per  sforzarla. 
Solito  spostamento  della  particella  prono- 
minale. 

39.  2.  s'arrisca.  V.  e.  XXXViii,  51,  n.  3. 

—  4.  pensar  non  l'ub.;  pensar  di  non  Tu. 

—  8.  Poter.  È  infinito  usato  sostantiva- 
mente o  sostantivo?  Nel  secondo  <^aso  con- 
viene supplire  un  di:  il  potere  di  disporre 
di  sé  :  cfr.  e.  ii,  72,  n.  3. 

40.  2.  S'ardisce.  V.  C.  xvi,  5,  n.  3. 

—  7.  l'nn...  l'altro.  Per  il  riferimento  a 
genere  diverso  cfr.  e.  xxxiv,  54,  n.  4;  e  e. 
XXVII,  116,  8. 

41. 1-2.  Come  spesso  negli  sfoghi  amorosi, 
anche  qui  l'Ar.  cade  in  sottigliezze  e  bistic- 
ci. V.  e.  I,  41,  n.  1;  XXX,  79  ecc.  Qui  vuol 
dire:  vorrò  quello  che  non  vuole  mia  madre, 
la  quale  deve  aver  possanza  sulla  mia  vo- 
lontà più  di  me  stessa? 


CANTO  XLIV 


615 


0  pur  la  riverenzia  e  l'osservanza 
Ch'ai  buoni  padri  denno  i  figli  buoni, 
Porrò  da  parte?  e  solo  avrò  rispetto 
Al  mio  bene,  al  mio  gaudio,  al  mio  diletto? 
43 
So  quanto,  ahi  lassa!  debbo  far;  so  quan- 
Di  buona  figlia  al  debito  conviensi:      [to 

10  '1  so;  ma  che  mi  vai,  se  non  può  tanto 
La  ragion,  che  non  possino  più  i  sensi? 
S'Amor  la  caccia  e  la  fa  star  da  canto, 
Né  lassa  ch'io  disponga,  né  ch'io  pensi 
Di  me  dispor,  se  non  quanto  a  lui  piaccia, 
E  sol,  quanto  egli  detti,  io  dica  e  faccia? 

44 
Figlia  d'Amone  e  di  Beatrice  sono, 
E  son,  misera  me!  serva  d'Amore. 
Dai  genitori  miei  trovar  perdono 
Spero  e  pietà,  s'io  cadere  in  errore: 
Ma  s'io  offenderò  Amor,  chi  sarà  buono 
A  schivarmi  con  prieghi  il  suo  furore, 
Che  sol  voglia  una  di  mie  scuse  udire, 
E  non  mi  faccia  subito  morire? 

45 
Ohimè!  con  lunga  et  ostinata  prova 
Ho  cercato  Ruggier  trarre  alla  Fede; 
Et  hoUo  tratto  al  fin:  ma  che  mi  giova, 
Se  '1  mio  ben  fare  in  util  d'altri  cede  ? 
Cosi,  ma  non  per  sé,  l'ape  rinova 

11  mele  ogni  anno,  e  mai  non  lo  possiede. 
Ma  vo'  prima  morir,  che  mai  sia  vero, 
Ch'  io  pigli  altro  marito,  che  Ruggiero. 

46 

S'io  non  sarò  al  mio  padre  ubbidiente. 
Né  alla  mia  madre,  io  sarò  al  mio  fratello. 
Che  molto  e  molto  è  più  di  lor  prudente. 
Né  gli  ha  la  troppa  età  tolto  il  cervello.    I 
E  a  questo  che  Rinaldo  vuol,  consente      | 
Orlando  ancora  ;  e  per  me  ho  questo  e  | 

[quello:  j 

Li  quali  duo  più  onora  il  mondo  e  teme,    '• 

Che  l'altra  nostra  gente  tutta  insieme.      1 

47  I 

Se  questi  il  fior,  se  questi  ogn'uno  stima  j 
La  gloria  e  lo  splendor  di  Chiaramonte; 
Se  sopra  gli  altri  ogn'  un  gli  alza  e  subli- 
Più  che  non  è  del  piede  alta  la  fronte;  [ma 


43.  4.  possino.  V.  e.  Ili,  15,  n.  2. 

—  8.  E  sol  ecc.  Rileva  dal  contesto  un 
vuole:  e  vuole  che  faccia  solo  ecc. 

44.  6.  schivarini  ecc.  Per  la  locuzione  cfr. 
e.  IX,  49,  n.  8. 

—  7.  Che,  così  che. 

45.  4.  cede,  va,  riesce.  È  modo  latino  : 
Senec,  Hipp.  181  :  «  cedit  in  vanum  labor  ». 

—  5.  Cosi  ma  ecc.  «  Rammenta  il  verso 
d'un  epigramma  virgiliano,  riferito  in 
un'antica  vita  di  Virgilio  attribuita  a  Do- 
nato Sia  vos  non  vobis  melliftcatis  apes  » 
(Romizi). 

47.  3.  BubHma.  0  abbiamo  qui  il  fatto  no- 


Perché  debbo  voler  che  di  me  prima 
Amon  disponga,  che  Rinaldo  e  '1  Conte? 
Voler  noi  debbo,  tanto  men,  che  messa 
In  dubbio  al  Greco,  e  a  Ruggier  fui  pro- 
48  [messa. 

Se  la  Donna  s'affligge  e  si  tormenta. 
Né  di  Ruggier  la  mente  è  più  quieta; 
Ch'ancor  che  di  ciò  nuova  non  si  senta 
Per  la  città,  pur  non  è  a  lui  segreta. 
Seco  di  sua  fortuna  si  lamenta. 
La  qual  fruir  tanto  suo  ben  gli  vieta. 
Poi  che  ricchezze  non  gli  ha  date  e  regni, 
Di  che  è  stata  si  larga  a  mille  indegni. 
49 

Di  tutti  gli  altri  beni,  o  che  concede 
Natura  al  mondo,  o  proprio  studio  acqui- 
Aver  tanta  e  tal  parte  egli  si  vede,    [sta, 
Qual  e  quanta  altri  avennai  s'abbia  vista; 
Ch'a  sua  bellezza  ogni  bellezza  cede; 
Ch'a  sua  possanza  è  raro  chi  resista; 
Di  magnanimità,  di  splendor  regio 
A  nessun,  più  ch'a  lui,  si  debbe  il  pregio. 
50 

Ma  il  volgo,  nel  cui  arbitrio  son  gli  cuo- 
che, come  pare  a  lui,  li  leva  e  dona     [ri, 
(Né  dal  nome  del  volgo  voglio  fuori, 
Eccetto  l'uom  prudente,  trar  persona; 
Che  né  Papi  né  Re  né  Imperatori 
Non  ne  tra'  scettro,  mitra  né  corona; 
Ma  la  prudenzia,  ma  il  giudizio  buono, 
Grazie  che  dal  ciel  date  a  pochi  sono); 
51 

Questo  volgo  (per  dir  quel  ch'io  vo'dìre) 
Ch'altro  non  riverisce  che  ricchezza, 
Né  vede  cosa  al  mondo,  che  più  ammire, 


tato  nel  e.  vir,  38,  8,  o  bisogna  dare  a  su- 
blima un  significato  speciale  superlativo  di 
alzare  sopra  ogni  altro;  significato  che 
non  vedo  negli  esempì  citati  dai  vocabolari. 

—  5-6.  prima...  che;  piuttosto...  che.  È  si- 
gnificato ancor  vivo.  Boccaccio,  Vita  Dan.t. 
«■  Prima  elesse  di  stare  in  esilio  anziché  per 
cotal  via  tornare  a  casa  sua  ». 

—  7.  tanto  men  ecc.  Regolarmente  avreb- 
be dovuto  dire  tanto  più;  ma  c'è  una  spe- 
cie di  sillessi,  e  il  pensiero  procede  cosi;  e 
tanto  meno  lo  debbo  perché  al  Greco  fui, 
come  sposa,  messa  in  dubbio:  cfr.  st.  12,  13. 

48.  2.  Né;  neppure.  V.  e.  li,  41,  n.  4. 

—  6.  fruir  t.  8.  ben.  Per  il  costrutto  vedi 
e.  xiii,  11,  n.  8. 

49.  5.  ch'a  s.  b.;  poiché  a  s.  b. 

50.  6.  Non  ne  tra'  s.;  né  scettro,  né  mitra, 
né  cor.  trae  fuori  del  volgo  imperat.,  papi,  re. 

51.  3.  Né  ved»  ecc.  Questo  luogo,  eh'  io 
sappia,  non  è  stato  iuterpretato-a  dovere 
da  nessuno.  Il  Galilei  seguito  dal  Barotti  e 
dal  Bolza,  crede  che  sia  superfluo  il  che  del 
verso  secondo.  E  fa  maraviglia  vedei'e  il 
Barotti  sostenere  la  possibilità  di  questa  ri- 


616 


ORLANDO  FURIOSO 


E  senza,  nulla  cura  e  nulla  apprezza, 
Sia  quanto  voglia  la  beltà,  l'ardire. 
La  possanza  del  corpo,  la  destrezza, 
La  virtù,  il  senno,  la  bontà;  e  pili  in  que- 
Di  ch'ora  vi  ragiono,  che  nel  resto,     [sto 
52 

Dicea  Ruggier:  Se  pur  è  Amon  disposto 
Che  la  figliuola  Imperatrice  sia, 
Con  Leon  non  concluda  cosi  tosto: 
Al  raen  termine  un  anno  anco  mi  dia; 
Ch'io  spero  in  tanto,  che  da  me  deposto 
Leon  col  padre  de  l'Imperio  fia; 
E  poi  che  tolto  avrò  lor  Je  corone. 
Genero  indegno  non  sarò  d'Amone. 
53 

Ma  se  fa  senza  indugio,  come  ha  detto, 


dondanza  con  esempi,  dove  si  tratta  della 
congiunz.   che   nelle   proposiz.   oggettive  ; 
esempi  (v,  27,  8;  vii,  47,  5)  che  qui  noi^hau 
niente  che  vedere.   Il  Pomari  poi  seguito 
dal  Molini,  dal  Panizzi,  dal  Casella,  crede 
che  si  debba  far  verbo  la  e  del  verso  7  e 
intendere  «  Questo  volgo  ecc.  è  più,  cioè  ve- 
ramente volgo  errante  e  sciocco,  in  questo, 
di  che  ora  vi  ragiono,  che  nel  resto;  inten-  I 
dendo  che,  avvenga  che  il  volgo  erri  in  tutte  ! 
le  sue  opinioni,    pur  maggiormente  erra  ' 
dintorno  i  fatti  dei  matrimoni.  Perciocché 
mai  non  va  spiando  della  virtù  e  del  valore,  ' 
ma  di  chi  possieda  più  ampie  eredità  e  ric- 
chezze ».  Ma   intanto    prima  di  supporvi 
errori  di  lezione  o  sviste  di  sintassi  dovi'e-  j 
mo  cercare  se,  cosi  coni'  è,  il  testo  dia  un  \ 
buon  senso.  E  lo  dà  veramente  perfetto.  —  { 
La  proposizione  principale   è  appunto  nel 
v.  3-1,  che  intenderai  cosi:  questo  volgo  non 
vede  cosa  al  mondo  che  ammiri  più  della  | 
ricchezza,  e  senza  ricchezza  non  cura  e  non  i 
apprezza  niente.  —  Le  due  proposiz.  sono  j 
messe  in  correlazione  con  né-e:  questo  vol- 
go... né  vede  ecc.  e  senza  ecc.  Questo  modo 
di  correlazione  ebbero  già  i  Latini  :  Cicer. 
Fam.  10,  1  :  «  Furnium  nostrum  tanti  a  te 
fieri  nec  miror  et  gaudeo  »;  e  i  nostri  fre- 
quentemente: Bembo,  Asol.  1:  «  Il  che  quan- 
to esser  debba  lor  caro  né  io  ora  dirò,  ed 
essi  meglio  potranno...  giudicare».  Potrem- 
mo dimostrare  estesamente   quanto  questa 
interpretazione   risponda  meglio,  anche  al 
concetto  generale, che  non  quella  del  Galilei; 
e  come  quella  del  Fornari,  oltre  ad  essere 
incompleta,  mal  si  adatti  al  contesto;  ma, 
per  non  combatter  con  le  ombre,    lascere- 
mo al  lettore  questo  esame  particolare. 

—  7.  e  pili  in  questo;  e  più  che  nelle  altre 
cose,  neir  affare  dei  matrimoni  non  vede, 
non  riverisce,  non  apprezza  nulla  fuor  che 
la  ricchezza. 

52.  1.  disposto,  risoluto.  Cosi  nel  e.  xviii, 
170,  7. 


Suocero  de  la  figlia  Costantino; 
S'alia  promessa  non  avrà  rispetto 
Di  Rinaldo  e  d'Orlando  suo  cugino, 
Fattami  inanzi  al  Vecchio  benedetto. 
Al  Marchese  Oliviero,  al  Re  Sobrino; 
Che  farò?  vo'  patir  si  grave  torto? 
0,  prima  che  patirlo,  esser  pur  morto  ? 

54 
Deh  che  farò?  farò  dunque  vendetta 
Contra  il  padre  di  lei  di  questo  oltraggio? 
Non  miro  eh'  io  non  son  per  farlo  in  fretta, 
0  s'in  tentarlo  io  mi  sia  stolto  o  saggio  : 
Ma  voglio  presupor  ch'a  morte  io  metta 
L'iniquo  vecchio,  e  tutto  il  suo  lignaggio: 
Questo  non  mi  farà  però  contento  ; 
Anzi  in  tutto  sarà  contra  al  mio  intento. 

55  [m'ami 

E  fu  sempre  il  mio  intento,  et  è,  che 

La  bella  Donna,  e  non  che  mi  sia  odiosa: 

Ma,  quando  Amon  l'uccida,  o  faccia  o  tra- 

[rai 
Cosa  al  fratello  o  agli  altri  suoi  dannosa; 
Non  le  do  giusta  causa  che  mi  chiami 
Nimico,  e  più  non  voglia  essermi  sposa? 
Che  debbo  dunque  far?  debbol  patire? 
Ah  non,  per  Dio:  più  tosto  io  vo'  morire. 

5(5 
Anzi  non  vo'  morir;  ma  vo'  che  muoia 
Con  più  ragion  questo  Leone  Augusto, 
Venuto  a  disturbar  tanta  mia  gioia; 
Io  vo'  che  muoia  egli  e  '1  suo  padre  ingiu- 
Elena  bella  all'amator  di  Troia  [sto. 

Non  costò  si,  né  a  tempo  più  vetusto 
Proserpina  a  Piritoo,  come  voglio    [glio. 
Ch'ai  padre  e  al  figlio  costi  il  mio  cordo- 

57 
Può  esser,  vita  mia,  che  non  ti  doglia 
Lasciare  il  tuo  Ruggier  per  questo  Greco? 
Potrà  tuo  padre  far  che  tu  lo  teglia. 
Ancor  ch'avesse  i  tuoi  fratelli  seco? 
Ma  sto  in  timor,  ch'abbi  più  tosto  voglia 
D'esser  d'accordo  con  Amon,  che  meco; 
E  che  ti  paia  assai  miglior  partito 
Cesare  aver,  ch'un  privato  nom,  marito. 


53.  8.  esser  pur  m.  ;  essere  anche  ucciso, 
perfino  ucciso. 

54.  3.  Non  miro  ecc.;  non  considero,  non 
starò  a  cousiderare  che  ecc.  ;  lascio  da  parte 
che  ecc.  È  significato  simile,  ma  alquanto 
diverso  da  quello  notato  nel  e.  xxx,  50,  2. 

55.  2.  odiosa,  mi  abbia  in  odio.  Cosi  nel 
e.  XXXVIII,  69,  7,  dove  troverai  la  nota. 

—  3.  l'uccida,  le  uccida.  V.  e.  iv,  16,  n.  8. 

—  7.  debbol  patire;  debbo  sopportare  que- 
sto, cioè  che  mi  chiani  nimico  e  non  vo- 
glia ecc. 

—  8.  non,  no.  V.  e.  X,  49,  n.  8. 

66.  7.  Proserpina  a  P.  Piritoo,  sceso  all'in- 
ferno per  rapire  Proserpina,  vi  fu  divorato 
da  Cerbero. 


CANTO  XLIV 


617 


58 
Sarà  possibil  mai,  che  nome  regio, 
Titolo  imperiai,  grandezza  e  pompa, 
Di  Bradamante  mia  l'animo  egregio, 
Il  gran  valor,  l'alta  virtù  corrompa? 
Si  ch'abbia  da  tenere  in  minor  pregio 
La  data  fede,  e  le  promesse  rompa? 
Né  più  tosto  d'Amon  farsi  nimica. 
Che  quel  che  detto  m'ha,  sempre  non  dica? 

59 
Diceva  queste  et  altre  cose  molte, 
Ragionando  fra  sé,  Ruggiero,  e  spesso 
Le  dicea  in  guisa  ch'erano  raccolte 
Da  chi  talor  se  gli  trovava  appresso: 
Si  che  il  tormento  suo  più  di  due  volte 
Era  a  colei  per  cui  pativa,  espresso, 
A  cui  non  dolca  meno  il  sentir  lui 
Cosi  doler,  che  i  proprii  affanni  sui. 

60 
Ma  più  d'ogni  altro  duci  chele  sia  detto, 
Che  tormenti  Ruggier,  di  questo  ha  doglia. 
Ch'intende  che  s'atìBigge  per  sospetto 
Ch'ella  lui  lasci,  e  che  quel  Greco  voglia. 
Onde,  acciò  si  conforti,  e  che  del  petto 
Questa  credenza  e  questo  error  si  teglia, 
Per  una  di  sue  fide  cameriere 
Gli  fé'  queste  parole  un  di  sapere: 

61  [glio 

Ruggier,  qual  sempre  fui,  tal  esser  vo- 
Fin  alla  morte,  e  più,  se  più  si  puote. 
0  siami  Amor  benigno,  o  m'usi  orgoglio, 
O  me  Fortuna  in  alto  o  in  basso  ruote, 
IramobiI  son  di  vera  fede  scoglio    [cuote: 
Che  d'ogn'  intorno  il  vento  e  il  mar  per- 
Né  giamai  per  bonaccia  né  per  verno 
Luogo  mutai,  né  muterò  in  eterno. 


58.  7.  Né  pili  tosto  ecc.  È  coordinata  a  si 
ch'abbia  da  tenere  ecc.  :  e  non  abbia  a  farsi 
nimica  d'Anione  più  tosto  clie  non  dire  quel 
che  sempre  mi  ha  detto,  non  mantenere 
quel  che  sempre  mi  ha  promesso. 

59.  5.  più  di  due  v.  È  espressione  foggiata 
su  la  più  comune  più  d'una  volta. 

—  6.  Era....  espresso;  giungeva  a  notizia, 
giungeva  alle  orecchie.  É  signillcato  assai 
simile  a  quello  del  e.  xxvi,  57,  7;  ed  è  ma- 
niera dei'ivata  dal  significato  di  chiaro,  che 
ha  frequentemente  espresso. 

60.  5.  Onde;  per  la  qual  cosa. 

61.  3-8.  0  m'usi  orgoglio;  o  usi  con  me 
orgoglio,  sia  orgoglioso  con  me.  In  questo 
discorso  di  Bradamante  l'Ar.  ha  rimaneg- 
giato la  elegia  8',  scritta  in  nome  di  una 
donna.  È  molto  probabile  che  l'elegia  fosse 
precedente,  poiché  questa  giunta  è  fatta 
verso  il  1531,  o  in  ogni  modo  assai  tardi. 
Forse  vi  si  contiene  una  avventura  reale, 
di  cui  l'Ar.  fu  spettatore  o  attore.  «Qual 
son,  qual  sempre  fui  tal  esser  voglio.  Alto 
o  basso  fortuna  che  mi  rote  O  siami  Amor 
benigno  o  m'usi  orgoglio.  Io   son  di  vera 


62 
Scarpello  sì  vedrà  di  piombo  o  lima 
Formare  in  varie  imagini  diamante. 
Prima  che  colpo  di  Fortuna,  o  prima 
Ch'ira  d'Amor  rompa  il  mio  cor  costante; 
E  si  vedrà  tornar  verso  la  cima 
De  l'alpe  il  fiume  turbido  e  sonante, 
Che  per  nuovi  accidenti,  o  buoni  o  rei, 
Faccino  altro  viaggio  i  pensier  miei. 

63 
A  voi,  Ruggier,  tutto  il  dominio  ho  dato 
Di  me,  che  forse  è  più  ch'altri  non  crede. 
So  ben  eh' a  nuovo  principe  giurato 
Non  fu  di  questa  mai  la  maggior  fede. 
So  che  né  al  mondo  il  più  sicuro  stato 
Di  questo,  Re  né  Imperator  possiede. 
Non  vi  bisogna  far  fossa  né  torre. 
Per  dubbio  ch'altri  a  voi  lo  venga  a  torre  ; 

64 
Che,  senza  ch'assoldiate  altra  persona. 
Non  verrà  assalto  a  cui  non  si  resista. 


fede  immobil  cote  Che  '1  vento  indarno,  in- 
darno il  flusso  alterno  Del  pelago  d'Amor 
sempre  percuote.  Né  giammai  per  bonaccia 
né  per  verno  Di  là  dove  il  destin  mi  fermò 
prima,  Luogo  mutai  né  muterò  in  eterno  ». 
—  verno,  tempesta.  V.  e.  xviii,  141,  n.  6. 

62.  1-8.  Scarpello  ecc.  Costruisci:  Si  vedrà 
scalpello  0  lima  di  piombo.  Eleg.  8,  10: 
«  Vedrò  prima  salir  verso  la  cima  Dell'alpi 
i  fiumi  e  s'aprirà  il  diamante  Con  legno  o 
piombo  e  non  con  altra  lima  ecc.  ». 

—  7.  Che.  Dipende  da  un  prima  sottin- 
teso nella  protasi  e  che  deve  rilevarsi  dalle 
proposiz.  precedenti. 

—  8.  Faccino,  facciano.  Forma  popolare 
ancor  viva,  e  già  molto  usata  dagli  scrit- 
tori antichi. 

63.  1-8.  A  voi  ecc.  Eleg.  8,  16:  «  A  voi  di 
me  tutto  il  dominio  ho  dato:  So  ben  che 
della  mia  non  fu  mai  fede  Miglior  giurata 
in  alcun  nuovo  stato.  E  forse  avete  più 
ch'altri  non  crede;  Quando  nel  mondo  il  più 
sicuro  regno  Di  questo,  re  né  imperator 
possiede.  Quel  ch'io  v' ho.  dato  anco  difeso 
tegno:  Per  questo  voi  né  d'assoldar  per- 
sona. Né  di  riparo  avete  a  far  disegno  ». 

—  2.  che  forse  è  pili  ecc.  ;  il  qual  dominio 
è  forse  cosa  di  maggior  pregio  che  altri 
non  creda;  poiché  gli  altri  domini  sono  in- 
certi e  mal  sicuri. 

—  3.  giurato.  Per  la  sconcordanza  cfr.  e. 
v,  58,  n.  5. 

—  4.  la  magg.  f.  Per  l'articolo  cfr.  e.  vi, 
20,  n.  8. 

—  5.  né.  Credo  debba  unirsi  a  re  del  v. 
seg.  :  so  che  né  Re  né  Imperat.  poss.  al  m. 
uno  stato  più  sicuro  di  q.  Di  tali  inversioni 
ne  ha  già  viste  molte  fin  qui  l'attento  let- 
tore; xxxvn,  95,  S;  xml,  86,  6  ecc. 


618 


ORLANDO  FURIOSO 


Non  è  ricchezza  ad  espugnarmi  buona; 
Né  si  vii  prezzo  un  cor  gentile  acquista. 
Né  nobiltà,  né  altezza  di  corona, 
Ch'ai  sciocco  volgo  abbagliar  suol  la  vista, 
Non  beltà,  ch'in  lieve  animo  può  assai, 
Vedrò,  che  più  di  voi  mi  piaccia  mai. 
65 

Non  avete  a  temer  eh'  in  forma  nuova 
Intagliare  il  mio  cor  mai  più  si  possa: 
Si  r  imagine  vostra  si  ritrova 
Sculpita  in  lui,  ch'esser  non  può  rimossa. 
Che  'I  cor  non  ho  di  cera,  è  fatto  prova; 
Che  gli  die  cento,  non  ch'una  percossa, 
Amor,  prima  che  scaglia  ne  levasse, 
Quando  all'iraagin  vostra  lo  ritrasse. 
66 

Avorio  e  gemma  et  ogni  pietra  dura 
Che  meglio  da  l'intaglio  si  difende, 
Romper  si  può;  ma  non  ch'altra  figura 
Prenda,  che  quella  ch'una  volta  prende. 
Non  è  il  mio  cor  diverso  alla  natura 
Del  marmo  o  d'altro  ch'ai  ferro  contende. 


C4.  3-8.  Non  è  r.  Eleg.  S»,  28:  «Oro  non 
già  che  i  vili  animi  acrniijta.  Mi  acquisterà; 
né  scettro  né  grandezza.  Che  al  volgo  sciocco 
abbagliar  suoi  la  vista;  Né  cosa  clje  muova 
animo  a  vaghezza  la  me  potrà  mai  più  far 
quella  pruova  Che  ci  fé  il  valor  vostro  e  la 
bellezza  ». 

65,  1-8.  EU  8,  3-1:  «  Si  Ogni  vostra  manie- 
ra si  ritrova  Scolpita  nel  mio  cor  eh'  indi 
rimossa  Esser  non  può  per  altra  forma 
nuova.  Di  cera  essa  non  è  che  se  ne  possa 
Formar  quand'uno  e  quand'altro  suggello 
Né  cede  ad  ogni  minima  percossa.  Amor  lo 
sa  che  all'  intagliar  di  quello  Neil'  idol  vo- 
stro non  ne  levò  scaglia  Se  non  con  cento 
colpi  di  martello  ». 

—  2.  Intagliare  ecc.  È  rifacimento  dell'im- 
magine più  comune:  avere  uno  scolpito  nel 
cuore. 

—  5.  è  fatto  prova;  è  fatta  prova;  la  pro- 
va è  stata  fatta.  V,  e.  v,  58,  n.  5.  Vuol  dire 
che  Ruggero  non  la  innamorò  cosi  facil- 
mente di  sé;  ma  dovette  dare  lunga  prova. 

—  8.  Quando  ecc.  Quando  ritrasse,  formò 
il  core  a  vostra  immagine;  o  anche:  lo  ri- 
dusse alla  vostra  immagine,  a  rappresen- 
tare la  vostra  immagme. 

66.  1-8.  Eleg.  8,  43:  «D'avorio  e  marmo 
e  d'altro  che  s' intaglia  Diffìcilmente,  fatta 
una  figura.  Arte  non  è  che  tramutar  più 
vaglia.  Il  mio  cor  di  materia  anco  più  dura 
Può  temer  chi  l'uccida  o  lo  disfaccia  ;  Ma 
non  può  già  temer  che  sia  scultura  D'amor 
che  in  altra  immagine  lo  faccia  ». 

—  5.  diverso  alla.  Per  il  costrutto  cfr. 
canto  XXX,  24.  2. 

—  6.  contende,  contrasta,  resiste.  Sebbe- 
ne sia  per  il  costrutto  e  per  il  senso,  simile 
a  quello  notato  nel  e.  i,  73,  2,  è  alquanto 


Prima  esser  può  che  tutto  Amerio  spezze 
Che  lo  possa  sculpir  d'altre  bellezze. 
67 

Soggiunse  a  queste  altre  parole  molte. 
Piene  d'amor,  di  fede  e  di  conforto, 
Da  ritornarlo  in  vita  mille  volte, 
Se  stato  mille  volte  fosse  morto. 
Ma  quando  più  de  la  tempesta  tolte 
Queste  speranze  esser  credeano  in  porto, 
Da  un  nuovo  turbo  impetuoso  e  scuro 
Rispinte  in  mar,  lungi  dal  lito,  furo: 
68 

Però  che  Bradamante  ch'eseguire 
Vorria  molto  più  ancor,  che  non  ha  detto, 
Rivocando  nel  cor  l'usato  ardire, 
E  lasciando  ir  da  parte  ogni  rispetto, 
S'appresenta  un  di  a  Carlo,  e  dice:  Sire, 
S'a  vostra  Maestade  alcun  effetto 

10  feci  mai,  che  le  paresse  buono. 
Contenta  sia  di  non  negarmi  un  dono. 

69 
E  prima  che  più  espresso  io  le  lo  chieg- 
Su  la  real  sua  fede  mi  prometta        [già, 
Farmene  grazia;  e  vorrò  poi,  che  veggia 
Che  sarà  giusta  la  domanda  e  retta. 
Merta  la  tua  virtù  che  dar  ti  deggia 
Ciò  che  domandi,  o  Giovane  diletta 
(Rispose  Carlo);  e  giuro,  se  ben  parte 
Chiedi  del  regno  mio,  di  contentarte. 

70 
,  Il  don  eh'  io  bramo  da  l'Altezza  vostra, 
È  che  non  lasci  mai  marito  darme 
(Disse  la  Damigella),  se  non  mostra 
Che  più  di  me  sia  valoroso  in  arme,  [stra 
Con  qualunque  mi  vuol,  prima  o  con  gio- 
O  con  la  spada  in  mano  ho  da  provarme. 

11  primo  che  mi  vinca,  mi  guadagni: 
Chi  vinto  sia,  con  altra  s'accompagni. 


differente  e  forse  la  Crusca  avrebbe  dovuto 
notarlo. 

67.  5.  de  la  tempesta,  di  mezzo  alla  tem- 
pesta. 

68.  6.  effetto,  benefìcio.  Cosi  nel  e.  v,  72, 
l,  dove  troverai  opportuni  raffronti. 

70.  5-6.  0  con  giostra...  o  con  la  sp.  «  La 
giostra  è  quando  l'uno  cavaliere  corre  con- 
tra  l'altro  con  l'asta...  dove  non  si  cerca 
vittoria  se  non  dello  scavalcare  »  (  Burr, 
Comm.  Inf.  22).  —  Quest'  idea  di  non  spo- 
sare uomo  che  non  sia,  per  arme,  provato 
dalla  donna  degno  di  sé,  è  già  in  un  poe- 
metto antico:  «  Historia  di  Brandiamante  so- 
rella di  Rinaldo  da  Montalbano  »  e  si  trova 
anche  nel  poema  cavalleresco  inedito  «  Gui- 
don  Selvaggio  »  (Raina).  «Nei  viaggi  di  Mar- 
co Polo  al  cap.  176  si  legge  che  una  giovane 
figlia  del  re  dei  Turchi  fortissima  in  guerra 
proponeva  ai  suoi  pretendenti  la  stessa  con- 
dizione »  (Casella). 


CANTO  XLIV 


619 


71 

Disse  rimperator  con  viso  lieto, 
Che  la  domanda  era  di  lei  ben  degna: 
E  che  stesse  con  l'animo  quieto, 
Che  farà  appunto  quanto  ella  disegna. 
Non  è  questo  parlar  fatto  in  segreto 
Si,  ch'a  notizia  altrui  tosto  non  vegna; 
E  quel  giorno  medesimo  alla  vecchia 
Beatrice  e  alvecchio  Amoncorreall'orec- 
72  [chia. 

Li  quali  parimente  arser  di  grande 
Sdegno  contra  alla  figlia,  e  di  grand' ira; 
Che  vider  ben  con  queste  sue  domande. 
Ch'ella  a  Ruggier,  più  ch'a  Leone  aspira: 
E  presti  per  vietar  che  non  si  manda 
Questo  ad  effetto,  a  ch'ella  intende  e  mira. 
La  levaro  con  fraude  de  la  corte, 
E  la  menaron  seco  a  Rocca  Forte. 
73 

Quest'era  una  fortezza  ch'ad  Amone 
Donato  Carlo  avea  pochi  di  inante. 
Tra  Pirpignano  assisa  e  Carcassone, 
In  loco  a  ripa  il  mar,  molto  importante. 
Quivi  la  ritenean  come  in  prigione. 
Con  pensier  di  mandarla  un  di  in  Levante, 
Si  ch'ogni  modo,  voglia  ella  o  non  voglia, 
Lasci  Ruggier  da  parte,  e  Leon  toglia. 
74 

La  valorosa  Donna,  che  non  meno 
Era  modesta,  ch'animosa  e  forte; 
Ancor  che  posto  guardia  non  l'avieno, 
E  potea  entrare  e  uscir  fuor  de  le  porte; 
Pur  stava  ubbidiente  sotto  il  freno 
Del  padre;  ma  patir  prigione  e  morte, 
Ogni  martire  e  crudeltà  più  tosto 
Che  mai  lasciar  Ruggier,  s'avea  proposto. 
75 

Rinaldo,  che  si  vide  la  sorella 
Per  astuzia  d'Amon  tolta  di  mano, 
E  che  dispor  non  potrà  più  di  quella, 
E  ch'a  Ruggier  l'avrà  promessa  in  vano  ; 
Si  duol  del  padre,  e  contra  a  lui  favella, 
Posto  il  rispetto  filial  lontano. 
Ma  poco  cura  Amon  di  tai  parole, 
E  di  sua  figlia  a  modo  ^uo  far  vuole. 


72.  5.  vietar  che  non.  V.  per  il  costrutto 
e.  V,  53,  n.  1. 

—  6.  a  ch'ella;  a  che  ella.  Il  che  è  rela- 
tivo di  questo. 

—  8.  Rocca  Forte,  Rochefort.  Ora  città 
marittima  della  Francia,  anticamente  un 
castello. 

73.  3.  Pirpignano,  Perpignan,  città  della 
Fi-ancia  (Pirenei  orient.).  —  Carcassone,  Car- 
casson,  città  del  dipart.  Aude.  —  assisa,  po- 
sta. V.  c.xxxvii,  56,  n.  6. 

—  4.  a  ripa  il  mar,  in  riva  al  mar.  V.  e. 
XIII,  42,  n.  7. 

—  7.  ogni  modo,  V.  e.  XLiii,  161,  n.  5. 

74.  3.  l'avieno,  le  aveano. 


76 

Ruggier,  che  questo  sente,  et  ha  timore 
Di  rimaner  de  la  sua  Donna  privo, 
E  che  l'abbia  o  per  forza  o  per  amore 
Leon,  se  resta  lungamente  vivo; 
Senza  parlarne  altrui  si  mette  in  core 
Di  far  che  muoia,  e  sia,  d'Augusto,  Divo  ; 
E  tòr,  se  non  l'inganna  la  sua  speme. 
Al  padre  e  a  lui  la  vita  e  '1  regno  insieme. 
77 

L'arme  che  fur  già  del  Troiano  Ettòrre, 
E  poi  di  Mandricardo,  si  riveste, 
E  fa  la  sella  al  buon  Frontino  porre, 
E  cimier  muta,  scudo  e  sopraveste. 
A  questa  impresa  non  gli  piacque  tórre 
L'aquila  bianca  nel  color  celeste. 
Ma  un  candido  liocorno,  come  giglio, 
Vuol  ne  lo  scudo,  e  '1  campo  abbia  vermi- 
78  [glio. 

Sceglie  de' suoi  scudieri  il  più  fedele, 
E  quel  vuole  e  non  altri  in  compagnia; 
E  gli  fa  commission,  che  non  rivele 
In  alcun  loco  mai,  che  Ruggier  sia. 
Passa  la  Mosa  e  'I  Reno,  e  passa  de  le 
Contrade  d'Ostericche,  in  Ungheria; 
E  lungo  r  Istro  per  la  destra  riva 
Tanto  cavalca,  ch'a  Belgrado  arriva. 
79 

Ove  la  Sava  nel  Danubio  scende, 


76.  6.  sia,  d'Ang.,  Divo.  «  Alluse  al  costume 
dei  Romani,  i  quali  alloro  Augusti  dopo  la 
morte  consacravano  tempii,  e  dirizzavano 
altari,  e  li  collocavano  fra  gli  dei.  Laonde 
Vespasiano  volendo  dire  d'esser  vicino  alla 
morte,  festevolmente  disse:  iain  deus  fio  ». 
(Fornari).  Anche  nelle  parole  di  Ruggero 
v'  è  il  tono  di  scherzo  amaro. 

77.  6.  L'aq.  b.  ecc.;  l'aquila  bianca  la  cam- 
po azzurro,  che  era  la  sua  abituale  insegna. 

—  7.  Ma  nn  e.  liocorno;  ma  un  lioc.  can- 
dido come  un  giglio.  Per  quest'animale  cfr. 
e.  VI,  69,  n.  1.  «  Se  questa  impresa  non  fu 
di  Foresto  d' Este,  come  fu  scritto  dal  Pigna 
nella  sua  storia  1.  1,  fu  però  da'  principi 
Estensi  anticamente  usata,  e  assai  prima  che 
altri  la  facesse  sua.  E  in  più  luoghi  anche 
pubblici  di  Ferrara  si  vede  scolpita  in  mar- 
mo nei  capitelli  e  ne'  basamenti  di  colonne 
e  di  pilastri  d'antico  lavoro  »  (Barotli).  Que- 
sta è  la  ragione,  per  cui  l'Ar.  fece  prendere 
a  Ruggero  questa  seconda  insegna,  come 
per  prima  gli  aveva  data  1'  aquila  bianca 
in  campo  azzurro,  che  era  l'arme  più  mo- 
derna e  comune  degli  Estensi. 

78.  3.  gli  fa  commission,  gli  fa  comanda- 
mento. Si  cita  dai  vocabolari  questo  solo  es. 
dell'A. 

—  6.  Ostericche,  Austria.  V.  e.  xxxvii, 
90,  2. 

—  7.  latro  (lat.  Ister),  Danubio. 


620 


ORLANDO  FURIOSO 


E  verso  il  mar  maggior  con  lui  dà  volta, 
Vede  gran  gente  in  padiglioni  e  tende 
Sotto  l'insegne  imperiai  raccolta; 
Che  Costantino  ricovrare  intende 
Quella  città  che  i  Bulgari  gli  han  tolta. 
Costantin  v'è  in  persona,  e  '1  figliuol  seco 
Con  quanto  può  tutto  l'Imperio  Greco. 

80  [monte, 

Dentro  a  Belgrado,  e  fuor  per  tutto  il 
E  giù  fin  dove  il  fiume  il  pie  gli  lava. 
L'esercito  dei  Bulgari  gli  è  a  fronte; 
E  l'uno  e  l'altro  a  ber  viene  alla  Sava. 
Sul  fiume  il  Greco  per  gittare  il  ponte. 
Il  Bulgar  per  vietarlo  armato  stava. 
Quando  Ruggier  vi  giunse;  e  zutfagrande 
Attaccata  trovò  fra  le  due  bande. 
81 

I  Greci  son  quattro  contr'uno  et  hanno 
Navi  coi  ponti  da  gittar  ne  l'onda; 
E  di  voler  fiero  sembiante  fanno 
Passar  per  forza  alla  sinistra  sponda. 


79.  2.  mar  maggior.  «  Il  Ponto  Bussino  è 
oggidì  Mar  maggiore  chiamato  »  (Fornari). 
Marco  Polo  nel  proemio  al  Milione  :  «  E  fi- 
nalmente (Niccolò  Polo  e  M.  MafRo  Polo) 
deliberarono  di  andare  nel  Mar  Maggiore... 
e,  partendosi  di  Costantinopoli,  navigarono 
per  il  detto  Mar  Maggiore  ».  Secondo  il  Pau- 
tliier,  nella  sua  edizione  dei.  viaggi  di  M. 
Polo,  il  Ponto  chiamavasi  mar  maggiore 
per  opposizione  alla  assai  più  piccola  Pro- 
pontide  (Mare  di  Marmara),  che  ne  è  come 
il  vestibolo.  A  questa  opinione  diceva  di 
attenersi  il  prof.  L.  Hugues,  che  mi  forniva 
questa  notizia. 

—  5.  Che;  poiché.  V.  e.  iii,  6,  n.  6.  —  ri- 
covrare, ricuperare  —  Probabilmente  l'Ar. 
in  tutto  questo  luogo  ha  avuto  presente  la 
storia  di  Costantino  IV,  Copronimo,  impe- 
ratore di  Costantinopoli  dal  711  al  775,  e  di 
suo  figlio  Leone  IV  detto  il  Cazaro  (775-7S0). 
Costantino  ebbe  veramente  guerra  coi  Bul- 
gari e  subi  pure  sconfitte:  quantunque  in 
fine  li  vincesse.  Sappiamo  inoltre  che  Leo- 
ne IV  voleva  imparentarsi  con  la  corte  di 
Carlomagno  facendo  sposare  a  suo  figlio 
Costantino  la  principessa  Franca  Rotrude; 
ma  il  matrimonio  poi  non  avvenne  (Cantù, 
St.  Un.  IV,  pag.  513-515).  Forse  da  tutti 
questi  slementi  trasse  materia  l'Ar. 

—  8.  Con  quanto  può.  Invece  di  dire:  coìi 
tutta  la  forza  dell' Imp.  Gr.  ;  cioè  con  tutti 
i  soldati;  ha  detto:  con  quanto  può,  con 
quanta  potenza  ha,  T  imp.  Gr. 

SO.  1.  il  monte.  Belgrado,  che  si  trova  al 
confluente  della  Sava  e  del  Danubio,  è  co- 
strutta sopra  un  colle  scosceso,  la  cui  som- 
mità è  occupata  dalla  fortezza.  Belgrado  fu 
nel  medio  evo  appellata  anche  Alba  Bul- 
(jaroruni. 

81.  4.  alla  sinistra  sponda.  Intendi:  stando 


Leone  intanto,  con  occulto  inganno 
Dal  fiume  discostandosi,  circonda 
Molto  paese,  e  poi  vi  torna,  e  getta 
Ne  l'altra  ripa  i  ponti,  e  passa  in  fretta: 
82  [piede, 

E  con  gran  gente,  chi  in  arcion,  chi  a 
(Che  non  n'avea  di  ventimila  un  manco) 
Cavalcò  lungo  la  riviera,  e  diede 
Con  fiero  assalto  a  gl'inimici  al  fianco. 
L'Imperator,  tosto  che  '1  figlio  vede 
Sul  fiume  comparirsi  al  lato  manco. 
Ponte  aggiungendo  a  ponte  e  nave  a  nave, 
Passa  di  là  con  quanto  esercito  have. 
83 

Il  capo,  il  Re  de'  Bulgari  Vatrano, 
Animoso  e  prudente  e  prò  guerriero, 
Di  qua  e  di  là  s'affaticava  in  vano 
Per  riparare  a  un  impeto  si  fiero; 
Quando  cingendol  con  robusta  mano 
Leon,  gli  fé'  cader  sotto  il  destriero; 
E  poi  che  dar  prigion  mai  non  si  volse, 
Con  mille  spade  la  vita  gli  tolse. 
84 

I  Bulgari  sin  qui  fatto  avean  testa; 
Ma  quando  il  lor  Signor  si  vider  tolto, 
E  crescer  d'ogn' intorno  la  tempesta, 
Voltar  le  spalle  ove  avean  prima  il  volto. 
Ruggier,  che  misto  vien  fra  i Greci,  e  que- 
Scoufitta  vede,  senza  pensar  molto,    [sta 


su  la  sinistra  sponda  della  Sava,  fanno  sem- 
biante di  voler  passare  il  fiume.  Belgrado 
infatti  è  sulla  destra,  ed  essi  erano  su  la 
sinistra  del  fiume. 

—  6.  circonda,  gira.  V.  e.  x,  113,  2. 

82.  3-4.  diede...  a.  g.  in.  al  fianco,  investi  i 
nemici  al  fianco,  sul  fianco.  Per  questo  si- 
gnific  di  dare  cfr.  e.  xxv,  12,  n.  4. 

8;ì.  2.  prò,  prode.  Gli  antichi  usarono  que- 
sta forma  anche  in  prosa.  Boccaccio,  Nov. 
78:  «  Al  Duca  d'Atene,  giovane  e  bello  e  prò 
della  persona  ». 

—  5.  cingendo!,  colpendolo.  Cosi  pure  nel 
e.  XIV,  85,  6;  xxv,  11,  5.  —  con  robusta  mano. 
Intendono:  con  un  drappello  di  valorosi 
(lat.  manus,  schiera);  ma  si  fa  cadere  il 
cavallo  sotto  un  cavaliere  con  una  schiera? 
0  non  piuttosto  con  un  colpo,  assestato  da 
braccio  robusto?  Cosi  dunque  devi  inten- 
dere. 

84.  5.  misto  fra  i  Greci.  Accortamente  il 
Poeta  ha  posto  Ruggero  fra  i  Greci,  che, 
vittoriosi,  iuseguouo;  anziché  fra  i  Bulgari, 
che,  inseguiti,  fuggono  :  poiché  se  lo  avesse 
fin  da  principio  messo  fra  i  Bulgari,  o  avrei»- 
be  doviito  far  fuggire  anclie  lui,  il  che  era 
indegno  d'un  eroe,  o  non  avrebbe  potuto 
far  risaltare  la  sconfitta  dei  Bulgari,  che  si 
cambia  in  vittoria  sol  per  Ruggero,  poiché 
quand'egli  avesse  preso  parte  aUa  pugna,  " 
Bulgari  non  avrebbero  perduto. 


CANTO  XLIV 


G21 


I  Bulgari  soccorrer  si  dispone, 
Perch'odia  Costautino  e  più  Leone. 

85 

Sprona  Frontin  che  sembra  al  corso  un 
E  inanzi  a  tutti  i  corridori  passa;  [vento, 
E  tra  la  gente  vien,  che  per  spavento 
Al  monte  fugge,  e  la  pianura  lassa. 
Molti  ne  ferma,  e  fa  voltare  il  mento 
Contra  i  nemici,  e  poi  la  lancia  abbassa; 
E  con  si  tìer  sembiante  il  destrier  muove. 
Che  fin  nel  ciel  Marte  ne  teme  e  Giove. 
86 

Dinanzi  agli  altri  un  cavalliero  adoc- 
Che  riccaraato  nel  vestir  vermiglio  [chia, 
Avea  d'oro  e  di  seta  una  pannocchia 
Con  tutto  il  gambo,  che  parca  di  miglio; 
Nipote  a  Costantin  per  la  sirocchia. 
Ma  che  non  gli  era  men  caro,  che  figlio: 
Gli  spezza  scudo  e  osbergo,  come  vetro; 
E  fa  la  lancia  un  palmo  apparir  dietro. 
87 

Lascia  quel  morto,  e  Balisarda  stringe 
Verso  uno  stuol  che  più  si  vede  appresso; 
E  contra  a  questo  e  contra  a  quel  si  spinge. 
Et  a  chi  tronco  et  a  chi  il  capo  ha  fesso  ; 
A  chi  nel  petto,  a  chi  nel  fianco  tinge 

II  brando,  e  a  chi  l'ha  ne  la  gola  messo: 
Taglia  busti,  anche,  braccia,  mani  e  spalle, 
E  il  sangue,  come  un  rio,  corre  alla  valle. 

88 
Non  è,  visti  quei  colpi,  chi  gli  faccia 
Contrasto  più;  cosi  n'è  ogniun  smarrito  ; 
Si  che  si  cangia  subito  la  faccia 
De  la  battaglia;  che  tornando  ardito 


—  7.  soccorrer,  a  soccorrer. 

85.  1.  Sprona  ecc.;  Ruggero  traversa  cor- 
rendo le  schiere  dei  Greci,  entra  fra  i  Bul- 
gari fuggenti  ecc. 

—  5.  e  fa;  Sottintendi:  loro:  fa  loro  vol- 
tare ecc. 

SO.  2.  riccamato;  ricamata.  V.  e.  v,  58, 
n.  5.  Per  la  doppia  e  cfr.  e.  xxxix,  17,  n.  8. 

—  3.  d'oro  e  di  s.,  con  oro  e  con  seta.  V. 
e.  XXV,  53,  n.  B. 

—  4.  che  parea  di  m.  ;  la  quale  parea  una 
pannocchia  di  miglio.  Quantunque  ija>i«oc- 
chia  si  dica  oggi  per  lo  più  quella  del  gran- 
turco e  della  saggina,  pure  si  dice  ancora, 
come  si  disse  in  antico,  anche  quella  del 
miglio  e  del  panico.  Pannocchia  viene  dal 
lat.  panus  (panucula),  tumore  :  Plinio  chia- 
ma cosi  la  spiga  del  miglio. 

—  5.  per  la  sir.,  per  parte  della  sorella. 
Non  mi  sembra  che  questo  significato  di  per 
sia  citato  dai  vocabolari. 

87.  1-2.  stringe  verso;  stringe,  andando 
verso  ecc.  Brachilogia  simile  a  quella  del  e. 
Ili,  16,  2. 

—  4.  tronco;  e  a  chi  ha  troncato  il  capo, 
a  chi  ecc. 


Il  petto  volge,  e  ai  Greci  dà  la  caccia 
Il  Bulgaro  che  dianzi  era  fuggito: 
In  un  momento  ogni  ordine  disciolto 
Si  vede,  e  ogni  stendardo  a  fuggir  volto. 
89 

Leone  Augusto  s'un  poggio  eminente. 
Vedendo  i  suoi  fuggir,  s'era  ridutto; 
E  sbigottito  e  mesto  ponea  mente 
(Perch'era  in  loco  che  scopriva  il  tutto) 
Al  cavallier  ch'uccidea  tanta  gente, 
Che  per  lui  sol  quel  campo  era  distrutto; 
E  non  può  far,  se  ben  n'è  olì'eso  tanto, 
Che  non  lo  lodi,  e  gli  dia  in  arme  il  vanto. 
90 

Ben  comprende  all'insegne  e  sopravesti, 
All'arme  luminose  e  ricche  d'oro, 
Che,  quantunque  il  guerrier  dia  aiuto  a 
Nimici  suoi,  non  sia  però  di  loro,  [questi 
Stupido  mira  i  soprumani  gesti, 
E  talor  pensa  che  dal  sommo  coro 
Sia  per  punire  i  Greci  un  Agnol  sceso. 
Che  tante  e  tante  volte  hanno  Dio  oft'eso. 
91 

E  come  uom  d'alto  e  di  sublime  core, 
Ove  l'avrian  molt'altri  in  odio  avuto. 
Egli  s'innamorò  del  suo  valore. 
Né  veder  fargli  oltraggio  avria  voluto: 
Gli  sarebbe  per  un  de'  suoi  che  muore,    ■ 
Vederne  morir  sei  manco  spiaciuto, 
E  perder  anco  parte  del  suo  regno. 
Che  veder  morto  un  cavallier  si  degno. 
92 

Come  bambin,  se  ben  la  cara  madre 
Iraconda  lo  batte,  e  da  sé  caccia. 
Non  ha  ricorso  alla  sorella  o  al  padre. 
Ma  a  lei  ritorna,  e  con  dolcezza  abbraccia. 
Cosi  Leon,  se  ben  le  prime  squadre 
Ruggier  gli  uccide,  e  l'altre  gli  minaccia, 
Non  lo  può  odiar,  perch'all'amor  più  tira 
L'alto  valor,  che  quella  offesa  all'ira. 


89.  4.  in  loco  che.  Si  può  intendere  :  in 
luogo  tale  che  egli  scopriva  il  t.;  e  anche: 
in  luogo  dal  quale  egli  scopriva  (e.  xxxviii, 
60,  6);  e  anche:  in  luogo  che  lasciava  ve- 
dere. Cosi  nel  e.  xvii,  120,  3.  È  preferibile 
quest'ultima  interpretazione. 

—  6.  che.  È  correlativo  di  tanta  gente. 

—  7.  E  non  può  far  ecc.  Il  Romizi  cita 
molto  opportunamente  un  pensiero  di  Ci- 
cerone; Or.  in  Pisonem,  22:  «  Habet  hoc 
virtus  ut  viros  fortes,  species  eius  et  pul- 
chritudo,  etiam  in  hoste  posita,  delectet  ». 

90.  3-4.  Che...  non  sia.  Vedi,  per  il  con- 
giuntivo, e.  V,  67,  n.  8. 

92.  2.  Iraconda,  adirata  :  e.  xxvii,  70.  Per 
questo  significato  si  citano  soltanto  questi 
due  es.  dell'Ar. 

—  4.  abbraccia,  ^abbraccia. 

^   7.  più  tira,  più  lo  tira.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 


622 


ORLANDO  FURIOSO 


93 

Ma  se  Leon  Ruggiero  ammira  et  ama, 
Mi  par  che  duro  cambio  ne  riporte; 
Che  Ruggiero  odia  lui,  né  cosa  brama 
Più  che  di  dargli  di  sua  man  la  morte. 
Molto  con  gli  occhi  il  cerca,  et  alcun  chia- 
Che  glie  le  mostri  ;  ma  labuona  sorte,  [ma, 
E  la  prudenza  de  l'esperto  Greco 
Non  lasciò  mai  che  s'afifrontasse  seco. 
94 

Leone,  acciò  che  la  sua  gente  affatto 
Non  fosse  uccisa,  fé'  sonar  raccolta; 
Et  all'Imperatore  un  messo  ratto 
A  pregarlo  mandò,  che  desse  volta 
E  ripassasse  il  fiume;  e  che  buon  patto 
N'avrebbe,  se  la  via  non  gli  era  tolta: 
Et  esso  con  non  molti  che  raccolse, 
Al  ponte  ond'era  entrato,  i  passi  volse. 
95 

Molti  in  poter  de'  Bulgari  restaro 
Per  tutto  il  monte,  e  sin  al  fiume  uccisi; 
E  vi  restavan  tutti,  se  '1  riparo 
Non  gli  avesse  del  rio  tosto  divisi. 
Molti  cader  dai  ponti,  e  s'affogaro; 
E  molti,  senza  mai  volgere  i  visi. 
Quindi  lontano  irò  a  trovar  il  guado; 
E  molti  fur  prigion  tratti  in  Belgrado. 
96    - 

Finita  la  battaglia  di  quel  giorno. 
Ne  la  qual,  poi  che  il  lor  Signor  fu  estinto. 
Danno  i  Bulgari  avriano  avuto  e  scorno, 
Se  per  lor  non  avesse  il  Guerrier  vinto, 
Il  buon  guerrier  che  '1  candido  liocorno 
Ne  lo  scudo  vermiglio  avea  dipinto; 
A  lui  si  trasson  tutti,  da  cui  questa 


93.  6.  glie  le;  glie  lo.  V.  e.  Xlii,  50,  n.  4. 

—  7.  esperto,  che  aveva  fatto  esperienza 
della  forza  di  Ruggero  nelle  sue  misere 
squadre.  Intendendo  cosi  non  v'  è  bisogno 
di  dare  a  esperto  un  significato  speciale  di 
accorto,  astuto,  come  alcuni  fanno, 

94.  2.  fé  sonar  r.  Si  disse  ugualmente: 
sonare  a  raccolta,  sonar  la  raccolta  e 
sonar  raccolta. 

—  3.  ratto.  È  avverbio:  prestamente. 

95.  1-2.  Molti  ecc.  Molti,  che  non  fecero 
a  tempo  a  fuggire,  perché  tagliali  fuori  dal 
rimanente  esercito,  rimasero  in  potere  dei 
Bulgari,  che  li  uccisero  dove  li  trovarono, 
sparsi  per  tutto  il  monte  i usino  al  fiume. 

—  4.  rio,  il  fiume  Sava,  che  i  Greci  ave- 
vano già  ripassato. 

—  5,  cader,  cadéro.  Le  forme  cadel,  cade, 
caderono,  usate  in  verso  e  in  prosa  assai 
frequentemente  dagli  antichi,  non  sono  in- 
teramente morte  nell'uso  popolare  e  nel 
letterario:  e.  xxxii,  79. 

—  7.  irò,  andarono.  È  forma  poetica  assai 
rara.  L'usò  anche  il  Tasso,  Ger.,  19,  2;  20, 
111. 


Vittoria  conoscean,  con  gioia  e  festa. 
97 

Uno  il  saluta,  un  altro  se  gì' inchina, 
Altri  la  mano,  altri  gli  bacia  il  piede: 
Ogn'un,  quanto  più  |)uò,  se  gli  avvicina, 
E  beato  si  tien  chi  appresso  il  vede, 
E  più  eh'  il  tocca;  che  toccar  divina 
E  sopra  naturai  cosa  si  crede. 
Lo  pregan  tutti,  e  vanno  al  ciel  le  grida, 
Che  sia  lor  Re,  lor  capitan,  lor  guida. 
98 

Ruggier  rispose  lor,  che  capitano 
E  Re  sarà,  quel  che  fia  lor  più  a  grado  ; 
Ma  né  a  baston  né  a  scettro  ha  dapor  mano, 
Né  per  quel  giorno  entrar  vuole  in  Bel- 

[grado : 
Che,  prima  che  si  faccia  più  lontano 
Leone  Augusto,  e  che  ripassi  il  guado. 
Lo  vuol  seguir,  né  tòrsi  da  la  traccia. 
Fin  che  noi  giunga,  e  che  morir  noi  faccia; 
99 

Che  mille  miglia  e  più,  per  questo  solo 
Era  venuto,  e  non  per  altro  effetto. 
Cosi  senza  indugiar  lascia  lo  stuolo, 
E  si  volge  al  camin  che  gli  vien  detto, 
Che  verso  il  ponte  fa  Leone  a  volo. 
Forse  per  dubbio  che  gli  sia  intercetto. 
Gli  va  dietro  per  l'orma  in  tanta  fretta. 
Che  '1  suo  scudier  non  chiama  e  non  a- 
100  [spetta. 

Leone  ha  nel  fuggir  tanto  vantaggio 
(Fuggir  si  può  ben  dir,  più  che  ritrarse), 
Che  trova  aperto  e  libero  il  passaggio; 
Poi  rompe  il  ponte,  e  lascia  le  navi  arse. 
Non  v'arriva  Ruggier,  ch'ascoso  il  raggio 


96.  8.  conoscean,  riconoscevano.  Cosi  nel 
e.  XXVII,  83,  8,  e  il  Petrarca,  I.  ball.  5: 
«  Da  lor  conosco  l'esser  ove  io  sono  ». 

97.  5.  che  toccar.  Il  che  può  esser  relativo 
del  precedente  chi  il  tocca;  e  anche  con- 
giunzione: poiché.  V.  e.  Ili,  6,  n.  6. 

98.  3.  baston,  un  bastone,  per  lo  più  d'a- 
vorio o  d'oro  (e.  XIV,  21,  7),  era  l'insegna 
del  comando  militare,  come  la  corona  e  lo 
scettro,  dell'autorità  regia. 

—  4.  per  quel  giorno.  Uniscilo  al  primo 
ma  :  ma  per  quel  giorno  né  ha  da  por  mano 
ecc.,  né  entrar  v.  ecc. 

—  5.  Che.  Può  esser  congiunzione  dichia- 
rativa dipendente  da  dice,  e  anche  \}er  per- 
ché. Lo  stesso  dicasi  del  che  del  v.  1.  st. 
seguente.  È  meglio  intenderlo  nel  primo 
modo. 

99.  5.  Che.  È  congiunzione  dichiarativa 
dipendente  da  gli  vien  detto  :  al  cammino,  il 
quale  gli  vien  detto  che  fa  Leone  verso  il 
ponte  in  tutta  fretta. 

100.  1.  ha  t.  vantaggio,  è  tanto  avanti;  è 
avanti  di  tanta  strada. 

—  5.  Non  T'arriva...  ch'ascoso  ecc.  Rugge. 


CANTO  XLIV 


623 


Era  del  sol,  né  sa  dove  alloggiarse. 
Cavalca  inanzi,  che  Iucca  la  luna, 
Né  mai  trova  Castel  né  villa  alcuna. 
101 

Perché  non  sa  dove  si  por,  camina 
Tutta  la  notte,  né  d'arcion  mai  scende. 
Ne  lo  spuntar  del  nuovo  sol  vicina 
A  man  sinistra  una  città  comprende; 
Ove  di  star  tutto  quel  di  destina. 
Acciò  l'ingiuria  al  suo  Frontino  emende, 
A  cui,  senza  posarlo  o  trargli  briglia, 
La  notte  fatto  avea  far  tante  miglia. 
102 

Ungiardo  era  signor  di  quella  terra. 


ro  non  v'era  ancora  arrivato  che  (quando)  il 
raggio  del  «ole  era  ascoso.  Questa  espres- 
sione si  usa  per  indicare  il  succedersi  im- 
mediato d'uu'azione.o  d'un  fatto  ad  un  altro. 
Nel  e.  XXVII,  57,  5:  «  Gradasso  non  udì  tutto 
il  tenore,  Che  disse  »,  Grad.  non  aveva  an- 
cora udito  tutto  il  t.  quando  disse;  cioè: 
appena  appena  aveva  udito,  quando  disse. 
—  In  questo  luogo  avverti  il  presente  invece 
del  più  comune  trapassato  prossimo. 

—  7.  che  Iacea,  poiché  lucea. 

101.  4.  comprende,  scorge.  Cosi  nel  e.  xv, 
4-1,  5;  XXII,  37,  3.  —  una  città:  vede  su  la 
sua  sinistra  la  città  di  Novigrad:  cfr.  e.  xlv, 
st.  10,  2. 

—  7.  posarlo,  riposarlo,  farlo  riposare. 
V.  e.  xxvni,  86,  7. 

102.  1.  terra,  città.  V.  e.  X,  75,  n.  2. 


Suddito  e  caro  a  Costantino  molto. 
Ove  avea  per  cagion  di  quella  guerra 
Da  cavallo  e  da  pie  buon  numer  tolto: 
Quivi,  ove  altrui  l'entrata  non  si  serra, 
Entra  Ruggiero,  e  v'è  si  ben  raccolto. 
Che  non  gli  accade  di  passar  più  avante 
Per  aver  miglior  loco  e  più  abondaute. 
103 

Nel  medesimo  albergo  in  su  la  sera 
Un  cavallier  di  Romania  alloggiosse. 
Che  si  trovò  ne  la  battaglia  fiera. 
Quando  Ruggier  pei  Bulgari  si  mosse, 
Et  a  pena  di  man  fuggito  gli  era. 
Ma  spaventato  più  ch'altri  mai  fosse; 
Si  ch'ancor  triema,  e  pargli  ancora  intor- 
Avere  il  cavallier  dal  liocorno.  [no 

104 

Conosce,  tosto  che  lo  scudo  vede. 
Che  '1  cavallier  che  quella  insegna  porta, 
È  quel  che  la  sconfitta  ai  Greci  diede, 
Per  le  cui  mani  è  tanta  gente  morta. 
Corre  al  palazzo,  et  udienza  chiede. 
Per  dire  a  quel  Signor  cosa  eh'  importa; 
E  subito  intromesso,  dice  quanto 
Io  mi  riserbo  a  dir  ne  l'altro  Canto. 


—  3.  Ove.  Il  distacco  forzato  del  relativo 
è  stato  più  volte  notato:  e,  iv,  51,  4;  xxvi, 
62,  2  ecc. 

—  4.  Da  cavallo  e  da  p.  ;  atti  ad  andare  a 
cavallo  e  a  piedi  ;  cavalieri  e  pedoni. 

—  6.  raccolto,  accolto. 

—  7.  gli  accade,  gli  occorre. 


CANTO  XLV 


Quanto  più  su  l'instabil  ruota  vedi 
Di  Fortuna  ire  in  alto  il  miser  uomo. 
Tanto  più  tosto  hai  da  vedergli  i  piedi 
Ove  ora  ha  il  capo,  e  far  cadendo  il  tomo. 
Di  questo  esempio  è  Policràte,  e  il  Re  di 


*  Tutto  questo  cauto  fu  aggiunto  per  l'ed. 
del  1532. 

1.  2.  ire  in  alto.  Per  questa  immagine 
vedi  e.  XIX,  1,  n.  2,  dove  l'esempio  del  Sac- 
chetti spiega  egregiamente  questo  luogo.  La 
Fortuna  tiene  in  alto  presso  di  sé  quei  che 
favorisce,  travolge  sotto  la  ruota  e  fa  ca- 
polevare  quelli  che  perseguita.  Il  concetto 
qui  esposto  dall'Ar.  è  nella  coscienza  popo- 
lare, e  dagli  scrittori  in  diverse  forme  mille 
volte  espresso, 

—  4.  tomo,  la  caduta.  V.  e.  xliii,  8,  n.  3. 

—  5-6.  Policràte,  (537-522  a.  0.)  potente  ti- 
ranno di  Samo.  Erodoto  racconta  di  lui,  che 


Lidia,  e  Dionigi,  et  altri  ch'io  non  nomo, 
Che  minati  son  da  la  suprema 
Gloria  in  un  di  ne  la  miseria  estrema. 
2 
Cosi  all'incontro,  quanto  più  depresso, 


essendo  felicissimo,  per  istornare  da  sé  l'in- 
vidia degli  dei,  gettò  in  mare  un  anello  di 
rara  bellezza  (L' anello  di  P.),  che  pochi 
giorni  dopo  fu  rinvenuto  nel  ventre  d'  un 
pesce  regalato  a  P.  da  un  pescatore  (sto- 
riella cantata  da  Schiller).  Adescato  dal  sa- 
trapo persiano  Oroete,  P.  si  recò  a  Magne- 
sia, dov'ebbe  una  morte  straziante,  e  il  capo 
fu  fatto  appendere  a  una  croce  —  il  Ee  di 
Lidia,  Creso  (512  a.  C.)  ricchissimo  e  poten- 
tissimo, fu  poi  vinto  da  Ciro  e  ridotto  a  vita 
privata.  —  Dionigi,  tiranno  di  Siracusa  (367- 
343  a.  C.)  dal  suo  prospero  stato  passò  a 
condizione  di  dover  fare  il  maestro  di  scuola 
per  guadagnarsi  da  vivere. 


624 


ORLANDO  FURIOSO 


Quauto  è  pili  l'uoni  di  questa  ruota  al  fondo, 
Tanto  a  quel  punto  più  si  trova  appresso, 
C  ha  da  salir,  se  de'  girarsi  in  tondo. 
Alcun  sul  ceppo  quasi  il  capo  ha  messo, 
Che  l'altro  giorno  ha  dato  legge  al  mondo. 
SeiTio  e  Mario  e  Ventidio  l'hanno  mostro 
Al  tempo  antico,  e  il  Re  Luigi  al  nostro: 
3 

Il  Re  Luigi,  suocero  del  figlio 
Del  Duca  mio;  che  rotto  a  Santo  Albino, 
E  giunto  al  suo  nimico  ne  l'artiglio, 
A  restar  senza  capo  fu  vicino. 
Scórse  di  questo  anco  maggior  periglio 
Non  molto  inanzi  il  gran  Mattia  Corvino. 
Poi  l'un,  de' Franchi,  passato  quel  punto. 
L'altro  al  regno  degli  Ungari  fu  assunto, 
4 

Si  vede  per  gli  esempi  di  che  piene 
Sono  l'antiche  e  le  moderne  istorie, 
Che  '1  ben  va  dietro  al  male,  e  '1  male  al 

[bene, 
E  fin  son  l'un  de  l'altro  e  biasmi  e  glorie; 


2.  3.  a  quel  punto,  nìValto  della  ruota  del 
secondo  verso  della  st.  1;  oppure  al  punto 
della  suprema  gloria  dei  vv.  7-8, 

—  4.  Ch'ha  da  8.:  Intendi:  poiché,  se  deve 
girarsi  in  tondo,  come  vuole  la  ruota  di 
Fort.,  ha  da  salire,  conviene  che  salga.  Que- 
sto e  non  altro  mi  pare  il  senso  dei  vv.  3-1. 

—  7.  ServioTullio,  secondo  alcuni  nacque 
da  una  schiava  latina,  secondo  altri  da  gran- 
de famiglia  Etrusca.  L'Ar.  si  attenne  alla 
prima  versione  —  Mario  fu  umile  soldato 
d'Arpino  e  divenne  console  sette  volte  e  uno 
dei  più  grandi  capitani  di  Roma  —  Ventidio 
tiglio  di  un  patrizio  piceno  d'Ascoli  era  stato 
fatto  prigioniero  nella  guerra  sociale.  A 
Roma  si  mise  a  fare  l'appaltatore  di  muli 
per  l'esercito.  Per  il  suo  valore  si  fece  no- 
tare nelle  guerre  civili,  quindi  vinse  i  Parti 
ed  ebbe  per  ciò  un  meritato  trionfo  (38  a.  C). 

—  8.  il  re  Luigi,  di  Francia,  che  dette  la 
figlia  Renata  in  moglie  a  Ercole  II  d'Este, 
era  slato,  prima  di  salire  al  trono,  vinto  e 
fatto  prigioniero  da  Carlo  Vili  a  S.  Aubin 

■  (S.  Albino)  e  avea  corso  pericolo  d'esser  de- 
capitato. 

3.  5.  Scorse,  corse.  Scorrere  un  pericolo 
è  modo  non  registrato  dai  vocabolari,  e  as- 
sai notevole. 

—  6.  Mattia  C,  uomo  di  grande  valore, 
prima  di  diventare  re  d'Ungheria  (1458)  fu 
per  esser  messo  a  morte  dal  suo  predeces- 
sore vladislao,  perché  gli  aveva  ucciso  un 
parente.  Questo  avvenne  circa  trent'  anni 
prima  di  quanto  è  stato  detto  di  Luigi  XII. 

4.  3.  Ta  dietro.  Più  comunemente  vien 
dietro,  succede. 

—  4.  E  fin  ecc.  ;  la  gloria  finisce  in  bia- 
simo, il  biasimo  in  gloria.  Petrarca  i, 


E  che  fidarsi  a  l'uom  non  si  conviene 
In  suo  tesor,  suo  regno  e  sue  vittorie, 
Né  disperarsi  per  Fortuna  avversa, 
Che  sempre  la  sua  ruota  in  giro  versa. 
5 

Ruggier  per  la  vittoria  ch'avea  avuto 
Di  Leone  e  del  padre  Imperatore, 
In  tanta  confidenzia  era  venuto 
Di  sua  fortuna  e  di  suo  gran  valore, 
Che  senza  compagnia,  senz'altro  aiuto. 
Di  poter  egli  sol  gli  dava  il  core        fdre 
Fra  cento  a  pie  e  a  cavallo  armate  squa- 
Uccider  di  sua  mano  il  figlio  e  il  padre, 
6 

Ma  quella,  che  non  vuol  che  si  prometta 
Alcun  di  lei,  gli  mostrò  in  pochi  giorni. 
Come  tosto  alzi,  e  tosto  al  bf^so  metta, 
E  tosto  avversa,  e  tosto  amica  torni. 
Lo  fé'  conoscer  quivi  da  chi  in  fretta 
A  procacciargli  andò  disagi  e  scorni. 
Dal  cavallier  che  ne  la  pugna  fiera 
Di  man  fuggito  a  gran  fatica  gli  era, 
7 

Costui  fece  ad  Ungiardo  saper,  come 
Quivi  il  guerrier  ch'avea  le  genti  rotte 
Di  Costantino  e  per  molt'anni  dome. 
Stato  era  il  giorno,  e  vi  staria  la  notte; 
E  che  Fortuna  presa  per  le  chiome. 
Senza  che  più  travagli  o  che  più  lotte. 
Darà  al  suo  Re,  se  fa  costui  prigione; 
Ch'a'  Bulgari,  lui  preso,  il  giogo  pone. 
8 

Ungiardo  da  la  gente  che,  fuggita 
De  la  battaglia,  a  lui  s'era  ridutta 
(Ch'a  parte  a  parte  v'arrivò  infinita. 
Perch'ai  ponte  passar  non  potea  tutta) 
Sapea  come  la  strage  era  seguita. 
Che  la  metà  de'  Greci  avea  distrutta; 
E  come  un  cavallier  solo  era  stato, 
Ch'un  campo  rotto,  e  l'altro  avea  salvato: 
9 

E  che  sia  da  sé  stesso  senza  caccia 
Venuto  a  dar  del  capo  ne  la  rete, 
Si  maraviglia,  e  mostra  che  gli  piaccia, 


canz.  6:  «  Però,  lasso,  conviensi  Che  l'estre- 
mct  del  riso  assaglia  il  pianto  ». 

—  8,  versa  (lat.  versai),  volge.  Per  que- 
sto significato  si  cita  dai  vocabolari  il  solo 
esempio  dell' Ar. 

6.  1.  si  prometta,  si  riprometta,  speri  al- 
cunché da  lei.  I  vocabolari  citano  solo  esem 
pi  col  complemento  diretto.  Galilei,  M.  Sist 
21  :  «  Non  si  prometteva  del  suo  ingegno.. 
più  di  quello,  che  si  conviene  ».  Senza  coni 
pleniento  non  si  citano  esempi. 

7.  8.  pone;  porrà.  V.  e.  i,  81,  n.  3. 

8.  4.  Perch'ai  ponte  ecc.  Dà  ragione  di  a 
parte  a  parte  del  v.  superiore. 

—  6.  Che.  É  relativo  di  strage. 

9.  3.  mostra  ohe  gli  p.  ;  mostra  averne 


CANTO  XLV 


625 


Con  viso  e  gesti  e  con  parole  liete. 
Aspetta  che  Ruggier  dormendo  giaccia; 
Poi  manda  le  sue  gente  chete  chete, 
E  fa  il  buon  cavallier,  ch'alcun  sospetto 
Di  questo  non  avea,  prender  nel  letto. 
10 

Accusato  Ruggier  dal  pi-oprio  scudo, 
Ne  la  città  di  Noveugrado  resta    [crudo, 
Prigion  d'Ungiardo,  il  più  d'ogni  altro 
Che  fa  di  ciò  maravigliosa  festa. 
E  che  può  far  Ruggier,  poi  che  gli  è  nudo, 
Et  è  legato  già,  quando  si  desta?  [ta 

Ungiardo  un  suo  corrier  spaccia  a  staflfet- 
A  dar  la  nuova  a  Costantino  in  fretta. 
11 

Avea  levato  Costantin  la  notte 
Da  le  ripe  di  Sava  ogni  sua  schiera  ; 
E  seco  a  Beleticche  avea  ridotte, 
Che  città  del  cognato  Androfìlo  era, 
Padre  di  quello  a  cui  forate  e  rotte 
(Come  se  state  fossino  di  cera) 
Al  primo  incontro  l'arme aveail  gagliardo 
Cavallier,  or  prigion  del  fiero  Ungiardo. 
12 

Quivi  fortificar  facea  le  mura 
L'Imperatore,  e  riparar  le  porte; 
Che  de'  Bulgari  ben  non  s'assicura. 
Che  con  la  guida  d'un  guerrier  si  forte 
Non  gli  faccino  peggio  che  paura, 
E  '1  resto  ponghin  di  sua  gente  a  morte. 
Or  che  l'ode  prigion,  né  quelli  teme. 
Né  se  con  lor  sia  il  mondo  tutto  insieme. 


piacere.  V.  e.  i,  38,  n.  6,  e  anche   e.  v,  G7, 
n.  8. 

10.  2.  Novengrado  «Novi,  piccola  città  della 
Bosnia  sulla  Sava:  lat.  Novigradum»  (Bol- 
za) ,'  ma  questa  Novi  non  è  su  la  Sava  ed  è  a 
troppa  distanza  da  Belgrado  :  è  al  confluente 
della  Sauna  e  della  Uuna.  Il  Casella  nota 
«  Neugrad  in  Ungheria  ».  Più  precisamente 
Novigrad  su  la  sinistra  della  Sava  nel  ter- 
ritorio di  Brod,  quasi  di  fronte  a  Novosele 
in  Bosnia.  E  a  questa  certamente  alludeva 
l'Ariosto. 

11.  3.  Beleticche.  «  Antico  nome  d' una 
città  di  Bulgaria  »  (Bolza).  Ma  io  non  ho 
trovato  né  in  carte  né  in  dizionari  niente, 
che  valga  a  sodisfare.  Sulla  Sava  e  nella 
Bosnia  e'  è  Bertschka,  ma  la  differenza  dei 
due  nomi  pare  troppo  forte.  —  avea  ridotte, 
le  avea  rid. 

—  5.  Padre  di  quello  ecc.  V.  e.  XLIV,  st.  86. 

12.  3.  non  s'assicura,  non  si  tiene  sicuro. 
Cosi  Petrarca,  iv,  canz.  2:  «Per  cui  la 
gente  ben  non  s'assicura»,  ma,  come  si  vede, 
con  diverso  costrutto. 

—  5.  faccino,  facciano.  Terminazione  pò- 
p  1  re  ancor  viva  nel  volgo, 

—  8.  Né  ecc.  Costruisci  :  né  il  mondo 
tutto  insieme  se  sia  con  loro,  se  fosse  con 
loro. 


13 

L'Imperator  nuota  in  un  mar  di  latte, 
Né  per  letizia  sa  quel  che  si  faccia. 
Ben  son  le  genti  Bulgare  disfatte, 
Dice  con  lieta  e  con  sicura  faccia. 
Come  de  la  vittoria,  chi  combatte. 
Se  troncasse  al  nimico  ambe  le  braccia, 
Certo  saria,  cosi  n'è  certo,  e  gode 
L'Imperator,  poi  che'lguerrierpreso  ode. 
14 

Non  ha  minor  cagion  di  rallegrarsi 
Del  patre  il  figlio;  ch'oltre  che  si  spera 
Di  racquistar  Belgrado,  e  soggiugarsi 
Ogni  contrada  che  de'  Bulgari  era; 
Disegua  anco  il  Guerriero  amico  farsi 
Con  benefici,  e  seco  averlo  in  schiera. 
Né  Rinaldo  né  Orlando  a  Carlo  Magno 
Ha  da  invidiar,  se  gli  è  costui  compagno 
15 

Da  questa  voglia  è  ben  diversa  quella 
Di  Teodora,  a  chi  '1  figliuolo  uccise 
Ruggier  con  l'asta  che  da  la  mammella 
Passò  alle  spalle,  e  un  palmo  fuor  si  mise. 
A  Costantin  del  quale  era  sorella. 
Costei  si  gittò  a'  piedi,  e  gli  conquise 
E  intenerigli  il  cor  d'alta  pietade 
Con  largo  pianto,  che  nel  sen  le  cade. 
16 

Io  non  mi  leverò  da  questi  piedi, 
Diss'ella,  Signor  mio,  se  del  fellone 
Ch'uccise  il  mio  figliuol,  non  mi  concedi 
Di  vendicare,  or  che  l'abbiàn  prigione. 
Oltre  che  stato  t'è  nipote,  vedi 
Quanto  t'amò,  vedi  quant'opre  buone 
Ha  per  te  fatto,  e  vedi  s'avrai  torto 
Di  non  lo  vendicar  di  chi  l'ha  morto. 
17 

Vedi  che  per  pietà  del  nostro  duolo 
Ha  Dio  fatto  levar  da  la  campagna 
Questo  crudele,  e  come  augello,  a  volo 
A  dar  ce  l'ha  condotto  ne  la  ragna. 
Acciò  in  ripa  di  Stige  il  mio  figliuolo 


13.  1.  nuota  in  a.  m.  d.  1.  Maniera  prover- 
biale ancora  vivissima,  che  significa  è  in 
grande  allegrezza. 

14.  2.  si  spera.  Per  la  forma  rifless.  cfr. 
e.  v,  20,  n.  3. 

16.  4.  vendicare,  vendicarmi.  La  forma 
semplice  per  la  riflessiva  l'abbiamo  anche 
nel  e.  xxxiix,  42,  8.  Puoi  raffrontare  destar 
per  destarsi  e.  xxv,  43;  apparecchiar  xl, 
43.  Gli  antichi  usarono  spesso  la  forma  sem- 
plice di  questo  verbo  per  la  riflessiva. 

17.  2.  levar  da  1.  e;  toglier  via  dal  campo 
(di  battaglia):  con  riguardo  però  al  seguente 
paragone  dell'  augello. 

—  3.  a  volo,  con  non  sperata  velocità. 

—  5.  in  ripa  di  St.  ;  sulla  riva  dello  St.  ; 
ossia  neir  inferno,  nell'  altro  mondo,  fra  i 
morti  —  Ripa  per  riva  vedilo  nel  e.  xiii, 


Ariosto  —  Papini 


40 


626 


ORLANDO  FURIOSO 


Molto  senza  vendetta  non  rimagna. 
Dammi  costui,  Signore,  e  sii  contento 
Clr  io  disacerbi  il  mio  col  sito  tormento. 
18 

Cosi  ben  piange,  e  cosi  ben  si  duole, 
E  cosi  bene  et  efficace  parla; 
(Né  dai  piedi  levar  mai  se  gli  vuole 
■Benché  tre  volte  e  quattro  per  levarla 
Usasse  Costantino  atti  e  parole), 
Ch'egli  è  forzato  al  fin  di  contentarla: 
E  cosi  comandò  che  si  facesse 
Colui  condurre,  e  in  man  di  lei  si  desse. 
19 

E  per  non  fare  in  ciò  lunga  dimora, 
Condotto  hanno  il  gaerrier  del  liocorno, 
E  dato  in  mano  alla  crudel  Teodora, 
Che  non  vi  fu  intervallo  più  d'un  giorno. 
11  far  che  sia  squartato-vivo,  e  muora 
Publicamente  con  obbrobrio  e  scorno, 
Poca  pena  le  pare,  e  studia  e  pensa 
Altra  trovarne  inusitata  e  immensa. 
20 

La  femina  crudel  lo  fece  porre 
Incatenato  e  mani  e  piedi  e  collo 
Nel  tenebroso  fondo  d'una  torre, 
Ove  mai  non  entrò  raggio  d'Apollo. 
Fuor  ch'un  poco  di  pan  muffato,  tórre 
Gli  fé'  ogni  cibo,  e  senza  ancor  lassollo 
Duo  di  talora;  e  lo  die  in  guardia  a  tale, 
Ch'era  di  lei  più  pronto  a  fargli  male. 
21 

Oh!  se  d'Amon  la  valorosa  e  bella 
Figlia,  oh  se  la  magnanima  Martisa 
Avesse  avuto  di  Ruggier  novella. 


42,  n.  7.  «  Ebbe  per  creduto  la  stolta  antica 
gente  che  lo  spirito  di  qualunque  ucciso 
patisse  nello  Inferno  alcun  disagio,  rima- 
nendo invendicato,  e  cosi  all'incontro  si  ri- 
posasse quando  della  sua  morte  si  pren- 
desse vendetta.  Il  perché  Pirro  uccise  la 
bella  Polissena  alla  sepoltura  del  padre 
Achille  e  Enea  mandò  ad  Evandro  molti 
captivi  da  uccidere  per  acquetar  r  ombra 
del  morto  Pallante  »  (Fornari). 

18.  3-5.  Né  dai  piedi  ecc.  Gli  editori,  se- 
guendo l'ediz.  del  1532,  chiudono  fra  paren- 
tesi solamente  i  versi  4  e  5  ;  ma  chi  ben 
consideri  vedrà  che  questi  sono  stretta- 
mente legati  per  la  sintassi  col  precedente, 
e  che,  se  parentesi  devono  mettersi,  esse 
devono  racchiudere  anche  il  verso  3. 

—  6.  Ch'egli.  È  correlativo  dei  primi  due 
versi  della  stanza. 

19.  4.  Che,  in  modo  che;  con  tal  prestezza 
che.  L' idea  di  prestezza  si  deve  rilevare 
dal  primo  verso:  per  non  far  lunga  dimora, 
per  non  indugiar  troppo  in  ciò,  in  questa 
consegna,  hanno  condotto  Ruggero  in  modo, 
con  tal  sollecitudine  che  ecc. 


Ch'in  prigion  tormentasse  a  questa  guisa; 
Per  liberarlo  saria  questa  e  quella 
Postasi  al  rischio  di  restarne  uccisa; 
Né  Bradamante  avria,  per  dargli  aiuto, 
A  Beatrice  o  Amon  rispetto  avuto. 
22 

Re  Carlo  intanto  avendo  la  promessa 
A  costei  fatta  in  mente,  che  consorte 
Dar  non  le  lascierà,  che  sia  men  d'essa 
Al  paragoa  de  l'arme  ardito  e  forte; 
Questa  sua  voluntà  con  trombe  espressa 
Non  solamente  te'  ne  la  sua  corte, 
Ma  in  ogni  terra  al  suo  Imperio  soggetta; 
Onde  la  fama  andò  pel  mondo  in  fretta. 
23 

Questa  condizion  contiene  il  bando: 
Chi  la  figlia  d'Amon  per  moglie  vuole. 
Star  con  lei  debba  a  paragon  del  brando 
Da  l'apparire  al  tramontar  del  sole; 
E  fin  a  questo  termine  durando, 
E  non  sia  vinto,  senz'altre  parole 
La  Donna  da  lui  vinta  esser  s'intenda; 
Né  possa  ella  negar  che  non  lo  prenda; 
24 

E  che  l'eletta  ella  de  l'arme  dona, 

21.  4.  Che...  tormentasse;  soffrisse.  Feo 
Belcari,  Vita  B.  Col. 220:  «permise  venir- 
gli grande  male  di  fianco,  intanto  che  di  e 
notte  tormentava  ». 

— -  5-6.  saria...  postasi,  si  saria  posta.  V. 
e.  I,  47,  n.  6. 

2-2.  1-2.  avendo...  ia  mente;  ricordandosi 
la  promessa  a  lei  fatta  che  consorte  ecc. 

23.  4.  Da  1'  apparire  ecp.  Era  fra  gli  usi 
del  duello  antico,  che  si  fissasse  per  il  com- 
battimento un'intera  e  sola  giornata.  Questo 
patto  era  messo  per  lo  più  nelle  patenti  di 
campo  franco  e  nei  capitoli,  che  si  facevano 
per  fissare  le  condizioni  del  duello. 

—  6.  E  non  sia  vinto.  Veramente  dovreb- 
be dire  :  E  se  non  sia  vinto  ;  ma  essendo 
questa  proposizione,  coordinata  alla  prece- 
dente gerundiva,  che  equivale  appunto  a 
una  condizionale,  (durando  =  se  duri)  vien 
naturale  di  sottintendervi  il  se.  Ciò  si  fa 
non  di  rado  anche  modernamente. 

—  7.  La  Donna  ecc.;  s'intenda  la  Donna 
esser  da  lui  vinta,  che  la  Donna  sia  da  lui 
V. ;  senza  bisogno  di  altri  patti  (senz'altre 
parole). 

—  8.  negar  che  non.  Per  il  costrutto  cfr. 
e  V,  53,  n.  1  ;  e  I,  38,  n.  6. 

24.  1.  l'eletta,  la  scelta  dell' ar.  L'eletta 
dell'arme  spettava  a  colui  che  era  sfidato  : 
ora  colui  che  si  fosse  presentato  a  chiedere 
la  prova  con  Bradamante  poteva  conside- 
rarsi come  sfidante.  In  quei  tempi  1'  eletta 
dell'arme  dava  luogo  spesso  a  lunghe  que- 
stioni fra  i  duellanti  e  i  padrini.  L'Ar.  av- 
verte opportunamente  che   Brad.,  per  non 


CANTO  XLV 


627 


Senza  mirar  chi  sia  di  lor,  che  chiede. 
E  lo  potea  ben  far,  perch'era  buona 
Con  tutte  Tarme, o  sia  a  cavallo  o  a  piede. 
Amon,  che  contrastar  con  la  Corona 
Non  può  né  vuole,  al  fin  sforzato  cede  ; 
E  ritornare  a  Corte  si  consiglia, 
Dopo  molti  discorsi,  egli  e  la  figlia. 
25 

Ancor  che  sdegno  e  colera  la  madre 
Contra  la  figlia  avea,  pur  per  suo  onore 
Vesti  le  fece  far  ricche  e  leggiadre 
A  varie  foggie,  e  di  più  d'un  colore, 
Bradamante  alla  Corte  andò  col  padre; 
E  quando  quivi  non  trovò  il  suo  amore. 
Più  non  le  parve  quella  Corte,  quella 
Che  le  solca  parer  già  cosi  bella. 

26  [gio, 

Come  chi  visto  abbia,  l'aprile  o  il  mag- 
Giardin  di  frondi  e  di  bei  fiori  adorno, 
E  lo  rivegga  poi  che  '1  sol  il  raggio     [no, 
All'Austro  inchina,  e  lascia  breve  il  gior- 
Lo  trova  deserto,  orrido  e  selvaggio; 
Cosi  pare  alla  donna  al  suo  ritorno. 
Che  da  Ruggier  la  Corte  abandonata 
Quella  non  sia,  ch'avea  al  partir  lasciata. 
27 

Domandar  non  ardisce  che  ne  sia. 
Acciò  di  sé  non  dia  maggior  sospetto: 
Ma  pon  l'orecchia,  e  cerca  tuttavia,* 
Che  senza  domandar  le  ne  sia  detto. 
Si  sa  ch'egli  è  partito,  ma  che  via 
Pres'abbia,  non  fa  alcun  vero  concetto; 


far  tali  questioni  e  concluder  presto  la  cosa, 
dava  senz'altro  la  scelta  all'  avversario. 

—  2.  mirar,  considerare.  V.  e.  xliv,  54, 
n.  3.  —  chiede,  richiede,  sfida.  Era  parola 
propria  dei  duelli. 

—  5.  con  la  Corona,  con  l' Imperatore. 

25.  1-2.  Ancor  che...  avea.  V.  e.  v,  11,  n.  6. 
—  per  suo  onore.  L'abito  dimesso  della  figlia 
avrebbe  procurato  biasimo  alla  madre. 

—  7.  non  le  parve  q.  C.  È  modo  comune 
vivissimo,  a  cui  si  sottintende  di  prima: 
Non  le  parve  più  quella  corte  di  prima.  S; 
usa  anche  senza  la  ripetizione  del  sostan- 
tivo: non  le  parve  pia  quella.  Questo  luogo 
si  potrebbe  intendere  anche  cosi  :  quella 
corte  non  le  parve  più  quella,  che  le  solea 
parere  già  cosi  bella.  Ma  io  preferirei  l'al- 
tra interpretazione,  per  cui  l'ultimo  verso 
è  una  passionata  ripetizione  :  non  vi  trovò 
più  quella  corte  di  prima;  quella,  che  le 
solea  parere  ecc. 

26.  4.  All'Austro  inch.  «  Nell'inverno  pare 
che  il  sole  faccia  il  suo  giro  più  presso  alla 
parte  di  mezzogiorno  »  (Casella). 

27.  3.  pon  l'orecchia,  sta  attenta  a  quei  che 
parlano.  Più  comunemente  porgere  l'orec- 
chio, stare  in  orecchio-  Belcari,  Vit.  Col.  7: 
«  Essi  a  parole...  non  ponevano  orecchie  ». 

—  C.  non  fa  a.  t.  c.  ;   nessuno   può   con 


Perché  partendo  ad  altri  non  fé'  motto, 
Ch'alio  scudier  che  seco  avea  condotto. 
28 

Oh  come  ella  sospira!  oh  come  teme, 
Sentendo  che  se  n'è  come  fuggito! 
Oh  come  sopra  ogni  timor  le  preme, 
Che  per  porla  in  oblio  se  ne  sia  gito! 
Che  vistosi  Amon  contra,  et  ogni  speme 
Perduta  mai  più  d'esserle  marito, 
Si  sia  fatto  da  lei  lontano,  forse    . 
Cosi  sperando  dal  suo  amor  disciorse: 
29 

E  che  fatt'abbia  ancor  qualche  disegno, 
Per  più  tosto  levarsela  dal  core. 
D'andar  cercando  d'uno  in  altro  regno 
Donna  per  cui  si  scordi  il  primo  amore. 
Come  si  dice  che  si  suol  d'uu  legno 
Talor  chiodo  con  chiodo  cacciar  fuore. 
Nuovo  pensier  eh' a  questo  poi  succede, 
Le  dipinge  Ruggier  pieno  di  fede; 
30 

E  lei,  che  dato  orecchie  abbia,  riprende, 
A  tanta  iniqua  suspizione  e  stolta: 
E  cosi  l'un  pensier  Ruggier  difende. 
L'altro  l'accusa:  et  ella  araenduo  ascolta, 
E  quando  a  questo  e  quando  a  quel  s'ap- 

[prende, 
Né  risoluta  a  questo  o  a  quel  si  volta. 
Pur  all'opinion  più  tosto  corre, 
Che  più  le  giova,  e  la  contraria  aborre. 
31 

Etalorancochele torna  amente  'detto. 
Quel  che  più  volte  il  suo  Ruggier  le  ha 
Come  di  grave  error,  si  duole  e  pente, 
Ch'avuto  n'abbia  gelosia  e  sospetto; 
E  come  fosse  al  suo  Ruggier  presente. 
Chiamasi  in  colpa,  e  se  ne  batte  il  petto. 
Ho  fatto  error  (dice  ella),  e  me  n'av  veggi  o; 
Ma  chi  n'è  causa,  è  causa  ancor  di  peggio. 


verità  argomentare  :  fan  solamente  delle 
congetture.  Cosi  il  Rucellai  Oii.  Dial.fd.: 
«  Esaminiamo...  se  noi  possiamo  far  con- 
cetto che  si  ritrovi  in  esse  l'esistenza  di 
questi  innumerabili  mondi  ». 

28.  3.  le  preme,  l'addolora:  col  complem. 
al  cor  nel  e.  xi,  14,  4;  xvii,  106,  3.  Intendi: 
sopra  og.  t.  le  preme  il  timor  che  ecc. 

—  5.  Che.  Dipende  da  le  preme  timor. 

—  6.  mai  pili  d'esserle  ;  d'esserle  mai  più 
marito. 

29.  6.  Talor  chiodo  ecc.  Questo  proverbio 
ricorre  anche  nel  e.  xviii,  98,  8,  dove  trove- 
rai la  nota. 

30.  1.  riprende.  Soggetto  è  il  pensiero. 

—  2.  A  tanta  in.  Per  l' attrazione  cfr. 
e.  V,  18,  n.  7.  —  suspizione  (lat.  suspicio- 
nem),  sospetto. 

31.  1.  talor...   che;  talora...  quando. 

—  8.  Ma  chi  ecc.  Ma  Amore,  che  è  causa 
di  questi  ingiusti  sospetti,  è  causa  anche  di 


628 


ORLANDO  FURIOSO 


32  [presso 

Amor  n'  è  causa,  che  nel  cor  m'  ha  ira- 
La  forma  tua  cosi  leggiadra  e  bella; 
E  posto  ci  ha  l'ardir,  l'ingegno  appresso, 
E  la  virtù  di  che  ciascun  favella; 
Ch'impossibil  mi  par,  ch'ove  concesso 
Ne  sia  il  veder,  ch'ogni  donna  e  donzella 
Non  ne  sia  accesa,  e  che  non  usi  ogni  arte 
Di  sciorti  dal  mio  amore  e  al  suo  legarte. 
33 
Deh  avesse  Amor  cosi  ne  i  pensier  miei 
Il  tuo  pensier,  come  ci  ha  il  viso  sculto! 

10  son  ben  certa  che  lo  troverei 
Palese  tal,  qual  io  lo  stimo  occulto; 
E  che  si  fuor  di  gelosia'sarei, 

Ch'ad  or  ad  or  non  mi  farebbe  insulto; 
E  dove  a  pena  or  è  da  me  respinta, 
Rimarria  morta,  non  che  rotta  e  vinta. 
34 
Son  simile  all'avar  e' ha  il  cor  sì  intento 
Al  suo  tesoro,  e  si  ve  l' ha  sepolto, 
Che  non  ne  può  lontan  viver  contento, 
Né  non  sempre  temer  che  gli  sia  tolto. 
Ruggiero,  or  può,  eh'  io  non  ti  veggo  e 

[sento, 
In  me,  più  de  la  speme,  il  timor  molto, 

11  qual  benché  bugiardo  e  vano  io  creda, 
Non  posso  far  di  non  mi  dargli  in  preda. 

35 

Ma  non  apparirà  il  lume  si  tosto 
Agli  occhi  miei  del  tuo  viso  giocondo, 
Contra  ogni  mia  credenza  a  me  nascosto, 
Non  so  in  qual  parte,  o  Ruggier  mio,  del 
Come  il  falso  timor  sarà  deposto  [mondo. 
Da  la  vera  speranza,  e  messo  al  fondo. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  torna,  e  conforta 
La  speme  che  '1  timor  quasi  m'ha  morta! 
36 

Come  al  partir  del  sol  si  fa  maggiore 
L'ombra,  onde  nasce  poi  vana  paura; 
E  come  all'apparir  del  suo  splendore 
Yieu  meno  l'ombra,  e  '1  timido  assicura: 


peggio,  cioè  di  tutti  i  toi'menti,  coi  quali  mi 
agita  il  cuore. 

32.  3.  E  posto  ecc.  ;  E  appresso  alla  bella 
forma,  ha  posto,  ha  impresso  il  tuo  ar- 
dir ecc. 

—  5.  Ch'imposs.  m.  p.;  Cosi  che  mi  pare 
imp. 

—  6.  ch'ogni  ecc.  Qui  abbiamo  le  ripeti- 
zioni del  che,  di  cui  nella  n.  6,  e.  v,  27. 

34.  4.  Né  non  sempre  t.  ;  né  può  non  temer 
sempre. 

—  8.  Hon  posso  ecc.  ;  Non  posso  fare  in 
modo  di  non  darmigli  in  pr. 

35.  1-5  non...  si  tosto...  come.  Più  comu- 
nemente: non  si  tosto  che,  come  abbiamo 
nella  st.  37,  5-6. 

—  8;  m'ha  morta,  m'ha  uccisa,  ha  ucciso 
per  me,  in  me  la  speranza. 

Sft.  4.  assicura.  Il  soggetto  è  il  suo  splen- 


Cosi  senza  Ruggier  sento  timore; 
Se  Ruggier  veggo,  in  me  timor  non  dura. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  deh  torna  prima 
Che  '1  timor  la  speranza  in  tutto  opprima! 
37 

Come  la  notte  ogni  fiammella  è  viva, 
E  riman  spenta  subito  ch'aggiorna; 
Cosi,  quando  il  mio  sol  di  sé  mi  priva. 
Mi  leva  incontra  il  rio  timor  le  corna: 
Ma  non  si  tosto  all'orizonte  arriva. 
Che  '1  timor  fugge,  e  la  speranza  torna. 
Deh  torna  a  me,  deh  torna,  o  caro  lume, 
E  scaccia  il  rio  timor  che  mi  consume! 
38 

Se  '1  sol  si  scosta, ejascia  i  giorni  brevi. 
Quanto  di  bello  avea  la  terra  asconde; 
Fremono  i  venti,  e  portan  ghiacci  e  nievi; 
Non  canta  augel,  né  fior  si  vede  o  fronde: 
Cosi,  qualora  avvien  che  da  me  levi, 
O  mio  bel  sol,  le  tue  luci  gioconde, 
Mille  timori,  e  tutti  iniqui,  fanno 
Un  aspro  verno  in  me  più  volte  l'anno. 
39 

Deh  torna  a  me,  mio  sol,  torna,  e  rime- 
La  desiata  dolce  primavera!  [na 
Sgombra  i  ghiacci  e  le  nievi,  e  rasserena 
La  mente  mia  si  nubilosa  e  nera. 
Qual  Progne  si  lamenta  o  Filomena 
Ch'a  cercar  esca  ai  figliolini  ita  era, 
E  trova  il  nido  voto;  o  qual  si  lagna 
Turture  e' ha  perduto  la  compagna: 


dorè  da  rilevarsi  dal  verso  precedente.  La 
sintassi  procede  quindi  un  po'  irregolar- 
mente, 

37.  1.  ogni  fiammella.  Intendono:  ogni 
stella.  Mi  sembra  che  si  possa  intendere  in 
generale  ogni  lume.  Cosi  il  paragone  acqui- 
sta un  po'  più  d'eflfìcacia.  Come  la  notte  ogni 
più  piccolo  lume  produce  il  suo  effetto,  cosi, 
quando  è  lontano  Ruggero,  ogni  più  piccolo 
timore  prende  forza.  Questa  è  una  delle 
comparazioui  meno  felici  del  Furioso. 

—  8.  consume,  consuma.  V.  e.  xxxv,  15, 
n.  4. 

38.  4.  fronde,  fronda.  V.  e.  xii,  72,  n.  4.  — 
Questo  indugiarsi  a  lungo  nel  medesimo  pen- 
siero e  nelle  stesse  immagini,  rivolgendole 
e  presentandole  da  più  parti,  è  una  bizzaria 
dovuta  al  petrarchismo  dominante  in  quel 
tempo. 

89.  5.  Progne  ecc.  V.  e.  x,  113,  n.  6; 
XXXIX,  31,  n.  8.  Si  nota  giustamente  che  in 
questa  stanza  l'Ar.  ha  ripensato  al  sonetto 
del  Petrarca  «  Zefiro  torna  e  il  bel  tempo 
rimena  »,  dal  quale  ha  preso  anche  tre  rime 

—  8.  Torture  ecc.  Questa  comparaziom 
piacque  molto  ai  poeti  :  1'  ha  il  Polizian 
il  Castiglione,  Luca  Pulci  e  altri.  L'Ariosto 
l'ha  pure  nell'  egloga,  vv.  229-231. 


le.  j 


CANTO  XLV 


629 


40 

Tal  Bradamante  si  dolea,  che  tolto 
Le  fosse  stato  il  suo  Ruggier  temea, 
Di  lacrime  bagnando  spesso  il  volto, 
Ma  più  celatamente  che  potea. 
Oh  quanto  quanto  si  dorria  più  molto, 
S'ella  sapesse  quel  che  non  sapea,       [te 
Che  con  pena  e  con  strazio  il  suo  consor- 
Era  in  prigion,  dannato  a  crudel  morte! 
41 

La  crudeltà  ch'usa  l'iniqua  vecchia 
Centra  il  buon  cavallier  che  preso  tiene, 
E  che  di  dargli  morte  s'apparecchia 
Con  nuovi  strazi!  e  non  usate  pene, 
La  superna  Bontà  fa  eh'  all'orecchia 
Del  cortese  figliuol  di  Cesar  viene; 
E  che  gli  mette  in  cor,  come  l'aiute, 
E  non  lasci  perir  tanta  virtute. 
42 

Il  cortese  Leon  che  Ruggiero  ama 
(Non  che  sappi  però  che  Ruggier  sia). 
Mosso  da  quel  valor  ch'unico  chiama, 
E  che  gli  par  che  soprumano  sia. 
Molto  fra  sé  discorre,  ordisce  e  trama, 
E  di  salvarlo  al  tìu  trova  la  via, 
In  guisa  che  da  lui  la  Zia  crudele 
Offesa  non  si  tenga  e  si  querele. 
43 

Parlò  in  secreto  a  chi  tenea  la  chiave 
De  la  prigione;  e  che  volea,  gli  disse, 
Vedere  il  cavallier  pria  che  si  grave 
Sentenzia,  centra  lui  data,  seguisse. 

40.  1.  che.  È  relativo  di  Bradamante. 

—  5.  quanto...  più  molto.  Abbiamo  qui 
l'esempio  forse  più  spiccato  della  fusione 
di  due  costrutti  :  uno  esclamativo,  1'  altro 
affermativo  :  quanto  più  si  dorrebbe  —  certo 
si  dorrebbe  molto  più.  Cfr.  e.  xxvi,  46,  n.  2; 
V,  80,  6. 

41.  1-8.  La  crudeltà  ecc.  È  una  stanza  in- 
tralciata e  non  facile,  su  cui  i  commenta- 
tori non  dicono  nulla.  Si  può  intendere  in 
due  modi  :  La  superna  bontà  fa  che  la  cru- 
deltà, che  usa  contro  il  buon  cavaliere  l'ini- 
qua vecchia,  la  quale  lo  tiene  preso  (cfr. 
e.  I,  21,  n.  7  e  IV,  51,  n.  4)  e  la  quale  s'ap- 
parecchia di  dargli  morte  con  n.  str.  e  n. 
US.  p.,  viene  all'orecchia  del  cort.  f.  di  Ces. 
e  questa  stessa  Bontà  fa  si  che  gli  mette  in 
cor  come  l'aiuti  ecc.  Oppure:  La  superna 
Bontà  fa  che  viene  all'  orecchia  del  fig.  di 
Cesare  la  crudeltà  che  l'in.  v.  usa  contro  il 
b.  e,  cui  tiene  preso;  e  fa  che  gli  vien  pure 
all'orecchia  che  essa  si  apparecchia  di  dar- 
gli morte  ecc.  e  fa  si  che  gli  mette  in  cuoi'e 
ecc.  L'una  e  l'altra  interpretaz.  sono  egual- 
mente possibili:  meglio  la  prima. 

42.  2.  sappi,  sappia.  V.  e.  xv,  86,  n.  5. 

—  7.  da  lui,  da  Leone. 

43.  4.  seguisse,  avesse  effetto.  Questo  si- 
gnificato sarebbe  veramente  diverso  da  tutti 


Giunta  la  notte,  un  suo  fedel  seco  have 
Audace  e  forte,  et  atto  a  zuffe  e  a  risse; 
E  fa  che  '1  castellan,  senz'altrui  dire 
Ch'egli  fosse  Leon,  gli  viene  aprire. 
44 

Il  castellan,  senza  ch'alcun  de' sui 
Seco  abbia,  occultamente  Leon  mena 
Col  compagno  alla  torre,  ove  ha  colui 
Che  si  serba  all'estrema  d'ogni  pena. 
Giunti  là  dentro,  gettano  amendui 
Al  castellan  che  volge  lor  la  schena 
Per  aprir  lo  sportello,  al  collo  un  laccio, 
E  subito  gli  dau  l'ultimo  spaccio. 
45 

Apron  la  cataratta,  onde  sospeso 
Al  canape,  ivi  a  tal  bisogno  posto,  [ceso, 
Leon  si  cala,  e  in  mano  ha  un  torchio  ac- 
Là  dove  era  Ruggier  dal  sol  nascosto. 
Tutto  legato,  e  s'una  grata  steso  [sto. 
Lo  trova,  all'acqua  un  palmo  e  men  disco- 
gli altri,  che  i  vocabolari  registrano.  Se  ciò 
non  ti  piace  intendi  :  prima  che  il  castellano 
eseguisse  le  sentenza.  Seguire  per  eseguire 
è  frequente.  Boccaccio,  Nov.  SO:  «Al  quale, 
piacendo  il  fatto,  si  mise  in  avventura  di 
volerlo  sei/uire  ». 

—  7.  senz'altrui  dire:  Leone  fece  si  che 
il  castellano  venne  ad  aprirgli  segretamente 
senza  dire  a  nessuno  che  sarebbe  giunto  il 
figlio  dell'imperatore. 

—  8.  viene  aprire,  viene  ad  apr.  V.  e.  I, 
4,  n.  1. 

44.  3.  OTO  ha  col.  Puoi  intendere;  ove  egli 
ha,  tiene  colui  ecc.  Ma  meglio  intenderai 
ha  per  è:  V.  e.  xl,  44.  «Il  verbo  avere  hi 
italiano,  come  in  altre  lingue  romanze,  spe- 
cialmente in  provenzale,  si  usò  per  essere 
impersonalmente,  ora  con  vi  o  ci  ;  per  es. 
ci  ha,  v'ha,  vi  aveva,  ora  anche  solo  come 
qui.  Il  nome,  che  con  esso  s'  accompagna, 
può  considerarsi  come  un  oggetto  o  un  ac- 
cusativo del  verbo  stesso...  Il  Gherardini 
(Appendice  alle  Grammat.  italiana,  p.  113), 
mostra  che  in  italiano  è  lecito  tanto  l'usar 
questo  verbo  impersonalmente  quanto  per- 
sonalmente, accordandolo  in  numero  col 
nome,  contro  l'opinione  d'alcuni  gramma- 
tici, che  avevano  condannato  il  secondo  uso 
(es.  come  che  poche  ve  >?,'  abbiano)  »  Forna- 
ciARi,  yov.  Scelte  pag.  152). 

—  8.  l'u.  spaccio.  Spacciare  è  spedire; 
per  ciò  fu  usato  anche  nel  senso  di  spedire 
all'  altro  mondo. 

45.  1.  la  cataratta.  Propriamente  è  una 
chiusura  scorrente  dall'alto  al  basso  in  ap- 
posite scanalature,  ma  qui  significa  badala, 
cioè  una  ribalta  di  legno ,  che  chiude  un'aper- 
tura  nel  pavimento;  come  nel  Boccaccio, 
Coìnm.  Commed.  e.  5.  Ruggero  dunque  era 
stato  calato  in  una  prigione  sotterranea. 

—  5.  grata,   graticola,   perché  non  toc- 


630 


ORLANDO  FURIOSO 


L'avria,  in  un  mese  e  in  termine  più  corto, 
Per  sé,  senz'altro  aiuto,  il  luogo  morto. 
46 

Leon  Ruggier  con  gran  pietade  ab- 
E  dice:  Cavallier,  la  tua  virtute  [braccia 
Indissolubilmente  a  te  m'allaccia 
Di  voluntaria  eterna  servitute;  [piaccia 
E  vuol  che  più  il  tuo  ben,  che  '1  mio,  mi 
Né  curi  per  la  tua  la  mia  salute, 
E  che  la  tua  amicizia  al  padre  e  a  quanti 
Parenti  io  m' abbia  al  mondo,  io  metta 
47  [i  nauti. 

Io  son  Leone,  acciò  tu  intenda,  figlio 
Di  Costantin,  che  vengo  a  darti  aiuto, 
Come  vedi,  in  persona,  con  periglio 
(Se  mai  dal  padre  mio  sarà  saputo) 
D'esser  cacciato,  o  con  turbato  ciglio 
Perpetuamente  esser  da  lui  veduto  ; 
Che  per  la  gente  la  qual  rotta  e  morta 
Da  te  gli  fu  a  Belgrado,  odio  ti  porta. 
48 

E  seguitò,  più  cose  altre  elicendo 
Da  farlo  ritornar  da  morte  a  vita; 
E  lo  vien  tutta  volta  disciogliendo. 
Ruggier  gli  dice:  Io  v'ho  grazia  infinita; 
E  questa  vita  ch'or  mi  date,  intendo 
Che  sempre  mai  vi  sia  restituita. 
Che  la  vogliate  riavere,  et  ogni 
Volta  che  per  voi  spenderla  bisogni. 
49 

Ruggier  fu  tratto  di  quel  loco  oscuro, 
E  in  vece  sua  morto  il  guardian  rimase; 
Né  conosciuto  egli  né  gli  altri  furo. 
Leon  menò  Ruggiero  alle  sue  case. 
Ove  a  star  seco  tacito  e  sicuro 
Per  quattro  o  per  sei  di  gli  persuase; 
Che  riaver  l'arme  e  '1  destrier  gagliardo 
Gli  faria  intanto,  che  gli  tolse  Ungiardo. 


casse  l' acqua.  Avverte  il  Panizzi  che  nel 
romanzo  La  conqueste  de  Charlemagne  vi 
è  una  storia  simile  a  questa.  La  giovine 
Florippe  desiderando  di  vedere  Oliviero  e 
altri  paladini  che  erano  imprigionati,  uccide 
il  carceriere,  che  voleva  impedirglielo,  e 
pone  i  prigionieri  in  libertà. 

47.  1.  acciò  tu  intenda  ;  afnnclié  tu  intenda 
bene  le  mie  parole  e  le  comprenda,  sappi 
che  sono  Leone. 

4S.  6-7.  sempre  mai  ...  che  ;  sempre  che, 
ogni  volta  che. 

49.  2.  in  vece  sua;  e  in  quel  luogo  rimase 
il  guaidinno  morto  invece  di  Ruggero.  Si 
capisce  dunque  che  per  ritardare  la  sco- 
perta dell'omicidio,  gettarono  il  corpo  del 
guardiano  nel  sotterraneo. 

—  5-6.  a  star...  gli  persuase.  Questo  co- 
strutto, che  sembra  strano,  non  è  che  la 
fusione  dei  due  costrutti  del  verbo  persua- 
dere: persuadere  a  uno  di  fare-persuadere 
uno  a  fare.  V.  st.  40,  n.  5. 

—  7.  Che  ;  poiché. 


50  fzato 

Ruggier  fuggito,  il  suo  guardian  stroz- 
Si  trova  il  giorno,  e  aperta  la  prigione. 
Chi  quel,  chi  questo  pensa  che  sia  stato; 
Ne  parla  ognun,  né  però  alcun  s'appone. 
Ben  di  tutti  gli  altri  uomini  pensato 
Più  tosto  si  saria,  che  di  Leone  ; 
Che  pare  a  molti,  ch'avria  causa  avuto 
Di  farne  strazio,  e  non  di  dargli  aiuto. 

51 
Riman  di  tanta  cortesia  Ruggiei'O 
Confuso  si,  si  pien  di  maraviglia, 
E  tramutato  si  da  quel  pensiero 
Che  quivi  tratto  l'avea  tante  miglia. 
Che  mettendo  il  secondo  col  primiero. 
Né  a  questo  quel,  né  questo  a  quel  simi- 
li primo  tnttoeraodiOjira  e  veneno;  [glia. 
Di  pietade  è  il  secondo  e  d'amor  pieno. 

52 
Molto  la  notte,  e  molto  il  giorno  pensa. 
D'altro  non  cura,  et  altro  non  disia. 
Che  da  l'obligazion  che  gli  avea  immensa, 
Sciòrsi  con  pari  e  maggior  cortesia. 
Gli  par,  se  tutta  sua  vita  dispensa 
In  lui  servire,  o  breve  o  lunga  sia, 
E  se  s'espone  a  mille  morti  certe. 
Non  gli  può  tanto  far,  che  più  non  nierte. 

53 
Venuta  quivi  intanto  era  la  nuova 
Del  bando  ch'avea  fatto  il  Re  di  Francia, 
Che  chi  vuol  Bradamante,  abbia  a  far 

[prova 
Con  lei  di  forza,  con  spada  e  con  lancia. 
Questo  udir  a  Leon  si  poco  giova, 
Che  se  gli  vede  iinpallidir  la  guancia; 
Perché,  come  uom  che  le  sue  forze  ha  note. 
Sa  ch'a  lei  pare  in  arme  esser  non  puote. 

54 
Fra  sé  discorre,  e  vede  che  supplire 
Può  con  l'ingegno,  ove  il  vigor  sia  manco. 
Facendo  con  sue  insegne  comparire 
Questo  guerrier  di  cui  non  sa  il  nome  anco; 
Che  di  possanza  giudica  e  d'ardire 
Poter  star  contra  a  qual  si  voglia  Franco: 


.50.  7.  causa,  ragione.  Cosi  nel  e.  xi-iv, 
55;  e  cosi  spesso  anche   neh'  uso   comune. 

.51.  3.  tramutato,  rimosso,  allontanato.  Di 
tal  significato  non  si  cita  esempio  nei  voca- 
bolari. 

—  1.  tante  miglia,  per  tante  miglia.  È 
complemento  di  spazio. 

62.  5-8.  Gli  par...  non  gli  può;  gli  pare  che 
non  gli  possa.  L'omissione  del  che  è  fre- 
quente e  comune;  non  cosi  l'indicativo  di- 
pendente da  2)cirere.  Si  può  anche  intendere 
mi  pare  come  fra  parentesi.  —  dispensa, 
impiega.  V.  e.  xv,  78,  n.  3. 

5S.  5.  giova,  piace.  È  Viuvat  dei  Latini. 

—  8.  pare,  pari.  Gli  antichi  usarono  tal- 
volta questa  forma  anche  in  prosa. 


CANTO  XLV 


631 


E  crede  ben,  s'a  luì  ne  dà  l'impresa. 
Che  ne  fia  vinta  Bradaraante  e  presa. 
55 

Ma  due  cose  ha  da  far;  l'una,  disporre 
Il  cavallier,  che  questa  impresa  accetti; 
L'altra,  nel  campo  in  vece  sua  lui  porre 
In  modo  che  non  sia  chi  ne  sospetti. 
A  sé  lo  chiama,  e  '1  caso  gii  discorre, 
E  pregai  poi  con  efficaci  detti, 
Ch'egli  sia  quel  ch'a  questa  pugna  vegna 
Col  nome  altrui,  sotto  mentita  insegna. 
56 

L'eloquenzia  del  Greco  assai  potea, 
Ma  più  de  l'eloquenzia  potea  molto 
L'obligo  grande  che  Ruggier  gli  avea, 
Da  mai  non  ne  dovere  essere  isciolto: 
Si  che  quantuque  duro  gli  parca, 
E  non  possibil  qua*i:  pur  con  volto. 
Più  che  con  cor  giocondo,  gli  rispose, 
Ch'era  per  far  per  lui  tutte  le  cose. 
57 

Benché  da  fier  dolor,  tosto  che  questa 
Parola  ha  detta,  il  cor  ferir  si  senta, 
Che  giorno  e  notte  e  sempre  lo  molesta, 
Sempre  l'affligge,  e  sempre  lo  tormenta, 
E  vegga  la  sua  morte  manifesta; 


53.  5.  gli  discorre,  gli  espone.  Guicciar- 
dini, St.  Jt.,  4,  153  «  Discorrendo  al  Luogo- 
tenente del  Pontefice....  lo  stato  delle  cose  ». 

56.  4.  Da  mai;  tale  da  non  dover  mai  es- 
serne sciolto.  V.  e.  vili,  16,  2,  dove  abbiamo 
simile  espressione,  ma  con  la  preposizione 
(li  per  da. 

—  5.  quantunque  gli  parea.  Più  comune- 
niente  col  congiuntivo.  —  Il  Tasso  (Del  poe- 
ma eroico  lib.  2)  confrontando  la  cortesia 
di  questi  cavalieri  dice  :  «  La  virtù  di  Leone 
nel  Furioso  supera  tutti  gli  altri  esempi 
ch'io  abbia  letti.  Laonde  mi  pare  che  scioc- 
camente si  dubiti  qual  sia  maggiore  corte- 
sia, quella  di  Leone  o  quella  di  Ruggero, 
perché  non  è  cortesia  quella  che  è  fatta 
contro  l'onesto  e  contro  il  diritto;  ma  non 
ei'a  onesto  che  Ruggero  ingannasse  Brada- 
mànte,  non  fu  dunque  cortesia  quella  di 
Ruggero;  pei"ò  non  doverla  contendere  con 
quella  del  Principe  greco  ».  Ma  il  Panizzi 
giustamente  osserva  :  «  lo  non  posso  ammi- 
rare questo  principe,  che  vedo  uccidere  il 
carceriere  di  Ruggero.  Tutte  le  sue  buone 
qualità  sono  dimenticate  quando  viene  in 
mente  quel  delitto.  Ruggero  pecca  in  ec- 
cesso di  generosità  e  di  gratitudine,  il  che 
rende  il  suo  carattere  molto  più  nobile  di 
prima  ».  Noi  però  in  questi  due  giudizi  dob- 
biamo vedere  l' indice  dei  tempi.  Quando 
l'Ariosto  scriveva  questi  canti,  il  Machia- 
velli aveva  scritto  il  Principe,  che  scanda- 
lizza noi,  ma  non  scandalizzò  gli  uomini 
del  Rinascimento. 


Pur  non  è  mai  per  dir  che  se  ne  penta; 
Che  prima  ch'a  Leon  non  ubbidire, 
Mille  volte,  non  ch'una,  è  per  morire. 

58 
Ben  certo  è  di  morir;  perché,  se  lascia 
La  donna,  ha  da  lasciar  la  vita  ancora: 
0  che  l'accorerà  il  duolo  e  l'ambascia; 
0  se  '1  duolo  e  l'ambascia  non  l'accora, 
Con  le  man  proprie  squarcierà  la  fascia 
Che  cinge  l'alma,  e  ne  la  trarrà  fuora; 
Ch'ogni  altra  cosa  più  facil  gli  fia. 
Che  poter  lei  veder,  che  sua  non  sia. 

59 
Gli  è  di  morir  disposto;  ma  che  sorte 
Di  morte  voglia  far,  non  sa  dir  anco. 
Pensa  talor  di  fingersi  raen  forte, 
E  porger  nudo  alla  Donzella  i)  fianco; 
Che  non  fu  mai  la  più  beata  morte. 
Che  se  per  man  di  lei  venisse  manco. 
Poi  vede,  se  per  lui  resta  che  moglie 
Sia  di  Leon,  che  l'obligo  non  scioglie; 

60 
Perché  ha  promesso  centra  Bradamante 
Entrare  in  campo  a  singular  battaglia; 
Non  simulare,  e  farne  sol  sembiante. 
Si  che  Leon  di  lui  poco  si  vaglia. 
Dunque  starà  nel  detto  suo  constante; 
E  benché  or  questo  or  quel  pensier  l'as- 

[saglia, 
Tutti  gli  scaccia,  e  solo  a  questo  cede. 
Il  qual  l'esorta  a  non  mancar  di  fede. 

61 
Avea  già  fatto  apparecchiar  Leone, 
Con  licenza  del  patre  Costantino, 
Arme  e  cavalli  e  un  numer  di  persone, 
Qual  gli  convenne,  e  entrato  era  in  camino: 
E  seco  avea  Ruggiero  a  cui  le  buone 


58.  3.  0  che;  o.  V.  e.  iv,  35  n.  5. 

—  4.  accora,  uccide  di  dolore.  Questo  si- 
gnificato, che  ormai  non  è  più  nell'uso  mo- 
derno, non  è  I-aro  negli  antichi:  si  disse 
propriamente  e  in  qualche  luogo  di  Toscana 
dicesi  ancora,  dell'ammazzare  i  maiali  fe- 
rendoli al  cuore;  poi  fìguratam.  uccidere 
con  ferita  al  cuore,  con  dolore.  Boccaccio. 
Rim.  17:  «Panni...  sentii-e...  un  duol,  il 
qual  par  che  m'  accori  ». 

—  5.  la  fascia,  il  corpo.  È  immagine  dan- 
tesca; Pure/.  16,  37-38;  «  quella  fascia,  Che 
la  morte  dissolve. 

59.  1.  Gli  è;  egli  è  —  disposto,  risoluto. 
È  significato  ancor  vivo  nella  lingua.  Cosi 
nel  e.  xviir,  170. 

—  5.  Che  non  fu  ecc..  Poiché  non  vi  fu 
mai  una  (vi,  20,  n.  4)  morte  più  beata  che 
la  sua,  se  ecc. 

—  7.  per  lui  resta,  da  lui  dipende.  Ve.  XL, 
81,  n.  5. 

61.  4.  Q.  gli  convenne;  conveniente  al  suo 
grado:  cfr.  e.  xxxvii,  68,  n.  3. 


632 


ORLANDO  FURIOSO 


Arme  avea  fatto  rendere  e  Frontino  : 
E  tanto  un  giorno  e  un  altro  e  un  altro 

[andaro, 
Ch'  in  Francia  et  a  Parigi  si  trovaro. 
62 

Non  volse  entrar  Leon  ne  la  cittate, 
E  i  padiglioni  alla  campagna  tese; 
E  fé'  il  medesmo  di  per  imbasciate 
Che  di  sua  giunta  il  Ke  di  Francia  intese. 
L'ebbe  il  Re  caro;  e  gli  fu  più  fiate, 
Donando  e  visitandolo,  cortese. 
De  la  venuta  sua  la  cagioa  disse 
Leone,  e  lo  pregò  che  l'espedisse: 
63 

Ch'entrar  facesse  in  campo  la  Donzella 
Che  marito  non  vuol  di  lei  men  forte; 
Quando  venuto  era  per  fare  o  ch'ella 
Moglier  gli  fosse,  o  che  gli  desse  morte. 
Carlo  tolse  l'assunto,  e  fece  quella 
Comparir  l'altro  di  fuor  de  le  porte, 
Ne  lo  steccato  che  la  notte  sotto 
All'alte  mura  fu  fatto  di  botto. 
64 

La  notte  ch'andò  inanzi  al  terminato 
Giorno  de  la  battaglia,  Ruggiero  ebbe 
Simile  a  quella  che  suole  il  dannato 
Aver,  che  la  mattina  morir  debbe. 
Eletto  avea  combatter  tutto  armato, 
Perch'esser  conosciuto  non  vorrebbe; 
Né  lancia  né  destriero  adoprar  volse; 
Né,  fuor  che  '1  brando,  arme  d'offesa  tolse. 


62.  3.  fé,  fece  in  modo  che  per  mezzo 
d'imbasciate  il  re  di  Fr.  seppe  della  sua  ve- 
nuta. 

—  8.  1'  eapedisse,  lo  sbrigasse. 

C3.  3.  Quando,  poiché.  V.  e.  i,  18,  n.  3. 

—  8.  di  botto,  subilo.  Cosi  nel  e.  xvii, 
103, 3.  Veramente  questo  modo  vale  di  colpo; 
quindi  accenna  ad  azione  istantanea  come 
un  colpo.  Per  estensione  di  significato  vale 
anche  subito,  senza  por   tempo  in  mezzo. 

64.  1.  terminato,  determinato,  stabilito. 
V.  e.  XIII,  13,  n.  2  e  xxxvm,  76,  3. 

—  2.  ebbe.  Ila  per  complemento  la  notte 
del  V.  1. 

—  3.  dannato,  condannato.  Cosi  nel  e. 
XXII,  42,  3,  e  cosi  spesso. 

—  5.  Eletto...  combatter;  el.  di  combatter. 
V.  e.  I,  4,  n.  1.  —  tutto  armato;  Di  presen- 
tarsi cioè  al  combattimento,  tutto  armato, 
tutto  chiuso  nell'armatura.  Abbiamo  visto 
che  nelle  sfide  regolari  spesso  i  cavalieri  si 
armavano  nel  padiglione  eretto  nella  lizza 
(e.  xxvii,  49);  e  se  venivano  armati,  si  pre- 
sentavano col  viso  scoperto  per  compiere 
certe  cerimonie  preliminari  (e.  xxxvm,  79). 
Quando  però  si  bandiva  da  un  cavaliere  una 
sfida  per  chiunque  volesse  accettarla,  pote- 
vano i  combattenti,  che  non  volevano  esser 
conosciuti, presentarsi  tutti  armati  con  elmo 
e  visiera  calata  {e.  v,  77). 


65 

Lancia  non  tolse;  non  perché  temesse 
Di  quella  d'or;  che  fu  de  l'Argalia, 
E  poi  d'Astolfo  a  cui  costei  successe. 
Che  far  gli  arcion  votar  sempre  solia; 
Perché  nessun,  ch'ella  tal  forza  avesse, 
0  fosse  fatta  per  negromanzia, 
Avea  saputo,  eccetto  quel  Re  solo 
Che  far  la  fece  e  la  donò  al  figliuolo. 
66 

Anzi  Astolfo  e  la  Donna,  che  portata 
L'aveano  poi,  credean  che,  non  l'incanto, 
Ma  la  propria  possanza  fosse  stata. 
Che  dato  loro  in  giostra  avesse  il  vanto; 
E  che  con  ogni  altra  asta  ch'incontrata 
Fosse  da  lor,  farebbono  altretanto. 
La  cagion  sola,  che  Ruggier  non  giostra; 
E  per  non  far  del  snoT'rontino  mostra: 
67 

Che  lo  potria  la  Donna  facilmente 
Conoscer,  se  da  lei  fosse  veduto; 
Però  che  cavalcato  e  lungamente 
In  Montalban  l'avea  seco  tenuto. 
Ruggier  che  solo  studia  e  solo  ha  mente 
Come  da  lei  non  sia  riconosciuto, 


65.  4.  Che.  È  relativo  di  lancia.  Tutto  il 
luogo  dunque  suona  cosi:  Di  quella  d'or,  che 
fu  dell'Ar.  e  poi  d'Ast.,  al  quale  successe 
nel  possesso  Bradamante  ;  la  quale  lancia 
soleva  ecc.  Il  distacco  forzato  del  relativo 
fu  più  volte  notato  da  noi  nel  Furioso  :  e.  iv, 
51,  4;  XXVI,  62,  2;  xxxiii,  56,  5;  ecc.  Chi 
volesse  riferire  il  costei  alla  lancia  dovreb- 
be intendere  successe  per  passò  come  nel 
e.  XLVi,  83,  3:  «lo  padiglione  Che  poi  suc- 
cesse in  man  de'Tolomei»;  ma  avremmo 
la  diflìcoltà  della  successione  incompleta: 
mancherebbe  cioè  l'accenno  a  Bradamante. 
Per  ciò  r  altra  interpret.  è  preferibile. 

—  7.  quel  Re  solo,  Galafrone  re  del  Calai, 
padre  di  Angelica  e  deli'Argalia,  al  quale  il 
padre  l'avea  data  quando  lo  mandò  in  Fran- 
cia. Cfr.  e.  I,  5,  n.  1. 

66.  5.  incontrata,  presa,  trovata  a  caso. 

—  7.  La  cagion...  che;  la  cag.  perché  — 
non  giostra.  La  giostra  si  faceva  a  cavallo 
con  sola  lancia  allo  scopo  di  scavalcare  il 
nemico.  V.  e.  xxvi,  20,  n.  8. 

—  8.  per  non  far  ecc.  «  Non  poteva  pro- 
cacciare un  altro  cavallo  atto  al  bisogno, 
come  cercò  d'un'altra  spada?  »  (Casella).  Se 
Ruggero  non  volle  usar  Balisarda  per  non 
nuocere  a  Bradamante,  non  volle  neppure 
usare  altro  cavallo  comune,  che,  in  una 
giostra,  lo  avrebbe  reso  troppo  inferiore  a 
Bradamante,  da  cui  non  voleva  esser  vinto 
per  non  essere  sleale  con  Leone. 

67.  3.  cavalcato  ecc.  V.  e.  iv,  46,  segg, 

—  5.  ha  mente,  attende,  pone  attenzioni 
V.  e.  xii,  53,  n.  7. 


1 


CANTO  XLV 


633 


Né  vnol  Frontin,  né  vuol  cos'altra  avere, 
Che  di  far  di  sé  indizio  abbia  potere. 
6S 

A  questa  impresa  un'altra  spada  volle, 
Che  ben  sapea  che  centra  a  Balisarda 
Saria  ogn'osbergo,  come  pasta,  molle; 
Ch'alcuna  tempra  quel  furor  non  tarda: 
E  tutto  '1  taglio  anco  a  quest'altra  toUe 
Con  un  martello,  e  la  fa  men  gagliarda. 
Con  quest'arme  Ruggiero  al  primo  lampo 
Ch'apparve  all'orizonte,  entrò  nel  campo. 
69 

E  per  parer  Leon,  le  sopraveste 
Che  dianzi  ebbe  Leon,  s'hamesseindosso; 
E  l'aquila  de  l'or  con  le  due  teste 
Porta  dipinta  ne  lo  scudo  rosso. 
E  facilmente  si  potean  far  queste         [so 
Finzion;  ch'era  ugualmente  grande  e  gros- 
L'un  come  l'altro.  Appresentossi  l'uno; 
L'altro  non  si  lasciò  veder  d'alcuno. 
70 

Era  la  voluntà  de  la  Donzella 
Da  quest'altra  diversa  di  gran  lunga; 
Che,  se  Ruggier  su  la  spada  martella 
Per  rintuzzarla,  che  non  tagli  o  punga. 
La  sua  la  Donna  aguzza,  e  brama  ch'ella 
Entri  nel  ferro,  e  sempre  al  vivo  giunga. 
Anzi  ogni  colpo  si  ben  tagli  e  fóre, 
Che  vada  sempre  a  ritrovargli  il  core. 
71 

Qual  su  le  mosse  il  barbaro  si  vede, 


—  8.  far...  indizio,  indicarlo,  farlo  cono- 
scere. Cosi  nel  e.  xvii,  133,  ecc.  L'Ar.  amò 
assai  questa  locuzione. 

68.  4.  non  tarda;  non  rende  vano.  È  un' 
estensione  di  significato  notevole,  e  non  ci- 
tata dai  vocabolari. 

—  7.  lampo,  luce,  arbore.  Di  questo  si- 
gnificato speciale  non  si  citano  altri  esempì. 

69.  3.  l'aquila  de  l'or,  Per  la  preposiz.  ar- 
ticolata cfr.  e.  XLi,  101,  n.  4.  L'aquila  d'oro 
con  due  teste  fu  antica  arme  dell'  impero. 
Il  Lipsio  opinò  che  l'avesse  adottata  Costan- 
tino per  indicare  1'  unione  dei  due  imperi 
d'oriente  e  d'occidente.  Ma  pare  piuttosto 
che  quando  l' impero  germanico  venne  a 
Enrico  VII  di  Luxemburg,  all'aquila  di  esso 
egli  unisse  quella  improntata  sullo  stemma 
di  sua  famiglia  ;  e  cosi  composta  passò  ai 
successivi  imperatori  (Cantù,  St.  Univers. 
V,  pag.  429). 

—  8.  d'alcuno,  da  alcuno.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

70.  4.  che,  cosi  che. 

—  7.  ogni  colpo.  È  soggetto  :  anzi  brama 
che  ogni  colpo  ecc. 

71.  1.  barbaro.  Più  comunemente  barbe- 
ro, il  cavallo  che  corre,  sciolto,  a  gara.  (De- 
riva da  Berberia  o  Barbarla,  regione  del- 
l'Affrica, donde  prima  vennero  quei  cavalli 
più  atti  alla  corsa). 


Che  '1  cenno  del  partir  focoso  attende. 
Né  qua  né  là  poter  fermare  il  piede. 
Gonfiar  le  nare,  e  che  l'orecchie  tende: 
Tal  l'animosa  Donna  che  non  crede 
Che  questo  sia  Ruggier  con  chi  contende. 
Aspettando  la  tromba,  par  che  fuoco 
Ne  le  vene  abbia,  e  non  ritrovi  loco. 

72 
^  Qual  talor,  dopo  il  tuono,  orrido  vento 
Subito  segue,  che  sozzopra  volve 
L'ondoso  mare,  e  leva  in  un  momento 
Da  terra  fin  al  ciel  l'oscura  polve; 
Fuggon  le  fiere,  e  col  pastor  l'armento. 
L'aria  in  grandine  e  in  pioggia  si  risolve: 
Udito  il  segno  la  Donzella,  tale 
Stringe  la  spada,  e  '1  suo  Ruggiero  assale. 

73 
Ma  non  più  quercia  antica,  o  grosso  mu- 
Di  ben  fondata  torre  a  Borea  cede,      [ro 
Né  più  all'irato  mar  lo  scoglio  duro, 
Che  d'ogni  intorno  il  di  e  la  notte  il  fiede; 
Che  sotto  l'arme  il  buon  Ruggier  sicuro. 
Che  già  al  Troiano  Ettòr  Vulcano  diede. 
Ceda  all'odio  e  al  furor  che  lo  tempesta 
Or  ne'  fianchi,  or  nel  petto,  or  ne  la  testa. 

74 
Quando  di  taglio  la  Donzella,  quando 
Mena  di  punta,  e  tutta  intenta  mira 
Ove  cacciar  tra  ferro  e  ferro  il  brando. 
Si  che  si  sfoghi  e  disacerbi  l'ira. 
Or  da  un  lato,  or  da  un  altro  il  va  tentan- 
Quando  di  qua,  quando  di  là  s'aggira;  [do; 
E  si  rode  e  si  duol  che  non  le  avvegna 
Mai  fatta  alcuna  cosa  che  disegna. 

75 
Come  chi  assedia  una  città  che  forte 


—  2-4.  Che  'I  cenno  ecc.  Avverti  il  cam- 
biamento di  costrutto:  prima  la  proposi- 
zione relativa,  poi  due  infinitive,  in  ultimo 

j  di  nuovo  una  relativa.  Il  periodo  non  ne 
I  guadagna  in  chiarezza.  L'Ar.  ama  questi 
I  cambiamenti:  cfr.  e.  x,  18,  5;  46,  3. 

—  7.  la  tromba,  dell'araldo,  che  nei  duelli 
I  dava  il  segnale  dell'attacco. 

72.  1-6.  Qnal  ecc.  Citano  a  confi-onto  la 
comparazione  di  Virgilio,  En.  2,  416;  ma 
questa  dell'Ar.  è  ben  diversa  nei  particolari, 
più  piena  e  più  elRcace. 

73.  6.  Che.  È  relativo  di  arme.  Si  ricordi 
che  Ruggero  aveva  l'arme  di  Mandricardo, 
che  erano  quelle  di  Ettore.  V.  e.  xiv,  31,  n.  l. 

—  7.  tempesta,  travaglia,  tormenta. 

74.  3.  tra  ferro  e  ferro;  nelle  giunture  del- 
l' armatura. 

—  7.  avvegna...  fatta;  venga  fatta.  Que- 
sto senso  di  avvenire  non  si  trova  nella 
N.  Crusca.  Avventuroso  CicUiano  2:  «Av- 
venne alla  regina  voglia  >.  Cosi  troviamo 
avvenne  sete,  avvenne  luia  visione. 

75.  1-6.  Come  ecc.  Virgilio  descrivendo  la 


634 


ORLA.NDO  FURIOSO 


Sia  di  buon  fianchi,  e  di  muraglia  grossa, 
Spesso  l'assalta,  or  vuol  batter  le  porte. 
Or  l'alte  torri,  or  atturar  la  fossa; 
E  pone  indarno  le  sue  genti  a  morte, 
Né  via  sa  ritrovar  ch'entrar  vi  possa: 
Cosi  molto  s'affanna  e  si  travaglia, 
Né  può  la  Donna  aprir  piastra  né  maglia. 
76  [elmetto, 

Quando  allo  scudo  e  quando  al  buono 
Quando  all'osbergo  fa  gittar  scintille 
Con  colpi  ch'alle  braccia,  al  capo,  al  petto 
Mena  dritti  e  riversi,  e  mille  e  mille, 
E  spessi  più,  che  sul  sonante  tetto 
La  grandine  far  soglia  de  le  ville. 
Ruggier  sta  su  l'avviso,  e  si  difende 
Con  gran  destrezza,  e  lei  mai  non  offende. 
77 

Or  si  ferma,  or  volteggia,  or  si  ritira, 
E  con  la  man  spesso  accompagna  il  piede. 
Porge  or  lo  scudo,  et  or  la  spada  gira 
Ove  girar  la  man  nimica  vede. 
0  lei  non  fere,  o,  se  la  fere,  mira 
Ferirla  in  parte  ove  raen  nuocer  crede. 
La  Donna,  prima  che  quel  di  s'inchino, 
Brama  di  dare  alla  battaglia  fine. 
78 

Si  ricordò  del  bando,  e  si  ravvide 
Del  suo  periglio,  se  non  era  presta; 


lotta  fra  Entello  ed  Aceste,  En.  5,  439  dice 
di  quello  :  «  Ille,  velut  celsam  oppugnai  mo- 
libus  urbem  Aut  montana  sedet  circum  ca- 
stella sub  armis,  Xunc  hos  nunc  illos  aditus 
omnemque  pererrat  Arte  locum  ». 

—  4.  attarar,  turar.  V.  e.  xvi,  28,  n.  3; 
XXXIII,  121.  È  forma  usata  anche  da  altri  e 
non  morta  nel  popolo  toscano. 

—  5.  pone...  a  morte,  espone  alla  morte, 
spinge  a  morte  le  proprie  genti.  Come  si 
direbbe  uccide  le  sue  g.  per  le  esjwne  ad 
essere  uccise,  cosi  pone  a  m.  per  espone 
alla  m. 

—  6.  via...  che;  via  tale...  che. 
70.  4.  riversi,  rovesci. 

—  5-6.  piti  che  s.  s.  tetto  ecc.  Viro.  En. 
5,  458:  «  Quam  multa  grandine  nimbi  Cul- 
niinibus  crepitant,  sic  multis  ictibus  heros 
ecc.  ».  Rileva  le  differenze. 

77.  2.  E  con  la  man  ecc.  ;  E  spesso  mentre 
fa  un  movimento  col  piede  è  costretto  a 
farne  uno  pur  con  le  braccia,  ora  porgendo 
lo  scudo,  ora  girando  la  spada  ecc.,  per  ri- 
parare i  colpi. 

—  5.  fere,  ferisce ,  colpisce  :  e.  xxvi,  73, 
n.  7. 

—  7.  s'inchlne,  decline.  Guido  delle  Co- 
lonne, G.  di  T.  278  r  usa  nello  stesso  si- 
gnificato. 

78.  1.  si  ravvide,  si  avvide,  si  accorse. 
V.  e.  xxxii,  4J,  n.  4. 

—  2.  Del  ano  p.  ecc.,  del  pericolo  che 
avrebbe  corso  se  non  era  presta.  È  una  bra- 


che, se  in  un  di  non  prende  o  non  uccide 
11  suo  domandator,  presa  ella  resta. 
Era  già  presso  ai  termini  d'Alcide 
Per  attuffar  nel  mar  Febo  la  testa. 
Quando  ella  cominciò  di  sua  possanza 
A  diffidarsi,  e  perder  la  speranza. 
79 

Quanto  mancò  più  la  speranza,  crebbe 
Tanto  più  l'ira,  e  radoppiò  le  botte; 
Che  pur  quell'arme  rompere  vorrebbe. 
Ch'in  tutto  un  di  non  avea  ancora  rotte '• 
Come  colui  ch'ai  lavorio  che  debbe, 
Sia  stato  lento,  e  già  vegga  esser  notte. 
S'affretta  indarno,  si  travaglia  e  stanca. 
Fin  che  la  forza  a  un  tempo  e  il  di  gli 
80  [manca. 

O  misera  Donzella,  se  costui 
Tu  conoscessi,  a  cui  dar  morte  brami; 
Se  lo  sapessi  esser  Ruggier,  da  cui 
De  la  tua  vita  pendono  gli  stami; 
So  ben  ch'uccider  te,  prima  che  lui. 
Vorresti;  che  di  te  so  che  più  l'ami: 
E  quando  lui  Ruggiero  esser  saprai, 
Di  questi  colpi  ancor,  so,  ti  dorrai. 
81 

Carlo  e  molt'altri  seco,  che  Leone 
Esser  costui  credeansi,  e  non  Ruggiero, 
Veduto  come  in  arme,  al  paragone 
Di  Biadamante,  forte  era  e  leggiero; 
E,  senza  offender  lei,  con  che  ragione 
Difender  si  sapea,  mutan  pensiero, 
E  dicon:  Ben  convengono  amendui; 
Ch'egli  è  di  lei  ben  degno,  ella  di  lui. 


chilogia,  frequentissima  nel  linguaggio  po- 
polare. 

—  3.  Che.  Può  essere  invece  di  poiché  (e.  i, 
27,  8),  e  anche  congiunzione  dichiarativa  di 
bando. 

—  4.  Il  suo  domandator.  È  termine  tecnico 
dei  duelli.  Si  diceva  anche  richiedente:  co- 
lui che  sfidava. 

—  5.  ai  term.  d'Alcide  ;  alle  colonne  d'Er- 
cole (XV,  22,  n.  5).  Qui  vuol  dire  in  generale 
al  tramonto,  poiché  le  colonne  d'Ere,  sono 
a  ponente. 

—  8.  diffidarsi  di  una  cosa,  è  cosi  fre- 
quente come  la  semplice  forma  neutra  dif- 
fidare. 

79.  5.  lavorio,  lavoro,  opera.  È  frequente 
negli  antichi.  Boccaccio,  Nov.  6:  «  Per  an- 
dare a  lavorare  o  a  trovar  lavorio  »  —  debbe, 
deve,  perché  si  è  assunto  l'obbligo  di  farlo. 

80.  3.  Se  lo  sap.  esser  R.;  se  sapessi  lui 
esser  R. 

—  6.  che  di  te  ;  poiché  di  te. 

81.  5.  con  che  ragione,  con  che  abilità.  Di- 
pende da  veduto-  Quanto  al  significato  di 
ragione,  cfr.  e.  xvni,  48,  n.  a. 

—  7.  convengono,  son  conformi,  l'uno  sta 
bene  all'altro,  Più  comunemente  si  conven- 
gono. V.  e.  XVI,  6,  n.  3,  Dante,  Conv.  168  : 


CANTO  XLV 


òóò 


82 

Poi  che  Febo  nel  mar  tutt'è  nascoso, 
Carlo,  fatta  partir  quella  battaglia, 
Giudica  che  la  Donna  per  suo  sposo 
Prenda  Leon,  né  ricusar  lo  vaglia. 
Ruggier,  senza  pigliar  quivi  riposo. 
Senz'elmo  trarsi,  o  alleggerirsi  maglia, 
Sopra  un  picciolrouziu  torna  ingraufret- 
Ai  padiglioni  ove  Leon  l'aspetta.  [ta 

83 

Gittò  Leone  al  cavallier  le  braccia 
Due  vo'-p  e  più  fraternamente  al  collo; 
E  poi,  trattogli  l'elmo  da  la  faccia, 
Di  qua  e  di  là  con  grande  amor  baciollo. 
Vo'  (disse)  che  di  me  sempre  tu  faccia 
Come  ti  par;  che  mai  trovar  satollo 
Non  mi  potrai,  che  me  e  lo  stato  mio 
Spender  tu  possa  ad  ogni  tuo  disio. 
84 

Né  veggo  ricompensa  che  mai  questa 
Obligazion  ch'io  t'ho,  possi  disciorre; 
E  non  s'ancora  io  mi  levi  di  testa 
La  mia  corona,  e  a  te  la  venghi  a  porre. 
Ruggier,  di  cui  la  mente  auge  e  molesta 
Alto  dolore,  e  che  la  vita  aborre, 
Poco  risponde,  e  l'insegne  gli  rende. 
Che  n'avea  avute,  e  '1  suo  liocorno  prende: 
85 

E  stanco  dimostrandosi  e  svogliato. 
Più  tosto  che  potè,  da  lui  levosse; 
Et  al  suo  alloggiamento  ritornato, 
Poi  che  fu  mezza  notte,  tutto  armosse; 
E  sellato  il  destrier,  senza  commiato, 
E  senza  che  d'alcun  sentito  fosse. 
Sopra  vi  salse,  e  si  drizzò  al  camino 
Che  più  piacer  gli  parve  al  suo  Frontino. 


«  per  l'ordine  e  numero  in  che  paiono  con- 
venire ». 

82.  4.  né  ricusar  lo  vaglia;  né  valga  il  ri- 
cusarlo; né  abbia  valore  il  suo  rifiuto. 

—  6.  alleggerirsi  maglia,  togliersi  le  armi 
pesanti,  che  i  cavalieri  quando  non  erano 
in  battaglia  o  in  avventura  facevan  portare 
agli  scudieri,  rimanendo  con  le  armature 
più  leggere,  che  tenevano  di  sotto. 

83.  6-8.  tr.  satollo...  che...  spender  t.  p.  ; 
non  mi  potrai  mai  trovar  sazio,  stanco  di 
permettere  che  tu  spenda  me  e  il  mio  re- 
gno per  ogni  tuo  desiderio.  È  una  brachi- 
logia, che  non  mi  sembra  né  chiara  né  ele- 
gante. 

84.  2.  possi,  possa.  Vedi,  per  questa  for- 
ma, e  per  il  segueute  venghi,  e.  xv,  86, 
n.  5. 

—  3.  E  non  se  ancora  ecc.;  E  non  la  vedo, 
anche  se  ecc. 

85.  6.  d'alcun,  da  alcun.  V.  e.  v,  10,  n.  5. 

—  7.  vi  salse,  vi  sali.   V.  e.  vi,  41,  n.  4. 

—  8.  C.  p.  p.  gli  parve  al  s.  P.  ;  che  gli 
parve  piacesse  meglio  al  suo  Frontino.  Si 


86  [ta, 

Frontino  or  per  vìa  dritta  or  pervia  tor- 
Qnando  per  selve  e  quando  per  campagna 
Il  suo  Signor  tutta  la  notte  porta. 
Che  non  cessa  un  momento  che  non  piagna: 
Chiama  la  morte,  e  in  quella  si  conforta, 
Che  l'ostinata  doglia  sola  fragna; 
Né  vede,  altro  che  morte,  chi  finire 
Possa  r  insopportabil  suo  martire. 
87 

Di  chi  mi  debbo,  oimè!  (dicea)  dolere. 
Che  cosi  m'abbia  a  un  punto  ogni  ben  tol- 
Deh,  s'io  non  vo'  l'ingiuria  sostenere  fto? 
Senza  vendetta,  incontro  a  cui  mi  volto? 
Fuor  che  me  stesso,  altri  non  so  vedere, 
Che  m'abbia  offeso  et  in  miseria  volto. 
Io  m'  ho  dunque  di  me  contra  ame  stesso 
Da  vendicar,  c'ho  tutto  il  mal  commesso. 
88 

Pur,  quando  io  avessi  fatto  solamente 
A  me  l'ingiuria,  a  me  forse  potrei 
Donar  perdon,  se  ben  difficilmente; 
Anzi  vo'  dir  che  far  non  lo  vorrei: 
Or  quanto,  poi  che  Bradamante  sente 
Meco  l'ingiuria  ugual,  men  lo  farei? 
Quando  beue  a  me  ancora  io  perdonassi, 
Lei  non  convien  che  invendicata  lassi. 
89 

Per  vendicar  lei  dunque  debbo  e  voglio 


drizzò  per  quella  via,  die  a  lui  parve  fosse 
la  preferita  dal  cavallo.  Ma  puoi  anohe  inten- 
dere :  si  drizzò  per  quella  via,  clie  parve 
piacer  più  al  suo  Fr.  Cosi  avremmo  il  com- 
plemento raddoppiato  per  mezzo  della  anti- 
cipazione dellaparticella  prono  linale.come 
fa  spessissimo  il  popolo  :  es.  Lo  vedi  stasera 
Francesco?  —  Se  gli  piace  al  babbo,  piace 
anche  a  me.  —  Ti  pare  a  tei  Nel  furioso 
hai  un  es.  nel  e.  xxiv,  83,  5:  «Io  vel  co- 
mando Che  fin  che  piaccia  a  Dio  restiate 
viva  ». 

86.  4,  non  cessa...  che  non  p.  ;  non  cessa 
di  piangere.  V.  e.  i,  SS,  n.  6. 

—  5-0.  Chiama  ecc.  Qui  abbiamo  rinno- 
vato un  vezzo  frequente  nell'Ar.,  d'interrom- 
pere il  costrutto  con  una  proposiz.  incidente 
coordinata  :  Chiama  la  morte,  che,  sola, 
fragna,  tronchi  1'  ostinato  dolore  ;  e  nella 
morte  (nel  pensier  della  morte)  si  conforta. 
Cfr.  e.  IX,  92,  n.  4;  xl,  59,  3. 

—  7.  altro  che,  fuor  che.  Cosi  avverbial- 
mente l'usò  già  il  Petrarca,  i,  son.  118: 
«  parola  Ch'  altro  che  da  me  stesso  fosse 
intesa  ».  Costruisci:  Né  vede  chi,  fuorché 
morte,  possa  finire,  ecc. 

87.  6.  in  miseria  volto,  in  m.  messo,  fatto 
diventar  misero.  Volgere  in  miseria  è  lo- 
cuzione fatta  forse  sullo  stampo  dell'  altre 
simili:  volgere  in  ridicolo,  in  burla  ecc. 
Nessun  vocabolario  la  cita. 


636 


ORLANDO  FURIOSO 


Ogni  modo  morir,  né  ciò  mi  pesa; 
Ch'altra  cosa  non  so  ch'ai  mio  cordoglio, 
Fuor  che  la  morte,  far  possa  difesa. 
Ma  sol,  ch'allora  io  non  mori',  mi  doglio, 
Che  fatto  ancora  io  non  le  aveva  offesa. 
Oh  me  felice,  s' io  moriva  allora, 
Ch'era  prigion  de  la  crudel  Teodora! 
90 

Se  ben  m'avesse  ucciso,  tormentato 
Prima  ad  arbitrio  di  sua  crudeltade. 
Da  Bradamante  almeno  avrei  sperato 
Di  ritrovare  al  mio  caso  pietade. 
Ma  quando  ella  saprà  ch'avrò  più  amato 
Leon  di  lei,  e  di  mia  volontade 
Io  me  ne  sia,  perch'egli  l'abbia,  privo; 
Avrà  ragion  d'odiarmi  e  morto  e  vivo. 
91 

Questo  dicendo  e  molte  altre  parole 
Che  sospiri  accompagnano  e  singulti, 
Si  trova  all'apparir  del  nuovo  sole 
Fra  scuri  boschi, in  luoghi  strani  e  Inculti; 
E  perché  è  disperato,  e  morir  vuole, 
E,  più  che  può,  che  '1  suo  morir  s'occulti; 
Questo  luogo  gli  par  molto  nascosto, 
Et  atto  a  far  quant'ha  di  sé  disposto. 
92 

Entra  nel  folto  bosco,  ove  più  spesse 
L'ombrose  frasche  e  più  intricate  vede; 
Ma  Frontin  prima  al  tutto  sciolto  messe 
Da  sé  lontano,  e  libertà  gli  diede. 
O  mio  Frontin  (gli  disse),  s'a  me  stesse 
Di  dare  a'  merti  tuoi  degna  mercede, 
Avresti  a  quel  destrier  da  invidiar  poco. 
Che  volò  al  cielo,  e  fra  le  stelle  ha  loco. 
93 

Cillaro,  so,  non  fu,  non  fu  Arione 
Di  te  miglior,  né  meritò  più  lode; 


89.  2.  Ogni  modo;  V.  e.  xlhi,  IGl,  n.  5. 

—  6.  Che.  È  correlativo  di  allora:  allora 
quando. 

90.  1.  tormentato.  Intendi:  Se  bene  mi 
avesse  ucciso,  tormentandomi  prima,  dopo 
avermi  prima  tormentato  ad  arbitrio  del 
suo  animo  crudele. 

—  7.  Io  me  ne  sia.  Per  il  congiunt.  cfr. 
e.  v,  67,  n.  8.  Qui  la  cosa  è  enunciata  come 
un  pensiero  di  Bradam.,  quasi  dica:  saprà 
che  me  ne  son  privato  (cfr.  e.  i,  48,  n.  4)  di 
mia  volontà,  e  penserà  che  me  ne  son  pri- 
vato, perché  l'abbia  lui. 

92.  3-4.  messe  da  sé  lontano.  Intendo  tutto 
il  luogo  cosi  :  Rugg.  entrò  nel  più  fitto  del 
bosco,  ma  prima  di  entrarvi  aveva  messo 
Frontino  in  luogo  lontano  da  quello,  dove 
poi  R.  s' inoltrò  :  e  datagli  la  libertà,  cosi 
gli  parlò. 

—  7.  qnel  destrier,  Pegaso,  che  fu  mu- 
tato in  costellazione. 

03.  1.  Cillaro,  un  cavallo  di  Castore  — 
Arione,  cavallo  d'Adrasto  re  d'Argo.  Notano 


Né  alcun  altro  destrier  di  cui  menzione 
Fatta  da'  Greci  o  da'  Latini  s'ode. 
Se  ti  fur  par  ne  l'altre  parti  buone. 
Di  questa  so  ch'alcun  di  lor  non  gode, 
Di  potersi  vantar  ch'avuto  mai 
Abbia  il  pregio  e  l'onor  che  tu  avuto  hai: 
94 

Poi  ch'alia  più  che  mai  sia  stata  o  sia 
Donna  gentile  e  valorosa  e  bella 
Si  caro  stato  sei,  che  ti  nutria, 
E  di  sua  man  ti  ponea  freno  e  sella. 
Caro  eri  alla  mia  donna:  ah  perché  mia 
La  dirò  più,  se  mia  non  è  più  quella? 
S'io  l'ho  donata  ad  al  tri?  Oimè!  che  cesso 
Di  volger  questa  spada  ora  in  me  stesso? 
95 

Se  Ruggier  qui  s'affligge  e  si  tormenta, 
E  le  fere  e  gli  augelli  a  pietà  muove 
(Ch'altri  non  è  che  questi  gridi  senta 
Né  vegga  il  pianto  che  nel  sen  gli  piove), 
Non  dovete  pensar  che  più  contenta 
Bradamante  in  Parigi  si  ritrove, 
Poi  che  scusa  non  ha  che  la  difenda, 

0  più  l'indugi,  che  Leon  non  prenda. 

96 

Ella,  prima  ch'avere  altro  consorte 

Che  '1  suo  Ruggier,  vuol  far  ciò  che  può 

[farsi; 
Mancar  del  detto  suo;  Carlo  e  la  Corte, 

1  parenti  e  gli  amici  inimicarsi; 

E  quando  altro  non  possa,  al  fin  la  morte 
0  col  veneno  o  con  la  spada  darsi; 
Che  le  par  meglio  assai  non  esser  viva, 
Che,  vivendo,  restar  di  Ruggier  priva. 
97 
Deh,  Ruggier  mio  (dicea),  dove  sei  gito? 
Puote  esser  che  tu  sia  tanto  discosto, 
Che  tu  non  abbi  questo  bando  udito, 
A  nessun  altro,  fuor  ch'a  te,  nascosto? 
Se  tu  '1  sapesse,  io  so  che  comparito 
Nessun  altro  saria  di  te  più  tosto. 
Misera  me!  ch'altro  pensar  mi  deggio. 
Se  non  quel  che  pensar  si  possa  peggio  ? 


giustamente  che   questa  erudizione  è  fuor 
di  luogo  e  viziosa. 

94.  1-2.  alla  piri  ecc.  Costruisci:  alla  Donna 
più  gentile  e  valorosa  e  bella  che  sia  mai 
stata.  Non  è  questa  certo  la  più  ardita  in- 
versione del  Furioso. 

—   7.  cesso,  indugio.  V.  e.  xltii,  163,  n.  7. 

95.  8.  l'indugi,  la  trattenga,  cosi  che  non 
prenda  Leone.  Tasso,  Ger.  4,  16  :  «  Ma  per- 
ché più  v'indugio'?  » 

96.  3.  Mancar  del  d.  8.  ;  mancar  di  parola, 
mancar  della  sua  parola. 

97.  5.  sapesde,  sapessi.  Vedi,  per  questa 
terminaz.,  e.  xxxi,  12,  n.  7.  Cosi  tu  fosse 
e.  XLVi,  41,  2.  Pecorone,  G.  4,  n.  l  :  «  Se  tu 
mi  desse  più  ducati  che  non  vale  questa 
città». 


CANTO  XLV 


637 


98 

Come  è,  Ruggier,  poasibil  che  tu  solo 
Non  abbi  quel  che  tutto  il  mondo  ha  inte- 
se inteso  l'hai,  né  sei  venuto  a  volo,  [so? 
Come  esser  può  che  non  sii  morto  o  preso? 
Ma  chi  sapesse  il  ver,  questo  figliuolo 
Di  Costantin  t'avrà  alcun  laccio  teso; 
11  traditor  t'avrà  chiusa  la  via, 
Acciò  prima  di  lui  tu  qui  non  sia. 
99 

Da  Carlo  impetrai  grazia,  ch'a  nessuno 
Man  di  me  forte  avessi  ad  esser  data, 
Con  credenza  che  tu  fossi  quell'uno 
A  cui  star  contra  io  non  potessi  armata. 
Fuor  che  te  solo,  io  non  stimava  alcuno: 
Ma  de  l'audacia  mia  m'  ha  Dio  pagata; 
Poi  che  costui,  che  mai  pili  non  fe'impresa 
D'onore  in  vita  sua,  cosi  m'ha  presa: 
100 

Se  però  presa  son,  per  non  avere 
Uccider  lui  né  prenderlo  potuto; 
Il  che  non  mi  par  giusto;  né  al  parere 
Mai  son  per  star,  eh'  in  questo  ha  Carlo 

[avuto. 
So  eh' inconstante  io  mi  farò  tenere, 
Se  da  quel  e' ho  già  detto,  ora  mi  muto; 
Ma  né  la  prima  son  né  la  sezzaia, 
La  qual  paruta  sia  inconstante,  e  paia. 
101 

Basti  che  nel  servar  fede  al  mio  amante, 
D'ogni  scoglio  pili  salda  mi  ritrovi, 
E  passi  in  questo  di  gran  lunga  quante 
Mai  furo  ai  tempi  antichi,  osieno  ai  nuovi. 
Che  nel  resto  mi  dichino  incostante, 
Non  curo,  pur  che  l'iucostanzia  giovi: 
Purch'  io  non  sia  di  costui  tórre  astretta, 
Volubil  più  che  foglia  anco  sia  detta. 

98.  5.  Ma  chi  sap.  il  ver;  ma  se  uno  sa- 
pesse il  vero,  saprebbe  certamente  questo. 
Il  chi  col  congiuntivo  vale  spesso  iiell'  uso 
elegante  della  nostra  lingua  una  proposi- 
zione condizionale.  V.  Fornaciari,  Sint., 
p.  121. 

—  8.  non  sia.  Veramente  non  fossi.  Ma 
Brad,  si  trasporta  con  la  fantasia  al  mo- 
mento, in  cui  Leone  gli  fa  impedimento. 
L'espressione  cosi  è  più  drammatica. 

99.  3.  quell'uno,  quel  solo. 

100.  1-2.  Se  però  ecc.  Intendi:  Se  però 
si  può  dire  che  sou  presa  per  non  aver  po- 
tuto uccider  lui  né  prenderlo,  il  che  non 
mi  pare  conforme  a  giustizia. 

—  5.  So  eh'  inconst.-inte  ecc.  So  che  mi 
farò  ritenere  per  incostante,  se  mi  muto, 
rimovendomi  da  quello,  ecc. 

—  7.  sezzaia,  ultima.  Si  disse  anche  sez- 
zo  :  Pulci,  More/.  2,  7  :  «  E  tanto  il  primo 
quanto  il  sezzo  vale  ».  Da  sezzo  (V.  e.  xi,  13, 
3)  derivò  sezzaio. 

101.  5.  duliiuo,  dicano.  Terminaz.  popo- 
lare ancora  in  uso  nel  voliro. 


102 
Queste  parole  et  altre,  eh'  interrotte 
Da  sospiri  e  da  pianti  erano  spesso, 
Segui  dicendo  tutta  quella  notte 
Ch'all'infelice  giorno  venne  appresso. 
Ma  poi  che  dentro  alle  Cimmerie  grotte 
Con  l'ombre  sue  Notturno  fu  rimesso. 
Il  Ciel,  ch'eternamente  avea  voluto 
Farla  di  Ruggier  moglie,  le  die  aiuto, 

103 
Fé'  la  matina  la  Donzella  altiera 
Marfisa  inanzi  a  Carlo  comparire. 
Dicendo  ch'ai  fratel  suo  Ruggier  era 
Fatto  gran  torto,  e  noi  volea  patire, 
Che  gli  fosse  levata  la  mosliera, 
Né  pure  una  parola  glie  ne  dire: 
E  contra  chi  si  vuol  di  provar  toglie. 
Che  Bradamante  di  Ruggiero  è  moglie; 

104 
E  inanzi  agli  altri,  a  lei  provar  lo  vuole, 
Quando  pur  di  negarlo  fosse  ardita, 
Ch'  in  sua  presenzia  ella  ha  quelle  parole* 


102.  5.  Cimmerie  gr.  «  Cimmerii  furono 
popoli  dell' .•^sia  vicini  al  Bosforo  sulla  pa- 
lude Meotide  (Mar  d'Azow),  i  quali  per  l'aria 
crassa  e  per  le  dense  esalazioni  nuvolose, 
rare  volte  veggono  il  sole  :  per  la  qual  cosa 
favoleggiarono  i  poeti,  che  tra  essi  facesse 
la  notte  dimora  quando  per  noi  è  giorno  » 
(Barotti). 

—  6,  Notturno,  il  dio  della  notte.  Plauto, 
.anfitrione,  ì,  1, 116:  «Credo ego,  hac  noctu, 
Nocturnum  obdormisse  ebrium»,  dice  Sosia 
poiché  non  si  faceva  mai  giorno. 

—  7.  eternamente,  nei  suoi  eterni  decreti. 
In  Dio,  non  essendovi  tempo  né  successione, 
ogni  atto  volitivo  è  eterno. 

10;5.  4-5.  Fatto  ecc.,  era  stato  fatto  gran 
torto,  e  non  voleva  sopportare  questo  torto, 
cioè  che  gli  fosse  ecc. 

—  6.  Né...  glie  ne  dire.  Né  dirgliene,  e 
non  gli  se  ne  dica.  Quest'  infinito  assoluto 
è  frequentissimo  nello  stile  popolare:  cosi 
diremmo:  Non  sarà  mai  che  io  faccia  que- 
sto e  non  dirlo  a  mio  padre  (senza  dirlo,  e 
non  lo  dica). 

—  7.  chi  si  vuol.  È  bel  modo  ancora  vi- 
vissimo nel  popolo  toscano,  che  1'  usa  nel 
senso  di  ogni  persona:  es.:  scommetto  con 
chi  si  vuole.  E  credo  debba  illustrarsi  cosi: 
scommetto  con  chi  si  voglia  che  io  scom- 
metta, con  qualunque  persona  con  cui  altri 
voglia  che  io  scommetta.  —  di  provar  t.  ; 
con  le  armi.  Cosi  provavano  i  cavalieri  an- 
tichi le  loro  asserzioni. 

101.  2.  Quando  pur,  se  pur,  posto  che. 
Come  si  usò  quando  per  se,  cosi  abbiamo 
qui  quando  pur  per  se  pur. 

—  3.  Ch'  in  s.  p.  Il  die  può  esser  relativo 
a  lei  e  anche  i)or  poich-J, 


638 


ORLANDO  FURIOSO 


Dette  a  Rnggier,  che  fa  chi  si  marita; 
E  con  la  cerimonia  che  si  suole, 
Già  si  tra  lor  la  cosa  è  stabilita, 
Che  pili  (li  sé  non  possono  disporre, 
Né  l'im  l'altro  lasciar,  per  altri  tórre. 
105 

Martìsa,  o  '1  vero  '1  falso  che  dicesse, 
Pur  lo  dicea,  ben  credo  con  pensiero, 
Perché  Leon  più  tosto  interrompesse 
A  dritto  e  a  torto,  che  per  dire  il  vero  ; 
E  che  di  volontade  lo  facesse 
Di  Bradaraaute,  ch'a  riaver  Ruggiero, 
Et  escluder  Leon,  né  la  più  onesta 
Né  la  più  breve  via  vedea  di  questa. 
106 

Turbato  il  re  di  questa  cosa  molto, 
Bradamante  chiamar  fa  immantinente; 
E  quanto  di  provar  Marflsa  ha  tolto. 
Le  fa  sapere,  et  ecci  Amon  presente. 
Tien  Bradamante  chino  a  terra  il  volto, 
E  confusa  non  niega  né  consente. 
In  guisa  che  comprender  di  leggiero 
>Si  può  che  Marfisa  abbia  detto  il  vero. 

107  [glante 

Piace  a  Rinaldo,  e  piace  a  quel  d' An- 
Tal  cosa  udir,  ch'esser  potrà  cagione 
Che  '1  parentado  non  andrà  più  inante, 
Che  già  conchiuso  aver  credea  Leone; 
E  pur  Ruggier  la  bella  Bradamante 
Malgrado  avrà  de  l'ostinato  Amone; 
E  potran  senza  lite,  e  senza  trarla      [la. 
Di  man  per  forza  al  padre,  a  Ruggier  dar- 
108 

Che  se  tra  lor  queste  parole  stanno. 
La  cosa  è  ferma,  e  non  andrà  per  terra. 
Cosi  atterràn  quel  che  promesso  gli  hanno, 


—  4.  fa,  dice.  V.  e.  xv,  52,  u.  7. 

—  5.  che  si  snoie,  con  cui  (e.  xiii,  37, 
n.  5),  si  suole  stabilire  queste  cose. 

105.  2.  con  pensiero,  col  pensiero,  con  que- 
sto pensiero  ;  perché  cioè  interrompesse 
Leone,  nei  suoi  propositi,  piuttosto  che  per 
dire  il  vero.  Apparisce  da  queste  parole  che 
Marflsa  non  diceva  il  vero;  ma  la  parte  da 
lei  aggiuntasi  riferisce  solo. all'avere  essa 
udito  tali  parole  :  che  le  parole  di  reciproca 
promessa  furono  veramente  dette  fra  loro. 
Vedi  e.  xLvi,  37,  u.  7. 

—  5.  E  che.  Dipende  dal  ct^edo  del  v.  2  — 
di  volontade;  per  volontà.  Su  di  causale  vedi 
e,  XIII,  33,  n.  3. 

107.  1.  q.  d'Anglante;  Orlando. 

—  5.  E  pur;  E  potrà  esser  ^Jitre  cagione 
che  Rugg.  avrà  ecc. 

108.  1.  Che  se  ecc.  Se  esistono  fra  loro 
queste  parole  di  cui  alla  st.  101,  3.  Se  cioè 
essi  si  son  veramente  data  la  fede  matrimo- 
niale come  dice  Marlisa. 

—  2.  non  andrà  p.  terra,  non  cadrà.  È 
immagine  prodotta  dal  precedente  è  ferma. 

—  3.  gli,  a  Ruggero. 


Più  onestamente,  e  senza  nuova  guerra. 
Questo  è  (diceva  Amon),  questo  è  un  in- 

[ganno 
Centra  me  ordito;  ma  '1  pensier  vostro 

[erra; 
Ch'ancor  che  fosse  ver  quanto  voi  finto 
Tra  voi  v'avete,  io  non  son  però  vinto. 
109 
Che  prosu posto  (che  né  ancor  confesso. 
Né  vo'  credere  ancor)  ch'abbia  costei 
Scioccamente  a  Ruggier  cosi  promesso, 
Come  voi  dite,  e  Ruggiero  abbia  a  lei; 
Quando  e  dove  fu  questo?  che  più  espres- 
Più  chiaro  e  piano  intenderlo  vorrei,  [so, 
Stato  so  che  non  è,  se  non  è  stato 
Prima  che  Ruggier  fosse  battezzato. 

no 

Ma  s'egli  è  stato  inanzi  che  Cristiano 
Fosse  Ruggier,  non  vo'  che  me  ne  caglia; 
Ch'essendo  ella  Fedele,  egli  Pagano, 
Non  crederò  che  '1  matrimonio  vaglia. 
Non  si  debbe  per  questo  essere  in  vano 
Posto  al  risco  Leon  de  la  battaglia; 
Né  il  nostro  Imperator  credo  vegli  anco 
Venir  del  detto  suo  per  questo  manco. 
Ili 

Quel  ch'or  mi  dite, era  J.i  dirmi  quando 
Era  intera  la  cosa,  né  ancor  fatto 
A  prieghi  di  costei  Carlo  avea  il  bando 
Che  qui  Leone  alla  battaglia  ha  tratto. 
Cosi  centra  Rinaldo  e  centra  Orlando 
Amon  dicea,  per  rompere  il  contratto 
Fra  quei  duo  amanti;  e  Carlo  stava  a  udi- 
Né  per  l'uu  né  per  l'altro  volea  dire,  [re, 
112 

Come  si  senton,  s' Austro  o  Borea  spira. 
Per  l'alte  selve  murmurar  le  fronde; 
0  come  soglion,  s'Eolo  s'adira 
Centra  Nettuno,  al  lito  fremer  l'onde  : 


lOD.  1.  che  né  anc.  conf.  I  manoscritti  ori- 
ginali, che  hanno  questa  parte,  leggono  il 
che.  Ma  noi  abbiamo  nei  e.  xxiv,  31,  5; 
XXVIII,  37,  7  ;  XXXIV,  26,  5  altri  esempi  di 
che  in  questo  senso.  Cosi,  per  ciò,  possiamo 
intendere  senza  far  violenza  al  testo  del  1532. 

—  5.  espresso,  chiaro,  piano,  dicono  pres- 
so che  la  stessa  idea,  e  in  questo  luogo  non 
fanno  che  mostrare  l' insistenza  d'Amone 
sopra  un  pensiero,  che  a  lui  molto  preme. 

110.  6.  risco.  Cosi  nel  e.  vi,  81,  8. 

—  7.  vogli,  voglia.  V.  e.  XV,  86,  n.  5.  — 
Né...  anco,  e  neppure.  V.  e.  xvi,  36,  n.  8. 

—  8.  del  detto  suo.  È  un  complemento  di 
limitazione:  venir  meno  quanto  alla  sua 
parola;  mancare  alla  s.  parola.  V.  e.  xxxvii, 
22,  n.  2. 

111.  2.  Era  intera.  È  il  latino  re  adhuc 
integra:  quando  la  cosa  era  ancor  fresca, 
non  trattata,  non  pregiudicata  (Romizi). 

—  A  prieghi,  ai  prieghi. 


I 


CANTO  XLV 


639 


Cosi  un  rumor  che  corre  e  che  s'aggira, 
E  che  per  tutta  Francia  si  diffonde, 
Di  questo  dà  da  dire  e  da  udir  tanto. 
Ch'ogni  altra  cosa  è  muta  in  ogni  canto. 
113 

Chi  parla  per  Ruggier,  chi  per  Leone; 
Ma  la  più  parte  è  con  Ruggiero  in  lega: 
Son  dieci  e  piti  per  un  che  n'abbia  Amone. 
L' Imperator  né  qua  né  là  si  piega; 
Ma  la  causa  rimette  alla  ragione, 
Et  al  suo  parlamento  la  delega. 
Or  vien  Marfisa,  poi  eh' è  differito 
Lo  sponsalizio,  e  pon  nuovo  partito; 
114 

E  dice:  Con  ciò  sia  ch'esser  non  possa 
D'altri  costei,  fin  che  '1  fratel  mio  vive; 
Se  Leon  la  vuol  pur,  suo  ardire  e  possa 
Adopri  si,  che  lui  di  vita  prive: 
E  chi  manda  di  lor  l'altro  alla  fossa, 
Senza  rivale  al  suo  contento  arrive. 
Tosto  Carlo  a  Leon  fa  intender  questo, 
Come  anco  intender  gli  avea  fatto  il  resto. 
115 

Leon  che,  quando  seco  il  cavalliero 
Del  liocorno  sia,  si  tieu  sicuro 
Di  riportar  vittoria  di  Ruggiero, 
Né  gli  abbia  alcun  assunto  a  parer  duro; 


113.  2.  è  In  lega;  è  d'accordo,  è  favore- 
vole. 

Ila.  4.  Né  gli  abbia,  e  si  tien  sicuro  che 
non  abbia  a  parer  duro  a  quel  cavaliere 


Non  sappiendo  che  l'abbia  il  dolor  fiero 
Tratto  nel  bosco  solitario  e  oscuro. 
Ma  che,  per  tornar  tosto, uno  o  due  miglia 
Sia  andato  a  spasso,  il  mal  partito  piglia. 
116 

Ben  se  ne  pente  in  breve:  che  colui 
Del  qual  pili  del  dover  si  promettea. 
Non  comparve  quel  di,  né  gli  altri  dui 
Che  lo  seguir,  né  nuova  se  n'avea; 
E  tòr  questa  battaglia  senza  lui 
Contra  Ruggier,  sicur  non  gli  parca: 
Mandò,  per  schivar  dunque  danno  e  scor- 
Per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno,     [no, 
117 

Per  cittadi  mandò,  ville  e  castella, 
D'appresso  e  da  lontan,  per  ritrovarlo; 
Né  contento  di  questo,  montò  in  sella 
Egli  in  persona,  e  si  pose  a  cercarlo. 
Ma  non  n'avrebbe  avuto  già  novella. 
Né  l'avria  avuta  uomo  di  quei  di  Carlo, 
Se  non  era  Melissa  che  fé'  quanto 
Mi  serbo  a  farvi  udir  ne  l'altro  Canto. 


nessun  assunto.  Questo  mi  sembra  qui  il 
senso  migliore. 

—  7.  Ma  che.  Bisogna  rilevare  dal  con- 
testo un  credemlo  :  ma  credendo  che  ecc. 

117.  2.  D' appresso  e  da  1.  ;  manda  vicino  e 
lontano.  Da  lontano  come  termine  di  moto 
non  è  citato  dai  vocabolari.  Ma  forse  su 
questa  espressiona  ha  agito  1'  altra  (V  ap- 
presso. 


CANTO  XLVI 


Or,  se  mi  mostra  la  mia  carta  il  vero, 
Non  è  lontano  a  discoprirsi  il  porto; 
Si  che  nel  lite  i  voti  scioglier  spero 
A  chi  nel  mar  per  tanta  via  m'ha  scorto; 


1.  1.  la  mia  carta.  Metaforicam.  la  mia 
carta  nautica.  Fuori  di  figura  il  poema, 
che  lo  scrittore  ha  dinanzi.  Molti  hanno 
figurato  la  composizione  d'  un'  opera  come 
una  navigazione.  Virgil.,  Georc/.  2,  41  ; 
Dante,  Purg.  1,  1-2. 

—  4.  A  chi  ecc.  «  I  voti  fatti  nei  pericoli 
delle  tempeste  si  solevano  dagli  antichi  na- 
viganti scioglier  sul  lido  a  Glauco,  Panope, 
Ino  e  Melicerta»  (Romizi),  che  si  chiama- 
vano Bei  littovali.  A  questo  costume  allude 
l'Ariosto.  Ma  a  chi  precisamente  accenna? 
11  Foruari  intende  «  questi  signori  e  donne, 
che  subito  egli  nomina  ».  Ma  non  pare  che 
possa  dirsi  che  essi  l'hanno  scorto  per  il 
mare.  Il  Romizi  intende  Alessandra  Benucci 
«  che  non  solo  gli  ha  concesso  di  mante- 


Ove,  0  di  non  tornar  col  legno  intero. 


nere  la  promessa  fatta  nella  protasi  del 
poema,  ma  lo  ha  anche  sorretto  nel  lungo 
e  diffìcile  lavoro  ».  Ma  il  Poeta  non  fa  che 
lamentarsi  della  crudeltà  della  sua  donna 
e  dei  tormenti  d'amore,  che  gli  limano  l'in- 
gegno e  minacciano  di  farlo  diventar  pazzo 
come  Orlando  (e.  i,  2,  5;  xxxv,  1):  e  questo 
non  mi  sembra  un  guidare  nelle  difficoltà. 
Io  non  sarei  alieno  dal  credere  che  il  Poeta 
facesse  questo  vago  accenno,  perché  Ippo- 
lito d'Este,  potesse  riferirlo  a  sé  stesso.  Il 
Poema  infatti  è  dedicato  a  lui,  è  fatto  con 
r  apparente  fine  di  inalzare  un  monumento 
di  gloria  alla  casa  Estense,  si  chiude  con 
l'episodio  più  strettamente  connesso  con  le 
origini  supposte  di  quella  casa:  perché  non 
dovrebbe  nell'ultimo  canto  rilevare  in  Ip- 
polito il  merito  d'avere  con  la  sua  gran- 
dezza, con  la  luce  della  sua  gloria  (e.  ni, 
57)  scorto,  guidato,  il  Poeta  nella  lunga  fa- 
tica? Se  ciò  sembra  esagerato  si  pensi  che 


640 


ORLANDO  FURIOSO 


O  d'errar  sempre,  ebbi  già  il  viso  smorto. 
Ma  mi  par  di  veder,  ma  veggo  certo, 
Veggo  la  terra,  e  veggo  il  lito  aperto. 

2 
Sento  venir  per  allegrezza  un  tuono 
Che  fremer  l'aria  e  rimbombar  fa  l'onde: 
Odo  di  squille,  odo  di  trombe  un  suono 
Che  l'alto  popular  grido  confonde. 
Or  comincio  a  discernere  chi  sono 
Questi  ch'empion  del  porto  ambe  le  spon- 
Par  che  tutti  s'allegrino  eh'  io  sia        [de 
Venuto  a  fin  di  cosi  lunga  via. 

3 
Oh  di  che  belle  e  saggie  donne  veggio, 
Oh  di  che  cavallieri  il  lito  adorno! 
Oh  di  ch'amici,  a  chi  in  eterno  deggio 
Per  la  letizia  c'han  del  mio  ritorno! 
Mamma  e  Ginevra  e  l'altre  da  Correggio 
Veggo  del  molo  in  su  l'estremo  corno: 
Veronica  da  Gambara  è  con  loro. 
Si  grata  a  Febo^e  al  santo  Aonio  coro. 


non  è  meno  esagerato  ciò  che  di  lui  dice 
nei  e.  VII,  62;  xxxv,  4;  xxxvi,  2  ecc. 

—  6.  ebbi...  il  viso  smorto,  ebbi...  paura.  Av- 
verti r  ardimento  sintattico,  per  il  quale 
quest'  espressione  vieu  costruita  con  l'infi- 
nito di  non  tornar  ecc.,  come  se  fosse 
ebbi  paura. 

—  8.  il  lito  aperto,  veggo  apertamente, 
chiarameiUe  il  lido.  È  dunque  l'agg.  usato 
avverbialm. 

2.  1.  nn  tuono,  un  rombo  di  voci  e  suoni 
fatti  per  l'allegrezza  del  mio  ritorno.  Qui 
l'Ar.  accenna  al  favore  che  incontrerà  il 
suo  poema. 

—  4.  confonde,  rende  smorto,  opprime 
sicché  io  ben  non  lo  distinguo. 

8.  3.  a  chi...  deggio.  a  cui  debbo,  son  de- 
bitore. Per  quest'  uso  cfr.  e.  xxxr,  42,  n.  6. 

—  5.  Mamma.  Era  un  soprannome  dato 
a  Beatrice  figlia  di  Niccolò  da  Correggio  e 
moglie  di  Nicola  Quirico  Sanvitale.  —  Gi- 
nevra. Due  sono  le  Ginevre  di  cui  si  può 
qui  parlare:  Ginevra  figliuola  di  Giberto  da 
Correggio  e  di  Veronica  Gambara,  moglie 
a  Paolo  Fregoso:  Ginevra  figlia  di  Giovanni 
Bentivoglio  e  moglie  a  Guido  da  Correggio 
(t  1528). 

—  7.  Veronica  da  Gamb.  È  detta  anche 
da  Correggio  perché  moglie  di  Giberto,  e 
perché  dimorò  a  lungo  a  Correggio.  È 
la  celebre  poetessa.  Nella  prima  ediz.  si 
leggeva:  «Quella,  che  scende  con  Ginevra 
al  mare  Veronica  da  Gambara  mi  pare»; 
poi  avendola  conosciuta  anche  di  persona, 
per  più  onorarla  mutò  come  si  vede. 

—  8.  Aonio  coro,  le  Muse,  delle  quali  si 
metteva  la  sede  nei  monti  della  Beozia  (Eli- 
cona), detta  anche  Aonia. 


Veggo  un'altra  Ginevra,  pur  uscita 
Del  medesimo  sangue,  e  Giulia  seco; 
Veggo  Ippolita  Sforza,  e  la  notrita 
Damigella  Trivulzia  al  sacro  speco: 
Veggo  te,  Emilia  Pia,  te,  Margherita, 
Ch'Angela  Borgia  e  Graziosa  hai  teco; 
Con  Ricciarda  da  Este  ecco  le  belle 
Bianca  e  Diana,  e  l'altre  lor  sorelle. 
5 

Ecco  la  bella,  ma  più  saggia  e  onesta, 
Barbara  Turca,  e  la  compagna  è  Laura. 


4.  1-2.  Ginevra...  Gialia.  Di  queste,  che 
paiono  della  casa  da  Correggio,  non  si  trova 
chiara  notizia. 

—  3.  Ippolita  Sforza,  figlia  di  Carlo  Sforza 
e  di  Bianca  Simonetta,  fu  moglie  di  Ales- 
sandro Bentivoglio,  ebbe  fama  di  grande 
dottrina  e  fu  una  delle  più  celebri  rifor- 
matrici del  suo  tempo.  Di  lei  parla  anche 
il  Bandello.  Non  ne  resta  alcuno  scritto. 

—  4.  D.  Trivulzia.  Damigella  o  Domitilla 
figlia  di  Giovanni  Trivulzio  di  Milano  :  «  i 
suoi  genitori  l'avevano  fin  da  bambina  con- 
sacrata alle  Muse  e  confidata  loro  perché 
la  educassero  »  (Iacopo  da  Bergamo),  —  al 
8.  speco,  all'antro  dell'  Oracolo  di  Delfi  «  La 
dove  Apollo  diventò  profeta»  (Petrarca, 
I,  son.  133). 

—  5.  Emilia  Pia.  Emilia  dei  Pio,  Signori 
di  Carpi,  moglie  d'Antonio  da  Montefeltro. 
Meritò  per  le  sue  virtù  e  per  l'alto  ingegno 
le  lodi  del  Castiglione  nel  Cortegiano.  — 
Margherita  ;  È  quella  Margherita  Gonzaga, 
della  corte  d' Urbino,  che  interloquisce  nel 
Cortegiano. 

—  6.  Angela  Borgia,  parente  e  damigella 
di  Lucrezia  Borgia,  di  cui  parla  il  Bembo 
nella  dedica  degli  Asolani.  —  Graziosa , 
Graziosa  Pia,  di  cui  si  ha  qualche  lettera 
nelle  scritte  al  Bembo  da  vari,  e  pubblicate 
dal  Sansovino. 

—  7.  Ricciarda  da  E.  È  poco  nota.  Non 
può  essere,  nota  il  Casella,  Ricciarda  di 
Saluzzo,  moglie  di  Niccolò  III,  come  dicono  i 
più,  perché  essa  mori  quando  l'Ar.  nasceva. 

—  8.  Bianca  e  Diana,  figlie  di  Sigismondo 
d'Este,  fratello  del  duca  Ercole:  Bianca, 
marit.  a  Ugo  Sanseverino;  Diana  a  Uguc- 
cione Contrari.  V.c.  XLii,  90,  1.  Dellealtre so- 
relle non  trovo  nei  genealogisti  che  Lucrezia, 

5.  2.  Barbara  Torca.  «  Credono  molti  che 
sia  la  figlia  d'  un  duca  di  Brandeburgo  ma- 
ritata a  Lodovico  Gonzaga,  soprannominato 
il  Turco.  DeV  essere  invece  qualche  donna 
della  famiglia  Turchi,  illustre  fra  le  Fer- 
raresi »  (Casella).  —  Laura.  «  È  probabil- 
mente Laura  o  Eustochia  Dianti,  favorita  e 
poi  moglie  del  duca  Alfonso  I,  dalla  quale 
venne  il  ramo  spurio  degli  Estensi,  che  poi 


CANTO  XLVI 


641 


Non  vede  il  sol  di  più  bontà  di  questa 

Coppia  da  l'Indo  all'estrema  onda  Maura. 

Ecco  Genevra  che  la  Malatesta 

Casa  col  suo  valor  si  ingemma  e  inaura, 

Che  mai  palagi  imperiali  o  regi 

Non  ebbon  più  onorati  e  degni  fregi. 

6 
S'a  quella  etade  ella  in  Arimino  era, 
Quando  superbo  de  la  Gallia  doma 
Cesar  fu  in  dubbio,  s'oltre  alla  riviera 
Dovea  passando  inimicarsi  Roma; 
Crederò  che  piegata  ogni  bandiera, 
E  scarca  di  trofei  la  ricca  soma, 
Tolto  avria  leggi  e  patti  a  voglia  d'essa, 
Né  forse  mai  la  libertade  oppressa. 

7 
Del  mio  Signor  di  Bozolo  la  moglie, 
La  madre,  le  sirocchie  e  le  cugine, 
E  le  Torcile  con  le  Bcntivoglie, 


signoreggiò  in  Modena»  (Casella).  Le  stanze 
5,  6,  sono  aggiunte  per  1'  ediz.  del  1532. 

—  3.  Non  vede...  di  p.  bontà  ecc.  Costrui- 
sci: Non  vede  il  sol  coppia,  due  persone 
di  più,  di  maggior  bontà  di  questa. 

—  4.  all'es.  0.  Manra;  al  mare  che  bagna 
l'estremità  dell'Atlante  :  qui,  al  solito,  l' Indo 
è  preso  per  1'  Oriente,  l'Atlante  per  1'  Occi- 
dente. Mauro  per  ]\Iauritatio  anciie  nel 
e.  VI,  76;  xur,  89. 

—  5.  Genevra.  Il  Fornari,  seguito  dal 
Bolza  e  da  altri,  suppone  che  sia  la  sorella 
del  duca  Ercole,  maritata  a  Sigismondo  Ma- 
latesta di  Rimini,  ma  questa  mori  nel  1410 
avvelenata.  Sembra  piuttosto  quella  Ginevra 
Malatesta,  moglie  d'un  Obizzi  di  Ferrara, 
che  Bernardo  Tasso  amò  e  celebrò  tanto 
nelle  sue  rime. 

C.  3.  s'oltre  alla  riv.,  oltre  il  Rubicone, 
antico  confine  dell'  Italia  Romana.  —  fu  in 
dubbio.  Cesare  nei  Commentari  non  dice 
nulla  di  ciò,  ma  racconta  seccamente  il  fatto. 
I  retori  posteriori  accennano  a  questo  dub- 
bio. SvETONio:  «ad  Rubiconeni  llumen  . .  . 
paulum  constitit,  ac  reputans  quantum  mo- 
liretur,  conversus  ad  proximos:  et  etiam 
nunc,  inquit,  regredì  possumus  ;  quod  sipon- 
ticulum  transierimus,  omnia  armis  agenda 
erunt  ». 

—  5.  Crederò.  Non  vale  il  semplice  credo, 
ma  sono  per  credere,  son  tentato  di  cre- 
dere. V.  la  nota  del  e.  xxxi,  16,  4. 

—  C.  Scarca,  scaricata  la  soma  ricca  di 
trofei;  cioè  deposti  ai  suoi  piedi  i  trofei. 
Questa  forma  di  participio  scorciato  è  si- 
mile a  quelle  notate  nei  e.  i,  48,  4;  xxvi, 
51,  4. 

7.  1.  la  moglie  ecc.  la  moglie  di  Federigo 
Gonzaga  signore  di  Bozzolo  castello  su  la 
sinistra  dell' OgUo.  La  moglie  era  Giovanna 
di  Lodovico  Orsini  e  la  madre  Antonia  del 


E  le  Visconte  e  le  Palavigine: 
Ecco  chi  a  quante  oggi  ne  sono,  t  oglie, 
E  a  quante  o  Greche  o  Barbere  o  Latine 
Ne  furon  mai,  di  quai  la  fama  s'oda, 
Di  grazia  e  di  beltà  la  prima  loda, 

8 
Giulia  Gonzaga,  che  dovunque  il  piede 
'Volge,  e  dovunque  i  sereni  occhi  gira, 
Non  pur  ogn' altra  di  beltà  le  cede, 
Ma,  come  scesa  dal  ciel  Dea,  l'ammira. 
La  cognata  è  con  lei,  che  di  sua  fede 
Non  mosse  mai,  perché  l'avesse  in  ira 
Fortuna  che  le  te'  lungo  contrasto: 
Ecco  Anna  d'Aragon,  luce  del  Vasto; 

9 
Anna,  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, 
Di  castità,  di  fede  e  d'amor  tempio. 
La  sorella  è  con  lei,  ch'ove  ne  irraggia 
L'alta  beltà,  ne  paté  ogn'altra  scempio. 
Ecco  chi  tolto  ha  da  la  scura  spiaggia 


Balzo.   Per  la  sintassi  sottintendi  ecco  la 
moglie  ecc. 

—  4.  Palavigine,  Pallavicine. 

—  5.  toglie.  Ha  per  complemento  l'ultimo 
verso  della  stanza. 

—  6.  Barbere,  barbare;  straniere,  né  Gre- 
che né  Latine.  I  Latini  chiamavano  barbaro 
tutto  ciò  che  non  era  latino;  l'Ar.,  pieno 
della  cultura  del  Rinascimento,  potè  dire 
barbare  le  donne  non  Greche  e  Latine. 

—  7.  di  quai  ;  delle  quali,  Esempio  notevole, 
per  dimostrare  come  l' Ar.  amasse  di  usare 
le  proposiz.  semplici  invece  delle  articolate. 
V.  e.  II,  15,  n.  8. 

—  8.  .loda,  lode.  V.  e.  xv,  2,  n.  1. 

S.  1.  Giulia  Gonzaga,  moglie  di  Vespasiano 
Colonna,  il  giovane,  reputata  la  più  bella 
donna  del  suo  tempo. 

—  5.  La  cognata.  Isabella  Colonna  figlia 
di  Vespasiano  Colonna,  il  vecchio,  e  moglie 
di  Luigi  Gonzaga  detto  Rodomonte.  V.  e. 
xxxvii,  8,  n.  5. 

—  6.  Non  mosse.  Puoi  intendere  ìion  si 
mosse  0  anche:  cui  fortuna  non  mosse. 
—  perché,  sebbene.  V.  e.  XLi,  75,  n.  6.  Le 
st.  8,  9,  sono  aggiunte  per  l'ed.  del  1532. 

—  8.  Anna  d'Arag.  ;  Anna  d'Aragone  (d'A- 
ragona), figlia  di  Ferdinando  d'Aragona  e 
moglie  d'Alfonso  d'Avalos  signore  del  Vasto. 
V.  e.  xxxiii,  27-30. 

9.  3.  La  sorella,  Giovanna  d'Aragona,  mo- 
glie di  Ascanio  Colonna.  «  Il  filosofo  Nifo 
nel  trattato  De  Pulchro  la  pone  a  tipo  della 
donna  bella  »  (Casella).  —  ne  irragg.  ;  il  ne 
è  pleonastico. 

—  4.  ne  paté...  scempio;  ogn'altra  vede 
dalla  beltà  di  lei  fare  scempio  della  propria: 
cioè  la  beltà  di  lei  fa  scomparire  la  beltà 
delle  altre. 

—  5.  Ecco  chi  ecc.  Vittoria  Colonna,  mo- 


Ariosto  —  Papini 


41 


642 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  Stige,  e  fa  con  non  più  visto  esempio, 
Mal  grado  de  le  Parche  e  de  la  Morte, 
Splender  nel  ciel  l'invitto  suo  consorte. 
10 
Le  Ferrarese  mie  qui  sono,  e  quelle 
De  la  corte  d'Urbino;  e  riconosco 
Quelle  di  Mantua,  e  quante  donne  belle 
Ila  Lombardia,  quante  il  paese  Tosco. 

11  cavallier  che  tra  lor  viene,  e  ch'elle 
Onoran  si,  s'io  non  ho  l'occhio  losco. 
Da  la  luce  offuscato  de'  bei  volti, 

È  '1  gran  lume  aretin,  l'Unico  Accolti. 

11 
Benedetto,  il  nipote,  ecco  là  veggio,  [to, 
C  ha  purpureo  il  cappel,  purpureo  il  man- 
Col  Cardinal  di  Mantua  e  col  Campeggio, 
Gloria  e  splendor  del  Consistorio  santo: 
E  ciascun  d'essi  noto  (o  ch'io  vaneggio) 
Al  viso  e  ai  gesti  rallegrarsi  tanto 
Del  mio  ritorno,  che  non  facil  parmi 
Ch'io  possa  mai  di  tanto  obligo  trarmi. 

12 
Con  lor  Lattanzio  e  Claudio  Tolomei, 
E  Paulo  Pausa  e  '1  Dresino  e  Latino 
Giuvenal  parrai,  e  i  Capilupi  miei, 
E  '1  Sasso  e  '1  Molza  e  Florian  Montino  ; 

glie  del  marchese  di  Pescara.  Qui  si  ripe- 
tono i  concetti  e  le  immagini  espresse  nel 
e.  xxxvii,  18-20, 

10.  1.  Le  Ferrarese.  Per  la  terminazione 
cfr.  e.  IX,  84,  n.  1. 

—  8.  r  Dn.  Accolti,  Bernardo  Accolti  are- 
tino, soprannominato  1'  Unico  per  la  gran 
fama  che  acquistò  come  improvvisatore. 
Frequentò  la  corte  d'Urbino,  innamorato 
della  duche.ssa  Elisabetta;  ed  è  interlocu- 
tore nel  Cortegiano. 

11.  1-3.  Benedetto  ecc.  Ben.  Accolti  ni- 
pote dell'  Unico,  detto  il  Cardinale  di  Ra- 
venna, Segretario  di  Clemente  VII.  —  Il 
Cardinal  di  Mantua,  Ercole  Gonzaga,  figlio 
di  Francesco  e  d' Isabella  Estense.  —  il 
Campeggio,  è  Lorenzo  Campeggio,  giurecon- 
sulto Bolognese,   poi   Cardinale.  Le  st.  11, 

12  sono  aggiunte  per  1'  ed.  del  1532. 

12.  1-8,  Lattanzio  e  Claudio  Tel.,  furono 
due  letterati  Senesi  :  il  secondo  tentò  di  in- 
trodurre la  metrica  classica  nella  nostra 
poesia.  —  Paulo  Pausa,  genovese,  latinista 
i  poeta.  —  Il  Dresino,  Gian  Giorgio  Trissino 
di  Vicenza  autore  del  poema  classico  «  L'I- 
talia liberata  dai  Goti  ».  —  Latino  Ginvenale 
della  famiglia  Manetti  di  Parma  letterato  e 
archeologo  —  i  Capilupi,  furono  cinque  fra- 
telli Mantovani:  buoni  scrittori  di  poesia 
Lelio,  Ippolito  e  Camillo.  —  E  '1  Sasso,  Pan- 
filo Sassi  Modenese,  improvvisatore  in  la- 
tino e  in  italiano.  Fu  celebre  un  suo  poema 
latino  in  onore  di  Brescia.  —  e  'l  Molza  Fran- 
cesco Maria,  buon  poeta  Modenese.  —  Florian 


E  quel  che  per  guidarci  ai  rivi  Ascrei 
Mostra  piano  e  pili  breve  altro  camino, 
Giulio  Camillo;  e  par  ch'anco  io  ci  scerna 
Marco  Antonio  Flaminio,  il  Sanga,  il  Ber- 
13  [na. 

Ecco  Alessandro,  il  mio  Signor,  Farne- 
Oh  dotta  compagnia  che  seco  mena!  [se: 
Fedro,  Capella,  Porzio,  il  Bolognese 
Filippo,  il  Volterrano,  il  Madalena, 
Blosio,  Pierio,  il  Vida  cremonese 
D'alta  facondia  inessiccabil  vena, 
E  Lascari  e  Musuro  e  Navagero, 
E  Andrea  Marone  e  '1  monaco  Severo. 


Montino,  «  Forse  è  quel  Floriano  Floriani 
di  Montagnana,  che  visse  alla  corte  di  Ca- 
terina Cornare  e  per  le  nozze  del  quale  il 
Bembo  suppose  essersi  tenuti  i  dialoghi,  di 
cui  egli  fece  gli  Asolani  »  (Panizzi).  —  Giu- 
lio Camillo  Delminio,  friulano  «  uomo  d' in- 
gegno, ma  un  che  di  mezzo  fra  l'allucinato 
e  r  impostore  »  (Casella).  Avea  ideato  una 
macchina,  che  alcuno  disse  avere  egli  fab- 
bricata in  legno,  per  insegnare  la  dottrina 
e  r  eloquenza  in  brevissimo  tempo.  I  rivi 
Ascrei  è  il  fonte  Ippocrene  ai  piedi  del- 
l'Elicona, presso  Ascra,  città  della  Beozia: 
quel  fonte  era  sacro  alle  Muse.  —  M.  A. 
Flaminio,  il  più  elegante  e  delicato  poeta 
latino  del  Cinquecento.  —  il  Sanga,  G;  Bat- 
tista Sanga  Romano,  buon  poeta  latino, 
amico  del  Berni,  e  segretario  di  Clemen- 
te VII.  —  il  Berna,  Francesco  Berni  (1497-1536) 
padre  della  poesia  giocosa,  rifece  l'OWando 
Innamorato  del  Boiai-do. 

13.  1-8.  Alessandro  Farnese,  cardinale,  che 
divenne  poi  Paolo  III,  letterato  e  protettore 
insigne  di  letterati.  —  Fedro,  Tommaso  In- 
ghirami  di  Volterra,  che  fu  detto  Fedro 
per  aver  sostenuto  con  plauso  la  parte  di 
Fedra  nell'  Ippolito  di  Seneca.  Fu  prefetto 
della  Vaticana  e  cosi  elegante  latinista  da 
esser  chiamato  il  Cicerone  del  suo  secolo. 
—  Capella  Bernardino;  latinista  e  poeta  va- 
lente. —  Porzio  Camillo  o  dei  Porcari,  buon 
poeta  romano,  da  non  confondersi  con  lo 
storico  omonimo,  che  è  posteriore  (1526- 
1518).  —  Filippo  Beroaldo,  il  giovane,  nobile 
Bolognese,  familiare  di  Leone  X.  Scrisse 
poesie  latine  elegantissime,  che  allora  eb- 
bero grande  successo.  —  il  Volterrano,  Ma- 
rio Maffei  di  Volterra,  insigne  scrittore  la- 
tino. —  il  Madalena,  Evangelista  Paolo  Mad- 
daleni.  Romano,  poeta  latino  stimato  assai 
ai  suoi  tempi.  —  Blosio,  Blosio  Palladio,  o 
Biagio  Pallai,  poeta  latino,  segretario  di 
Clemente  VII,  e  di  Paolo  III.  In  nome  di 
Clemente  VII  scrisse  il  privilegio  dell' ediz. 
del  Furioso  del  1532  il  1  gennaio  di  quel- 
l'anno. È  ricordato  pure  nella  satira  vi  con 
altri  letterati  Romani.  —  Pierio,  Giovanni 


CANTO  XLVI 


643 


1-1  [pello, 

Ecco  altri  duo  Alessandri  iu  quel  drap- 
Dagli  Orologi  l'un,  l'altro  il  Guarino. 
Ecco  Mario  d'Olvito,  ecco  il  flagello 
De'  Principi,  il  divin  Pietro  Aretino. 
Duo  lerouimi  veggo,  l'uno  è  quello 
Di  Veritade,  e  l'altro  il  Cittadino. 
Veggo  il  Mainardo,  veggo  il  Leoniceuo, 
Il  Pannizzato,  e  Celio  e  il  Teocreno. 


Pietro  Valeriano  Bolzani  Bellunese,  fu  mae- 
stro dei  nipoti  di  Clemente  VII,  Ippolito  e 
Alessandro  de'  Medici,  poi  loro  segretario; 
scrittore  elegante  e  critico  acuto.  Fu  dei 
primi  a  scrivere  sui  geroglifici  Egiziani.  — 
il  Vida,  Marco  Girolamo  cremonese  (1490- 
1566)  autore  del  poema  la  Cristiade  e  di 
altri  sul  baco  da  seta,  sul  giuoco  degli  scac- 
chi, sull'arte  poetica.  —  Lascari,  Giovanni 
Lascaris,  Costantinopolitano,  dotto  umani- 
sta da  non  confondere  col  più  celebre  Co- 
stantino L.  d' età  precedente.  —  Musnro 
Marco,  Cretense,  dotto  umanista,  accetto  a 
Leone  X,  che  lo  creò  vescovo  e  cardinale. 
L'Ar.  lo  ricorda  anche  nella  satira  vii.  — 
Andrea  Marone,  improvvisatore  famoso  di 
versi  latini.  Si  rammenta  anche  nel  e.  iii, 
56;  e  sat.  ii,  115.  —  Severo.  «  Per  il  monaco 
Sevei'o  intende  il  Foi-nari  don  Severo  da 
Firenzuola  di  Lombardia,  monaco  di  Ci- 
stello,  che  consapevole  della  congiura  con- 
tra  Leone  X,  fuggi  in  Lamagna  e  qui  venne 
a  morte.  Ma  io  sono  informato  che  non  di 
questo,  ma  di  Don  Severo  da  Volterra,  mo- 
naco Camaldolese  e  professo  del  monastero 
degli  Angioli  di  Fiorenza,  ha  voluto  inten- 
dere; perciocché  egli  fu  amico  dell' Ar.  ed 
ebbe  dolce  e  delicata  vena  di  poesia,  per 
la  quale  non  solo  da  questo  poeta  fu  som- 
mamente amato,  ma  riusci  caro  e  in  pregio 
presso  tutti  i  dotti  e  belli  ingegni  del  suo 
tempo  »  (Porcacchi). 

14.  I-S.  duo  Alessandri,  Alessandro  dagli 
Orologi,  Padovano,  e  Alessandro  Guarini, 
figlio  del  celebre  Guarino  Veronese;  buoni 
poeti  e  letterati  del  tempo.  —  Mario  d'Ol- 
vito, Mario  Equicola  detto  da  Olvito  negli 
antichi  Equicoli  (Terra  di  Lavoro),  patria 
sua.  Scrisse  la  storia  di  Mantova  e  alti'e 
opere.  —  Pietro  Aretino  (1492-1556).  Fu  assai 
temuto  per  le  sue  satire,  che  gli  valsero  il 
nome  di  flagello  dei  princìpi,  e  oro  e  doni. 
Di  lui  scrisse  l'Alfieri:  «Dei  principi  il  fla- 
gello Intitolò  sé  stesso  un  Aretino.  Vi  fu 
aggiunto  il  divino.  Scambiando,  a  mio  pa- 
rer, con  il  monello  ».  —  Duo  leronimi  Giro- 
lamo Verità  e  Girolamo  Cittadini,  l'uno  Ve- 
ronese, verseggiatore  italiano,  l' altro  Lom- 
bardo e  poeta  latino.  —  il  Mainardo,  Gio- 
vanni Manardi  (cosi  e  non  Mainardi  è  detto 
sempre  da  altri  che  parlarono  di  lui.  Qui 
forse  abbiamo  nient'  altro  che  un  errore  di 


15 
Là  Bernardo  Capei,  là  veggo  Pietro 
Bembo,  che  '1  puro  e  dolce  idioma  nostro, 
Levato  fuor  del  volgare  uso  tetro,  [stro. 
Quale  esser  dee,  ci  ha  col  suo  esempio  mo- 
Gnasparro  Obizi  è  quel  che  gli  vien  dietro. 
Ch'ammira  e  osserva  il  si  bea  speso  in- 

[chiostro, 

10  veggo  il  Fracastorio,  il  Bevazzano, 
TrifonjGtabriele,  e  il  Tasso  piti  lontano. 

16 
Veggo  Nicolò  Tiepoli,  e  con  esso 
Nicolò  Amanio  in  me  affissar  le  ciglia; 
Anton  Fulgoso  ch'a  vedermi  appresso 
Al  lito  mostra  gaudio  e  maraviglia. 

11  mio  Valerio  è  quel  che  là  s'è  messo 
Fuor  de  le  donne;  e  forse  si  consiglia 
Col  Barignan  c'ha  seco,  come  offeso 
Sempre  da  lor,  non  ne  sia  sempre  acceso. 


stampa);  celebre  medico  Ferrarese.  —  Il 
Leoniceno,  Niccolò  Leoniceno  dotto  medico 
e  letterato.  —  Il  Pannizzato,  Niccolò  Maria 
Panizzato  letterato  e  poeta  latino,  che  al- 
cuni dissero  anche  maestro  dell'Ariosto.  — 
Celio  Calcagnini,  scrittore  di  molte  opere 
latine.  —  Teocreno.  Cosi  chiamò  sé  stesso 
Benedetto  Tagliacarne,  letterato  Sarzanese, 
che  fu  maestro  dei  figliuoli  di  Francesco 
I  di  Francia. 

13.  1-8.  Bernardo  Capei.  Come  nella  st. 
precedente  abbiamo  avuto  il  gruppo  Fer- 
rarese, qui  abbiamo  il  gruppo  Veneto.  Bern. 
Cap.  è  poeta  Veneziano  ricordato  anche 
nel  e.  xxxvii,  st.  8.  —  P.  Bembo,  al  quale 
vien  dato  qui  il  pregio,  che  più  degnamente 
gli  spetta,  di  prmio  restauratore  e  legisla- 
tore della  nostra  lingua.  Di  lui  anche  nel 
e.  xxxvii,  42.  Qui  si  accenna  alla  teorica 
dal  Bembo  sostenuta  nelle  Prose,  (libr.  I) 
che  cioè  gli  scrittori  non  debbono  attenersi 
alla  lingua  parlata  dal  volgo,  ma  a  quella 
usata  dagli  eccellenti  scrittori  antichi.  — 
Guasp.  Obizzi,  padovano,  amico  del  Bembo 
e  ammiratore  degli  scritti  di  lui  (del  si  len 
speso  inchiostro).  —  Fracastorio,  Girolamo 
Fracastoro,  grande  scienziato  e  poeta  la- 
tino. —  Bevazzano  Agostino,  scrittore  di  ver- 
si latini  assai  buoni.  —  Tifon  Gabriele,  let- 
terato veneziano,  di  eccellenti  costumi  e 
di  finissimo  giudizio  critico.  —  il  Tasso, 
Bernardo  T.  padre  di  Torquato,  autore  Ael- 
V  Amadigi.  «  Lo  dice  più  lontano  forse  per- 
ché non  ebbe  occasione  di  praticar  molto 
con  esso  o  perché  di  Bergamo,  all'estremità 
del  dominio  Veneto  »  (Casella).  Questa  st.  è 
agg.  per  l'ed.  del  1532. 

16.  1-8.  N.  Tiepoli,  patrizio  Veneto,  rifor- 
matore dello  Studio  di  Padova.  —  Nicolò  A- 
manio,  Cremasco,  fu,  a  giudizio  del  Ban- 
dello,  soavissimo  poeta.  —  Antonio  Fulgoso 
0  Fregoso,  Genovese  trasferito  da  tempo  a 


Qii 


ORLANDO  FURIOSO 


17 

Vegrgo  subii 'tii  e  sopninianì  ingegni 
Di  sangue  e  d'amor  giunti,  il  Pico  e  il  Pio. 
Colui  che  con  lor  viene,  e  da'  più  degni 
Ha  tanto  onor,  mai  più  non  conobbi  io; 
Ma,  se  me  ne  fur  dati  veri  segni, 
È  l'uom  che  di  veder  tanto  desio, 
lacobo  Sanazar,  ch'alle  Camene 
Lasciar  fa  i  monti  et  abitar  l'arene. 
18 

Ecco  il  dotto,  il  fedele,  il  diligente 
Secretario  Pistofìlo,  eh'  insieme 
Cogli  Acciainoli  e  con  l'Angiar  mio  sente 
Piacer,  che  più  del  mar  per  me  non  teme. 
Annibal  Malaguzzo,  il  mio  parente, 


Milano.  Fu  ben  accetto  a  Lodovico  il  Moro. 
Dopo  r  invasione  Francese  si  ritirò  a  vita 
privata;  e  per  questo  suo  amore  alla  soli- 
tudine fu  detto  fileremo.  Scrisse  visioni, 
imitazioni  allegoriche  dell'Alighieri.  Dal  suo 
cap.  7  lo  Zappi  imitò  il  suo  Museo  (T Amore 
(Antologia,  1822,  voi.  iv).  —  Valerio  V.  e. 
xxviT,  )37,  n.  7.  Intendi:  si  consiglia  come, 
offeso  sempre  dalle  donne,  possa  imparare 
il  modo  di  non  esserne  sempre  acceso.  Dalla 
novella  del  e.  xxvii  e  xxvni,  intenderai  il 
significato  di  queste  parole.  —  Barignan, 
Pietro  Harignano,  poeta  Bresciano  (secon- 
do il  Fornari,  Pesarese)  di  molta  fama  ai 
suoi  tempi.  Fu  alla  corte  Romana. 

i;.  2. 11  Pico  e  il  Pio,  Gian  Francesco  Pico 
della  Mirandola,  noto  uomo  dottissimo,  e 
Alberto  Pio  signore  di  Carpi,  al  quale  son 
pure  indirizzate  dall' Ar.  alcune  poesie  la- 
tine. Essi  erano  cugini. 

—  4.  mai  pin,  mai  altra  volta.  V.  canto 
XLiii,  .00,  n.  3. 

—  5.  r.  segni,  veri  contrassegni  :  Io  non 
lo  conosco  di  persona,  ma  se  sono  veri  i 
contrasse';'ni  datimi,  egli  è  I.  Sann. 

—  7.  J.  Sanazar,  Napoletano,  fu  valente 
poeta  latino  e  italiano  e  buon  prosatore.  — 
Camene  (da  Carmen,  carmenae,  eamoe- 
nae,  dee  dei  carmi)  le  Muse.  Dice  che  il  S. 
fa  lasciare  alle  Muse  i  monti  di  Elicona  e 
del  Pindo  per  abitare  con  lui  sulla  spiaggia 
del  mare  Napoletano. 

18.  2.  Pistofllo  Bonaventura,  segretario 
del  duca  Alfonso.  A  lui  diresse  1'  Ar.  1'  ul- 
tima satira  e  lettere  quand'  era  governa- 
tore della  Garfagnaua. 

—  3.  Cogli  Acciainoli.  Erano  Pietro  An- 
tonio, il  figlio  Iacopo  e  il  nipote  Archelao 
impiegati  della  corte  di  Ferrara.  Di  loro 
come  poeti  parla  L.  Gregorio  Giraldi  nel 
dialogo  De  poètis  suorum  temporum.  — 
L'Angiar,  Pietro  Martire  d'Anghiari,  poeta 
e  viaggiatore  celebre  ;  secondo  altri  l'uma- 
nista Gerolamo  Angeriano  autore  dell'^ro- 
topaegnion. 

—  5.  Annibal  Malaguazo.  Reggiano, cugino 


Veggo  con  l'Adoardo,  che  gran  speme 
Mi  dà,  ch'ancor  del  mio  nativo  nido 
Udir  farà  da  Calpe  a  gli  Indi  il  grido. 
19 

Fa  Vittor  Fausto,  fa  il  Tancredi  festa 
Di  rivedermi,  e  la  fanno  altri  cento. 
Veggo  le  donne  e  gli  uomini  di  questa 
Mia  ritornata  ognun  parer  contento. 
Dunque  a  finir  la  breve  via  che  resta, 
Non  sia  più  indugio,  or  e' ho  propizio  il 

[vento; 
E  torniamo  a  Melissa,  e  con  che  aita 
Salvò,  diciamo,  al  buon  Ruggier  la  vita. 
20 

Questa  Melissa,  come  so  che  detto 
V'ho  molte  volte,  avea  sommo  desire 
Che  Bradamante  con  Ruggier  di  stretto 
Nodo  s'avesse  in  matrimonio  a  unire; 
E  d'ambi  il  bene  e  il  male  avea  si  a  petto. 
Che  d'ora  in  ora  ne  volea  sentire. 
Per  questo  spirti  avea  sempre  per  via, 


dell'Ar.   A  lui  l'Ar.  indirizzò  la  satira  ni 
e  IV. 

—  6.  l'Adoardo;  «Fu  di  Reggio  ancli'esso 
come  il  Malaguzzi,  ma  non  mantenne  quel 
che  faceva  sperare  di  sé  all'Ariosto  »  (Ca- 
sella). 

—  8.  da  Calpe;  uno  dei  monti  che  for- 
mano lo  stretto  di  Gibilterra.  Qui  come 
spesso,  vuol  dire  da  ponente  a  oriente.  Spe- 
rava dunque  l'Ar.  che  costui  anche  a  Reg- 
gio procurasse  quella  fama  immortale  che 
altri  ad  altre  città.  Questa  st.  è  aggiunta  per 
r  ediz.  del  1532. 

19.  1.  Vittor  Fausto  «  uomo  Greco,  e  del 
suo  tempo  raro,  leggeva  le  cose  greche  in 
Vinegia  con  previsione  di  500  scudi,  e  di 
200  altri  per  sovrastare  alle  cose  dell'arse- 
nale. Fece  la  quinquereme,  oggidì  detta  la 
Barza,  ed  il  Galeone,  macchina  come  famosis- 
sima,cosidi  grandezza  incomparabile»  (For- 
nari). —  Tancredi  Angiolo,  professore  all'uni- 
versità di  Padova.  —  A  proposito  di  questa 
lunga  rassegna,  il  Machiavelli,  scrivendo 
nel  1517  a  Luigi  Alamanni,  diceva:  «Io  ho 
letto  a  questi  di  Orlando  Furioso  dell'Ario- 
sto e  veramente  il  poema  è  bello  tutto  e  in 
dimolti  luoghi  mirabile.  Se  si  trova  costi 
(a  Roma)  raccomandatemi  a  lui  e  ditegli 
che  io  mi  dolgo  solo  che  avendo  ricordato 
tanti  poeti,  che  m'  abbia  lasciato  indietro 
come  un,...  e  che  egli  ha  fatto  a  me  in  detto 
suo  Orlando  che  io  non  farò  a  lui  in  sul 
mio  Asino  ».  Il  Machiavelli  aveva  ragione 
di  lagnarsi. 

—  7.  con  che  aita,  con  quale  aiuto. 

20.  6.  sentire,  aver  notizie.  Dante,  Pur- 
gatorio, 1(3, 14:  «  Par  che  del  buon  Gherardo 
nulla  senta  ». 


CANTO  XLVI 


645 


Che,  quando  andava  l'nn  l'altro  venia. 
21 

In  preda  del  dolor  tenace  e  forte 
Ruggier  tra  le  scure  ombre  vide  posto, 
Il  qiial  di  non  gustar  d'alcuna  sorte 
Mai  più  vivanda  fermo  era  e  disposto, 
E  col  digiun  si  volea  dar  la  morte: 
Ma  fu  l'aiuto  di  Melissa  tosto; 
Che,  del  suo  albergo  uscita,  la  via  tenne 
Ove  in  Leone  ad  incontrar  si  venne: 

22  [so, 

Il  qual  mandato,  l'uno  a  l'altro  appres- 
Sua  gente  avea  per  tutti  i  luoghi  intorno; 
E  poscia  era  in  persona  andato  anch'esso 
Per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno. 
La  saggia  incantatrice,  la  qual  messo 
Freno  e  sella  a  uno  spirto  avea  quel  gior- 
E  l'avea  sotto  in  forma  di  ronzino,     [no, 
Trovò  questo  tigliuol  di  Costantino. 
23 

Se  de  l'animo  è  tal  la  nobiltate, 
Qual  fuor.  Signor  (diss'ella),  il  viso  mo- 
Se  la  cortesia  dentro  e  la  bontate    Istra; 
Ben  corrisponde  alla  presenzia  vostra, 
Qualche  conforto,  qualche  aiuto  date 
Al  miglior  cavallier  de  l'età  nostra; 
Che  s'aiuto  non  ha  tosto  e  conforto, 
Non  è  molto  lontano  a  restar  morto. 
24 

Il  miglior  cavallier,  che  spada  a  lato 
E  scudo  in  braccio  mai  portassi  o  porti; 
Il  più  bello  e  gentil  ch'ai  mondo  stato 
Mai  sia  di  quanti  ne  son  vivi  o  morti. 
Sol  per  un'alta  cortesia  e'  ha  usato. 
Sta  per  morir,  se  non  ha  ch'il  conforti. 
Per  Dio,  Signor,  venite,  e  fate  prova 
S'alio  suo  scampo  alcun  consiglio  giova. 
25 

Ne  l'animo  a  Leon  subito  cade 
Che  '1  cavallier  di  chi  costei  ragiona, 
Sia  quel  che  per  trovar  fa  le  contrade 
Cercar  intorno,  e  cerca  egli  in  persona; 
Si  ch'a  lei  dietro,  che  gli  persuade 
Si  pietosa  opra,  in  molta  fretta  sprona: 
La  qual  lo  trasse  (e  non  fèr  gran  camino) 
Ove  alla  morte  era  Ruggier  vicino. 
26 

Lo  ritrovar  che  senza  cibo  stato 
Era  tre  giorni,  e  in  modo  lasso  e  vinto, 
Ch'in  pie  a  fatica  si  saria  levato, 

—  8.  Che.  Si  può  intendere  per  poiché  : 
ed  è  dichiarativo  di  sempre  per  via.  Le 
st.  20-66  sono   aggiunte  per  1'  ed.  del  1532. 

21.  2.  tra   le   scure  om.  V.  e.  XLV,  91,  92. 

—  7.  che;  Relativo  a  Melissa. 

24.  2.  portassi,  portasse.  V.  e.  il,  40,  n.  8. 

25.  1.  Nell'animo...  cade.  La  frase  cadere  in 
animo  è  viva  ancora  nel  linguaggio  lette- 
rario. 

—  3.  che  per  trovar,  per  trovare  il  quale. 


Per  ricader,  se  ben  non  fosse  spinto. 
Giacea  disteso  in  terra  tutto  armato, 
Con  l'elmo  in  testa,  e  de  la  spada  cinto; 
E  guancial  de  lo  scudo  s'avea  fatto, 
In  che  '1  bianco  liocorno  era  ritratto. 

27  [bia 
Quivi  pensando  quanta  ingiuria  egli  ab- 

Fatto  alla  donna,e  quanto  ingrato  equan- 
Isconoscente  le  sia  stato,  arrabbia,      [to 
Non  pur  si  duole;  e  se  n'affligge  tanto, 
Che  si  morde  le  man,  morde  le  labbia. 
Sparge  le  guancie  di  continuo  pianto; 
E  per  la  fantasia  che  v'  ha  si  fissa, 
Né  Leon  venir  sente  ne  Melissa; 

28  [to 
Né  per  questo  interrompe  il  suo  lamen- 

Né  cessano  i  sospir,  né  il  pianto  cessa. 
Leon  si  ferma,  e  sta  ad  udir  intento; 
Poi  smonta  del  cavallo,  e  se  gli  appressa. 
Amore  esser  cagion  di  quel  tormento 
Conosce  ben,  ma  la  persona  espressa 
Non  gli  è,  per  cui  sostien  tanto  martire; 
Ch'anco  Euggiei'.non  glie  l'ha  fatto  udire. 
29 

Più  inanzi,e  poi  più  inanzi  i  passi  muta. 
Tanto  che  se  gli  accosta  a  faccia  a  faccia; 
E  con  fraterno  affetto  lo  saluta, 
E  se  gli  china  a  lato,  e  al  collo  abbraccia. 
Io  non  so  quanto  ben  questa  venuta 
Di  Leone  improvisa  a  Ruggier  piaccia; 
Che  teme  che  lo  turbi  e  gli  dia  noia, 
E  se  gli  voglia  oppor,  perché  non  muoia. 
30 

Leon  con  le  più  dolci  e  più  soavi 
Parole  che  sa  dir,  con  quel  più  amore 
Che  può  mostrar,  gli  dice:  Non  ti  gravi 
D'aprirmi  la  cagion  del  tuo  dolore; 
Che  pochi  mali  al  mondo  son  si  pravi, 
Che  l'uomo  trar  non  se  ne  possa  fuore. 
Se  la  cagion  si  sa;  né  debbe  privo 
Di  speranza  esser  mai,  fin  che  sia  vivo. 
31 

Ben  mi  duol  che  celar  t'abbi  voluto 

26.  4.  Per  ricader,  ma  per  ricader. 

27.  3.  arrabbia:  non  solo  si  lamenta  per 
dolore,  ma  freme  di  rabbia. 

—  7.  v'  ha;  ha  in  questo;  in  questa  idea. 
2S.  6.  espressa,  chiara,  manifesta:  xr,  81, 

n.  7.  Leone  non  sa  la  donna,  per  cui  Rug- 
gero pena. 

29.  1.  i  passi  muta,  cammina.  Vedi  la  nota 
7  e.  II,  39. 

—  4.  abbraccia,  lo  abbr.  V.  e.  I,  21,  n.  7. 

—  5.  Io  non  so  q.  ben:  Costruisci  :  Io  non 
so  bene  quanto  ecc.  Di  queste  inversioni 
abbiamo  yisto  molli  esempì  nel  Furioso. 

30.  2.  e.  q.  pili  amore,  con  quel  maggior 
amore. 

31.  1-2.  celar...  da  me.  Più  spesso  celarsi 
a  uno. 


646 


ORLANDO  FURIOSO 


Da  me,  che  sai  s' io  ti  son  vero  amico, 
Non  sol  di  poi  ch'io  ti  son  si  tenuto. 
Che  mai  dal  nodo  tuo  non  mi  districo, 
Ma  fin  allora  ch'avrei  causa  avuto 
D'esserti  sempre  capital  nimico; 
E  dei  sperar  eh'  io  sia  per  darti  aita 
Con  l'aver,  con  gli  amici  e  con  la  vita. 

32 
Di  meco  conferir  non  ti  rincresca 
Il  tuo  dolore,  e  lasciami  far  prova, 
Se  forza,  se  lusinga,  acciò  tu  n'esca. 
Se  gran  tesor,  s'arte,  s'astuzia  giova. 
Poi,  quando  l'opra  mia  non  ti  riesca, 
La  morte  sia  ch'ai  fin  te  ne  rimuova: 
Ma  non  voler  venir  prima  a  quest'atto, 
Che  ciò  che  si  può  far,  non  abbi  fatto. 

33 
E  seguitò  con  si  efficaci  prieghi, 
E  con  parlar  si  umano  e  si  benigno,  [ghi; 
Che  non  può  far  Ruggier  che  non  si  pie- 
Che  né  di  ferro  ha  il  cor  ni'>  di  macigno, 
E  vede,  quando  la  risposte  nieghi, 
Che  farà  discortese  atto  e  maligno. 
Risponde;  ma  due  volte  o  tre  s'incocca 
Prima  il  parlar,  ch'uscir  voglia  di  bocca. 

34 
Signor  mio  (disse  al  fin),  quando  saprai 
Colui  ch'io  son  (che  son  per  dirtel  ora), 
Mi  rendo  certo  che  di  me  sarai 
Non  men  contento,  e  forse  pili,  ch'io  muora. 
Sappi  ch'io  son  colui  che  si  in  odio  hai: 
Io  son  Ruggier  ch'ebbi  te  in  odio  ancora; 
E  che  con  intenziou  di  porti  a  morte. 
Già  son  pili  giorni,  usci'  di  questa  Corte; 

35 
Acciò  per  te  non  mi  vedessi  tolta 
Bradaraante,  sentendo  esser  d'Araone 
La  voluutade  a  tuo  favor  rivolta. 


—  4.  dal  nodo  tuo;  dal  nodo  delia  ami- 
cizia con  te  ;  o  anche  dal  vincolo  della  gra- 
titudine che  a  te  mi  lega. 

—  5.  fin  allora,  fin  d'allora.  I  vocabolari 
non  citano  questo  modo,  che  è  notevole;  ci- 
tano solo  fin  ora  per  fin  d'ora. 

32.  1.  m.  conferir,  di  darne  a  me  notizia. 
V.  e.  XLiv,  36,  n.  2  e  simile  nel  e.  xxxvii, 
105,  2. 

—  5.  non  ti  riesca  ;  non  riesca,  non  ab- 
bia effetto  per  te;  non  riesca  a  far  per  te 
quello  che  mi  propongo. 

33.  7.  s' incocca,  s'  impiglia  nella  bocca. 
Come  si  disse  che  il  jiarlare  o  le  parole 
scoccatìo  dalla  bocca,  cosi  l'Ar.  potè  dire 
che  Uisar^ar  s'incocca  cioè  resta  fermo  sulle 
labbra  come  freccia,  che  resta  colla  cocca 
impigliata  su  la  corda  dell'  arcp. 

34.  1-2.  saprai  colui  ch'io  son.  Come  si  dice; 
quando  saprai  l'uomo  che  sono;  cosi  qui, 
con  costruzione  simile,  invece  del  più  comu- 
ne ;  q.  saprai  chi  sono. 


iMa  perché  ordina  l'uomo,  e  Dio  dispone 
Venne  il  bisogno  ove  mi  fé'  la  molta 
Tua  cortesia  mutar  d'opinione; 
E  non  pur  l'odio  ch'io  t'avea,  deposi. 
Ma  fé'  ch'esser  tuo  sempre  io  mi  disposi. 
36 

Tu  mi  pregasti,  non  sapendo  eh'  io 
Fossi  Ruggier,  eh'  io  ti  facessi  avere 
La  Donna;  ch'altrettanto  saria  il  mio 
Cor  fuor  del  corpo,  o  l'anima  volere. 
Se  sodisfar  più  tosto  al  tuo  desio. 
Ch'ai  mio,  ho  voluto,  t'ho  fatto  vedere. 
Tua  fatta  è  Bradamante;  abbila  in  pace  : 
Molto  più  che  '1  mio  bene,  il  tuo  mi  piace. 
37 

Piaccia  a  te  ancora,  se  privo  di  lei 
Mi  son,  eh'  insieme  io  sia  di  vita  privo; 
Che  più  tosto  senz'anima  potrei. 
Che  senza  Bradamante  restar  vivo. 
Appresso,  per  averla  tu  non  sei 
Mai  legitimamente,  finch'  io  vivo; 
Che  tra  noi  sponsalizio  è  già  contratto. 
Né  duo  mariti  ella  può  avere  a  un  tratto. 


35,  5.  Venne  il  b.  ove.  Poti'emo  intendere 
in  più  modi:  venne  il  bisogno,  nel  quale 
la  tua  m.  cortesia  mi  fece  m.  d'opin.  Ove 
in  questo  senso  lo  abbiamo,  negli  esempi 
citati  dai  vocabolari,  variamente  usato,  ma 
sempre  in  espressioni,  nelle  quali  l'idea  di 
luogo  è  più  spiccata  che  qui.  Potremo  anche 
intendere  :  Il  bisogno  giunse  là  dove  (a  tal 
punto  che)  la  tua  cortesia  mi  fece  ecc.  Fi- 
nalmente :  Il  bisogno  venne  là  (a  Belgrado 
o  anche  in  carcere),  dove  la  tua  molta  cor- 
tesia ecc. 

—  8.  esser...  mi  disposi,  mi  disposi  ad 
esser. 

3C.  3.  ch'altrettanto  saria,  il  che  sarebbe 
altrettanto,  sarebbe  lo  stesso  come  volere  ec. 
Che  per  il  che  vedilo  nei  luoghi  citati  al 
e.  xxxiv,  26,  n.  5.  Ma  qui  è  notevole  l' o- 
missione  del  secondo  termine  del  confronto 
coinè,  quanto.  Se  cosi  non  ti  piace  potrai 
intendere  il  che  per  di  ohe,  della  qual  cosa, 
e  sarebbe  un  uso  popolare  del  che  come  nel 
e.  XIII,  37,  5;  XIV,  4,  6;  xvi,  88,  4,  ecc.  Cosi 
intenderai:  Della  qual  cosa  sarebbe  lo  stesso 
il  volere  ecc.;  alla  qual  cosa  si  eguaglie- 
rebbe  il  volere  il  core  ecc.  Nota  poi  il  sa- 
ria, che  Ruggero  dice,  riportandosi  al  mo- 
mento in  cui  Leone  gli  chiese  il  favore. 

37.  5.  Appresso,  inoltre.  Boccaccio,  FUoc. 
2,  141:  «Ella  (torre)  è  da  sé  forte  e  ap- 
presso è  ben  guardala  ».  Cosi  nella  strofa 
103,  6. 

—  7.  Che  tra  noi  ecc.  È  ciò  che  dice  Mar- 
fisa  nel  e.  XLv,  104,  e  ciò  che  dicesi  nel  e. 
xxxviii,  72,  7-8.  Ma  lo  sponsalizio  non  è 
altro  che  l'atto  formale  di  promessa  avve- 
nuto fra  loro  ;  e  a  questa  promessa,  che  se 


CANTO  XLVI 


647 


38 

Rimai!  Leon  si  pien  di  maraviglia, 
Quando  Ruggiero  esser  costai  gli  è  noto, 
Che  senza  muover  bocca  o  batter  ciglia 
O  mutar  piò,  come  una  statua,  è  immoto: 
A  statua,  pili  ch'ad  uomo,  s'assimiglia, 
Che  ne  le  chiese  alcun  metta  per  voto. 
Ben  si  gran  cortesia  questa  gli  pare. 
Che  non  ha  avuto  e  non  avi'à  mai  pare. 
39 

E  conosciuto!  per  Ruggier,  non  solo 
Non  scema  il  ben  che  gli  voleva  pria  ; 
Ma  si  l'accresce,  che  non  men  del  duolo 
Di  Ruggiero  egli,  che  Ruggier,  patia. 
Per  questo,  e  per  mostrarsi  che  figliuolo 
D'Imperator  meritamente  sia. 
Non  vuol,  se  ben  nel  resto  a  Ruggier  cede. 
Ch'in  cortesia  gli  metta  iuanzi  il  piede. 
40 

E  dice:  Se  quel  di,  Ruggier,  ch'offeso 
Fu  il  campo  mio  dal  valor  tuo  stupendo, 
Ancor  eh'  io  t'avea  in  odio,  avessi  inteso 
Che  tu  fossi  Ruggier,  come  ora  intendo; 
Cosi  la  tua  virtù  m'avrebbe  preso, 
Come  fece  anco  allor,  non  lo  sapendo; 
E  cosi  spinto  dal  cor  l'odio,  e  tosto 
Questo  amor  ch'io  ti  porto,  v'avria  posto. 
41 

Che  prima  il  nome  di  Ruggiero  odiassi. 
Ch'io  sapessi  che  tu  fosse  Ruggiero, 
Non  negherò;  ma  ch'or  pili  inanzi  passi 


non  ha  valore  legale  ha  certo  un  gran  va- 
lore dinanzi  alla  natura  e  all'onestà,  Rug- 
gero dà  tanto  maggiore  importanza  in 
quanto  che  è  stata  fatta  fra  cavalieri,  pei 
quali  ogni  promessa  era  inviolabile.  Che  di 
vero  matrimonio  non  si  trattasse,  ma  di 
semplice  promessa,  oltreché  dalle  parole 
del  e.  XLV,  si  può  rilevare  da  molti  altri 
luoghi  XLiv,  47,  8;  58;  xxx,  84,  6,  xxxviii, 
72,  dove  si  dice  poco  più  vale,  non  già 
nulla  vale.  —  Che  poi  nel  verso  8  si  parli 
di  mariti  non  fa  maraviglia  a  chi  pensi, 
che  sempre,  nel  Furioso,  agli  amori  fra 
cavalieri  e  dame  si  applica  il  linguaggio 
proprio  della  vera  parentela;  cfr.  e.  xvi, 
14,  n.  7. 

38.  6.  Che  nelle  chiese  ecc.  Questo  partico- 
lare vuol  dipingere  lo  stupore  insieme  e  la 
devozione  che  apparisce  nell'atteggiamento 
di  Leone. 

—   7.  Ben,  certo. 

39.  5-6.  per  mostrarsi...  che  sia.  V  è  fu- 
sione di  due  costrutti:  per  mostrare  che 
sia,  d'essere  meritam.  figliuolo  ecc.  —  per 
mostrarsi  degno  figliuolo  ecc. 

40.  7.  spinto,  cacciato. 

41.  2.  tu  fosse,  tu  fossi.  V.  e.  xxxvm,  49, 
n.  2.  Cosi  nel  e.  xlv,  97,  5  tu  sapesse.  Vedi 
anche  la  nota  7,  e.  xxxi,  12. 


L'odio  ch'io  t'ebbi,  t'esca  del  pensiero. 
E  se,  quando  di  carcere  io  ti  trassi, 
N'avesse,  come  or  n'ho,  saputo  il  vero; 
Il  medesimo  avrei  fatto  anco  allora, 
Ch'a  benefizio  tuo  son  per  far  ora. 

42 
^  E  s'allor  volentier  fatto  l'avrei, 
Ch'io  non  t'era,  come  or  sono,  obligato; 
Quant'or  pili  farlo  debbo,  che  sarei. 
Non  Io  facendo, il  più  d'ogn'altro  ingrato? 
Poi  che,  negando  il  tuo  voler,  ti  sei 
Privo  d'ogni  tuo  bene,  e  a  me  l'  hai  dato. 
Ma  te  lo  rendo,  e  più  contento  sono 
Renderlo  a  te,  ch'aver  io  avuto  il  dono. 

43 
Molto  più  a  te,  ch'a  me,  costei  conviensi, 
La  qual,  bench'io  per  li  suoi  raerit'ami. 
Non  è  però,  s'altri  l'avrà,  ch'io  pensi. 
Come  tu,  al  viver  mio  romper  li  starai. 
Non  vo'  che  la  tua  morte  mi  dispensi. 
Che  possi,  sciolto  ch'ella  avrà  i  legami 
Che  son  del  matrimonio  ora  fra  voi, 
Per  legitiina  moglie  averla  io  poi. 

44 
Non  che  di  lei,  ma  restar  privo  voglio 

—  6.  M'avesse.  V.  la  nota  precedente. 

42.  1.  Se...  fatto  l'avrei.  Se  col  condizionale 
si  usa  :  1°  quando  equivale  al  latino  num 
o  an,  nelle  interrogazioni  indirette  o  dubi- 
tative: es.  Non  so  se  io  avrei  avuto  quella 
pazienza.  —  2°  Quando  è,  come  qui,  ripeti- 
zione d'una  asserzione  precedente:  es,  : 
Avrei  fatto  il  medesi  no  anche  allora  ;  E  se 
allor  volentier  fatto  l'avrei.  E  vuol  dire:  E 
se  è  vei'o,  se  è  certo  che  l' avrei  fatto.  — 
3°  Quando  si  condensa  in  una  sola  propo- 
sizione la  protasi  e  l'apodo  si:  Galilei, 
Consìderaz.  al  Tasso;  14,  64:  «  E  se  in  un 
altro  sarian  degne  di  lode,  in  questo  au- 
tore son  degne  di  stupore  »  che  vuol  dire: 
E  mentre  se  le  avesse  fatte  (tre  stanze)  un 
altro,  sarebbero  degne  di  lode,  in  questo 
autore  ecc. 

—  4.  il  p.  d'o.  a.  ingr.  ;  il  più  ingrato  di 
ogni  altro. 

—  5.  negando  il  tuo  voler,  rinnegando  il 
tuo  desiderio,  facendo  abnegazione  della 
tua  volontà. 

—  7-8.  contento  renderlo ,  contento  di, 
renderlo. 

43.  5.  mi  dispensi  ;  mi  tolga  l' impedi- 
mento, cosicché  io  possa  (che  possi:  e.  xv, 
86,  n.  5),  sciolto  che  ella  avrà  (nel  caso  che 
tu  muoia)  i  legami  del  matrimonio,  che  ora 
sono  fra  voi,  io  possa,  dico,  averla  per  le- 
gitt.  m.  —  Dispensare  in  questo  significato 
speciale  è  forse  usato  dal  solo  Ariosto;  e 
male  la  N.  Crusca  cita  questo  esempio  con 
altri,  in  cui  dispensare  significa  liberare 
da  un  determinato  impegno. 


648 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  ciò  e' ho  al  mondo,  e  de  la  vita  appres- 

[so, 
Prima  che  s'oda  mai  ch'abbia  cordoglio 
Per  mia  cagion  tal  cavalllero  oppresso. 
De  la  tua  diffidenzia  ben  mi  doglio; 
Che  tu  che  puoi  non  meu,  che  di  te  stesso, 
Di  me  dispor,  più  tosto  abbi  voluto 
Morir  di  duol,  che  da  me  avere  aiuto. 
45 

Queste  parole  et  altre  soggiungendo, 
Che  tutte  saria  lungo  riferire, 
E  sempre  le  ragion  redarguendo, 
Ch'in  contrario  Ruggier  gli  potea  dire; 
Fé'  tanto,  ch'ai  fin  disse:  Io  mi  ti  rendo, 
E  contento  sarò  di  non  morire. 
Ma  quando  ti  sciorrò  l'obligo  mai; 
Che  due  volte  la  vita  dato  m'hai? 
46 

Cibo  soave,  e  precioso  vino 
Melissa  ivi  portar  fece  in  un  tratto; 
E  confortò  Ruggier,  ch'era  vicino, 
Non  s'aiutando,  a  rimaner  disfatto. 
Sentito  in  questo  tempo  avea  Frontino 
Cavalli  quivi,  e  v'era  accorso  ratto. 
Leon  pigliar  da  li  scudieri  suoi 
Lo  fé'  e  sellare,  et  a  Ruggier  dar  poi; 
47 

Il  qual  con  gran  fatica,  ancor  ch'aiuto 
Avesse  da  Leon,  sopra  vi  salse: 
Cosi  quel  vigor  manco  era  venuto, 
Che  pochi  giorni  inanzi  in  modo  valse, 
Che  vincer  tutto  un  campo  avea  potuto, 
E  far  quel  che  fé'  poi  con  l'arme  false. 
Quindi  partiti,  giuuser,  che  pili  via 
Non  fèr  di  mezza  lega,  a  una  Badia: 


44.  6.  Che.  È  congiunz.  dichiarativa  di 
mi  doglio. 

45.  3.  redarguendo,  ribattendo.  È  il  latino 
ì'edarguo. 

—  5.  mi  ti  rendo,  mi  arrendo.  È  forma 
molto  frequente  negli  antichi;  ed  è  viva 
ancora  nella  lingua  letteraria. 

—  7-8.  l'obligo...  che;  l' obligo  Perché; 
l'obbligo,  che  io  ti  ho,  perché  tu  mi  hai 
dato  ecc.  Che  in  questo  senso  vedilo  nei 
canti  V,  16,  5;  18,  4;  xiii,  37,  5  e  in  molti 
altri  luoghi. 

46.  4.  disfatto,  morto.  Dante,  Inf.  6,  12: 
o.  Tu  fosti  prima  eh'  io  disfatto  fatto  ». 

47.  2.  salse,  sali.  «  Vive  negli  scrittori  e 
morto  non  è;  ma  più  comune  è  sali  »  (Tom- 
ìnaseo). 

—  6.  l'arme  false,  con  l'arme  non  sue, 
e  con  le  insegne  di  Leone.  V.  e.  xlv,  68-81. 

—  7.  che  pili  via  non  fèr;  che  più  via  non 
avevano  fatto;  quando  non  avevano  fatto 
più  via  di  mezza  lega.  Che  per  quando 
al  e.  XXIII,  70,  n.  8.  Il  passato  remoto  per 
il  trapassato  prossimo  è  frequente  in  tali 
espressioni:  cfr.  e.  xxviii,  23,  8;  xix,  87,  2. 


48 

Ove  posaro  il  resto  di  quel  giorno, 
E  l'altro  appresso,  e  l'altro  tutto  intero, 
Tanto  che  '1  cavallier  dal  liocorno 
Tornato  fu  nel  suo  vigor  primiero. 
Poi  con  Melissa  e  con  Leon  ritorno 
Alla  città  real  fece  Ruggiero, 
E  vi  trovò  che  la  passata  sera 
L'Imbasciaria  de' Bulgari  giuut'era. 
49 

Che  quella  nazìon,  la  qual  s'avea 
Ruggiero  eletto  Re,  quivi  a  chiamarlo 
Mandava  questi  suoi,  che  si  credea 
D'averlo  in  Francia  appresso  al  Magno 
Perché  giurargli  fedeltà  volea,      [Carlo: 
E  dar  di  sé  dominio,  e  coronarlo. 
Lo  scudier  di  Ruggier,  che  si  ritrova 
Con  questa  gente,  ha  di  lui  dato  nuova. 
50 

De  la  battaglia  ha  detto,  ch'in  favore 
De'  Bulgari  a  Belgrado  egli  avea  fatta; 
Ove  Leon  col  padre  Imperatore 
Vinto,  e  sua  gente  avea  morta  e  disfatta: 
E  per  questo  l'avean  fatto  Signore, 
Messo  da  parte  ogni  uomo  di  sua  schiatta; 
E  come  a  Novengrado  era  poi  stato 
Preso  da  Ungiardo  e  a  Teodora  dato: 
51 

E  che  venuta  era  la  nuova  certa, 
Che  '1  suo  guardian  s'era  trovato  ucciso, 
E  lui  fuggito,  e  la  prigione  aperta: 
Che  poi  ne  fosse,  non  v'era  altro  avviso. 
Entrò  Ruggier  per  via  molto  coperta 
Ne  la  città,  né  fu  veduto  in  viso. 
La  seguente  matina  egli  e  '1  compagno 
Leone  appresentossi  a  Carlo  Magno. 


49.  3.  che  si  or.;  poiché  si  cr. 

—  4.  D'averlo,  che  egli  si  trovasse.  Mi 
pare  significato  simile  a  quello  dei  modi 
comuni:  «  Dove  avete  vostro  jjadre  ?  —  In 
quel  tempo  avevamo  nostro  fratello  in 
America»;  in  cui  avere  si  risolve  in  un  tro- 
varsi, ma  di  una  persona  che  ci  appartie- 
ne. Quella  nazione  dunque  credea  d'avere 
il  suo  R.  in  Francia. 

—  7.  Lo  scudier  di  R.  Questo  scudiero  è 
qui  introdotto  per  ispiegare  come  i  Bul- 
gari poteron  pensare  che  R.  fosse  in  corte 
di  Carlo  Magno,  e  per  aver  modo  di  far 
conoscere  a  questa  corte  le  avventure  di 
lui  in  Bulgaria.  —  Questo  scudiero  forse, 
quando  R.  fu  preso  a  tradimento  nel  letto, 
sarà  stato  trascurato  da  Ungiardo  e  sarà 
andato  presso  i  Bulgari  a  narrare  ogni 
cosa,  e  quindi  mandato  come  guida  degli 
Ambasciatori. 

60.  6.  di  sua,  di  loro. 

61.  4.  avviso,  notizia.  Villani,  4, -12:  «1 
soldati...  che  dentro  V  erano,  non  aveano... 
avviso  alcuno  ». 


CANTO  XLVI 


649 


S'appresentò  Ruggier  conl'augel  d'oro, 
Che  nel  campo  vermiglio  avea  due  teste, 
E,  come  disegnato  era  fra  loro. 
Con  le  medesme  insegne  e  sopraveste 
Che,  come  dianzi  ne  la  pugna  foro, 
Eran  tagliate  ancor,  forate  e  peste; 
Si  che  tosto  per  quel  fu  conosciuto, 
Ch'avea  con  Bradamante  combattuto, 
53 

Con  ricche  vesti,  e  regalmente  ornato 
Leon  senz'arme  a  par  con  lui  venia; 
E  dinanzi  e  di  dietro  e  d'ogni  lato 
Avea  onorata  e  degna  compagnia. 
A  Carlo  s'inchinò,  che  già  levato 
Se  gli  era  incontra;  e  avendo  tuttavia 
Ruggier  per  man,  nel  qual  intente  e  fisse 
Ogn'uno  avea  le  luci,  cosi  disse: 
54 

Questo  è  il  buon  cavalliero,  il  qual  difeso 
S'è  dal  nascer  del  giorno  al  giorno  estinto; 
E  poi  che  Bradamente  o  morto  o  preso 
O  fuor  non  V  ha  de  Io  steccato  spinto, 
Magnanimo  Signor,  se  bene  inteso 
Ha  il  vostro  bando,  è  certo  d'aver  vinto, 
E  d'aver  lei  per  moglie  guadagnata; 
E  cosi  viene,  acciò  che  gli  sia  data. 
55 

Oltre  che  di  ragion,  per  lo  tenore 
Del  bando,  non  v'ha  altr'uora  da  far  dise- 
Se  s'ha  da  meritarla  per  valore,        [gno; 
Qual  cavallier  più  di  costui  n'è  degno? 
S'aver  la  dee  chi  più  le  porta  amore. 
Non  è  chi  'I  passi  o  ch'arrivi  al  suo  segno; 
Et  è  qui  presto  contra  a  chi  s'oppone, 
Per  difender  con  l'arme  sua  ragione. 
56 

Carlo  e  tutta  la  corte  stupefatta, 
Questo  udendo,  restò;  ch'avea  creduto 
Che  Leon  la  battaglia  avesse  fatta, 
Non  questo  cavallier  non  conosciuto. 
Marfisa,  che  cogli  altri  quivi  tratta 
S'era  ad  udire,  e  ch'appena  potuto 
Avea  tacer,  fin  che  Leon  finisse 
Il  suo  parlar,  si  fece  inanzi  e  disse  : 
57 

Poi  che  non  e'  è  Ruggier,  che  la  contesa 
De  la  raoglier  fra  sé  e  costui  discioglia; 
Acciò  per  mancamento  di  difesa 


52.  1.  con  l'augel  d'oro;  V.  e.  XLV,  69,  3. 

ò6.  1-2.  Oltre  ecc.  Oltre  che  gli  deve  es- 
ser dai?  di  ragione,  per  diritto,  in  forza  del 
bando;  non  vi  è  altro  uomo  da  farvi  sopra 
diseguo,  su  cui  si  possa  far  disegno  come 
degno  marito  di  tal  donna:  infatti  se  s'  ha 
da  maritarla  ecc.  O  anche:  non  vi  è  al- 
tr'  uomo  che  possa  farvi  (su  lei)  disegno  per 
diritti  che  possa  mettere  avanti. 

—  6.  ch'arrivi,  chi  arrivi.  Per  tale  eli- 
sione cfr.  e.  XIX,  47,  6;  xxxiii,  127,  4  ecc. 


Cosi  senza  rumor  non  se  gli  toglia, 
Io  che  gli  son  sorella,  questa  impresa 
Piglio  contra  a  ciascun,  sia  chi  si  voglia, 
Che  dica  aver  ragione  in  Bradamante, 
0  di  merto  a  Ruggiero  andare  inante. 
58 

E  con  tant'ira  e  tanto  sdegno  espresse 
Questo  parlar,  che  molti  ebber  sospetto, 
Che  senza  attender  Carlo  che  le  desse 
Campo,  ella  avesse  a  far  quivi  l'effetto. 
Or  non  parve  a  Leon  che  più  dovesse 
Ruggier  celarsi,  e  gli  cavò  l'elmetto; 
E  rivolto  a  Marfisa:  Ecco  luì  pronto 
A  rendervi  di  sé  (disse)  buon  conto. 
'  59 

Quale  il  canuto  Egeo  rimase,  quando 
Si  fu  alla  mensa  scelerata  accorto 
Che  quello  era  il  suo  figlio,  al  quale,  in- 

[stando 
L'iniqua  moglie,  avea  il  veneno  porto; 
E  poco  più  che  fosse  ito  indugiando 
Di  conoscer  la  spada,  l'avria  morto; 
Tal  fu  Marfisa,  quando  il  cavalliero 
Ch'odiato  avea,  conobbe  esser  Ruggiero. 
C) 

E  corse  senza  indugio  ad  abbracciarlo. 
Né  dispiccar  se  gli  sapea  dal  collo. 
Rinaldo,  Orlando,  e  di  lor  prima  Carlo 
Di  qua  e  di  là  con  grand'amor  bacioUo. 
Né  Dudou  né  Olivier  d'accarezzarlo. 
Né  '1  Re  Sobrin  si  può  veder  satollo. 
Dei  Paladini  e  dei  Baron  nessuno 
Di  far  festa  a  Ruggier  restò  digiuno. 
61 

Leone,  il  qual  sapea  molto  ben  dire, 
Finiti  che  si  fur  gli  abbracciamenti. 
Cominciò  inanzi  a  Carlo  a  riferire. 
Udendo  tutti  quei  ch'eran  presenti. 
Come  la  gagliardia,  come  l'ardire 
(Ancor  che  con  gran  danno  di  sue  genti) 


57.  4.  senza  rumor,  senza  resistenza.  V. 
e.  xxiii,  66,  n.  6. 

—  7.  aver  rag.  in  Br.  Per  il  costrutto  cfr. 
e.  XXVII,  84,  n.  1. 

58.  3-4.  le  desse  campo,  senza  aspettare  ' 
regolar  permesso  di  Carlo  Magno.  L'espres- 
sione è  tolta  dagli  usi  del  duello.  Quando 
avveniva  una  sfida  le  parti  chiedevano  a 
qualche  Signore,  che  avesse  dominio,  il  cam- 
po franco,  dove  cioè  potessero  combattere 
sotto  la  sua  tutela  e  difesi  dalla  sua  auto- 
rità contro  violenze,  soprusi,  punizioni  ecc. 

59.  1.  Quale  ecc.  «  Egeo  re  d'Atene  a  isti- 
gazione della  moglie  Medea  era  per  dare 
una  tazza  avvelenata  a  Teseo,  che  egli  aveva 
avuto  da  Etra  figlia  del  re  di  Trachine, 
quando  lo  riconobbe  a  una  spada  conse- 
gnatagli dalla  madre  «  (Casella). 

—  5-6.  indugiando  di  conos.  Più  comune 
indugiare  a:  V  altro  è  costrutto  assai  raro. 


650 


ORLANDO  FURIOSO 


Di  Ruggier  ch'a  Belgrado  avea  veduto, 
Più  d'ogni  offesa  avea  di  sé  potuto; 
62 

Si  ch'essendo  di  poi  preso  e  condutto 
A  colei  ch'ogni  strazio  n'avria  fatto, 
Di  prigione  egli,  malgrado  di  tutto 
Il  parentado  suo,  l'aveva  tratto; 
E  come  il  buon  Ruggier,per  render  frutto 
E  mercede  a  Leon  del  suo  riscatto. 
Fé'  l'a'ta  cortesia  che  sempre  a  quante 
Ne  fuio  0  sarau  mai,  passarà  inante. 
63 

E  seguendo  narrò  di  punto  in  punto 
Ciò  che  per  lui  fatto  Ruggiero  avea; 
E  come  poi  da  gran  dolor  compunto, 
Che  di  lasciar  la  moglie  gli  premea, 
S'era  disposto  di  morire;  e  giunto 
V'era  vicin,  se  non  si  soceorrea; 
E  con  si  dolci  affetti  il  tutto  espresse, 
Che  quivi  occhio  non  fu  ch'asciutto  stesse. 
64 

Rivolse  poi  con  si  efficaci  prieghi 
Le  sue  parole  all'ostinato  Amone, 
Che  non  sol  che  lo  muova,  che  lo  pieghi. 
Che  lo  faccia  mutar  d'opinione; 
Ma  fa  ch'egli  in  persona  andar  non  nieghi 
A  supplicar  Ruggier  che  gli  perdone, 
E  per  padre  e  per  suocero  l'accette; 
E  cosi  Bradamante  gli  promette; 
65 

A  cui  là  dove,  de  la  vita  in  forse, 
Piangea  i  suoi  casi  in  camera  segreta. 
Con  lieti  gridi  in  molta  fretta  corse 
Per  più  d'un  messo  la  novella  lieta: 
Onde  il  sangue  ch'ai  cor,  quando  lo  morse 
Prima  il  dolor,  fu  tratto  da  la  pietà, 
A  questo  annunzio  il  lasciò  solo  in  guisa. 
Che  quasi  il  gaudio  ha  la  Donzella  uccisa. 


61.  8.  aTea  di  sé  potuto.  Per  il  costrutto 
cfr.  0.  XXVI,  30,  n.  7. 

62.  5.  render  frutto,  render  compenso.  Cosi 
pure  nel  e.  xxxiv,  21.  Ma  è  significato  raro 
pur  negli  antichi. 

—  8.  passarà.  Cfr.  C.  IV,  2,  n.  6. 

63.  4.  Che  d.  1.  1.  m.  e-  premea,  poiché  gh 
dispiaceva  (cfr.  e.  xvii,  106,  n.  3)  di  lasciar 
la  moglie  (infinito  soggettivo  con  la  prep. 
di:  FoRNACiARi,  Sint.  p.  362,  nota).  —  Ma 
potresti  anche  intendere:  da  gran  dolore 
di  lasciar  la  moglie  che  (il  qual  dolore)  gli 
premea,  l' opprimeva. 

—  5.  s'  e.  disposto  ecc.  ;  s'  era  risoluto  a 
morire.  V.  e.  xviii,  170,  7. 

C4.  3.  non  sol  che;  non  solo  fa  si  che. 

65.  5-6.  Onde  il  sangue  ecc.  «  Descrive  fi- 
sicamente due  effetti  contrari  del  dolore  e 
dell'allegrezza,  l'uno  cagione  che  '1  sangue 
si  ritiri  verso  il  cuore  e  l'altro  lo  spanda 
e  lo  diffonda,  lasciando  privo  di  sé  il  fonte 
della  vita,  che  è  esso  core  »  (Lavezuola). 


66 

Ella  riman  d'ogni  vigor  si  vota. 
Che  di  tenersi  in  pie  non  ha  balia; 
Ben  che  di  quella  forza  ch'esser  nota 
Vi  debbe,  e  di  quel  grande  animo  sia. 
Non  più  di  lei,  chi  a  ceppo,  alacelo,  a  ruo- 
Sia  condannato  o  ad  altra  morte  ria,  [ta 
E  che  già  agli  occhi  abbia  la  bendanegra. 
Gridar  sentendo  grazia,  si  rallegra. 
67 

Si  rallegra  Mongrana  e  Chiaramonte, 
Di  nuovo  nodo  i  dui  raggiunti  rami: 
Altretanto  si  duol  Gano  col  Conte 
Anselmo,  e  con  Falcon  Gini  e  Ginami; 
Ma  pur  coprendo  sotto  un'altra  fronte 
Van  lor  pensieri  invidiosi  e  grami  ; 
E  occasione  attendon  di  vendetta. 
Come  la  volpe  al  varco,  il  lepre  aspetta. 
68 

Oltre  che  già  Rinaldo  e  Orlando  ucciso 
Molti  in  più  volte  avean  di  quei  malvagi; 
Benché  l'ingiurie  fur  con  saggio  avviso 
Dal  Re  acchetate,  et  i  commun  disagi; 

68.  2,  balia,  forza.  Giamboni,  Trattati 
nior.  258:  «Io  mi  sento  si  poca  balia  che 
non  posso  vedere  com'  io  potessi  far  questa 
pugna  ». 

—  5.  a  ceppo,  per  avervi  mozza  la  testa, 
a  laccio  per  essere  impiccato  ;  a  ruota  : 
era  una  ruota  girante,  a  cui  legavano  il 
condannato,  dopo  avergli  rotto  braccia  , 
gambe  e  reni. 

—  7.  la  benda,  con  la  quale  si  bendavano 
quelli,  che  dovevano  esser  giustiziati. 

67.  1-2.  Di  nuovo  nodo  ecc.  i  due  rami, 
che  sono  congiunti  con  questo  nuovo  nodo, 
con  questa  nuova  parentela.  Raggiunti,  con- 
giunti. Poliziano,  St.  1,  40:  «Tal  che  rag- 
giunge r  una  air  altra  cocca  (dell'  arco)  > . 
L'Ar.  modificando  la  genealogia,  che  trovia- 
mo nel  Boiardo  (III,  v,  18  segg.)  e  che  abbia- 
mo riassunta  nel  e.  xxxvi,  70,  n.  1,  ritiene 
che  Ruggero  appartenga  alla  casa  di  Mon- 
grana, come  Bradamante  apparteneva  a 
quella  di  Chiaramonte.  Invece  secondo  il 
Boiardo,  Buovo  è  il  ceppo  comune  di  Rug- 
gero, di  Chiaramonte,  e  di  Mongrana,  poi- 
ché dei  suoi  figli  uno  rimase  in  Antona  e 
da  essa  discesero  quelle  due  case  illustri, 
l'altro  passò  a  Risa  e  da  esso  discese  Rug- 
gero. Ma  in  fatto  di  genealogie  favolose  gii 
scrittori  lavoravano  spesso  di  fantasia. 

—  3.  Gano  ecc.  Sono  i  principali  della 
casa  di  Magauza  in  continua  lotta  e  ini- 
micizia con  la  casa  di  Chiaramonte  e  ni 
Mongrana. 

—  5.  fronte,  figura,  aspetto.  Cosi  nel  e. 
xxxix,  4,  3. 

—  6.  grami  (dall' ant.  ted.  c'ram,  cruc- 
ciato) cattivi,  tristi. 

68.  4.  i  e.  disagi.  Alcuni  intendono  diSio- 


CANTO  XLVI 


651 


Avea  di  nuovo  lor  levato  il  riso 
L'ucciso  Pinabello  e  Bertolagi: 
Ma  pur  la  fellonia  tenean  coperta, 
Dissimulando  aver  la  cosa  certa. 
69 

Gli  ambasciatori  Bulgari  che  in  Corte 
Di  Carlo  eran  venuti,  come  ho  detto, 
Con  speme  di  trovare  il  guerrier  forte 
Del  liocorno,  al  regno  loro  eletto; 
Sentendol  quivi,  chiamar  buona  sorte 
La  lor,  che  dato  avea  alla  speme  effetto; 
E  riverenti  ai  pie  se  gli  gittaro, 
E  che  tornassi  in  Bulgheria  il  pregare; 
70 

Ove  in  Adrianopoli  servato 
Gli  era  lo  scettro  e  la  real  corona: 
Ma  venga  egli  a  difendersi  lo  stato; 
Ch'a  danni  lor  di  nuovo  si  ragiona 
Che  più  numer  di  gente  apparecchiato 
Ha  Costantino,  e  torna  anco  in  persona: 
Et  essi,  se  '1  suo  Re  ponno  aver  seco, 
Speran  di  torre  a  lui  l'Imperio  Greco. 
71 

Ruggiero  accettò  il  regno,  e  non  contese 
Ai  preghi  loro,  e  in  Bulgheria  promesse 
Di  ritrovarsi  dopo  il  terzo  mese. 
Quando  Fortuna  altro  di  lui  non  fesse. 
Leone  Augusto  che  la  cosa  intese. 
Disse  a  Ruggier,  ch'alia  sua  fede  stesse, 
Che,  poich'egli  de'  Bulgari  ha  il  domino, 
La  pace  è  tra  lor  fatta  e  Costantino: 


pori,  altri  danni  :  certo  vi  è  l' idea  del  tro- 
varsi a  disagio  gli  uni  presso  agli  altri; 
quindi  meglio  intendere  dissapori.  I  voca- 
bolari non  dicono  nulla. 

—  6.  Pinabello...  Bertol.  V.  e.  xxn,  96; 
XXVI,  13. 

—  S.  Dissimnl.  ec.  Non  è  chiaro.  Il  Romizi  : 
«  Affettando  d'ignorare  la  cosa,  di  non  co- 
noscere con  certezza  gli  autori  delie  ucci- 
sioni ».  Si  potrebbe  opporre  che,  se  poteva- 
no sospettare  ma  non  affermare,  che  Pina- 
bello  fosse  stato  ucciso  da  uno  di  Chiara- 
monte,  dovevano  bene  esser  certi  che  Ber- 
tolagi era  stato  messo  a  morte  da  Aldigieri 
e  Ricciardetto:  ma  la  confusione  e  la  mi- 
schia avvenuta  fra  Saracini  e  Maganzesi 
(xxvi,  15)  potè  forse  lasciare  nei  superstiti 
l'incertezza  sugli  uccisori.  Potremmo  però 
anche  intendere:  dissimulando  la  certezza, 
che  avevano  di  vendicarsi  appena  se  ne 
presentasse  V  occasione. 

69.  8.  tornassi.  V.  e.  II,  40,  n.  8. 

70.  1.  Adrianopolì,  città  della  Bulgaria. 

—  4.  a  danni,  ai  danni.  V.  e.  ii,  15,  n. 
8.  Le  st.  69-72  sono  aggiunte  per  l'ed.  1532. 

71.  1.  non  contese,  non  si  oppose.  Pe- 
trarca, II,  son.  218:  »  al  mio  desir  con- 
tese». 

—  4.  fesse,  facesse. 


72 
Né  da  partir  di  Francia  s'avrà  in  fretta, 
Per  esser  capitan  de  le  sue  squadre; 
Che  d'ogni  terra  ch'abbiano  suggetta, 
Far  la  rinunzia  gli  farà  dal  padre. 
Non  è  virtù  che  di  Ruggier  sia  detta, 
Ch'a  mover  si  l'ambiziosa  madre 
Di  Bradamante,  e  far  che  '1  genero  ami, 
Vaglia,  come  ora  udir,  che  Re  si  chiami. 
73 

Fansi  le  nozze  splendide  e  reali, 
Convenienti  a  chi  cura  ne  piglia: 
Carlo  ne  piglia  cura,  e  le  fa  quali 
Farebbe,  maritando  una  sua  figlia. 
I  raerti  de  la  Donna  erano  tali. 
Oltre  a  quelli  di  tutta  sua  famiglia,  [gno, 
Ch'a  quel  Signor  non  parria  uscir  del  se- 
Se  spendesse  per  lei  mezzo  il  suo  regno. 
74 

Libera  Corte  fa  bandire  intorno, 
Ove  sicuro  ogn'un  possa  venire; 
E  campo  franco  sin  al  nono  giorno 
Concede  a  chi  contese  ha  da  partire. 
Fé'  alla  campagna  l'apparato  adorno 
Di  rami  intesti  e  di  bei  fiori  ordire. 
D'oro  e  di  seta  poi,  tanto  giocondo. 
Che  '1  più  bel  luogo  mai  non  fu  nel  mondo. 
75 

Dentro  a  Parigi  non  sariano  state 
L'innuraerabil  genti  peregrine. 


7i.  3.  ch'abbiano  suggetta,  ch'abbiano  as- 
soggettata. È  il  participio  scorciato  del  vei'- 
bo  soggettare,  molto  usato  dagli  antichi. 
Cosi  pure  nel  e.  xv,  32,  S. 

73.  7.  uscir  del  segno,  del  segno  stabilito 
da  giustizia,  esagerare. 

74.  1.  Libera  Corte;  corte  bandita.  Era 
un'  usanza  delle  antiche  corti  per  circo- 
stanze solennissime.  Quando  con  bandi  si 
dava  avviso  di  corte  libera  o  bandita,  ognu- 
no di  qualunque  paese,  o  religione,  o  grado, 
0  condizione,  poteva  sicuramente  andare  ai 
pranzi,  cene,  feste,  giuochi,  che  apposita- 
mente per  un  dato  tempo  si  davano. 

—  3.  campo  franco.  Generalmente  si  dava 
volta  per  volta  ai  cavalieri,  che  ne  facevan 
domanda,  ma  in  circostanze  solenni  si  dava 
a  chiunque  ne  volesse  approfittare.  V.  st. 
58,  3-4. 

—  4.  partire,  sciogliere.  Come  si  disse 
partire  una  zuffa  con  l' idea  d' intromet- 
tersi fra  i  contendenti;  cosi  con  estensione 
di  significato  l'Ar.  disse  partire  contese, 
dirimerle. 

—  5-6.  l'apparato...  ordire,  fare  l'appara- 
to, apparecchiare  1'  occorrente  per  mangia- 
re, per  riposare,  per  divertirsi.  L' orditura 
poi,  ossia  l'ossatura,  era  fatta  di  rami  in- 
tessuti e  di  fiori,  poi  coperta  e  ornata  di 
stoffe  di  seta  e  di  fregi  dorati. 


652 


ORLANDO  FURIOSO 


Povere  e  ricche  e  d'ogni  qualitate, 
Che  v'eran,  Greche,  Barbare  e  Latine. 
Tanti  Signori,  e  Imbascierie  mandate 
Di  tutto  '1  mondo,  non  aveano  fine: 
Erano  in  padiglion,  tende  e  frascati 
Con  gran  comniodità  tutti  alloggiati. 
76 

Con  eccellente  e  singolare  ornato 
La  notte  inanzi  avea  Melissa  maga 
Il  maritale  albergo  apparecchiato. 
Di  ch'era  stata  già  gran  tempo  vaga. 
Già  molto  tempo  inanzi  desiato 
Questa  copula  avea  quella  presaga: 
De  l'avvenir  presaga,  sapea  quanta 
Boutade  uscir  dovea  da  la  lor  pianta. 
77 

Posto  avea  il  genial  letto  fecondo 
In  mezzo  un  padiglione  ampio  e  capace. 
Il  più  ricco,  il  più  ornato,  il  più  giocondo 
Che  già  mai  fosse  o  per  guerra  o  per  pace, 
0  prima  o  dopo,  teso  in  tutto  '1  mondo; 
E  tolto  ella  l'avea  dal  lito  Trace: 
L'avea  di  sopra  a  Costantin  levato, 
Ch'a  diporto  sul  mar  s'era  attendato. 
78 

Melissa  di  consenso  di  Leone, 
0  più  tosto  per  dargli  maraviglia, 
E  mostrargli  de  l'arte  paragone, 
Ch'ai  gran  vermoinfernalmettelabriglia, 
E  che  di  lui,  come  a  lei  par,  dispone, 
E  de  la  a  Dio  nimica  empia  famiglia; 
Fé'  da  Costantinopoli  a  Parigi 
Portare  il  padiglion  dai  messi  Stigi. 
79 

Di  sopra  a  Costantin  ch'avea  l'Impero 
Di  Grecia,  lo  levò  da  mezzo  giorno. 
Con  le  corde  e  col  fusto,  e  con  l'intero 
Guernimento  ch'avea  dentro  e  d'intorno: 
Lo  fé'  portar  per  l'aria,  e  di  RHg<?iero 
Quivi  lo  fece  alloggiamento  adorno; 
Poi,  finite  le  nozze,  anco  tornello 
Miraculosamente  onde  levollo. 


75.  4.  Barbare.  V.  st.  7,  u.  6. 

16.  4.  DI  che  ecc.  Della  qual  cosa,  cioè  di 
apparecchiare  ecc.,  era  stata  desiderosa 
gran  tempo,  avea  desiderato  di  vederli  con- 
giunti. 

77.  1.  genial  letto.  V.  e.  v,  2,  n.  6. 

—  2.  In  mezzo  un.  V.  e.  Vi,  23,  n.  8. 

78.  3.    paragone,   prova.   V.  e.  i,  61,  n.  4. 

—  4.  Termo  inf.  ;  demonio.  Ricorda  «  Cer- 
bero il  gran  vermo  »  e  Lucifero  «  verme 
reo  che  il  mondo  fora  »  di  Dante,  Questa 
stanza  fu  aggiunta  per  r  ed.  del  1532. 

79.  2.  da  m.  giorno,  a  mezzo  g.  V.  e.  xi, 
65,  n.  2. 

—  7.  anco,  ancor,  di  nuovo.  Questo  pa- 
diglione è  una  derivazione  e  una  imitazione 
di  quello  disteso  da  Brandimarte  nella  pra- 
teria sotto  Biserta  {innam.  II,  xxvii,  50- 


80 

Eran  degli  anni  appresso  che  duo  railia 
Che  fu  quel  ricco  padiglion  trapunto. 
Una  donzella  de  la  terra  d'Illa, 
Ch'avea  il  furor  profetico  congiunto. 
Con  studio  di  gran  tempo  e  con  vigilia 
Lo  fece  di  sua  man  di  tutto  punto. 
Cassandra  fu  nomata,  et  al  fratello 
Inclito  Ettòr  fece  un  bel  don  di  quello. 
81 

Il  più  cortese  cavallier  che  mai 
Dovea  del  ceppo  uscir  del  suo  germano 
(Ben  che  sapea,  da  la  radice  assai 
Che  quel  per  molti  rami  era  lontano) 
Ritratto  avea  ne  i  bei  ricami  gai 
D'oro  e  di  varia  seta,  di  sua  mano,      [gio 
L'ebbe,  mentre  che  visse,  Ettòrre  in  pre- 
Per  chi  lo  fece,  e  pel  lavoro  egregio. 
82 

Ma  poi  ch'a  tradimento  ebbe  la  mor 
E  fu  '1  popol  Troian  da'  Greci  afflitto; 
Che  Sinon  falso  aperse  lor  le  porte, 
E  peggio  seguitò,  che  non  è  scritto; 


e, 


61),  lavorato  dalla  Sibilla  Cumana  di  sua 
propria  mano  e  istoriato  con  dodici  Alfon- 
si, l'ultimo  dei  quali  è  appunto  Alfonso  I 
d'Este.  Questi  padiglioni  storiati  erano  abi- 
tuali ai  nostri  autori  di  romanzi  cavaliere-» 
schi.  Forse  in  questa  invenzione  ha  la  sua 
parte  auche  un  padiglione  che,  fatto  in 
forma  d' una  casa  con  sala,  camera  ed  altro 
dentro,  il  Duca  Ercole  I,  nel  1494,  aveva  re- 
galato a  Carlo  Vili,  (Cappelli,  Lettere  di 
L.  Ar.,  Hoepli,  1S90,  pag.  11,  n.  3). 

80.  1.  Eran  degli  anni  ecc.  Per  il  costrutto 
cfr.  e.  xviii,  86,  n.  5. 

—  3.  d' Illa,  d' Ilio,  di  Troia.  Terra  cVIUo, 
come  si  direbbe  città  d'Ilio. 

—  4.  Ch'avea  ecc.  ;  Che  aveva  unito,  nel 
fare  questo  padiglione,  a  tutto  il  resto  (che 
si  dice  in  seguito)  anche  il  furore  profe- 
tico, lo  fece  con  lo  studio  di  lungo  tempo 
e  con  vigilie,  con  veglie.  Essa  è  Cassandra 
figlia  di  Priamo  che  aveva  avuto  da  Apollo 
il  dono  della  profezia,  ma  col  tormento  di 
non  essere  da  nessuno  creduta. 

81.  3.  da  la  radice.  Unisci:  lontano  assai 
da  la  r.  Questo  cavaliere  ivi  ritratto  è  Ip- 
polito d'  Este. 

82.  1.  Ma  poiché  ecc.  «Qui  l'Ar.  non  se- 
gue Omero,  ma  si  attiene  al  racconto  di 
Ditti  Cretese,  secondo  il  quale  Ettore  fu 
ucciso  da  Achille  in  un  agguato  (De  Bello 
Tr.  lib.  3)  »  (Casella). 

—  3.  Sinon  falso.  Sinone  fingendosi  per- 
seguitato dai  Greci  li  persuase  a  metter 
dentro  le  mura  il  fatale  cavallo;  cosi  fece 
da'  Troiani  aprir  le  porte  ai  Greci. 

—  4.  E  peggio  ecc.  E  i  Troiani  ebbero 
guai  anche   peggiori  di  quelli,   che  sono 


CANTO  XLVI 


G53 


Menelao  ebbe  il  padiglione  in  sorte, 
Col  quale  a  capitar  venne  in  Egitto, 
Ove  al  Re  Proteo  lo  lasciò,  se  volse 
La  moglie  aver,  che  quel  tiran  gli  tolse. 
83 

Elena  nominata  era  colei 
Per  cui  lo  padiglione  a  Proteo  diede; 
Che  poi  successe  in  man  de'  Tolomei, 
Tanto  che  Cleopatra  ne  fu  erede. 
Da  le  genti  d'Agrippa  tolto  a  lei 
Nel  mar  Leucadio  fu  con  altre  prede  : 
In  man  d'Augusto  e  di  Tiberio  venne, 
E  in  Roma  sin  a  Costantin  si  tenne; 
84 

Quel  Costantin  di  cui  doler  si  debbe 
La  bella  Italia,  fin  che  giri  il  cielo. 
Costantin,  poi  che  '1  Tevero  gl'increbbe, 
Portò  in  Bizanzio  il  prezioso  velo  : 
Da  un  altro  Costantin  Melissa  l'ebbe. 
Oro  le  corde,  avorio  era  lo  stelo; 
Tutto  trapunto  con  figure  belle. 
Più  che  mai  con  pennel  facesse  Apelle. 


scritti  negli  antichi  poemi,  perché  la  pa- 
rola non  può  descrivere  adeguatamente  i 
mali  d' una  città  vinta  e  distrutta. 

—  7-8.  OTe  ecc.  «  Il  Poeta  segui  qui  Ero- 
doto il  quale  (aeW Euterpe)  racconta  che 
Paride,  navigando  con  Elena  l'Egeo,  assa- 
lito da  fiera  tempesta  e  da  quella  spinto  in 
Egitto,  venne  condotto  innanzi  al  re  di  quel 
paese.  Proteo,  e  da  lui  gravemente  ripreso 
d'aver  violato  l'ospizio,  togliendo  a  Mene- 
lao la  moglie:  la  quale  Proteo  fece  che  la- 
sciasse presso  di  sé,  con  tutte  le  cose  che 
recate  avea,  e  lui  partire.  Finita  la  guerra 
di  Troia,  durante  la  quale  Elena  restò  in 
Egitto,  Menelao  andò  colà  a  prender  la 
moglie,  in  ricambio  della  quale  finge  il  no- 
stro poeta  che  desse  al  re  questo  padiglio- 
ne »  (Bolza). 

83.  3.  successe,  passò  per  successione. 
Sacchetti,  Nov.  15.  «Non  avea  alcun  erede, 
a  cui  legittimamente  succedesse  il  suo  ». 

— -  5.  Da  1.  g.  d'Agr.  Presso  a  Leucade 
(mar  Leucadio)  oggi  Santa  Maura,  avvenne 
la  battaglia  d'Azio,  dove  M.  Antonio  e  Cleo- 
patra furon  rotti  da  .\grippa  capitano  d'Au- 
gusto. 

S4.  1.  di  cui  d.  si  debbe.  Il  Casella  intende 
cheritaliasi  debba  doleredi  Costantino,  per- 
ché, essendo  egli  passato  in  Oriente,  essa 
divenne  preda  dei  barbari.  Questa  certo  fu 
la  prima  ragione,  che  fece  scrivere  all'Ar. 
tali  parole,  ma  forse  vi  andò  unita  anche 
l'altra  del  dominio  temporale  dei  papi,  che 
il  poeta  credeva  avere  avuto  principio  da 
Costantino.  Vedi  ciò  che  si  dice  su  questo 
nel  e.  XXXI,  80,  8. 

—  6.  Oro  ecc.  Anche  nei  padiglioni  prece- 
denti non  si  trascurano  le  corde  e  lo  stelo, 
che  spesso  è  d'avorio. 


85 
Quivi  le  Grazie  in  abito  giocondo 
Una  Regina  aiutavano  al  parto: 
Si  bello  infante  n'apparia,  che  '1  mondo 
Non  ebbe  un  tal  dal  secol  primo  al  quarto. 
Vedeasi  Giove,  e  Mercurio  facondo, 
Venere  e  Marte,  che  l'aveano  sparto 
A  man  piene  e  spargean  d'eterei  fiori, 
Di  dolce  ambrosia  e  di  celesti  odori. 

86 
Ippolito  diceva  una  scrittura 
Sopra  le  fasce  in  lettere  minute. 
In  età  poi  piti  ferma  l'Avventura 
L'avea  per  mano,  e  inanzi  era  Virtute. 
Mostrava  nuove  genti  la  pittura 
Con  veste  e  chiome  lunghe,  che  venute 
A  domandar  da  parte  di  Corvino 
Erano  al  padre  il  tenero  bambino. 

87 
Da  Ercole  partirsi  riverente 
Si  vede,  e  da  la  madre  Leonora; 
E  venir  sul  Danubio,  ove  la  gente 
Corre  a  vederlo,  e  come  un  Dio  l'adora. 
Vedesi  il  Re  degli  Ungari  prudente. 
Che  '1  maturo  sapere  ammira  e  onora 
In  non  matura  età  tenera  e  molle, 
E  sopra  tutti  i  suoi  Baron  l'estolle. 

88 
V  è  che  ne  gì'  infantili  e  teneri  anni 


85.  2.  Una  Regina,  Eleonora  d'Aragona  mo- 
glie d'Ercole  I  e  madre  del  cardinale  Ippo- 
lito d'Este.  È  detta  regina  anche  nel  e.  xiii, 
68,  2,  dove  troverai  la  nota. 

— -  4.  dal  secol  p.  al  q.  ;  dalla  prima  alla 
quarta  età.  Sono  le  quattro  età  dell'oro,  del- 
l'argento, del  rame,  e  del  ferro  ;  che  si  di- 
cono anche  secol  d'oro,  ecc. 

—  5-6.  Giove  ecc.  «In  queste  divinità  si 
esprimono  le  doti,  di  cui  il  Poeta  fa  adorno 
il  suo  Cardinale,  come  la  maestà,  l'eloquen- 
za, la  bellezza,  il  valore  »  (Casella). 

—  6.  l'aveano  sparto,  l'aveano  cosperso. 
Come  si  dice  spargere  la  via  di  fiori. 
cosi  qui  spargere  uno  di  fiori,  invece  del 
più  comune  :  sparg.  f.  su  di  uno. 

8G.  3.  l'Avventura,  la  Fortuna. 

—  7.  Corvino,  «  Mattia  Corvino  re  d'Un- 
gheria, marito  di  Beatrice,  sorella  della  ma- 
dre d'Ippolito,  che  portò  il  nipote  di  10  anni 
non  ancor  compiti  (non  ancora  compiti  gli 
otto,  come  appare  dal  Muratori,  a.  E.  li, 
p.  254)  all'arcivescovado  di  Strigonia.  Si 
veda  il  Bonfinio,  Rer.  Ungar.  Dee.  1,  1.  1  ; 
e  Dee.  4, 1.  8;  dove  un  superbo  elogio  com- 
pose al  giovine  Ippolito;  e  Mario  Equicola 
nel  dialogo  De  opporlunitate,  dove  un  più 
ampio  e  minuto  gliene  lavorò,  tutte  le  cose 
toccando,  che  qui  si  accennano  dall'Ario- 
sto ■»  (Barotti). 

88.  1.  V  è  che  ;  nel  padiglione  è,  si  vede, 
che  il  re  gli  pone  in  mano  ecc. 


654 


ORLANDO  FURIOSO 


Lo  scettro  di  Strigonia  in  man  gli  pone: 
Sempre  il  fanciullo  se  gli  vede  a'  panni, 
Sia  nel  palagio,  sia  nel  padiglione: 

0  contra  Turchi,  o  coutra  gli  Alemanni 
Quel  Re  possente  faccia  espedizione, 
Ippolito  gli  è  appresso,  e  fiso  attende 
A'  magnanimi  gesti,  e  virtù  apprende. 

89 
Quivi  si  vede,  come  il  fior  dispensi 
De'  suoi  primi  anni  in  disciplina  et  arte. 
Fusco  gli  è  appresso,  che  gli  occulti  sensi 
Chiari  gli  espone  de  l'antiche  carte. 
Questo  schivar,  questo  seguir  convieusi, 
Se  immortai  brami  e  glorioso  farte. 
Par  che  gli  dica:  cosi  avea  ben  finti 

1  gesti  lor  chi  già  gli  avea  dipinti. 

90 

Poi  Cardinale  appar,  ma  giovinetto, 
Sedere  in  Vaticano  a  consisterò, 
E  con  facondia  aprir  l'alto  intelletto, 
E  far  di  sé  stupir  tutto  quel  coro. 
Qual  fia  dunque  costui  d'età  perfetto? 
Pareau  con  meraviglia  dir  tra  loro. 
Oh  se  di  Pietro  mai  gli  tocca  il  manto 
Che  fortunata  età!  che  secol  santo! 
91 

In  altra  parte  i  liberali  spassi 
Erano  e  i  giuochi  del  giovene  illustre. 
Or  gli  orsi  affronta  su  gli  alpini  sassi, 
Ora  i  cingiali  in  valle  ima  e  palustre: 
Or  s'un  gianetto  par  che  '1  vento  passi. 
Seguendo  o  caprio  o  cerva  multilustre, 


—  3.  a'  panni,  allato,  appresso.  Dante, 
Inf.  15,  40  :  «  Però  va'  oltre  :  i'  ti  verrò  a' 
panni  ». 

—  5.  Turchi,  Alemanni,  furono  i  due  ne- 
mici contro  i  quali  M.  Corvino  principal- 
mente e  valorosamente  combatté.  Fu  uomo 
di  gran  mente  e  di  grande  energia. 

89.  1.  dispensi,  impieghi.  Cosi  nei  e.  xvii, 
69,  1  ;  xi.ii,  10. 

—  2.  disciplina,  esercitazioni  militari.  È 
uso  simile  a  quello  del  e.  xxxviii,  32,  4.  In 
senso  quasi  eguale  il  Machiavelli,  Art.  G.  5: 
«  Il  sito  aspro  non  ti  lascia  distendere  le  tue 
copie  secondo  la  discipl.  (secondo  che  ri- 
chiedono le  esercitazioni  militari)  ». 

—  3.  Fusco,  Tommaso  Fusco  uomo  repu- 
tato dottissimo  e  ottimo,  prima  maestro, 
poi  segretario  d' Ippolito. 

90.  1.  ma  giovinetto.  Non  aveva  compiuti 
quindici  anni. 

91.  4.  cingiali.  Vedi,  per  la  forma,  e.  i, 
41,  n.  1. 

—  5.  gianetto,  o  ginetto.  V.  e.  xx v,  45,  n.  5. 

—  6.  caprio,  capriuolo.  V.  e.  vi,  22,  n.7. 
—  multilustre,  di  molti  lustri,  per  ciò  forte 
nella  corsa.  Questa  bella  parola  Arioslesca 
piacque  auche  al  Parini,  Notte,  116  :  «  ironia 
Cara  alle  belle  multilustri  ». 


Che  giunta  par  che  bipartita  cada 
In  parti  uguali  a  un  sol  colpo  di  spada. 
92 
Di  filosofi  altrove  e  di  poeti 
Si  vede  in  mezzo  un'onorata  squadra. 
Quel  gli  dipinge  il  corso  de'  pianeti, 
Questi  la  terra,  quello  il  ciel  gli  squadra: 
Questi  meste  elegie,  quel  versi  lieti. 
Quel  canta  eroici,  o  qualche  oda  leggiadra. 

I  Musici  ascolta,  e  varii  suoni  altrove; 

I  Né  senza  somma  grazia  un  passo  muove. 

I  93 

I     In  questa  prima  parte  era  dipinta 
Del  sublime  garzon  la  puerizia. 
Cassandra  l'altra  avea  tutta  distinta 
Di  gesti  di  prndenzia,  di  giustizia, 
Di  valor,  di  modestia,  e  de  la  quinta 
Che  tien  con  lor  strettissima  amicizia, 
Dico  de  la  virtù  che  dona  e  spende; 
De  le  qual  tutte  illuminato  splende. 
94 
In  questa  parte  il  giovene  si  vede 
Col  Duca  sfortunato  degl'Insubri, 
Ch'ora  in  pace  a  consiglio  con  lui  siede. 
Or  armato  con  lui  spiega  i  colubri; 
E  sempre  par  d'una  medesma  fede, 
O  ne'  felici  tempi  o  nei  lugubri  : 
Ne  la  fuga  lo  segue,  lo  conforta 
Ne  l'afflizion,  gli  è  nel  periglio  scorta. 
95 
Si  vede  altrove  a  gran  pensieri  intento 
Per  salute  d'Alfonso  e  di  Ferrara; 
Che  va  cercando  per  strano  arguraento, 

92.  2.  in  mezzo  un'  on.  ;  in  mezzo  ad  un' 
on.  sq. 

—  4.  gli  squadra,  gli  descrive  con  preci- 
sione. Non  si  cita  che  questo  es.  dell'Ar. 

93.  5.  de  la  quinta,  la  liberalità,  che  l'Ar. 
aggiunge  per  conto  suo  alle  quattro  virtù 
cardinali  accennate  avanti.  Ma  su  questa 
liberalità  ebbe  più  tardi  a  mutar  parere. 

94.  1-2.  In  questa  p.  ecc.  Qui  si  allude 
alla,  fedele  amicizia  e  agli  aiuti  che  gli  Esten- 
si e  specialmente  Ippolito  prestarono  a  Lo- 
dovico il  Moro  contro  Luigi  Xfl  di  Francia. 
Il  cardinale  ebbe  dal  Moro  il  governo  civile 
di  tutto  lo  stato  milanese,  e  nel  1499  fu  egli, 
che  lo  accompagnò  quando  partiva  alla 
volta  della  Germania  (Muratori,  An.  E.  II, 
p.  264  segg.). 

—  4.  spiega  i  colubri,  il  colubro,  che  è  an- 
tichissima arme  dei  Visconti.  V.  e.  ut,  26, 
n.  4.  Da  qualche  antica  testimonianza  par- 
rebbe che  anche  prima  della  potenza  Viscon- 
tea, quando  fioriva  la  repubblica,  si  usasse 
il  vessillo  comunale  con  la  vipera,  che  dalla 
città  sarebbe  stato  dato  in  premio  a  Ottone 
Visconti  (NovATi,  Indagini  e  postille  Dan- 
tesche. Collez.  Passerini-Papa  :  ix,  x). 

95.  3.  Che,  poiché  —  p.  strano  argomento, 


CANTO  XLVI 


655 


E  trova,  e  fa  veder  per  cosa  chiara 
Al  giustissimo  frate  il  tradimento 
Che  gli  usa  la  famiglia  sua  più  cara; 
E  per  questo  si  fa  del  nome  erede, 
Che  Roma  a  Ciceron  libera  diede. 
96 

Vedesi  altrove  in  arme  relucente, 
Ch'ad  aiutar  la  Chiesa  in  fretta  corre; 
E  con  tumultuaria  e  poca  gente 
A  un  esercito  instrutto  si  va  opporre; 
E  solo  il  ritrovarsi  egli  presente 
Tanto  a  gli  Ecclesiastici  soccorre,      [ce; 
Che  '1  fuoco  estingue  pria  ch'arder  comin- 
Si  che  può  dir,  che  viene  e  vede  e  vince. 
97 

Vedesi  altrove  da  la  patria  riva 

con  strano  mezzo.  Cosi  nel  e.  xli,  16.  Ecco 
il  mezzo  strano,  col  quale  cercò  e  trovò  le 
fila  della  congiura  :  «  Eravi  fra  gli  altri  al- 
legri compagnoni  che  esso  Duca  ammetteva 
alla  sua  familiar  conversazione...  un  cerio 
.Giano  Guascone,  pi-ete...  Adocchiò  un  giorno 
il  Cardinale,  che  costui  per  ischerzo  legò  il 
Duca  nella  sedia  dove  egli  posava,  e  risa- 
puto che  più  volte  era  successo  cosi  inde- 
cente insulto,  combinando  insieme  che  Giano 
era  un  furbo  e  nell'istesso  tempo  confidente 
stesso  di  Giulio  e  di  Don  Ferrante,  cominciò 
a  fare  spiare  con  diligenza  i  loro  andamenti, 
né  andò  molto  che  entrò  in  cognizione  del- 
l'orrida congiura»  (Muratori,  Ah.  E.  II, 
p.  281). 

—  4.  per  cosa  eh.,  come  cosa  eh, 

—  5.  il  tradimento ,  del  quale  vedi  la 
nota  7,  e.  Ili,  60. 

—  6.  gli  usa...  tradim.  Come  si  disse  ttsar 
fraude,  usar  peccati,  cosi  l'Ar.  ha  detto 
usar  tradimento,  far  tradimento,  tradire. 
—  la  famiglia  s.  ;  la  parte  più  cara  della  sua 
famiglia,  cioè  i  suoi  stessi  fratelli. 

—  7.  del  nome  ecc.,  di  padre  della  pch 
tria  per  aver  salvato  a  Ferrara  il  suo  prin- 
cipe. Cosi  Cicerone  era  stato  chiamato  per 
aver  salvata  la  repubblica  dalla  congiura 
di  Catilina. 

96.  2.  Ch'ad  aiut.  ecc.  Credo  che  si  accen- 
ni all'impresa  che  nell'aprile  e  nel  maggio 
1507  il  Card.  Ippolito  compi  contro  i  Benti- 
vogli.  Volevano  questi  ricuperar  Bologna 
tolta  loro  dal  papa,  e  radunate  molte  sol- 
datesche, si  avviavano  per  il  Reggiano  e 
per  il  Modenese  verso  Bologna.  Ma  Ippo- 
lito, avvisato  dal  Legato  di  Bologna,  accor- 
se con  500  cavalli  da  Ferrara  a  Modena, 
quivi  mise  assieme  un  quattromila  soldati 
e  avanzatosi  contro  il  nemico  lo  pose  in 
piena  rotta,  salvando  Bologna  agli  Ecclesia- 
stici (MURAT.,  Ant.  E.  II,  p.  283). 

—  7.  arder  comince,  cominci  ad  ardere. 

—  8.  viene  ved.  v.  È  il  veni  vidi  vici  di 
Cesare,  quando  vinse  Farnace  re  del  Ponto. 


Pugnar  incontra  la  più  forte  armata, 
Che  contra  Turchi  e  contra  gente  Argiva 
Da'  Veneziani  mai  fosse  mandata: 
La  rompe  e  vince,  et  al  frate!  captiva 
Con  la  gran  preda  l'ha  tutta  donata; 
Né  per  sé  vedi  altro  serbarsi  lui. 
Che  l'onor  sol,  che  non  può  dare  altrui. 
9S 
Le  donne  e  i  cavallier  mirano  fisi, 
Senza  trarne  construtto,  le  figure; 
Perché  non  hanno  appresso  che  gli  avvi- 
Che  tutte  quelle  sien  cose  future.         [si, 
Prendon  piacere  a  riguardare  i  visi 
Belli  e  ben  fatti,  e  legger  le  scritture: 
iSol  Bradamante  da  Melissa  instrutta 
Gode  tra  sé;  che  sa  l'istoria  tutta. 

99 

Ruggiero  ancor  ch'a  par  di  Bradamante 
Non  ne  sia  dotto,  pur  gli  torna  a  mente 
Che  fra  i  nipoti  suoi  gli  solea  Atlante 
Commendar  questo  Ippolito  sovente. 
Chi  potria  in  versi  a  pieno  dir  le  tante 
Cortesie  che  fa  Carlo  ad  ogni  gente? 
Di  varii  giochi  è  sempre  festa  grande, 
E  la  mensa  ognor  piena  di  vivande. 
100       , 

Vedesi  quivi  chi  è  buon  cavalliero; 
Che  vi  son  mille  lancie  il  giorno  rotte: 


97.  3.  gente  Argiva.  Accenna  alla  lotte  di 
Venezia  contro  l' impero  greco  :  {Argivi  si 
dissero  gli  antichi  Greci).  —  Qui  si  parla 
un'altra  volta  della  battaglia  della  Polesella, 
di  cui  nei  e.  iii,  57,  5;  xxxvi,  2,  5;  xl,  4,  7. 
Vedi  a  quei  luoghi  le  note  storiche. 

98.  3.  che  gli  avv.  La  Principe  legge  cfii 
gli  avv.;  ma  già  l'ediz.  del  1521  ha  che;  e 
ciò  conferma  la  sicurezza  della  presente  le- 
zione. Intendi:  le  figure  non  hanno  appresso 
cosa  che  gli  avvisi  ecc.  cioè  non  hanno  op- 
portuna iscrizione  o  altro  che  gli  avv.  ecc. 
È  vero  che  vi  erano  scritture,  ma  queste 
non  dicevano  che  tutte  quelle  cose  erano 
future.  —  Avverti  che  esser  future  qui, 
come  il  latino  futura  esse,  significa  fossero 
per  avvenire.  Cosi  forse  la  ragione  del 
cambiamento  va  proprio  cercata  in  quel- 
V/ianno,  che  di  primo  getto  il  P.  riferi  agli 
spettatori,  poi  gli  piacque  meglio  riferirlo 
a  figure;  pensando  che  impropriamente  era 
detto  non  esservi  chi  potesse  spiegar  tutto 
ciò,  mentre  più  sotto  si  dice  che  Melissa  e 
Bradamante  tutto  sapevano. 

99.  1-2.  Rngger...  gli  t.  a.  m.  Per  il  costrut- 
to cfr.  e.  XII,  5,  n.  6. 

—  7.  Di.  V.  giochi;  con  vari  g.  :  si  fa  sem- 
pre festa  grande  con  vari  giochi.  Di  per 
con  e.  Ili,  65,  6;  xxv,  53,  5. 

100.  2.  mille...  il  giorno  ;  mille  al  giorno, 
ogni  giorno.  È  modo  ancora  vivissimo  nella 
lingua. 


656 


ORLANDO  FURIOSO 


Fansi  battaglie  a  piedi  et  a  destriero, 
Altre  accoppiate,  altre  confuse  iu  frotte. 
Più  degli  altri  valor  mostra  Ruggiero, 
Che  vince  sempre,  e  giostra  il  di  e  la  notte, 
E  cosi  in  danza  in  lotta  et  in  ogni  opra 
.Sempre  con  molto  onor  resta  di  sopra. 
101 

L'ultimo  di,  ne  l'ora  che  '1  solenne 
Convito  era  a  gran  festa  incominciato; 
Che  Carlo  a  man  sinistra  Euggier  tenne, 
E  Bradamante  avea  dal  destro  Iato; 
Di  verso  la  campagna  in  fretta  venne 
Contra  le  mense  un  cavalliero  armato, 
Tutto  coperto  egli  e  '1  destrier  di  nero. 
Di  gran  persona,  e  di  sembiante  altiero. 
102  [no 

Quest'era  il  Re  d'Algier,che  per  loscor- 
Che  gli  fé'  sopra  il  ponte  la  Donzella, 
Giurato  avea  di  non  porsi  arme  intorno, 
Né  stringer  spada,  né  montare  in  sella, 
Fin  che  non  fosse  un  anno,  un  mese  e  un 

[giorno 
Stato,  come  Eremita,  entro  una  cella. 
Cosi  a  quel  tempo  soleau  per  se  stessi 
Punirsi  i  cavallier  di  tali  eccessi. 


—  3.  a  destriero;  a  cavallo.  Pulci,  Morg. 
18,  24:  «  E  con  Orlando  montava  a  de- 
strieri ». 

—  4.  Altre  accoppiate.  La  Crusca  nota: 
Battaglia  accoppiata  si  disse  un  combatti- 
mento usato  nei  tornei,  nei  quali  i  cavalieri, 
ordinati  in  piccole  schiere  dette  propria- 
mente quadrìglie,  combattevano  stando 
sempre  accoppiati  senza  confondersi  in  frot- 
te ».  —  confuse  in  frotte.  Non  deve  già  inten- 
dersi come  se  fossero  mischie  disordinate. 
Talvolta  nelle  giostre  si  presentavano  molti 
cavalieri  che  combattevano  fra  loro,  ma  in 
modo  che  un  solo  si  trovasse  sempre  di 
fronte  a  un  solo,  come,  per  es.,  nella  gio- 
stra di  Damasco  :  e.  xvii. 

101.  1.  L'ultimo  di',  dei  nove  giorni  di  fe- 
sta (St.  74,  3). 

—  2.  a  gr.  festa,  con  gr.  f. 

—  3.  Che,  nel  quale  convito.  Vedi  per 
quest'uso  e.  xiii,  37,  u.  5. 

—  6.  Contra  le  m.  Il  contra  dice  la  dire- 
zione sicura  e  rattegfiiameuto  minaccioso. 

—  7.  tutto  coperto  ecc.;  nera  la  gualdrappa 
del  cavallo  e  ha  sopravv.  del  cavaliere. 

—  102.  1.  lo  scorno  ecc.  Era  stato  atter- 
rato da  Bradamante  :  e.  xxxv,  48  segg. 

—  5.  un  anno  ecc.  Questo  limite  di  tempo 
era  di  prammatica  in  certe  circostanze  so- 
lenni. Nel  Boccaccio  messer  Torello  dice 
alla  sua  donna  di  aspettarlo  un  anno  un 
mese  e  un  giorno  prima  di  rimaritarsi. 

—  8.  eccessi,  errori  eccessivi.  È  signifi- 
cato ancor  vivo  nella  lingua,  ^{ale  altri  in- 
tende scorni. 


103 
Se  ben  di  Carlo  iu  questo  mezzo  intese 
E  del  Re  suo  Signore  ogni  successo  ; 
Per  non  disdirsi,  non  più  l'arme  prese, 
Che  se  non  pertenesse  il  fatto  ad  esso. 
Ma  poi  che  tutto  l'anno  e  tutto  'I  mese 
Vede  finito,  e  tutto  '1  giorno  appresso, 
Con  nuove  arme  e  cavallo  e  spada  e  lan- 
AUaCorteorne  vien  quivi  di  Francia,  [eia 

101 
Senza  smontar,  senza  chinar  la  testa, 
E  senza  segno  alcun  di  riverenzia, 
Mostra  Carlo  sprezzar  con  la  sua  gesta, 
E  di  tanti  Signor  l'alta  presenzia. 
Maraviglioso  e  attonito  ognun  resta, 
Che  si  pigli  costui  tanta  licenzia. 
Lasciano  i  cibi  e  lascian  le  parole 
Per  ascoltar  ciò  che  '1  guerrier  dir  vuole. 

105 
Poi  che  fu  a  Carlo  et  a  Ruggiero  a  fron- 
Con  alta  voce  et  orgoglioso  grido,        [te 
Son  (disse)  il  Re  di  Sarza,  Rodomonte, 
Che  te,  Ruggiero,  alla  battaglia  sfido; 
E  qui  ti  vo',  prima  che  '1  sol  tramonte, 
Provar  ch'ai  tuo  Signor  sei  stato  infido; 
E  che  non  raerti,  che  sei  traditore, 
Fra  questi  cavallieri  alcuno  onore. 

106 
Benché  tua  fellonia  si  vegga  aperta, 
Perché  essendo  Cristian  non  poi  negarla; 
Pur  per  farla  apparere  anco' più  certa. 
In  questo  campo  vengoti  a  provarla: 
E  se  persona  hai  qui  che  faccia  offerta 
Di  combatter  per  te,  voglio  accettarla,  [to  ; 
Se  non  basta  una,  e  quattro  e  sei  n'accet- 
E  a  tutte  manterrò  quel  eh'  io  t'ho  detto. 

107 
Ruggiero  a  quel  parlar  ritto  levosse, 


103.  1.  Se  ben...  intese.  Per  l' indicativo 
cfr.  e.  XVI,  2,  n.  4. 

—  2.  og.  successo,  ogni  cosa  avvenuta, 
ogni  caso:  cosi  nel  e.  v,  4,  3.  Questo  senso 
è  frequente  anche  nei  prosatori  :  Guicciar- 
dini, St.  It.  18  :  «  Ma  inteso  il  successo  si 
ritirò  a  Otricoli  ». 

—  4.  pertenesse;  Dall' inusitato  iJer^gne- 
re  (lat.  pertinere),  di  cui  troviamo  presso 
gli  antichi  diverse  forme  :  Boccaccio,  Nov. 

i  50,  ha  pertengono  e  Nov,  53  pertinente. 
V.  e.  XX,  18,  2. 

—  6.  appresso,  inoltre.  V.  st.  37,  n.  5. 

104.  3.  la  sua  gesta,  i  suoi  Paladini.  Cosi 
l'usò  Dante,  Inr.  31, 17:  «Carlo  Magno  perde 
la  santa  gesta  ».  (Del  Lungo  :  Dal  secolo  e 
dal  poema  di  Dante  pag.  487). 

—  5.  maraviglioso,  maravigliato.  V.  e.  x, 
90,  n.  7. 

lOG.  3.  apparere.  Questa  forma  usò  già  il 
Petrarca:  i,  son.  112:  «Da  indi  in  qua  mi 
cominciò  apparere  »  ed  è  il  lat.  apparere. 


CANTO  XLVI 


C57 


E  con  licenzia  rispose  di  Carlo, 
Che  mentiva  egli,  e  qualunqu'altro  fosse, 
Che  traditor  volesse  uominarlo; 
Che  sempre  col  suo  Re  cosi  pertosse, 
Che  giustamente  alcun  non  può  biasmar- 
E  ch'era  apparecchiato  sostenere,       [lo; 
Che  verso  lui  fé'  sempre  il  suo  dovere: 
108 

E  ch'a  difender  la  sua  causa  era  atto, 
Senza  tórre  in  aiuto  suo  veruno; 
E  che  sperava  di  mostrargli  in  fatto. 
Ch'assai  n'avrebbe  e  forse  troppo  d'uno. 
Quivi  Rinaldo,  quivi  Orlando  tratto, 
Quivi  il  Marchese,  e  '1  figlio  bianco  e  '1 

[bruuo, 
Dudon,  Marfisa,  contra  il  Pagan  fiero 
S'eran  per  la  difesa  di  Ruggiero; 
109 

Mostrando  ch'essendo  egli  nuovo  sposo, 
Non  dovea  conturbar  le  proprie  nozze. 
Ruggier  rispose  lor:  State  in  riposo; 
Che  per  me  foran  queste  scuse  sozze. 
L'arme  che  tolse  al  Tartaro  famoso. 
Vennero,  e  fur  tutte  le  lunghe  mozze, 
Gli  sproni  il  conte  Orlando  a  Ruggier 

[strinse, 
E  Carlo  al  fianco  la  spada  gli  cinse. 
110 

Bradamante  e  Marfisa  la  corazza 
Posta  gli  aveano,  e  tutto  l'altro  arnese. 


107.  3.  mentiva  ecc.  mentire,  sostenere 
erano  parole  d'uso  per  lo  sfidato,  comeiJj'o- 
vare  e  mantenere  dello  sfidante.  Per  le 
mentite  cfr.  e.  ii,  4,  n.  1. 

lOS.  5.  tratto..,  s'  eran,  tratti  s'eran.  Per 
quest'  uso  cfr.  e.  v,  5S,  u.  7.  Questo  è  un 
esempio  notevole  fra  gli  altri  del  Furioso, 
perché  mentre  negU  altri  participi  si  ha 
sempre  la  sconcordanza  nel  genera,  vii,  60; 
V,  SI,  xxvia,  48  ecc.  (il  solo  verbo  essere 
presenta  la  sconcordanza  del  participio  sta- 
to anche  in  numero  nel  e.  xxxvii,  6),  que- 
sto l'ha  in  numero. 

—  6.  il  Marchese  ecc.  Oliviero  e  i  suoi 
figli  «  Grifone  il  bianco  et  Aquilante  il  ne- 
ro »;  e.  XV,  67. 

109.  5.  L'arme  ecc.  l'arme  tolte  a  Mandri- 
cardo.  V.  e.  xxx,  &4,  segg. 

—  6.  fnr  t.  1.  langhe  mozze,  fui*  mozzi 
tutti  gl'indugi.  Di  questa  locuzione  1  voca- 
bolari citano  questo  solo  esempio.  Nei  sup- 
posili  1,2:  «  E  non  ci  debbe  esser  gran 
dubbio,  dandomi  il  padre  queste  lunghe  ? 
(tirandomi  in  lungo  cosl?i».  Machiavelli, 
Legaz.  4*  alla  Corte  di  Francia,  lett.  3: 
«  Per  dare  più  lunga  (per  mandare  più  in 
lungo)  alla  risposta  loro». 

110.  2.  l'altro  arnese,  il  resto  dell'arnese. 
V.  e.  vii,  51,  u.  S.  L'arnese  era  l'armatura 
difensiva,  che  comprendeva  specialmente 


Tenne  Astolfo  il  destrier  di  buona  razza, 
Tenne  la  staffa  il  figlio  del  Danese. 
Feron  d'intorno  far  subito  piazza 
Rinaldo,  Xamo  et  Olivier  Marchese: 
Cacciaro  in  fretta  ognun  de  lo  steccato 
A  tal  bisogni  sempre  apparecchiato. 
Ili 

Donne  e  donzelle  con  pallida  faccia 
Timide  a  guisa  di  columbe  stanno. 
Che  da'  granosi  paschi  ai  nidi  caccia 
Rabbia  de'  venti  che  fremendo  vanno 
Con  tuoni  e  lampi,  e  '1  nero  àer  minaccia 
Grandine  e  pioggia,  e  a'  campi  strage  e 

[danno  : 
Timide  stanno  per  Ruggier;  che  male 
A  quel  fiero  Pagan  lor  parca  ugnale. 
112 

Cosi  a  tutta  la  plebe,  e  alla  più  parte 
Dei  Cavallieri  e  dei  Barou  parea; 
Che  di  memoria  ancor  lor  non  si  parte 
Quel  ch'in  Parigi  il  Pagan  fatto  avea; 
Che,  solo,  a  ferro  e  a  fuoco  uua  gran  parte 
N'avea  distrutta,  e  ancor  vi  rimanea, 
E  rimarrà  per  molti  giorni  il  segno: 
Né  maggior  danno  altronde  ebbe  quel  re- 
113  [gno. 

Tremava,  più  ch'a  tutti  gli  altri,  il  core 
A  Bradamante;  non  ch'ella  credesse 
Che  '1  Saracin  di  forza,  e  del  valore 
;  Che  vien  dal  cor,  più  di  Ruggier  potesse; 


l'elmo,  la  corazza,  il  dorsiere,  gli  schinieri, 
i  bracciali.  Per  il  significato  d'  arnese  cfr. 
e.  XXVI I,  78,  n.  5. 

—  4.  il  f.  del  Danese,  Dudone. 

—  5.  far...  piazza:  far  largo. 

—  S  A  tal  bisogni  ecc.  Presso  i  grandi 
signori  gli  steccati  erano  sempre  pronti 
nelle  principali  città  e  piazze  ;  qui  poi  do- 
veva esser  pronto  anche  perché  per  nove 
giorni  si  era  bandito  campo  franco. 

111.  2.  a  gaisa  di  colombe.  Innam.  II, 
XX,  16;  «Tutte  le  dame  a  guisa  di  colombe 
Per  r  alto  grido  si  smarriano  in  faccia  ». 
ViRGiL.  £/i.  2,  515:  «  Hic  Hecuba  et  natae... 
Praecipites  atra  ceu  tempestate  columbae, 
Condensae  et  divum  amplexae  simulacra 
sedebant  ». 

—  3.  granosi  p.  In  questo  senso  citano  sol- 
tanto l'Ar.  Generalmente  vuol  dire  granito  ; 
qui  fecondo  di  grano. 

—  5.  e  '1  nero  a.  m.  Avverti  il  passaggio 
dalla  proposizione  relativa:  «vènti,  c/ie  fre- 
mendo vanno  »,  alla  coordinata:  «  e  '1  nero 
ecc.»;  nella  quale  la  e  ha  il  significato  di 
mentre;  e  serve  mirabilmente  a  compiere 
il  quadro. 

—  7-S.  male...  ugnale,  non  uguale,  dise- 
guale. V.  e.  I,  57,  n.  1. 

113.  3.  di  forza...  del  t.,  per  forza  e  per 
quel  vai.  V.  e   vii,  IO,  n.  6. 


Abiosto  —  PAPua 


42 


658 


ORLANDO  FUETOSO 


Né  che  ragion,  che  spesso  dà  l'onore 
A  chi  1'  ha  seco,  Rodomoute  avesse: 
Pur  stare  ella  non  può  senza  sospetto; 
Che  di  temere,  amando,  ha  degno  effetto. 
lU 

Oh  quanto  voleiitier  sopra  sé  tolta 
L'impresa  avria  di  quella  pugna  incerta, 
Ancor  che  rimaner  di  vita  sciolta 
Per  quella  fosse  stata  pili  che  certa! 
Avria  eletto  a  morir  più  d'una  volta. 
Se  può  più  d'una  morte  esser  sofferta, 
Più  tosto  che  patir  che  '1  suo  consorte 
Si  ponesse  a  pericol  de  la  morte. 
115 

Ma  non  sa  ritrovar  priego  che  vaglia. 
Perché  Ruggiero  a  lei  l'impresa  lassi. 
A  riguardare  adunque  la  battaglia 
Con  mesto  viso  e  cor  trepido  stassi. 
Quinci  Ruggier,  quindi  il  Pagan  si  scaglia, 
E  vengousi  a  trovar  coi  ferri  bassi. 
Le  lancie  all'incontrar  parver  di  gielo, 

I  tronchi,  augelli  a  salir  verso  il  cielo. 

116  - 

La  lancia  del  Pagan,  che  venne  a  córre 
Lo  scudo  a  mezzo,  fé'  debole- effetto  ; 
Tanto  l'acciar,  che  pel  famoso  Ettorre 
Temprato  avea  Vulcano,  era  perfetto. 
Ruggier  la  lancia  parimente  a  porre 
Gli  andò  allo  scudo,  e  glie  le  passò  netto; 
Tutto  che  fosse  appresso  un  palmo  grosso, 
Dentro  e  di  fuor  d'acciaro,  e  in  mezzo  d'os- 

117  [so. 
E,  se  non  che  la  lancia  non  sostenne 

II  grave  scontro  e  mancò  al  primo  assalto, 
E  rotta  in  scheggie  e  in  tronchi  aver  le 
Parve  per  l'aria  (tanto  volò  in  alto);  [penne 
L'osbergo  apria  (si  furiosa  venne). 

Se  fosse  stato  adamantino  smalto, 
E  finia  la  battaglia;  ma  si  roppe: 


—  S.  Che  ecc.  La  quale  ha  degna  ragione 
di  temere  perché  ama.  E  imitaz.  del  Pe- 
trarca. Tr.  Am.  I,  105  :  «  Ma  quel  del  suo 
temer  ha  degno  effetto  ». 

11-}.  5.  av.  eletto  a  morir;  avi*,  eletto  di 
mor.  Eleggere  in  questo  "senso  si  costruisce 
generalm.  con  di  o  col  semplice  infinito. 
Con  a  neppur  la  N.  Crusca  lo  cita. 

115.  7,  airincontrar,  all'incontrarsi,  incon- 
irandosi.  V.  e.  iv,  14,  n.  1.  Cosi  sotto  a 
salir- 

IIC.  6.  glie  le,  glielo.  V.  e.  xli,  27,  n.  8. 

—  7.  appresso  nn  p.;  circa  un  palmo. 

117.  1.  Se  non  che  ecc.  Per  questo  co- 
strutto cfr.  e.  XXI,  42,  n.  5;  e  avverti  che 
è  modo  derivato  dal  latino.  Ovidio,  Met.  iv, 
6ì~:  "  Nisi  quod  laevis  aura  capillos  Move- 
rat...  marmoreum  ratus  esset  opus  ». 

—  5.  apria,  avrebbe  aperto.  V.  e.  v,  40, 
n.  8.  Con  se  non  che  si  usò  nella  apodosi 
lanto  l'indicativo  che  il  cqngiuutivo. 


Posero  in  terra  ambi  i  destrier  le  groppe. 
118 

Con  briglia  e  sproni  i  cavallieri  instan- 
Risalir  feron  subito  i  destrieri;  [do, 

E  d'onde  gittàr  l'aste,  preso  il  brando. 
Si  tornaro  a  ferir  crudeli  e  fieri. 
Di  qua  di  là  con  maestria  girando 
Gli  animosi  cavalli  atti  e  leggieri, 
Con  le  pungenti  spade  incominciaro 
A  tentar  dove  il  ferro  era  più  raro. 
119 

Non  si  trovò  lo  scoglio  del  serpente, 
Che  fu  si  duro,  al  petto  Rodomonte, 
Né  di  Nembrotte  la  spada  tagliente, 
Né  '1  solito  elmo  ebbe  quel  di  alla  fronte; 
Che  l'usate  arme,  quando  fu  perdente 
Centra  la  donna  di  Dordona  al  ponte. 
Lasciato  avea  sospese  ai  sacri  marmi. 
Come  di  sopra  avervi  detto  parrai. 
120 

Egli  avea  un'altra  assai  buona  armatu- 
Non  come  era  la  prima  già  perfetta:  [ra. 
Ma  né  questa  né  quella  né  più  dura 
A  Balisarda  si  sarebbe  retta; 
A  cui  non  osta  incanto  né  fattura. 
Né  finezza  d'acciar  né  tempra  eletta. 
Ruggier  di  qua,  di  là  si  ben  lavora. 
Ch'ai  Pagan  l'arme  in  più  d'un  loco  fora. 
121 

Quando  si  vide  in  tante  parti  rosse 
Il  Pagan  l'arme,  e  non  poter  schivare 


118.  2.  Risalir,  rizzarsi.  V.  e.  xxxix,  53, 
n.  2. 

—  3.  d'onde  ecc.  dallo  stesso  punto,  dove 
gettarono  le  lance  tornarono  con  la  spada 
ecc.  È  detto  per  indicare  la  prontezza  e  il 
vigore  dei  cavalieri,  che  non  perdono  un 
solo  istante. 

—  6.  atti  e  leggeri.  V.  e.  vi,  61,  u.  6, 
dove  abbiamo  l'altra  espressione,  simile  a 
questa,  agili  et  atti. 

119.  5.  l'usate  arme  ecc.  Vedi  per  questi 
particolari  e.  xxxv,  52,  3-4. 

—  6.  la  Donna  di  Dord.,  Bradamante,  V. 
e.  XII,  20,  n.  3. 

120.  4.  A.  B.  si  s.  retta;  si  sarebbe  retta, 
avrebbe  retto  contro  a  Balis.  che,  fatta  per 
incanto,  avea  la  proprietà  di  render  nulli 
gli  incanti  delle  armi  nemiche.  Reggere  a 
Balisarda  è  locuzione  fatta  su  la  più  co- 
mune reggere  ai  colpi  di  B.  —  Reggerai  a 
per  reggere  contro  a  resistere,  durare,  non 
è  citato  dai  vocabolari. 

—  5.  fattura,  malia.  In  questo  senso  è  or- 
mai fuori  d'uso;  ma  dicesi  ancora  fattuc- 
chiere, —  era,  uomo  o  donna,  che  usa 
malie. 

121.  2-t.  schivare...  che  non.  V.  e.  v,  53, 
n.  1.  Questa  è  costruzione  simile  a  quella 
Per  r  in  finito  rileva  dal  primo  verso  un 


CANTO  XLVI 


659 


Che  la  più  parte  di  quelle  percosse 
Non  gli  andasse  la  carne  a  ritrovare; 
A  maggior  rabbia,  a  più  furor  si  mosse, 
Cli'a  mezzo  il  verno  il  tempestoso  mare  : 
Getta  lo  scudo,  e  a  tutto  suo  potere 
Su  l'elmo  di  Ruggiero  a  due  man  fere. 
122 

Con  quella  estrema  forza  che  percuote 
La  machina  eh'  in  Po  sta  su  due  navi, 
E  levata  con  uomini  e  con  ruote 
Cadérsi  tescia  su  le  aguzze  travi; 
Fere  il  Pagan  Ruggier,  quanto  più  puote, 
Con  ambe  man  sopra  ogni  peso  gvavi: 
Giova  l'elmo  incantato;  che  sensa  esso, 
Lui  col  cavallo  avria  in  un  colpo  fesso. 
123 

Ruggiero  andò  due  volte  a  capo  chino, 
E  per  cadere  e  braccia  e  gambe  aperse. 
Raddoppia  il  fiero  colpo  il  Saracino, 
Che  quel  non  abbia  tempo  a  riaverse: 
Poi  vien  col  terzo  ancor;  ma  librando  fino 
Si  lungo  martellar  più  non  sofferse; 
Che  volò  in  pezzi,  et  al  crudel  Pagano 
Disarmata  lasciò  di  sé  la  mano. 
124 

Rodomonte  per  questo  non  s'arresta, 
Ma  s'avventa  a  Ruggier  che  nulla  sente  ; 
In  tal  modo  intronata  avea  la  testa, 
In  tal  modo  oft'useata  avea  la  mente. 
Ma  ben  dal  sonno  il  Saracin  lo  desta: 
Gli  cinge  il  collo  col  braccio  possente; 
E  con  tal  nodo  e  tanta  forza  afterra, 
Che  de  l'arcion  lo  svelle,  e  caccia  in  terra. 
125 

Non  fu  in  terra  si  tosto,  che  risorse. 
Via  più  che  d'ira,  di  vergogna  pieno; 
Però  che  a  Bradamante  gli  occhi  torse, 
E  turbar  vide  il  bel  viso  sereno. 
Ella  al  cader  di  lui  rimase  in  forse, 
E  fu  la  vita  sua  per  venir  meno. 
Ruggiero  ad  emendar  presto  quell'onta, 
Stringe  la  spada,  e  col  Pagan  s'affronta. 


semplice  vide,  o  pure  intendi  :  si  vide,  vide 
sé  non  poter  schiv.,  vide  cha  non  poteva 
schiv. 

—  5.  A  magg.  r.;  con  magg.  r.  V.  e.  xvi, 
48,  n.  8. 

Vii.  1.  che  percuote,  con  la  quale  percuote. 
V.  e.  XIII,  37,  n.  5. 

—  2.  La  machina:  Era  detta  castello,  oggi, 
in  Toscana,  chiamasi  berta,  che  «  probabil- 
mente deriva  dalla  Berta  della  leggenda 
Germanica,  che  col  suo  pestare  spaventava 
i  bambini  (?)  »  (Zambaldi,  Vvc.  Etim.). 

—  5.  Fere,  percuote,  e.  xxvi,   73,   n.  7. 
123.  4.  Che,  perché. 

1-24.  7.  afferra,  lo  afferra.  V.  e.  i,  21,  n.  7. 
125.  5.  rimase  in  forse,  rimase  in  grande 
apprensione. 


126 

Quel  gli  urta  il  destriercontra,raaRug- 
Lo  causa  accortamente,  e  si  ritira,  [giero 
E  nel  passare,  al  fren  piglia  il  destriero 
Con  la  man  manca,  e  intorno  lo  raggira; 
E  con  la  destra  intanto  al  cavalliero 
Ferire  il  fianco  o  il  ventre  o  il  petto  mira; 
E  di  due  punte  fé'  sentirgli  angoscia, 
L'una  nel  fianco,  e  l'altra  ne  la  coscia. 
127 

Rodomonte,  ch'in  mano  ancor  tenea 
Il  pome  e  l'elsa  de  la  spada  rotta, 
Ruggier  su  l'elmo  in  guisa  percotea, 
Che  lo  potea  stordire  all'altra  botta. 
Ma  Ruggier  ch'a  ragion  vincer  dovea. 
Gli  prese  il  braccio,  e  tirò  tanto  allotta, 
Aggiungendo  alla  destra  l'altra  mano. 
Che  fuor  di  sella  al  fin  trasse  il  Pagano. 
128 

Sua  forza  o  sua  destrezza  vuol  che  cada 
11  Pagan  si,  ch'a  Ruggier  resti  al  paro: 
Vo'  dir  che  cadde  in  pie;  che  per  la  spada 
Ruggiero  averne  il  meglio  giudicaro. 
Ruggier  cerca  il  Pagan  tenere  a  bada 
Lungi  da  sé,  né  di  accostarsi  ha  caro: 
Per  lui  non  fa  lasciar  venirsi  addosso 
Un  corpo  cosi  grande  e  cosi  grosso. 


126.  3.  E  nel  passare,  che  il  destriero 
fece  per  venire  a  urtarlo.  Non  è  inoltu 
chiaro. 

—  G.  Ferir...  mira;  ferir  studia.  Questo 
significato  un  po'  diverso  dai  molti  fin  qui 
notati  nel  Furioso  (xn,  5,  6;  xiv,  105,3; 
XXXI,  51,  6)  è  confermato  da  un  luogo  dei 
Cinque  Canti  i,  52,  3:  «  E  giunger  mira  in 
tempo  ». 

—  7.  di  due  pnnte,  con  due  puntate  ;  con 
due  colpi  di  punta. 

127.  3.  percotea,  percosse.  È  imperfetto 
storico.  Il  valore  di  questo  imperf.  si  rileva 
dal  verso  seguente,  donde  apparisce  che  fu 
solo  una  botta,  se  con  l'altra,  con  la  se- 
conda, poteva  stordirlo. 

—  5.  a  ragion,  secondo  ragione,  come 
voleva  la  ragione,  boccaccio,  A'ou.  65:  «far 
si  che  a  ragione  le  fosse  dato  ». 

12S.  1.  sna  forza,  di  Ruggero. 

—  4.  averne  il  meglio,  aver  vantaggio  so- 
pra Rod.  Questa  locuzione  si  cita  dai  voca- 
bolari col  solo  significato  di  restar  vitto- 
rioso; e  manca  l'altro  che  qui  è  chiarissimo. 
Il  Tasso  nel  duello  fra  Tancredi  e  Ai'gante 
fa  dire  ad  Argante  «  Or  dunque  il  meglio 
aver  ti  vante  »,  che  anche  qui  significa  ti 
vanti  di  esser  vincitore  e  non  già,  come 
intendono  alcuni,  ti  vanti  di  esser  supe- 
riore, d'aver  vantaggio  sopra  di  me, 

—  7.  Per  lui  non  fa,  non  è  vantaggioso, 
opportuno.  È  modo  vivissimo  nella  nostra 

,  lìngua. 


660 


ORLANDO  FURIOSO 


129  I 
E  insanguinarli  pur  tuttavia  il  fianco     | 

Vede  e  la  coscia  e  l'altre  sue  ferite.  i 

Spera  che  venga  a  poco  a  poco  manco,  I 
Si  che  al  fin  gli  abbia  a  dar  vinta  la  lite.  | 
L't'lsa  e  '1  pome  avea  in  mano  il  Pagan  : 
E  con  tutte  le  forze  insieme  unite  [anco, 
Da  sé  scaglioni,  e  si  Ruggier  percosse,  | 
Che  stordito  ne  fu  più  che  mai  fosse.         i 

130  I 
Ne  la  guancia  de  l'elmo,  e  ne  la  spalla 

Fu  Ruggier  còlto,  e  si  quel  colpo  sente      ! 

Che  tutto  ne  vacilla  e  ne  traballa, 

E  ritto  sé  sostieu  difficilmente. 

Il  Pagan  vuole  entrar,  ma  il  pie  gli  falla, 

Che  per  la  coscia  offesa  era  impotente: 

E  '1  volersi  affrettar  più  del  potere, 

Con  un  ginocchio  in  terra  il  fa  cadere. 

131  furto 
Ruggier  non  perde  il  tempo,  e  di  grande 

Lo  percuote  nel  petto  e  ne  la  faccia; 
E  sopra  gli  martella,  e  tien  si  curto. 
Che  con  la  mano  in  terra  anco  lo  caccia. 
Ma  tanto  fa  il  Pagan  che  gli  è  risurto; 
Si  stringe  con  Ruggier  si,  che  l'abbraccia: 
L'uno  e  l'altro  s'aggira,  e  scuote  e  preme, 
Arte  aggiungendo  alle  sue  forze  estreme. 


129.  1.  insanguinargli,  sanguinargli.  V. 
e.  xxvii,  20,  11.  7. 

1:ìO.  1.  guancia  dell'el.,  la  parte  dell'elmo 
che  copriva  la  guancia.  Più  comunemente 
si  chiamava  guanciale, 

—  4.  sé  sostien,  si  sost.  V.  e.  XIX,  26,  n.  3. 

—  5.  entrar.  La  Crusca  :  «  Nel  linguag- 
gio degli  schermitori  :  avanzarsi  per  col- 
pir l'avversario  ».  E  cita  solamente  que- 
sto es. 

—  6.  Che;  È  relativo  di  pie. 

131.  3.  e  tien  si  curto,  e  lo  tien  si  e.  Te- 
ner corto  significa  non  dar  comodità  di 
muoversi.  Si  disse  anche  lepar  corto;  ed  è 
immagine  presa  da  buoi,  cavalli  e  simili. 

.—  4.  con  la  mano  in  terra.  Rod.  era  in 
terra  con  un  ginocchio,  Rugg.  gli  corre 
addosso  e  lo  percuote  in  modo  che  lo  co- 
stringe a  puntar  le  mani  a  terra  per  non 
essere  completamente  abbattuto. 

—  5.  gli  è,  egli  è. 

—  6.  Si  stringe  con  R.  ;  Si  avvicina  a 
Rugg.  Invece  del  costrutto  conìune  strin- 
gersi a  uno,  l'Ar.  ha  usato  striìigersi  con 
Rugg.  per  indicare  che  non  è  solo  egli  ad 
avvicinarsi,  ma  che  Ruggero  pure  fa  lo  stes- 
so. —  l'abbraccia.  Non  è  eguale  al  lo  cinse 
della  st.  134,  2,  ma  significa  quell'atteggia- 
mento, che  prendono  i  lottatori  quando  si 
attaccano;  cioè  si  afferrano  l'un  l'altro  per 
il  collo,  per  la  vita,  per  le  spalle  o  per  le 
braccia,  ma  sempre  a  una  certa  distanza 
dei  corpi  e  in  condizioni  uguali. 


1.52 
Di  forza  a  Rodomonte  una  gran  parte 
La  coscia  e  '1  fianco  aperto  aveano  tolto. 
Ruggiero  avea  destrezza,  avea  grande  ar- 
Era  alla  lotta  esercitato  molto  :  [te; 

Sente  il  vantaggio  suo,  né  se  ne  parte; 
E  d'onde  il  sangue  uscir  vede  più  sciolto, 
E  dove  più  ferito  il  Pagan  vede,  [de. 

Puon  braccia  e  petto,  e  l'uno  e  l'altro  pie- 

133 
Rodomonte  pien  d'ira  e  di  dispetto 
Ruggier  nel  collo  e  ne  le  spaile  prende: 
Or  lo  tira,  or  lo  spinge,  or  aopra  il  petto 
Sollevato  da  terra  lo  sospende. 
Quinci  e  quindi  lo  ruota,  e  lo  tien  stretto, 
E  per  farlo  cader  molto  contende. 
Ruggier  sta  in  sé  raccolto,  e  mette  in  opra 
Senno  e  valor,  per  rimaner  di  sopra. 

134 
Tanto  le  prese  andò  mutando  il  franco 
E  buon  Ruggier,  che  Rodomonte  cinse: 
Calcògli  il  petto  sul  sinistro  fianco, 
E  con  tutta  sua  forza  ivi  lo  strinse,  [manco 
La  gamba  destra  a  un  tempo  inanzi  al 
Ginocchio  e  all'altro  attraversògli  e  spin- 
E  da  la  terra  in  alto  sollevollo,  [se; 

E  con  la  testa  in  giù  steso  tornoUo. 

135 
Del  capo  e  de  le  schene  Rodomonte 
La  terra  impresse,  e  tal  fu  la  percossa, 


Vii.  5.  né  se  ne  parte,  né  si  parte  dal  suo 
vantaggio,  cioè  non  cessa  la  lotta,  in  cui, 
per  la  debolezza  di  Rodomonte  ferito,  sente 
di  esser  superiore,  d'aver  vantaggio. 

—  8.  Puon,  pone.  L'Ar.  ha  fatto  la  dit- 
tongazione di  questa  forma  non  regolar- 
mente, perché  l' e  di  ponere  essendo  lungo, 
il  derivato  italiano  non  ha  la  dittongazione. 
—  Con  questi  particolari  vuol  dire  che  Rug- 
gero lavora  di  braccia,  di  petto ,  di  gambe, 
specialmente  in  quella  parte,  dove  Rod.  è 
ferito,  perché  ivi  è  più  debole. 

13.3.  8.  rimaner  di  sopra,  restar  superiore. 

134.  1.  le  prese.  Presa  è  il  luogo,  la  parte, 
dove  si  vuol  prender  lottando.  Dante,  Inf. 
16,  20  :  «"Qual  suolen  i  campion  far  nudi  ed 
unti  Avvisando  lor  presa  ». 

—  3.  Calcògli  ecc.  Si  strinse  col  suo  petto 
al  fianco  debole  di  Rodom.  perché  da  que- 
sta parte  non  avrebbe  potuto  validamente 
l'esistergli. 

—  8.  tornello.  Dice  tornollo,  perché  già 
prima  era  caduto  a  terra,  st.  13 1. 

l:}5.  2.  La  t.  impresse.  La  N.  Crusca  in- 
tende :  segnò  la  terra  con  l' impronta  delle 
schiene  e  della  testa;  ma  è  goffa  e  falsa 
interpretazione.  Intendi:  percosse  violente- 
mente la  terra  col  capo  e  con  le  schiene. 
Cosi  usò  l'Alamanni  imprimere  :  Avarch. 
19,  61  :  «  Siccome  avvien  ove  Nettuno  (l'onda 


CANTO  XLVI 


661 


Che  da  le  piaghe  sue,  come  da  fonte, 
Lungi  andò  il  sangue  a  far  la  terra  rossa. 
Ruggier,  e'  ha  la  Fortuna  per  la  fronte, 
Perché  levarsi  il  Saracin  non  possa,  [chi, 
L'una  man  col  pugnai  gli  ha  sopra  gli  oc- 
L'altra  alla  gola,  al  ventre  gli  ha  i  ginoc- 
136  [chi. 

Come  talvolta,  ove  si  cava  l'oro 
Là  tra'  Pannoni  o  ne  le  mine  Ibere, 
Se  improvisa  mina  su  coloro 
Che  vi  condusse  empia  avarizia,  fere. 
Ne  restano  si  oppressi,  che  può  il  loro 
Spirto  a  pena,  onde  uscire,  adito  avere; 
Cosi  fu  il  Saracin  non  meno  oppresso 
Dal  viucitor,  tosto  ch'in  terra  messo. 
137 

Alla  vista  de  l'elmo  gli  appresenta 
La  punta  del  pugnai  ch'avea  già  tratto; 
E  che  si  renda,  minacciando,  tenta, 
E  di  lasciarlo  vivo  gli  fa  patto. 
Ma  quel,  che  di  morir  manco  paventa, 
Che  di  mostrar  viltade  a  un  minimo  atto, 
Si  torce  e  scuote,  e  per  por  lui  di  sotto 
Mette  ogni  suo  vigor,  né  gli  fa  motto. 
138 

Come  mastiu  sotto  il  feroce  alano 
Che  fissi  i  denti  ne  la  gola  gli  abbia, 
Molto  s'affanna  e  si  dibatte  in  vano 
Con  occhi  ardenti  e  con  spumose  labbia, 
E  non  può  uscire  al  predator  di  mano, 

del  mare)  imprima  Speco  aspro  e  cavo,  che 
al  suo  gir  s'  oppone  ». 

—  5.  per  la  fronte,  per  i  capelli,  che  ha 
sulla  fronte.  Cosi  ligui-avasi  la  fortuna  da- 
gli antich.  V.  e,  xviii,  161,  n.  5. 

136.  2.  Pannoni,  l'Ungheria.  V.  e.  xiii,  61, 
n.  4.  —  mine  Ib.,  miniere  di  Spagna,  detta 
anticamente  Iberia. 

—  4.  fere,  colpisce.  Ferire  in  questo  sen- 
so si  costruì  con  su  o  in. 

—  8.  in  terra  messo  ;  in  terra  fu  messo. 
Il  fu  deve  rilevarsi  dal  verso  precedente. 

138.  1.  Mastino  è  più  piccolo  e  pili  debole 
del  cane  Alano. 

—  2.  fissi,  confitti.  Cosi  nel  e.  xxvit,  102, 1. 
K  il  lat.  flxus-. 

—  5.  uscir...  di  mano,  scappare,  fuggire. 


Che  vince  di  vigor,  non  già  di  rabbia; 
Cosi  falla  al  Pagano  ogni  pensiero 
D'uscir  di  sotto  al  vincitor  Ruggiero. 

139 
Pur  si  torce  e  dibatte  si,  che  viene 
Ad  espedirsi  col  braccio  migliore, 
E  con  la  destra  man  che  '1  pugnai  tiene, 
Che  trasse  anch'egliin  quel  contrasto  fuo- 
Tenta  ferir  Ruggier  sotto  le  rene.        [re, 
Ma  il  giovene  s'accorse  de  l'errore 
In  che  potea  cader,  per  differire 
Di  far  quell'empio  Saracin  morire. 

140 
E  due  e  tre  volte  ne  l'orribil  fronte. 
Alzando,  più  ch'alzar  si  possa,  il  braccio, 
Il  ferro  del  pugnai  a  Rodomonte 
Tutto  nascose,  e  si  levò  d'impaccio. 
Alle  squallide  ripe  d'Acheronte, 
Sciolta  dal  corpo  più  freddo  che  giaccio. 
Bestemmiando  fuggi  l'alma  sdegnosa. 
Che  fu  si  altiera  al  mondo  e  si  orgogliosa. 


Avverti  l'estensione  di  significato   data  a 
questa  espressione. 

—  7.  falla,riesce  invano.  Tav.  Rot.  1, 128: 
«  Ma  sappiate  che  allo  re  molto  fallava  il 
pensiero  ». 

139.  2.  braccio  migliore,  braccio  destro. 
V.  e.  XLi,  89,  5. 

—  5.  sotto  le  rene.  Non  alle  reni,  perche' 
vi  era  l'armatura  del  busto,  il  dorsiere; 
ma  sotto  le  reni,  dove  finiscono  le  reni,  e 
dove  l'armatura  ha  le  giunture  che  permet- 
tono la  flessione  del  busto  e  delle  gambe  e 
dan  quindi  il  passo  al  pugnale. 

140.  6.  giaccio.  V.  e.  I,  41,  n.  1. 

—  7.  l'alma  sdegn.  Questo  particolare  è 
tolto  dal  duello  di  Turno  con  Enea,  En.  12, 
952:  «tVitaque  cuni  gemitu  fugit  indignata 
sub  umbras  ». 

—  8.  Che  fu  ecc.  Dante,  Inf.  8, 46  ;  «Quei 
fu  al  mondo  persona  orgogliosa  ».  Se  ti 
piace  di  confrontare  il  duello  di  Enea  e 
Turno,  di  Argante  e  Tancredi,  con  questo 
dell'Ar.  vedrai  agevolmente  quanto  in  finez- 
za e  maestria  questo  superi  quelli 


FINIS 

ruo  BONO  MALuri  ••• 


*  Questo  motto,  col  quale  il  Poeta  chiuse  il  suo  poema,  sembra  allusivo  alla  scarsa 
ricompensa,  che  di  tanto  monumento  gli  dava  il  cardinale  Ippolito,  il  quale,  proprio 
nel  tempo  che  il  Furioso  riceveva  1'  ultima  mano,  lesinava  all'  Ariosto  le  spese  e  le 
provvisioni. 


INDICE 
DEI  NOMI  PKOPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


CONTENUTI 


NELL'  ORLANDO  FUEIOSO 


Achille,  e.  29,  19,  e.  33,  28,  e.  37,  20,  e.  42, 
2.  —  Suoi  Mirmidoni,  e.  31,  56. 

Adone,  e.  7,  57, 

Adonio,  e.  43,  74. 

Adria,  e.  3,  40. 

Africa,  bugiarda,  e.  29,  18. 

Agapito,  papa,  e.  3,  27. 

Agramante.  Si  prepara  all'assedio  di  Tarigi, 
e.  12,  70,  e.  14,  67.  —  Fa  la  rassegna  del 
suo  esercito,  e.  13,  81,  e.  14,  11.  —  Ha  uu 
esercito  ìnnumerabile,  e.  14,  99.  —  Dà  l'as- 
salto a  Parigi,  iri,  109.  —  Assale  una  porta 
di  Parigi,  e  si  trova    Carlo  contro,  e.  15,  6. 

—  Va  contro  gì'  Inglesi,  e.  16,  75,  e  83.  — 
Vien  abbattuto  da  Kiualdo,  ivi,  84.  —  Com- 
batte di  nuovo  cou  Kiualdo,  e.  18,  40.  —  È 
rotto  da'  Cristiani,  e  si  ritira,  ivi,  158.  — 
Viene   assediato   nel  campo,  e.  24,  108,  ecc. 

—  Resta  liberato  da  Rodomonte  e  da  altri 
Saraciui  sopraggiunti,  e.  27,  15,  ecc.  —  As- 
sedia di  nuovo  Carlo  in  Parigi,  ivi.  —  Cerca 
di  comporre  le  differenze  insorte  fra'  suoi 
campioni,  ma  invano,  ivi,  44,  08,  e  81,  ecc. 
e.  30,  19,  ecc.  —  Permette  che  Marfisa  si 
vendichi  di  Brunello,  e.  27,  94,  ecc.  —  Ri- 
ceve in  dono  Brigliadoro  da  Ruggiero,  e.  30, 
75.  —  Il  suo  esercito  è  maltrattato  dalle 
squadre  di  Rinaldo,  e.  3),  51.  —  Si  ritira 
in  Arli,  ivi,  84.  —  Cerca  riparare  i  danni 
della  sconfitta,  e.  32,  4.  —  Tien  consiglio  per 
deliberare  circa  al  ritorno  in  Africa,  e.  38, 
37.  —  Rompe  il  patto,  e.  39,  6.  —  Vien  di- 
sfatto da' Cristiani,  e  abbandonato  dai  suoi, 
ivi,  9  e  66.  —  Naviga  verso  l'Africa,  ivi,  73. 

—  Vien  battuto  in  mare  da  Dudone,  ivi,  81 
e  e.  40,  6.  —  Si  rifugge  nell'  isola  di  Lipa- 
4usa,  ivi,  44.  —  Manda  a  disfidare  Orlando 


e  i  suoi  compagni,  ivi,  52,  ecc.  —  Combatte 
cou  Oliviero,  ecc.  —  Resta  ucciso  da  Orlando, 
e.  42,  8. 

Agricalte.  Co'  suoi  alla  rassegna  di  Agra- 
mante, e.  14,  22.  —  Battuto  da  Rinaldo,  e. 
IG,  81.  —  Fatto  prìgion  di  Dudoue,  e.  40, 
71.  —  Liberato  da  Ruggiero,  e.  41,  6.  —  Sua 
morte,  ivi,  23. 

Alardo,  e.  23,  22,  e.  30,  94,  e.  3!,  10. 

Albertazzo  I  Estense,  e.  3,  26. 

Albertazzo  li  Estense,  e.  3,  29. 

Alceste,  amante  di  Lidia,  e.  34,  16. 

Alcina.  Sua  isola  incantata,  e.  6,  19. —  Sue 
bellezze  descritte,  e.  7,  10,  ecc.  —  Innamora 
di  sé  Ruggiero,  ivi,  16.  —  Sua  bruttezza  da 
Ruggiero  scoperta,  ivi,  73.  —  Insegue  Rug- 
giero, e.  8,  12,  e.  10,  48. 

Alda  Estense,  e.  3,  27. 

Aldigiero  di  Chiaramonle.  Sue  virtù,  e.  25, 
72  e  segueuti,  e.  2G,  38. 

Aldobrandino  Estense,  e.  3,  35,  ecc. 

Aleria.  Amante  di  Guidone,  e.  20,  74,  SO,  95, 
e.  31,  8. 

Alessandra.  Suoi  amori  con  Elbanio,  e.  20, 
39,  ecc. 

Alessandria.  Sua  origine,  e.  20,  58. 

Alessandro  Magno,  che  sciolse  il  nodo 
gordiano,  e.  19,  74.  —  Sua  fortuna,  e.  26, 
47.  —  Invidiò  ad  Achille  la  penna  d'Omero, 
e.  37,  20. 

Alfèo.  È  ucciso  da  Cloridano,  e.  18,  174. 

Alfonso  I,  Duca  di  Ferrara,  vincitor  de' Ve- 
neziani nel  Po,  e.  15,  2.  —  De' Papalini  e 
degli  Spagnuoli,  e.  3,  53,  e.  14,  3.  —  Sue 
lodi  e  sue  imprese,  e.  3,  51,  e.  14,  2,  e.  40, 
41. 

Almonio,  ministro  fedele  di  Zerbino  nel  ratto 
d'Isabella,  e.  13,   17,  e.  24,  16. 

Alzirdo,  re  di  Tremisene,  e.  12,  69,  e.  14,  28, 


fì64 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


America.  Sua  scoperta,  e.  15,  22. 

Amone.  Avendo  promessa  Bradamante.  Bua 
figlia,  a  Leone,  la  nega  a  Ruggiero.   <•.  ■14, 

36.  Si  pente,  e  chiede  scusa  '•  il'jggiero, 

pregandolo  d'accettarla  in  ispo»».  a  46,  61. 

Analardo,  e.  U,  16. 

Anassarete.  Punita  per  la  sua  crudeltà  in 
amore,  e.  31,  12. 

Anchise.  Luogo  del  suo  sepolcro,  e.  43,  149. 

Androfilo,  cognato  di  Costantino,  e.  44,  86, 
e,  45,  11. 

Andronica,  donna  valorosa  di  Logistilla,  e. 
10,  52,  e.  15,  11  e  seg. 

Andropono,  sacerdote,  e.  14,  124,  e.  18,  177. 

Anello  incantato,  e  contro  gì'  incanti,  e.  3,  69, 
e.   10,  107,  e.  11,  3,  ecc. 

Angelica.  Ritornata  con  Orlando  in  Ponente, 
gli  vien  tolta  da  Carlo,  e.  1,  7,  segg.  — 
Odio  che  ha  verso  Rinaldo,  e.  2,  11.  —  Altre 
sue  vicende,  e.  8,  29,  segg.,  e.  IO,  107,  IH, 
e.  11,  4.  —  Arriva  al  palazzo  incantato 
d'Atlante,  e.  12,  25.  —  Superba  per  l'anello 
riavuto,  e.  19,  18.  —  Impietosita  di  Medoro, 
gli  medica  la  ferita,  ivi,  20,  ecc.  —  S' inva- 
ghisce   di  lui,  ivi,  26.  —  Lo  sposa,  ivi,  33. 

—  Parte  con  Medoro,  ivi,  40.  —  Incontra 
Orlando  pazzo,  e.  29,  58.  —  Ritorna  final- 
mente nell'India  col  suo  Medoro,  e.  30,  16. 

Angelo  Michele.  D'ordine  di  Dio,  cerca  il 
Silenzio  tra'  frati,  e.  14,  78.  —  Riconduce 
la  Discordia  al  campo  Saracino,  e.  27,  37. 

Anselmo  d'Altaripa,  e.  23,  4,  ecc. 

Aquilante.  Combatte   con  Orrilo,  e.  15,  67. 

—  Va  in  Gerusalemme  con  Astolfo  e  Gri- 
fone, e.   15,  92.  —  Cerca  Grifone,  e.  18,  73. 

—  Trova  Martano  con  Orrigille,  ivi,  77.  — 
Trova  Grifone,  ivi,  87.  —  È  abbattuto  da 
Astolfo,  ivi,  118.  —  Si  riconcilia  con  Mar- 
fisa  e  riconosce  Grifone,  e.  18,  122.  —  Va 
in  Cipro,  ivi,  136.  —  Vien  battuto  dalla  tem- 
pesta, ivi,  141,  e  e.  19,  43.  —  Approda  coi 
compagni  ad  Alessandria,  ivi,  54,  e.  20,  92. 

—  Naviga  a  Marsiglia,  ivi,  101.  —  Va  al 
castello  di  Pinabello,  ivi,  104  e  e.  22,  52.  — 
Intende  da  Fiordiligi  la  pazzia  di  Orlando, 
e.  31,  42. 

Arbante.  Pretendo  Olimpia  in  isposa,  e.  9, 
25. 

Archidante,  e.  14,  16. 

Ardenna,  selva.  Sua  fonte,  e.  1,  78  e  e.  42,  35 
e  60.  Avventure  di  Rinaldo  in  essa,  ivi,  45. 

Aretusa.  Sua  fuga  in  Sicilia,  e.  6,  19. 

Argalia.  Sua  ombra  apparsa  a  Ferrati  nel 
mezzo  di  un  fiume,  e.  1,  25. 

Argali/a,  bestia  cavalcata  da  Berlinghiero,  e. 
18,  44. 

Arganio,  e.  14,  18. 

Argéo,  marito  di  Gabrina,  e.  21,  14. 

Argia,  moglie  di  Anselmo  giudice,  e.  43,  73. 

Arimano,  duca  di  Sarmosedia.  Alla  rassegna 
di  Rinaldo,  e.  10,  81.  —  È  ricevuto  in  Pa- 
rigi assediato,  e.  16,  85.  —  Va  contro  Ro- 
domonte, entrato  in  Parigi,  e.  18,  10. 


Ariodante,  amante  di  Ginevra,  e.  5,  16,  ecc. 
e.  8,  5.  —  Va  con  Rinaldo  in  Francia  a  di- 
fesa di  Carlo,  e.  10,  75.  —  Sluove  contro  i 
Saracini,  e.  16,  55.  Sue  furie  contro  Dardi- 
nello  uccisore  di  Lurcanio,  e.  18,  56. 

Armeniaco,  conte,  e.  33,  22. 

Arpie,  infeste  al  Senàpo  di  Etiopia,  e.  33,  107, 
119,  125,  e.  34,  4,  46. 

Artemia,  una  delle  più  crudeli  donne  d'Ales- 
sandria, e.  20,  50. 

Astolfo.  Ritrovato  da  Ruggiero  nell'  isola  di 
Alcina  in  forma  di  mirto,  e.  6,  27.  —  Fu 
amante  di  Alcina,  ivi,  46,  51.  —  Ricupera 
l'umana  forma  per  opera  di  Melissa,  e.  8, 
16.  —  Si  ritrova  da  Logistilla,  e.  10,  64.  — 
Doni  prodigiosi  di  un  corno  e  di  un  libro 
incantato  che  da  lei  ricevo  nel  partire,  e. 
15,  13.  —  Vince  Caligorante  e  Orrilo,  ivi,  38 
segg.  —  Va  con  Sansonetto  alla  giostra  in 
Damasco,  e.  18,  96,  e.  19,  43.  —  Approda 
coi  compagni  ad  Alessandria,  e.  19,  54.  — 
Riconosce  in  quella  città  il  suo  cugino  Gui- 
don  Selvaggio,  e.  20,  65.  —  Mette  in  fuga 
col  corno  le  donno  di  quella  città,  ivi,  87. 
e.  22,  4.  —  Suoi  viaggi  a  Londra  e  in  Fran- 
cip,  ivi,  7,  10.  —  Giunge  al  palazzo  incan- 
tato di  Atlante,  ivi,  13.  —  Scioglie  l'incanto 
e  acquista  l' Ippogrifo,  ivi,  23,  ecc.  —  Con- 
segna Rabicano  e  la  lancia  d'oro  a  Brada- 
mante, e.  23,  11.  —  Va  in  Etiopia  sull' Ip- 
pogrifo, e.  33,  96.  —  Arriva  alla  capitale 
della  Nubia,  ivi,  101,  —  Caccia  col  corno  le 
Arpie  che  infestano  la  mensa  al  Senàpo,  ivi, 
119,  e.  34,  4.  —  Trova  la  porta  dall'  Inferno, 
ivi,  4.  —  Sente  dall'ombra  di  Lidia  lo  scia- 
gure di  lei,  ivi,  7.  —  Chiude  le  Arpie  in  una 
spelonca,  ivi,  46.  —  Ascende  nel  Paradiso 
terrestre,  ivi,  48.  —  Va  nella  Luna,  ivi,  68. 

—  Vede  colà  cose  mirabili,  e  poi  ne  parie 
col  senno  di  Orlando  in  un'ampolla,  e.  38, 
23.  —  Restituisce  la  vista  al  Senàpo,  ivi,  24. 

—  Imprigiona  in  un  Otre  il  vento  Noto,  ivi, 
29.  —  Cangia  i  sassi  in  cavalli,  ivi,  33.  — 
Le  frondi  in  navi,  e.  39,  26.  —  Ritorna  il 
senno  ad  Orlando,  ivi,  57.  —  Espugna  Bi- 
serta,  e.  40,  14.  —  Rimanda  i  Nubi  al  loro 
paese,  e  torna  in  Francia,  e.  44,  23. 

Astolfo,  re  do'  Longobardi.  Sua  novella,  e. 
28,  4.  —  Domato  da  Carlo,  e.  33,  16. 

Atlante,  incantatore.  Ruba  la  donna  di  Pi- 
nabello, e.  2,  38.  Suo  castello  incantato  de- 
scritto, e.  2,  41,  ecc.,  e.  3,  67,  e.  4,  37,  ecc. 

—  Combatte  con  Gradasso,  e.  2,  48.  —  Suo 
scudo  incantato,  ivi,  55.  —  Ruba  tutte  le 
donne  belle  che  ritrova,  e,  4,  6.  —  Resta 
vinto  da  Bradamante,  ivi,  25.  —  Disfà  il  suo 
castello,  ivi,  38.  —  Fa  capitar  Ruggiero  ad 
Alcina,  e.  7,  44.  —  Gli  si  fa  vedere  in  sem- 
bianza di  Bradamante,  e.  11,  19.  —  Si  mo- 
stra nell'aspetto  di  Angelica  ad  Orlando, 
e  lo  conduce  nel  suo  palazzo  incantato,  e. 
12,  4,  ecc.  —  Suo  palazzo  da  Astolfo  di- 
strutto, e.  22,  23.  —  Morto,  8C0j)r6  dal  suo 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


665 


avello  a  Ruggiero  e  a  Marfisa  che  sono  fra- 
telli, .e.  36,  59. 
Azzo.  Estensi    di    questo  nome  menzionati  e 
lodati,  e.  3,  26,  29,  32,  39. 


B 


Baiardo,  cavallo  di  Rinaldo.  Fugge  dal  suo 
padrone,  e.  1,  12.  —  È  ritrovato  da  esso  e 
fugge  di  nuovo,  ivi,  32.  —  Ritrovato  da  An- 
gelica, si  lascia  prendere  da  lei,  ivi,  72  e 
seg.  —  Viene  in  mano  di  Sacripante,  ivi,  76. 

—  Torna  in  potere  di  Rinaldo,  e.  2,  19.  — 
Combatte  con  un  uccello  mostruoso,  e.  33, 
8i  e  seg. 

Balastro.  Alla  rassegna  d'Agramante,  e.  14, 
22.  —  Va  contro  Rinaldo  e  Zerbino  con 
Agramante,  e.  16,  83.  —  Resta  ucciso  da 
Lurcauio,  e.  18,  45.  — Veduto  da  Ruggiero 
fra  i  prigioni  di  Dudone,  e.  40,  73.  —  Libe- 
rato da  Ruggiero,  e.  41,  7.  —  Sua  morte, 
ivi,  22. 

Balinfronte,  e.  14,  23. 

Balinverno,  e.  14,  15. 

Balisarda,  spada  di  Ruggiero,  e.  7,  76.  —  Sua 
finezza,  e.  26,  21,  e.  41,  75,  e.  46,  120.  — 
Capitata  in  mano  di  Orlando,  e.  41,  26.  — 
È  restituita  a  Ruggiero,  e.  44,  16. 

Baliverzo,  alla  rassegna  d'Agramante,  e.  14, 
24.  —  Assale  una  porta  di  Parigi  con  Agra- 
mante, e.  15,  6.  —  Va  col  medesimo  contro 
gP  Inglesi,  e.  16,  75. 

Balugante,  e.  14,  12.  —  Incoraggia  i  Sara- 
Cini,  e.  18,  42. 

Bambirago.  Va  con  Agramante  contro  gì' In- 
glesi, e.  16,  75.  Prigione  di  Dudone,  e.  40, 
71.  —  Liberato  da  Ruggero,  e.  41,  6.  —  Sua 
morte,  ivi,  22. 

Bardino,  balio  di  Brandimavte,  e.  39,  41.  — 
Suo  pianto  per  la  morte  di  Brandimarto,  e. 
43,  168. 

Baricondo,  alla  rassegna  d'  Agramante,  e. 
14,  13.  —  Va  contro  gl'Inglesi  sotto  Parigi, 
e.  16,  67. 

Batoldo,  cavallo  di  Brandimarte,  e.  81,  67.  ' 

Bavarte,  e.  I4,  16. 

Beatrice,  Estense,  Beata,  e.  13,  64. 

Beatrice,  Estense,  moglie  di  Lodovico  Moro, 
e.  13,  62. 

Beatrice,  madre    di    Bradamaute,   e.  44,  71.. 

—  Sua  ambizione,  e.  46,  72. 
Bendedei  (Timoteo),  e.  42,  92. 
Bentivogli,  entrati  in  Bologna,  e.  33,  39. 
Berengario.  Sue  imprese,  e.  3,  26,  e.  33,  19. 
Berlinghiero.  Va  contro  Rodomonte,  e.  17, 

16,  e.  18,  8.  —  Abbattuto  da  Ferrali,  e.  18, 
44. 
Bertolagi,  maganzese.    Tratta  con  Lanfusa 
di  comperar  Malagigi  e  Viviano,   e.  25,  74. 

—  Resta  ucciso  da  Aldigiero  e  Ricciardetto, 
e.  26,  13. 

Bertoldo,  Estense,  e.  3,  29, 


Bianca,  fata.  e.  15,  72.  —  Incanta  l'armi  a 
Grifone,  e.  17,  70. 

Bianca,  Estense,  maritata  a  IT.  Sanseverino, 
e.  46,  4,  8. 

Bireno,  amante  di  Olimpia,  e.  9,  23.  —  Li- 
berato di  prigione  da  Orlando,  e  restituito 
ad  Olimpia,  ivi,  84.  —  Sua  ingratitudine 
verso  di  lei,  e.  10,  4,  ecc.  —  Perde  lo  Stato, 
ed'  è  ucciso  da  Oberto,  e.  11,  79. 

Biserta,  minacciata  dai  Nubi,  e.  38,  35.  —  As- 
salita e  difesa,  e.  40,  14,  ecc.  —  Presa,  ivi, 
32. 

Borbone  (Carlo  di).  Sue  imprese  accennate, 
e.  33,  44. 

Borgia  (Cesare).  Sue  imprese,  e.  33,  87. 

Borgia  (Lucrezia),  e.  13,  69. 

Borso,  Estense,  e.  3,  45.  —  Suol  tempi  lieti, 
e.  11,  120. 

Bradamante.  Combatte  con  Sacripante,  e. 
1,  60.  —  Ama   e  cerca   Ruggiero,  e.  2,  32. 

—  Incontra  Pinabello,  ivi,  34.  —  Vede  le 
ombre  de'  suoi  discendenti,  e.  3,  10,  ecc.  — 
S'accompagna  con  Brunello,  e.  4,  9,  —  Com- 
batte con  Atlante,  ivi,  16.  —  Ritrova  Rug- 
giero nel  castello  di  Atlante,  e  lo  mette  in 
libertà,  ivi,  49.  —  Lo  perde  di  nuovo,  e  ri- 
tion  seco  Frontino,  ivi,  48.  —  Cerca  Rug- 
giero, e.  7,  34.  —  IjO  cerca  nel  palazzo  di 
Atlante,  e  vi  si  perde,  e.  13,  45,  ecc.  — 
Fugge  dal  detto  palazzo  al  suono  del  corno 
di  Astolfo,  e.  22,  20.  —  Trova  Ruggiero  o 
va  seco  verso  Vallombrosa,  ivi,  36.  —  Ode 
il  periglio  di  Ricciardetto,  e  risolve  di  soc- 
correrlo, ivi,  38.  —  Trova  Pinabello  al  suo 
castello,  e  lo  insegue,  ivi,  73,  ecc.  —  Lo 
uccide,  ivi,  96,  e.  23,  4.  —  Perde  Ruggiero, 
e.  22,  98,  —  Riceve  da  Astolfo  Rabicano  e 
la  lancia  incantata,  e.  23,  li,  e.  32,  48.  — 
Si  ritrova   a    caso  a  Montalbano,  e.  23,  20. 

—  Rimanda  Frontino  a  Ruggero,  ivi,  26.  — 
È  similissima  a  Ricciardetto  suo  fratello  nel 
sembiante,  e.  25,  9  e  20.  —  Accende  di  sé 
Fiordispina,  ivi,  28.  —  Riceve  da  Ipjialca 
novella  del  suo  Ruggiero,  e.  30,  76,  ecc.  — 
Ila  di  lui  gelosia  per  Marfisa,  ivi,  87,  e.  31, 
6.  —  Lo  attende  con  impazienza,  e.  32,  10. 

—  Incontra  i  tre  Re  collo  scudo  d'oro,  ivi, 
50,  ecc.  —  Va  alla  rócca  di  Tristano,  ivi, 
69.  —  Suo  sogno  e.  33,  60.  —  Atterra  di 
nuovo  i  tre  Re,  ivi,  69,  e.  35,  31.  —  Va  in 
soccorso  di  Fiordiligi,  ivi,  38.  —  Getta  di 
sella  Rodomonte  colla  lancia  incantata,  ivi, 
48.  —  Manda  Frontino  a  Ruggiero,  e  lo  sfida 
per  mezzo  di  Fiordiligi,  ivi,  59.  —  Abbatte 
colla  lancia  incantata  Serpentino,  Grando- 
nio  e  Ferrali,  ecc.  ivi,  67.  —  Fa  lo  stesso 
di  Marfisa  per  tre  volte,  e.  36,  20.  —  Incon- 
tra Ruggiero,  e  vuole  ucciderlo,  ma  si  trat- 
tiene, ivi,  31.  —  Sfoga  la  sua  collera  contro 
i  Mori,  ivi,  38.  —  Contende  con  Marfisa,  ivi, 
46.  —  Si  rappacifica,  ivi,  68.  —  Punisce 
Marganorre,  e.  37,  101.  —  Va  con  Marfisa 
al    campo   di    Carlo,    e.  38,  8.  —  Vien  prò- 


666 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


messa  dal  padre  a  Beone,  figlio  dell'  Impe- 
rator  greco,  e.  44,  12.  —  Suol  nuovi  dubbi 
sulla  fede  di  Ruggiero,  e.  45,  28,  ecc.  — 
Combatte  con  Ruggiero,  creduto  Leone,  e 
resta  vinta,  ivi,  70.  —  Finalmente  lo  sposa 
e.  4G,  73. 
Brandimarte,  grande  amico  d'Orlando,  e. 
8,  86.  —  Va  in  traccia  di  lui,  ivi,  88.  —  Ama 
Fiordiligi,  ivi,  89.  —  Va  al  palazzo  d'Atlan- 
te, e.  12,  11.  —  Fugge  da  quello  al  suono 
del  corno  d'Astolfo,  e.  22,  20.  ~  Ritrova  la 
sua  Fiordiligi,  e.  31,  60.  — Capita  con  essa 
al  ponto  di  Rodomonte,  e  combatte  con  lui, 
ivi,  65.  —  Rimane  suo  prigione,  ivi,  75.  — 
È  liberato  da   Astolfo   in   Africa,  e.  39,  33. 

—  Ritrova  nuovamente  Fiordiligi,  e.  39,  38. 

—  È  il  primo  a  salir  sulle  mura  di  Biserta 
nell'assalto,  e.  40,  23,  ecc.  —  Combatte  con 
Agramante  in  Lipadusa,  e.  41,  46  e  68.  — 
Vien  ferito  a  morte  da  Gradasso,  ivi,  100, 
ecc.  —  Sua  morte,  e.  42,  12.  —  Funerali, 
e.  43,  168  e  seg. 

Branzardo.  Difende  Biserta,  e.  3G,  35,  e.  39, 

19.  —  Si  uccide,  e.  40,  35. 
B  igliadoro,   cavallo   dì    Orlando,    e.    8,  84.   — 

Non  ha  paragone,  fuorché  Bajardo,  e.  9,  60. 

Capita  in  mano  di  Mandricardo,  e.  24,  115. 

—  Ruggiero  lo  dona  ad  Agramaute,  e.  30, 
75,  ecc. 

Bruna,  fata.  Conduce  Grifone  ed  Aquilaute 
centra  Orrilo,  e.  15,  72. 

Brunello.  Sua  figura,  e.  3,  72.  —  Vien  legato 
da  Bradamante,  che  gli  toglie  l'anello,  e,  4, 
14.  —  Va  alla  rassegua  di  Agramante,  e.  14, 
19.  —  Suoi  furti,  e.  27,  72  e  84.  —  Ricono- 
sciuto da  Marfisa,  ivi,  93.  —  Vien  dalla  me- 
desima restituito  ad  Agramaute,  e.  32,  7. 
Vien  fatto  impiccare  dal  re  Agramante  , 
l'i'j,  8. 

Bucifaro.  Difende  Biserta  contro  Astolfo,  e. 
38,  35,  e.  39,  19.  —  Rimane  suo  prigioniero, 
ivi,  21.  —  Viene  cambiato  con  Dudone,  ivi, 
24.  —  È  ucciso  da  Oliviero,  e.  40,  35. 

Bulgari.  Eleggono  Ruggiero  in  loro  Re,  e.  44, 
97,  e.  46,  48  e  69,  ecc. 

Buraldo,  e.  14,  18. 


C 


Cairo.  Sua  grande  popolazione,  e.  15,  63. 
Calamidoro  da  Barcellona,  e.  16,  63. 
Calcagnini  (Celio),  lodato,  e.  42,  90. 
Calidonia,  selva,  e.  4j  51. 
Caligorante,   gigante.    Sue   crudeltà,   e.  15, 

43,  ecc.  —  Resta  preso  nella   rote  propria, 

ii-i,  53.  —  Vien  donato  da  Astolfo  a  Sanso- 

netto  in  Gerusalemme,  ivi,  97. 
Cantelmo  (Ercole),  decapitato  dagli  Schiavo- 

ni,  e.  36,  7. 
Carlo  d'Angiò.  Sue  imprese  accennate,  e. 

33,  20. 
Carlo  Magno.  Manda  Rinaldo  in  Inghilterra 

a  chiedere  soccorso,  e.  2,  25.  —  Suoi  prov- 


vedimenti per  sostenere  l'assalto  di  Parigi, 
e.  14,  66  e  103,  ecc.  —  Sua  preghiera  a  Dio, 
ivi,  69,  ecc.  —  Va  contro  Rodomonte,  e.  16, 
89,  ecc.  e.  17,  6.  —  Lo  costringe  a  ritirarsi, 
ivi,  13,  e.  18,  8,  ecc.  —  Assale  Marsilio,  ivi, 
41  e  155.  —  Assedia  i  Saracini  e.  24, 108,  ecc. 
—  Conviene  con  Agramante  di  rimettere  la 
somma  della  guerra  in  due  combattenti, 
e.  38,  65. 

Carlo  V  Imperatore,  e.  15,  23. 

Cassandra.  Padiglione  da  lei  trapunto,  e. 
46,  77,  ecc. 

Cavallo  (Marco)  poeta,  e.  42,  91. 

Childiberto.  Sua  infelice  discesa  in  Italia, 
accennata,  e.  33,  15. 

Cigno,  figlio  di  Stenelo,  mutato  in  uccello 
dello  stesso  suo  nome,  e.  3,  34.  —  Fu  invul- 
nerabile, e.  29,  19, 

Cilandro,  figlio  di  Marganorre.  Sua  cortesia, 
e.  37,  46.  —  Condotto  a  morte  dall'amore, 
ivi,  48. 

Cimosco.  Chiede  Olimpia  per  isposa  di  Ar- 
bante  suo  figlio,  e,  9,  25.  —  Suo  sdegno  per 
la  ripulsa  avutane,  ivi,  27.  —  Artiglierie  da 
lui  usate,  ivi,  28,  74,  88,  ecc.  —  Il  suo  eser- 
cito è  disfatto  da  Orlando,  ivi,  70.  —  Rima- 
ne ucciso  da  Orlando,  ivi,  80. 

Cipro.  Sua  aria  maligna  presso  a  Famagosta, 
e.  18^  136. 

Clodione.  Sua  donua,  e.  32,  83.  —  Scortesia 
da  lui  usata  a  Tristano,  ivi,  —  Ne  vien  ca- 
stigato dal  medesimo,  jdj,  86.  —  Legge  im- 
posta da  Tristano  alla  sua  rócca,  ivi,  93. 

Clodoveo.  Sue  imprese,  e.  33,  14. 

Cloridano.  Suo  amore  verso  Dardinello,  e. 
18,  165.  —  Sua  amicizia  con  Medoro,  ivi, 
171,  e.  19,  4.  —  Va  di  notte  nel  campo  di 
Carlo,  e  uccide  Alféo  e  altri,  e.  18,  175.  — 
Combatte  solo  co'  soldati  di  Zerbino  e  resta 
morto,  e.  19,  15. 

Colombo  (Cristoforo).  Sua  scoperta  dell'Ame- 
rica, indicata,  e.  15,  22. 

Colonna  (Fabrizio),  Preso  da  Alfonso  Duca 
di  Ferrara,  e.  14,  4. 

Colonna  (Prospero).  Sue  imprese  e  sue  lodi, 
e.  15,  28,  e.  33,  49. 

Colonna  (Vittoria).  Sue  lodi,  e.  37,  16  e 
seg. 

Consalvo  (Ferrante).  Sue  imprese,  e.  33,  35. 

Corebo  di  Bilbao,  uno  de'  rapitori  d'Isabella, 
e.  13,  17.  —  La  difende  dagl'insulti  di  Odo- 
rico.  —  Prende  Odorico,  e  Io  conduce  a  Zer- 
bino, e.  24,  16. 

Corno  incantato,  dato  da  Logistilla  ad  Astolfo, 
e.  15,  14,  e.  20,  87,  e.  22,  20,  e.  33,  119,  e. 
34,  4. 

Cortese  (Ernando),  o.  15,  27, 

Corvino  (Mattia),  e.  45,  3, 

Costantino  imperatore,  e.  34,  80,  —  Accam- 
pato sotto  Belgrado,  e.  41,  79.  —  Si  ritira, 
e.  45,  11. 

Costanza,  città  di  Cipro.  Suo  stagno  e  clima, 
e.  18,  136. 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


667 


I) 


Dalinda.  Liberata  dalle  maul  de'  sicari  da 
Rinaldo,  e.  4,  69.  —  Suo  amore  verso  Poli- 
nesso,  e.  5,  7  e  47.  —  Convertita  si  rende 
monaca  in  Dazia,  e.  6,  16. 

Damasco,  città  descritta,  e.  17,  18,  ecc.  —  Feste 
e  giostre  ivi  fatte  dal  re  Norandino,  ivi,  20 
e.  18,  95  e  132. 

Dardìnello.  Va  alla  rassegna  d'Agraraaute 
e,  14,  87.  —  Muove  contro  gli  Scozzesi  sotto 
Parigi,  e.  16,  54  e  83.  Suo  valore  contro  : 
nemici,  e.  18,  47.  —  Viene  ucciso  da  Rinaldo 
ivi,  152.  —  Suo  cadavere,    vedi    Cloridano 

Davalo  (Alfonso),  Marchese  del  Vasto,  lodato 
e.  15,  28,  e.  33,  24  e  47. 

Davalo  (Francesco)  di  Pescara.  Lodi  di  Vit 
toria  sua  moglie,  e.  37,  16. 

Diana,  Estense,  maritata  a  U.  Contrari,  e. 
42,  90,  e.  46,  4,  8. 

Dicilla.  Mandata  da  Logistilla  in  soccorso  di 
Ruggiero,  10,  52. 

Doralice,  destinata  sposa  a  Rodomonte,  e. 
14,  40.  —  Vien  rapita  da  Mandricardo,  ivi, 
53.  —  Si  trova  presente  alla  zuffa  di  Man- 
dricardo con  Orlando,  e.  23,  70  e  seg.  — 
Andando  con  Mandricardo,  scontra  Gabrina 
al  cui  cavallo  levano  la  briglia,  ecc.  ivi 
94.  —  Ad  istanza  d'Isabella  induce  Mandri 
cardo  a  far  la  pace  con  Zerbino,  e.  24,  72 

—  Ricompone  Rodomonte  con  Mandricardo 
ivi.  111.  —  Portata  via  da  un  cavallo  inde 
nioniato,  e.  26,  128,  e.  27,  5.  —  Si  dona  a 
Mandricardo,  e  rifiuta  Rodomonte,  ivi,  107. 

—  Procura  di  pacificar  Mandricardo  con 
Ruggiero,  ma  indarno,  e.  30,  31. 

Doria  (Andrea),  lodato,  e.  15,  30. 

Doriconte,  e.  14,  16. 

Dorifebo,  e.  14,  li. 

Dorilone,  e.  14,  22. 

Drusilla.  Tolta  al  suo  sposo  da  Tauacro,  e. 
37,  55.  —  Avvelena  Tanacro,  ivi,  69.  — 
Muore  di  veleno,  ivi,  75. 

Dudone.  Capitato  con  Rinaldo  ed  Astolfo  nel 
paese  d'Alcina,  e.  6,  34  e  41.  —  Fatto  pri- 
gioniero da  Rodomonte,  e.  39,  22,  ecc.  — 
Cambiato  da  Astolfo  con  Bucifaro,  ivi,  23, 
ecc.  —  Incontra  Agramante  con  la  sua  ar- 
mata navale,  ivi,  78.  —  Combatte  con  Rug- 
giero, e.  40,  75.  —  Fa  pace  col  medesimo, 
e.  41,  6. 

Durindana,  spada  d'  Orlando,  e.  9,  3.  —  Sua 
finezza,  ivi,  70,  e.  12,  79.  —  Pretesa  da  Man- 
dricardo, e.  14,  43,  e.  23,  78,  e.  24,  58.  — 
Gettata  per  la  foresta  da  Orlando  impazzito, 
ivi,  50.  —  Raccolta  da  Zerbino,  ivi,  57.  — 
Tolta  da  Mandricardo,  ivi,  58.  —  Passa  in 
mano  di  Gradasso  per  la  morte  di  Mandri- 
cardo, e.  30,  74. 

E 

Ebuda,  isola  spopolata  dai  mostri  marini,  e  sua 
favola,  e.  8,  51.  —  I  suoi  abitatori  rapiscono 


le  donne  altrui  per  darle  a-divorare  all'Orca, 
e.  9,  12.  —  Detta  Isola  del  pianto,  e.  10,  93. 

—  Vana  religione  de'  suoi  abitatori,  e.  11, 
46,  vedi  Orca. 

Ellbanìo.  Capita  nella  Terra  delle  donne  orni 
cide,  e.  20,  36. 

Eleonora  d'Aragona,  moglie  d'Ercole  Duca 
di  Ferrara,  e.  13,  68. 

Elia.  Trovato  da  Astolfo  nel  Paradiso  terre- 
stre, e.  34,  59. 

Enoc.  Trovato  nel  Paradiso  terrestre  da  Astol 
fo,  e.  34,  59. 

Enrico,  Duca  di  Chiarenza.  Si  trova  alla  mo 
stra  che  si  fa  sul  Tamigi,  e.  10,  68.  —  As- 
sale i  Mori,  e.  16,  67. 

Ercole  I  Estense,  Duca  di  Ferrara,  padre 
d'Ippolito  Cardinale,  e.  1,  3.  —  Sue  lodi, 
e.  3,  46. 

Ercole  II  Estense,  Duca  di  Ferrara,  lodato, 
e.  13,  71. 

Eremita  descritto,  e.  2,  12. 

Eremita  che  persuade  Astolfo  a  fuggir  da  Ca- 
ligorante,  e.  15,  42. 

Eremita.  Conforta  Isabella,  e.  24,  87.  —  La 
conduce  ad  un  monistero,  ivi,  92,  e.  28,  9G. 

—  Vien  maltrattato  ed  ucciso  da  Rodomonte, 
e.  29,  5. 

Eremita  che  raccoglie  Ruggiero  naufrago  so- 
pra uno  scoglio,  e.  41,  52.  —  Prodigi  da  lui 
operati,  e.  43,  187,  ecc.  —  Persuade  Ri- 
naldo a  promettere  Bradamante  a  Ruggiero, 
e.  44,  9. 

Erifila,  gigantessa  dell'  isola  d'Alcina  e.  6, 
78.  —  Combatte  con  Ruggiero,  e  resta  vinta, 
e.  7,  6,  ecc. 

Ermonide  di  Olanda.  Si  batto  con  Zerbino 
per  togliergli  Gabrina,  e.  21,  6.  —  Racconta 
a  Zerbino  le  scelleraggini  di  Gabrina,  ivi, 
12,  ecc. 

Este.  Sua  situazione,  e.  41 ,  63.  —  Sua  etimo- 
logia, ivi,  65. 

Estense  famiglia.  Suo  splendore,  e.  3,  2,  e.  44, 
10.  —  Sua  origine,  e.  3,  16  e  seg.,  e.  41,  63. 

—  Personaggi  di  essa  mentovati  e  lodati, 
e.  3,  24  e  seg.  —  Donne  di  essa  lodate,  ivi, 
27  e  29,  e.  13,    66,  ecc. 

Ezzelino.  Sconfitto  da  Azze  I  Estense,  e.  3, 
32.  —  Mandato  da  Dio  a  castigo  degli  uo- 
mini, e.  17,  3. 


Falanto,  figlio  di  Clitennestra.  Sua  novella, 
e.  20,  1. 

Falsirone,  e.  14,  12. 

Famagosta.  Suo  clima,  e.  18,  136. 

Farufino  (Alessandro).  Sue  imprese  descritte, 
e.  36,  6. 

Farurante.  Conduce  i  suoi  alla  rassegna  dì 
Agramante,  e.  14,  21.  —  Va  eontra  gl'In- 
glesi sotto  Parigi,  e.  16,  75.  —  È  prigioniero 
di  Dudone,  e.  40,  71.  —  Vien  liberato  da 
Ruggiero,  e.  41,  6.  —  Sua  morte,  ivi,  22. 


668 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


Fate.  Loro  immortalità,  e.  10,  56. 

Ferrara.  In  potere  d'Azzo  Estense,  e.  3,  34.  — 
Descritta  e  lodata,  e.  35,  6,    e.  43,  14  e  32. 

Ferraù.  Combatte  con  Rinaldo  in  difesa  di 
Angelica,  e.  1,  15.  —  Cerca  l'elmo  cadutogli 
nel  fiume,  ivi,  24.  —  SI  perde  nel  palazzo 
d'Atlante,  e.  12,  11.  —  Si  batte  con  Orlando, 
ivi,  4C.  —  Va  co'  suoi  alla  rassegna  d'Agra- 
maute,  e.  14,  15.  —  Dà  l'assalto  agl'Inglesi 
sotto  Parigi,  e.  16,  71.  —  Incoraggia  i  Sa- 
racini  e.  18,  42.  —  Vien  gettato  di  sella  da 
Bradamante,  e.  35,  79. 

Fieramente.  Va  alla  rassegna  presso  Londra, 
e.  10,  78.  —  Assale  i  Mori  sotto  Parigi,  e  fa 
prigioniero  FoUiooue,  e.  16,  69. 

Filandro,  fratello  di  Ermonide.  Sua  origine, 
e.  21,  13.  —  Sua  amicizia  con  Argeo,c.  21, 
14.  —  Schiva  l'amor  di  Gabriua,  moglie  di 
Argéo,  e.  21,  16. 

Finadurro.  Comparisce  alla  rassegna  d'Agra- 
mante,  e.  14,  22.. —  È  ucciso  da  Zerbino, 
e.  13,  45. 

Fiordiligi,  amante  di  Brandimarte.  Lo  cerca 
fuor  di  Parigi,  e.  8,  89,  e.  24,  54  e  74.  — 
Arriva  al  ponte  di  Rodomonte,  ivi,  74,  e.  29, 
43.  —  Con  Grifone  ed  Aquilante  incontrasi 
in  Rinaldo  ed  altri,  e.  31,  37,  ecc.  —  Trova 
Brandimarte  in  Africa,  e.  39,  38.  —  Suoi 
timori  intorno  all'esito  della  pugna  in  Li- 
padusa,  e.  41,  32.  —  Suo  dolore,  udita  la 
morte  di  Brandimarte,  e.  43,  157.  —  Muore 
accanto  al  medesimo,  ivi,  183. 

Fiordispina.  Sua  novella,  e.  25,  28  e  seg. 

Follicene  d'Almeria.  Comparisce  alla  ras- 
segna d'Agramante,  e.  14,  16.  —  Va  contro 
gl'Inglesi  sotto  Parigi,  e.  16,  67.  —  Rimane 
prigioniero  di  Fieraraonte,  ivi,  69. 

Folvo.  Fatto  prigione  nella  presa  di  Biserta, 
e.  40,  35. 

Francesco  I  re  di  Francia.  Sue  lodi,  e.  26, 
35  e  43,  e.  33,  42.  —  Sua  {jrigionia  accen- 
nata, ivi,  53. 

Francesi.  Danni  da  essi  sofferti  nella  guerra 
contro  i  Saracini,  e.  14,  1.  —  Loro  guerre 
in  Italia  dipinto  nella  sala  della  rócca  di 
Tristano,  e.  33,  6,  ecc. 

Frenesia,  donna  di  Logistilla,  e.  10,  52. 

Frontino,  cavallo  di  Ruggiero,  e.  4,  46.  —  Ri- 
mane presso  Bradamante,  ivi,  48.  —  Resti- 
tuito da  Bradamante  a  Ruggiero,  e.  23,  26. 
—  Suo  primiero  padrone,  e.  27,  71.  —  Passato 
in  mano  di  Brandimarte,  e.  41,  29.  —  .Sua  de- 
strezza e  valore,  ivi,  80.  —  Sue  lodi,  e.  45,  92. 

Fulgoso  (Federico).  Sua  obbiezione  all'Ario- 
sto, e.  42,  20. 

Fuaherta,  spada  di  Rinaldo,  e.  2,  10.  —  Sua 
finezza,  e.  16,  49. 


G 


Gabrina.  Trovata  da  Orlando  nella  spelonca 
de'  malandrini,  e.  12,  92.  —  Fugge  vedendo 
i  malandrini  appesi,  e.   13,  42.  —  Incontra 


Marfisa,  e.  20,  106.  —  Sue  bruttezze,  ti-«, 
116  e  120,  e.  23,  94.  —  Consegnata  da  Mar- 
fisa  a  Zerbino,  e.  20,  128.  —  Sue  iniquità 
raccontate  da  Ermonide  d'Olanda,  e.  21,  12 
e  seg.  —  Ruba  alcune  spoglie  dal  cadavero 
di  Pinabello,  e.  23,  41.  —  Calunnia  Zerbino 
come  uccisore  di  Pinabello,  ivi,  48.  —  Fugge, 
dopo  liberato  Zerbino  e  s' incontra  in  Man- 
dricardo  e  Doralice,  ivi,  92.  —  Le  vien  tolta 
da  essi  la  briglia  al  cavallo,  ivi,  94.  —  Ri- 
torna in  potere  di  Zerbino,  e.  84,  35.  —  Re- 
sta impiccata  per  mano  di  Odorico,  ivi,  45. 

Galerana,  e.  43,  184. 

Gano  e  i  suoi  parenti  nemici  di  Bradamante 
e  del  suo  parentado,  e.  46,  67. 

Ginevra.  Sua  novella,  e.  4,  57,  e.  5,  3,  segg., 
e.  6,  15,  ecc. 

Giocondo.  Sua  novella,  e.  28,  3-74. 

Giovanni  santo  Evangelista.  Accoglie  Astolfo 
nel  terrestre  Paradiso,  e.  34,  54.  —  Lo  con- 
duce nel  cerchio  della  Luna,  ivi,  68.  —  Lo 
istruisce  di  varie  cose  e  lo  licenzia,  e.  38,  24. 

Giove  A.ninione,  adorato  dai  Garamanti,  e. 
29,  59. 

Giulio  II  pontefice.  Suo  esercito  rotto  dal 
Duca  Alfonso  di  Ferrara,  e.  3,  53,  e.  14,  3. 

—  Sua  lega  contro  i  Veneziani,  e.  33,  38. 
Gonzaga  (Federico),   duca  di  Mantova.    Sue 

imprese  accennate,  e.  33,  45. 

Gonzaga  (Isabella),  moglie  di  Francesco  duca 
di  Mantova.  Sue  lodi,  e.  13,  59. 

Gonzaga  (Isabella),  moglie  di  Luigi  detto 
Rodomonte,  lodata,  e.  37,  9. 

Gonzaga  (Luigi).  Due  di  questo  nome  lodati, 
e.  37,  8. 

Gradasso.  Si  ritrova  al  castello  di  Atlante, 
e.  2,  45,  e.  4,  40.  ^  Combatte  con  Atlante, 
e.  48.  —  È  veduto  nel  palazzo  del  medesimo, 
e.  12,  11.  —  Libera  Lucina  dall'Orco,  e.  17, 

■  62.  —  Fugge  dal  palazzo  d'Atlante  al  suono 
del  corno  di  Astolfo,  e.  22,  20.  —  Va  con 
Sacripante  in  soccorso  di  Agramante,  e,  27, 

14.  —  Muove  lite  a  Mandricardo  per  aver 
Durindana,  ivi,  54.  —  Viene  estratto  a  sorte 
per  difender  le  suo  ragioni  Ruggiero,  e.  30, 
24,  ecc.  —  Ottiene  Durindana  per  la  vitto- 
ria di  Ruggiero  sopra  Mandricardo,  ivi,  74. 

—  Combatte  con  Rinaldo  per  conservar  Du- 
rindana, ed  ottener  Baiardo,  e.  31,  95,  e.  33, 

15.  —  Trova  Baiardo  a  caso,  e  lo  prende, 
e.  33,  93.  —  Si  trova  in  Lipaduaa  con  Agra- 
mante, e.  40,  46.  —  Suo  duello  con  Orlando, 
e.  41,  46  e  68.  —  Uccide  Brandimarte,  ivi, 
101.  —  Resta  morto  per  mano  di  Orlando, 
e.  42,  11,  e.  43,  151. 

Grandonio.  Conduce  gli  Algarbi  alla  rasse- 
gna di  Agramante,  e.  14,  12.  —  Incoraggia 
i  Saracini,  e.  18,  42.  —  Gettato  in  terra  da 
Bradamante,  e.  35,  71. 

Gregorio  V  Papa,  liberato  da  Ugo  Estense, 
e.  3,  27. 

Grifone.  Combatte  con  Orrilo,  e.  15,  67.  — 
Intende    male   nuove   di    Orrigille ,    da   lui 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


669 


amata,  ivi,  100.  —  La  trova  con  Mattano, 
e.  16,  6.  —  Crede  alle  finzioni  di  Orrigille, 
ivi,  12,  e.  17,  17.  —  Sue  armi  fatate,  ivi,  70. 
Va  alla  gioatra  con  Martano,  ivi,  91.  ^ 
Questi  gli  rubano  l'armi,  ivi,  110.  —  Viene 
condotto  ignomiuiosamente  per  la  città,  ivi, 
131.  —  Sciolto,  ripiglia  1'  armi  e  fa  strage 
del  popolo,  ivi,  135,  e.  18,  3  e  59.  —  È  ri- 
sarcito dal  re  Norandino  con  molti  onori, 
ivi,  64  e  95.  —  Approda  in  Alessandria, 
battuto  dalla  tempesta,  e  19,  54.  —  Fugge 
di  là  al  suono  del  corno  d'Astolfo,  e.  20,  92. 
—  Giunge  al  castello  di  Pinabello,  ivi,  104, 
e.  22,  52.  —  Rimane  vinto  dallo  splendore 
dello  scudo  di  Ruggiero,  ivi,  85. 

Grotta  di  Merlino  descritta,  e.  2,  70,  e.  3,  6. 

Guelfo.  Due  soggetti  di  questo  nome  della 
Casa  Estense,  e.  3,  32. 

Gtiglielmo  di  Burnicb.  Ucciso  da  Dardinello, 
C.  18,  52. 

Guicciardo.  Parte  da  Montalbano  con  Ri- 
naldo, e.  30,  94.  —  Vien  battuto  da  Guidon 
Selvaggio,  e.  31,  11. 

Guidon  Selvaggio.  Ritrovato  fra  le  fem- 
mine di  Alessandria,  e.  19,  78.  —  Racconta 
i  suoi  casi,  e.  20,  5.  —  Fugge  da  Alessan- 
dria al  suon  del  corno  d'Astolfo,  ivi,  92.  — 
Va  al  castello  di  Pinabello,  ivi,  104,  e.  22, 
52.  —  Resta  vinto  dallo  splendore  dello  scudo 
dì  Ruggiero,  ivi,  83.  —  Getta  a  terra  Rie 
ciardetto  ed  altri,  e.  31,  8.  —  Combatte  con 
Rinaldo,  ivi,  13. 


Iacopo  della  Marca,  e.  33,  23. 

Ippalca,  confidente  di  Bradamante,  e.  23,  28. 

—  Va  in  cerca  di  Ruggiero,  ivi.  Sì  e  33.  — 
Trova  Ruggiero  alla  fonte  di  Merlino,  e.  26, 
54.  —  Ritorna  a  Bradamante,  ivi,  89.  — 
Consegna  a  Bradamante  una  lettera  di  Rug- 
giero, e.  30,  78. 

Jppogri/o.  Usato  da  Atlante,  e.  2,  37,  ecc.,  e.  4, 
4,  ecc.  0.  18.  —  Preso  da  Ruggiero,  ivi,  44, 
e.  6,  16.  —  Per  opera  di  Logistilla  viene 
usato  al  freno,  e.  10,  66.  —  Ritorna  con 
Ruggiero  in  Ponente,  ivi,  68.  —  Fugge  dalle 
mani  di  Ruggiero,  e.  11,  13.  —  Trovato  da 
Astolfo  nel  palazzo  di  Atlante,  e  da  luì  ado. 
perato,  e.  22,  24.  —  Porta  Astolfo  in  Etio- 
pia, e.  33,  96.  —  Indi  in  Europa,  e.  44,  23. 

—  Vien  posto  in  libertà,  ivi,  24. 
Ippolito  Estense    Cardinale,    nominato   e  lo- 
dato,   e.  1,  3,  e.  3,  56,  e.  7,, 62,  e.  35,  4,  e. 
36,  2,  e.  40,  1  e  4,  e.  4G,  85. 

IroldO.  Trovato  nel  castello  d'  Atlante,  e.  4, 
40.  —  Fugge  al  suono  del  corno  d'Astolfo, 
e.  22,  20. 

Isabella  Estense,  moglie  di  Francesco  Gon- 
zaga, dì  Mantova,  lodata,  e.  13,  59. 

Isabella.  Trovata  da  Orlando  nella  grotta  dei 
malandrini,  e.  12,  91.  —  Racconta  al  mede- 
simo le  sue  sciagure,    e.  13,  2.    —   Ritrova 


Zerbino,  e.  23,  67.  —  Incontra  Odorico  pro- 
so e  legato,  e.  24,  16.  —  Induce  Doralice 
a  trattar  la  pace  tra  Mandricardo  e  Zerbino, 
e.  21,  72.  —  Vede  morirsi  Zerbino  in  braccio, 
ivi,  85.  —  Capita  in  mano  a  Rodomonte,  ivi, 
93,  e.  28,  95,  e.  29,  3. 

Isoliero,  capitano  de'  Navarresi,  e.  14,  11.  — 
Salva  Brunello  dalla  forca,  ivi,  20.  —  Muore 
in  battaglia,  e.  16,  54. 

Isotta,  amata  da  Tristano,  e.  32,  89. 

Italia,  travagliata  dagli  stranieri,  e.  17,  76. 


Lamirante,  e.  14,  16. 

Langhirano,  e  14,  16. 

Largalifa,  e.  14,  16. 

Latino  (Fausto),  confideale  d'Astolfo  re  de' 
Longobardi,  e.  28,  6. 

Leone,  figlio  dì  Costantìuo.  Promesso  sposo 
a  Bradamante,  e.  44,  12.  —  Assalta  Belgra- 
do, ivi,  79.  —  Usa  cortesia  a  Ruggiero  suo 
nemico,  ivi,  91,  e.  45,  41.  —  Ottiene  Bra- 
damante in  isposa  per  mezzo  di  Ruggiero, 
ivi,  61.  —  La  cede  a  Ruggiero,  e.  46,  39. 

Leone  X  Pontefice.  Esortato  dal  Poeta  a  d'- 
fendere  l' Italia,  e.   17,  79. 

Leonello  Estense,  Marchese  di  Ferrara,  lo- 
dato, e.  3,  45. 

Leonetto,  Duca  di  Lincastro,  e.  10,  77.  — 
Assale  l'esercito  dì  Spagna  sotto  Parigi,  e. 
16,  66. 

Libanio,  e.  u,  21. 

Lidia.  Sua  ombra  trovata  da  Astolfo  alla  por- 
ta dell'Inferno,  e.  34,  7  e  segg. 

Lipadusa,  isola  descrìtta,  e.  40,  44  e  55,  e.  42, 
20. 

Lodovico  il  Moro,  e.  40,  41. 

Lodovico  XII  Re  di  Francia.  Sua  presa  di 
Milano,  ecc.,  e.  33,  34.  —  Assunto  al  trono, 
e.  45,  2. 

Logistilla,  donna  casta,  sorella  di  Alcina, 
e.  6,  43.  —  Suo  regno,  e.  8,  19.  —  Suoi  pre- 
gi, e.  10,  43.  —  Vìnce  Alcina,  e  riacquista 
lo  Stato,  ivi,  53.  —  Accoglie  Ruggiero,  e 
gì'  insegna  a  reggere  l'Ippogrìfo,  ivi,  67.  — 
Istruisce  Astolfo  nel  partirsi  da  lei,  e.  15,  10. 

Lucina,  sposa  di  Norandino,  e.  17,  26  e  segg. 

Luigi  di  Borgogna.  Sua  discesa  in  Italia  ac- 
cennata, e.  33,  18. 

Luna.  Suoi  paesi  descritti,  e.  31,  70. 

Lurcanio.  Accusa  Ginevra  al  padre,  e.  4,  58, 
e.  5,  63.  —  Alla  rassegna  in  Inghilterra,  e. 
10,  86.  —  Si  unisce  con  Zerbino,  e.  16,  64 
e  78,  e.  18,  45.  —  Viene  ucciso  da  Dardi- 
nello, ivi,  55. 


M 


Madarasso,  e.  14,  12. 

Malabuferso.  Mena  le  sue  squadre  alla  ras- 
segna d'Agramante,  e.  14,  22.  —  Assale  una 
portA  di  Parigi,  e.  15,  7. 


670 


INDICE  DEI  NOMI  PEOPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


Malagigi,  prigioniero  di  Lanfusa,  e.  25,  74. 

—  Liberato  da  Marfisa  e  dagli  altri  ch'erano 
con  lei,  e.  26,  10.  —  Manda  un  demonio  iu 
corpo  al  ronzino  di  Doralice,  ivi,  128,  e.  27, 
2.  —  Parte  con  Rinaldo  da  Montalbano,  e 
va  verso  Parigi,  e.  30,  94.  —  Credesì  che 
soccorresae  Carlo  nella  battaglia  per  via 
d'incanti,  e.  31,  86.  —  Racconta  a  Rinaldo 
i  casi  di  Angelica,  e.  42,  30. 

Malagur,  e.  U,  16. 

Malgarino.  In  mostra  co'  suoi,  e.  14,  15. 
Malzarise,  e.  14,  15. 

Mandricardo.  Va  contro  Orlando  per  ven- 
dicare Alzirdo  e  Manilardo,    e.  14,  32,  ecc. 

—  Non  porta  spada  per  aver  giurato  di  to- 
gliere Durindana  ad  Orlando,  ivi,  43,  e.  23, 
78.  —  Innamorato  di  Doralice,  e.  14,  53.  — 
Con  Gradasso  libera  Lucina  dall'Orco,  e.  17, 
62.  —  Trova  Orlando,  e  combatte  seco,  e. 
23,  70.  —  Combatte  con  Zerbino,  e  lo  uccide, 
e.  24,  60,  ecc.  —  Si  batte  con  Rodomonte, 
ivi,  98.  —  Combatte  con  Viviano,  Malagigi, 
Aldigioro,  Ricciardetto  e  Marfisa,  e.  26,  71, 
ecc.  —  Sfida  Ruggiero  per  levargli  l'insegna, 
ti-'i,  98.  —  Corre  dietro  a  Doralice  portata 
dal  cavallo  indemoniato,  ivi,  121.  —  Giunto 
all'esercito  di  Agramante  assediato,  fa  stra- 
ge de'  Cristiani,  e.  27,  18.  —  Rinnova  le  sue 
contese  con  Rodomonte  e  Ruggiero,  ivi,  40. 

—  Combatte  con  Ruggiero,  e.  30,  3t.  —  Re- 
sta morto,  ivi,  64. 

Manilardo,  Re  di  Norizia.  Messo  in  rotta  da 
Orlando,  e.  12,  69.  —  È  atteso  invano  alla 
rassegna  di  Agramante,  e.  14,  28.  —  Vien 
trovato   prigione    presso  Dudoue,  e.  40,  71. 

—  È  liberato  da  Ruggiero,  e.  41,  6.  —  Sua 
morte,  ivi,  22. 

Marbalusto,  gigante.  Re  d'Orano,  e.  14.  17. 

—  È  ucciso  da  Rinaldo,  e.   16,  47. 
Marfisa.  Va  alla  giostra  in  Damasco,   e.  18, 

99.  —  Soffre  una  tempesta  di  mare,  ivi,  141, 
ecc.,  e.  19,  43.  —  Approda  ad  Alessandria, 
ivi,  54.  —  Ascolta  da  Guidon  Selvaggio  le 
sue  vicende,  e.  20,  5.  —  In  compagnia  di 
altri  libera  Malagigi  e  Viviano,  e.  26,  7  e  14. 

—  Si  batte  con  Mandricardo,  ivi,  81.  —  Va 
con  Mandricardo  e  Rodomonte  in  difesa  di 
Agramante,  ivi,  87,  e.  27,  15.  —  Fa  strage 
dei  Cristiani,  ivi,  23.  —  Va  contro  Brada- 
mante,  e.  36,  16.  —  Sente  da  Atlante  che 
Ruggiero  è  suo  fratello,  ivi,  59,  e.  38,  14.  — 
Si  ricompone  con  Ruggiero  e  Bradamante, 
e.  36,  68.  —  Punisce  Marganorre,  e.  37,  100. 
Va  con  Bradamante  dinanzi  a  Carlo,  e.  38, 
8.  —  Si  fa  battezzare,  ivi,  22.  —  Si  oppone  al- 
le nozze  di  Bradamante  con  Leone,  e.  45, 103. 

Marganorre.  Suo  castello  e  sua  tirannia,  e. 
37,  38  segg. 

Marsilio.  Sen  va  co'  suoi  in  aiuto  di  Agra- 
mante, e.  12,  71.  —  Viene  assalito  da  Carlo, 
e.  18,  41.  —  Consiglia  Agramante  a  prose- 
guire la  guerra,  e.  38,  41.  —  Torna  nei  suoi 
Stati  per  difenderli,  e.  30,  71. 


Martano,  amante  di  Orrigille,  e.  15, 102.  — 
Andando  con  essa.,  scontra  Grifone,  o.  16, 
6.  —  Va  alla  giostra  in  Damasco  con  Gri- 
fone, e.  17,  71  e  86.  —  Viene  scontrato  da 
Aquilante,  fratello  di  Grifone,  e.  18,  7. 

Matalista,  e.  14,  J4.  —  Muove  contro  gli  In- 
glesi sotto  Parigi,  e.  16,  67.  —  Resta  pri- 
gione, tt»t,  69. 

Matilde,  Contessa,  moglie  d'Albertazzo  II 
Estense,  lodata,  e.  3,  29. 

Medoro.  Suo  amore  e  fedeltà  a  Dardinello 
suo  padrone,  e.  18,  165.  —  Resta  ferito  a 
morte,  e.  19,  13.  —  Vien  medicato  da  An- 
gelica, ivi,  22.  —  Amato  da  lei,  ivi,  26.  — 
La  sposa,  ivi.  33.  —  S' incontrano  con  Or- 
lando pazzo,  dal  quale  viene  ammazzato  a 
Medoro  il  cavallo,  e.  29,  58  e  65.  —  Va  con 
Angelica  nell'  India,  e.  30,  IG. 

Melissa,  maga.  Nella  grotta  di  Merlino  mo- 
stra a  Bradamante  le  immagini  de'  suoi  di- 
scendenti, e.  3,  8.  —  Va  per  liberare  Rug- 
giero dai  lacci  amorosi  di  Alcina,   e.  7,  45. 

—  Guida  Bradamante  al  palazzo  d'Atlante, 
e.  13,  47.  —  Predice  a  Bradamante  le  glorie 
delle  donne  Estensi,  ivi,  57.  —  Promette  a 
Bradamante  d' impedire  il  duello  fra  Rug- 
giero e  Rinaldo,  e.  38,  73.  —  Si  finge  Ro- 
domonte, e  induce  Agramante  a  rompere  il 
patto  con  Carlo,  e.  39,  4.  —  Sua  scienza 
magica,  e.  43,  21.  —  Suoi  amori  giovanili, 
ivi,  20.  —  Procura  che  seguano  le  nozze  di 
Ruggiero  e  Bradamante,  e.  46,  20.  —  Padi- 
glione maraviglioso  da  essa  trasportato  a 
Parigi  per  dette  nozze,  ivi,  77. 

Merlino.  Sua  grotta  descritta,  e.  2,  70.  — 
Parla  dalla  tomba  a  Bradamante,   e.  3,  16. 

—  Sua  fonte,  e.  26,  .SO.  -r-  Fa  dipiugere  in 
una  sala  le  guerre  de'  Francesi  in  Italia,  e. 
33,  4. 

Milano,  città  acquistata  da  Ugo  Estense,  e,  3, 
5.  —  Presa  dai  Francesi,  e.  33,  44. 

Modena,  città  datasi  ad  Obizzo  Estense,  e.  3, 
39. 

Morgana,  fata,  sorella  d'Alcina,  e.  6,  38. 

Morgante,  e.  14,  15. 

Moschino.  Vien  gettato  nella  fossa  di  Parigi 
da  Rodomonte,  e.  14,  124. 


N 


Namo.  Va  contro  Rodomonte  in  Parigi,  e.  17, 
16,  e.   18,  8. 

Niccolò  Estense,  Marchese  dì  Ferrara,  loda- 
to, e.  3,   42. 

Niccolò  (Zoppo)  Estense,  Marchese  di  Fer- 
rara, lodato,  e.  3,  40. 

Norandino,  re  di  Damasco.  Sue  feste  fatte 
iu  quella  città,  e.  17  ,  20  e  69.  —  Rendo 
giustizia  a  Grifone  nella  giostra ,  e.  18 , 
59. 

Nahii,  Popoli  condotti  da  Astolfo  alla  presa  di 
Biserta,  e.  38,  28. 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


671 


0 

Oberto,  re  d' Ibernia.   Accoglie   Orlando,  e. 

11,  59.  —  S' innamora  d'Olimpia,  ivi,  6G  e 
72. 

Obìzzo  Estense,  e.  3,  39. 

Oblio,  ritrovato  alla  porta  della  casa  del  Sonno, 

e.  U,  94. 
Odoardo  d'Inghilterra,    e.  10,  82.    —   Entra 

in  Parigi  durante  l'assedio,  e.  16,  85.  —  ,Va 

contro  Rodomonte,  e.  18,  10. 
Odorico.  Rapisce  Isabella  per  Zerbino,  e.  13, 

12.  —  Incontra  Zerbino  ed  Isabella,  e.  24, 
16  segg. 

Oldrado,  duca  di  Glocestra,  e.  10,  78.  —  As- 
sale i  Mori  sotto  Parigi,  e.  16,  67. 
Olimpia.  Racconta  ad  Orlando  le  sue  avven- 
ture, e.  9,  22.  —  Viene  dal  consorte  Bireno 
abbandonata  sopra  una  spiaggia,  e.  10,  20. 
—  Resta  presa  da'  corsari,  ed  esposta  al- 
l' Orca  marina,  e.  11,  33,55  e  58.  —  Viene 
liberata  da  Orlando,  ivi,  59.  I 

Olimpio  della  Serra,  e.  16,  71. 
Olindro  di  Longavilla,  e.  37,  51. 
Oliviero.  Va  contro  Rodomonte  in  Parigi,  e.  ! 
17,  16,  e  e.  18,  8.  —  Battuto  da  Rodomonte 
sul  ponte,  vi  lascia  le  armi,  che  poi  vengono 
trovate  da  Bradamante,  e.  35,  53.  —  Frigio-  I 
niero  di  Rodomonte,  e.  39,  30.  —  Liberato 
da  Astolfo  ed  altri,  ivi,  33.  —  Uccide  Buci- 
faro    ueir  assalto    di    Biserta,    e.  40,  35.  — 
Combatte  con  Agramante  ed  altri   in  Lipa- 
dusa,  e.  41,  46  e  68.  —  È  moribondo  per  le  ! 
ferite,  e.  43,  151.  —  Vien  sanato  da  un  Kre-  j 
mita,  ivi,  192.  —  Ritorna   coi  ccmpagni  in  ! 
Francia,  e.  44,  26. 
Ombruno,  e.  17,  87. 
Orca  dell'Isola  d' Ebuda,  e.  8,  57,  e.  9,  15.  — 
Descritta,  e.  10,  100.  —  Vinta  da  Ruggiero 
collo  scudo  incantato,  ivi,  101.  —  Presa  da 
Orlando,  ed  uccisa,  e.  Il,  34. 
Orco  di  Scria,  e.  17,  29. 

Orlando.  Ritorna  in  Ponente  con  Angelica, 
la  quale  gli  vien  tolta  da  Carlo,  e.  1,  5  e  7. 

—  Suo    elmo    famoso,   ivi,    28,  e.  12,  31.  

Addolorato  per  la  perdita  d'Angelica,  e.  8, 
71.  —  Sua  grande  amicizia  con  Brandimarte, 
e.  8,  88.  —  Parte  di  notte  da  Parigi  por  cer- 
care Angelica,  ivi,  86.  —  Sdegna  uccidere  i 
Saracini  che  dormono,  e.  9,  4.  —  Cerca  An- 
gelica, ivi.  —  Xaviga  all'  isola  di  Ebuda,  ivi, 
15.  —  Combatte  colle  genti  del  re  Cimosco, 
ivi,  67.  —  Uccide  Cimosco,  e  libera  Bireno, 
ivi,  80.  —  Prende    1'  Orca   con    uno   strata-  j 
gemma,    e.    11,    36.    —    Incontra  Oberto  re 
d' Ibernia,  ivi,  59.  —  Lo  lascia  con  Olimpia  1 
e  torna  in  Francia,  ivi,  78.  —  Vede   Ange- 
lica rapita  da  un  guerriero,  e.  12,  4.  —  Viene  ' 
all'armi  con  Ferrali,  ivi,  46,  ecc.  —  È  fatato 
ed  invulnerabile  per  tutta  la  persona,  fuor- 
ché sotto  le  piante    ivi,  49,   e.  24,  10.  Il 

suo  elmo  famoso  gli  vien  tolto  da  Angelica, 
«  capita  in    mano   di    Ferrali,  e.  12,  52,  — 


Sbaraglia  le  squadre  di  Manilardo  e  d'  Al- 
zirdo,  ivi,  75.  —  Trova  Isabella,  ivi,  91,  e. 
13,  37.  —  Salva  Zerbino  caduto  in  mnno  di 
Anselmo,  e.  23,  53.  -  La  sua  spada  Durin- 
dana vien  pretesa  da  Mandricardo,  ivi,  78. 
—  Trova   incisi   negli    alberi    gli   amori  di 
Angelica  e  Medoro,  ivi,  102.  —  Impazzisce, 
ivi,  132.  —  Giunge  al  ponte  di  Rodomonte, 
e.  24,  14,  e.  29,  39.  -  Sue  pazzie,  e.  21,  1,' 
e.  27,  8,  e.  29,  44,  e.  30,  5.  -  Attraversa  a 
nuoto  lo  stretto  di  Gibilterra,  e  giunge   sul 
lito    di    Setta,    ivi,  40  e  seg.  —  Doni   a  lui 
fatti  da  Dio,  e.  34,  63.  -  Castigato  da  Dio 
colla  pazzia,  e  perché,  ivi,  64.  —  Suo  inge- 
gno in  un'ampolla,  preso  da  Astolfo  nel  cer- 
j         chio  della  Luna,  e.  38,  23.  -  Vien  trovato 
I         in  Africa,  e.  39,  36.  -  Ricupera   il   senno, 
I        tvi,  57.  —  Dà  l'assalto  a  Biserta  coll'esercito 
I        cristiano,   e.  40,  14.  -  Va  in   Lipadusa,   e 
combatte  con  Gradasso  e  con  gli  altri  suoi 
,        compagni,    e.  41,  46  e  68.  —  Uccide  Agra- 
mante, e.  42,  8,  e.  43,  151.  _  Uccido    Gra- 
dasso, e.  42,  11,  e.  43,  151.  _  Assiste  ai  fu- 
nerali   di    Brandimarte,   ivi,  166.  —  Torna 
co'  suoi  compagni  in  Parigi,  e.  44,  28. 
Ormida,  e.  14,  18. 
Orontèa.  Sua  novella,  e.  20,  24. 
Orrigille,  amata  da  Grifone.  Lo  tradisce,  e. 
15,  101.  —  Viene  da  lui  incontrata   in  Da- 
masco con   Martano,  e.  16,  6.  —  Unitamente 
con  Martano  rapisce  l'armatura  a  Grifone, 
e.  17,  110.  —  È    fermata    con    Martano   da 
Aquilante,  fratello  di  Grifone,  e.  18,  79. 
Orrilo.  Ladrone  di  Damiata,  e.  15,  65,  segg. 

—  Muore,  ivi. 
Ottone  III  imperatore,  e.  4,  27 


Paradiso  terrestre,  descritto,  e.  34,  48. 
Parche,  trovate  da  Astolfo    nella   Luna    e    31 
88,  ecc.  '     "       ' 

Pinabello.  Trovato  da  Bradamante,  e.  2,  34. 
—  Cade  abbagliato  dallo   scudo  di  Atlante, 
e.  2,  56.  —  Getta  Bradamante  nella  grotta 
di  Merlino,  ivi,  70.  —  Incontra  Marfisa  con 
Gabrlna,  e.  20,  110.  -  Legge  da  lui  messa 
al  suo  castello,  e.  22,  47.   —  Resta  ucciso, 
ivi,  96,  e.  23,  4. 
Polinesso.  Sua  storia,  e.  5,  6  e  segg. 
Prasildo.  Si  trova  nel  castello  d'Atlante,  e. 
4,  40.  —  Fugge  di  là  al  suono  del  corno  di 
Astolfo,  e.  22,  20. 
Proteo,  amante  della  figlia  del  re  di  Ebuda, 
e.  8,  52.  —   Pug?e    spaventato    da   Orlando 
vincitore  dell'Orca,  e.  11,  44. 
PrusJone,  e.  U,  27.  —  Assale  una  porta  di 
Parigi  con    Agramante,    e.  15,  7.  —  Va  col 
medesimo    contro    gì'  Inglesi,    e.    16,  75,  — 
Viene  ucciso  da  Rinaldo,  ivi,  81. 

Puliano.  In  mostra  co'  suoi,  e.  14,  22. Ke« 

sta  ucciso  da  Rinaldo,  e.  16,  44. 


672 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


R 


Rabicano,  cavallo  d'Astolfo,  e.  7,  77.  —  Sue 
qualità,  e.  15,  40,  e.  35,  49.  —  Vien  rubato 
ad  Astolfo  da  Atlante,  e.  22,  10.  —  Torna 
iu  sua  mano,  ivi,  22.  —  Da  Astolfo  è  con- 
segnato a  Bradauiante,  ivi,  28,  e.  23,  11. 

Re  (tre),  che  accompaguano  Ullania  con  lo  scu- 
do d'oro  in  Francia,  ecc.,  e.  32,  50.  —  Vinti 
da  Bradamante  la  seconda  volta,  e.  33,  69. 

—  Capitati  in  mano  di  Marganorre,  e  libe- 
rati da  Marfisa,  Ruggiero  e  Bradamante,  e. 
37,  112. 

H,enata  di  Francia,  e.  13,  72. 

Riccardo,  conte  di  Varvecia,  e.  10,  78.  — 
Assale  i  Mori  sotto  Parigi,  e.  16,  67. 

Ricciarda  di  Saluzzo ,  moglie  di  Niccolò 
Estense.  Sue  lodi,  e.  13,  67. 

Ricciardetto.  Sue  avventure  con  Fiordispi- 
na,  e.  22,  39,  e.  25,  8  e  49.  —  Raccolto  da 
Aldigiero  al  suo  castello,  ivi.  73.  —  Unito 
con  altri,  libera  Malagigi  e  Viviano,  e.  26, 
10.  —  Altre  sue  avventure,  ivi,  38,  segg.  — 
Va  a  Montalbano,  ivi,  136.  —  Parte  di  là  e 
segue  Rinaldo,  e.  30,  94.  —  Atterrato  da 
Guidon  Selvaggio,  e.  31,  10. 

Ricciardo.  Va  contro  Rodomonte  in  Parigi, 
e.  18,  10.  —  Parte  con  Rinaldo  da  Montal- 
bano, e.  30,  94. 

Rimedonte,  e.  14,  23.  —  Prigioniero  di  Du- 
done,  e.  40,  73.  —  Sua  morte,  e.  41,  22. 

Rinaldo.  Contende  con  Orlando,  e.  1,  8.  — 
Incontra  Angelica,  ivi,  10.  —  Va  contro  Sa- 
cripante, ivi,  77.  —  Spedito  da  Carlo  in  In- 
ghilterra, e.  2,  26.  —  Entra  nella  selva  Ca- 
liconia,  e.  4,  51.  —  Vede  l'abbazia  di  quella 
selva,  ivi,  54.  —  Libera  Dalinda  dai  sicari, < 
ivi,  69.  —  Va  per  liberar  Ginevra  dall'  in- 
famia, e.  5,  78.  —  Tentò  invano  di  liberare 
Astolfo  dalla  balena  d' Alcina,  e.  6,  41.  — 
Ottiene  dal  Re  di  Scozia  soccorso  per  Carlo, 
e.  8,  22.  —  Passa  in  Inghilterra,  ivi,  25.  — 
Ottien  gente  per  soccorso  di  Carlo,  ivi,  27. 

—  Vien  condotto  da  San  Michele  e  dal  Si- 
lenzio a  Parigi  e.  14,  96.  —  Soccorre  Parigi, 
e.  16,  28.  —  Fa  8tra2;e  dei  Saracini,  e.  18^ 
45.  —  Va  contro  Dardiuello,    ivi,  58  e  146. 

—  L'uccide,  e.  18,  152.  —  Cerca  Angelica, 
e.  27,  8.  —  Conduce  seco  da  Montalbano 
alcuni  guerrieri,  e.  30,  93,  e,  31,  7.  —  Com- 
batte con  Guidon  Selvagi^io  da  lui  non  co- 
nosciuto, ivi,  13.  —  Rompe  la  gente  di  Agra- 
mante,  ivi,  50.  —  Combatte  con  Gradasso 
per  salvar  Baiardo,  ed  ottener  Durindana, 
e.  31,  94,  e.  33,  79.  —  Eletto  da  Carlo  a 
combatter  contro  Ruggiero,  e.  38,  88,  ecc. 
Suo  amore  per  Angelica,  e.  42,  28.  —  Assa- 
lito dal  mostro  d'Amore,  ivi,  53.  —  Beve 
alla  fonte  che  caccia  l'Amore,  ivi,  63.  — 
Viaggia  per  l'Italia,  ivi,  69,  e.  43,  53  e  145. 

—  Promette  Bradamante  a  Ruggiero,  e.  44, 
14  e  35.  —  Sbarca  a  Marsiglia  coi  compagni, 
ivi,  18.  —  Va  con  essi  a  Parigi,  ivi,  28.        | 


Rinaldo  Estense,  Signor  di  Ferrara,  lodato, 
e.  3,  38. 

Rodomonte.  Comparisce  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante,  e.  14,  25.  —  Sue  pro- 
dezze, ivi,  114,  segg.  —  Conduce  le  sue  genii 
a  morte  senza  riguardo,  e.  15,  3.  —  Fa  stra- 
ge dol  popolo  di  Parigi,  e.  16.  20.  —  Di- 
strugge Parigi,  ivi,  85,  e.  17,  6.  —  Vien  rag- 
giunto da  Carlo  co'  suoi  campioni,  ivi,  13, 
e.  18,  8.  —  Esce  di  Parigi,  ivi,  20.  —  Toglie 
Frontino  ad  Ippalca,  e.  23,  33.  —  Si  batto 
con  Mandricardo,  e.  24,  99.  —  Ritrova  Mar- 
fisa  con  altri  guerrieri,  e.  25,  4.  —  Ricusa  la 
battaglia  con  Ruggiero  per  andare  in  soc- 
corso del  suo  Re,  e.  26,  92.  —  Combatte  con 
Ruggiero  per  Frontino,  ivi,  116.  —  Corre  in 
soccorso  di  Doralice,  portata  dal  cavallo  in- 
demoniato, ivi,  131.  —  Fa  strage  dei  cristiani, 
e.  27,  15.  —  Rinnova  le  contese  con  Rug- 
giero e  Mandricardo  per  opera  della  Discor- 
dia, ivi,  40.  —  Naviga  verso  l'Africa,  e.  28, 
86.  —  Si  ferma  presso  a  Mompelieri,  tu»,  93. 

—  Si  accende   d'Isabella,    ivi,  91,  e.  29,  3. 

—  Combatte  con  Brandimarte,  e.  31,  67.  — 
È  gittate  di  cavallo  da  Bradamante,  e.  35, 
48.  —  Viene  alla  corte  di  Carlo,  e  sfida  Rug- 
giero, e.  46,  102  e  seg. 

Ruggiero.  Da  lui  discesero  gli  Estensi,  e.  1, 
4.  —  Amante  di  Bradamante,  e.  2,  32.  — 
Va  al  castello  incantato  d'Atlante,  ivi,  45. 

—  Sua  origine  raccontata  da  Atlante,  e.  4, 
30,  e.  36,  70.  —  Trovato  da  Bradamante  nel 
castello  d'Atlante,  e.  4.  40.  —  Arriva  all'iso- 
la d' Alcina,  e.  6,  19.  —  Ivi  conforta  Astolfo 
cangiato  in  una  pianta,  e.  o,  55.  —  Combatte 
co'  mostri  di  quell'  isola,  ivi,  65.  —  Combatte 
e  vince  Erifila,  e.  7,  5.  —  È  amante  di  Al- 
cina, ivi,  16.  —  Si  ravvede  del  suo  errore, 
ivi,  65.  —  Odia  Alcina,  ivi,  70.  —  Lascia  la 
città  di  lei,  ivi,  75,  e.  8,  3.  —  Combatte 
coll'augel  grifagno,  ivi,  7.  —  Andando  a  Lo- 
gistilla,  incontra  tre  donzelle,  e.  10,  36.  — 
Vien  perseguitato  da  Alcina,  e.  8,  12,  e.  10 
48.  —  Torna  in  ponente,  ivi,  67.  —  Vede 
sul  Tamigi  le  truppe  destinate  a!  soccorso 
di  Carlo,  ivi,  74.  —  Libera  Angelica  dal- 
l'Orca marina,  ivi,  HI.  —  Perde  Angelica, 
e.  11,  7.  Perde  insieme  l'anello  e  l'Ippogrifo, 
ivi,  14.  —  Fargli  vedere  Bradamante  rapita 
da  un  gigante,  ivi,  18.  —  La  cerca  invano 
nel  palazzo  di  Atlante,  dal  quale  vien  deluso 
colla  finta  immagine  di  lei,  e.  12,  18.  — 
Fugge  di  là  al  suono  del  corno  di  Astolfo, 
e.  22,  20.  —  Ritrova  Bradamante  e  va  seco 
a  Vallombrosa,  ivi,  31.  —  Va  al  castello  di 
Pinabello,  e  batte  Sansonetto,  ivi,  69.  — 
Getta  lo  scudo  incantato  in  un  pozzo,  ivi, 
91,  e.  25,  4.  —  Va  al  castello  di  Aldigiero 
con  Ricciardetto,  ivi,  71.  —  Scrive  lettera  a 
Bradamante,  ivi,  86.  —  Va  con  alcuni  com- 
pagni a  liberare  Malagigi  e  Viviano,  e.  26, 
8  e  16.  —  Sfidato  da  Mandricardo  per  l' in- 
segna che  porta,  e.  26,  98.  —  i?i  batte  con 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


673 


Rodomonte,  ivi,  116.  —  Fa  strage  dei  Cri- 
stiani sotto  Parigi,  e.  27,  23.  —  Estratto  a 
sorte  per  combattere  con  Jrandricardo,  e. 
30,  2-1.  —  Dona  Brigliadoro  ad  Agramante, 
e  riceve  in  dono  Frontino  da  Bradamante, 
da  cui  viene  sfidato,  e.  35,  63  e  76,  e.  36,  11. 
—  Ode  da  Atlante  che  Marfisa  gli  è  sorella, 
ivi,  59.  —  Punisce  Marganorre,  e.  37,  101. 
Viene  scelto  da  Agramante  a  combattere 
contro  Rinaldo,  e.  38,  64.  —  Combatte  con 
Dudone,  e.  40,  75.  —  Patisce  naufragio,  e. 
41,  19  e  47.  —  È  battezzato  da  un  Eremita 
sopra  uno  scoglio,  ivi,  59.  —  Vien  accolto 
da  Carlo  in  Parigi,  e.  44,  29.  —  Incontra 
molti  contrasti  per  le  sue  nozze  con  Brada- 
mante, ivi,  36,  ecc.  —  Vien  fatto  prigione  a 
tradimento  da  Ungiardo,  e.  45,  9.  —  Resta 
liberato  da  Leone,  ivi,  42.  —  Combatte  per 
lui  con  Bradamante,  e  la  vince,  ivi,  64.  — 
Sua  disperazione,  ivi,  64,  e.  46,  26.  —  Gli 
vien  ceduta  Bradamante  da  Leone,  ivi,  42. 
^—  Eletto  da'  Bulgari  in  loro  Re,  e.  44,  97, 
e.  46,  48  e  69.  —  Sue  nozze  con  Bradamante, 
ifi,  73.  —  Combatte  con  Rodomonte,  ivi, 
115.  —  Lo  uccide,  ivi,  140. 


s 


Sacripante.  Incontrasi  con  Angelica,  e.  1, 
38.  —  Combatte  con  Bradamante,  e  resta 
vinto,  ivi,  60.  —  Va  contro  Rinaldo,  ivi,  77. 

—  Vien  trovato  nel  castello  di  Atlante,  e.  4, 
40.  —  Va  con  Gradasso  in  soccorso  d'Agra- 
mante,  e.  27,  14.  —  Muove  lite  a  Rodomon- 
te per  Frontino,  e  si  batte  seco,  ivi,  71,  _ 
Vinto  da  Rodomonte  al  suo  ponte,  vi  lascia 
le  armi,  e.  35,  54.  —  Va  dietro  Angelica 
verso  r  Oriente,  ivi,  56. 

Sansonetto.  Trovato  in  Gerusalemme  da 
Astolfo,  e.  15,  95.  —  Riceve  da  lui  in  dono 

I  il  gigante  e  la  rete,  ivi,  97.  —  Va  alla  gio- 
stra con    lo    stesso    in    Damasco,  e.  18,  96. 

—  Va  con  molti  compagni  in  Cipro,  ivi,  136. 

—  È  battuto  dalla  tempesta,  ivi,  141,  e.  19 
43.  —  Approda  coi  compagni  ad  Alessandria, 
ivi,  54.  —  Fugge  di  là  al  suono  del  corno 
di  Astolfo,  e.  20,  92.  —  Naviga  a  Marsiglia 
e  capita  al  castello  di  Pinabello,  ivi,  104,  e. 
22,  52.  —  Va  con  Rinaldo  contro  Agramante, 
e.  31,  51.  —  Vinto  da  Rodomonte  al  ponte, 
vi  lascia  le  armi,  ed  è  condotto  in  Africa 
prigione,  e.  35,  53.  —  È  liberato  da  Astolfo, 
e.  39,  33. 

atsonia  (Casa  di),  sostenuta  da  Folco  Estense 
e.  3,  28. 

eozia.  Legge  contro  le  donne  colà  promulgata, 
e.  4,  59. 

cudo  d'oro,  mandato  dalla  Regina  d'Islanda 
a  Carlo,  e.  32,  50. 

ludo  incantato  d'Atlante,  e.  2,  55.  -—  Sua  vir- 
tù, e.  3,  67,  e.  4,  23.  —  Resta  a  Ruggiero,  i 
0.  6,  67.  —  Il  quale  se  ne  vale  per  fuggire 

Abiosto  —  Papini 


da  Alcina,  e.  8,  11,  e.  10,  60.  —  Con  esso 
vince  l'Orca,  ivi,  107.  —  Vince  i  cavalieri 
di  Pinabello,  e.  22,  84.  —  È  gettato  in  uu 
pozzo  da  Ruggiero,  ivi.  Di. 

Sdegno,  in  forma  di  guerriero.  Libera  Rinaldo 
dal  mostro  d'Amore,  e.  42,  53. 

Senàpo,  imperatore  dell'  Etiopia.  Suoi  riti, 
e.  33,  102.  —  Cieco  ed  affamato  a  cagion 
delle  Arpie,  ivi,  107.  —  Ricupera  la  vista 
mercé  d'un'erba  appresentatagli  da  Astolfo 
e.  38,  24  e  27. 

Serpentino,  e  14,  13.  —  Sue  armi  incantate, 
e.  16,  82.  —  Vien  gettato  di  solla  da  Rinaldo, 
ivi.  —  Rincora  i  Saracinì,  e.  18,  42.  —  Vien 
gettato  a  terra  da  Bradamante,  e.  35,  67. 

Sforza.  Personaggi  di  questa  Casa  nominati 
e  lodati,  e.  33,  45,  e.  40,  41. 

Sigisberto,  re  di  Francia.  Rotto  in  Italia 
dal  Re  de'  Longobardi,  e.  33,  13. 

Sobrino.  Va  alla  rassegna  di  Agramante  co' 
suoi,  e.  14,  24.  —  Muove  contro  Zerbino,  e. 
16,  53  e  83.  —  Consiglia  Agramante  a  ve- 
nire a  patti  con  Carlo,  e.  38,  48.  Sua  zuffa 
con  Brandimarte  ed  altri,  e.  41,  68.  —  Fe- 
rito mortalmente,  è  fatto  medicar  da  Orlan- 
do, e.  42,  18.  —  Si  fa  battezzare,  ed  è  gua- 
.    rito  da  un  Eremita,  e.  43,  193. 

Sofrosina,  donna  casta  di  Logistilla,  e.  10, 
52.  —  Accompagna  Astolfo  verso  Occidente, 
e.  15,  11. 

Soridano,  e.  14,  22.  —  Va  contro  gl'Inglesi 
sotto  Parigi,  e.  16,  75. 

Stordilano,  e  14,  13. 

Superbia.  Va  colla  Discordia  al  campo  Saraci- 
no, e  lascia  la  Lussuria  per  sua  vicaria,  e. 
18,  27.  —  Accende  Rodomonte  contro  Man. 
dricardo,  ivi,  34.  —  Torna  dove  stava  prima, 
e.  26,  122. 


Tanacro,  figlio  di  Marganorre,   e.  37,  46.  

Acceso  di  Drusilla,  ivi,  53.  —  Uccide  Olin- 
dro,  e  si  prende  Drusilla,  e.  37,  55.  —  Ri- 
ceve da  lei  il  veleno,  ivi,  69. 

Tarento.  Sua  fondazione,  e.  20,  21. 

Teodora,  moglie  di  Androfilo.  Odia  Ruggiero, 
uccisore  di  suo  figlio,  e.  45,  15.  —  Ottiene 
Ruggiero  in  mano  da  Costantino,  ivi,  16,  ecc. 

Tesira.  In  mostra  co'  suoi  alla  rassegna  di 
Agramante,  e.  14,  13. 

Trasone.  Va  con  gli  Scozzesi  sotto  Parigi, 
e.  16,  55. 

Tristano.  Sua  ròcca,  e  legge  ivi  fatta  osser- 
vare, e.  32,  65.  —  Pitture  misteriose  della 
sala  di  essa  ròcca,  e.  33,  5. 


u 


Ughetto.  Va  contro  Rodomonte  In  Parigi,  e. 

18,  10. 
Ugo  Estense.  Sue  imprese  accennate,  e.  3,  26. 

43 


674 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRI  PIÙ  IMPORTANTI 


Ugo  Estense  II,  lodato,  e.  3,  27. 

Ugo  d'Arli.  Sue  fortune  corse  in  Italia,  e.  33, 
19. 

Ullania.  Dall'  Islanda  si  porta  in  Francia 
collo  scudo  d'oro  in  compagnia  dei  tre  Re, 
e.  32,  50.  —  Vien  posposta  in  bellezza  a 
Bradamante  nella  rócca  di  Tristano,  ivi,  98. 
—  Resta  nella  ròcca  per  benefizio  di  Brar- 
daraante,  e.  32,  101.  —  Sue  avventure  nel 
regno  di  Marganorre,  e.  37,  28. 

Ungiardo.  Alberga  in  sua  casa  Ruggiero,  e. 
44,  102.  —  liO  fa  prigione  a  tradimento,  ecc., 
e.  45,  9. 


Valerio  (Francesco).  Disse  mal  delle  donno, 
e.  27,  137. 

Valila  (Principe  di),  e.  8,  27. 

Vasto  (Marchese  del),  vedi  Davalo. 

Vatrano,  capo  de'  Bulgari,  e.  44,  83. 

Veneziani.  Loro  armata  rotta  nel  Po,  e.  3,  57. 

Visconti  (Galeazzo).  Sue  imprese  accennate, 
e.  33,  21. 

Viviano.  Col  fratel  Malagigi,  prigion  di  Lan- 
fusa,  condotto  a'  Maganzesi,  e.  25,  74.  — 
Liberato  da  Adigiero  e  da'  suoi  compagni, 
e.  20,  26.  —  Ode  da  Malagigi  la  spiegazione 


delle  scolture  della  fonte  di  Merlino,  ivi,  38. 

—  Gettato  a  terra  da  Mandricardo,  fri,  74. 

—  Dà  la  sua  spada  a  Ruggiero,  ivi,  119.   — 
Va  con  Rinaldo  a  Parigi,  e.  30,  94. 


Zerbino,  fratello  di  Ginevra.  Lontano  dalla. 
Scozia,  non  può  liberarla  dall'infamia,  e.  5, 
69.  —  Va  alla  rassegna  in  Londra,  e.  10,  8.';. 

—  Va  alla  giostra  in  Baiona,  e.  13,  6.  — 
Innamorato  d'Isabell^,  ivi,  8.  —  Destinato 
ad  assalire  i  Mori  sotto  Parigi,  e.  16,  40.  — 
Assale  i  Mori,  ivi,  51,  e.  18,  45.  —  Incontra 
deridano  e  Medoro,  ivi,  188,  e.  19,  6.  — 
Deride  Marflsa,  perché  ha  seco  Gabrina,  e. 
20,  119.  —  Intende  da  Gabrina  oscure  no- 
velle d' Isabella,  ivi,  134.  —  Sua  fede,  e.  21,[ 
3.  —  Incontra  Ermonide,  e.  20,  144,  e.  21, 
6.  —  Vede  il  cadavere  di  Pinabello,  e.  23, 
39.  —  Ha  nelle  mani  Odorico,  e.  24,  16.  — 
Lo  castiga  consegnandogli  Gabrina,  ivi,  40. 

—  Raccoglie  l'armi  d'  Orlando,  e  ne  fa  un 
trofeo,  ivi,  57.  —  Combatte,  con  Mandri- 
cardo per  difender  dette  armi ,  e  resta  fé» 
rito  a  morte,  ivi,  60.  —  Suo  sepolcro,  e.  29. 
32. 


INDICE 
DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI  PIÙ  NOTEVOLI 

ILLUSTRATI   NEL   COMMENTO 


a  premesso  ad  alcuni  verbi,  i,  62,  2.  vili,  71. 
4.  X,  105,  8.  siv,  75,  7.  xvi,  80,  2.  xvii,  5G, 
e  ;  95,  5.  xviii,  31,  6  ;  58,  2.  xxiii,  82,  5.  — 
con,  xii,  48,  8,  xvi,  48,  8;  54,  6  ;  87,  7.  xsin, 
31,  5.  —  da,  xiii,  71,  2.  —  fino  a  (in  espres- 
sioni di  tempo),  XLiir,  80,  8.  —  in,  xiv,  78, 

7.  XX,  98,  8.  xxsi,  36,  3.  —  in  confronto  di, 
XIII,  70,  3.  xxxii,  34,  7.  —  in  risguardo  a, 
xxxviii,  60,  3.  —  per,  vui,  26,  3.  xxxi,  20, 

8.  XXXII,  49,  3.  XLiii,  146,  5  ;  149,  2.  —  pres- 
so, XXIX,  33,  1.  —  quanto  a,  xxx,  82,  8.  — 
secondo,  xm,  30,  2.  —  su,  xvii,  94,  G.  xxxiii, 
77,  2, 

alile,  capace  a  contenere,  xv,  3,  8. 

a  bocca,  u,  48,  5.  vi,  62,  5.  xxvi,  90,  3. 

aborrevole,  abominevole,  x,  94,  4. 

aborrire,  aver  paura,  xxiv,  105,  1. 

absorto,  assorbito,  xiv,  6,  5.  xuii,  174,  5. 

a  buon  effetto,  a  buon  tìne,  v,  49,  4. 

accadere,  bisognare,  xi,iii,  82,  1.  —  cadere 
a  proposito,  IH,  62,  6.  xxii,  44,  3.  xi.ii, 
94,  6.  —  presentarsi,  ii,  67,  7.  xviii,  13,  3. 
XIX,  41,  3.  xxxvi,  82,  7.  —  venir  per  caso, 
XXII,  29,  8.  — detto  di  cose  prevedute,  xxiii, 
1,  3. 

accadere  a  fare  una  cosa,  xx,  116,  8. 

accader  soggetto,   iii,   73,   1. 

accarezzare,  usar  cortesie;  xxxi,  110,  3.  xliii, 
199,  6. 

accarezzarsi,  farsi  complimenti,   xxxi,   110,  3. 

accasciarsi  da,  distogliersi  da,  v,  55,  5. 

accennare,  comandare,  xxxi,  85,  4. 

accennare,  dar  segno,   xix,  92,  6. 

accennare  per,  xvii,  94,  5. 

acciaio,  acciarino,  xviii,  34,  1. 

accinto  di,  xxx,  36,  6. 

acciò,  acciò  che,  xliv,  22,  7  :  e  cosi  spesso. 

accogliere,  apprendere,  xm,  31,  6. 

accomodato,  fornito,  xtii,  119,  4. 


acconcio,  bello,  xxxv,  74,  8.  —  comodo,  xxxi, 

88,  3. 
accorare,  uccidere  di  dolore,  xi,v,  58,  4. 
accordarsi,  agguagliarsi,  xvi,  56,  7. 
accorte  {maniere),  iv,  72,  2.  xxxvii,  48,  3. 
accorte  (parole)  cortesi,  xxv,  19,  4. 
accorto,  attento,  viii,  59,  3.  xviii,  5,  3. 
accrescere,  crescere,  xliii,  194,  8. 
accumulamouto    d' aggettivi,  vi,  56,  8.    vii,  38, 

8.  XI,  9,  7.  xLvi,  77,  2. 
a  cerco,  xi,  7,  2. 
a  chiocca,  a  chiocca,  x,  33,  8. 
adagiare  un  cavallo,  metterlo  nella  stalla   xxvii, 

130,  5. 
adagio,  comodamente,  xvii,  22,  2.  —  con  tutto 

l'agio,  vili,   18,  6. 
ad  alto,  IV,  50,  1.  xl,  43,  6. 
ad  ambe  viaìii,  xiv,  45,  2. 
adattare,  adopraro,  xliii,  139,  6. 
a  destriero.  XLVI,  100,  3. 
a  Dio,  addio,  viii,  26,  2. 
a  dirimpetto,  v,  43,  1. 
adizzare,  aizzare,  iv,  46,  4.  xxiv,  106,  3. 
adombrato,  coperto,  v,  47,  3. 
adombrare,  adocchiare,  vi,  26,  4.   —  abbuiare. 

XIX,  38,  5. 
adorno,  bello,  vili,  4,  6.  x,  60,  6.  xxvii,  47,  4. 

XL,  72,  4. 
a  dritto  e  a  torto,  vi,  10,  7.  xxvii,  126,  7. 
adunazione,  xx,  14,  4, 

adulterare,  commettere  adulterio,  xxviii,  82,  4. 
aere,  aspetto,  xxxvii,  32,  3. 
o  fatto,  tutte  quante,  xxxvii,  80,  8. 
affacciarsi,  presentarsi,  va,  56,  1. 
affermare,  fermare,  vili,  71,  4. 
afferrare,  colpire,  vii,  6,  6.  xxxlx,  49,  4, 
alìgere,  xxxv,   16,  5. 
affligere,  xxvii,  64,  3.  xxx,  1,  7. 
afflitto,  avariato,  vii,  18,  2.  —   estenuato,  xli, 

52,  6. 
affondare,  metter  sotto,  xxvi,  IH,  3. 


676 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


affrappare,  tagliare  a  frappe,  xiv,  130,  5. 

affrettare,  affrettarsi,  xxiil,  14,  8. 

a  fil  della  sinopia,  iv,  13,  2. 

a  filo,  dirittamente,  xn,  83,   7.  xxxiii,  101,  6. 

agevole  aura,  placida  a.,  x,  37,  7. 

aggirare,  circondare,  xii,  13,  8.  —  girare,  xxxiv, 
52,  2.  —  muovere  in  giro,  xii,  18, 14.  xxiv, 
106,  2.  xxvll,  23,  5. 

aggiornare,  esser  giorno,  xxvil,  12,  5. 

aggiungersi,  giungere,  ti,  59,  3. 

aggiungersi  d'amicizia,  xliv,  1,  3. 

aggiunta,  giunta,  xxx,  6,  5. 

aggravare,  gravare,  dar  molestia,  xxxvi,  30,  4. 

aggrevare,  l,  26,  7.  xxiv,  78,  3. 

agio,  piacere,  XLiu,  113,  7. 

agognare,  bramare,  vii,  2,  5. 

a  gran  pezzo,  a  gran  distanza,  xxxn,  38,  3.  — 
per  molto  tempo,  xli,  78,  2. 

Agnusdei,  l'ostia  sacra,  xxviii,  40,  8. 

a  guisa  che,  xxxvii,  88,  3. 

ai  tempi  suoi,  a  tempo  opportuno,  xvii,  34,  7. 

aiutante,  gagliardo,  Vir,  75,  6. 

o  tato  a  lato,  molto  vicino,  xxxviii,  26,  5. 

a  lato  una  cosa,  xxxvii,  119,  1. 

alhergarsi,  xv,  43,  3. 

albitrio,  xxiii,  36,  4. 

Alchimia,  vi,  59,  6. 

alcione  (femm.  plur.),  x,  20,  5. 

alcuno,  uno,  ix,  28,  5.  xxvii,  22,  7. 

alcun',  alcuni,  vi,  61,  3.  x,  99,  6.  —  senza  apo- 
strofo, XXIV,  4,  7.  xxvn,  58,  3.  xxvni,  58,  3. 

al  dritto,  dirittamente,  xv,  46,  8.  xxxix,  77,  7. 

al,  fatto  'l,  xxxvi,  81,  6. 

alla  frasca,  a  cielo  aperto,  xxxii,  90,  2. 

alla  posta,  in  pronto,  xii,  83,  3. 

allargarsi,  prendere  11  largo,  xiii,  17,  8. 

alla  scelta,  secondo  il  gusto,  xs,  8,  3. 

alla  sprovvista,  improvvisamente,  xxxvii,  76,  4. 

alla  sua  vita,  in  vita  sua,  xix,  95, 1.  sxvii,  88, 
4.  xxviii,  9,  2. 

alla  via,  alla  volta,  ix,  91,  8. 

alle  frutta,  a  cose  finite,  xlui,  153,  3. 

allegrezze,  giorni  d'allegrezza,  xvii,  69,  8.  xxi, 
9,  6. 

allevarsi,  essere  allevato,  crescere,  ix,  37,  5. 
xiir,  24,  3. 

all'incontro,  a  confronto,  xv,  48,  1.  —  di  con- 
tro, XV,  61,  8.  —  incontro,  xxxi,  9,  2. 

alloggiarsi,  xii,  9,  2. 

allotta,  II,  7,  6. 

all'usanza,  xxi,  26,  2.  —  o  sua  usanza,  xui, 
25,  3. 

alma,  lena,  xxx,  13,  7. 

al  manco,  al  più  lungo,  xxviii,  13,  6. 

al  meglio,  vi,  55,  1.  xii,  3,  8. 

almiraglio,  xvii,  99,  4. 

al  rezzo,  al  buio,  v,  óO,  3. 

al  terreno,  a  terra,  vili,  37,  6. 

altiero,  splendido,  xii,  8,  2. 

alto,  alto  maro,  viii,  36,  4.  x,  19,  8.  xvili,  1*1,  '• 

alto,  profondo,  ili,  5,  2. 

altrelanto,  inoltro,  XI. ni,  105,  3. 

altrimenti,  affano,  x,  19,  4.  xi.iv,  13,  2. 


altri  tanti,  altrettanti,  xviii,  20,  2. 
altro,  alcuno,  xxiii,  68,  1.  xxx,  50,   7.   —  ben 
altro,  xxx,  39,  8.  xxxiv,  72,   1.   —  il  rima- 
nente, xvii,  65,  1.  XLVi,  110.  2. 
altro  che,  avverbialmente,  xsu,  96,  2.  xlv,  86,  7. 
altro  matin,  mattino   che   succede  alia  notte, 

XXIII,  52,  1. 
altrui,  nel  soggetto,  xxxi,  57,  6. 
altrui  che,  ad  altri  fuorché,  v,  67,  4. 
a  lunga  prova,  l,  50,  7. 
al  tutto,  XIV,  53,  6. 

alzare  in  alto,  dire  a  gran    voce,    xxxi,  53,  4. 
a  macco,  in  abbondanza,  xxx,  8,  6. 
a  mano  a  mano,  di  subito,  vii,  80,  4.  xi,  6,  5. 
a  man  salva,  sicuramente,  xxvi,  134,  3. 
amareggiare,  divenire  amaro,  viu,  26,  5* 
amare  miseramente,  ii,  11,  8. 
ambascia,  fatica  travagliosa,  iv,  12,  6. 
amendua,  xn,  35,  5. 
amistanza,  xxxviii,  7,  4. 

ammirarsi,  maravigliarsi,  xiv,  81,  6.  xliii,  48,  3. 
ammonire  uno  a  fare,  xxvn,  76,  4. 
amo,  dell'ancora,  xi,  38,  7. 
a  modo  che,  come,  xxvili,  98,  7. 
o  violte  miglia,  alla  distanza  di  m.  m.,  IV,  68, 

6.  V,  76,  6.  xxxn,  85,  4.  XLii,  46,  1. 
amorosa  (agg.),  amante,  xxxvi,  78,  1. 
anacoluto,  xii,  5,  6.   xvi,  29,   2.  xyiv,  101,  1. 
XXV,  9,  1.  xxvii,  46,  1;  106,  3.  xxxi,  102,  5. 
xLii,  15,  8. 
a  naso,  xvil,  42,  5. 

anco,  anzi,  xxviii,  77,  8.  —  di  nuovo,  xii,  19,  8. 

anco,  ancora,  in  proposizione  negativa  significa 

pure  (né  pure),  xvi,  36,  8;  54,  2.  xviii,  146, 

2  ;  178,  7.  XXIV,  38,  4.  xxv,  41,  3.  xxxi,  51, 

8,  xxxvn,  4,  8;  10,  3.  xxxix.  70,  B.  XLI,  9,  2. 

ancora,  ciò  non  ostante,  xi,  10,  8. 

ancora  per  11  pronome  stesso,  xiv,  115,  7.  xviil, 

76,  7.  XX,  101,  7.  XXII,  7,  8.  xxv,  46,  4. 
ancor  che,  con  l'indicat.,    v,   11,   7.  x,  42,   3, 

XVII,  24,  1.  XXVII,  79,  2. 
àncore  da  rispetto,  xviii,  143,  5. 
andare  addosso,  assalir  con  parole,  xviii,  91,  5 
andar  da  canto,  xn,  21,  5. 
andar  dietro,  succedere,  xLV,  4,  3. 
andare  in  armata,  x,  93,  6. 
andar  per  fil  di  spade,  xviii,  50,  3. 
andar  presso,  assomigliarsi,  xviii,  155,  4. 
andare  un  bando,  xxxvii,  81,  5. 
angelo  migliore,  ang.  custode,  xiv,  73,  6. 
ungersi,  angustiarsi,  xxxviii,  70,  1. 
angonia,  xxx,  31 ,  8. 
animanti,  animali,  vai,  79,  1. 
animosità,  coraggio,  xli,  92,  5. 
anitrire,  xxxi,  87,  3.  xxxvili,  34,  1. 
07)716^0,  anello,  ni,  69,  1- 
annoiare  a  uno,  xx,  124,  8. 
a7i7io/<a7c,  ossor  nolto,  xsvil,  12,  5. 
antartico  (soatant.),  in,  17,  0. 
a' panni,  aiipresso,  xlvi,  SS,  8. 
a  parte  a  parte,  ixxi,  H'J.  5- 
aptrto,  naDlItxf'.o,  s:i,  ?/?,  ?• 
I  a  poggia  e  adorta,  \tyi,Ti,  6;  liJ;  >.  iti,  Ir,  2. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


677 


appagare,  couipeusare,  x,  105,  8. 

apparire,  vi,  4,  6.  ix,    23,    6.    XL,   4,   4.  xlvi, 

106,  3. 
apparecchiale,  apparecchiarsi,    xix,  41,  4.    xl, 

43,  7. 
apparecchiarsi  di,  xxv;,  11,  3. 
appendere  in  dubbio,  xxsvii,  60,  4. 
appertenere,  ix,  89,  8. 
apperlinenie,  xviii,  48,  6.  xli,  60,  7. 
appetito,  gusto,  xxviii,  35,  8. 
applaudire,  mostrarsi  favorevole,  xiii,  4,  7. 
appo,  in  confronto,  sxxiii,  105,  4.  xxxiv,  52,  5. 
appostare,  dirigere,  i,  Ti,  5.  —  prender  di  mi- 
ra, XVII,  98,  3. 
appresso,  vicino,  xvi,  41,  7.  —  da  vicino,  xxxiv, 

71,  2.  —  inoltre,  xlvi,  37,  5;  103,  6. 
appresentarsi,  figurarsi,  xxvii,  25,  7. 
appuntare,  notare  su  earte  geografiche  i  punti 

del  viaggio,  xix,  44,  6. 
aprico,  di  persona,  xv,  30,  4. 
aprire,  scoprire,  iv,  23,  7  ;  68,  2.  —  far  mani- 
festo, XIII,  48,  7. 
aprire  al  gregge,  xvii,  34,  7. 
a  punto,  a  proposito,  i,  6,  7.   —  interamente, 

XXIII,  75,  8. 
a  punto  a  punto  come,  xxxi,  ItO,  3. 
a  quella  volta,  xvin,  109,  2.  xxx,  57,  3. 
a  gucl  punto,    in    quel    momento,   xxvi,  95,  5. 

xxvn,  87,  6. 
a  quel  tratto,  quella  volta,  xxix,  66,  4. 
a  questa  volta,  xix,  95,  4.  xxxiii,  118,  8. 
arbitrio,  volontà,  xvi,  4,  6. 
arcivesco,  xxxviii,  23,  2. 
ardire  ad  una  cosa,  xx,  71,  2;  99,  7. 
ardirsi,  xvi,  5,  3.  xxxix,  79,  6. 
ardore,  fulgore,  xviii,  141,  7. 
argento,  mercurio,  xv,  70,  5. 
argumento,  strumento,  xvi,    31,    5.    —    mezzo, 
XLI,  16,  6.  XLVI,  95,  3.  —  causa,    xliii,    10, 
7.  —  prova,  xvii,  41,  1. 
arguto,  armonioso,  vili,  29,  2. 
aria,  aspetto,  xxviii,  29,  5.  xxx,  79,  3. 
a  ripa  il  mar,  XLIV,  73,  4. 
armata,  esercito,  xxxiii,  11,  2. 
arnese,  xvii,  101,  7.  xxiii,  13,  2.  —  tutta  l'ar- 
matura, XXIV,  64,  8.  XXVII,  78,  5. 
arnesi,  attrezzi  della  nave,  xiii,  18,  4. 
arrandellare,  scagliare  a  guisa  di  un  randello, 

XVIII,  6,  5. 
arrestare,  por  sulla  resta,  ii,  50,  5.   xii,  82,  8. 

XV,  51,  4.  XXVI,  14,  3;  77,  2. 
arrido,  xxvi,  103,  1.  xxvii.  111,  4. 
arriscarsi,  xxxviii,  51,  3. 
arrivare  al  segno,  xv,  1,  6. 
arrogere,  xxvii,  31,  7.  xxxiii,  67,  I. 
arrossir  le  gote,  per  pudore,  xxviii,  83,  5. 
arrostarsi,  vi,  65,  8. 
artegliaria,  x,  51,  5. 

articolo  omesso,  ii,  14,  8.  ni,  32,  3.  vii,  10,  4. 
vili,  4,  3.  X,  28,  7;  54,  7;  82,  2.  xiv,  121, 
8;  131,  4.  XV.  II,  7.  xvi,  34,  2.  xvii,  4,  5. 
xvin,  9,  1  ;  140,  3  ;  162,  3  ;  174,  4.  xix,  57, 
3;  84,  8.  XX,  60,  3;  140,  8.  xxii,  21,  1.  xxiv, 


7,  5.  XXVII,  51,  5.  XLI,  32,  3,  e  in  moltissi- 

mi  altri  luoghi.  —  nel  superlativo  relativo, 

VII,  69,  5.  vili,  67,  4.  xix,  34,  2.  xxxiv,  67,  4. 

articolo  determinativo,  per  l'indetermin.  xvii 

87,  7.  XXVI,  43,  1, 
articolo  al  complemento  di  materia,  xii,  87, 1. 

XLI,  101,  4. 
articolo  in  alcune  locuzioni  superlative,  vi,  55, 

1.  IX,  42,  3. 
a  salvamento,  a  man  salva,  xvil,   128,  6. 
ascendere,  montare  a  cavallo,  vi,  57,  3. 
asciolto,  xr,  7-3,  3.  xmr,  101,  5. 
ascolta,  scolta,  xxxi,  51,  5.  xxxii,  91,  4. 
ascondere,  perder  di  vista,  xliii,  63,  6. 
aspe,  aspide,  xviii,  33,  6.  xx,  37,  4. 
aspetta  aspetta,  esclamazione,  xxn,  59,  3. 
asseguire,  conseguire,  xxvii,  44,  6. 
assestarsi  con,  xx,  122,  5. 
assicurarsi,  tenersi  sicuro,  xlv,  12,  3. 
assiso,  situato,  xxxiii,  3,  8.  xxxvii,  56,  6.  xliv, 

73,  3. 
assolto.  Ubero,  xxxiv,  23,  5.  —  messo  in  libertà, 

XX,  55,  8. 
assonnare,  esser  tardo,  i,  49,  3    lil,  75,  6.   xx, 

114,  0.  XXI,  34,  3. 
assorgere,  alzarsi,  xliii,  61,  5. 
assunto,  impresa,  xxxvm,  61,  8. 
astretto,  messo  alle  strette,  xii,  44,  2. 
astringere,  stringere,  xvi,  28,  3.  —   astringere 

il  morso,  XLIII,  33,  1. 
a  suo  appetito,  a  sua  voglia,  xix,  58,  8. 
a  tempo,  nel  tempo,  xvil,  118,  7. 
a  tempo  e  a  luogo,  xxv,  79,  6. 
a  terra  a  terra,  viil,  61,  1. 
a  torno,  al  tornio,  xi,  69,  4. 
atro,  tetro,  xxvi,  37,  4. 
attastare,  assaggiare,  sentire,  xxx,  61,  5. 
attenere  una  cosa,  xli,  87,  2. 
attendere  per  fare  una  cosa,  attendere  a  f.  u. 

e.,  XXI,  10,  2. 
attenere,  stare  a  cuore,  3;viii,  116,  3. 
attenuato,  estenuato,  li,  13,  l.xvii,  131,  8.  xxxiii, 

120,  3. 
attingere,  toccare,  xxii,  10,  4.  xli,  13,  4. 
atti  scenici,  xliv,  33,  6. 
attizzar  le  vespe,  xliii,  47,  6. 
atto,  agile,  vi,  61,  6.  xxvii,    71,    2.   —   destro, 

vi,  61,  6.  XLVI,  118,  6. 
atto  di,  XIX,  58,  5. 
attonito,  XI,  18,  6. 
attrazione,  xi,  27,  6.  xrv,  108,  6.   xxiil,    46,    7. 

XXXI,  99,  6.  XXXVII,  114,  3. 
attrazione  del  complemento,  iii,  60,  6.  v,  92,  8. 
attrazione  del  participio,  vi,  34,  5.    xviii,  123, 

5.  XXXVI,  27,  2.  xxxvm,  56,  5. 
attristirsi,  cong.  attrista,  xxvi,  70,  7. 
attrita,  consumata,  xlui,  185,  1.  —  compunto, 

XLIII,  193,  7. 
o  tuo  costo,  a  tue  spese,  xix,  90,  7. 
audienza,  v,  84,  8. 
a  un  tratto,  nello  stesso  tempo,  xi,  36,  4.  xix, 

68,  6. 
ausa,  ardita,  xxvi,  19,  5. 


678 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


ausiliare  avere  per  essere,  xxiii,  26,  5.  xxxvii, 

40,  6. 
a  tiso,  a  comodo,  xliv,  22,  5. 
austrino,  iv,  30,  1.  xxxviir,  29,  5.  xlii,   89,   4. 
avaecio,  xvi,  53.  5.  xxvi,  74,  6. 
o  valle,  al  basso,  xviii,  53,  1. 
avanzarsi  terreno,  guadagnar  t.,  xvi,  70,  5. 
o  venire,  avvenire,  xxvi,  2,  8. 
a  ventura,  a  caso,  xvil,  82,  3. 
avere,  potere,  xvi,  18,  6.  xvii,  38,  5.  xvili,76, 

1.  XXXVI,  47,  4. 

avere  (forme  irregolari)  —  aihi,  abbia,  v,   87, 

2.  XIII,  19,  4.  XX,  45,  2.  —  con  l'apostrofo, 

XVII,  4,  2.  XVIII,  192,  6.  —  avia,  xxi,  6,   4. 
—    avémo,  xiv,  70,  6.  —  avesse  per    aveste, 

XVIII,  129,  3. 

avere,  essere,  xl,  44,  2.  xliii,  176,  6.  xlv,  44,  3. 
avere  a  o  da,  con   l'infinito,    in    senso   futuro, 

XV,  35,  2.  XVI,  35,   8.    xxvi,    108,    6.    xxvii, 

46,  7.  XXX,  28,  2.  xxxi,  79,  1.  xxxui,  12,  2. 
avere,  ritrarre,  xli,  87,  6.  —  sapere,  XLi,  54,  2. 
avere  adito,  entrare,  xviii,  56,  5. 
avere  a  fare    (non),    non    aver    diritto   alcuno, 

xLiii,  136,  8. 
avere  alle  sue  voglie,  XLIV,  38,   1. 
aver  buon  merlo,  esser  riconoscente,  v,   14,   5. 

XXXI,  66,  8. 
aver  caro,  desiderare  d'avere,  xxvi,  65,  3. 
aver  conto  d'una  cosa,  far  conto  d'u.  e,   xxi, 

3.  3. 

avere  espedito  (un  linguaggio)  parlar  spedita- 
mente,   IX,  5,  7. 

aver  fisso  il  chiodo,  essere  ostinato,  xxxiv,  28,  8. 

avere  il  meglio,  aver  vantaggio,  xlvi,  128,  4. 

aver  guardia,  aver  cura,  xxiii,  11,  3. 

avere  il  capo  basso,  essere  sdraiato  per  dor- 
mire, xvir,  109,  1. 

avere  il  core  di  fare  una  e,  avere  il  desiderio 
di  f.  u.  e,  XXVI,  136,  5. 

avere  il  pregio  di  uno,  averne  vittoria,  xxxvi, 
16,  8. 

avere  impresa,   xvil,  104,  1.  xxxi,  25,  1. 

avere  in  fantasia,  xiii,  7,  6. 

avere  in  favore,  favorire,  xxxiv,  64,  3. 

avere  in  pronto,  aver  presente,   xx,  5,  4. 

avere  uno  in  un  luogo,  XLVI,  49,   4. 

aver  la  gola  a  una  cosa,  esserne  ghiotto,  x, 
10,  5. 

aver  mente  a  una  cosa,  xn,  53,  7.  xxxvi,  47,  3. 

avere  ordine,  stabilire,  xxxix,  65,  1. 

aver  pietà  a  uno,  xxxix,  76,  5. 

aver  qualcosa  coìi  uno,  averci  qualche  relazione 
amorosa,  v,  31,  5. 

aver  ragione  in  una  cosa,  xxvii,  84,  1.  xlvi, 
57,  7. 

aver  rivolto  a  sé  il  dominio,  averlo  nelle  sue 
mani,  x,  31,  4. 

aver  seco  il  core,  esser  padrone  de'  suoi  senti- 
menti, xxvii,  131,  6. 

aver  sicuro,  ritener  sicuro,  xix,  60,  4. 

aversi  in  urta,  xxxi,  41,   1. 

aver  trista  pelle,  esser  di  poco  valore,  xxxviii, 
45,  7. 


avvallarsi,  entrar  nelle  valli,  xv,  64,  5. 
avvampare,  accendere,  xvm,  163,  4. 
avvantaggiato,  migliore,  xxiii,  93,  6. 
avvenga  che  con  l'indicat.,  xvm,  129,  5. 
avvenire,  provenire,    derivare,    iv,    61,   5.   vili, 

9,  8.  XX,  45,  3. 
avvenire  la  sorte,  u,  76,  l. 
avvenir  fatto,  venir  fatto,  XLV,  74,  7. 
avvenirsi  a  fare  una  cosa,  accader  di   fare   u. 

e,  XXXII,  45,  5. 
avvenne  che,  avvegna  che,  xii,  31,  5. 
avventura,  la  fortuna,  xlvi,  86,  3. 
avventuroso,  che   offre   molte   avventure,  xlii, 

46,  2. 
avverbi  accordati  con  sostantivi  o  agg.,  v,  18, 

7;  54,  5.  viii,  67,  1.  x,  112,  6.  xlii,  4,  5. 
avverbi  usati  come  aggettivi,  v,  18,  7.  xli,  80, 

8;  89,  8. 
avvertire,  avvertisce,  xxxv,  39,  6. 
avvezzo  in,  xxiii,  83,  5. 
avvisarsi,  figurarsi,  ii,  66,  7.  xvm,  72,  3.  xxvi, 

70,  3. 
avviso,  avvedutezza,  xi,  53,  4.   xx,    119,    6.   — 

notizia,  XLVI,  51,  4. 
azione  di  un  costrutto  sopra  un  altro,  in,   73, 

1.  vili,  16,  2.  X,  61,  2.  XXI,  15,  7. 


B 

badare,  aspettare,    xii,  37,  5.    xv,  54,  1.    xvili, 

148,  6.  xxiv,  58,  7. 
balia,  forza,  XLVi,  66,  2. 
hallador,  xix,  44,   1. 
banda,    della    nave,    xli,   14,  1.    —  del  raoudo, 

XI,  24,  1. 
barbaro,  barbero,  XLV,  71,  1. 
barone,  uomo  di  gran    qualità,    ii,  21,    5.  xxxl, 

27,  2. 
battaglia    ordinata,    ordine   di    battaglia,   xvm 

60,  3. 
battere  il  fianco,  ansare,  xxii,  87,  4. 
battersi  la  guancia,  i,  6,  2. 
batter  l'ali,  andar  veloce,  xxxviii,  36,  2. 
batter  le  penne,  tremolare,  o  venire,  xii,   86    6. 
battezzar,  battezzarsi,  xli,  47,  6. 
ben,  ma,  xxvi,  7,  5. 

benché  coli' indicat.,  xvi,  54,  5.  xvm,   109,   1. 
berzaglio,  XL,  25,  4. 

biasimevole,  che  da  biasimo,   vm,  87,  6. 
bica,  XXX vi,  76,  1. 
birra,  custode,  xxxvil,  94,  2. 
bizzarro,  iracondo,  xvici,  3,  7. 
braccio    migliore,    il    destro,    xli,    89,    5.    xlvi 

139,  2.  ' 

brachilogie,    iii,  16,    2;    18,   5.    v,   8,   4,   25,  1; 

57,  4;  78,  7.  xii,  4,  4;  33,  5.  xiv,   29.  5.  xv/', 

17,  1;  73,  7.    XVII,  40,  6;  115,  2.  xix,  11,  8; 

98,    6.    XXI,    29,  5.  xxiii,    30.    xxvii,  104,  i. 

XXIX,  62,  4.  XXX,  12,  8.  xxxviii,  3,   1.  xxxix, 

54,  5.  XL,  3,  2.  XLI,  28,  1.  xlii,    81,    6;    83^ 

4.  XLIV,  87,  1.  XLV,  28,  3;   83,  6. 
brando  per  brando,  xxxi,  91,  5. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


679 


bravo  (animale),  x,  33,  4. 

hreve,  piccola  lista  di  carta,  xxvii,  45,  1. 

huccia,  boccio,  x,  11,  4. 

buffare,  xxxix,  56,  6. 

buono,  forte,  xv,  15,  3.  xx,  36,  3.  xxvii,  14,  1. 
xxxn,  84,  5.  —  propizio,  xix,  41,  3. 

bussare,  xxvii,  29,  1. 

busto,  tutta  la  persona,  xv,  97,  4.  —  cadave- 
re, XIV,  101,  3. 


c 


cacciare,  andare  in  cerca,  xii,   7,   5.   —  cavar 

fuori,  vili,  9,  1. 
cacciare  una  punta,  menare  un  colpo  di  punta, 

XXXVI,  57,  7.  —  e.  uno  scontro,  xviii,  9,  2. 
cacciato,  rimoto,  xiv,  94,  4. 
cadere,  accadere,  xxxviii,  13,  8.  —  capitare  per 

disgrazia,  xxxvii,  83,  2.  —   derivare,  xxix, 

29,  5.  XXXV,  7,  2.  —  ìpcendere,  xxix,  5t,  4. 

—  venire  per  avventura,  xxiii,  1,  5. 
cadere,  cadére,  xix,  94,  7.  xxxii,   79,   5.   xliv, 

95.  5. 
cader  della  ragione,  perdere  la  propria  r.,  xxx, 

64,  4. 
cadere  in  sentimento,  cad.  in  mente,  xvii,  109,  8. 
cagione,  colpa,  xxxviii,  87,  5. 
calamo,  strale,  xix,  9,  2. 
calare,  approdare,  xxxix,  31,    4;    35,  4.    xlii, 

23,  3.  —  avvicinarsi  al  porto,  xl,  60,  7.  — 

condurre  a  seconda,  per  acqua,  xliii,  41,  8. 
eaJcare,. deprimere,  xxiii,  35,  5. 
calce,  calcio,  (della  lancia),  xix,  94,  3. 
calciar,  calzar,  xix,  71,  5. 
calcitar,  XLii,  51,  4. 
caldo,  bramoso,  xxvi,  8,  8. 
coWo  e  gelo,  le  vicende  di  questa  terra,  XLlli, 

170,  4. 
ealende,  mese,  xxxiii,  27,  6.  —  calende  e  idi, 

(mesi  interi),  xvii,  68,  3. 
calumare,  xix,  53,  3. 
Camaglio,  xlt,  83,  2. 
cambiamenti  di  costrutto,  xlv,  71,  2. 
carni»,  caramin  dritto,  xliii,  125,  1  ;  188,  7. 
campo  franco,  xlvt,  58,  3. 
campi,  terra  smossa  dei  campi,  xxxix,  14,  7. 
cono,  canuta,  xxxir,  88,  4. 
candidi,  schietti,  xliv,  4,  8. 
canna,  zampogna,  xiv,  61,  7. 
tapace  a,  ni,  48,  6.  xii,  79,  6. 
zapace  a  una  cosa,  che   comprende  una   cosa, 

XII,  79,  6. 
capire,  comprendere,  contenere,  lii,  21,  3.    ix, 

68,  7.  XXXIX,  26,  2. 
•.apitale  (nemico),  xvii,  85,  7. 
•,apo,  persona,  xi,  53,  8.  —  vita,  xx,  35,  4, 
•.apra,  capra  selvatica,  xxxix,  69,  3. 
laprio,  VI,  22,  7.  xxiv,  13,  4. 
•.aracca,  xviii,  135,  1. 
'.arme,  squillo,  xxxvi,  29,  5. 
:ormi,  ni,  15,  3.  —  iscrizione,  xxiv,  57,  5,  xxxvi, 

42,  3, 


carole,  canzoni,  xl,  65,  5. 

caso,  supposizione,  xxxviir,  60,  5.  —  avveni- 
mento, fatto,  XXXI,  107,  4.  XLit,  f ,  2.  —  pe- 
ricolo, xxxvi,  76,  4. 

casso,  privo,  xir,  90,  5.  xxxi,  47,  4.  —  senz'ef- 
fetto, XXI,  10,  5. 

cataratta,  bodola,  xlv,  45,  1. 

causa,  ragione,  xliv,  55,  5.  xlv,  50,  7. 

cava,  fossa,  xiv,  131,  2. 

cavalcare  un  luogo,  percorrerlo  a  cavallo,  x, 
35,  4. 

cavamenti,  fosse,  u,  25,  4. 

cavo,  profondo,  xxn,  93,  1. 

ceco  di  voler,  ceco  di  voglia,  v,  62,  5. 

cedere,  pass,  cesse,  vii,  28,  5.  —  participio  pass. 
cesso,  xxvii,  111,  2.  —  passare,  xxxiii,  19, 
8.  —  andare,  xliv,  45,  4. 

celare,  perder   di   vista,   ix,  59,  4.  xliii,  63,  G. 

celarsi  da,  xi,  6,  7.  —  XLVi,  31,  1. 

celebrar  balli,  xvil,  21,  1. 

celeste,  che  va  per  il  cielo,  ii,  5',  2. 

Celle,  Celti,  xli,  2,  3. 

cennare,  accennare,  xiv,  94,  8. 

cenni,  minacce,  xxii,  6),  6.  xxvi,  104,  5. 

cenno,  dimostrazione,  xxxviii,  13,  6. 

cerchi,  macchine  da  guerra,  xiv,  112,  5. 

cerchio,  spazio,  xxiv,  101,  8. 

certa  a  morir,  xiii,  27,  1. 

certesza,  prova  certa,  v,  37,  5. 

cessare,  indugiare,  xliu,  163,  7.  xlv,  94,  7. 

che,  affiucu.,  xxiu,  87,  2.  —  chi,  ni,  32,  5;  54, 
7.  XXVI,  5L'.  6.  —  cosa  che,  xlvi,  98,  3.  — 
cosi  che,  UT.  74,  3.  iv,  49,  2.  v,  16,   4.   vii, 

I,  3.  vili,  62,  5.  XII,  10,  7.  XVI,  14,  6;  20, 
6;  29,  7;  49,  8.  xvii,  8,  3.  xviii,  37,  6.  xxiv, 
102,  3;   109,  5.  xxviii,  18,  7.  —  fintanto  che, 

II,  24,  6.  XI,  9,  6.  XIII,  7,  4.  xxnr,  132,  6. 
XXV,  2,  4.  xxvn,  6,  7.  xxxvi,  68,  5.  xxxvii, 
118,  t.  —  il  che,  xvn,  82,  8.  xix,  72,  4.  xxiv, 
31,  5.  xxviii,  37,  7.  XXXIV,  26,  5.  xlv,  109, 

1.  —  ma,  XLIII,  161,  7.  —  perché,  i,  66,  5. 
Ili,  50,  1.  IV,  1,  6.  V,  16,  5.  VI,  11,  3.  vii, 
10,  3.  vili,  89,  6.  IX,  19,  5.  XI,  38,  5;  53,  6. 
XIV,  85,  3.  xvr,  64,  4.  xvii,  130,  2.  xxi,  65, 

2.  XXIV,  18,  5.  xxviii,  23,  4;  31,  3.  —  poi- 
ché, X,  36,  8.  xii,  12,  6.  xviii,  3,  6;  6,  4  ; 
54,  7.  xxviii,  51,  4.  —  quale  (interposta 
qualche  parola  fra  il  che  e  il  sostantivo), 
vili,  43,  8.  XIII,  3,  7.  XXXI,  1,1.  —  quando, 
VI,  58,  8.  vu,  2,  7.  XV,  63, '3.  xvu,  48,  3; 
108,  4;  115,  5.  xx,  30,  7.  xxni,  70,  8.  xxvii, 
57,  5.  XLI,  82,  8.  —  quando,  se  (in  propo- 
sizione coordinata  a  una  temporale  o  con- 
dizionale), IV,  60,  5.  V,  4,  5.  IX,   31,  5  ;  .55, 

3.  XI,  71,  5.  XVII,  5,  7.  XIX,  82,  2.  xxiii,  74, 
5.  XXIV,  31,  2;  43,  3.  xxx,  1,  3;  89,  3.  — 
quanto,  xxvii,  31,  5.  —  quanti,  xl,  2,  5.  — 
quale  (interrogat.),  xxxvii,  74,  7.  —  quello 
che,  vili,  89,  8.  xx,  129,  6.  xxi,  62,  4.  xlvi, 
98,  3.  —  questo  che,  xxxil,  33,  5.  —  subito 
che,  XX,  139,  3.  xxn,  83,  4.  —  senza  che, 
xvni,  25,  4.  XXI,  35,  1.  —  che,  deprecativo, 
XLi,  6,  6.  —  relativo  finale,   xv,   13,    8.  — 


680 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


col  congìunt.  nelle  proposlz.  oggettive,  i, 
38,  6.  H,  12,  4.  V,  67,  8.  xsix,  17,  7.  xxxvii, 
22,  2.  —  ripetuto  nelle  conclusioni,  v,  27, 
6.  VII,  47,  ó.  XVI,  29,  3.  xxxr,  100,  1.  — 
dopo  propos.  negativa,  xv,  51,  6.  —  che, 
senza  accento,  i,  7,  1.  m,  6,  6.  —  senza 
prep.  nei  complementi,  vn,  48,  2.    xiir,   37, 

5.  XVI,  88,  4.  xviii,  111,  7.  xs,  58,  5  ;  63,  7. 
XMV,  75,  1.  xxvii,  135,  1.  —  usato  alla  ma- 
niera popolare,  i,  65,  5.  xx,  63,  7.  xxiv,  5, 
7;  75,  1. 

chtrere,  chiedere,  iv,  33,  7.  xxv,  77,  6. 

cheto,  di  nascosto,  v,  42,  5. 

cheto,  tranquillo  nell'animo,  ii,  66,  '2. 

chi  riferito  a  cosa,  vii,  60,  2.  x,  97,  8.  xxviil, 
32,  8.  xxxii,  38,  8.  xxxviii,  13,  8.  —  che, 
XXXV,  80,  2.  —  che  cosa,  xix,  56,  7.  —  co- 
loro che,  XXVI,  82,  3.  xliu,  74,  5;  —  cosa 
che,  xxviii,  32,  8.  xxxvin,  13,  8;  16,  5.  — 
cui,  II,  20,  8.  xnr,  44,  6.  —  qual  (aggett.), 
vili,  75,  5.  —  quella  che,  xxxvn,  5,  2.  — 
chi,  apostrof.  in  eh',  xvii,   134,   8.   xix,  47, 

6.  xxui,  10,  8;  53,  2.  xxxiii,  127,  4.  xxxvii, 
10,  3.  XLv,  98,  5.  —  riferito  a  plurale,  vi, 
61,  8, 

chiamar  mercede,  xxni,  4,  8. 
chiamarsi  contento  da  uno,  xiv,  62,  5. 
chiamarsi,  dichiarare,  xvni,  66,  3. 
chiaro  (esser),  esser  certo,  ii,  60,  1. 
chiedere,  sfidare,  xxvi,  71,  8.  xlv,  24,  2. 
chiesa,  con  estensione  di  significato,  iii,  21,  1. 
chino  in  una  cosa,  xix,  44,  5. 
chiostro,  luogo  chiuso,  xvii,  f7,  5. 
chi  si  vuole,  ogni  persona,  xi/v,  103,  7. 
ci  o  vi,  ne,  vii,  2,  1.  xi,  7,  4.  xiii,  21,  4.  xvin, 
67,  5.  —  ci,  pleonastico,   xii,    80,    7.    xvin, 
67,  5.  —  complemento  di  causa,   xxvll,   57, 
8.  —  ci,  fra  noi,  xxv,  23,  8. 
cimare,  tagliar  la  testa,  xvm,  52,  6. 
cimitero,  tomba,  in,  12,  1.  xxxv,  44,  3.  xxxvii, 

84,  3. 
cingere,  colpire,  xix,  85,  6.  xxiv,  11,  5. 
ciprigna,  aggettivo,  xlii,  93,  8. 
circondare,  girare,  x,  113,    2.    xil,    14,    1.  xiv, 

106,  1.  —  far  giri  di  parole,  xuu,  119,  1. 
citare,  chiamare,  xx,  83,  3. 
citatorie,  xiv,  84,  1. 
citelli,  fanciulli,  ix,  37,  6.  xv,  72,  7. 
clade,  XXVI,  15,  7. 
claudere,  vii,  60,  5. 
claustro,  luogo  chiuso,  piazza  d'armi,  xix,  78, 

3.  —  vaso  chiuso,  xnv,  21,  7. 
co,  con,  XXVI,  67,  6. 
cocchina,  xix,  50,  7. 
cogliere  a  uno,  xv,  83,  1. 
cognome,  nomignolo,  xxiii,  104,  4. 
calcarsi,  xi,  42,  4.  xxx,  74,  2. 
colonnato,  ornato  di  colonne,  xxxili,  104,  3. 
coltra,  coltrice,  xxiii,  90,  5. 
colubri,  arme  do' Visconti  e   di  Milano,    X[,vi, 

94,  4. 
combattere,  contrastare  una  cosa  con  le  armi, 
xxxx.  106    8, 


combattere  una  cosa  contro  uno,  xxvii,  62,  4  • 

74,  8. 

combattere  una  querela,  xxvir,  43,  6.  ^ 

come,  come  se,  xxvi,  71,  5.  —  comunque,  xxvi,  ' 

130,  5.  —  poiché,  xxxni,  12],  7.  —  nel  senso- 

del  lat.  quippe,    v,  21,  7.    vi,  5,    6.    ix,  20,; 

7.  xxxvn,  100,  4.  xxxix,  45,  7. 

come  che,  con  l'indicat.,  xviii,  12,  4.  xi,i,  92,  7.; 
come  più,  quante  pili,  viii,  53,  5. 
come  prima,  appeena  che,  xxxi,  60,  5. 
cernere,  polire,  xxix,  27,  4. 
commercio,  compagnia,  xv,  49,  4.  xx,  50,  2. 
communemente,  in  comune,  xxxi,  104,  2. 
commiinicar,  comunicarsi,  xiv,  68,  7. 
comodo,  agg.  riferito  a  persona,  xiii,  34,  2. 
compagna,  compagnia,  iv,  39,  6.    xviii,    39,    4. 

XIX,  88,  6. 
comparare,  xxxv,  43,  6. 
comparativo    con   l'articolo    determinativo,    v, 

13,  8.  VI,  20,  1,  4.  X,  49,  2;  58,  I. 
comparire,  far  buona  mostra,    xxxii,  39,  1.  

far  comparsa,  xvii,  30,  1. 
comparire,  pass.  rem.  comparse,  xvm,  42,  5. 
compassi,  xi/m,  176,  4. 
complemento  ripetuto,  xvm,  120,  6.  xsiii,  104, 

8.  XXIV,  41,  8;  83,  5.  xlv,  85,  8.  —  compi, 
diretto,  anteposto  all'indiretto,  iv,  43,  2. — 
compi,  dì  spazio,  xlv,  51,  4. 

complessi,  abbracciamenti,   xxiir,    24,    7.  xxxr. 

32,  6. 
comporre,  inventare,   v,    30,    3.    xrv,  57,  3.    — 

concordare,  xxxvn,  100,  1. 
comportare  (non)  permettere,  xxxili,  38,  5. 
comportarsi,  contenersi,  xv,  5),  5. 
comprare,  procacciarsi  con  sacrifizio,  xxvi,  95,  2. 
comprendere,  scorgere,  xv,  44,  5.    xxil,   37,    3. 

xxvm,  60,  3. 
compreso,  appariscente,  xv,  74,  4. 
conca,  urna,  in,  22,  5.  vn,  37,  3. 
concedersi,  sottomettersi,  xiv,  53,  1. 
I  concepire,  generare,  xxxv,  49,  6.  xxxvi,  60,  1. 

—  stabilire,  xxxi,  77,  1. 
concia,  aggiustato,  xiv,  72,  6. 
concordanza,  usi  speciali,  xii,   10,   4.    xiv,    10, 

6.  xxxv,  24,  3. 
concorrer  d'' una  cosa,   accordarsi   con   uno    iu 

essa,  xvin,  147,  4. 
condizione,  indole,  3,  77,  4. 
condotto  (mal),  ridotto,  xl,  32,  4. 
condurre,  assoldare,  xx,  17,  2. 
condurre  alla  paga,  ecc.,  assoldare,  in,    66,  C. 
condurre  che,  coud.  al  punto    che,    xxxi,  5,  8. 
condarsi,  andare  a  combattere,  xli,  28,  2. 
«o?i  esso,  con,  xxi,  49,  1.  xi,,  35,  2. 
coìi/etto,  confolJurc,  x,  37,  4. 
conferir,  confi'laro,  37,   10.5,  2. 
conferir  una  cose  con  u'ìo,  roiiforir  di  una  cosa 

con  uno,  daritlit-ne  notiiia,  xliv,  30,  2.  xi.vi, 
32,  1.  —  trattare  ili  ima  cosa,   XMll,  60,  4. 
confidarsi,  assicurarsi,  xxrii.  89,  3. 
confidarsi  in  se.  xxvii,  64,  7. 
confine,  confini,  xix,  86,  2.  xxxv,  62,  5.  xxxvn, 
81,  7.  XLI,  51.  7. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


681 


confusa  (fede),  offuscata,  xxi,  68,  5. 
congiunto,  congiunta,  marito,  moglie,  xni,  6?,  G. 
conoscere,  riconoscere,  xxvn,  83,  8.  XLn,  6G,  7. 

XLiF,  96,  8.  —  conoscersi,  xliv,  G,  8. 
conoscersi  una  cosa,  accorgersene,  xxill,  87,  7. 
consigliare,  consigliarsi,  deliberare,  xxxi,  49,  5. 
consiglio,  accorgimento,  xxxni,  47,  6.  —  rime- 
dio, XXXI,  64,  6. 
consumei-e,  consume,  xxxv,  15,  t.  xl,  6.  5.  xlv, 

37,  8. 
contare  (di  anni),  avere,  xliii,   13,  4. 
conte,  leggiadre,  xxxn,  83,  3. 
contendere,  resistere,  contrastare,   xr.ix,  66,  6. 
contesta  (veste),  fatta,  cucita,  xliii,   155,  4. 
continenze,  portamenti,  xliii,   108,  4, 
conto,  insigne,  xxxvin,  20,  6. 
conto,  racconto,  xxxvn,  44,  4. 
contendere,  opporsi,  xlvi,  71,  1. 
contradire,  negare,  opporsi,  v,  33,  5.  xxvn,  26, 

8.  —  impedire,  xxvii,  97,  7.  xliv,  37,  3. 
cantra  il  giorno,  verso  levante,  xxiii,  8,  8. 
contrastare,  contrastette,  xxxii,  29,  3. 
contrastare,  opporsi,  xvm,  57,  2.  xxxvii,  115, 

6.  —  combattere,  XLin,  84,  6. 
convenire  a  uno,  esser  degno  di  uno,  xxxv,  29, 

3.  —  avere  conformità,  xlv,  81,  7. 
convenirsi,  concordare,  xxv,  74,  5, 
consegnare,  attaccare,  xii,  57,  6. 
consistorio,  il  consesso  dei  beati,    xiv,    100    7. 
consonare,  parer  verosimile,  vra,  75,  3. 
constringere  in  un  luogo,  fare  entrare  per  forza 

in  un  1.,  XXVI,  128,  7. 
contaminare,  subornare,  xxi,  40,  7. 
conte,  conosciute,  o  anche  belle,  xn,  74,  5   xx 
136,  2.  1)1-; 

contendere  (non),  far  difficoltà,  xxvi,  28,  8. 
coperto,  luogo  coperto,  vin,  81,  7.  xv,  45,  2. 
copia,  opportunità,  iv,  13,  4. 
coprirsi,  nascondersi,  sparire,  xiju,  126,  5. 
coraggio,  core,  xvin,  32,  4  ;  93,  6.  xxvn,  99,  6. 

xxxm,  68,  6.  xxxvm,  19,  6. 
corcarsi,  giacere,  vm,  51 ,  4. 
conio  dei  messaggeri  per  avvertire  i  castellani 

o  altri  della  loro  venuta,  i,  68,  2. 
corrente  (il),  la  corrente,  xxxi,  72,  5, 
corrente  (strada),  frequentata,  battuta,  xvi,  5,  6. 
correr,  fare  scorrere,  xxi,  36,  4. 
correre  in  volta,  girare  al  largo,  xv,  52,  3. 
correr  la  lancia,  iv,  17,  5.  —  e.  l'asta,  iv,  22, 
4.  XXII,  29,  2.  XXVI,  5,  2.   -  e.  l'antenna! 
xvin,  87,  6. 
corso,  corsa,  xxiii    60,  f, 
corte,  tribunale,  xxvui,  82,  6. 
cortese,  largo  di  soccorso,  iii,  64,  4. 
cosi,  molto,  X,  7,  2.  xxxvn,  37,  4. 
costoro,  coloro,  xxvn,  SO,  5. 
costrutti  popolari,  xxi,  28,  1  ;  31,  1. 
costrutto  cambiato,  x,  46,  3.  ' 

costrutto  interrotto  con  una  proposiz.  incidente 
coordinata,  ix,  92,  4.  xl,  59,  3.  xlv,  86    5 
costuma,  xix,  66,    6.    xx,    105,   8.    xxn    76    4 
xxxvii,  42,  6;   99,  8.  '       i     • 

costumi,  buoni  costumi,  vm,  89,   3.    xx    37    2. 

Ariosto  —  Papini 


cotta  d'armi,  xxvir,  52,  5. 

coturnici,  xliii,  76,  4. 

crebro,  sposso,  xxni,  46,  3.  xlh,  47,  3. 

credere,  affidare,  xur,  27,  8.  xv,  29,' 5. 

credere,  coli' indicativo   dipendente,'  v,    42     b 

vili,  64,  4.  ' 

credersi  in  uno,  affidarsi  a  uno,  xiii,  20,  7. 
croccare,  crocchiare,  ni,  8,  5. 
crocciare,  u,  S'J,  4. 
crocodih\  xl,   1,  6. 
crudo,  crudele,  x,  107,  2. 
cucco,  cuculo,  xxv,  31,  6. 
culto,  abitato,  xvin,   192,  4. 
cura,  attenzione,  xvui,  122,  5. 
curioso,  che  ha  cura  di  cercare,  xxvn,  10    6- 

70,  7.  '       1     > 


D 


da  apostrofato  in  d',  v,  10,  5;  54,  3.  viu  2  4 
IX,  62,  6.  XVI,  81,  1.  XVII,  114,  6.  xxil  W 
2.  xxin,  121,  7.  XXIV,  81.  2.  xxvn,  75  4- 
92,  4.  XXVIII,  50,  4;  70,  1.  xxx,  21,  2;  52,' 
5.  —  in,  VI,  34,  2.  —  coi  numerali,  xin,  32, 
7.  xxxii,  68,  8.  —  dopo,  XXXIX,  58,  1.  —  iu 
espressioni  di  tempo,  vm,  86,  1.  xi,  65,  2. 
XIX,  78,  1,  XXXVII,  28,  4;  87,  7. 

da  basso  e  d'alto,    al    basso    e    in   alto,  XLni 
137,  8.  ' 

da  canto,  in  disparte,  xn,  30,  4.  xxv,  79,  3.  — 
da  una  parte,  xv,  100,  8.  xxx,  30,  6. 

da  cavallo,  atto  ad  andare  a  cavallo,  xliv 
102,  4.  ' 

d'adosso,  da  dosso,  i,  66,  6. 

da  indi  in  qua  che,  xxix,  59,  S. 

da  la  lunga,  xv,  42,  4. 

da  lontano,  termine  di  moto,  xlv    117    2. 

d'alto,  dall'alto,  xv,  70,  5. 

damigella,  donna  maritata,  xxii,  50    8. 

dannare,  danneggiare,  xxtv,  65,  4.  '     ' 

dare,  pass.  rem.  de,  xx,  105,  i.'—'dénno,  xvn, 
63,  5.  xxxiv,  84,  6.  xxxvn,  36,  1;  119    8 

dare,  investire,  xxv,  12,  4.  xliv,  82,  3.     ' 

dar  campo,  dare  regolar  permesso,  XLVi,  58.  3. 

dar  capo,  dar  principio,  xxsvin,  76.  3. 

dar  chiarezza,  dar  prova,  xv,  96    6. 

dar  di  petto,  imbattersi,  xliii,  134,  2. 

dar  di  piglio,  pigliar  le  sue  carabattole,  xvui, 
U.&,  3.  —  predare,  xx,  13,  5. 

dar  disciplina,  insegnare,  ricordare,  x,   32    6 

dar  d'urto,  xvi,  62,  3.  xix,   83,   1.   xli.  88,'  1. 
dare  impresa,  dare  incarico,  xxiv,  39,  7. 
dare  intenzione,  dar  promessa,  vn,  78,  5.  xli 

dar  le  vele  alle  navi,  xxxix,  73    7. 

dar  luogo,  dare  agio,  xxvni,  56,  8. 

dar  mancia  d'una  cosa,  regalarla,  xxn,  29,  6. 

dar  negozio,  dare  incarico,  xxvn,   15    1. 

dare  nell'arbitrio,  xxvi,  97,  5. 

dar  nel  mezzo,  investire,  xxv,  12,  4. 

dar  nel  mondo,  dare    al   mondo,    xxxvi    61    5. 

dare  opra,  dar  materia,  xx,  3,  3. 


U 


682 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


dar  rotto,  far  rompere,  far  vincere,  xvi,  38,  5. 

dare  spirto,  dar  fiato,  xvil,  54,  7. 

darsi  dentro,  XL,  25,  6.   —    d.  nel   mare,   xli, 

51,  1. 
dar  vento  a  trombe  e  simili,  xxxi,  53,  3. 
dar  volta,  tornare  indietro,  xxv,  91,  6. 
da  seszo,  xi,  13,  3.  xvi,  68,  8.  xxni,  96,  3.  xxvii, 

6,  4. 

da  tempo,  nel  tempo,  xvn,   39,  1.  xvui,  17,  4. 

Dazia,  Danimarca,  vi,  16,  5. 

dea,  di  donna  mortale,  xii,  6,  3;  23,  4.  —  diva, 

XII,  29,  4.  XXIV,  83,  2. 
debito,  dovere,  iv,  56,  8.  xxxvm,  5,  1. 
debito,  opportuno,  xxvi,  107,  7. 
declinare,  porre   calando,    xxxix,  37,  3.    XLUi, 

189,  4.  —  piegare,  xxxi,  94,  3. 
decoro,  aggett.,  xi,  75,  5. 
d'effetto,  di  fatto,  xxv,  89,  5.  xxviii,  39,  4. 
degno  col  costrutto  latino,  m,    27,    1.    viii,  24, 

4.  xm,  65,  4.  xxvin,  98,  5.  xxxv,    7,   4.    — 

insigne,  xxxv,  14,  4. 
degno  che,  col  futuro  iudicat.,  xxxiv,  31,  3. 
del  per  di  nel  compi,  di  materia,   xxv,   37,    3. 

XXVI,  93,  8.  xxi,  101,  4.  XLV,  69,  3.   —  uso 

speciale,  xxi,  29,  5. 
deliberarsi,  iv,  49,  1.  xviii,  96,  7. 
demonio,  in  buon  senso,  xi.ii,  G6,  5. 
denigrare,  render  nero,  xviii,  3,  4. 
dentro  da,  xxi,  22,  6.  xl,  15,  7. 
depèndere,  si,  40,  8. 
deposto,  depòsito,  vu,  71,  4. 
desèrere,  deserto,   vili,  11,  f.  XL,  36,  1.  —  de- 
vastare, xxxviu,  39,  8. 
despitto,  XXX,  79,  4. 
destinare,  risolvere,  xxiii,  91,  5. 
destinarsi,  destinare,   xiil,    10,    4.    xxix,   33,  4. 
destro,  acconcio,  xiil,  40,  7.  XLH,  21,  5. 
devisare,   mostrare,   xxxvi,  83,  5.  xxxvii,  6?,  8. 

XLlii,   lOn,  5. 
di  voto,  onorato  devotamente,  xviii,  70,  7. 
di,  a,  xxxvii,  104,  1.  —   causale,   v,  40,  2.    x, 

39,  6.  XII,  46,  5.  XIII,  33,  3.  xxii,  50,  2.  xxiii, 

107,  5.  xxv,  15,  1.  XXVI,  42,  5.  xxvii,  85,  5; 

94,  6.   —  da,  I,  51,  6.  vi,  20,  2.    vii,    65,  6. 

vili,   16,  2.   XI,  23,  1.  xviil,  23,  6.  xxi,  66,  3. 

—  di  mezzo,  xxii,  44,  5.  —  con,  iii,  65,  6. 
XXII,  60,  6.  xxv,  53,  5  ;  108,  8.  xxxi,  67,  2. 

—  fra,  XIX,  77,  6.  —  in,  xxn,  51,  3.  —  li- 
mitativo, VII,  10,  6;  15,  3.  X,  68,  1.  xxxi, 
67,  5.  XLI,  71,  2.  —  per,  xiii,  70,    7.    xxin, 

7,  5, 

d'i  per  di,  IH,  66,  1. 
dianzi  che,  d.  quando,  xxx,  65,  8. 
di  banda  in  banda,  parte  por  parto,   x,   91,  7. 
di  botto,  subito,  XVII,   103,  3.  xlv,  63,  8. 
di  buon  cuore,  volentieri,  x,  64,  6. 
di  buon  osso,  robusto,  xviii,  100,  4. 
dicare,  xxviii,  96,  8. 

di  che,  per  la  qual  cosa,  xviii,  116,  1.  xxi,  35,  3. 
dicidere,  dire  distintamente,  viii,  90,  6. 
di  cor  profondo,  xxiii,  7,  1. 
di  corto,  poco  dopo,  i,  63,    3.    XI,    77,   1.  xxx, 
80,  8.  XL,  40,  3.  —  fra  breve,  xxxviii,  53,  6. 


diece,  dieci,  xi,  51,  3. 

dietro,  lungo,  viii,  35,  2.  x,  42,  8.  xxiii,  76,  4. 

dietro  (menarsi),  seco,  IV,  37,  5. 

di  fatto,  subito,  xxvn,  19,  6. 

difendere,  allontanare,  n,  31,  6.  xii,   79,  7,  — 

impedire,  n,  34,  6.  xiv,   7,    3.    xxxi,  63,  2. 

—  vietare,  xxvii,  14,   77,  5,  S. 
differire  a,  indugiare  a,  xi,  83,  7. 
diffidarsi  d'una  cosa,  xlv,  78,  8. 
di  gran  tondo,  a  larghe  ruote,  vi,  20,  5. 
dilettare  a  uno,  xxxvi,  53,  5. 
di  lunga,  xiii,  61,  6. 
dimane,  mattina,  u,  24,    5.    vili,    43,    5.   xxiv, 

104,  6. 
dimestici,  parenti,  xx,  18,  6. 
diminuto,  scemo,  xl,  48,  5. 
di  molto,  molto,  ix,  61,  2.  xiv,    131,  4.  xxviii, 

4,  8.  XXIX,  19,  7. 
dimostrare,  mettere  in  mostra,  xv,  50,  2. 
dimostrare  eff'etto,  far  prova,  xviii,  143,  1. 
d'intorno  intorno,  xviii,   13,  2. 
di  nuovo,  poco  fa,  xxii,  8,  3. 
di  par,  alla  pari,  ii,  21,  5.  —  del  pari,  xii,  21, 

4.  XXIV,  42,  5. 
di  parte  in  parte,  xxvii,  84,  3. 
di  patto,  XII,  43,  8. 
di  piatto,  di  nascosto,  ix,  73,  5.  xxvil,  106,  5. 

xxx,  86,  6.  XXXVI,  55,  4. 
di  piatto  (aggettivam.  ),    nascosto,    xxx,  86,  6. 

xxxn,  79,  4.  xxxvi,  55,  4.  xxxix,  33,  2. 
dipinto,  colorato,  xiii,  70,  4. 
di  prima,  prima,  xxi,  30,  2. 
dire,  parlare,  i,  2,  1.  xxvii,  8,  1. 
dire  a  uno,  nominarlo,  xx,  14,  6. 
dire  a  uno  un  nome,    chiamarlo    con    quel   n., 

xxx,  10,  4. 
dir  la  sua  causa,  xvii,  129,  6.  xviil,  2,  4. 
diritti,  indirizzati,  xm,  83,  6. 
disagio,  penuria,  xxili.  4,  4. 
disagi,  dissapori  o  danni,  XLVI,  68,  4. 
discader,  ricadere,  tornare,  vi,  15,  7. 
disciolto,  spezzato,  ix,  8,  7. 
disciplina,  pena,  vi,  49,  4.  xvin,  93,  6.  —  eser- 
citazioni militari,  xlvi,  89,  2. 
disconcio,  positura  sconcia,  xxix,  65,  2. 
discorrere,  correre  qua  e  là,  xviii,  143,   3,    — 

esporre,  xlv,  55,  5. 
discorso,  corso,  xx,  26,  3.  —  intelletto,  vii,  2, 

4.  —  riflessione,  vi,  9,  7.  xxvii,  1,  6. 

discrescere,  decrescere,  xviii,  17,  4. 

discretamente,  accuratamente,  xlii,  19,  2. 

discreto,  assennato,  xxiii,  116,  2.  xxxv,  22,  5. 

disdegnare,  muovere  a  sdegno,  xliii,  7,  2. 

disdegnarsi,  disdegnare,  VIU,  7,  8. 

disegnare,  prender  di  mira,  xxxix,  2,  7.  —  si- 
gnificare, XLII,  81,  5.  —  descrivere,  xi^ii, 
76,  5.  —  mostrar  con  colori,  xvii,  72,  8.  — 
designare,  xviii,  92,  7.  xxxix,  2,  7.  —  fare 
assegnamento,  xix,  73,  5. 

disfatto,  morto,  XLVi,  46,  4.  —  violato,  xl,  62, 

5.  —  rovinato,  xxx,  9,  4. 

di  sorte,  di  maniera,  Vili,  75,  4.  xxvi,  130,  1, 
xxxix,  5,  7. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


683 


ditpsnsate,  fare,  xv,  28,  5.  xxxii,  60,  2.  xxxviii, 
88,  6.  —  impiegare,  xv,  78,   3.   xvn,  69,  1. 
xxviii,  85,  6.  XLVi,  89,  1.  —  toglier  l'impe- 
dimento,  xlvi,  43,  5. 
dispergere,  divulgare,  xx,  3,  4. 
di  splendor,  splendido,  xxii,  93,  5. 
displicensa,  xxxviii,  1,  5. 
disposto,  risoluto,  xviii,    170,    7.    xxxi,    18,   5. 

XLiv,  52,  1.  XLV,  59,  1. 
disposto  di  mal  core,  v,  86,  3. 
disputa,  ru,  92,  4. 

disserrare,  vibrare,  iv,  20,  5.  xvin,  44,  7. 
disserrarsi,  scagliarsi,    xv,    54,    7.    xli,    72,  3. 

XLil,  49,  4. 
distemprare,  guastare,  xv,  103,  4. 
distinguere,  notare  distintamente,  x,  76,  8. 
distinto,  fregiato,  vii,  3,  2.  xxiii,  100,  8. 
distrarre,  consumare,  ix,  48,  6. 
distretto,  dintorni,  ix,  6,  4. 
distrett»  {in),  in  prigione,  ii,  59,  5.  xxii,  40,  6. 
dito  minuto,  d.  mignolo,  vn,  65,  3. 
diverso,  strano,  ix,  5,  1. 
diverso  a,  xl,  7,  8. 
dive,  eccellonti,  xxxii,  38,  5. 
divi,  santi,  xxxis,  45,  3.  —  i  pianeti,  xxiii,  6,  6. 
divìdere,  render  diverso,  xii,  14,  8. 
divider  la  pugna,  interromperla,  xix,  105,  3. 
divino,  indovino,  xl,  9,  3. 
divisare,  esporre,  xix,  59,  5. 
diviso,  lontano,  xvi,  57,  7. 
dobla,  XLin,  114,  3. 
doccia,  ruscello,  xxiv,  51,  3. 
doglia,  cosa  dolorosa,  xi.iii,  154,  8. 
dogliuta,  xvn,  51 ,  4. 
doloroso,  dolente,  xiv,  55,  1. 
domanda,  la  cosa  domandata,  xxxiv,  27,  2. 
domandare  alla  battaglia,   sfidare  a  b.,    xxvii, 

41,  7. 
domestici,  i  suoi  di  casa,  xxviii,  88,  6. 
domestico,  consueto,  xlii,  25,  2. 
donde,  riferito  a  persona,  xvi,  7,  5.  —  per  lo 

che,  XII,  34,  7.  ■ 
dono,  dote,  qualità,  xxxvii,  1,  1. 
doppia  negazione,  xi,  73,  2. 
dopo  la  morte,  fino  alla  morte,  xix,  1,  8.  xxviii, 

16,  8. 
dotta,  paura,  xviii,  159,  3. 
dormirsi,  xxviii,  17,  5. 
dove,  laddove,  mentre,  xiv,  117,  7. 
dovere,  pres.  debbe,  vii,  68,  4.  —   dovérne,  xiv, 

72,  3. 
dovere,  (assolut.),  esser  debitore,   xxxi,  42,  6. 

XLVI,  3,  3.  —  credere,  xxxui,  5,  3.  xxxviii, 

60,  8. 
dovere,  merito,   xxix,  2,  2. 
drappel,  branco,  mucchio,  xiii,  38,  7. 
dritta  misura,  giusta  m.  xix,  86,  1. 
dritto,  mandritto,  xvii,  9^,  6. 
drizzare  a  camino,  xli,  8,  4. 
dna,   dui,  due,  i,  16,  2.  in,  60,  7.  ix,  69,  7.  v, 

71,  8.  XII,  69,  1.  XIII,  75,  6.  xxx,  66,  6. 
dubbio,  dubbioso,  temendo,  xi,  6,  3. 
dubbio,  pericolo,  xii,  48,  7.  xxiii,  53,  4. 


duci,  duchi,  in,  45,1.    xiii,   62,  6.  xiv,  102,  2. 

XVI,  33,  7.  XXXIV,  8,  3. 
duchea,  ducato,  vi,  15,  5. 
due  bòtti  (di  campana),  due  tocchi,  xxn,  58,  8. 
d'un' ora  prima,  un'ora  pr.,  vili,  18,  8. 
duo  tante,  xl,  7,  7. 
duolo,  grido  di  dolore,  xi,  83,  4. 
durar,  contenersi,  iv,  8,  7.  —  rimanere,  xliii, 

80,  7. 


e,  anche,  xli,  6,  5.  —  eppure,  xlhi,  3,  5.   — 

ma,  xvin,  92,  8.  —  poiché,  xxxiv,  81,  6. 
ebìre,  xvill,  178,  7. 
eccessi,  errori  eccessivi,  XLVi,  102,  8. 
ecco,  eco,  x,  49,  6.  xxvii,  117,  3. 
effetti,  benefici,   y,   72,    1.   xxxviii,  5,  7.  XLlv, 

68,  6.  —  usi,  X,  67,  5. 
e  forse  ben,  e  forse  anche,  vi,  67,  7. 
effetto,  efficacia,  xix,  22,  4.  —  fatto,  vi,  31,  5. 

XXIX,  13,  2.  —  prova,   v,    17,   5;   86,  6.  vi, 

7,  5.  XVIII,  49,  6.  xsxvi,  67,  7.  —  ragione, 

XLVI,  113,  8. 
egroto,  xxi,  25,  3. 
el,  egli,  II,  15,  4.  xvn,  126,  8.  xs,  135,  1.  xxn, 

72,  3.  xxvn,  7,  1. 
eleggere  a  fare  una  e.  xlvi,  114,  5. 
elemeuti,  la  terra,  xvni,  34,  8. 
eletta  dell'arme,  xix,  92,  3. 
elisione  insolita,  xvn,  87,  1. 
ella,  nei  complementi,  i,  75,  5.  vn,  64,  7.  xxiv, 

87,  8.  XXIX,  31,  4. 
empio,  molesto,  v,  60,  7.  —  spietato,   xiv,   51, 

2.  XXXV,  15,  7;  22,  4. 
emungere,  togliere,  in,  27,  6.  xix,  87,  6.  xxiv, 

33,  5. 
enallage,  xxvn,  42,  1. 
endiadi,  xiv,  36,  5.  xvi,  50,  1,  xxv,  7,  7.  xxxvn, 

91,  3. 
entrare,  usato  transit.,  vni,  85,  1.  xiii,   79,    1. 

—  cacciarsi  sotto,  xxxix,  48,  4.  —  termine 

di  scherma,  xlvi,  130,  5. 
entrare  inanzi,  allontanarsi,    xxxii,  59,    7.    — 

e.  in  ballo,  x,  39,  5. 
errore,  inganno,  xxvn,  14,  3. 
erto,  difficile,  xxxix,  77,  6. 
esagerazioni  e  sottigliezze  del  linguaggio  amo- 
roso, I,  40,  7  ;  41,  1. 
esangue  (vita),  XLir,  18,  8. 
esempio,  modello,  xi,  22,  3.  xxxvn,  119,  5. 
esente,  perdonato,  vi,  16,  2. 
eseguire,  xxvn,  35,  6. 
espedire,  preparare,  xl,  2i^,  7. 
esperire,  mostrare  a  prova,   xiv,  58,  7. 
esperto,  sperimentato,    vni,    li,    3.    xiii,  27,  3. 

xviii,  158,  4.  XXXVI,  13,  5. 
esplicare,  esplico,  xxxvn,  24,  5. 
espressamente,  manifestamente,  vi,  12,  1.  xxiv, 

29,  4. 

o,  chiaro,  v,  5,  2.  xi,  81,  7.   xx,    67,    8. 


684 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


xxii,  12,  6.  XXV,  16,  G.  —  manifesto,  xsvi, 

57,  7. 
essequie,  xxm,  47,  2. 
essere  —  erano,  xvm,  157,  2.  —  èramo,  v,  59, 

I.  xm,  15,  1.  —  fora  per  fosse,  v,  70,  6.  — 

fossi  per  fosse,  xxvii,  118,  4.  xxxn,   IB,   3. 

XLin,  162,  6.  —  fosse  per  foste,   xii,   42,  3. 

—  seranno,  xxvi,  134,  3.  —  sie  per  sii,  xm, 

52,  2.  xvn,  42,  7.  xxxi,   96,    5.    —   fussino, 

xm,  55,  5.  —  suto,  v,  58,  8.  ix,  17,  5.  xxiv, 

36,  6.  XXVI,  123,  8. 
essere  per  avere,  xxiv,  40,  4.  —  consistere,  m, 

66,  1. 
essere  altiero  a  fare  una  cosa,  rifiutarsi  di  farla, 

xxxviii,  77,  8. 
essere  appresso  di  fare  u.  e,   esser   sul   punto 

dì  f.,  XXXV,  35,  5. 
esser  bisogno  o  a  bisogno,  xxxvn,  14,  8. 
etsf-r  caminaio,  aver  cammin.,  xxi,  66,  2. 
esser  capitale,   esser  delitto   capitale,  xxxvm, 

80,  8. 
esser  comodo,  offrire  comodità,  vn,  21,  5. 
esser  condotto,  esser  pervenuto,  vu,  45,  8. 
esser  confesso,  essersi  confessato,  xiv,  68,  5. 
esser  contento,  volere,  xxvii,  76,  3. 
esser  di  momento,  IV,  20,  3. 
esser  diviso  da  sé  stesso,  esser  fuori  di   sé,   V, 

26,  1.  xxvn,  131,  5. 
essere  esperto  a  una  cosa,  averne  fatto  esperi- 
mento, xsx,  72,  5. 
essere  espresso  a  uno,  giungergli  a  notizia,  xliv, 

59,  6. 
esser  forza  a  fare,  xxxi,  14,  2.  xxxii,  36,  8. 
esser  futuro,  esser  per    avvenire,   xlvi,   98,  4. 
esser  grande  con  uno,  essergli   caro,   v,   30,  4. 
essere  impresso,  aver  l'impronta,   xvu,    12,   7. 
essere  in  aiuto,  venire  in  a.,  xl,  63,  6. 
essere  in  detrimento,  xxxix,  6,  2. 
essere  ingordo  a  una  e,  xxvi,  113,  5. 
essere  in  infinito,  xi,  62,  6. 
esser  la  cosa  intera,  esser   non   trattata,   xlv, 

111,  2. 
esser  lecito  a  fare  una  e,  xxm,  21,  4. 
esser  meglio  di  fare  ujia  cosa,  xi,  47,  1.  xxvir, 

75,  8. 
esser  mistero,  esser  mestieri,  xxm,  25,  5. 
essere  ordine,  essere  stabilito,  v,  42,  4.  xi'i,  11, 

3.  XXII,  55,  1. 
essere  oso  a,  xxvii,  75,  5. 
essere  pel  contrario,  xlitt,  87,  4. 
essere  per  uno,  essere   adatto    per    uno,    xxm,  !  far  fracasso,  fracassare,  xxii,  23,  6. 


^ 


estollere,  alzare,  xsii,  f2,  5. 

estremo  usato  alla  latina,   l,   24,    6.    ix,    69,   1. 

XXI,  4,  6. 
estreme  parole,  addio,  ii,  57,  S. 
estro,  stimolo,  xxxm,  79,  4. 
età,  secolo,  xv,  24,  3.  —  tempo  che  passa,  xxm, 

47,  4.  —  vita,  XXXV,  5,  3. 


faccia,  aspetto  delle  cose,  xxxv,  18,  4. 

facile,  compiacente,  vii,  43,  1. 

Falarica,  XL,  16,  3. 

falda,  XXX,  62,  6.  —  difesa,  xxix,  4,  5. 

fallare,  fallire,  vm,  8,  4. 

fallare  da,  uscire,    allontanarsi,    xxvi,    116,  4. 

xxxiv,  50,  6. 
fallimento,  fallo,  xliii,  142,  5. 
fallire,  falle,  xix,  3,  5.  XLU,  27,  3.  XLlll,  25,  3. 
fallire  di  aver  fatto  una  cosa,  f.  per  aver  fatto 

u.  e,  XXX,  77,  4. 
fallo,  torto,  XXXI,  97,  8. 
falsare,  rompere,  xxvi,  124,  5. 
famiglia,  servitù,  xm,  14,  3.  xxxiv,  22,  7.  xxxv, 

68,  2. 
fante,  servo,  xxm,  120,  4.-xxvra,  56,  1. 
fare,  dire,  xx,  42,  6.  —  lavorare,  xxix,  40,   1. 

produrre,  vm,  27,  5.  —  raccogliere,  ix,  11, 

6.  —  stimare,  xxxil,  40,  3.  xxxm,  46,  2.  — 

per  altri  verbi,  xv,  52,  7.  xix,  83,  8,  xxm, 

23,  4.  XXIV,  106,  7.  xxxiv,  3,  8. 
far  cavalli,  vm,  25,  2. 
far  chiarezza,  da.v  prova,  xxm,  68,  6. 
far  commissione,  dar  comandamento,  XLiv,  78, 

3.  ' —  /.  concetto,  xlv,  27,   fi.   —   copia,   ix, 
13,  2.  XXXVII,  22,  6.  —  disegno  in,   xl,    42, 

4.  _  fine,  XLiii,  50,  1.  —  il  pianto,    xxxix, 

47,  4.   —  indizio,  xvil,  133,  2.  xlv,  67,  8 

paragone,  xl,    79,   7.   —  partito,  xml  114 
8.  —  un  colpo,  XLii,  56,  8. 

far  con  tino,  provarsi  con  u.,  xxvi,  5,  1. 

far  di  bisogno,  xxni,  14,  8. 

far  dimora,  indugiare,  xxvi,  98,  4. 

far  disegno  in,  ix,  50,  6.  xxv,  37,  1.  xxvii,  77,  4. 

far  dì  tutto  il  resto,  IX,  34,  2. 

far  di  uno  come  piace,  xviir,  86,  8. 

fare  effetto,  far  cosa  commessaci  da  altri,  ix. 
13,  8.  —  raggian;,'ere  il  fine,  v,  53,  4.  xxxiv, 
34,  6.  —  far  l'effetto,  xxxv,  51,  7. 


34,  4. 
essere  poca  dimora    a,    esser    poco    indugio  a, 

XXX,  46,  8. 
esser  presso  di  fare  una  cosa,  XLn,  104,  4. 
essere  spogliata  (una  veste),  xxxv,  54,  2. 
essere  sul  vantaggio,  aver  vantaggio,  xxxvm, 

64,  4. 
esser  su  uno,  dargli   la   responsabilità,    xxxix, 

6,  3. 
esser  tratto,  esser  finito,  xxi,  44,  7, 
esso,  sé,  XXIV,  46,  8. 
estenderii^  arrivare,  xvin,  35,  5.     - 


far  fretta,  fare  affrettare,  xxx,  54,  7. 

fare  gli  alloggiamenti,  alloggiare,  vi,  39,  4. 

farla  a  uno,  xlii,  56,  4. 

far  la  pubblica  ignominia,  xvii,  123,  3. 

fare  l'intenzione,  conseguire  l'intento,  v,  74,  4. 

far  minore,  fare  inferiore,  xit,  27,  7. 

far  motto,  far  cenno,  xxii,  70,  8.  —  far  m.  che, 

dire  che,  xvii,  103,  5. 
far  mossa,  muoversi,  xxxiv,  7,  5. 
fare  o  non  fare  per  uno,  essere  vantaggioso  o 

no,  XLVT,  128,  7. 
far  periglio,  far  prova,  xix,  70,  3.  xxxix,  5,  5, 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


685 


—  /.  paragone,  xxvui,  27,  4.  —/.prolesto, 
protestare,  ix,  31,  6.  —  /.  provvisione,  ssvni, 
31,  3. 
far  pigliare  uno,  far  pigliare  a  uno,  ix,  64,  5. 
far  reo,  accusare,  vi,  7,  7.   —   dichiarare  col- 
pevole, IX,  46,  4. 
far  ristoro  in  una  cosa,  prender  riposo  nel  far- 
la, XXXIV,  91,  6. 
far  ritorno  (il  sole),   riflettere  i  suoi  raggi,    x, 

35,  5. 
fare  scala,  pigliar  porto,  ix,  93,  1. 
far  sentire  novella  di  sé,  xia,  1,  5. 
far  sermone,  far  parola,  xii,  53,  5. 
far  sospetto,  dar  sosp.,  xxxii,  36,  3. 
fare  stima,  far  disegno,  xvii,  44,  4. 
farsi  restio  di,  xxxiv,  27,  5. 
farsi  taglia,  farsi  il  riscatto,  riscattarsi,  xxxix, 

71,  8. 
far  trama,  far  pratiche,  xxi,  31,  7. 
farvi  inimicizia,  suscitare  inimicizia  fra  alcune 

persone,  v,  22,  3. 
fare  uscire,  produrre,  xxiv,  2,  2. 
fascia  dell'alma,  corpo,  xlv,  58,  5. 
fastidio,  disprezzo,  xx,  110,  7. 
fatale,  fatata,  vi,  52,  2.  xv,  79,   4.   xvin,    122, 
4.  XXVI,  83,  6.  —  proprio  di  fata,  xuii,  98,  1. 
fatica,  travaglio  d'animo,  xii,  16,  3. 
fattura,  malia,  xlvi,  120,  5. 
fecondo,  fecondatore,  xvui,  139,  2. 
felice,  salutifero,  xxxviii,  24,  3. 
fendere,  pass.  rem.  fesse,  xxi,  49,  1. 
ferire,  colpire,  xxvi,  73,  7;  118,   8.    —   menar 
colpi,  xvii,  16,  7.  —    percuotere,   u,   76,    3. 
sxiv,  67,  7.  xxvn,  17,  4.  xxxvi,  47,  3. 
ferire  all'orsa,  spirare  all' o.,  xxii,  9,  1. 
ferir  percosse,  xxxni,  81,   5. 
fermare,  drizzare  con  la  mira,  xxii,  67,   3.    — 

erigere,  xxxviu,  76,  8. 
fermare  il  chiodo,  fermarsi,  xxi,    34,    7.    —    la  \ 
battaglia,  xvi,  74,  6.  1 

fermarsi,  far  proposito,  xiii,  27,    t  ;    53,   5.   — 

stabilire,  li,  65,  5.  1 

feroce,  fiero,  xii,  93,  4.  xvi,  30,  4.  xviii,  75,  6. 
ferri,  ancore,  xvii,  36,  8.  xxxix,  80,  6. 
fitere,  xvii,  53,  8. 
fido,  fidente,  xxiii,  58,  4. 
fièdere,  feggia,  xlii,  6,  6. 
fiero,  folto,  XXIV,  23,  2. 
figere  (lat.)  trafiggere,  xxvi,  35,  7.  —fisse,  xxvi, 

90,  5.  XXXV,  1,  4. 
figgere,  determinare,  iii,  12,  8.  xxviix,   12,  1. 
filza,  matassa,  xxxiv,  89,  3. 
fino  a,  V,  sino  a. 
\fin  allora,  fin  d'allora,  xlvi,  31,  5. 
fin  ora,  fin  da  ora,  xxxvi,  78,  5. 
fino  l'altro  ieri,  fino  all' a.  i.,  xvii,  66,  5, 
fin  quel  di,  xil,  62,  7. 

fio,  tributo  penale,  xvii,  41,  5.  xxii,  59,  4.  xsvii, 
27,  2.  —  tributo  feudale,    xxxiv,    36,   6.    — 
tormento,  xxvu,  119,  3. 
Piordaligi  {la),  x,  77,  2. 

fisso,  prefisso,  prestabilito,  xsvii,  26,  8.  —  con- 
fitto, xLiij,39,4.  —trafitto,  v,89, 1.  xsv,  29,  4. 


flagellarsi,  darsi  pena,  n,  2,  5. 

flesso,  piegato,  xxxvin,  41,  6. 

flusso,  passeggero,  xxiv,  89,  3. 

foce,  imboccatura  d'un  porto,  x,  53,  1. 

foco,  fiaccola,  in,  7,  7. 

folta,  folla,  XVI,  49,  3. 

fondere,  effondere,  xi,  43,  1.   —   versare,  xxv, 

80,  1. 
formidato,  sxsi,  54,  4. 
forte,  avverso,  xxxvii,  94,  6. 
fortuito,  XXXV,  7,  2. 
fortuna,  disgrazia,  xvii,  25,  6. 
fosso,  tomba,  xxiv,  24,  6. 
fra,  dopo;  riferito  al  passato,  i,  27,  4.   x,   64, 

7.  XI,  19,  1.  XX,  38,  1.  —  sopra,    xiii,  6,  5. 
fracasso  (menare  a),  i,  72,  7. 
'  fraccassar,  xxxix,  83,  3. 
frale,  non  resistente,  xliv,  2,  2. 
francesco,  francese,  ix,  5,  6. 
franchezza,  libertà,  iv,  39,  8. 
fregio,  onore,  xxviii,  1,  5. 

fronte,  aspetto,  xxxix,  4,  3.  xlvi,  67,  5.  —  ar- 
dire, XXXV,  55,  6.  —  figura,  xxxix,  4,  3.  — 

sfrontatezza,  xvii,  122,  2. 
frascati,  coperte  di  frasche,  xvii,  3G,  4. 
fraschetta^  xvni,  143,  3. 
frettoso,  frettoloso,  vi,  76,  8. 
fromba,  xi,  48,  1. 
fruire,  col  complem.  diretto,  xiii,  14,    8.   xxx, 

18,  3.  XXXIV,  29,  3. 
fugace  (fiera),  xxxix,  10,  1. 
fuggire,  fuggia,  xxiv,  63,  7. 
fuggire  fare  una    e,    rifuggire    da    fare   u.  e, 

XXVIII,  81,  5. 
fulminando,  con  la  rapidità  del  fulmiue,    vni, 

84,  5. 
fumi,  onori,  xxxiv,  78,  6. 
fune,  maschile,  xxi,  1,  1. 
funesto,  funestato,  xxix,  30,  8. 
fuoco,  (da  guerra),   xiv,    103,    5.   xxxix,   81,  6. 
fuori  il,  fuori  del,  vi,  17,  6. 
fiirere,  xvni,  36,  1. 
furiare,  infuriare,  xxvi,  131,  3. 
furor,  estro,  in,  1 ,  5. 

fusione  di  più  costrutti,  iii,  15,  5.  v,  80,  6. 
xni,  68,  3.  XIV,  30,  8.  xv,  78,  3.  xvm,  25, 
3;  47,  1.  XX,  54,  2.  xxi,  12,  6.  xxvi,  11,  3. 
xxviii,  44,  1.  xxxvii,  43,  5  ;  113,  5.  xlv,  40, 
1.  XLVI,  39,  5. 


G 


Oade  (le),  xxsiii,  98,  1. 

galeotto,  marinaro,  viii,  61,  5.  x,  44,  7. 

gara,  inimicizia,  xxvin,  2,  4. 

gatti  (arnesi  da  guerra),   xl,  18,  4. 

gavazzare,  xxvii,  100,  5. 

gelo,  grandine,  xvin,  142,  5. 

genio,  xiv,  73,  6. 

gente  da  diletto,  xxx,  10,  6. 

gente  del  o  di  battesmo,  cristiani,  xxxi,  44,  4. 

gentile,  generoso,  xvui,  22,  3;  66,  8. 


686 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


gerundio,  corrispondente  all'ablativo  assoluto 
latino,  sn,  76,  3.  xvil,  133,  8.  xix,  16,  6. 
sxxv,  68,  6.  —  gerundio  assoluto,  xxiii,  5. 
8.  —  ger.  per  il  participio  presente,  iv,  1, 
4.  xxiii,  122,  3.  xxviii,  15,  6. 

gesmini,  x,  62,  4. 

gesta,  i  paladini,  xlvi,  104,  3. 

gesto,  atteggiamento,  l,  75,  2.  —  opera,  xxxii, 
103,  B. 

gettar  sorte,  far  sortilegi,  vii,  39,  6, 

getto,  lavoro  di  getto,  XLii,  77,  5. 

ghirlandarsi,  xiv,  38,  4. 

glia,  certo,  xxxvii,  95,  7.  xxxvili,  62,  2.  —  ma, 
XXXIX,  33,  1. 

già  che,  già  quando,  XLlii,  55,  6.  —  g.  fu,  xn, 
41,  7.  xxxvil.  111,  1.  —  g.  gran  pezzo,  xvu, 
116,  2.  —  g.  gran  tempo,  i,  26,  8.  xx,  107, 
7.  xxii,  8,  2;  48,  6.  xxiii,  78,  8.  xxv,  57,  2. 
xxxiii,  3,  2.  —  già  mai,  alcuna  volta,  xx, 
58,  5.  —  già  molti  anni,  v,  69,  3.  xiv,  101, 
4.  XVI,  10,  5. 

giacere,  trovarsi,  xxxi,  71,  8. 

giave,  xix,  49,  3. 

gielo,  frescura,  xxiii,  130,  5- 

giornata  (di  cammino),  xvit,  18,  4. 

giorno,  un  sol  giorno,  xxviir,  37,  G. 

giovare,  piacere,  xxxvii,  7,  1.  XLlv,  8,  8. 

giovare  a  uno  di  una  cosa,  essergli  vantaggio- 
sa, IV,  8,  1. 

girare  all'orza,  xi,  29,  8. 

girare,  estendersi  intorno,  xiv,  105,  1. 

gir  con  la  corona  in  testa,  xir,  38,  6. 

gittar,  gittare  a  terra,  xviii,  9,  8. 

giugal  nodo,  xi.ii,  71,  3.  xliii,  20,  2. 

giumenta,  cavalla,  xi,  10,  3.  xxix,  64,  1. 

giungere,  colpire,  x,  104,  7.  xiv,  122,  2.  xxiii, 
82,  5.  xxvni,  53,  3.  —  spingere,  xlii,  37,  1. 

giungere  alla  stretta,  IV,  27,  6.  —  all'  occaso, 
xxn,  U6,  6. 

giungere  ad  amor,  congiungere  in  amor,  xi-iv, 
4,  2. 

giunta,  arrivo,  xviu,  60,  4. 

giuoco,  IX,  67,  4.  —  g.  delle  cacce,  xix,  84,  3. 

—  di  sonaglio,  iv,  82,  3. 

gli,  egli,  vu,  75.  7.  xviii,  12,  2.  xli,  4,  8.  — 
per  glie,  xv,  10,  5.  xviii,  29,  8;  65,  7  ;  120, 
4.  XIX,  40,  5.  —  riferito  a  femminile,  xi, 
37,  5.  xviii,  110,  7.  xxxviu,  43,  1.  —  contro 
di  lui,  XLII,  48,  4.  xLin,  81,  3. 

gli  è,  egli  è,  avviene,  x,  lOC,  5.  xxi,  8,  2. 

gliele,  indeclinabile,  xi.i,  27,  8.  xLii,  50,  3. 

godersi,  compiacersi,  xxxvui,  66,  2. 

gonna,  veste,  xvii,  49,  7. 

gorgiera,  gola,  xxvi,  35,  6. 

gorgo,  acqua  stagnante   profonda,    xxxv,  6,  4. 

governo,  timone,  xvm,  144,  4. 

gradi,  condizioni,  vii,  62,  8. 

grado,  congiuntura,  v,  28,  8. 

gramo,  dolente,  xxx,  3,  7.  —  sterile,  vi,  54,  3. 

—  mesto,  XII,  6,  4. 

granoso,  fecondo  di  grano,  xlvi,  IH,  3. 

grata,  benevola,  xvm,  1,  7. 

grato,  benevolo,  ix,  21,  7.  xiv,  59,  8.  xxxiv,  92,  8. 


gravare,  danneggiare,  xxxiu,  81,  8. 

gravi  (passi),  lenti,  xiii,  4?,  6. 

gremio,  fianco,  xxiii,  49,  5. 

gregge,  femminile,  xxxii,  64,  4. 

gridare  a  tino,  garrirlo,  23,  94,  8. 

gridi,  narrazione,  xvii,  68,  5. 

groppo,  insidia,  vi,  56,  6. 

groppo  di  vento,  xvi,  43,  5. 

grosso,  mal  destro,  vii,  75,  7. 

guancia,  dell'elmo,  xlvi,  130,   1, 

guardare  al  segno,  g.  all'effetti,    xwii,    $5, 

—  al  volto,  xxv,   9,  6. 
guatare,  vedere  guardando,  iv,  72,   1. 
guazzo,  l'acque  onde  uno  è  molle,    vie,   iì, 
guidardone,  v,  72,  5. 


H 


3     1 

i 

■ 


b,  omessa  in  alcune  parole,  r,  41,  1.  vii,  5.,  5. 
IX,  4,  3;  73,  8.  x,  19,  2.  xi,  31,  5.  xir,  n, 
2.  XIV,  4,  3.  XV,  19,  4.  xsiri,  87,  6;  114,  7. 
ixiv,  12,  5.   xxx,  26,  8. 

hara,  porcila,  xliii,  58,  6. 


idaspe,  aggettivo  (idaspee),   iii,  36,  3. 

idonia,  xvii,  130,  1. 

Ilia,  Ilio,  XLVI,  80,  3. 

il  capo,  il  principio,  ix,  7,  1. 

illustre,  splendente,  ii,    lì,  3. 

t7  più  che,  più  the,  v,  25,  2. 

immagini,  vili,  14,  7. 

immergersi  sino  agli  oinhi  in  una.   cosa,   xvm 

172,  8. 
impacciarsi  in  o  di.  iv,  33,  5. 
impallidirsi,  xxxii,  101,  1. 
impedimenti,  bagagli,  xvi,  SI,  1. 
impennare,  guarnir  dì  penne,  xxxiv,  32,  6. 
imperfetto  coug.  per  il  coudizionale,  xi,  70,  4.; 

XV,  101,  8. 
impeso,  appeso,  xvu,  126,  6. 
impietà,  X,  5,  1. 

importanzia,  ciò  che  importa,  xxii,  56,  1. 
importare,  avere  importanza,  xxxvii,  65,  1.  — 

apportare,  xxx,  34,  7.  —  portar  seco,  xxxix, 

5.  8. 
importuno,  di  cattivo  augurio,   xiv,    27,    4.   — 

sfavorevole,  xxxvi,  5,  7. 

imposto,  apposto,  xxi,  45,  6. 

imprimere,  percuotere,  XLVIi  135,  2.  —  prome- 
re, III,  56,  1. 

improierarsi,  i,  29,  7.  x,  32,  6.  xxll,  90,  3.  XXXI, 
95,  5. 

improviso,  improvvisamente,  i,  53,  8.  su,  93, 
2.  XXVII,   I,  2. 

improviso,  sprovveduto,  vi,  53,  3. 

ili,  come,  IV,  49,  2.  ix,  47,  7.  —  fra,    xix,    81, 

6.  XXXVI,  35,  8.  —  per,  xxi,  18,  2.  xxix,  67, 

7.  XXXI,  32,  4.  XXXIX,  49,  4.  xi.ni,  72,  4.  — 
su,  xviii,  4,  4.  —  verso,   v,  12,  5.  xLi,  7,  4. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


687 


inaccorto,  mal  accorto,  xvi,  61,  5. 

inami,  iv,  23,  4. 

inarrare,  implorare,  xvii,  61,  5.  xxiv,    tlO,  5. 

impegnar  con  preghiere,  xliii,  182,  -t. 
inasperare,  rendere  aspro,  xviu,  63,  4. 
inasprare,  xii,  50,  1. 
in  bene,  in  vantaggio,  x,  108,  6. 
in  cambio,  in  iabaglio,  xxv,  30,  2. 
in  capo,  in  cima,  xiii,  41,  5. 
in  capo  un,  in  capo  a  un,  xviir,  61,  3. 
incarcare,  ingiuriare,  x,  43,  1.  — incarco,  xxvii, 

11,  8. 
incasto,  impuro,  xxxiv,  64,  5.  xxxvi,  73,  8. 
inchiesta,  ix,  7,  6.  xii,  67,  7.  xxu,  94,  3. 
inchinar  l'animo,  xi,  17,  7. 
incoccarsi  (il  parlai'),  impigliarsi  nella   bocca, 

XLVI,  33,  7. 
in  collo,  al  collo,  xvii,  35,  8. 
incomposta  (voce),  xxxvii,  70,  7. 
incònto,  xxviii,  97,  2. 
incontrare,  fare  incontrare,  xxi,  9,  8. 
incontro  di  più  consonanti,  iv,  15,  8. 
incontro,  scontro,  xix,  81,  2. 
incudi  (maschile),  i,  17,  4.    xvii,   101,   4.    xxu, 

67,  1. 
indegno,  sproporzionato,  xxxvii,  93,  6. 
indi  vicino,  xv,  76,  2. 
indicativo  (usi  speciali),  in,  23,  1. 
indifferente,  non  differ.,  xxiii,  111,  8. 
in  disparte,  in  altre  parti,  xxvi,  11,   6.   —  in 

lontananza,  xvu,  36,  7. 
in  dispetto,  a  dispetto,  ix,  42,  2. 
indivino,  xliii,  118,  6. 
indòtto,  non  informato,  v,  56,  5. 
indugia,  xii,  40,  4.  xxu,  64,  6.  xxxii,  74,  3. 
indugiare  di,  indugiare  a,  xlvi,  59,  5.  —  ind. 

uno,  trattenei-lo,  xi^v,  95,  8. 
indugie,  xxxvu,  67,  8. 
indulgere,  concedere  benignamente,    vi,    1,    6. 

XLH,  87,  5. 
indur,  addur,    xvm,    2,    2.    —   vestire,   xxvii, 

69,  7. 
indur  che,  xxi,  36,  7.  XL,  42,  8. 
indurre  neW  animo,  persuadersi,  xi,  61,  6. 
indursi  in  amore,  XLli,  22,  6. 
indulto,  propagato,  xl,  33,  5. 
in  effetto,  di  fatto,  xxviii,  17,  7. 
in  estremo,  sommamente,  xxi,  13,  4. 
infando,  xxi,  16,  8. 
infante  d^onore,  si,  62,  1. 
infece  da  inficere,  xxxiv,  47,  3. 
inferir,  significare,  xxxvi,  36,  2. 
infermare,  rendere  infermo,  xxx,  95,  3. 
infermo,  debole,  xvm,  178,  4.  xsxix,  20,  3. 
infinito,  V.  modi. 

in  frotta,  in  gran  quantità,  xxvi,  22,  3. 
ingegno,  inganno,  vi,  38,  7.  —  senno,  xxix,  47, 

1.  XXXV,  1,  2. 
ingegno  di  fare  una  cosa,  xvil,  1,  6. 
inghiozzare,  xii,  94,  6. 

in  grosso,  all'ingrosso,  molto,  xxxviu,  56,  2. 
inimicarsi  a  uno,  divenirgli  nemico,    v,   19,  8. 
iniqui,  eccessivi,  i,  22,  3. 


in  lito  al  mare,  xvii,  33,  2.  xx,  22.,  4. 

in  mezzo  un  luogo,  vi,  23,  8.  va,  8,  2  ;   54,   2. 

XII,  37,  t  ;  91,  1.  XIV,  50,  1.  xvil,  87,  4.  xvm, 
24,  1.  xxvii,  89,  2.  —  per  mezzo  un  l.,  xxvi, 
13,  6.  xxvii,  4,  5. 

in  modo,  tanto,  xxvii,  71,  8.  xxx  vi,  58,  4. 

innamorarsi  Ì7i  u7io,  xxxvii,  48,  5. 

inondar,  scorrere  in  copia,  xxiii,  46,  6. 

in  piede,  fra  le  unghie,  xxix,  10,  4. 

in  perfezione,  a  perf.,  si,  71,  5. 

in  profondo,  ix,  91 ,  6. 

in  quella  che,  xvm,  6,  1.  • 

in  questo,  in  questa,  xxvi,  126,  1. 

in  questo  mezzo,  intanto,  xvm,  68,  5. 

in  ripa  un  fiume,  xiit,    42,    7.    xx,    21,    7.   xl, 

59,  4. 
insalare,  gettar  nel  mare,  xlii,  89,  2. 
insanguinare,  sanguinare,  xxvn,   20,    7.    xlvi, 

129,  1. 
insanguinarsi  di  uno,  tingersi  del  sangue  di  u., 

IV,  14,  1.  —  Ì7is.  in  tino,  xxxvi,  77,  1. 
insembre,  insieme,  ix,  7,  5. 
in  servigio,  per  favore,  xii,  41,  2. 
insieme,  nello  stesso  modo,  xl,  12,  3. 
in  sino  a,  xix,  85,  4.  V.  sino  a. 
in  somma,  brevemente,  xxxii,  85,  6.  xxxvii,  98, 

1.  —  in  conclusione,  xix,  74,  2.  xxiv,  1,  3. 
instare,  transitivo,  xxxi,  70,  2. 
instrutto,  apparecchiato,  xix,  65,  8.  xx,  83,  8. 

xxxvm,  77,  1.  —  fornito,  xliii,    191,   6.    — 

ordinato,  vi,  44,  6. 
instrutto  in   arme,    apparecchiat*   a   battaglia, 

XL,  10,  2. 
in  su,  sopra,  vi,  62,   1. 
in  sua  ragione,  xm,  35,  4. 
il»  sua  stagion,  a  suo  tempo,  xxiv,  80,  5. 
insultare  a  uno,  xxi,  30,  8. 
insulto,  assalto  improvviso  d'un  esercito,  xvi, 

88,  5.  —  sommossa,  xxvn,  19,  3. 
intascare,  mettere  nello  zaino,  xvii,  65,  6. 
intendere,  sentir  dire,  xiv,   41,    5.    xvi,   80,  5. 

—  volger  la  mente,  xxxvm,  32,  8.   —   int. 

di  una  cosa,  xiv,  85,  6. 
intenso,  rivolto,  xxxvii,  65,  7. 
intento,  attento,  xvm,   94,   7  ;    124,    8.    —  int. 

di,  I,  31,  5.  XVI,  16,  1. 
intercetto,  diminuito,  xxx,  65,  5. 
interdetto,  impedito,  xx,  117,  8.  xxxvi,  4,  5. 
intermettere,  interrompere,  xxv,  1,  7. 
intervallo,  indugio,  xxii,  62,  4. 
in  terzo,  in  tre,  xxvn,  66,  7. 
inteso,  conosciuto,  xliii,  80,  6.  —  saputo,  xm, 

76,  6. 
intestina,  xvii,  54,  2. 
in  toga  e  armati,    in    pace    e    in    guerra,   xm, 

71,  6. 
intorno  cui,  vii,  12,  4.  —  int.  il,  xiv,  65,  5. 
in  tutto,  assolutamente,  xxx,  13,  6. 
invasare,  mettere  in  vaso,  xxix,  72,  5.  xxxvii, 

66,  6. 
inversioni  forzate,  ir,  48,  3,  5  ;  55,  5.  xii,  65,  6. 

XIII,  77,  5.  xiv,  26,  1;  51,  4.  xv,  29,  6.  xvn, 
93,  8;  52,  6.  xxii,  52,  6.  xxm,  10, 1  ;  58,  1. 


688 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


XXTI,  70,  3.  ssix,  23,  5.  xxxni,  9,  5.  xxxvni, 
10,  6.  XLI,  56,  6.  XLU,  67,  3.  xuv,  63,  5. 

invidendo,  v,  '7,  5. 

invidioso,  che  desta  invidia,  xliv,  1,  4. 

in  vista,  a  vedersi,  xxxi,  20,  2. 

inviti,  offerte,  vu,  23,  2. 

invito,  sfida,  xxiii,  85,  2. 

in  voce,  a  voce,  xvi,  1,  6. 

in  volta,  in  giro,  xviii,  181,  2. 

involto  a,  I,  12,  8. 

involvere,  imbrogliare,  xiii,  20,  3. 

iperhato,  xsxvi,  55,  5. 

iracondo,  adirato,  xxvii,  70,  4.  xliv,  92,  2. 

ire,  irò,  xliv,  95,  7. 

ire,  andare  in  rovina,  in  perdizione,  v,  53,  8. 

ire  all'  occaso,  morire,  ix,  31,  4. 

irondine,  xxx,  11,  6. 

iscorso,  lasciatosi  trasportare,  xliii,  33,  1. 

ismosso,  slogato,  XLii,  16,  7. 

iterata  prece,  xsxvui,  0,  4. 

tvt,  indi,  XVI,  63,  6. 


'l,  elio,  egli,  xni,  3,  8. 

V  altro,  il  resto,  vii,  51,  8. 

labbia  (le),  volto,  xxvin,  25,  5. 

la  le  per  glie  la,  xxxii,  48,  4. 

lama,  bassura  paludosa,  vi,  78,  1. 

la  medesima  ora,  nello  stesso  tempo,  xx,  102,  5. 

lampadi,  xxiv,  100,  8. 

lampo  (maggiore)  il  sole,  xxxi,  50,  7.  —  luce, 

XLV,  68,  7. 
lampo  di  forza,  xxvii,  7,  6. 
lancia  per  lancia,  xxxvil,  49,  8. 
lanfa  (acqua),  xvii,  19,  6. 
larva,  xvu,  46,  5.  xxxix,  7,  7. 
lasciare  che,  lasciare  dopo  aver  detto  che,  vui, 

29,  7. 
lascio,  guinzaglio,  xxxix,  69,  2. 
lassa,  guinzaglio,  xli,  30,  6. 
lassar,  aprirsi,  xxvi.  111,  7. 
lassarsi,  sconnettersi,  xxvi,  IH,  7.  xu,  14,  7. 
latte  tenero,  giuncata,  xxv,  15,  6. 
lavorio,  lavoro,  xlv,  79,  5. 
le  per  glie,  iv,  2,  8.  xi,  5,  5. 
l'  per  le,  a  lei,  vii,  35,  8.  vin,  39,  5.  xni,  54, 

4.  sx,  4,  2;    108,   2;    128,    8.    xxin,    29,  4. 

XXVI,  64,  2. 
le,  suoi  usi  speciali,  xxvn,  99,  8.  xxix,   71,  7. 
leardo,  xix,  77,  1. 
leèna,  xxxvi,  62,  6. 
legge,  religione,  xii,  59,  6.  xiv,  71,  3. 
legne,  legni,  xvii,  10,  6. 
Untare,  allentare,  xliii,  33,  1. 
lento,  pieghevole,  xxix,  54,  5. 
letto  geniale,  v,  2,  6.  xlvi,  77,  1, 
levare,  sollevare,  xxiii,  118,  4. 
levare  assalti,  xvii,  81,  4.  —   il  conto,  impedire 

di  fare  il  conto,    xxxi,    79,    7.    —   le  some, 

xvni,  97,  5.   —  l'offese,  xix,  70,  5. 
levarsi  dal  lato,  tirarsi  da  parte,  vi,  70,  3. 


levarsi  intorno,  levarsi  d'intorno,   xxv,  58,  1. 

li  per  gli,  xiv,  47,  5. 

librare,  vibrare,  XLir,  56,  6. 

licenziosa  (fiamma),  xxvn,  21,  3. 

limare,  limarsi,  XLin,  113,  5. 

liquido,  limpido,  l,  37,  3.  xu,  57,  7. 

livore,  lividore,  x,  98,  3. 

Uzza,  XX vu,  48,  1. 

loco,  castello,  xxn,  52,  2. 

lodare  di  uno,  lodarsi  di  uno,  xxviii,  78,  i. 

loda,  XV,  2,  1.  SVI,  18,  3.  xva,  112,  7. 

lode,  imprese  gloriose,  xvi,  55,  4.  xxxvii,  2,  2. 

logoro,  XLHi,  63,  3. 

lombi,  delle  serpi,  xin,  38,  6. 

longinque,  xxxi,  87,  6. 

Inci,  il  lume  del  sole,  xxui,  51,  3.   —  giorno, 

xxxviii,  31,  2. 
lue,  peste,  vu,  4,  6. 
lui,  a  lui,  is,  10,  5.  sxxiv,  38,  4.  —  riferito  a 

cose,  xxx,  34,    3.    —    sé,  iv,  6,  3.  v,  45,  2. 

xvm,  33,  4;   153,  7.  xl,  9,  1.  xLn,  51,  2. 
luminaria,  il  sole  e  la  luna,  xix,  105,  6. 
lunghe,  indugio,  xlvi,  109,  6. 
lungo  sarà,  m,  31,  5. 
lungo  tratto,  per  1.  tratto,  xvii,  120,  3. 
l'un,  alcun,  xx,  35,  7. 
l'un...  l'altro  con  riferimento  inverso,  i,  28,  5. 

—  riferito  a  diversi  generi  e  numeri,  xvi, 

6,  5.  xxxiv,  54,  4. 
l'uno...  quel,  quell'uno,  xxvn,  104,  4. 
luogo,  ufficio,  impiego,  v,  7,  4. 
lustrare,  osservare,  ni,  2,  3.  xxx,  21,  6. 
lutto,  dolore,  xxii,  34,  3. 


M 


macchinare  a  uno,  contro  uno,  xxi,  69    5. 

mago,  magico,  xv,  13,  6.  xxxi,  5,  5. 

mai,  sempre,  xx,  62,  5.  xxxiii,  105,  4.  xxxviii, 
80,  7.  —  in  senso  negativo,  xxxi,  109,  6. 

Maia,  per  Mercurio,  xxxvil,  17,  3. 

mainare,  svili,  143,  6. 

mai  più,  mai  altra  volta,  xx,  134,  6.  XLin,  160, 
3.  XLVI,  17,  4.  —  altra  volta  (in  frase  affer- 
mativa), XXVI,  45,  4. 

mal,  non,  i,  57,  1.  xi,  38,  6.  xxiii,  89,  3.  xxvn, 
25,  3.  XXXIX,  2,  6.  —  in  suo  danno,  xliii, 
150,  7.  —  diflìcilmente,  xxvn,  1,  5.  —  por 
nostra  sventura,  xxxiv,  78,  2. 

mal,  malo,  xxxl,  70,  8. 

mal  acconcio,  malconcio,  xxxi,  10,  7. 

mal  condutlo,  mal  ridotto,  ii,  24,  7. 

mal  dir,  dir  villania,  xxxvii,  106,  2. 

male,  malo,  iv,  35,  4.  xii,  21,  5.  xxxvi,  64,  5. 
xxxviii,  43,  8. 

male,  non,  v,  19,  3. 

malgrado  di,  a  dispetto,  o  in  danno  di,  xviii,  40, 
2.  XXVII,  17,  7.  xxxiv,  35,  5.  xxxvii,  93,  3.  — 
mal  grado,  suo  malgrado,  i,  59,  4.  xiii,  16,  3. 

malignità,  maligno,  xxvii,  4,  5. 

malvagio,  molesto,  xxxii,  71,  4.  —  cielo  mal- 
vagio, XX XIII,  60,  8. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


689 


mancare  da  uno,  dipender  da  lui  che  una  cosa 
avvenga,  xxvii,  43,  5.  —  m.  del  detto,  xlv, 
96,  3.  —  m.  del  dovere,  xvili,  43,  4.  —  m. 
poco  di,  XLii,  32,  7. 

manco,  nemmanco,  xxxiv,  G5,  4. 

manco,  manchevole,  xix,  79,  6.  —  sinistro,  di 
cattivo  augurio,  xiv,  27,  4. 

mandar  di  sella,  buttar  giù  di  s.,  xx,  126,  8. 
—  m.  in  terra,  xviir.  111,  2. 

mangiar  per  carità,  mang.  per  compiacere  amo- 
revolmente altrui,  xml,  196,  5. 

maniere,  belle  maniere,  xx,  37,  2. 

maniero  (falcone),  ii,  50,  3. 

manigoldo,  carnefice,  xxxii,   9,  1. 

maraviglioso,  maravigliato,  x,  90,  7.  xxvii,  22, 

6.  xsxvi,  26,  8.  XXXIX,  38,  4. 
marca  d'oro,  xliii,  110,  3. 
Marca,  paese,  xxvir,  129,  6. 

marea,  parte  del  mare  vicina  alla  spiaggia,  ix, 
90,  1. 

maremma,  spiaggia  del  mare,  xvii,  21,  7. 

margine,  lido  del  mare,  vi,  23,  7. 

Mar  maggiore,   Ponto  Eussino,  XLIV,  79,  2. 

marziale,  atto  a  guerra,  vili,  28,  6. 

mascalzone,  iv,  69,  7.  xiii,  35,  2. 

mastro,  falconiere,  iv,  46,  8.  —  m.  di  camera, 
XIV,  54,  5. 

matina,  xvii,  61,  1. 

maturamente,  prontamente,  vili,  25,  4. 

matutino,  mattino,  iv,  10,  6.  xvil,  23,  5.  xxv, 
51,  8.  XXXVI,   14,  0. 

mazzafrusto,  grosso  bastone,  xxx,  11,  8. 

me\  meglio,  xxiv,  82,  2. 

meditori,  XLi,  2,  1. 

meglio,  più,  xxxi,  7G,  3. 

mèlo,  mela,  xi,  22,  6. 

menare,  cacciarsi  avanti,  xxxix,  21,  3.  —  trat- 
tare, XXXI,  93,  8. 

menare  a  cerco,  raen.  in  giro,  xvi,  24,  C.  —  a 
distruzione,  xvi,  59,  4.  —  a  straccio,  xii, 
50,  6,  —  in  volta,  aggirare,  xxxii,  62,  4.  — 
a  strazio,  xviii,  178,  3.  —  a  fracasso,  i,  72, 

7.  —  menare  i  passi,  xi,  20,  7. 

mente,  animo,  xiv,  35,  5.  —  indole,  xxiii,  2,4. 

—  intenzione,  xxii,  1,  4. 

mentire  e  mentita,  ii,  4,  1.  iv,  58,  8.  xviii,  85, 

4.  xxvii,  91,  8. 
mentre,  finché,  vi,  64,  5.   xvr,  48,  5.  —  poiché, 

xxx,  13,  5. 
Memo,  Mincio,  xiii,  59,  7. 
mercare,  acquistare  xxm.  80,  8. 
mercé  e  sua  costruzione,  vii,  35,  7. 
meriggie,  mezzogiorno,  xxix,  57,   1. 
Merlino,  in,  9,  4.  xxvi,  39,  5. 
merlo,  premio,  ii,  16,  3.  x,  2,  6.  xi,  54,  8.  xii,  ! 

63,  7.  xvii,  96,  8.  —  gastigo,    xxxii,   92,   3. 

—  ricompensa,  v,  14,  5.  xxxiv,  64,  2. 
messo  d'oro,   xii,  8,  3. 

mesto,  che  induce  mestizia,  xxix,  60,  3. 

metalli,  trombe,  xxxi,  87,  1. 

metro,  misura,  xxix,  68,  3. 

mettere,  puntare  al  giuoco,  xliii,  66,  7. 

mettere  a  campo,  mettere  avanti,  xxvii,  42,  5. 

Ariosto  —  Papini 


[        —  m.  al  fondo,  metter  da  parte,  xxviii,  98 
2.  —  in  prova  d'armi,  xxx,  29,  6.  —  m.  in 
fracasso,  xxiv,  48,  8.  —  m.  per  fil  di  spade, 
.        xvili,  162,  6.  —  m.  in  mare,  gettarsi  in  ma- 
1         re,  VI,  5,  5.  —  m.  una  bòtta,  xvi,  63,  6.  — 
m.  un  colpo,  xviu,  54,  7. 
metter  forza  a  un  colpo,  xvi,  62,  7. 
mettersi  a  camino,  xliii,  124,   4.   —  71».    a   una 
via,  i,  23,  5.  —  m.  per  morto,    xvii,    10,    4. 
—  m.  a  morire,  xxxvil,  60,  ó. 
I  mezzi,  mezzani,  xxii,  34,  7. 
mezzo,  intervallo,  xxxi,  104,  4. 
mezzo,  mezzano,  ix,  49,  1. 
I  migliore,  più  buono,  xiv,  62,  2. 
!  miglior  braccio,  il  destro,  XLI,  89,  5. 
mimmi,  XLiv,  33,  6. 
mila,  migliaia,  xxxviii,  57,  1. 
minacciare  a,  xii,  6,  7.  xLi,  47,  3. 
mine,  miniere,  xi,  38,  3.  XLVi,  136.  2. 
mio,  favorevole  a  me,  ix,  37,  7.  —  familiare, 

IX,  46,  2. 
mirabilmente,  miracolosamente,  xxxiv,  73,  5. 
miracoloso,  mirabile,  xxvi,  2,  8. 
mirando,  ammirando,  xxxii,  52,  3. 
mirUre,  considerare,  xlv,  24,  2.    —   scorgere, 
xxxvii,  65,  1.  —  stare  a  considerare,  xliv, 
54,  3.  —  studiare,  xlvi,  126,    6.    —    ammi- 
rare, XXVI,  23,  7.  —  esser  preso  di   mara- 
viglia, xxv,  47,  1.  —  vedere,  xii,  8,  8.  xiv, 
81,  2.  —  aver  riguardo,  xxxvi,    22,    1  ;   51, 
6.  XLiv,  2,  7.  —  pensare,  xxxiii,  114,  7. 
mirare  assalire,  pensare  d'assalire,  xiv,  105,  3. 
mise,  mandò,  xiii,  83,  3. 
misurar  con  mano,  xiv,  36,  6. 
modi  e  loro  usi  notevoli,  i,  4,  6.  —  indicativo 
imperf.,  per  il  condizionale,  v,  40,  8.  xxm, 
90,  3.  —  condizionale  per  il  congiunt.,  xx, 
31,  5.  xxxvii,  21,  8.  —  uso  speciale,  ui,  63, 
8.  —  congiuntivo,  e  suoi  usi  speciali,  i,  45, 
6.  XV,  53,  2.  XVI,  1,  7.  xix,  12,  2.  xxm,  74, 
8.  XXVII,  98,  3.  xxviii,  28,  2.    —   cong.    per 
r  indicai.,  111,  27,  6;  32,  3.  iv,  13,  6.  v,  67, 
8.  vili,  84,  1.  XVII,   33,   4.   —   cong.   poten- 
ziale, XIV,  78,  5.  XV,  79,  8.    xvi,    10,    7.   — 
congiunt.  alla  latina,  xxin,  25,  4.  —   cong. 
per  l'infinito,  i,  38,  6.  11,  12,  4.   x,   106,   8. 
XII,  14,  7.  xui,  54,  2.  XIV,  124,    1.   xv,   102, 
8.  XVII,  106,  3.  xxm,  93,  8.  xxv,   54,   6.   — 
influito  assoluto,  xlv,  103,    6.    —    inf.    sto- 
rico, XVI,  70  1.  XLiu,  136,  7.  —  inf.  per   il 
congiuntivo,  xvii,  46,  1.  xxvii,  66,  7.  —  inf. 
usato  sostantivam.,  vi,  19,  5.  xii,  65,  5.  xxii, 
68,  8.  —  inf.  con  a  per  il  gerundio,  11,  17, 
5.  IV,  14,  1.  xvm,  36,  6.  xxiv,  11,  3. 
mogliere,  xvili,  53,  7.  XXVil,  134,  4.  xsviii,  10, 

2.  xxxviil,  70,  3. 
mólcere,  carezzare,  o  incitare,  XLin,  34,  5. 
molino,  aspo,  xxxv,  3,  3. 

molle  (liquore),  delicato,  che  facilmente  svani- 
sce, xxxiv,  83,  1. 
molle,  liscio,  xi,  68,  2.  —  agevole,  xxvi,  66,  8. 
molli  (regni)  dove  è  mollezza,  xxii,  82,  3. 
mollire,  io  mollo,  xxi,  31,  6. 

45 


690 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


molto,  bene,  zxiv,  104,  5. 

nonacJii,  iv,  55,  1. 

inondo,  gente,  iv,  88,  8.  xvii,   9,    7.   xl,  65,  1 

viortaU,  che  fa  tramortire,  iir,  67,  5. 

morto,  ucciso,  v,  61,  5. 

mossa,  rimossa,  xvi,  58,  1. 

mosso,  slogato,  i,  66,  2. 

mostrare  esperienza  di  sé,  dar    prova,    XL,   24, 

4.  —  771.  segno,  dar  seguo,  xviii,  89,  7. 
mota,  mossa,  xxxviii,  39,  6. 
moli  superni,  le  stagioni,  x,  63,  6. 
mulacchia,  xxxv.  13,  3. 
milita,  pena,  xxxvir,  82,  5. 
multilustre,  xlvi,  91,  6. 
muovere,  muoversi,  ili,  14,  2.  vii,    12,  3.  xxvi, 

75,  8.  xxvii,  7,  3.  xi,VT,  8,  6. 
muover  ragioni,  xxix,  4,  2. 
murato,  cinto  di  mura,  vili,  55,  1.  —  costruito, 

III,  67,  1. 
muri,  mura  di  una  città,  xiv,   101,   8.   xl,    14, 

2.  XVII,  120,   1. 
murmure,  xxxi,  5,  3. 
musa,  composizione  poetica,  xx,  1,  2. 
inalare  i  passi,  ii,  39,  7.  xxxiii,    81,   1.  xxxiv, 

45,  1.  —  m.  il  piede,  XLir,  17,  5. 
mutar  sella,  mut.  cavalcatura,  xi,ii,  70,  4. 


N 


Naranci,  xviii,  138,  3. 

naseiuto,  xxxii,  13,  7. 

nativo,  naturale,  xxii,  65,  7. 

naulo,  xLi,  53.  5. 

nauta,  xv,  68,  8. 

navilio,  nave,  x,  44,  5.  xiii,  13,  1.  xsiv,  19,  8. 

nazione,  nascita,  xsviii,  21,  8. 

ne,  pleonastico,  xiv,  5,  5.  xxiv,    71,   4.    xxvii, 

10,  1.  XXX,  62,  4.  XXXI,  83,  8. 
ne  proclitica  collocata   irregolarmente,    xxviii, 

7^>,  7.  —  ne  per  vi,  xsii,  46,  7. 
né,  per  non,  xii,  31,  5.  —   neppure,  ii,   41,  4. 

IX,  52,  3.  XIX,  97,  2.  xxiii,  101,  3.  xxvii,  60, 

3.  xxviii,  41,  7,  xxxiii,  29,  5.  xlii,  22,  8.  — 
né  anco,  né  pure,  xxvn,  99,  5. 
né  ben,  né  pur,  xxv,  23,  1. 
né...    e,    nella    proposizione    principale,    xliv, 

51,  3. 
necessità,  morte,  vii,  37,  6. 
negare,  dire  di  non,  xvii.  62,  3.   xxvii,    43,    2. 

XLV,  23,  8. 
negare,  vietare,  xxv,  7,  6.  xlii,  43,  0. 
negletto,  vilipeso,  xxviii,  76,  3. 
ne  la  prima  fronte,  xii,  88,  5. 
né  più  né  meno,  nella  stessa  maniera,  iv,  43,  5. 
no,  non,  x,  49,  8.  xxii,  9,  6.  xxiv,  98,  5.  xxx, 

38,  2. 
nocenle,  colpevole,  xvii,  60,  4. 
nodo  corrente,  xxxix,  54,  2. 
nomade,  della  Numidia,  xviii,  22,  1. 
nomi  di  parentela  e  loro  uso  speciale,  xvi,  14,  7. 
nona,  vili,  19,  6. 
non...  anco,  ncppur,  xv,  71,  6. 


non  che,  vii,  62,  1.  x,  54,  3.  xx,  88,  8.  xxvi, 
132,  6.  —  non  che  non,  xi,  55,  7. 

non  è  in  cui,  x,  84,  7. 

non  essere  in  una  cosa  l'onore  di  uno,  xxxviii, 
61,  1. 

non  lasciar  di  non,  xii,  9,  3. 

non  pur,  neppur,  xv,  40,  5. 

non  vedere  di,  non  veder  modo  di,  xxvill,  88,  3. 

nota,  biasimo,  xi.,  22,  3. 

noli,  conoscenti,  xl,  12,  3. 

notizia,  conoscenza,  vi,  9,  1.  xxiv,  18,  2.  xxv, 

49,  1.  XXXI,  42,  3. 

novellamente,  poco  fa,  vii,  18,  1.  xxvii,    76,  2. 
nulla,  per  nulla,  xi,  54,  1.  xxiv,  71,  3. 
numi,  santi  del  paradiso,  xxxili,  115,  4. 
nummi,  danari,  xxii,  2,  5. 
nuotare,  essere  aflfondato,  xxii,  94,  6. 
nuotare  in  un  mar  di  latte,  xlv,  13,  1. 
nutrice  antica,  Teti,  il  mare,  xvii,  129,  2.  xxxi, 

50,  4.  XXXII,  4,  4. 


0 


0,  oh,  xxv,  81,  7. 

obliqarsi,  restare  obbligato,  iii,  71,  2. 

occorrenzie,  ciò  che   abbiamo   perduto,   xxxiv, 

81,  6. 
occorrere,  imbattersi,  vili,  3,  8.  xxv,  92,  7.  — 
presentarsi,  xv,  94,  6.  xxxi,  90,   6.   xxxiv, 
54,  2.  —  venire  in  mente,  xri,  44,  5.  xxvir, 
44,  7. 
occulto,  occultato,  xlii,  95,  8. 
o  che,  Q,  IV,  35,  5.  v,  1,  2.  xxix,   57,    4.   xxiv, 

81,  6.  XXVI,  114,  5. 
oda,  osi,  (osare),  xml,  57,  7. 
odiosa,  che  odia,  xxxviii,  69,  7,  xliv,  5'',  2. 
ogni  modo,  xLiii,  161,  5.  xliv,  73,  7.  xlv,  89,  2. 
ogni  poco  più,  vili,  10,  1.  xxx,  14,  7. 
ogni  tempo,  xx,  15,  5. 
I  olocausto,  sacrifizio,  vili,  59,  4. 
I  oltre  che  col  cong.,  iii,  67,  1.  vi,  79,  1.  vii,   8, 
3.  IX,  28,  1.  XIV,  127,  2.  XXXI,  68,  8. 
ombrella,  ombra,  vi,  21,  6. 
I  omicidiale,  xxi,  27,  3. 
oncia,  XIV,  72,  2.  xvil,  92,  7.  xxiv,   101,  7. 
onde,  in  che  modo,  xviii,  79,  5. 
onesto,   onorato,    xxxvi,    62,    1.    —    rispettoso, 
I        XXXVII,  80,  6. 

j  opimo,  insigne,  in,  30,  6.  xiii,  64,  4. 
I  opporre,  contrapporre,  xxxiv,  54,  4. 
!  opprimere,  gelare,  xvill,  151,  1. 
I  oprare,  fare,  xxix,  16,  3. 
i  orare  a,  XLIII,  191,  7. 

I  ordine,  grado,  xvi,  25,  8.  —  patto,  ^ku,  79,  3.  — 
posto    militare,  xvi,  70,  4.   —  schiera,    xiv, 
67,  6. 
ordire,  cominciare,  xxxv,  3,  4.   xxxvii,    27,   6. 
orezzo,  xxiii,  101,  1. 
or  questo  e  quando   quel,  IX,  4,  3. 
oscura  (morte)  ignobile,  ix,  47,  3. 
oscuro,  malinconico,  xix,  79,  8.  —  orribile,  xvi, 
20,  6. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


691 


o  aia,  o,  xxviil,  88,  1. 

o  sia...  o  sia,  ora...  ora,  xxvui,  90,  3. 

ossa  e  polpe,  la  vita,  sxvii,  27,  2. 

ossedione,  xxv,  91,  4. 

osservare  a  uno,  mautenergli  la  promessa,  xxr, 
43,  1. 

osservar  cosi,  osservar  questa  cosa,  xxii,  54,  4. 

oste,  ospite,  xvii,  71,  3.  xxviii,  58,  6.  xxxiii, 
59,  4.  xLii,  97,  1.  —  esercito  in  generale, 
XL,  21,  6. 

ostello,  abitazione,  vi,  6,  3.  —  luogo  dì  riunio- 
ne, xxxr,  28,  3. 

ottenersi  un  partito,  xx,  5t,  8.  xxxviii,   6.i,    2. 

ove,  quando,  xviii,  188,  6.  xlt,  Gli,  8.  —  men- 
tre, XXXV,  46,  8.  XXXVIII,  57,  1.  —  riferito 
a  persona,  vni,  11,4. 


paladini,   vii,  20,  G. 

palafreno,  i,  13,  1.   xviii,  80,  2. 

palchi,  piani,  xv,  63,  5. 

palco,  soffitto,  xxxni,  104,  6. 

patini  di  razza,  arazzi,  xLin,  133,  1. 

panziera,  vi,  G6,  4. 

paragone,  modello,  iv,  62,  8.  xxiv,  60,  6.  xxix, 
20,  4.  —  prova,  i,  GÌ,  4.  xvi,  59,  G.  xxvi, 
20,  3.  XLiii,  65,  G. 

pare,  pari,  xv,  101,  8.  xlv,  53,  8. 

parere,  parerò  opportuno,  xxii,  42,  7.  xxvir,  75, 
4.  —  parer  possibile,  xxvii,  75,  4.  —  appa- 
rire, XIV,  98,  2.  xxxiii,  21,  1.  —  costruito 
personalmente  alla  latina,  x,  61,  2. 

parere  un'  ora  un  anno  di  fare,  xxx,  92,  7.  — 
p.  di  strano,  xiv,  82,  7. 

parere  che  con  l'indicat.,  xxxvi,  14,  3;  42,  5. 
XLV,  52,  5, 

Pari,  Paladini,  xxxviii,  79,  5. 

parlare,  transitivo,  xxix,  2,  2.  xl,  1,  7. 

parte  che,  xi,  53,  2. 

parteciparsi,  esser  condiviso,  xxv,  88,  6. 

particelle  pronominali  omesse,  i,  21,  7;  73,  2. 
li,  1,  6;  14,  G;  52,  3.  m,  49,  2;  77,  2.  iv, 
35,  1.  vili,  52,  8.  IX,  b3,  5.  x,  7,  7.  xii,  14, 
7;  15,  8.  xiir,  7,  3;  26,  8.  xiv,  26,  7;  37, 
4.  XV,  55,  6.  XVI,  55,  4.  xvui,  30,  4;  G7,  3  ; 
69,  7  ;  162,  8.  xxi,  59,  7.  xxii,  44,  6.  xxiii, 
19,  7;  G8,  2;  105,  6.  xxiv,  2  ,  2.  xxvi,  64, 
6,  ecc.  ecc.  —  part.  pron.  usate  irregolar- 
mente, XXXV,  42,  8. 
particelle  pronominali  spostate,  i,  4,  1  ;  47,  6. 
IV,  33,  2;  36,  3.  v,  19,  6;  43,  4.  vii,  44,  7. 
vili,  74,  4.  XI,  49,  5.  xvi,  61,  6.  xvii,  59,  1. 
XVIII,  69,  2.  sxi,  31,  5.  xxm,  3,  3.  xxv,  18, 
2.  xxvii,  41,  4;  76,  3.  xxviii,  22,  3.  xxix, 
41,  6.  XXXVI,  47,  5. 
particelle    pronominali    usate    irregolarmente, 

XXXV,  42,  8. 
particelle  pleonastiche,  ii,  4,  1,  7  ;  25,  8.  v,  32, 
4..  XVI,  1,  2.  XLi,  5,  2;  44,  1.  xLni,    119,  4. 
XLVi,  8,  6. 
participio  assol.,  vii,  64,  6.  ix,  32,  1.  xvii,  57,  5. 


participio  usato  impersonalmente,  v,  58,  5.ix. 
32,  1.  X,  15,  5.  XI,  33,  6;  44,  7;  79,  2.  xxiv, 
14,  5.  XL,  36,  4. 
participi  scorciati,  i,  48,   4.   xii,   9,  6.  xiv,  36, 
4.  XVI,  47,    7.    xviii,    176,    3.    xxiv,    103,  5. 
xxv,  26,  8.  XXVI,  51,  4.  xxviii,  2,  7. 
partire,  distribuire,  xxxviii,  32,  5. 
partir  contese,  XLVi,  74,  4. 
passare,  andare,  n,  19,  1.  vii,  25,  4.  ix,  40,6. 

XXIV,  42,  4. 
passe,   sparse,  vii,  50,  4. 

passione,   dolore,   infermità,    xliii,    192,    5.   

patimenti,  xxiv,  77,  7. 
patente,  aperto,  ix,  81,  5. 
paterno,  patrio,  xxxv,  2,  8. 
pausa,  riposo,  xxvi,  19,  3. 
paventoso,  che  mette  paura,  ix,  75,  4. 
pellegrin  (falcone),  xix    52,  6. 
penna  dello  scudo,  xn,  83,  1.  xxii,  84,  1.  xvir, 

94,  3. 
pennati,  uccelli,  xxni,  12,  5. 
pentacolo,  iii,  21,  G. 
pentir,  pentirsi,  xxxvtii,  72,  8. 
per  con  l'inf.  in  aiguificato  concessivo,  v,  72,  7. 
XV,  69,  6.  xvm,   17,    3.    xxvi,    59,  7.  xxvii, 
26,  7.  XXXI,  57,  6.  xxxvn,  79,  1.  —  causale, 
X,  35,  2. 
I  per,  come,  xxix,  31,  5.  —  da,  xxvi,  41,  5.  xxvii, 
10),  5.  —  con,  xxiii,  89,  5;    98,    2.   —   fra, 
VI,  62,  1.  XII,  7,  3.  XIII,  55,  8.  xxxix,  76,  1. 
—  in,  xxvii,  37,  6.  —  per  parte,  xliv,  86,  5. 
per  a  dietro,  xx,  43,  1. 

perché,  benché,  xviii,  150,  1.  xxix,  67,  4.  xw, 
75,  6.  XLVI,  8,  6.  —  che,  xxiv,  78,  4.  --  per 
il  quale,  vii,  GG,  4. 
per  conto,  appuntino,  xxvn,  138,  2. 
percuotere,  percuotere  in  terra,  xxxi,  14,  5. 
perder  l'impresa  d'una  cosa,   perder   la   batta- 
glia intrapresa  per  u.  e,  xxxvii,  113,  8. 
perdonanze,  indulgenze,  xv,  100,  2. 
perdonare,  far  perdonalo,  xxxv,  26,  4. 
per  eccellenza,  eccellentemente,  xxx,  22,  4 
perfetto,  fatto,  xvm,  31,  4. 
per  forza  e  per  amore,  xxxil,  4,  3. 
pergiuro,  ix,  52,  5.  xxxv,  39,  8.  xxxix,  13,  16, 

7.  XL,u,  25,  6. 
perigliarsi,  mettersi  a  pericolo,  xx,  89,  1. 
periuro,  spergiuro,  xi,  73,  4. 
per  lo  giusto  e  per  lo  dritto,  per  filo  e  per  se- 
gno, V,  33,  1. 
però,  peranco,  xxx,  35,  G. 
per  ogni  punto,  continuamente,  x,  43,  2 
perso,  XI,  11,  5. 
personaggi,  specie    di    rappresentazione,  xliv, 

34,  7. 
persuadere  a  uno  a  fare  una  e,  xxviii,  11,4. 

XLV,  49,  5. 
persuadersi,  risolversi,  xvii,  134,  6 
persutto,  xLni,  196,  2. 
perienere,  XLVi,  103,  4. 
per  vero,  da  senno  (usato  con  valore  di  aggett.), 

XXVI,  87,  G. 
pesta,  traccia,  xxxv,  56,  7. 


692 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


pestare,  battere,  x,  lU,  2.  xxxvi,  56,  4. 

petto,  animo,  xlii,  2,  3. 

piatirei-  gli  occhi,  XLiii,  168,  1. 

piagnersi,  lameutarsi,  xxxi,  5f,  8. 

pianamente,  chiaramente,  xxvni,  12,  7. 

piano,  semplicemente,  xsvn,  77,  3. 

piatanza,  xiv,  79,  7. 

piatto,  nascosto,  xi,  ;^6,  6.  xvn,  57,  6.  xix,  27,  2. 

piastra  e  maglia,  i,  17,  3.  vi,  80,  5. 

piazza,  luogo  per  i  duelli,  xi,  16,  4.   —   luogo  i 
in  generale,  xxxi,  81,  6. 

picchi,  picconi,  ii,  70,  7. 

picchiate,  xiv,  4^),  7. 

piede,  (.iiisura),  xiv,  130,  1. 

pietà,  dolore  prodf.tto  da  pietà,   xli,  4,  8. 

pifara,  xliv,  34,  2. 

pigliar  da  gioco,  xli,  93,  2. 

pigliar  del  piano,  pigliar  campo,  xxi,  9,  3. 

pigliare  in,  invece  di  pigliare  per,  xviii,  161,  4. 

più  alcuno,  alcun  altro,  xvn,  25,  4.  xx,  122,  3. 
XXIV,  113,  1.  xxvjl,  9,  3;  107,  7,  xxxi,  9,  !• 

^tii,  maggiore,  vii,  10,  4.  viii,  43,  8.  xiii,  3,  7. 
xxiii,  133,  2.  xi>,  37,  1.  XLVI,  30,  2. 

più,  ancor,  altra  volta,  xxxiii,  68,  4.  XLUi,  160, 
3.  —  di  più,  inoltre,  xxxiv,  15,  3.  xxxvi, 
36,  2. 

più  di  due  volte,  XLiv,  59,  5. 

più...  e  più  che,  xi,  54,  6. 

poco,  non,  xxx,  65,  3. 

poggiare  e  suoi  costrutti,  xx,  144,  3. 

podestà,  xxiii,  66,  1. 

polita  (guancia)  fresca,  xxv,  49,  4. 

poltra,  xxiii,  90,  1. 

pondo,   importanza,  vii,  62,  2. 

poppe,   poppa,  IX,  9,  6.  xix,  45,  1. 

populari,  popolazzo,  xxvi,  40,  8. 

porgere  il  foglio  bianco,  ix,  82,  5. 

por  meta,  por  termine,  vii,  26,  2. 

porre,  puon,  xxiv,  88,  7.  xlvi,  132,  8. 

porre,  consumare,  xix,  91,  4.  —  dare,  xxxi, 
23,  6.  —  deporre,  xx,  115,  7.  —  sbarcare, 
xxxix,  74,  5. 

porre  a  sacco  (una  persona),  xxx,  8,   8.   —  p. 
a  giacere,  xxiv,  13,  6.  — p.  V  orecchia,  por- 
ger l'or.,  XLV,  27,  3.  —  p.   mira,  p.  atten- 
zione, xxill,  7,  5.  — p.  ordine,  stabilire,  xm, 
II,  3.  —  p.  scala,  prender  porto,  xvni,  137, 
5.  —  porre  per  ragione,  xxxii,  28,  5. 
porsi  cura,  darsi  pensiero,  xxxvni,  73,  8. 
porsi  o  mettersi  in  avventura,   p.    o    m.   al   ci- 
mento, XXIII,  40,  7.  XXVI.  74,  5. 
portamenti,    abiti,    xi.    11,    4.    —    trattamenti, 

XXXVI  74,  4. 
portar  dubbio,  correr  pericolo,  xxii,  58,   6.   — 
p.  periglio,  vii,  46,  3.  —  p.  riverenza,  xviii, 
123,  2. 
por  volontà,  xx,  46,  5. 
posare,  riposare,  far  ripos.,  xxxi,    50,  2.  xliv, 

101,  7. 
potere  —  forme  irregolari  :  poi,  puoi,  xxxvni, 
52,  6.  XLVI,  106,  2.  —  panne,  ne  può,  XLiii, 
4,  5.  —  potè,  puòte,  vni,   .52,  4.  xvi,  42,   4; 
63,  7.  XVII,  48,  5  ;  95,  3.  xxii,  63,  5;  74,  4. 


xxm,  112,  7.  XXIV,  26,  5.  xxvi,  125,  3.  xxxv, 
50,  7.  —  piton,  possono,  x,  61,  2.  xi,  38,  I. 
xiii,  1,  6.  xxxvr.  49,  4.  —  pon,  possono, 
XXVI,  102,  6.  —  potiamo,  iv,  7,  5.  —  poterò, 
XIX,  75,  3.  —  possino,  xiv,  66,  6.  —  possi, 
possa,  XX,  41,  6.  —  possendo,  ii,  20,  4.  v, 
24,  3.  XIV,  54,  7. 

potere,  riuscire,  xv,  8,  8.  xvii,  16,  6. 

potere  di  una  persona,  xxiil,  30,7.  xxiv,  ll.i,  2. 

pravo,  sfavorevole,  xl,  19,  5. 

precedere,  precesse,  xiv,  68,  1.  XLiii,  155,  1. 

precesso,  precedente,  xxxix,  42,  7. 

predire  di  una  cosa,  parlarne  innanzi,  xv,  58,  4. 

pregi,  lodi,  xiii,  57,  6. 

pregio,  premio,  xviii,  77,  8  ;  132,  8.  xxx,  67,  4. 

premere  al  cor,  xi,  14,  4.  xxi,  4,  2.  xxiii,  42,  6, 

premere  a  uno,  recargli  dolore,  xxviii,  68,  4. 
XLV,  28,  3.  —  opprimerlo,  xvii,  106,  3.  xxii, 
42,  1.  xxv,  66,  5. 

prendere,  colpire,  xxiii,  59,  5.  —  intraprende- 
re, IV,  57,  4.  VI,  10,  8.  xxvn,  68,  8. 

prender  nel  freno,  iv,  43,  1.  —  nel  crine,  xxili, 
91,  3. 

prendere  una  lite,  muovere  una  1.,  xxvi,  107, 
7.  —  p.  un  bacio,  darlo,  xxv,  29,  8.  — p.  un 
salto,  xviii,  7,  2. 

prendere  adito,  xliv,  9,  4.  —  compagnia  con 
uno,  XXVII,  76,  2.  —  conclusione,  xxxvii,  93, 

4.  —  la  via  a  un  luogo,  xxx,  91,  8. 
preposizioni  omesse  dinanzi  agli  infiniti  dipen- 
denti, I,  4,  1.  Ili,  37,  5;  40,  8;  50,  8;  65,7. 
IV,  36,  3;   58,  4.  vili,  88,  4.  ix,  52,  4.  xi,  54, 

5.  XII,  4,  1  ;  43,  3;  61,  3.  xili,  3,  5;  75,  8. 
xviii,  125,  5  ;  133,  8;  165,  4.  xx,  32,  7.  xxii, 
28,  1.  xxv,  51,  8.  XXVII,  6,  6.  xxix,  7,  5. 
xxx,  50,  2.  XXXI,  10,  12.  xli,  99,  5  ecc.  ecc. 

preposizioni  omesse  per  evitare  ripetizioni,  ii, 
73,  3.  IV,  53,  8.  VI,  31,  6.  xvn,  9,  5.  xxxi, 
38,  7.  XXXVII,  65,  6.  —  omissione  della  par- 
ticella pronominale,  xxxvi,  63,  2. 

presa,  termine  di  lotta,  xlvi,  134,  1. 

presente,  riferito  a  tempo  futuro  o  passato,  xv, 
21,  4. 

prestarsi  l'opra,  lodarsi  Bcambiovolmente, 
xxxvii,  3,  1. 

preterire,  passare  in  silenzio,  xxxv,  39,  4.  — 
passare  senza  profittare  d'una  cosa,  xliv, 
31,  5. 

preterire  il  patto,  oltrepassare  il  termine  pat- 
tuito, xxx,  86,  4. 

prevalersi,  avvantaggiarsi,  xxii,  15,  4. 

prezzo,  premio,  xvn,  82,  1. 

prima,  un  tempo,  x,  95,  4. 

prima  che,  coll'indicat.,  v,  26,  7.  ix,  41,  3.  xii, 
85,  1.  XIX,  42,  1.  XXII,  53,  4.  xxiii,  96,  6. 
XXVI,  14,  4;  91,  3.  xxxi,  75,  5. 

prima  che,  più  tosto  che,  xliv,  47,  5.  —  fuor- 
ché, xvui,  32,  G. 

prima  che  non,  prima  che,  xix,  8,  3. 

Principe  d'Anglante,  XL,  56,  3. 

prò,  prode,  xliv,  83,  2. 

procacciar  di  u.  e,  xxviii,  49,  6.  xxxii,  99,   5. 

procedere,  avvenire,  xlui,  93,  7-8. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


093 


proehì,  proci,  xxvii,  107,  2. 

proclitiche  e  loro  uso,  ii,  49,  1. 

proda,  prua,  xv,  31,  8.  xviii,  144,  6.  —  bordo 

della  nave,  x,  49,  4. 
produrre,  mettere  iu  mostra,  xxvU;  126,  5.  — 

protrarre,  xxix,  21,  1. 
profano,  empio,  xxiv,  84,  6. 
progenerare,  essere  progenitore,  xli,  3,  5> 
progressi,  atti,  xxxii,  102,  4. 
prolungare,  differire,  xxvi,  97,  4. 
promettere  peregrino,  xix,  48,  1. 
promettersi,  ripromettersi,  xi.v,  6,  1. 
pronome  relativo  e  sua  collocazione,  iv,  51,  4. 

vn,  53,  7. 
pronomi  pleonastici,  i,  65,  3,  xiv,  67,  4  ;  74,  3  , 

94,  7. 
proposizione  incidente  coordinata  inserita  nella 

principale,  xliii,  113,  5. 
proposizione    principale   inserita   nella  dipen- 
dente, XI,  27,  5.  xni,  18,  6.  xxxi,  99,  7. 
proposizioni  relative  invece  delle  finali,  xxxviii, 

68,  4. 
proprio,  stesso,  xli,  62,  3. 
protervo,  superbo  e  ostinato,  xvi,  3,  3. 
prova,  fama  di  prodezza,  xvn,  105,  7.  xx,  7,  6. 

XL,  54,  2. 
provare  ciance,  non  avere  in  prova  che  ciance, 

v,  38,  6. 
proveder  d'una  cosa,  provvedersi   d'  una  cosa, 

XXX,  73,  3. 
provisto,  avvisato,  ni,  76,  5.  x,  43,  7. 
provocarsi,  provocare  contro  di  sé,  xxiv,  97,  7. 
provvedere  a  uno  di  una  cosa,    v,    91,    3.   xiv, 

8,  1.  XXVI,  71,  1.  XXXIV,  60,  3. 
prudenza,  perizia  di  guerra,  xxvi,  47,  3. 
punta,  puntata,  rx,  70,  3.  xi,  39,  4.  xii,  76,  6. 

xvin,  152,  4. 
puntellare,  pungere,  xii,  37,  6. 
punto,  alcun  poco,  xxii,  56,  3. 
punto,  una  cosa  da  nulla,  XLiv,  31,  5.  — con- 
dizione, xLlii,  98,  3. 
pur,  anche,  xviii,  63,  8.  —  nondimeno,  xvi,  82, 

4.  XXVI,  19,  5.  —  finalmente,  xvn,  88,  6.  — 

rinforzativo,  xxvu,  66,  5. 
pure  dopo  non,  neppure,  xxviii,   101,  8. 
pur  finalmente,  xxi,  51,  7. 


<i 


juadro,  recinto  quadrato,  xlii,  74,  7. 

qual,  qualunque,  xviii,  60,  8. 

guai  volta,  qualunque  volta,  v,  9,  8  ;  24,  5.  xvn, 
24,  3.  xvm,  130,  4.  xxxvi,  5,  4. 

guando,  poiché,  i,  18,  3.  67,  8.  vii,  70,  3.  ix, 
9,  3.  XI,  50,  5.  xn,  29,  5.  xni,  50,  3.  xix,99, 
5.  XX,  41,  1.  xxiii,  73,  5.  XXIV,  111,  6.  xxvi, 
43,  5.  xxvn,  103,  5;  132,  3.  xxvin,  83,  6. 
xxxu,  3,  5.  —  sebbene,  iv,  31,  7.  xvin,  16,  5. 

quando  pur,  se  pur,  xlv,  104,  2.  —  quand'an- 
che, XXIV,  59,  7.  —  quando  prima,  xix,  62,  1. 

juantOj  aggett.  usato  avverbialmente,  xli,  9, 
8;  26,  1. 


quanto,  per  quanto,  n,  4,  4,  xii,  91,  4.  xsi,  72, 
4.  XXV,  61,  7.  —  in  quanto  che,  xliii,  114,  7. 

quanto,  quanto  grande,  xv,  64,  6. 

quanto...  che,  quanto  perché,  ni,  50,  1.  v,  16,  5, 

quantunque,  posposto,  n,  13,  7.  xvi,  4,  7.  xxxi. 
38,  6.  xLn,  95,  1. 

quantunque,  con  l'iudicat.,  xlv,  56,  5. 

quartiero,  xxvii,  54,  6. 

quasi  che,  quasi,  xxxix,  20,  4. 

quattro  volte  e  sei,  xn,  13,  1  ;  19,  I. 

quello,  questo,   con   riferimento  inverso,  xxvi 
26,  4.  XXIX,  24,  8. 

quel  punto,  allora,  xxxi,  96,  2. 

querela,  xxvi,  86,  7. 

questo,  questi,  xxiii,  68,  8.  xxxi,  90,  2. 
j  questo  quello  con  riferimento  inverso,  xxxi,  7,  5. 
'  qui,  riferito  a  cosa,  xxi,  43,  5.  —  quivi,  xxxvn, 

60,  6. 
1  quietare,  lasciare  in  quiete,  xxvi,  133,  3. 

quindi,  quivi,  xxvin,  33,  5. 
I  quindice,  XL,  4,  7. 


B 


raccogliere,  accogliere,  vn,  9,  3.  xv,  75,  8,  xvi, 

85,  7.  xxn,  53,  2.  xxxi,  41,  7.  xxxvn,  46,  2. 

—  comprendere,  xxin,  32,  3.  —  trattenere, 

xxvin,  26,  6. 
raccogliere  all'  ordine,  riunire  in  schiera,  xvni, 

38,  3, 
raccogliere  il  morso,  xv,  36,  6. 
raccogliere  per  figliuolo,  riconoscere  p.  f.,  xliv, 

38,  5. 
raccordare,  ricordare,  xxn,  72,  3.  xxvi,  17,  1. 

XXX,  28,  1.  xxxviii,  27,  3.  xlii,  14,  1. 
ragazzo,  servo,  xxvin,  55,  5. 
raggiunto,  congiunto,  xlvi,  67,  2. 
ragguagliarsi,  esser  concorde,  xxix,  6,  6. 
raggiare,  essere  acceso,  xx,  99,  6. 
raggiungere,  ricongiungere,  xix,  87,  4. 
ragionare,  dire,  xv,  63,  2. 
ragione,  abilità,  perizia,   xviir,    48,    5.    xxxm, 

82,  1  ;   87,  1.  XLV,  81,  5.    —  mezzo,  xxxni, 

87,  1.  —  conteggio,  xiv,  72,  6. 
rammentare,  essere  in  mente,  xxx,  39,  1. 
rampolli,  rivi,  xxvi.  111,  8. 
rdpere,  xvn,  46,  6, 
rassegnare,  riconsegnare,  xxvir,  5,  7. 
rassettar,  assettare,  xxm,  18,   3.    —  porre   ad 

agio,  xxvui,  86,  7. 
rassettarsi,    accomodarsi    (a    sedere   o    simili), 

XXXI V,  69,  3. 

rassignare,    rassegnare,    restituire,    ix,   91,  5. 

xxvn,  5,  7. 
rassumere,  raccogliere,  viil,  71,  3. 
rassummare,  sommare,  xxxvin,  53,  3. 
ravvedersi,  avvedersi,  xxxii,  44,  4.  xlv,  78,  1. 
redarguire,  ribattere,  xlvi,  45,  3. 
redire,  xxxviu,  52,  4. 

reggere  a  uno,  resistere  contro  uno,  xlvi,  120,  4. 
regio,  nobile,  xiu,  71,  3.  XL,  28,  6,  —  insigne, 

XXXV,  6,  7. 


694 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


registrare,  porre,  Xlìi,  36,  6. 

regni,  domini,  xiv,  6,  7. 

relazion  di  grazie,  xxv,  20,  5. 

relinquere,   xil,  19,  3. 

reliquie,  armi  e  vesti  lasciate,  xxiv,  52,  S. 

remettere,  perdonare,  xxxii,  8,  1. 

remisBo,  xl,i,  7,  5. 

rendere,  consegnare,  xxxv,  63,  5. 

render  buon  conio,  far  fede,  xi,64,  6.  —  r.  frutto, 
xsxiv,  21,  7.  XLVi,  62,  5.  —  le  cause,  v,  4, 
5.  XLiil,  2,  2.  —  ragioni,  vii,  35,  2. 

rendersi  a  uno,  arrendersi,  xlvi,  45,  5. 

reo,  di  cattiva  qualità,  xxxi,  56,  4. 

reposto,  nascosto,  iv,  25,  3. 

restare,  lasciare,  xxxiii,  97,  3.  —  cessare,  xliii, 
8(5,  3.  —  mancare,  xxxvi,   56,  6.  xl,  81,  5. 

—  restare  di,  indugiare  a,  xxvi,  10,  7. 
restare  in  danno,  patir  perdita,    xviii,    156,  5. 

—  stare  in  d.,  xx,  132,  7. 
restare  per  uno  che,  Xi.v,  59,  7. 

restar  poco,    mancar    poco,    xnr,    125,    1.    sx, 

130,  7. 
restauro,  ristoro,  xl,  12,  5. 
restio  d'unai  cosa,  xxxiv,  27,  5.   xxsvii,  61,  4. 
resto  di  virtù,  restanti  virtù,  xxvi,  43,  6. 
retroguardo,  xviir,  41 ,  2. 
revisto,  xn,  19,  1. 
rezzo,  buio,  v,  53,  3.  xxxi,  22,  3. 
ribelle  di,  v,  3,  2.  ix,  13,  6.  xxiii,  103,  6.  xxvii, 

103,  6.  XXXVI,  37,  6. 

ribrezzo  ultimo,    il    freddo    della   morte,   xxxi, 

104,  6. 
ribuffare,  xxxix,  3,  4. 
riccamar,  xli,  30,  3. 
riccamo,  xxxix,  17,  8. 
richiamarsi,  lagnarsi,  xxxvii,  3),  7. 
richiudere,  chiuderò,  xv,  49,  3. 
richiuso,  rinchiuso,  xvi,  34,  7. 
ricogliere,  xv,  82,  5. 

ricontare,  ix,  85,  6.  x,  42,  8.  xviii,  8,  2.  xix, 
42,  8. 

ricordarsi  una  cosa,  xxii,  20,  5. 

ricordo,  avvertimento,  xxvi,  113,  3.  xxvil,  44, 
1;  103,  3. 

ricovrare,  ricuperare,  n,  43,  8.  viii,  17,  4.  xiv, 
27,  7.  xvii,  94,  2.  xxvil,  113,  4. 

ridersi,  ridere,  xxvil,  100,  1 . 

ridurre  in  odio,  mettere  in  odio,  sxr,  24,  5. 

ridursi  che,  r.  al  punto  che,  xxiii,  120,  5.  xxiv, 
89,  5,  7.  xxv,  31,  7. 

riferire  grazia,  vi,  81,  1.  xi,  56,  6. 

riferir  grazie,  xv,  15,  7.  xvi,  48,  7. 

rifiutare,  combattere,  xxv,  30,  5. 

rifrenato,  raffrenato,  xliii,  70,  8. 

rifrescare,  xi,   li,  1.  xxxii,   26,  5. 

riguardare,  aver  riguardo,  xv,  45,  3.  —  aspet- 
tare, xxiii,  96,  2. 

rilevarsi,  riaversi  da  una  disfatta,  xliv,  27,  8. 

rimanere,  cessare,  ii,  24,  1.  xiii,  78,  7.  xxix, 
72,  1.  —    usato  assolutamente,  xxxi,  23,  8. 

—  tardare,  xx,  15,  7. 

rimanere  in  forse,  rimanere  in  grande  appren- 
sione, XLVI,  125,  5. 


rimanere  stimato,  essere  st.,  vii,  1,  4. 
rime  con  monosillabo,  i,  43,  6. 
rimesso,  dimesso,  iv,  37,  4. 
rimettersi,  distogliersi,  v,  21,  5. 
rio,  fiume,  xxviii,  20,  5.  xxxvii,  19,  6. 
rio,  dannoso,  xvii,  99,  7.  xviii,  44,  5.  —  ritro- 
so, xxsiv,  27,  3. 
ripa,  riva,  xiii,  42,  7. 
riparare,  rimediare,  vii,  68,  5. 
ripetizioni  enfatiche,  i,  47,  1.  xviir,  48,  3. 
ripigliarsi,  azzuffarsi  di  nuovo,  xxvi,  113,  6. 
risalir,  rizzarsi,  xlvi,  118,  2.  —  tornare  l' un 

contro  l'altro,  xxvi,  112,  8. 
risco,  VI,  81,  8.  XXIII,  15,  4.  xxxi,  23,  4. 
riscuotere,  liberare,  xxiii,  55,  2.  xxv,  82,  4. 
riserbare,  risparmiare,  xxxvii,  79,  4. 
risforzare,  xxxix,  55,  4.  xl,  27,  1.  xli,    70,  5. 
risforzo,  xxxix,  55,  4. 
risolversi  d'uìia  cosa,  xii,  26,  8. 
risonare,  ripetere,  xxix,  29,  8. 
risorgere,  farsi  avanti  di  nuovo,  xxvii,  109,  1. 
rispetto,  motivo,  vili,  24,  1.  xxxiii,  85,  5. 
rispiarmare,  xxxvil,  10,  6. 
ristringersi,    raccogliersi    a.  colloquio,    xxxix, 

04,  3. 
ritegno,  riparo,  xxi,  26,  3. 

rite7iere  uno  di  fare,  o  di  non  fare,  xxxix,  11,3, 
ritenersi,  fermarsi,  xxv,  7,  6.  xxxiv,  4,  3. 
rito,  religione,  xliii,    193,    8.    —    usanza,    xix, 

59,  2. 
ritornar  per  anco,  rit.  per   prenderne   ancora, 

xxxiv,  91,  8. 
ritrarre  a  sanità,  sanare,  xix,  27,  6. 
ritroso  da,  v,  33,  6. 
ritrovare,  afferrare,  xxxui,  125,  4. 
ritrovar  sesto,  xxili,  85,  1. 
riuscir  lunge,  riuscir  lungi   dall'  intento,    xx'\ 

83,  5. 
riva,  ripa,  xxxvii,  56,  t. 

rivedere,  far  la  rivista  militare,    xviii,    103,  7. 
rivf.rso,  rovescio,  xlv,  76,  4. 
rodere,  rodersi,  XLm,  113,  5. 
rombi,  vili,  14,  7. 
romor,  rivolta,  xxili,  66,  6. 
rompere,  pass.  rem.  roppe,  xxii,  85, 1,  xli,  72,  7, 
rotare,  trascinar  con  la  ruota,  x,  15,  5. 
roverso,  riverso,  xviii,  172,  7. 
rubo,  rovo,  xxix,  54,  6. 
rugine,  xxxix,  56,  4. 
rubare,  derubare,  xv,  58,  8.  xvii,  36,  5.  xxxviii, 

45,  5, 
rumor,    resistenza,    opposizione,    xxiii,    66,    6. 

XLVI,  57,  4. 
ruote,  giravolte,  xxili,  122,  5. 
llusci,  Russi,  XI,  49,  2. 


s 


saccomanno  (dare  a),  xxx,  9,  4.  xi-,  11,  8. 
sacramento,  giuramento,  xiv,  43,4.  xxiii,  78,  1. 
sacro  con  estensione  di  significato,  ii,  42,  6.  ni, 
22,  2  ;  74,  8.  XII,  80,  7.  xxxi:i,  4,  7.  —  con- 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


695 


sacrato  cou  riti  magici,  xii,  57,  3.  xxii,  94, 

6.  —  che  si  concilia  venerazione,  xl,ii,  86,  7. 
saga,  xxxi,  5,  3. 
saggio,  consapevole,  xxi,  70,  6. 
sanguigna  (sete),  di  sangue,  xvii',  11,  G. 
salire^  pass,  salse,  vi,  41,  4.   xi,  80,  7.  xv,  83, 

6.  XXXIII,  90,  G.  XI.VI,  47,  2. 
salive,  saltare,  viii,  G,  3  ;  81,  5.  xiii,  3i,  1.  xx\  ii, 

60,  7.  xxxvin,  80,  7.  —  sollevarsi,  xix,  óG,  2. 
salir  di  terra,  alzarsi,  xxxix,   53,    3.    —   s.    in 

piedi,  XXVI.  61,  1. 
salma,  carico,  x,  25,  4.  xv,  80,   G.    xxx,  14,  1. 
salme,  corpo,  xxxviii,  82,  6. 
saltare,  levarsi  improvvisamente,    xm,    15,    5. 

xvn,  27,  3. 
saltare  a  piedi,  scender  da  cavallo,  xxiv,  19,  1. 
salva  tua  grazia,  xxxvi,  76,  7. 
sanguigno,  insanguinato,  xxiv,  86,  1. 
santo,  XXXVII,  93,  5.    —    di   sacerdote  pagano, 

XL,  13,   1. 
sama,  xviii,  27,  5. 
sapere,  aver  senno,  xxv,  79,   2.    —    conoscere, 

XXIII,  31,  7.  —  potere,  xxxii,  65,  2. 
sapere  di  una  cosa,  averne  I'  odore,  xvil,  46,  2. 
saper  meglio,  aver  miglior  sapore,  xvii,  35,  1. 
sarpare  il  ferro,  levar   l'ancora,    xvii,    36,   8. 

xvm,  140,  7. 
sbarra,  riparo  in  genere,  vui,  3,  6.  xvii,  Gì,  1. 

XXIV,  110,  3.  XXIX,  41,  2.  —  steccato,  xxvii, 
58,  8. 

sharragliare,  xxvi,  116,  3. 

«cario,  avaro,  xv,  3^,  4.  —  niauchevolo,  xix, 
3,  4.  —  non  corrivo,  x,  6,  6. 

scevro  da  uno,  separato  da  uno,  v,  26,  1. 

schena,  schiena,  x,  57,  G.  xi,  10,  2. 

sehena  della  spada,  xr^,  8?,  2.  —  ».  del  mar, 
XXII,  9,  7. 

schernire,  io  scherno,  xx,  138,  2. 

schiera,  esercito,  xxv,  2,  5. 

schietto,  liscio,  xxxiv,  53,  3. 

schiva,  ritrosa,  xvi,  2,  3. 

schivare,  difendere,  guardare,  iii,  68,  1.  vi,  30, 
8.  —  resistere,  xxii,  66,  6. 

schivare  a  uno,  rimuovere  da  uno,  iv,  35,  5. 
XVI,  48,  8.  xxni.  Ilo,  5.  —  risparmiare,  ix,  49, 
8.  XI,  .^6,  6.  XII,  34,  5.  XVI,  48,  xx,  8.  68,  4. 

schivare  che  non,  xv,  13,  5. 

schivo,  schifo,  XV,  47,  2.  xvil,  52,  8. 

sciamilo,  xxxi,  38,  3. 

sciogliere,  salpare,  ix,  88,  4.  x,  44,  1.  xv,  18, 
8.  XX,  101,  5.  xxx,  10,  5.  XLI,  7,  8.  —  scio- 
gliersi, salpare,  xix,  41,  4.  xxxiii,  57,  1. 

sciolto,  separato,  xxvii,   21,  1. 

sciugare,  xii,  82,  4. 

scoccare,   fare  scoccare,  v,  42,  5. 

scoglio,  scaglia,  x,  101,  8.  xvii,  11,  ó.  xxvii, 
49,  3. 

sconciare,  uccider  malameuto,  xviir,  17G,  8. 

sconcordanza  dell' agg.  predicativo  col  soggetto, 
XXXI,  12,  6.  XLii,  82,  3. 

sconcordanza  del  participio,  v,  58,  5  ;  80,  6. 
VII,  60,  6.  XV,  69,  7.  xviii,  87,  7.  xxi,  44,  7. 
XXVI,  34,  8.  xxvm,  48,  5.  xxix,  32,  3.  xxxii, 


27,  2;  77,  2;  93,  1.  xxxrii,  45,  3.  xxxvii,  6, 
2.  XLii,  87,  5. 

sconcordanza  del  participio  colla  particella  pro- 
nominale premessa,  xxii,  10,  5 :  66,  2. 

scongiuri,  giuramenti,  v,  32,  5.  xxi,  5f>,  2.  xxix, 
19,  1. 

scontare,  fare  scontare,  xxiii,  110,  8. 

scontro,  colpo  scambievole,  xvm,  9,  1. 

scopare,  percuotere  con  scope,  xvm,  92,  8. 

scoppio,  schioppo,  XI,  24,  7.  xxii,  21,  4. 

scoprire,  usato  assolutamente,  xxiv,  14,  6. 

scoprire,  scoprirsi,  apparire,  x,  48,  1.  xix,  41, 
5  ;  62,  2.  —  lasciar  vedere,  xvir,  120,  3. 
XKXII,   14,   7. 

scorda  {non  ti),  vii,  68,  3. 

scordarsi  a  tino  una  cosà,  xxvii,  137,  8. 

scorgere,  guidare,  XLin,  189,  1. 

scorrere,  discorrerò,  xiv,  79,    1.    xxxiv,   62,    1. 

—  andare  avanti,  xxix,  25,  5. 
scorrere  un  pericolo,  xv,  50,  2.  XLV,  3,  5. 
scorta,  sentinella,  viii,  91,  4.  xiv,  94,  5. 
scorti,  reputati,  xn,  36,  6. 

scorsa,  corpo,  iv,  34,  4.  —  apparenza,  xxxvii, 

59,  5. 

scrivere,  coscrivere,  xm,  83,  4.  xxxii,  4,  1. 
scudiero,  vi,  13,  5. 

se  col  condizionale,  xlvi,  42,  1.  —  deprecativo, 
VI,  30,  8.  XXXIV,  9,  6.  —  per  vedere  se,  xii, 

87,  6.  XVII,  28,  7.  —  poiché,  xvii,  79,  4.  — 
sebbene,  xvi,  2,  4. 

se,  lui,  XII,  66,  6.  xvn,    121,    5.    xxviii,  40,  5. 

—  da  sé  stesso,  xxvm,  33,  7.  —  enclitico 
per  si,  II,  49,  1.  xxi,  69,  2.  —  proclitico  per 
si,  XIX,  26,  3.  XL,  61,  4.  XLi,  8,  2. 

se  bene,  cou  l' indicai.,  xvi,  2,    3.    xvm,  67,  1. 

seco,  come  lui,  xvi,  13,  6. 

secondare  la  via,    seguitare   a   andare,   xxxiii, 

88,  4. 

secondo,  fatta   ragione,   tenuto    conto    di,   xli, 

60,  1. 

secolo,  tempo,  xxvi,  39,  4. 
secure,  scure,  xxili,  121,  1. 
se  forse,  se  mai,  ni,  68,  1.  xx,  117,    3.   xxxiii, 

73,  7. 
segnar,  mirare,  xvi,  4'i,    1.    xxi,    10,    1.    xxiv, 

104,  8.  XXVI,  73,  5.  xxx,  07,  2. 
segnato,  determinato,  xi,  15,  6.  xii,  1,  6. 
segni  o  caratteri,  ni,    15,    3.   —  bandiere,  xv, 

23,  1.  XXXV,  2,  6.  —  insegne,   xliii,  178,  8. 

—  contrassegni,  xlvi,  17,  5. 

seguo,  insegna,  xv,  23,  1.  xvill,  157,  1.  —  pro- 
va, V,  31,  2.  XII,  68,  8.  —  portamento,  xli, 
52,  7.  —  statua,  xi,u,  81,  1  ;  95,  2.  —  veu 
detta,  XLii.  25,  7.  —  punto  ove  si  mira, 
XXIV,   101,   1. 

seguire,  continuare,  xvm,  8,  3.  —  inseguire, 
xvm,  191,  6.   —    mettersi    in    cammino,   ir, 

24,  1.  XIX,  4,  2.  xxiii,  74,  1.  —  avere  ef- 
fetto, XLV,  43,   4.   —    eseguire,  XLiv,  24,  7. 

seguire  a  uno,  continuare    a    dirijll,    li,    76,    8. 

XXXI,  79,  3. 
seguirsi,  avvenire,  xliii,  127,  4. 
seguitare,  sfilare,  xlui,   175,  3. 


696 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


seguitar  la  vittoria,  xxsiv,  36,  1. 

Selandia,  Seeland,  ix,  23,  1. 

selwiggio,  crudele,  xsii,  34,  6. 

selve,  paesi  selvoai,  xvili,  21,  1. 

templice,  innocente,  xxx,  24,  1. 

$empre,  quando  uno  vuole,  x,  50,  s. 

sempre  che,  purché;  o  anche:  ogni    vulta  che, 

XXVI,  96,  3. 
sempre  che...  più,  xxiv,  32,  1. 
sempre  mai  che,  xlv,  48,  6. 
se  non,  fuorché,  xviii,  84,  7.  xxviil,  42,  1.  XLin, 

13,  6.  —  se  no,  x,  49,  8.  xxii,  9,  6. 
se  non,  se  non  che,  xxx,  44,  1. 
se  non  che,  se  non  fosse  stato  che,  xxi,  42,  5. 

XXIV,  6,  8;  65,  1.  xlvi,  117,  1. 
sentieri,  viaggi,  cammino,  xii,  11,  6. 
sentiero,  viaggio,  iv,  5,  4.  xii,    11,   6.    xiv,  91, 

6.  XV,    16,  8.    xxvni,    74,   5.    —    venuta,   i, 

60,  6. 
sentir,  aver  notizie,  vi,  10,  2.  xxv,  46,  7.  xlvi, 

20,  6.  —  accorgersi,  xx,  18,  8.  —  conoscere, 

XXXVI,  61,  3. 
sentire  a  fare,  xsiv,  49,  6. 
senza,  sen^a  bisogno  di,  xxx,  50,  7. 
senza,  seguito  dall'infinito  per  senza   che   e   il 

cong.,  >,  19,  7.  XXI,  37,  8. 
senza  nome,  ignobile,  xvi,  75,  5. 
sequestrare,  far  prigioniero,  xvi,  69,  5. 
seguitare,  xxi,  66,  1. 
serbare,  avure  avuto,  xli,  93,  1. 
serbar  fuori,  eccettuare,  xxviii,  78,  5. 
serbare  a  fare  lina  cosa,  aspettare,  xxxii,  19,  4. 
aergente,  xiv,  54,  5.  xxvil,  110,  7. 
serrare  un  yugno,  assestarlo,  xxx,  7,  7. 
serrarsi,  lìuire  (Io  stipendio  militare),  xx,  17,  3. 
se  sai,  quanlo  è  possibile,  iv,  34,  6. 
setta,  roligioue,  m,  76,  7.  xxsviii,  81,  3.  —  se- 
guaci, xvii,  115,  4.  XI,,  64,  4. 
sezzaio,  xlv,  100,  7. 

sfogare  il  caie  di,  vuotarlo,  xxviii,  47,  3. 
sgombrare,  fu;gire,  xvii,  58,  3. 
sgrignnto,  gobbo,  xxviii,  35,  5. 
si,  avverbio;  suoi  usi  speciali,  i,  50,    8.   x,    7, 

2.  XVI,  43,  4.  xxviii,  23,   2.    xxxviii,    61,   5. 

XXXIX,  11,  2.  —  davvero,  xxviii,  23,  2. 
si,,  per  sé,  per  comodo  suo,  x,  60,  4.    —   seco, 

XI,  61,  3.  —  gli,  XV,   38,  6.  —  uso  speciale, 

I,  50,  8. 
sia,  in  espressioni  speciali,  vi,  11,  1. 
signozzi,  xil,  94,  2. 
sillessi,  IV,  18,  7.  vii,  41,  8.  xiii,  79,  3.  xx,  15, 

8.  XXI,  15,  4.  xxiii,  107,  8.  XXVII,  15,  3.  xxviir, 

33,  5.  XXXIV,  3,  5.  XLI,   29,    8.    xliv,   8,   2; 

47,  7. 
silopo,  XXI,  59,  4. 
ti  meno,  xxxix,  60,  4. 
sincera,  tutta  buona,  xxv,  87,  8. 
sino  a.  II,  28,  8.  ix,  6,  6.  xiii,    28,  6.  xvii,  43, 

8.  xxvil,  19,  8.  xxx,  83,  2.    xxxvii,    111,   5. 

XLi,  41,  8. 
si...  quanto,  invece  di  si...  come,  iii,  49,  7. 
si  tosto  appena,  xvii,  135,  1. 
sitire,  xml,  109,  5. 


slungarsi,  dilungarsi,  allontanarsi,  xi,  15,  3» 
XXII,  21,  7. 

smagliare  il  core,  xxxv,  80,  6. 

smallare,  coprire,  xxxi,  72,  6. 

smerlo  (uccello),  xii,  84,  6. 

smontare,  discendere  dai  monti,  xir,  41,  6. 
XLiii,  149,  2. 

soccorrere,  venire  in  mente,  xxm,  123,  1. 

soccorso  sia,  impersonalmente,  xxvi,  68,  2. 

soffollo,  sorretto,  xxxv,  9,  5. 

soffrire,  osare,  xxxiv,  64,  6. 

soggiornare,  indugiare,  xxvi,  66,  1  ;  120,  3. 
xxxii,  10,  6. 

soggiorno,  indugio,  vili,  88,  2.  xxv,  81,  3. 

soggiungere,  seguito  da  un  gerundio,  continua- 
re, XXIV,  33,  1. 

sola  di  tutte,  vii,  10,  7. 

solco,  riga  rilevata  di  polvere,  xxvii,  24,  2. 

sole,  giorno,  x,  62,  5. 

sollazzare,  sollazzarsi,  xxx,  10,  6. 

soma,  (misura),  xxxviii,  83,  5. 

sommergersi,  cadere  in  oblio,  20,  3,  6. 

soave  (passo)  pari,  xix,  81,  1.  xxxi,  88,  4, 

somma,  buona  quantità,  xliii,  90,  6. 

sonar  raccolta,  xvui,  158,  8.  xliv,  94,  2. 

sontuoso,  magnifico,  xxxviii,  77,  7. 

sopjyressi,  sommessi,  xviii,  164,  4. 

sopra,  con  valore  d'aggettivo,  x,  93,  5. 

sopra,  oltre,  xxvir,  87,  8.  xxxvill,  28,  3.  xlii, 
78,  1.  —  più,  XXXI,  5,  7. 

soprapetto,  xix,  82,  3. 

sopraveste,  vi,  13,  3. 

sorgere,  gettar  l'ancore,  iv,  51,  5.  x,  16,  7.  xi, 
30,  5.  xviii,  75,  3;  137,  5.  xix,  51,  2.  xx, 
101,  1.  XL,  10,  7, 

sorbire,  assorbire,  XL,  8,  7. 

snro,  xxx,  41,  5. 

sorte,  condizione,  iv,  59,  2.  xvii,  33,  8.  —  ma- 
niera, VII,  4,  7.  vili,  75,  4.  X,  41,  4.  xxxi, 
94,  6.  XXXVII,  41',  4.  —  qualità,  xx,  44,  5. 
—  valore,  v,  17,  6.  —  specie,  vi,  39,  6. 

sortire,  toccare  in  sorte,  xiv,  70,  5. 

sortire  una  cosa,  destinarla,  xiv,  23.  3. 

sortita,  sorteggiata,  xix,  74,  1.  xxx,  21,  3. 

sospingere,  spingere  a  basso,  xli,  50,  4. 

sospirar  V  offese,  piangerne,  xxviil,  85,  5. 

sottigliezze  amorose,  l,  41,  1.  xxx,  79.  xliv, 
41,  1. 

sottrarre  il  conto,  fare  il  e,  xxiii,  62,  1. 

sovrano,  che  sta  sopra,  xxvii,  79,  6. 

sovrastare,  indugiare,  xviii,  57,  4. 

souuenire,  richiamare  a  mente,  xxix,  59,  1. 

sozio,  xxvii,  15,  3.  XLIV,  26,  5. 

sozzopra,  xiv,  128,  8.  xviil,  182,  8.  xxvu,  19, 
2.  XXXIX,  9,  3. 

spacciarli,  affrettare,  xxiii,  61,  5. 

spalmata  (galea),  xiii,  14,  1.  xxxiii,  95,  6. 

spandere,  spandersi,  xxxiv,  71,  6. 

spander  preghi,  xLii,  33,  5. 

spargere  uno  di  fiori,  XLVI,  85,  6. 
spargere  un  luogo  di,  xxv,  93,  6. 
spargersi  in  fuga,  xxv,  12,  5. 

I  sparrare,  xxx,  35,  8. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


697 


spazio,  tempo,  xxxvi,  39,  1. 

spaziosa  in  quadro,  quadrata,  xiii,  37,  2. 

specchiarsi,  guardare,  xxi,  7,  1. 

specchio,  esempio,  xvi,  18,  8. 

speglio,  esempio,  xiv.  9,  3. 

spendere  uno,  giovarsi  di  lui,  xi,  8,  6. 

sperare,  temere,  xui,  3,  3. 

sperarsi,  v,  20,  3.  xiii,  28,  2.  xxiv,  68,  8.  xxvi, 
108,  7.  XXIX,  55,  3.  xxxii,  16,  3.  xxxiv,  23,  0. 

spere  (termine  marinaresco),  xix,  53,  2. 

spettacoli,  in  significato  speciale,   xliv,    33,   S. 

spia,  indizio,  vii,  34,  8.  vili,  S8,  7.  ix,  14,  8. 
xu,  25,  2.  xvm,  71,  4;  96,  6.  xsiii,  100,  4. 

spiare,  ricercare  diligentemente,   xliii,  130,  6. 

spiegare  il  foglio,  dichiarare  le  cose,  xxxi,  16,  8. 

spingere,  cacciare,  xxiv,  32,  8.  xxvu,  126,  1. 
XLil,  23,  7.  —  allontanare,  xxx,  17,  4. 

spinto,  cacciato,  xlii,  23,  7. 

spiraglio,  apertura,  xxxiv,  4,  5. 

spirare,  respirare,  xxvi,  30,  7. 

spirare  il  fiato,  xliii,  108,  8. 

spiriate,  che  conversa  con  gli  spiriti,  iil,  61,  8. 

spoglio,  spoglia,  xvii,  57,  1. 

sporto,  xxxn,  107,   t. 

sprezzarsi,  trascurarsi  nella  persona,  xxxix, 
45,  7. 

squadrare,  descrivere  con  precisione,  xlvi, 
92,  4. 

stahilire,  comporre  stabilmente,  xxix,  32,  5. 

staccare,  interrompere,  xviu,  161,  8. 

staffeggiare,  xvn,  100,  8. 

stagione,  tempo  in  cui  una  cosa  è  alla  sua  per- 
fezione, XI,  68,  7.  XXIV,  80,  5. 

stagion  novella,  ix,  7,  8. 

stampare,  fare  in  un  momento,  xvili,  163,  S.  — 
produrre,  xvi,  57,  4. 

stanza,  abitazione,  xiii,  51,  2.  —  un  luogo  qua- 
lunque, xxx,  26,  6.  —  regno,   xviii,  131,  4. 

—  stanze,  alloggiamenti,  xill,  80,  4. 
stare,  istea,  ix,  90,  5. 

slare  alla  bilancia,  stare  alla  pari,  xxxi,  67,  6. 

—  si.  al  segno,  vili,  63,  6.  xxvi,  103,  5.  xliii, 
75,  6.  —  st,  sull'ale,  esser  sul  punto,  xxvi, 
4,  2. 

stare  di  fare  una  e,  restare  di  f.  u.  e,  xxxiv, 

6,  8. 
star  sorto,  star  sull'ancore,  xxxvii,  54,  6. 
starsi  per  uno  di  fare  una  e,  lasciarsi  di  farla 

per  causa  sua,  xxvi,  114,  3. 
stato,  dominio,  vi,  3,  1. 

statuire  (un  altare),  inalzarlo,  xxxviii,  82,  1. 
stelo,  albero,  vili,  20,  7.  xi,  65,  6. 
stemprare,  guastare,  xil!,  20,  3. 
ttilo,  stile,  modo  di  fare,  x,  5G,  2.  xxxvii,  45,  2. 
stimare,  comprendere,  xxxv,  73,  1.  xlii,  65,  5. 

—  curare,  xv,  46,  5.  xvii,  10,  5.  —  indovi- 
nare, xxxv,  73,  1.  XLII,  65,  5. 

stimare  in  duhbio,  dubitare,  xxxi,  103,  4. 

stimarsi,  stimare,  xxviii,  25,  1. 

stimuloso,  XL,  67,  2. 

stizzone,  xin,  35,  6. 

«tocco,  spada,  xvm,  46,  180.  xli,  72,  8. 

stolto,  stordito,  xix,  95,  6. 

Abiosto  —  Papini 


strada,  cammino,  xliii,  51,  8. 

strana  (cosa),  cosa  non  da  amici,  xxvi,    91,  6. 

stretto,  sforzato,  xxviii,  86,  5. 

stringersi  a,  accingersi  a,  xxxiv,  18,  6. 

stupendo,    che    produce    un    pauroso    stupore, 

XXXI,  63,  6. 
sua,  sue,  xix,  98,  6. 

suadere,  forma  e  costrutto  lat.,  m,  10,  7;  61,  3 
subitano    (veleno),   che   opera   subito,  xxxvn 

66,  5. 
sublimare,  elevare,  iv,  12,  3.    xli,  3,  7.  —  cu 

lebrare,  xxxii,  56,  6.  xxxviu,  27,  8.   —   al 

zare  sopra  ogni  altro,  xliv,  47,  3. 
succedere,  passare,  XLV,  65,  4.  xlvi,    83,  3.  — 

riuscire  a  bene,  ii,  22,  6.  x,    57,  6.  xil,  44, 

8.  XX,  74,  1.  XXV,  10,  3;   50,   5.    xxxix,   53, 

8.  —  derivare,  xvm,  3,  i.  —  scaturire,  xiv, 

50,  5.  XX,  58,  4. 
successo,  caso,  v,  58,  4.    —   séguito,  xxvi,   6S, 

5.  —  cose  avvenute,  v,  4,   3.   xlvi,  103,  2. 
sudar,  trasudare,  venir  fuori,  xlii,  92,  8. 
suffoUo,  sorretto,  xiv,  50,  3. 
suffumigi,  lu,   15,  3. 
suggelli,  vili,  14,  7. 
suo,  loro,  XIII,  40,  3.  xx,    27,    4.    xxvi,    79,    7. 

XXXVI,  24,  6. 
superlativo  relativo  senza  articolo,  vìi,   69,   5. 

vili,  67,  4. 
superbo,  aspro,  xix,  94,  4.  xxvl,  82,  2. 
superno,  il  più  alto,  ii,  70,  1. 
supino,  rivolto  in  su,  xiv,  61,  5.   xxvu,  28,  3. 
supplicare  a,  xvui,  127,  3.  xxiv,  71,  7. 
supplire,  bastare,  xxvu,  32,  2, 
«urgere,  scaturire,  vi,  21,  1. 


tagliar  colpi,  xxiil,  58,  3. 

taglio,  colpo  di  taglio,  xvii,  84,  4. 

tal,  alcuno,  xix,  2,  2. 

talpe,  talpa,  xxxiii,  18,  7. 

tamburini,  x,  71,  3. 

tanl' altri,  altrettanti,  xxii,  52,  6. 

tanto,  tanto  grande,  xvii,  102,  2. 

tanto,  altrettanto,  xxxviii,  4,  2  ;  51 ,  7.  —  al- 
trettante volte,  xxxvni,  59,  2. 

tanto,  aggettivo  usato  avverbialmente,  xli, 
26,  1. 

tanto  che,  finché,  xxxiv,  4,  3.  xxxvi,  81,  3. 
XLVI,  48,  3. 

tardare,  con  l'ausiliare  essere,  xxxi,  41,  6. 

tardare,  trattenere,  xui,  49,  7.  xvm,  25,  6.  — 
render  vano,  xlv,  68,  4. 

tardi,  tardo  (agg.),  xvm,  116,  2.  xxxiil,  61,  ^. 

tardi  o  per  tempo,  xxiii,  1,5.  —  tardi  o  più 
tosto,  xxxvn,  115,  2. 

Tarracone,  Tarragonese,  xxix,  51,  4. 

Tarro,  Taro,  xvii,  4,  8. 

tasca,  per  riporvi  i  plichi,  gli  avvisi  ecc.  I.;i 
portavano  i  messaggeri,  i,  68,  2. 

teeo,  presso  di  te,  i,  52,  6. 

tèlo,  archibugio,  xi,  22,  2. 

46 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


tèma,  esempio,  xxxvii,  5-J,  1. 

temerai,  u,  71,  7.  xxu,  46,  8. 

tempesta,  grandine,  xliii,  155,  6. 

tempestare,  tormentare,  xlv,  73,  7. 

tempi:  passaggio  da  un  tempo  a  un  altro,  i, 
81,  3.  IV,  28,  4.  vili,  52,  4.  si,  74,  1.  xii, 
45,  1.  XXIV,  68,  3  ecc.  —  imperf.  ind.  per 
il  trap.  press.,  iv,  20,  8.  xiv,  1,  8.  —  im- 
perf. cong.  per  il  pass.,  xx,  102,  3.  —  im- 
perf. indie,  per  il  condiz.  pass.,  v,  40,  8. 
—  inip.  cong.  per  il  condiz.,  xv,  101,  8.  — 
presente  per  il  fut.  anter.,  iii,  74,  1.  xiii, 
51,  1.  —  pres.  per  il  fut.,  xvi,  36,  3.  — 
passato  rem.  per  il  trapass,  rem.,  xiii,  74, 
1.  xviii,  95,  5.  —  trap.  rem.  per  il  pass, 
rem.,  in,  14,  2.  iv,  5,  5.  xxu,  16,  6.  xxiil, 
85,  6.  —  futuro  che  indica  un  certo  riserbo, 
XXXI,  16,  4.  XLVi,  6,  5.  —  perfetto  storico, 
xxvii,  52,  2. 

tempo,  occasione,   xviii,   75,   4.    xxxviii,  47,  1. 

temprare,  regolare,  xiv,  91,  5. 

tempre,  congegno,  xxii,  25,  8.  —  maniere,  xui, 
20,  5.  —  sfere,  m,  44,  8. 

tèndere,  stare  attendato,  x.\x,  15,  7. 

tenere,  ritenere,  xxiii,  65,  3.  xxv,  82,  5. 

tenere  a  ciancia,  tenere  a  bada,  xli,  49,  5.  — 
ten,  corto,  xlvi,  131,  3.  —  ten.  lungo  o  in 
lunga,  xx,  45,  4.  xxxi,  18,  1.  —  ten.  il  par- 
lare, XVIII,   174,  1.  —   ten.   in    bando  di  sé, 

XII,  20,  4.  —  tener  modo,  fare  in  modo,  xviu, 
83,  1.  XX,  54,  7. 

tenere  che  uno  non  fa  una  cosa,  trattenerlo  del 
farla,  xx,  70,  5. 

tenere  di,  trattenere  da,  xx,  113,  4.  xxxii,  35,  4. 

tenersi  d'una  cosa,  xxxvii,  103,  4. 

tenitoro,  territorio,  iv,  55,  6.  xx,  9,  2. 

tenore,  notizia,  xxxi,  105,  5.  xlii,  35,  5. 

terminato,  determinato,  xiii,  13,  2.  xxxviii,  76, 
3.  XLV,  61,  1. 

terminazione  in  no  invece  che  in  mo  della  1* 
per*,  plur.  dei  verbi,  i,  19,  8.  v,  40,  2.  ix, 
43,  8.  xni,  16,  3.  xvii,  .55,  2.  xviii,  83,  8. 
XIX,  101,  7  ecc.  —  imo  ed  emo,  per  forno 
nella  1'  pers.  plur.  pres.  indie.  2' e  3' con., 
VI,  37,  7.  XIII,  19,  5.  xvu,  27,  7.  xxviu,  76, 
6.  XLUi,  98,  3  ;  100,  3.  —  e  per  i  1*  pers. 
pass.  rem.  indie,  u,  41,  5.  xl,  3,  1.  —  éno 
per  ono,  3'  pers.  plur.  pres.  della  2*  e  3' 
couiug.,  xxxvi,  40,  3.  xxxvn,  97,  1.  xxxix, 
8,  1.  —  éno  o  iéno,  3'  pers.  plur.  imp.  in- 
die. 2'  con.,  X,  22,  8.  xvi,  58,  8.  —  ono  per 
ano  8'  pers.  plur.  imperf.  indie.  1'  coniug  , 
xviii,  157,  2.  —  eno  per  ero,  3'  pers.  plur. 
pass.  rem.  indie.  2'  con.,  xxiii,  82,  7.  xxiv, 
18,  2.  XXXI,  50,  6.  XXXV,  80,  6.  xxxvii,  119, 
2.  —  òro  e  òrìio  per  arano,  3'  pers.  plur. 
pass.  rem.  indie.  1'  couiug.,  xviii,  162,  5. 
xxvii,  47,  6.  XL,  12,  6.  —  e  per  i,  sing. 
pres.  cong.  1'  coniug.,  xiii,  10,  3.  xvii,  49, 
6.  —  t  per  o  pres.  cong.  sing,,  2'  e  3*  co- 
niug.. Ili,  17,  4.  IV,  56,  5.  x,  48,  6.  xi,  8,  7. 

XIII,  48,  6.  XV,  86,  5.  XIX,  102,  3.  xxxvi,  32, 
6.  XXXVIII,  40,  4.  XLV,  42,  2  ;  84,  2.  —  e  per 


i,  2*  pers.  sing.  pres.  cong.  1*  con.,  xdvi, 
96,  7.  —  e  per  i,  l'è  2*  pers.  sing.  imperf. 
cong.,  XXXI,  12,  7.  xxxiii,  94,  6.  xxxvili,  49, 

2.  XLVI,  41,  2.  —  i  per  e  3'  pers.  sing.  im- 
perf. cong.,  n,  40,  8.  v,  71,  3.  ix,  23,  7.  x, 
60,  8.  xviii,  177,  4.  xxv,  95,  8.  xxxil,  12,  6 
occ.  —  ino  per  ano,  3'  pers.  plur.  pres. 
cong.  2"  coniug.,  iii,  15,  2.  xii,  22,  6.    xxx, 

29,  8.  XLV,  101,  5.  —  ino  per  ero,  3*  pers. 
plur.  imperf.  cong.,  vii,  63,  8.  xiii,  55,  5. 
XXIV,  51,  1.  —  arò  per  ero,  1*  pers.  sing 
futuro  1'  coniug.,  m,  2,  6.  v,  4,   2.   xi,   73, 

5.  xxvii,  62,  1.  xxx,  3,  3.  —  e  per  t  2*  pers. 
imperat.  2"  coniug.,  iii,  19,  4.  x,  4,   7;    83, 

6.  XXI,  23,  4.  xxvii,  140,  6.  xxviii,  59,  5. 
terminazione  in  e  del  plur.  dei  nomi   della   3' 

deci.,  IX,  84,  1.  X,  1,  1;  98,  7.  xi,  59,  2. 
XII,  25,  3.  XIV,  67,  3.  xvm,  16,  4.  xx,  54,  7. 
XXI,  57,  6.  xxin,  37,  3.  xxv,  65,  6.  xxvi,  21, 

7.  xxx,  13,  1.  XXXIII,  64,  1. 

termine,  condizioni,  xxxi,  100,  5.  —  espressio- 
ne, VII,  69,  5.  —  tempo,  xni,  47,  2.  xxi,  54, 
4.  xxv,  39,  3;  91,  1.  xxviii,  14,  2.  xxix,  16, 

3.  XXXII,  10,  3. 
termuoto,  xv,  15,  5. 

terra,  città,  x,  75,  2.  xxil,  30,  4. 

terrazzano,  xviir,  6,  7. 

tesoro,  una  moneta,  xliii,  HO,  5. 

testa  per  testa,  i,  61,  8. 

testimonio,  xii,  51,  8.  xxxix,  13,  2. 

testuggini,  xl,  18,  4. 

tetro,  che  rende  oscuri,  xxxviil,  50,  6. 

tetti,  edifici,  xvi,  26,  3. 

ti  (veggo),  (veggo)  per  te,  xxvii,  7,  2. 

timido,  pieno  di  timore,  xxx,  31,  8.  xliii,  93,  2. 

timpani,  tamburi,  xvi,  56,  2. 

titolo,  vanto,  nome,  x,  3,  4.  xiii,  1,  8. 

tmesi,  v,  75,  5.  vi,  4,  7.  xiii,   6,  6.  xv,    82,   7. 

xvir,  108,  2.  XX,  34,  1.  xxxi,    37,   1.  xxxix, 

16,  5.  XLi,  71,  4. 
toccare,  colpire,  ili,    68,    4.    xvi,    82,    2.    xvm, 

113,  5.  xxvii,  7,  5.  XXXVI,  10,  6. 
toccare  il  punto,  giungere  alla  perfezione,  xiii, 

62,  4. 
togliere  il  punto,  t.  il  momento  opportuno,  xliii, 

87,  5.  —  t.  in  fallo,  xxv,  53,  1.  —  t.  l'eletta, 

XXXV,  74,  7.  —    t.    che    non,    xxviii,   45„  1. 

XXXVI,  44,  7. 

tornare,  divenire,  xv,  60,  2.  —  cambiare,  xxxv, 

30,  8.  —  t.  il  passo,  XXVII,  66,  6. 
tot,  togli,   xvm,  150,  3. 

tòmo,  caduta,  xliii,  8,  3.  xlv,  1,  4. 

tomare,  xix,  47,  6. 

tor  battaglia,  far  battaglia,  v,  40,   2.    —   t.    la 

multa,  xxiii,  .'J,  4. 
tormeritare,  soffrire,  xlv,  21,  4. 
tormento,  archibugio,  ix,  88,  7.  xvi,  56,  4. 
tornare,  transitivo,  xxii,  45,  3. 
tornare  il  piede,  il  passo,  xxvii,  66,  6.    xxxix, 

9,  4. 
tòrsi  uno  nimico,  xi,  46,  5. 
tosto,  tosto  che,  xliv,  29,  6.   —   t.   come,   XLV, 

35,  1. 


ILLUSTRATI  NEL  COMMENTO 


699 


trarre,  tra,  xi,  12,  5.  xil,  54,  7.  xiv,  44,  5.  xvi, 
43,  6.  XXV,  77,  4.  —  fratino,  xix,  70,  8;  80,  7. 

tra,  dentro,  xxvir,  10,  5.  —  per,  xix,  US,  6. 

trabacche,  vii,  35,  4. 

traboccarsi,  volgerai  a  precipizio,  xxiil,  88,  6. 

traccia,  indizi,  xiv,  32,  4.  xxii,  14,  5. 

traere,  xxr,  34,  4. 

traffisse  da  trafiggere,  xxxix,  4G,  1.  —  traffmso, 
XVI,  11,  8. 

tralignare  a,  xviii,  150,  6. 

trombi,  XL,  58,  4. 

tramendui,  xviii,  187,  8.  —  tramendua,  xi.ni, 
94,  2. 

trarre,  allettare,  xviii,  1,5.  —  distogliere,  xxx, 
86,  3.  —  t.  in  pericolo,  xvii,  13,  7. 

trascorso,  traviato,  xx,  19,  6. 

trailo,  opportunità,  x,  105,  8. 

travagliarsi,  studiarsi,  XLir,  103,  G. 

tra  via,  vi,  78,  1.  xvi,  15,  2.  xvir,  7,  1.  xxil, 
47,  4.  xsiv,  d-A,  7.  XXVI,  55,  7.  —  tra  cam- 
pagna, XVI,  40,  6  ;  GG,  1 .  —  fra  camp.,  xxxiii, 
97,  7.  —  tra  camino,  xxxii,  2,  4. 

Iremente,  xxxf,  68,  C. 

trepido,  tremolante,  ix,  7,  4.  xii,  72,  1. 

tribunale,  luogo  elevato,  xvii,  133,  5. 

tristizia,  insufficienza,  xxxv,  77,  6. 

tristo,  di  cattiva  qualità,  xxxir,  i,  2. 

tritare  il  sentiero,  batterlo,  xii,  56,  4.  xxiv,  15, 

3.  —  la  terra,  xx,  12,  6. 

trito  (passo),  xix,  81,  l.  —  (cammino),  xis,  41,  8. 

troncamenti  insoliti,  xix,  51,  8;  71,  8.  xxxvu, 
43,  2. 

trovare,  prendere,  iv,  53,  5.  xxxv,  60,  7.  — 
colpire,  xxx,  59,  2.  xli,  69,  1.  —  tr.  luogo, 
tr.  agio,  xxviii,  60,  7.  —  tr.  l'orma,  xvii, 
116,  5.  —  tr.  la  vena,  ferire  a  sangue,  xviii, 
152,  2.  —  tr.  piazza,  vi,  6G,  6. 

trovarsi,  battersi,  xliii,  150,  4.  xlvi,  115,  6. 

trovarsi  benigno,  trovar  benigno  a  sé,  vii,  16, 

4.  —  tr.  di  fare  lina  cosa,  xix,  99,  6. 
turbarsi,  disturbarsi,  xxxix,  8,  1. 

turbato,  disturbato  da  fare  una  e,  xxiv,  11,  3. 

turbini,  vili,  14,  7. 

Turpino,  xiil,  40,  2. 

tutta  volta,  XXI,  6,  5. 

tutte  altre,  tutte  le  altre,  x,  54,  7.  xxix,  53,  4. 

tutto,  interamente,  xxxvii,  59,  8. 

tutto  in  un  tratto,  ne\lo  stesso  tempo,  xvi,  69,  1. 


u 


ubino,  XIV,  53,  7, 

udienza,  uditori,  xxviii,  3,  5. 

udita,  udito,  x,  3,  6. 

uguale,  ugualmente,  xxxix,  72,  3. 

ugualmente,  dappertutto,  xxvii,  90,  2. 

umanamente,  cortesemente,  xxvii,  C8,  6.  xxxviii, 

19,  5. 
umile,  basso,  xii,  87,  1. 
«n  colpo,  per  un  colpo,  xxvi,  7,  1. 
unica  Fenice,  xv,  39,  3. 
unicamente,  sommamente,  v,  90,  8. 


unicorno,  liocorno,  x,  84,  1. 

unire,  mettere  insieme  (tesoro),  xxv,  63,  1. 

unire  al  soldo,  xii,  71,  5. 

unquanco,  xviil,  158,  4. 

unque,  mai,  xxiv,  90,  1.  xxxvii,  U,  8. 

un  tempo,  per  qualche  tempo,  xsvii,  71,  7. 

un  tiro  di  mano,  xxxvii,  87,  5. 

unto  (legno),  spalmato,  iv,  50,  5. 

usare,  abituare,  xxv,  66,  7.  —  us.  la  ragione, 
xviii,  2,  6.  —  US.  tradimento,   xlvi,   95,   6. 

ìisala,  usanza,  xvii,  24,  6. 

uscire,  apparire,  xliv,  5,  3.  —  riuscire  a  bene, 
XV,  36,  7.  XXIV,  11,  6.  XXVI,  59,  5.  xxvii,  1, 
2.  xxx,  77,  5.  —  uscir  bene  o  male,  xxxii, 
105,  3.  —  US.  a  ragionare,  xliii,  67,  8.  — 
uscir  Vanno,  finir  l'anno,  xxxvii,  117,  5.  — 
US.  sopra,  xvit,  120,  1.  —  use.  fuora,  uscire 
a  battaglia,  xxv,  76,  5. 

uso,  esercitato,  xvi,  54,  4.  xx,  1,  6. 

uso,  vantaggio,  xvii,  34,  8. 

usurpare,  prendere,  xx,  130,  1. 

uterino,  di  otre,  xliv,  21,  7, 


vago,  vagaute,  xiv,  48,  5.  xv,  37,  6.  xxii,  93,  6. 

valcare,  xv,  40,  3. 

valere  il  pregio,  valer  la  pena,  xxxv,  70,  7. 

valletto,  XV,  61,  2. 

vaneggiar,  riuscir  vano,  xviii,  183,  3. 

l'ano  (capo),  sfrenato,  xxii,  27,  6. 

varare,  trarre  in  acqua  una  barca  già  tirata 
alla  riva,  xxvni,  87,  1. 

varcare,  passare,  xl,  8,  3. 

vedere,  accorgimento,  xxx,  82,  8.  xxxvni,  47,  5. 

vedere  —  vedesse  per  vedeste,  xii,  42,  3.  xvili, 
129,  3.  XIX,  32,  8. 

vedere,  guardare,  xi,  49,  5.'  xii,  9,  4.  —  v.  in 
fallo,  IV,  20,  4.  —  V.  poco,  xxx,  82,  8.  — 
rispondere  sopra  un  luogo,  xLii,  78,  7. 

vedersi,  sentirsi,  xxxvi,  19,  3. 

vedersi  lontano,  veder  lontano  da  sé,  vi,  59,  1. 

veduta,  vista,  xxill,  82,  6. 

veleno,  ira,  xviii,  117,  2. 

veletta,  vedetta,  x,  51,  1.  xxix,  35,  5,  xxxix, 
■   79,  7, 

vello,  batùffolo  da  filare,  xxxiv,  88,  1. 

veìidicar,  riconquistar,  xvni,  116,  8.  —  vendi- 
carsi, XLV,  16,  4. 

vendicato...  ulto,  xli,  62,  5. 

venire,  pass,  veniro,  vi,  81,  3.  xxvu,  24,  7. 
XXVIII,  54,  8.  XLll,  73,  3.  —  si  fu  venuto, 
XXXI,  32,  6. 

venire,  divenire,  i,  2,  3.  —  avvenire,  xvi,  64, 
3.  xviii,  126,  5.  XXXII,  46,  1.  —  procedere, 
V,  60,  8.  —  V.  a  contesa,  xvii,  104,  5.  —  v. 
a  sesta,  xxii,  26,  6.  —  v.  a  manco,  xx,  50, 
8.  —  V.  in  favore,  xxxi,  81.  5.  —  v.  in  ec- 
cellenza, XX,  2,  1.  —  V.  in  prova,  iv,  68,  7. 
V,  75,  7.  xxx,  42,  1.  —  V.  in  sorte,  xxill, 
80,  5.  —  V.  la  mensa,  essere  imbandita, 
XXVII,  130,  5.  —  V-  a  volo,  xliv,  13,  5. 


700 


INDICE  DEI  VOCABOLI  E  DEI  MODI 


verbo  al  singolare  per  il  plur.,  xix,  96,  3.  xx, 
51,  4.  XXVI,  73,  5.  XXXV,  25,  6.    xli,   34,    1. 

verbi  usati  impersonalmente,  ix,  82,  8.  xviii, 
105,  5.  XXII,  79,  1. 

verno,  tempesta,  xviii,  144,  6.  xix,  44,  3.  xli, 
15,  2. 

verrone,  iv,  58,  4.  v,  47,  7.  XLIV,  32,  7, 

versare,  volgere,  xlv,  4,  8.  —  agitare,  xxx, 
23,  8.  —  vers.  parole,  xx,  137,  2. 

versarti,  rovesciarsi,  xxxi,  9,  5  ;  53,  6  ;  69,  7. 
—  consistere,  xxxviii,  38,  6. 

versato,  aggirato,  xlii,  87,  8. 

verso,  contro,  xxix,  54,  1.  —  a  confronto,  xmii, 
37,  2. 

vestigie,  via,  xxvil,  15,  3. 

Vesulo,  Viso  (monte),  xxxvii,  92,  1. 

veziosa,  leziosa,  xx,  113,  1. 

vi  per  ne,  vii,  2,  1.  xui,  21,  4.  xvl,  28,  5.  xvii, 
127,  4.  XLI,  16,  6,  —  in  questa  cosa,  xxxiv, 
91,  6.  —  (pleonastico),  lu,  22,  1.  xx,  40,  5. 

via,  vie,  V,  75,  7. 

viaggio,  via,  i,  38,  6. 

vietare,  togliere,  xxvii,  62,  7.  —  vietare  che 
non,  V,  53,  1.  xin,  10,  1.  xxii,  86,  6.  xxiv, 
57,  3.  xxx,  79,  7.  —  v.  a  uno  una  e,  ri- 
muoverla da  Ini,  IV,  35,  S. 

vigilia,  ora  di  notte,  xxxi,  49,  7. 

vilipendere,  non  curare,  v,  62,   7, 

villa,  città,  XV,  16,  3. 

vilipesa,  vana,  xxii,  18,  3. 


vinto,  legato,  xxxiv,  17,  2. 

visèra,  visiera,  xvii,  102,  1. 

viso,  sguardo,  xxvi,  79,  1. 

vista,  visiera,  xxx,  49,  8.  xli,  86,  5. 

vivace,  vivente,  vi,  30,  4.  —  che  vivrà,  xxxvii, 

10,  2. 
vocale,  parlante,  vii,  38,  3. 
volere,  forme  irregolari,  i,  7,   7.    v,    Ì5,    2.   — 

(usato  senza  necessità),  ii,  65,  2. 
volere,  potere,  xxx,  73,  2. 
volerla  con  uno,  volersi  misurare  con  lui,  xxvi, 

109,  8. 
volgere,  volgersi,  xviii,  58,  5. 
volgere  in  miseria,  xlv,  87,  6. 
volgersi  a  dietro  a  una  cosa,  xxvil,  24,  4. 
volonteroso,  avventato,  vi,  40,  8. 
volse  o  non  volse,  xviii,  80,  4. 
voltare  un  luogo,  girarlo,  xx,  tOO,  7. 
volteggiare,  girare,  xxi,  38,  2. 
vòlti,  avvolgimenti,  xii,  80,  6. 
vòlto,  xLii,  74,  2. 
voto,  giuramento,  xii,  42,  6. 
vuluntaroso,  x,  38,  6.  xii,  52,  6. 


zelo,  affetto,  xir,  28,  4. 

zeugma,  ii,  39,  4.  xix,  15,  6.  xxxii,  20,  8. 

zona  roggia,  zona  torrida,  xxxiii,  126,  6. 


VARIANTI  FRA  L'EDIZIONE  DEL  1532 
E  L'EDIZIONE  DEL  MORALI  DA  NOI  SEGUITA 


LEZIONI    PEL    TESTO 

camarier,  xxv,  86,  1. 

ascondili,  xxvlii,  27,   l. 

che  gli,  XXVIII,  35,  3.  xxx,  (11,  5.  xxxi,  3'),  fi, 

che  mi  cuopra,  x,  28,  5. 

chi  per  lei,  v,  68,  5. 

chi  questa,  xxxvlii,  1",  5. 

commune,  xxvi,  133,  7. 

con  gl'Acciaioli,  xi-vi,   18,  3. 

con  pili  breve  porta,  vui,  st.  iilt.  C. 

da  l'ambra,  xxxiii,  13,  6. 

de  mio  frate,  xxi,  66,   2. 

de  Lamagna,  ],  ó,  7. 

doppo,  XVI,  10,  1.  xxii,  85,  8. 

dormano,  ix,  3,  7. 

due  amanti,  vii,  29,  3. 

tìa,  XXXIII,  104,  2. 

figliola,  vili,  22,  2. 

figlioli,  XXXVIII,  84,  3. 

fiordeligi,  viii,  88,  7. 

fugoso,  XLV,  71,  2. 

Giaradada,  xxxiii,  38,  ■^. 

glunseno,  iv,  H,  2. 

gli,  XXII,  53,  2.  XXIX,  48,   1. 

gli  dui,  xxli,  40,  2. 

grembio,  xvii,  32,  6. 

haria,  xxx,  82,  1. 

haute,  XLV,  84,  8. 

hautto,  XV,  65,  7. 

i  feci,  XXXVI,  67.  6. 

il  dia,  XIV,  10,  8. 

ingiottirlo,  XI,  37,  3. 

Inghelterra,  ix,  93,  1.  xxvi,  31,  7. 

Ingleterra,  ix,  16,  4. 

liberassi,  xxvii,  2,  4. 

matre,  xxiii,   20,  8. 

missero,  xjui,  94,  3.  > 

mutamo,  xxix,  1,  3. 

onde,  XXIX,  79,  6. 

perseverare,  xx,  133,  6. 


VARIANTI   DEL    MORALI 

camerier 

ascondali 

eh  egli 

chi  mi  copra 

che  per  lei 

che  questa 

comune 

cogli  Acciaiuoli 

che  pili  breve  porta 

dal  Lambro 

del  mio  frate 

di  Lamagua 

dopo 

dormono 

du'  amanti 

sia 

figliuola 

figliuoli 

fordiligi 

focoso 

Giaradadda 

giunsero 

li 

li  dui 

grembo 

avria 

avute 

avuto 

lo  feci 

dia 

inghiottirlo 

Inghilterra 

Inghilterra 

liberasse 

madre 

misero  (verbo) 

mutiamo 

ove 

preservare 


702 


VARIANTI 


LEZIONI  DEL  TESTO 

poi,  xr.vi,  106,  2. 

poi  clie  gli  è,  XXXVI,  8,  3. 

portoci,  XVII,  33,  1. 

posto,  XIX,  86,  5. 

povare,  xLvi,  76,  3. 

preciosa,  x,  3,  8. 

prevista,  iii,  7G,  5. 

previsto,  xLii,   191,  .ó. 

prigionera,  ii,  65,  8. 

provassi,  XXV,  41,  8. 

qua,  mai,  vii,  54,  8. 

quanto,  xxiv,  103,  5. 

rendeno,  xvi,  56,  7.  xxxv,  32,  2. 

ribomba,   ix,  75,  4. 
ritorsf,  XLiii,  164,  1. 
sanza,  xxiii,  90,  2;   120,  1.  xxv,  11,  1. 
se,  affìsso  improprio  cioè  preposto  al  verbo,  iv, 
57,  5;   71,  3.  ix,  64,  4.  x,  76,    2.  xiv,   79,  2. 
XXI,  55,  4.  xxvi,  9?,  7.  xxviii,  27,  1. 
se  gli,  XLV,  110,  1. 
sgombiglia,  xxxiii,  39,  G. 
sia  detto,  xliii,   94,  2. 
siate,  xxvii,  137,  1. 
sua  poppe,  xix,  62,  7. 
svegliando,  xsxvi,  29,  8. 
tener  erbe,  i,  38,  1 . 
tolse,  XLiii,  178,  4. 
tra  lor,   xxv,  24,  5. 
Transimeno,  xxvi,  47,  4. 
transmutosse,  vii,  51,  1. 
Traprobane,  xv,  17,  5. 
tuo  braccia,  xxviii,  59,  5. 
tutti,  XIV,  68,  7. 
uccidergli,  xxxv,  20,  7. 
Uu^'liiardo,  xlv,  11,  8. 
vogli  or,  IX,  32,  7. 


VARIANTI   DEL  MORALI 

puoi 

poi  eli'  egli  è 

portoeci 

poste 

povere 

preziosa 

provista 

provisto 

prigioniera 

provasse 

qual  mai 

quando 

rendono 

rimbomba 

risorse 

senza 


s'egli 

scompiglia 

fiì  detto 

siete 

sue  poppe 

svegliano 

tenere  erbe 

tolte 

tra  noi 

Trasimeno 

trasmutosse 

Taprobane 

tue  braccia 

tutte 

ucciderli 

IJugiardo 

voglia  or 


INDICE 


Prefazione Pag.      v 

Sommario  dei  quarantasei  Canti  dell'Orlando  Furioso xvii 


Canto 


I 

II 
lU 
IV 
V 
VI 
VII 

vili 

IX 

X 

XI 

XII 

XIII 

XIV 

XV 

XVI 

XVII 


Paff. 


1      Canto        XXIV 


14 

24 

38 

48 

59 

70 

80 

91 

103 

118 

129 

142 

154 

173 

189 

200 

XVin 219 

XIX 244 

XX 259 

XXI 275  j 

XXn 283  I 

XXIII 295 


313 


XXV 327 

XXVI  ^ 339 

XXVII 360 

XXVIII 379 

XXIX 390 

XXX 399 

XXXI 412 

XXXII 426 

XXXIII 440 

XXXIV 460 

XXXV 472 

XXXVI 483 

XXXVII 496 

XXXVIII 514 

XXXIX 528 

XL 541 

XLI 552» 

XLII 565 

XLIII 580 

XLIV 609 

XLV 623 

XLVI 639 


Indice  dei  principali  personaggi  e  delle  cose  notabili 663 

Indice  dei  vocaboli  e  dei  modi  più  notevoli  illustrati  nel  com- 
mento     675 

Varianti  fra  l'edizione  del  1532  e  l'edizione  del  Morali  da  noi 

seguita 701 


r 


PQ  Ariosto,   Lodovico 

^567  Orlando  furioso 

^2  ^«     integra,  Nouva  ristampa 

1916  riveduta  e  corretta 


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